Quirino Spinelli for Shared Territories

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STURA, Torino. Scenari per una diversa urbanita’

Corso di Laurea Magistrale Architettura Costruzione Città AA 2012/13 I Facoltà di Architettura Politecnico di Torino

candidato: Quirino Spinelli I

relatore: Angelo Sampieri correlatore: Cristina Bianchetti



STURA, Torino. Scenari per una diversa urbanita’

Corso di Laurea Magistrale Architettura Costruzione Città AA 2012/13 I Facoltà di Architettura Politecnico di Torino

candidato: Quirino Spinelli relatore: Angelo Sampieri correlatore: Cristina Bianchetti



INDICE

Premessa

1

Un territorio conteso 1. 1.1. 1.2.

La Stura come infrastruttura Piano di Struttura, Programmi complessi e Tavoli di concertazione Progetti per lo spazio aperto

14 19 23

2. 2.1. 2.2. 2.3. 2.4.

La Stura come limite Area Produttiva Rostia. La corrosione del distretto produttivo Discarica Amiat. Il riciclo della montagna che ricicla Falchera. La patrimonializzazione del quartiere modello Iveco. La sostituzione del grande complesso industriale

34 40 40 44 48

3. 3.1. 3.2. 3.3.

La Stura come spazio della condivisione Campi rom Orti Luoghi di incontro

58 61 65 68

Scenari per una diversa urbanità 1.

Dall’area produttiva Rostia alla Stura: tra orti e nuove forme di produzione agricola

83

2.

Dall’ex discarica Amiat alla Stura: tra boschi e radure, verso la montagna che si muove

99

3.

Da Falchera alla Stura: lungo nuove canalizzazioni e zone umide

117

4.

Tra l’Iveco e la Stura: prove di colonizzazione di territori difficili

135



premessa Questa tesi è stata condotta, a partire dalla primavera del 2012, all’interno del seminario di tesi in progettazione urbanistica Spazi di condivisione per la città contemporanea1 e prosegue un’indagine del settore nord-est della città di Torino avviata un anno prima all’interno della design unit Plein air. Lo spazio aperto della condivisione2. In modo particolare, la tesi si concentra sull’osservazione degli spazi attraversati dalla Stura nel tratto torinese compreso tra Basse di Stura e la Confluenza. Ed immagina per questo territorio un progetto che, a partire dal fiume, possa attivare alcune trasformazioni a nord est della città: lungo la Tangenziale Nord ed il Raccordo Torino-Caselle, attraverso l’area Produttiva Rostia, l’ex discarica Amiat, sui bordi di Falchera, a ridosso del distretto industriale dell’Iveco3. Nel complesso, un territorio che è espressione di una fitta e controversa rete di usi e relazioni sociali, radicata entro spazi ritenuti marginali rispetto al sistema di usi e relazioni della città. “Un territorio conteso tra forme di condivisione legate a pratiche legali e illegali, palesi e nascoste. Conteso tra ideologie differenti. Diritti acquisiti, rivendicati, persi attorno a coltivazioni private, istituzionali o abusive; insediamenti nomadi; spazi aperti di tipo agricolo, dismessi, a parco; attività produttive; reti stratificate e più o meno definite, del muoversi”3. Un territorio che, proprio in ragione della densità di pratiche di diversa matrice che lo attraversano, è assunto quale territorio profondamente urbano. Seppu-

1 Spazi di condivisione per la città contemporanea è un Seminario di Tesi in Progettazione Urbanistica, coordinato da Cristina Bianchetti e Angelo Sampieri, che si è avviato nel gennaio 2012 presso il Politecnico di Torino. “Il seminario si configura come un luogo collettivo di esplorazione e di progetto delle nuove forme di condivisione nella città contemporanea e degli spazi (fisici, ma anche sociali) che queste occupano. L’ipotesi sulla quale il seminario si regge è che in esse si situi un piano di intervento importante sia per la competenza tecnica dell’architetto e dell’urbanista, sia per l’azione politica” http://territoridellacondivisione.wordpress.com 2 Plein air. Lo spazio aperto della condivisione è la nominazione di una design unit che si è svolta nell’a.a. 2010-2011 nel Corso di Laurea Magistrale Architettura Costruzione Città della I Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. E’ stata impostata sul tema della condivisione ed ha osservato il settore nord-est della città di Torino, lungo il corso della Stura prima della Confluenza nel PO. La design unit è stata guidata da Cristina Bianchetti, Laura Cantarella, Gianluca Cosmacini, Emanuel Giannotti, Angelo Sampieri, con l’aiuto di Anna Todros. 3

C. Bianchetti, La Confluenza, Torino. Un territorio conteso, in: http://territoridellacondivisione.wordpress. com/2012/10/29/la-confluenza-turin-a-desputedterritory/#more-2041 1


re segnato da caratteri propri di un’urbanità differente, poco docile e levigata, capace di rendere visibili, e mettere inequivocabilmente in scena, ragioni della controversia e caratteri della non pacificazione. Obiettivo della tesi è l’elaborazione di un progetto che possa dare rappresentazione, nella forma dello scenario, a questa differente urbanità. Un progetto che non risolva quindi la contesa entro l’immagine pacificata, coesa ed omogenea, di un parco (come negli strumenti di piano che regolano le trasformazioni). Tanto meno in quella di una terra di confine, di un territorio d’eccezione segnato da caratteri informali che, radicalizzandone i connotati, espungono la possibilità di una trasformazione guidata. Un progetto piuttosto, che lavorando per parti, con materiali “leggeri”, ed attraverso azioni sostenute dai molteplici attori che oggi condividono e si contendono lo spazio, possa dar luogo ad una sorta di nuova micro-armatura territoriale, frammentaria e disomogenea, capace di consentire però un più adeguato uso degli spazi ed un loro migliore funzionamento. Il punto non è evidentemente quello di rendere centrale rispetto alla città una parte di territorio che è da sempre marginale, e che nella città si configura oggi come una piega. Quanto quello di supportare, attraverso strumenti tecnicamente pertinenti, il differente tipo di urbanità di cui questo territorio dispone. La tesi si compone di due parti. Una prima, tesa a restituire il territorio oggetto di indagine entro tre immagini capaci di problematizzarne alcuni caratteri: 1) la Stura quale infrastruttura, corridoio e bacino ecologico, serbatoio di naturalità, parco fluviale, così come osservato dai piani che della Stura enfatizzano le risorse ambientali; 2) la Stura quale limite della città, fine di Torino a nord, bordo oltre il quale, durante il corso del Novecento, una serie di materiali urbani di tipo eterogeneo (un quartiere residenziale “sperimentale”, una discarica, distretti produttivi e industriali) si sono depositati lungo le infrastrutture ed appaiono oggi lanciati oltre il fiume come sassi; 3) la Stura quale spazio della condivisione. La seconda parte della tesi immagina quattro scenari evolutivi per questa parte di città. Quattro scenari capaci di restituire il carattere frammentario e disomogeneo che oggi questo territorio esprime. Considerare questo carattere quale componente strutturale, che non può essere eluso entro l’immagine liscia, omogenea e coesa di un parco.

4 2

Luca Rastello, postfazione de AA.VV., Il Futuro del mondo passa da qui, City Veins, Scritturapura, 2011


dall’ alto

visione.

1) la Stura come infrastruttura; 2) la Stura come limite 3) la Stura come spazio della condi-

PAGine SEGUENTI

Gli orti lungo le infrastruture e tra i campi coltivati. 3





Un territorio conteso


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Quello della Stura è un territorio conteso. “Conteso tra forme di condivisione legate a pratiche legali e illegali, palesi e nascoste. Conteso tra ideologie differenti. Diritti acquisiti, rivendicati, persi attorno a coltivazioni private, istituzionali o abusive; insediamenti nomadi; spazi aperti di tipo agricolo, dismessi, a parco; attività produttive; reti stratificate e più o meno definite, del muoversi. Nel suo essere conteso e nella densità di pratiche di opposta matrice, questo territorio dichiara innanzitutto una connotazione urbana: è espressione della città, prima che della natura, con buona pace delle retoriche ambientaliste e degli strumenti regolativi che nella Stura leggono un’infrastruttura ecologica, un parco fluviale, un grande bacino di naturalità di cui ricomporre i paesaggi” (Bianchetti, 2012). Le tre immagini della Stura descritte nelle pagine che seguono provano a restituire alcuni caratteri di questa contesa. Si tratta di tre rappresentazioni non convergenti entro un’immagine unitaria (come solitamente avviene entro le prospettive indicate dai piani che la traducono in una continua campitura verde). La questione è più complessa. Gli spazi lungo il fiume sono una soglia spessa, fitta di cose diverse e modi di abitare animati e rivendicativi, quotidianamente in lotta entro i propri confini, e con la città.

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1. La Stura come Infrastruttura

10 0.1 km

0.5 km

1 km

2 km


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1. La Stura come Infrastruttura La Stura di Lanzo è affluente di sinistra del Po, lungo 68,8 km e con un bacino idrografico ampio 836 km². E’ un corso d’acqua a regime marcatamente torrentizio. La sua portata media annua presso la foce è notevole (32 m³/s), ma il fiume alterna a lunghi periodi di magra estivi e invernali, piene anche improvvise e devastanti, come quella dell’ottobre 2000 in cui il fiume sfiorò i 2.000 m³/s. L’attività erosiva è quindi cospicua e l’alveo in continuo divenire. Durante il proprio tragitto la Stura costruisce e modifica il suo alveo, erodendo le rocce e deponendo, durante l’impetuosa corsa verso il Po, metri di pietrisco: rocce e ciottoli di svariatissime dimensioni e tipologie, ghiaioni, sabbie e limi; i tipici materiali di deposito torrentizio, insomma. È straripata sia durante l’alluvione del 1994 che durante quella del 14 ottobre 20001. Nel suo tratto torinese, la rete idrografica superficiale comprende, oltre al torrente Stura, numerosi canali di irrigazione, che danno forma ad una rete idrica ad uso agricolo, i cui principali sono detti bealere. Inoltre, un canale scolmatore è posto nei pressi della discarica in Basse di Stura, in grado di diminuire la portata del corso d’acqua principale in caso di piena, e ancora numerosi laghi, prevalentemente di cava: il lago Bechis, il lago Martini, derivati dall’inizio, nel 1960, delle attività estrattive di inerti. La falda è a soli 7 m sotto il livello del suolo. Il percorso cittadino attraversa le Basse di Stura, delimita il bordo urbano, appare sui campi delle cascine, sfuma nei frammenti di orti urbani costruiti sulle sponde, sostenta la vita di un biotopo, vede grandi pezzi di industria per affacciarsi a Settimo, dove confluisce nel Po. Le Basse di Stura, area il cui nome deriva dal dislivello tra il piano in cui scorre il fiume e quello delle strade, sono completamente incluse nei confini della Circoscrizione V e sono comprese tra il confine con Borgaro e la tangenziale, a nord; corso Vercelli e la superstrada Torino-Caselle, a est; via Reiss Romoli a sud, e la strada direttissima dell’aeroporto, a ovest. Sulle sponde numerosi tratti vedono la formazione di grumi dove l’agricoltura urbana convive con insediamenti di popolazioni nomadi. Gli agricoltori usufruiscono delle acque per irrigare gli orti, mentre i nomadi ne fanno

1 AA.VV., Elaborato I.c/5 in Piano di Tutela delle Acque - Revisione del 1º luglio 2004; Caratterizzazione bacini Idrografici, Regione Piemonte; AA.VV., Elaborato I.c/7 in Piano di Tutela delle Acque - Revisione del 1º luglio 2004; Caratterizzazione bacini Idrografici, Regione Piemonte; http://www.parks.it/zona.salvaguardia. stura.lanzo/index.php ; Siti di Importanza Comunitaria (SIC) - Dati Territoriali Comunali, Regione Piemonte, 2007. Carta Tecnica Regionale raster 1:10.000 (vers.3.0) della Regione Piemonte - 2007 14


Luglio 2003

Giugno 2004

Gennaio 2006

Novembre 2007

terreno naturale

Marzo 2008

ghiaione

sabbia con fossili fossili

Gennaio 2011

fig. A sinistra, la stratigrafia della sponda sinistra del torrente; a destra, le variazioni temporali dell’alveo negli ultimi 10 anni.

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DALL’ALTO

verso il basso: il bacino idrografico della Stura nel tratto Torinese, con indicazione delle piezometriche e soggiacenze della falda (in ordine decrescente, il grigio più scuro indica una profondità da 0 a 5 metri), fonte: www.provincia.torino.gov.it; le fasce PAI di controllo delle esondazioni, (fascia A di deflusso della piena, fascia B di esondazione, fascia C di inondazione o piena catastrofica), fonte Piano di Tutella delle Acque (D.C.R. n. 117-10731 del 13 marzo 2007), in azzuro l’area di piena nell’Ottobre del 2000.

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a destra mappa delle cascine.


un uso domestico, a volte anche per l’igiene personale. Questi luoghi sono immersi entro un ambiente naturale in cui la vegetazione è molto presente e poco regolata, abitata da una fauna ricca di specie protette. Il passato dell’area è segnato dalla presenza di cascine storiche, tuttora riconoscibili: in sponda sinistra la cascina Nobella, la cascina Bellacomba (al confine ovest) e la Cascina Nuova; in sponda destra la cascina Ressia e la cascina Boscaglia. Oggi, l’agricoltura, che storicamente ha caratterizzato queste zone, vive una fase di transizione, legata alla diminuzione dei valori dei terreni agricoli e alle contrastanti tendenze del mercato. L’uso agricolo stesso di queste terre è argomento controverso, dibattuto tra orientamenti patrimonialisti e interessi puramente economici anche se con produzioni di scarsa qualità. L’area di confluenza tra Stura e Po, nel XVII secolo, era adibita a parco reale (Parco Vecchio); ancora nel XIX secolo, la qualità ambientale del sito era apprezzabile: sulle carte si segnalano isolotti di ghiaia e pietrisco, anse, grandi boscaglie e campi coltivati. Il primo Novecento, con il proliferare di mulini e lavatoi, vede crescere la vocazione agricola dell’area, ricca d’acque e in contatto con appezzamenti agricoli di valore nei comuni limitrofi.

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Il Comune di Torino sta attraversando da qualche anno una fase pianificatoria particolarmente significativa conseguente ad un processo di rinnovamento ancora in corso. Questo quadro di riferimento, mutato o in via di ulteriore evoluzione, introduce elementi, strumenti e procedure diverse, che cosituiscono una piattaforma normativa importante che ha avvio durante gli anni Ottanta del Novecento. In questo momento nuove progettualità iniziano ad immaginare destinazioni d’uso non più prettamente industriali. Una nuova vocazione alla città. Negli anni Novanta si rilevano e studiano gli alvei dei corsi d’acqua e le rispettive sponde, se ne individuano i territori circostanti come punti critici2. Sempre più prende corpo un’idea: che il territorio della Stura sia in primo luogo un’infrastruttura ecologica, un corridoio verde, un parco fluviale, un grande bacino di naturalità.

CASCINA Canonico (Boscaglia) 18


Ciò che avviene lungo il corso del fiume ed all’interno del suo bacino è orientato da questo principio. Aree di bonifica, ridefinizione degli argini e del bacino fluviale, decontaminazione delle acque, ricomposizione paesaggistica, rinaturalizzazione e reintegrazione di specie autoctone, sono i principali obiettivi che gli strumenti di regolazione, con difficoltà, perseguono. È difatti complesso formulare strategie che affrontino soddisfacentemente il progetto di questa parte di territorio nella sua complessità (se non da un punto di vista ambientale) per quanto l’amministrazione comunale di Torino, in collaborazione con i comuni dell’area metropolitana, tenti di sintetizzare le esigenze in molteplici azioni diversificate e localizzate. Un insieme di intenzioni che restituisce un quadro normativo ramificato, ma che dà l’idea di uno sguardo intensamente rivolto al territorio della Stura quale infrastruttura naturale. Nella sintesi che segue sono evidenziati gli strumenti che più direttamente interagiscono con il territorio della Stura, ed in particolare, con il Quadrante Nord-Est dell’Area Metropolitana Torinese.

1.1. Piano di Struttura, Programmi complessi e Tavoli di concertazione Il Piano di Struttura3, del gennaio 2012, descrive il quadro infrastrutturale e ambientale di riferimento per le diverse previsioni urbanistiche. Il documento ha avvio con la sottoscrizione, del dicembre 2010, del Protocollo d’Intesa per la riqualificazione fisica, infrastrutturale, ambientale, funzionale e sociale del Quadrante Nord Est dell’area metropolitana4, che descrive il dialogo inter-istituzionale tra le amministrazioni firmatarie: Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comuni di Torino, Settimo T.se, S. Mauro T.se e Borgaro T.se. Il Piano testimonia la complessità di questa area metropolitana. Attraverso di esso si vuole dare attuazione ad importanti e risolutive azioni strategiche su un territorio compromesso da considerevoli trasformazioni fin dagli anni Cin-

2

Di particolare utilità è stato, in questa ricostruzione delle complesse vicende legate alla pianificazione nel Quadrante Nord Est, il testo a cura di C. Marietta, Metronord: forme urbane emergenti nel territorio fra Borgaro Torinese, Settimo Torinese e Torino, coordinamento scientifico di Franco Corsico, Celid, Torino, 2008. Inoltre da segnalare il lavoro portato avanti dall’Urban Center Metropolitano di Torino, che tra le molte attività di cui si fa promotore, aiuta a tenere vivo il dibattito sulla città, configurandosi come punto di contatto tra gi interventi in corso nel territorio cittadino e la cittadinanz. Si veda www.urbancenter.to.it

3 AA.VV., Piano di Struttura Quadrante Nord Est, protocolllo di intesa per la riqualificazione del Quadrante Nord Est dell’area metropolitana, Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comune di Torino, Comune di Settimo Torinese, Comune di San Mauro Torinese, Comune di Borgaro Torinese, gennaio 2012 19


Mammiferi

Colture agrarie : Frumento Orzo

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Mais

Erbasco

Erigerio

Artemisio Gramigna Giavone Filolacca


quanta: densificazioni avvenute attraverso piastre industriali, grandi centri commerciali, complessi residenziali, soprattutto lungo le direttrici di collegamento. Il quadro di risanamento del dissesto ecologico creatosi, con danni ambientali, paesaggistici, idrogeologici, supporta le nuove trasformazioni indicate. L’intento è quello di lavorare a partire da ciò che esiste, attraverso un’attenta ricognizione ed una lettura critica tesa a ridefinire i contorni di un’area problematica, facilitandone l’accesso, salvaguardando la sua ricchezza paesaggistica. I cosiddetti programmi complessi avviati negli anni Novanta dall’amministrazione co-

4 AA.VV, Protocollo d’intesa per la riqualificazione fisica, infrastrutturale, ambientale, funzionale e sociale del quadrante nord est dell’area metropolitana, Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comune di Torino, Comune di Settimo Torinese, San Mauro Torinese, Borgaro Torinese, 20 dicembre 2010 tavola preparatoria per la discussione dei contenuti del Protocollo di Intesa QNE: sistema delle infrastrutture, della mobilità e del verde.

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munale di Torino, legati a progetti finanziamenti comunitari, nazionali o regionali, sono orientati alla realizzazione di alcuni determinati interventi, per i quali sono definiti soggetti attuatori, risorse economiche (private e pubbliche), tempi di attuazione. Alla famiglia dei programmi complessi sono riconducibili diverse tipologie di strumenti, tra cui i Programmi di Recupero Urbano (PRU), i Programmi di Riqualificazione Urbana (PRIU), i Contratti di Quartiere, i programmi comunitari Urban. Può essere inoltre identificato un sottoinsieme di iniziative caratterizzate da una dimensione territoriale sovralocale: tra questi, i Programmi di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUSST), i Patti Territoriali, i Piani Integrati d’Area (PIA), i Programmi

tavola di sintesi dei principali progetti, sia in corso di attuazione che di definizione, che mirano a ripensare

il territorio del Quadrante Nord Est. Gli interventi sono parallelamente di carattere paesaggistico ed insediativo: tra questi ultimi, nel territorio comunale Torinese, il Prin Michelin-Stura (497.000 m2), Prin Cebrosa (166.000 m2), Bor.Set.To (2.250.000 m2).

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Territoriali Integrati (PTI). Un terzo e ulteriore punto da considerare è l’impegno dell’amministrazione comunale di Torino, già dalla seconda metà degli anni Novanta, a partecipare a tavoli di concertazione con i comuni dell’area metropolitana attraverso strumenti di pianificazione regionali e provinciali. Il Piano Territoriale Regionale (PTR) approvato nel 1997 prevede delle «dorsali di equilibrio» come elementi di riorganizzazione dei nuovi ambienti insediativi, riprese anche dal Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) adottato alla Provincia di Torino nel 1999.

1.2. Progetti per lo spazio aperto Gli strumenti di piano evidenziati mostrano come, per lo meno fino alla fine degli anni Novanta, viene sì a cadere la strutturazione radiocentrica di matrice storica5, come pure si sposta l’attenzione verso l’insieme dei fenomeni insediativi, ma i materiali della trasformazione permangono essenzialmente quelli dell’“edificato”, il pieno, oppure

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quelli delle infrastrutture stradali cui è richiesto un migliore funzionamento, solo marginalmente si propone un disegno degli spazi aperti, nonostante il ripetuto richiamo al valore naturale e paesaggistico delle aree oggetto di studio e progetto. Un cambiamento di rotta nei primi anni del 2000 si ha con due progetti che configurano immagini altre rispetto a quelle proposte fino a quel momento: la Regione Piemonte propone Corona Verde, e la Città di Torino Torino Città d’Acque. L’obiettivo è quello di iniziare la costruzione di un progetto dell’intero territorio metropolitano, adottando una svolta che è filosofica. Una svolta che pone al centro gli spazi in negativo della rete ecologica: i corridoi fluviali, gli spazi periurbani aperti naturali e agricoli, i parchi esistenti e in progetto. L’insieme di questi strumenti mette in evidenza interventi che immaginano una trasformazione del territorio della Stura a partire dai suoi spazi aperti. Come è stato detto, entro una chiave ambientale e paesaggistica che certamente non copre la complessità del territorio che ha la pretesa di regolare, ma chiara nelle intenzioni. Accanto ai grandi piani del verde, trasformazioni più contenute guardano ai caratteri insediativi ed alle infrastrutture entro una nuova logica. Questi progetti riguardano principalmente: il Parco Urbano e Fluviale delle Basse di Stura/Parco Amiat, il Progetto Tangenziale Verde, il P.E.R.A. L’area delle Basse di Stura, collocata a nord della città di Torino a cavallo del tratto terminale della Stura di Lanzo, si caratterizza per essere stata in passato, ed esserlo in gran parte ancora oggi, un settore della città interessato dalla diffusa presenza di attività industriali, alcune delle quali altamente inquinanti, che vi si sono concentrate. In particolare, si segnala il comparto industriale posto a sud del fiume, a contatto con il margine residenziale e la Discarica di Rifiuti Solidi Urbani AMIAT situata a nord della Stura di Lanzo a ridosso della Tangenziale. Il PRGC della Città di Torino approvato nel 1995 ha individuato nel comparto industriale delle Basse di Stura e nell’area della Discarica due ambiti di trasformazione strategica finalizzati, attraverso la rimozione e la bonifica dei siti inquinati, alla realizzazione di parchi di rilevanza urbana ed extraurbana: il Parco Urbano e Fluviale delle Basse di Stura nell’area industriale e il Parco Amiat in luogo della discarica.

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A. De Rossi, G. Durbiano, Torino 1980/2011. La trasformazione e le sue immagini, Allemandi, 2007

Si veda il progetto Recupero Ambientale della Stura di Gianluca Cosmacini http://europaconcorsi.com/ authors/10018067-Gianluca-Cosmacini

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Tiro a segno 18.142 m²

Bertola 3.029 m²

Rockwood 20.868 m²

Altop. Deltasider 17.261 m²

Edilstura 18.692 m²

Sintexcal 6.588 m²

Disc. Solfatara 37.996 m²

Gabrea 3.981 m²

Bechis 25.357 m²

6.405 m²

Ex Rifometal 23.843 m²

Italgas 62.207 m²

58.888 m²

Lago Bechis 14.392 m²

Fenice 25.253 m²

22.857 m²

Discarica AMIAT 316.225 m²

2040 2030 2020

tempi di recupero AMIAT

2015

P.E.R.A. Piano Esecutivo di Recupero Ambientale, bonifiche in corso d’attuazione e tempi di recupero dell’ex discarica AMIAT.

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I comuni di Settimo, Borgaro e Torino si muovono congiuntamente lavorando al Progetto Tangenziale Verde del PRUSST, per realizzare un parco intercomunale (la Tangenziale Verde) integrato con opere di compensazione ambientale. Il progetto della Tangenziale Verde, sulla direttrice Torino-Milano, è per molti aspetti il cuore del PRUSST. Un progetto complesso che ha affrontato finora numerose difficoltà. In primo luogo quelle legate all’acquisizione di aree private. La realizzazione prevedeva infatti originariamente di acquisire circa 2.250 milioni di mq di proprietà privata. Per porre fine alle difficoltà, e poter acquisire la maggior parte dei terreni occorrenti alla realizzazione, le amministrazioni hanno permesso ai privati una valorizzazione economica, più o meno contenuta, delle aree interessate, non senza malumori di una certa parte della società civile. L’area compresa tra via Reiss Romoli e la Stura è un tessuto sfrangiato, costituito per buona parte da impianti industriali in attività o dismessi. Il terreno, utilizzato pesantemente dalle imprese insediate, presenta segni evidenti di contaminazione. Il comune

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di Torino ha stabilito la necessità di operazioni di bonifica che precedano la conversione dell’area in parco pubblico, così come previsto nel PRGC (Parco Urbano e Fluviale delle Basse di Stura / Parco Amiat). Tale bonifica è oggetto di un Piano Esecutivo di Recupero Ambientale (PERA), in corso d’attuazione. Gli interventi di riqualificazione tendono a realizzare condizioni di sicurezza in tutte le aree ed a migliorare le loro caratteristiche ambientali, prevedendo la messa in sicurezza ed il recupero ambientale con opere di risanamento e di sistemazione del suolo assimilabili a opere di preurbanizzazione.

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2. la stura come limite

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2. La Stura come LIMITE Po, Dora e Stura, in qualità di corsi d’acqua urbani, si rimettono, funzionalmente e rispetto alla loro portata, al contesto cittadino in cui sono inseriti contribuendo a rafforzarne il carattere peculiare. Succede quindi che il Po diviene il fiume del paesaggio che incontra e attraversa i parchi e le architetture auliche della città; la Dora, il fiume dello sviluppo industriale, legato alla memoria manifatturiera con i suoi quartieri popolari e insediamenti operai; la Stura, il retro, una zona d’ombra, solo parzialmente utilizzata dalle attività industriali, e soprattutto come deposito di materiali ove potere collocare attività poco gradite alla città. A causa del suo carattere torrentizio, infatti, non si è potuto mirare ad ottenere qui un tipo di produttività analoga a quella creata lungo la Dora, né si è lavorato sugli aspetti che potessero plasmare uno specifico carattere paesaggistico del fiume e delle aree ad esso collegate. La Stura, inoltre, chiude la città compatta a nord, contenendo la continuità dell’espansione urbana entro il proprio attraversamento. È in questo senso che possiamo parlare della Stura come di un limite7, di un punto di interruzione “di un certo tipo di città”, oltre il quale si è indirizzato, nel corso del Novecento, un’espansione satellitare, frammentaria e discontinua, fatta di nuclei ben connotati e funzionalmente omogenei al loro interno. La Stura distingue due sponde. A sud, un’espansione segnata da un carattere sì industriale ma denso di episodi abitativi che sostanzialmente ricreano forma e funzionamento della città novecentesca del dopoguerra. A nord, la fascia industriale tra Torino e Borgaro (blocchi di macro-imprese accanto ad un tessuto più minuto di piccole/ medie imprese), i grossi impianti della produzione e del commercio (Iveco, Michelin, Pirelli Grandi Turbine Torino, Auchan, Panorama, TNT Traco), le concentrazioni industriali nelle periferie di Borgaro e Mappano, il complesso industriale di Villaretto, ma anche Falchera, l’ex discarica Amiat, gli impianti estrattivi di Basse di Stura. Nel complesso, un arcipelago di micro-mondi monofunzionali, omogenei, ben delimitati e compatti. Come dei “sassi” lanciati al di là del fiume, non più il centro di alcuna espansione.

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Kant (Prolegomena) prefigurava il limite come struttura contraddittoria nel suo parte¬cipare alla cosa che delimita, ma anche nel risultare altro rispetto alla cosa stessa. Il limite va inteso dunque quale soglia dinamica, origine di processi evolutivi, frontiera parzialmente integrata.

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evoluzione storica dei satelli dagli anni ‘50 al 1990, data in cui si presentano con una configurazione pressocchĂŠ invariata fino al 2013 (fonte Laboratorio di Analisi e Rappresentazioni Territoriali e Urbane del Politecnico di Torino) ; sulla destra, la variazione del numero di abitanti relativa al periodo indicato (statistiche I.Stat); sulla sinistra le quantitĂ di Particolato Totale Sospeso rilevati a Torino nel periodo indicato, espresso in microgrammi/metrocubi (fonte ARPA Piemonte).

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I satelliti si agganciano alle grandi arterie di circolazione della città, mentre una maglia infrastrutturale più piccola garantisce la circolazione interna ai frammenti ritagliati dalle grandi infrastrutture stradali. Un primo livello di connessioni è la rete delle grandi arterie: la Tangenziale Nord, la Strada dell’Aeroporto, il Raccordo Torino-Caselle, Corso Vercelli, Corso Giulio Cesare (e l’A4 suo punto d’arrivo), la ferrovia. E’ la maglia che consente i grandi movimenti e che funge da porta d’uscita e d’ingresso alla città. Aggrappati alle grandi arterie, i satelliti trovano linee veloci di spostamento, funzionali all’accessibilità e alla produttività. La seconda maglia è una rete minuta, quella dei quartieri, dei parcheggi, delle fermate dei bus, delle biciclette magari sui marciapiedi. Una rete che si protrae, sempre più debole e meno strutturata, tra le cascine ed i campi coltivati, si snoda attraverso sentieri di erba, lungo i passaggi impervi sulle sponde del fiume, tra accampamenti rom ed orti abusivi. Entro questa rappresentazione, l’oltre può essere letto come un territorio più aperto e flessibile, dove si sono potuti sperimentare nuovi modi di abitare (Falchera), produrre (l’Iveco, l’area Produttiva Rostia) e riciclare (la discarica Amiat) entro uno spazio vasto ed attraversabile mediante differenti reti di collegamento. In realtà, i satelliti, ben collegati al grande sistema infrastrutturale, mostrano una scarsa permeabilità rispetto alla rete più minuta. Permangono chiusi, ben confinati ed omogenei, nonostante le trasformazioni recenti che ne stanno modificando sensibilmente caratteri e funzioni. I piccoli distretti della produzione si stanno erodendo, mentre i grandi attendono una radicale riconversione; la discarica Amiat è oggetto di un’importante opera di riqualificazione; alcune aree naturali, compromesse dai precedenti usi, sembrano destinate a diventare parchi; Falchera è oggetto di politiche e progetti tesi ad incrementare servizi e conferire al quartiere una più marcata identità. Di seguito, quattro ‘satelliti’ sono descritti attraverso categorie che orientano il cambiamento.

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2.1 Area Produttiva Rostia. La corrosione del distretto produttivo Lungo la Strada per l’aeroporto, le grandi infrastrutture della mobilità tagliano orti e campi coltivati. Varcato il fiume, l’impressione è quella di attraversare la campagna: ben riconoscibili le cascine storiche e le strutture tradizionali del paesaggio agrario, seppure modificate dalla presenza di nuove lottizzazioni. Il distretto produttivo Rostia di Borgaro è uno di questi nuclei urbanizzati, un’area costituita da un tessuto minuto fatto di piccole e medie imprese. Un’aggregazione di capannoni anonimi e ripetitivi con al centro una rotatoria e un bar. Nient’altro. Prevalentemente si tratta di attività di logistica, trasporto, assistenza, vendita di componenti e assemblaggi minuti, la cui produttività è stata fortemente colpita dalla flessione economica in corso, dando luogo ad evidenti fenomeni di contrazione.

2.2 Discarica Amiat. Il riciclo di una montagna che ricicla Amiat dispone di diversi impianti aziendali per il trattamento, smaltimento e recupero dei rifiuti11 . All’interno del sito torinese Basse di Stura, ove è localizzato l’impianto a interramento controllato non più in esercizio, sono presenti un impianto di depurazione, un impianto di estrazione del biogas e un impianto di triturazione dei rifiuti inerti, costituiti da scarti di scavi e demolizioni. A questi si aggiungono l’impianto di compostaggio per il trattamento dei rifiuti organici a Borgaro Torinese, l’impianto per il trattamento dei beni durevoli Amiat TBD con sede a Volpiano, dove vengono trattati i RAEE (frigoriferi, televisori, computer, lavatrici...) e l’impianto per la selezione degli imballaggi in plastica e dei rifiuti speciali assimilabili agli urbani situato a Collegno. L’impianto ad interramento controllato di Basse di Stura ha una capacità complessiva di quasi 20 milioni di metri cubi e si estende su una superficie di quasi un milione di metri quadri. Si tratta della prima discarica italiana dotata di un sistema di gestione ambientale con certificazione UNI EN ISO 14001:2004, considerata fra le più avanzate in Italia e in Europa per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati. I vari lotti della discarica sono stati realizzati con le più avanzate tecnologie del settore: una serie di pozzi verticali permette l’estrazione e l’utilizzo del biogas, mentre le strutture

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www.amiat.it


di impermeabilizzazione permettono il drenaggio e l’allontanamento delle acque meteoriche. È inoltre presente un sistema di estrazione del percolato prodotto all’interno della massa dei rifiuti che viene inviato attraverso la rete fognaria all’impianto di depurazione di SMAT. A salvaguardia della sicurezza ambientale sono stati realizzati dei sistemi di monitoraggio, sia delle acque di falda che del gas di discarica. Il 2009 è stato l’ultimo anno di attività della discarica. Dal 1° gennaio 2010 è stata avviata la gestione “post mortem” del sito, che porterà al totale recupero ambientale dell’area attraverso la ricostituzione finale della copertura vegetale. Il ripristino ambientale comprende anche la riduzione dell’impatto visivo, attraverso la creazione di barriere arboree lungo il perimetro della discarica, e la messa in sicurezza della vecchia discarica, già riconvertita in area verde (Parco della Marmorina), rimasta in servizio dal dopoguerra fino agli anni ‘80 e solo parzialmente impermeabilizzata. Durante la gestione post-operativa della discarica, della durata di circa 30 anni, verranno attuate attività di manutenzione delle opere e dei presidi affinché vengano rispettati i requisiti di sicurezza ambientale. Dalla chiusura della discarica Basse di Stura, i rifiuti indifferenziati raccolti da Amiat nella città di Torino vengono conferiti presso la discarica di Cassagna a Pianezza (TO), in attesa dell’entrata in servizio del termovalorizzatore cittadino, prevista p,er la primavera 2013. Nella discarica di Cassagna sono anche migrate le numerose specie faunistiche presenti in Basse di Stura, soprattutto avicole, che traevano la loro principale fonte di sostentamento dal fronte dello scarico di rifiuti. Dal 1994 Amiat produce energia elettrica attraverso il recupero del biogas della discarica Basse di Stura. Gli impianti si sono sviluppati per fasi negli anni, in virtù della disponibilità crescente di questo gas. Il biogas è composto principalmente da metano ed è il prodotto della decomposizione della frazione organica dei rifiuti indifferenziati della discarica. L’impianto di recupero energetico di biogas del sito Basse di Stura si alimenta grazie a una fitta rete di estrazione con pozzi verticali che attraversano tutta la discarica. I pozzi si collegano a una rete di tubazioni in polietilene e stazioni di pompaggio che fanno affluire il biogas verso gli impianti utilizzatori dopo un’opportuna fase di depurazione. L’energia elettrica prodotta dall’impianto equivale al fabbisogno

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medio di circa 35 mila utenze domestiche e garantisce l’autosufficienza energetica della discarica e della palazzina degli uffici Amiat. Il biogas continuerà ad essere prodotto anche dopo la chiusura della discarica, per un periodo di circa 20 anni.

2.3 Falchera. La patrimonializzazione del quartiere modello Distruzioni e flusso migratorio hanno determinato nel dopoguerra di Torino una forte domanda di alloggi di tipo popolare; basti pensare che dal ’45 al ’65 la città ha continuato a crescere ad un ritmo che ha raggiunto le 25000 persone l’anno12. A risolvere il problema in modo integrale sarebbe occorso un piano economico-finanziario coordinato ad un aggiornato piano urbanistico di sviluppo della città e dell’intero territorio. Ma il piano regolatore della città in quel tempo mancava del tutto, e per il territorio erano state allora suggerite soltanto alcune linee direttive nello studio del piano regionale. Per fronteggiare tale bisogno furono varati alcuni programmi di edilizia sovvenzionata, strettamente connessi ai due poli estremi verso i quali gravitava lo sviluppo industriale torinese dell’epoca. La nuova unità residenziale di Falchera, promossa dall’INA-Casa nel 1950, in confronto all’evidente caos dell’edilizia speculativa, si distingueva per una dichiarata individualità. La sua ubicazione rispetto a Torino comportava la creazione di un’unità satellite, autosufficiente come servizi, dato il netto distacco dalla città e l’isolamento nella campagna. Al momento della progettazione, si trattava di un territorio costituito da piccole case, cascine e qualche bottega. I “Falchero”, una ricca famiglia di possidenti, erano i proprietari di alcuni fabbricati facenti parte di un complesso agricolo settecentesco ancora oggi esistente, e si deve proprio a loro la denominazione attuale del quartiere. La zona era delimitata da una linea immaginaria e comprendeva diversi poderi. La densità abitativa del progetto venne fissata in modo consono rispetto al carattere semi-rurale della zona. I destinatari sarebbero stati i lavoratori che versavano i contributi all’INA-Casa ed è per questo che Astengo ritenne che il progetto ebbe esiti peggiori di quelli prefissati in quanto: «non a quella gente, a cui si pensava, vennero assegnati gli alloggi, ma in gran parte ad altri, indubbiamente più bisognosi, ma i cui gusti, le

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http://www.urbanistica.unipr.it/?option=com_content&task=view&id=485


tendenze, i cui modi di vivere e di abitare ci erano ignoti.» La storia della Falchera è relativamente recente. Nel dicembre del 1950 il consiglio di gestione designava un gruppo di progettisti per la redazione del piano urbanistico con capogruppo Giovanni Astengo, che si avvaleva della collaborazione di Sandro MolliBoffa, Aldo Rizzotti, Nello Renacco. La progettazione fu quindi impostata su un sistema a quattro nuclei principali, posizionati attorno al centro comunitario del complesso. Il gruppo predispose alcune norme generali sulla conformazione degli edifici e sul taglio degli alloggi, che furono poi sviluppate in modo da fornire una specie di capitolato generale che, oltre ad integrare le norme di INA-Casa, avrebbe dovuto specificare i punti fermi i comune caratteristici del quartiere, al di là dei quali era lasciata ai progettisti ampia libertà. L’attuazione dello stesso si concretizzò inizialmente con la costruzione dei blocchi residenziali, ai quali seguì nel 1959 il blocco centrale, dei relativi servizi e della scuola elementare. All’inizio degli anni settanta venne costruita Falchera 2, oggi comunemente denominata Falchera Nuova, in prosecuzione, seppur disgiunta, dal primo insediamento. Nel tempo alcuni interventi di riqualificazione non hanno cambiato l’assetto del quartiere. Il nucleo originario di Falchera resta sostanzialmente quello che era un tempo. Ancora il mercato, la chiesa, il patronato, qualche negozio sotto ai portici, una nuova pensilina, un piccolo anfiteatro incassato nel suolo del cuore del quartiere, le grandi superfici a prato delle corti abitate, ben levigate e silenziose. Gli spazi in comune paiono quelli di un tempo. Ad osservare i grandi vuoti degli spazi pubblici centrali, accanto al ritrarsi di alcune attività possiamo immaginare come un loro assorbimento esterno. Non per assenza di istituzioni (la biblioteca, le scuole). O per questioni di morfologia (sebbene le politiche di patrimonializzazione del quartiere modello degli anni cinquanta potrebbero aver giocato un ruolo importante nel corso degli anni). E neppure a causa di interventi sbagliati di riqualificazione (anche se gli ultimi, poco innovativi, non facciano che riproporre consueti materiali della città pubblica di mezzo secolo fa). Gli spazi di Falchera, seppur ben connotati, restano sufficientemente indeterminate da poter essere riscritti e reinventati. L’impianto è morbido, malleabile, ricco di ambienti

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eterogenei, disponibili ad essere attraversati da azioni e relazioni. Che permangono però inespresse. Tanto che Falchera sembra ancora la concrezione satellitare delle origini, poco attrattiva, incapace a divenire nodo, così come ad irrobustirsi sui margini, determinare addensamenti sulle sponde. Occorre l’auto o il bus, e la città vicina.

2.4 Iveco. La sostituzione del grande complesso industriale Collocato a ridosso del fiume, su Lungostura Lazio, lo stabilimento Iveco occupa un’estensione di quasi un chilometro e mezzo di metri quadrati. Iveco (Industrial Vehicles Corporation) nasce nel 1975 dalla fusione di marchi italiani, francesi e tedeschi. Con sedi nei tre Paesi di riferimento, quella di Torino è la sede centrale. Nei primi anni novanta il gruppo si scinde in divisioni specializzate per prodotto, per poter rispondere in maniera più efficace alla crescente segmentazione del mercato13. Oggi all’Iveco di Torino non si producono più mezzi pesanti nella loro interezza. Si fabbricano motori, ponti assiali e cambi, si studiano nuovi prototipi e sperimentano nuovi prodotti, anche in collaborazione con il Politecnico di Torino. Tutto intorno tanti elementi ‘accessori’: concessionarie, ancora fabbriche, piccole imprese, parcheggi. Nel complesso dei reparti produttivi e amministrativi, lo stabilimento ospita oggi circa 5000 lavoratori, dislocati negli uffici e nei capannoni: una piccola città, fatta anche di servizi, mense, lavanderie, edifici per l’assistenza sanitaria, addirittura vi è una (informale) toponomastica per orientare i lavoratori all’interno della struttura. L’Iveco è un gigante a ridosso del fiume. A separarlo, la strada a scorrimento veloce, il Lungostura Lazio, e una striscia esigua di terra, sponda del fiume. Su questa sponda un campo Rom abusivo, abitato da circa 750 persone di origine rumena. Molti di loro lasciano l’accampamento presto al mattino con carrelli vuoti, in cerca di materiali da recuperare, riciclare, barattare, vendere. Tra questo mondo e quello del lavoro all’Iveco di fronte, una convivenza silenziosa segna con forza il carattere della strada e degli spazi ad essa attigui. Inospitali, respingenti, difficili.

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http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=51712


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nelle pagine precedenti Area produttiva Rostia (pagg 38,39); Ex discarica Amiat (pagg. 42,43); Falchera (pagg. 46,47); Iveco (pagg. 50,51). 52


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3. la stura come SPAZIO DELLA CONDIVISIONE

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3. La Stura come SPAZIO DELLA CONDIVISIONE La Stura quale infrastruttura naturale che solca trasversalmente il quadrante nord-est di Torino, e la Stura quale limite che nel tempo ha consentito, oltre la città, di collocare materiali urbani altri, più sperimentali o scomodi, in forma di satelliti, forniscono due immagini che stridono con una terza interpretazione. Quella che si deduce attraverso uno sguardo più ravvicinato al fiume, attento a cogliere i modi in cui il suo ambito è abitato. Entro questa terza osservazione la Stura assume il carattere di una piega che racchiude al suo interno un mondo fitto di compresenze. Un crocevia di appartenenze14, uno spazio denso di pratiche che si intrecciano in corrispondenza di una graduale dissolvenza del tessuto urbano a sud e industriale a nord, e che si intensificano man mano che ci si avvicina all’acqua. Lungo gli argini del fiume ed attraverso le sue rive, a ridosso degli spazi abbandonati dall’industria e dall’agricoltura, sotto i cavalcavia, possiamo osservare una sequenza di spazi protetti e riparati dalla città, spesso nascosti, poco raggiungibili, segreti. In questi spazi ci si incontra, si trascorre tempo assieme, si condividono attività ripetute e occasionali, rituali e informali, normate e intermittenti. Si occupano abusivamente suoli naturali e artificiali, contaminati, esondabili, malleabili, morbidi. Si trova prossimità e condivisione, tra la vegetazione fitta e incolta, nelle discontinuità topografiche, sotto le infrastrutture. Si tratta di luoghi opachi, spesso insicuri, continuamente oggetto di negoziazioni difficili tra abitanti e istituzioni, associazioni e gruppi etnici, tra orticoltori abusivi e contadini, rom, cultori del wellness e clandestini. Ciò che conta, entro questa terza immagine, è la densità di pratiche che segnano la Stura quale territorio abitato: un pullulare di attività che è nella città ma che è indifferente a ritmi, regole ed usi della città15. Una piega. Ciò che questa immagine suggerisce, è un progetto “che non invoca permeabilità, trasparenza, funzionalità (…) ma la necessità di una graduazione, dell’opacità di alcuni luoghi, della separazione di altri. Qualcosa che non si traduce immediatamente, nel disegno di un parco”15 . Piuttosto che ne ridiscute i caratteri. Problematizzando la spazialità continua, liscia, pacificata

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L’osservatorio permanente Il futuro del mondo passa da qui (FMPQ) coinvolge professionisti e cittadini interessati alla Stura e alle attività che intorno ad essa si creano, facendosi anche promotori di libere iniziative. Dal’attività di questo collettivo spontaneo è nato nel 2010 un documentario dal titolo Il futuro del mondo passa da qui – City veins e un libro AA.VV., Il Futuro del mondo passa da qui, City Veins, Scritturapura, 2011.

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luoghi

relazioni esistenti tra le declinazioni spaziali (il luogo fisico), le declinazioni associative (le occasioni di scambio, di pratiche, di esperienze), gli abitanti coinvolti. La combinazione è alla base di spazi complessi puntuali, luoghi di prossimità e densità di relazioni, che si sono formati lungo la Stura. 59


del parco, del corridoio ecologico, della riserva di naturalità, come essa spesso intesa entro una logica riduttiva di matrice ambientalista. Qui il parco è abitato. Ed è abitato in modo provvisorio, fragile, adattivo, nonché conflittuale, ad espressione di una composizione di reticoli sociali che si strutturano, piuttosto che all’interno delle grandi attrezzature spaziali programmatiche della città, intorno ad una cultura del quotidiano che è spontanea e poco prevedibile. Eppure capace di costruire forme di socialità dense e radicali entro spazi che (nonostante tutto) mantengono uno statuto pubblico di alto valore ecologico. Nell’ottica di una ricostruzione schematica, tre sono le forme dell’abitare più frequentemente riscontrabili sulle due sponde: campi rom, accampamenti di matrice nomade ma di fatto stabili; orti, nella forma di piccoli e medi appezzamenti su suoli spesso impervi; pratiche dell’incontro diffuse, dove si fa del fiume un parco (poco formalizzato) e una spiaggia su cui insiste una moltitudine di attività attorno alle quali si dispongono interessi, desideri, progetti. Nel complesso, si tratta di pratiche informali segnate da valori radicali che fanno della Stura uno spazio collaborativo, nell’accezione di Sennett16. Uno spazio in cui si può stare soli sentendosi al contempo partecipi di senti-

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C. Bianchetti, Abitare la città contemporanea, Skira, 2003

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Il fiume è caratterizzato da un’accessibilità differenziata: gli argini permeabili, in rosso; gli argini duri, in blu.

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menti e progettualità comuni: la rivendicazione di un suolo, la marginalità, l’ecologia, e con essi la domanda di mobilità lenta, di agricoltura di prossimità, di permeabilità degli spazi ma anche di una loro protezione.

3.1 Campi Rom Nei quartieri lungo la Stura, il 27% degli abitanti è straniero. Annualmente, la popolazione italiana decresce del 3% mentre quella straniera cresce del 16,5%. Sul Lungo Stura vivono circa 600 rom, circa 110 sono bambini. Si tratta per lo più di migranti dell’Est, in maggioranza Romeni, che sulle sponde del fiume si sono sistemati in abitazioni di fortuna, dando vita ad accampamenti informali, baraccopoli. Sono presenti però anche cittadini italiani che dopo avere perso lavoro e abitazione hanno trovato

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”La socialità non rientra propriamente all’interno di un’ottica comunitaria, non è attivo avvicinamento all’altro, non un agire insieme, ma è una consapevolezza reciproca.” (R. Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, 2012)

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Nel quartiere, il 27% degli abitanti e` straniero, cresce del 16,5% ogni anno mentre il 3% dei residenti italiani emigra. Sul Lungo Stura vivono circa 600 rom, circa 110 bambini, circa 7000 pensionati e lavorano stabilmente circa 200 contadini.

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strada sterrata

tunnel serra

presa acqua

Collocazione degli orti e dei campi rom. 63


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v

sulle rive del fiume rifugio e occasionale sistemazione. Vivono in roulotte, baracche, accessibili dai sentieri che si districano tra le piante. Sulle sponde della Stura i campi non sono autorizzati. Nascono in lembi di terra lunghi e stretti, con non pochi problemi igienici e sanitari. Non c’è acqua corrente, mancano i servizi igienici essenziali, l’elettricità è scarsa e distribuita attraverso gruppi elettrogeni. I rifiuti, ovunque, accatastati al fianco delle baracche, sulla riva del fiume, sulla strada. Ci sono poi i campi regolari, come quello in via Germagnano. La differenza principale sta nelle case, che qui sono prefabbricate, hanno elettricità e acqua corrente. I rifiuti invece sono sempre lì, si accumulano, si spostano dalla città al campo, dalla discarica al campo, dal campo alla strada e poi di nuovo in discarica. Anche i problemi di sicurezza sono gli stessi. Nel settembre 201217, ad esempio, questo campo, a causa di faide tra clan interni alle comunità, era stato incendiato. Due milioni di euro in fumo, una emergenza sociale per la città di Torino, un’indagine avviata dalla Procura. Oggi i vecchi abitanti sono tornati a vivere in quelle stesse case, un po’ ripulite. Il campo rom è oggetto fuggevole, refrattario alla patrimonializzazione, alla stabilizzazione, all’istituzionalizzazione, ha un rapporto non definito con il tempo. Al suo interno sussistono forme di socialità diverse da quelle della città. Queste forme segnano con forza i modi di abitare lungo la Stura, connotando una condizione che è qui cangiante, apparentemente leggera e poco consolidata, adattiva provvisoria e fragile. Una condizione che è espressione di una composizione di reticoli sociali estranea agli interventi programmatici della città pubblica. Che si articola piuttosto attorno ad una cultura del quotidiano che è vernacolare e spontanea. 3.2 Orti Nei quartieri lungo la Stura vivono circa 7000 pensionati e lavorano stabilmente circa 200 contadini18. Questi ultimi, prevalentemente immigrati dal Sud Italia negli anni ‘50 e ’60, molti provenienti dalle campagne, hanno occupato i terreni lungo il fiume e vi hanno impiantato orti e abitazioni per l’estate o il fine settimana. Aggregazioni che si

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http://www.torinotoday.it/cronaca/distrutto-campo-nomadi-via-germagnano.html

18 Dati estratti da Ilaria Castiglioni, Lungo Stura, leggere con attenzione, contenuto in AA.VV., Il Futuro del mondo passa da qui, City Veins, Scritturapura, 2011. a lato

La presenza di grumi di coltivazioni urbane (sopra) e accampamenti rom (sotto)

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TIPOLOGIA 1: Campo autorizzato: - edificio principale 50mq circa - impianti a norma - spazio parcheggio Terreno: proprietà demaniale, concessione Il campo nomadi autorizzato di via Germagnano è progettato con le caratteristiche di un villaggio residenziale. Questo insediamento sostituisce l’area di sosta “Arrivore”, formatasi nel 1985, allo scopo di accogliere i nomadi non ancora stabiliti nelle aree già costruite. Ospita quasi esclusivamente “Rom Korahkané” provenienti prevalentemente dalla Bosnia e dalla Croazia.

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TIPOLOGIA 2: Campo non autorizzato (stabile): - edificio principale 50mq circa - impianti a norma - spazio parcheggio Terreno: proprietà demaniale, concessione Il campo nomadi non autorizzato in Corso Vercelli è costruito principalmente con materiali di scarto, recuperati in costruzioni di fortuna, rimaneggiate nel tempo, che sviluppano aggregazioni spontanee in tessuti urbani . Questo insediamento non è ancora autorizzato ma presenta caratteri di stabilità nelle aree costruite. Ospita quasi esclusivamente “Rom Korahkané” provenienti prevalentemente dalla Bosnia e dalla Croazia.


TIPOLOGIA 3: Campo non autorizzato (precario) - edificio principale 50mq circa - impianti a norma - spazio parcheggio Terreno: proprietà demaniale, concessione Il campo nomadi autorizzato di via Germagnano è progettato con le caratteristiche di un villaggio residenziale. Questo insediamento sostituisce l’area di sosta “Arrivore”, formatasi nel 1985, allo scopo di accogliere i nomadi non ancora stabiliti nelle aree già costruite. Ospita quasi esclusivamente “Rom Korahkané” provenienti prevalentemente dalla Bosnia e dalla Croazia. 67


ripetono un po’ ovunque negli interstizi tra le infrastrutture. Entro spazi spesso piccoli, residuali ed inutilizzati, questo sistema ortivo sfrutta sottopassi, prende possesso delle rive, delle sponde, dei terreni inquinati. Fino quasi divenire uno strumento di riqualificazione ambientale oltre che espressione di una intensità di relazioni spaziali. Gli orti approfittano della vicinanza al fiume per avere acqua per l’irrigazione. L’approvigionamento avviene tramite pozzi scavati sulle sponde o direttamente dall’alveo. Gli orti sono abusivi, così come abusivi sono i capanni in cui si ripongono attrezzi e sementi e i recinti alzati per proteggere il raccolto, fatti di reti di letti, pezzi di auto, lamiere, tubi dell’acqua. Gli orti abusivi, pur mancando di un progetto di sviluppo coordinato, sembrano talvolta essersi dotati di una forma urbana, fatta di strade, cancelli e arredi di varia natura. Qualche episodio aggregativo di dimensioni più ampie assume quasi la forma del villaggio. Gli orti spesso si intrecciano ai campi rom ed alle dimore precarie di migranti senza casa, condividono con questi la condizione di abusività, oltre che punti dello stesso lembo di terra, rimanendo però sostanzialmente indipendenti rispetto alle altre forme di occupazione. 3.3 Luoghi di incontro Sono molteplici gli spazi dell’incontro che si articolano lungo la Stura. Piazze, parchi rimessi a nuovo, ma anche incroci tra strade, ponti, sottopassi, sentieri. Fino a luoghi sempre più segreti e protetti. Edifici e capannoni abbandonati ma facilmente accessibili, spiagge poco raggiungibili, rive che emergono solo stagionalmente per non ricomparire l’anno successivo. I luoghi di maggiore interesse, più vivaci ed animati paiono proprio questi. Spazi non organizzati, supporti duttili, rimodellabili a seconda delle necessità e caratterizzati da forme di socialità dense per punti, disarticolate tra loro. Astute, pronte a colonizzare spazi in modo vario ed a seconda delle necessità. Attrezzarli minimamente, per fare un pranzo all’aperto, un bagno nel fiume nei giorni caldi, organizzare giochi che richiedono ampi prati ed assenza di arredi urbani ostacolanti. Le diverse forme di colonizzazione convergono su luoghi comuni senza apparentemente toccarsi. Gli usi definiscono questi luoghi come spazi pubblici20, in realtà differiscono sostanzialmente dagli spazi pubblici della città tradizionale perché pare qui più evidente la possibilità di stare in pubblico “ognuno a proprio modo”. Ognuno entro la protezione che in autonomia sceglie e si conquista.

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TIPOLOGIA 1: Orti a struttura gestionale semplice (capanno deposito attrezzi, pozzo, tunnel serra) Morfologia terreno: prevalentemente in piano o in leggera pendenza. Costituzione terreno: essendo posizionati in prossimità del fiume, il terreno è sabbioso (o con molto pietrisco e depositi torrentizi) e favorisce il passaggio rapido dei liquidi e dell’aria. E’ molto facile da lavorare, ma ,considerate le sue caratteristiche, tende ad asciugarsi molto rapidamente perdendo molta sostanza nutritiva contenuta. Pertanto è necessario aggiungere sostanza organica prima della coltivazione di ortaggi e piante in genere.

TIPOLOGIA 2: Orti a struttura gestionale complessa: (capanno deposito attrezzi / stoccaggio generi prima necessità, pergolato / zona d’ombra, pozzo, serbatoio acqua, serra in legno) Morfologia terreno: prevalentemente in piano o in leggera pendenza, con presenza di cambio cambi di livello sfruttabili per specifiche coltivazioni. Costituzione terreno: pesante, a scarsa pietrosità al livello di coltivazione e in parte composto da argilla, reagisce in maniera molto veloce all’umidità diventanto vischioso. Necessita di molta lavorazione continua. L’argilla rallenta il drenaggio e la circolazione dell’aria rendendo difficile la coltivazione. Principalmente ricco di sostanza nutritiva, ma da lavorare in anticipo. Per renderlo adatto ai vari tipi di coltivazione bisogna aggiungere molta sostanza organica aiutando così il processo di passaggio dell’aria e dell’acqua(miglior drenaggio).

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TIPOLOGIA 3: Orti a struttura gestionale semplice (capanno deposito attrezzi, irrigazione tramite canali, serbatoio acqua, tunnel serra) Morfologia terreno: prevalentemente in piano, al livello del fiume Costituzione terreno: pesante, è composto prevalentemente da argilla, reagisce in maniera molto veloce all’umidità diventanto vischioso. Necessita di molta lavorazione continua. L’argilla rallenta il drenaggio e la circolazione dell’aria rendendo difficile la coltivazione. Principalmente ricco di sostanza nutritiva, ma da lavorare in anticipo. Per renderlo adatto ai vari tipi di coltivazione bisogna aggiungere molta sostanza organica aiutando così il processo di passaggio dell’aria e dell’acqua(miglior drenaggio).

TIPOLOGIA 4: Orti a struttura gestionale complessa (capanno deposito attrezzi / stoccaggio generi prima necessità, pozzo, tunnel serra, percorsi di accesso comune) Morfologia terreno: prevalentemente in piano, a circa 10 metri di altezza dal livello del fiume Costituzione terreno: pesante, è composto prevalentemente da argilla, reagisce in maniera molto veloce all’umidità diventanto vischioso. Necessita di molta lavorazione continua. L’argilla rallenta il drenaggio e la circolazione dell’aria rendendo difficile la coltivazione. Principalmente ricco di sostanza nutritiva, ma da lavorare in anticipo. Per renderlo adatto ai vari tipi di coltivazione bisogna aggiungere molta sostanza organica aiutando così il processo di passaggio dell’aria e dell’acqua(miglior drenaggio).

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“Nella città occidentale contemporanea, succede che la definizione del progetto del pubblico si riscrive, non in funzione della sua materialità, temporalità, ma piuttosto rispetto all’osservazione dell’utilizzo dello spazio collettivo. L’interesse nasce dall’inversione dell’approccio all’osservazione: si guarda agli usi e a come essi definiscono uno spazio come pubblico, della collettività. L’attenzione è rivolta piuttosto al reticolo di azioni e relazioni che ricadono nello spazio stesso. Un’attenzione che non esige pretese di continuità da parte del nuovo pubblico, ma prende atto di una riscrittura in corso, in cui lo sguardo si lascia affascinare dalle diverse forme del vivere insieme, all’interno di diverse economie sociali, diversi confini spaziali. Ché sono pure diversi i protagonisti della riscrittura del pubblico, lontani dai soggetti verso cui il progetto moderno aveva orientato una parte ben più che considerevole dei suoi sforzi. Il disorientamento del progetto dello spazio pubblico contemporaneo nasce infatti anche dall’indefinibilità dei suoi ‘nuovi’ attori, non ascrivibili a profili omogenei, ma anzi orgogliosamente dissimili.” M.C. Bianchetti, Il Novecento è davvero finito. Considerazioni sull’urbanistica, Donzelli, 2011 P.L. Crosta, Pratiche. Il territorio “è l’uso che se ne fa”, Franco Angeli, 2010

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in alto La mappa localizza i luoghi di incontro. pagine seguenti I luoghi di incontro.


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Scenari per una diversa urbanitĂ



“Se prossimità, comunanza, fratture comunicative, conflitti sono prodotti sociali, non individuali, allora, far fronte a queste condizioni è compito di un progetto politico di lungo periodo. Ma quel che si può osservare anche ora, è come esse ridefiniscano un territorio che non invoca permeabilità, trasparenza, funzionalità nel senso banale del termine. Un progetto che si misurasse con queste condizioni, dovrebbe cogliere la necessità di una graduazione, dell’opacità di alcuni luoghi, della separazione di altri. Qualcosa che non si traduce immediatamente, nel disegno di un parco. Dovrebbe riflettere attentamente su cosa sia, in luoghi come questo, lo spazio del muoversi e cosa si porti dietro. Cosa sia la messa in sicurezza e a quali ambiti (fisici e sociali) si applichi. Come una trasformazione possa avvenire per concrezioni minute, forme puntuali, generando interruzioni e progressioni piuttosto che attraverso la dichiarazione di un carattere monumentale del territorio del fiume.” (Bianchetti, 2012) I quattro scenari descritti nelle pagine che seguono provano a restituire alla città un territorio che è altro dalla città. Presenta caratteri diversi, non addomesticabili. Questa diversità è assunta come ricchezza e risorsa per la città. Gli scenari lavorano entro piccoli spazi ma nel lungo tempo, con la pretesa di attivare attraverso interventi minuti trasformazioni importanti. Agiscono per punti, per spazi di mediazione tra ambienti urbani che differiscono e che spesso confliggono. Spazi di mediazione intesi come soglie, membrane capaci di consentire transiti tra luoghi articolati entro un razionale funzionamento della città e luoghi che rifuggono questa organizzazione. Restano opachi, nascosti, protetti. Dischiudono possibilità. E come tali, propongono alla città un modo diverso di essere abitata. Gli scenari sono descritti attraverso quattro transetti che sezionano il territorio in direzione nord-sud, ognuno di essi intercettando uno dei quattro satelliti precedentemente individuati (Rostia, Amiat, Falchera, Iveco). I transetti consentono campionatura e rilievo di alcune porzioni di territorio. Sono intesi come delle incisioni che descrivono morfologie, funzionamenti, accostamenti e sovrapposizioni, modalità di radicamento al suolo, spessore e consistenza dei materiali che su di esso insistono.

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Il territorio compreso tra la Stura e il bordo della Tangenziale Verde definisce la parte di città entro la quale sono misurati gli scenari evolutivi ed effettuate le esplorazioni progettuali. Come individuato dal PRUSST, la Tangenziale Verde pare quindi assunta come sorta di nuovo limite della città . Nell’ipotesi di questo lavoro, si tratta di un limite vago ed aperto, strumentale alla sola descrizione degli scenari proposti.


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1. dall’area produttiva Rostia alla Stura tra orti e nuove forme di produzione agricola

La sezione territoriale che dalla Stura prosegue fino al confine amministrativo a nord, dove inizia il comune di Borgaro, attraversa una fitta rete di orti e campi coltivati tra infrastrutture pesanti (la Strada dell’Aeroporto, la Tangenziale Nord). I campi sono spesso collegati a cascine (l’Antioca, la Barberina, la Spinetta), mantenendo, dove lo spazio si dilata, caratteri propri di una ruralità antica. La città sembra lontana, ma è a due passi. Dalla Stura in direzione di Borgaro si ha l’impressione di essere in campagna. Poi il distretto produttivo di Rostia, fatto di imprese medie o piccole, attività di logistica, trasporto, assistenza, vendita di componenti, assemblamenti minuti. Nel complesso, la piccola impresa colpita duramente dalla flessione economica in corso. Lo scenario proposto immagina di incrementare e diversificare la produzione agricola ed offrire attrezzature adeguate ad una migliore distribuzione dei prodotti. Si tratta di differenziare le coltivazioni e facilitare un migliore funzionamento dei suoli: orti più piccoli dati in gestione agli abitanti che ne fanno domanda, coltivazioni più ampie, legate a cascine esistenti, costruzione di nuove canalizzazioni (che possano sfruttare le bealere esistenti e i fenomeni di piena del fiume), realizzazione di fosse di compostaggio. Parallelamente, lo scenario immagina che alcuni pezzi del distretto produttivo di Rostia possano trasformarsi e prendere parte a questo diverso sistema produttivo. Ad esempio, attraverso la riconversione dei capannoni in stalle o serre, in spazi per lo smistamento dei prodotti, il packaging e, a partire da qui, la distribuzione alla città. La progressiva corrosione di questo tessuto e la trasformazione dei modi e dei materiali della sua produzione aprono il distretto a nuove destinazioni d’uso ed a vocazioni pedagogico-alimentari. Il distretto diviene così lo spazio di mediazione tra la città ed il nuovo sistema di produzione agricola periurbana.

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Planimetria dello stato attuale.


Campionature: sezione e confronto tra territorio costruito e spazio aperto, tessuto industriale e agricolo, terreno secco e umido.

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Interventi previsti e principali strumenti utilizzati. 86


Interventi previsti: la filiera corta, le stalle e serre. 87


Filiera corta. 88


Gli orti nel tratto di coltivazione a bassa densitĂ e in annessione al tratto di coltivazione legato alle cascine. 89


Il territorio coltivato: gli orti, i capanni, i canali, le fosse di compostaggio. 90


Il funzionamento della filiera, dai punti di coltivazione e raccolta, a quelli di smistamento e distribuzione. 91


L’erosione dell’area industriale: i capannoni dismessi recuperati e trasformati in serre o stalle. 92


La dismissione di un capannone e il suo recupero: sostituzione della copertura, costruzione di passerelle interne, integrazione di cellule fotovltaiche in facciata.

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2. Dall’ex discarica Amiat alla Stura tra boschi e radure, verso la montagna che si muove

L’area dell’AMIAT, sebbene collocata in prossimità della Stura, non presenta oggi problemi di inquinamento del fiume come invece avveniva quando attiva la precedente discarica, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del Novecento, posta proprio sulla sponda e priva di impermeabilizzazione. Su questi terreni a ridosso delle rive, si è costruito negli anni un piccolo villaggio di orti, poi in parte compromesso dai fenomeni alluvionali del 2000. Nel complesso, oggi, questo territorio è caratterizzato dalla presenza di cave e di laghi da esse derivati. In alcuni tratti boschivi trovano rifugio, grazie alla presenza dell’acqua, numerose specie di uccelli, tra cui l’airone cinerino e il nibbio bruno, che hanno portato a considerare l’area di interesse naturalistico, soggetta a bonifiche e alla creazione del biotopo Basse di Stura. Non è difficile avvistare qui animali selvatici che si muovo su un territorio apparentemente naturale. Ed è suggestiva la vista della città dalla cima della “montagna”. Una montagna viva perché i rifiuti che la compongono si assestano di anno in anno, arrivando addirittura ad abbassarla, dal 2006 ad oggi, di 12 metri. Lo scenario che qui si propone immagina di potere intervenire entro il processo di riciclo di uno spazio già dedicato al riciclo (o ri-uso)1. Propone una graduale bonifica dei territori contaminati, da attivare principalmente attraverso fitodepurazione e uso di zone umide, al fine di estrarre i metalli pesanti dal terreno, risanandolo lentamente. Ed incrementa la presenza di alberi per la costruzione di un bosco. Con sesti di impianto differenti: da un lato tipici impianti del parco urbano, dall’altro impianti più fitti, orientati a dar forma ad una selva. Un luogo più difficilmente penetrabile, buio e selvaggio che si estende su una superficie complessiva di circa 300.000mq. Le specie arboree selezionate producono umidità, assorbono CO2 e polveri, producono ossige-

1 «The issue of maintenance, over time, of spaces that are fundamental for our security, together with processes of the spontaneous appropriation of the space of risk create frameworks for interesting thinkings, albeit full of contradictions. Adapting the territory and its different parts, even minute ones, is a continuous process of beginning and ending life cycles, today made more obvious in their transformation [...] Recycling implies broad understanding of the processes of territorial transformation.» da E.Giannotti, P.Viganò, Our common risk. Scenarios for the diffuse city, et al., 2012.

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no, e ottimizzano la produzione di energia da biogas accelerando i processi di decomposizione naturale delle sostanze presenti nel terreno. L’irrigazione delle piante è pensata per larga parte attraverso un sistema di nuove canalizzazioni e nuove zone umide, costruite utilizzando i materiali del sito, che sono sabbia e terreno di compostaggio. Accanto al bosco, lo stabilimento Amiat prende la forma di un’ampia radura che si affaccia sul fiume con i suoi edifici riconvertiti (in parte) in polo tecnologico. Circa i due terzi dei locali inutilizzati, debitamente recuperati da un punto di vista energetico ed architettonico, potrebbero dare luogo ad un centro di ricerche sul riciclo dei prodotti scartati dalla città, nonché ad un osservatorio della montagna vicina che si muove, sorta di contro-monumento della città e dei rifiuti che nel tempo ha qui depositato2.

2

«Designers shouldn’t chasing the illusion of a wasteless world [...] The reality is that progression [of waste to come, cfr.] in both nature and civilization inevitably produces waste and therefore waste should be appreciated as natural. » da A. Berger, Systemic Design (c) Can Change the World, Sun Architecture, 2009

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Planimetria dello stato attuale. 101


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Campionature: sezione e confronto tra territorio costruito e spazio aperto, tessuto industriale e agricolo, terreno secco e umido.


Interventi previsti e principali strumenti utilizzati.

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Il polo tecnologico, il bosco. 104


Funzionamnto energetico del polo e integrazione, all’estrazione di biogas, dell’apporto di acqua e ossigeno per una bonifica dei terreni.

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A lato: il progetto del bosco nel biotopo e le nuove sponde. In alto: la principale avifauna presente, le specie protette, le alberature in progetto e i sesti d’impianto. 107


Scansione temporale degli interventi di bonifica e di trasformazione del territorio del bosco. 108


Formazione di un polo tecnologico nei fabbricati inutilizzati, graduale dismissione dei capannoni, spiagge, museo del riciclo.

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Precipitazioni annue, in millimetri, livelli innalzamento del fiume e inondazione delle spiagge. 110


Dismissione di un capannone adibito a parcheggio e riconversione in “museo� del riciclo. 111


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3. Da Falchera alla Stura lungo nuove canalizzazioni e zone umide

Falchera, dal momento della sua costruzione, ha vissuto il disagio del quartiere dormitorio, isolato fisicamente e socialmente rispetto a Torino. Oggi, dopo una serie di operazioni di riqualificazione, di incremento di servizi interni e di miglioramenti del trasporto pubblico che lo connettono alla città, la situazione è ben diversa rispetto a cinquant’anni fa. Ancora oggi però Falchera è altro da Torino. Le politiche ed i progetti che hanno veicolato il processo di patrimonializzazione del quartiere modello non hanno aiutato ad attenuare questo carattere di alterità ed unicità. Costruendo però nel tempo un’immagine ed una “reputazione” differente da quella delle origini. Oggi, i numerosi caratteri di qualità architettonica ed urbana di questa parte di città sono meglio coglibili dall’opinione pubblica. Abitare a Falchera vecchia è oggi, tra le altre cose, abitare in un quartiere ricco di spazi aperti, di prati, di case dignitose, oltre che testimonianza importante, e tutelata, del patrimonio architettonico e urbanistico del novecento. Permangono però alcuni “storici” problemi che nel tempo sono divenute emergenze. In primo luogo il problema delle infiltrazioni e delle fuoriuscite d’acqua3 aumentate dopo i lavori di interramento della linea tramviaria 4 e della realizzazione della stazione Stura. Gli allagamenti sono iniziati nel 2004, quando la Gtt dà il via ai lavori. Due anni dopo Ferrovie dello Stato apre il cantiere della Stazione Stura. Progressivamente, le acque della falda hanno cominciato a infiltrarsi in ogni spazio libero del terreno, fuoriuscendo da tutte le parti. Danni a box, cantine e ascensori arrivano puntuali ogni anno con l’aumentare delle piogge. Mentre le responsabilità rimbalzano da un ente all’altro. Lo scenario che qui si propone parte dall’osservazione di questo problema. E prevede la costruzione di un nuovo canale scolmatore, in grado di far confluire le acque della

3 http://www.lastampa.it/2010/07/27/cronaca/falchera-il-borgo-che-vive-sott-acqua9c9tVH0bPAD2YtYjuWnjcN/pagina.html

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falda nei due depositi naturali che sono il fiume e i laghi ad est del quartiere. Approfitta poi della costruzione dell’opera idraulica che segue il tracciato ferroviario fino al fiume, per immaginare attorno a Falchera un nuovo territorio fortemente segnato dalla presenza dell’acqua: una rete di raccolta delle acque all’interno del quartiere che fornisca la quantità necessaria alle coltivazioni limitrofe (da incrementare); una nuova rete di canali per il tessuto agricolo esistente (fatto di cascine, tra cui anche la storica Barberina, collocate a poca distanza dal fiume Stura su aree ricavate da disboscamenti avvenuti già in epoca medievale); la creazione di zone umide intorno ai laghi (aree in attesa di bonifica ed occupate da orti e qualche insediamento Rom). Nel complesso, un territorio dell’acqua, regolato, in gran parte, dal funzionamento del quartiere. Accanto alle nuove canalizzazioni, percorsi ciclo-pedonali si diramano da Falchera (la cui mobilità, lenta, è riorganizzata attraverso l’inserimento di una serie di shared spaces4) verso la campagna, fino al fiume.

4 Lo shared space è un approccio alla progettazione urbana che cerca di minimizzare le demarcazioni tra traffico veicolare e pedonale, anche rimuovendo cordoli, segnaletica della superficie stradale, segnali. E’ tipicamente usato in strade piuttosto strette, all’interno del nucleo urbano, ed é motivato ​​dal desiderio di ridurre la posizione dominante dei veicoli, migliorando la sicurezza e la vitalità di strade secondarie e incroci, incoraggiando una negoziazione di aree condivise tra i diversi utenti della strada. 118


Planimetria dello stato attuale. 119


Campionature: la sezione e confronto tra territorio costruito e spazio aperto, tessuto industriale e agricolo, terreno secco e umido. 120


Interventi previsti e principali strumenti utilizzati. 121


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Nuove canalizzazioni e mobilitĂ .


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In alto, da sinistra: in blu il canale colmatore esistente, il rosso il nuovo canale scolmator; schema di defluizione delle acque attraverso il nuovo canale; livello di precipitazioni medie annue, in millimetri, e temperature massima e minima media.


In alto, le nuove canalizzazioni; in basso, le zone umide.

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Zone umide: profonditĂ e vegetazione.


Canali a Falchera.

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Canale scolmatore: tratti a vista e interrati e tratto di arrivo.


Le precipitazioni annue, in millimetri, i livelli innalzamento delle zone umide e i diversi paesaggi. 129


La mobilitĂ lenta, lo spazio condiviso nelle strade di Falchera. 130


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4. Tra l’iveco e la stura prove di colonizzazione di territori difficili

Il Lungostura Lazio, nel tratto tra l’area occupata dagli stabilimenti dell’Iveco e la Stura, è un luogo inospitale: lo scorrimento veloce delle autovetture, l’assenza di un tessuto residenziale, i capannoni industriali delimitati da un recinto continuo sulla strada, la presenza degli accampamenti abusivi dei Rom sulla sponda del fiume, ne segnano il carattere respingente. La trasformazione dell’area pare molto legata alle esclusive dinamiche economiche che coinvolgono le aziende presenti, sebbene il radicamento dei campi Rom sia, in questo luogo, importante, difficilmente eludibile entro un’azione di riqualificazione che ne imponga il rapido trasferimento. Il processo di trasformazione in corso di alcune parti del distretto produttivo (teso a sostituire alcune delle proprietà con quartieri residenziali) dovrà confrontarsi con problemi di questo tipo. Lo scenario qui proposto prova ad immaginare una trasformazione lenta delle aree, da attivarsi attraverso un processo di “pre-colonizzazione” di alcuni spazi lungo l’infrastruttura stradale. Una sorta di spazio-filtro, una membrana, tra il grande stabilimento industriale e gli accampamenti Rom, che, per lo meno in una prima fase, potrebbero rimanere compresenti. Il tentativo è quello di “addomesticare” questo luogo difficile attraverso una sorta di grande piattaforma lineare che possa essere occupata da attività differenti lungo la strada, costruendo così un nuovo fronte degli stabilimenti industriali, a presidio (ma anche servizio) degli insediamenti abusivi sulla sponda del fiume. Un nuovo suolo, supporto degli ingressi agli spazi del lavoro ed ai poli scientifici e di ricerca dell’Iveco, ma anche di reti associative e di cooperazione che potremmo immaginare non dissociate dalle nuove forme abitative che poco distanti si pensa di impiantare. Una sorta di sede e osservatorio del cantiere che in tempi probabilmente rapidi proverà ad investire l’intera area.

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Planimetria dello stato attuale. 136


Campionature: la sezione e confronto tra territorio costruito e spazio aperto, tessuto industriale e agricolo, terreno secco e umido.

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La nuova piastra di supporto/membrana.


La piastra e le nuove colonizzazioni.

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Localizzazione della piastra e delle principali densificazioni.


Sezioni trasversali.

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Modi di colonizzazione della piastra.


Principali componenti della pistra.

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Scansione temporale degli interventi previsti dal Comune di Torino (PRIN Cebrosa/Michelin, le date sono ipotizzate). 144


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SCENARI PER UNA DIVERSA URBANITA’

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Bibliografia AA.VV., Piano di Struttura Quadrante Nord Est, Protocollo di intesa per la riqualificazione del Quadrante Nord Est dell’area metropolitana, Torino, 2012 AA.VV., Il Futuro del mondo passa da qui, City Veins, Scritturapura, 2011 A. Berger, Systemic Design (c) Can Change the World, Sun Architecture, 2009 J. Berger, Sul guardare, Mondadori, 2009 M.C. Bianchetti, Pescara, Laterza, 1997 M.C. Bianchetti, Abitare la città contemporanea, Skira, 2003 M.C. Bianchetti, Il Novecento è davvero finito. Considerazioni sull’urbanistica, Donzelli, 2011 S. Boeri, L’anticittà, Laterza, 2011 A. Branzi, Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto all’inizio del XXI secolo, Skira, 2006 P. Ciorra, S. Marini, Re-cycle. Strategie per la casa, la città e il pianeta. Catalogo della mostra (Roma, 30 novembre 2011-26 febbraio 2012), Mondadori Electa, 2011. J. Corner e G.A. Tiberghien, Intermediate Natures: The Landscapes of Michel Desvigne, Birkhäuser Verlag Gmbh, 2008 G. Clément, Manifesto del terzo paesaggio, a cura di F. De Pieri, Quodlibet, 2005 A. De Rossi, G. Durbiano, Torino 1980/2011. La trasformazione e le sue immagini, Allemandi, 2007 P. Di Biagi , La città pubblica. Edilizia sociale e riqualificazione urbana a Torino, Allemandi, 2008 A. Di Franco, A. Tognon, Il progetto della città interrotta, Maggioli Editore, 2011 L. Fabian, P. Viganò, Extreme City, Climate change and the transformation of the waterscape, Università Iuav di Venezia Editore, Venezia 2010 L. Fabian, E. Giannotti, P. Viganò, Recycling City, Giavedoni editore, Pordenone, 2012 G. Ferraresi, Produrre e scambiare valore territoriale. Dalla città diffusa allo scenario di forma urbis et agri, Alinea, 2009 V. Ferrario, A. Sampieri, P. Viganò, Landscapes of Urbanism, Officina edizioni, 2011 V. Gregotti, Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, 1966 V. Gregotti, Tre forme di architettura mancata, Einaudi, 2010 R. Koolhaas, Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan, Mondadori Electa, 2001 R. Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, 2006 P. Malizia, Interculturalismo. Studio sul vivere «individualmente-insieme con gli altri», Franco Angeli, 2005 Marietta C., Metronord: forme urbane emergenti nel territorio fra Borgaro Torinese, Settimo Torinese e Torino, coordinamento scientifico di Franco Corsico, Celid, Torino, 2008 M. Mostafavi and G. Doherty, Ecological Urbanism, Lars Muller Publishers, 2010 M. Nicoletti, L’ecosistema urbano, Dedalo, 1993 P.C. Palermo, I limiti del possibile. Governo del territorio e qualità dello sviluppo, Donzelli, 2009 A. Sampieri, L’abitare collettivo, Franco Angeli, 2011 A. Sampieri, Nel paesaggio. Il progetto per la città negli ultimi venti anni, Donzelli, 2008 B. Secchi, P. Viganò, La ville poreuse: Un projet pour le Grand Paris et la métropole de l’après-Kyoto, Ed. Metispresses, 2011 B. Secchi, Prima lezione di urbanistica, Laterza, 2007 B. Secchi, La città nel ventesimo secolo, Laterza 2008 B. Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, 2013 R. Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, 2012 N. Schuller, P. Wollenberg, K. Christiaanse, Urban Reports: Urban Strategies and Visions in Mid-Sized Cities in a Local and Global Context, Gta Verlag / Eth Zürich, 2011 P. Viganò, Territorio dell’urbanistica. Il progetto come produttore di conoscenza, Officiana edizioni, 2010 C. Waldheim, Landscape Urbanism Reader, Princeton Architectural Press, 2006 G. Astengo, “Falchera”, Metron 53-54, 1954 150


territoridellacondivisione.wordpress.com www.comune.torino.it/geoportale www.amiat.it www.connectingcultures.info www.emergenturbanism.com www.lastampa.it www.museotorino.it www.prusst2010plan.it www.urbanistica.unipr.it www.vgrassi.it www.wikipedia.org

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Un profondo primissimo ringraziamento va a Cristina Bianchetti, per avermi offerto la preziosa opportunità di appassionarmi agli studi urbani nella forma accurata e raffinata che contraddistingue la sua professione e persona. A Laura Cantarella per la puntuale tempestività e infaticabile tenacia nell’offrirmi meravigliose e privilegiate esperienze di apprendimento. A Gianluca Cosmacini per la costante disponibilità e contagioso entusiasmo verso i luoghi e le tematiche trattati in questa tesi. Al personale Amiat per il materiale tecnico e la possibilità fornitimi di visitare lo stabilimento, luogo indiscutibilmente affascinante. Ai contadini, ai Rom, agli abitanti della Circocrizione VI.

Grazie ad Angelo Sampieri, instancabile ispiratore ed educatore, a lui il compito ingrato di seguirmi durante questa tesi, a me l’arduo tentativo di seguirne l’esempio. Grazie al Po. Grazie al glicine. Grazie al buongiorno quotidiano. Grazie ai cortili. Grazie alle uova fresche. E per sempre grazie a Marilena e Antonio.

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