[IN]FORMALE.LISBONA
Politecnico di Torino
Candidata: Giulia Pagani
AA. 2016-2017
Relatrice: Cristina Bianchetti Correlatrice: Francesca Governa Politecnico di Torino
Tesi di Laurea Magistrale Architettura Costruzione e CittĂ
Tutor estero: JoĂŁo Seixas Universidade Nova de Lisboa
“When the opposites in a duality work together,
there is enrichment and knowledge. If the research of knowledge is ahead of action, there is evolution. If the impulse of action is ahead of reflection, it can be destruction (Mahabha-rata). Knowledge forms the act of building, and building widens the knowledge” “Quando gli opposti in una dualità lavorano insieme, vi sono arricchimento e conoscenza. Se la ricerca della conoscenza precede le azioni, vi è evoluzione. Se l’impulso all’azione precede la riflessione vi può essere distruzione (Mahabha-rata). La conoscenza informa l’atto di costruire, e la costruzione amplia la conoscenza” ........ “By helping communities to fabricate a set of
simple building components, we can build knowledge and bring housing back to the people”
“Aiutando la comunità a fabbricare una serie di semplici componenti per l’edilizia, siamo in grado di costruire conoscenza e rimettere l’edilizia stessa al servizio delle persone”
Anupama Kundoo, architetto
INDICE •
INTRODUZIONE..................................................................................................................................................pp. 11
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Ringraziamenti.....................................................................................................................................................pp. 15
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I. LISBONA..........................................................................................................................................................pp. 17 Uno sguardo critico sulla città europea di oggi.................................................................................................pp. 19 Atlante Area Metropolitana di Lisbona..............................................................................................................pp. 31 Appendice n°1.................................................................................................................................................pp. 46
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II. IL BAIRRO........................................................................................................................................................pp 51 Un Salto temporale..........................................................................................................................................pp. 53 Costruire clandestino.......................................................................................................................................pp. 75 Un intreccio di etnie.........................................................................................................................................pp. 83 Bairro da Torre, Camarate, Loures...................................................................................................................pp. 96 Bairro Terras da Costa, Costa de Caparica, Almada........................................................................................pp. 120 Due Bairros a confronto...................................................................................................................................pp. 144 Appendice n°2................................................................................................................................................pp. 154 Appendice n°3................................................................................................................................................pp. 162
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III. IL PROGETTO.................................................................................................................................................pp. 173 Percorso Informale..........................................................................................................................................pp. 174 Be (in) comfort.................................................................................................................................................pp. 182
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CONCLUSIONI...............................................................................................................................................pp. 204
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V. BIBLIOGRAFIA.................................................................................................................................................pp. 209
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INTRODUZIONE La città nel corso della storia è stata descritta in molti modi, si è sempre cercato di “domarla” e programmarla,ma di fatto la si potrebbe paragonare ad un grande organismo che si evolve, muta, si divide, si unisce portando sempre a qualcosa di inaspettato, di imprevedibile, ma troppi sono gli individui e i fattori coinvolti al suo interno per permetterci di controllarla pienamente. Forse potremmo solo limitarci a cercare di comprenderla e interpretarla dando ascolto alla sua “voce”, alle sue esigenze e necessità. Se si ritorna a considerare la pratica del camminare come primario strumento conoscitivo della città, ci si può imbattere in realtà nascoste, marginali che si nutrono di residui, realtà che erano state dimenticate o forse semplicemente ignorate: le baraccopoli. Questi piccoli focolai si stagliano sul panorama urbano europeo con una connotazione quasi virale, formando una costellazione di “piccole città” parallele che crescono e nascono su terreni inaspettati come mine esplose. Sono dunque parti delle città ma allo stesso tempo ne sono fuori, segregate, ignorate e nascoste. La contrapposizione è molto forte e l’appartenenza ad una città europea, per come si è abituati ad intenderla, concepirla e vederla, fa sì che si rifiuti in qualche modo l’appartenenza di queste piccole realtà alla grande città. Al posto però di guardare all’inaspettato, al rifiuto, al brutto, come ad un ostacolo all’utopia europea, potremmo fermarci ad osservare queste piccole città guardando ad esse come possibilità di cambiamento ed evoluzione. Il primo passo da fare è integrarle nel concetto stesso di città, perché volente o nolente fanno parte della nostra realtà. La città ha bisogno dunque di una nuova definizione, di un nuovo
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significato. Forse ha bisogno di essere ridisegnata con una nuova rete di collegamenti e di ripensare quegli spazi apparentemente vuoti. Creare dei punti di sutura, questo potrebbe essere l’intento della ricerca, cercando di dar inizio a un dialogo, una connessione tra le diverse città che creano la città, favorendo un nuovo approccio alla realtà cittadina, allo studio e al progetto. Le baraccopoli rappresentando la provvisorietà della città rivendicano il loro diritto ad apparire. Per quanto questo fenomeno si manifesti spontaneamente e senza controllo ha in realtà una sua organizzazione, sfruttando le materie prime più facilmente reperibili e le possibilità della gente che le popola. Camminando e attraversando la realtà degli insediamenti informali si notano con una certa sorpresa degli elementi paragonabili agli spazi urbani: luoghi di ritrovo, suddivisioni spesso connesse alle diverse nazionalità delle persone, piccole “infrastrutture” caratterizzate da passaggi improvvisati, camminamenti che connettono diversi piccoli centri. Questo ci fa capire come siano delle vere e proprie città che devono essere studiate con uno sguardo diverso secondo un nuovo punto di vista. Oggetto di studio di questo lavoro è Lisbona, capitale del Portogallo, famosa da sempre per le sue politiche sociali abitative e per i suoi programmi urbanistici. Si è organizzato il lavoro in tre parti. In una prima fase si è introdotto il fenomeno delle baraccopoli nell’ambito del dibattito sulla città contemporanea, realizzando in parallelo un piccolo atlante dell’Area Metropolitana di Lisbona con
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mappe scelte in relazione alla tematica della tesi e utili alla comprensione del fenomeno. In una seconda fase ci si è avvicinati progressivamente alla realtà delle baraccopoli, andando ad indagare la storia delle residenze sociali e in parallelo il processo di formazione dei vari Bairros e la loro costituzione a livello etnografico. Si è poi deciso di approfondire l’analisi, attraverso una restituzione grafica e un’esplorazione iconografica, di due Bairros, Bairro da Torre e Bairro Terras da Costa, che hanno subito nel tempo diversi interventi che hanno portato oggi a soluzioni e realtà differenti. Dopo aver cercato di indagare a fondo il fenomeno si è arrivati infine ad elaborare un’ ipotesi progettuale sperimentale, che al posto di intervenire direttamente sulle baracche si concentra in uno spazio di forma allungata che funge da membrana o elemento di separazione tra il Bairro e un quartiere di modeste abitazioni situato a Nord. Questo progetto ha un carattere dimostrativo di come si possa fare anche con materiali poveri, a raggiungere obiettivi che, per l’abitare informale del Bairro, non sono trascurabili. Si sono dunque privilegiati tre piani di intervento: l’approvvigionamento idrico, l’agricoltura di sussistenza e il gioco dei bambini; cercando di inquadrarli entro una strategia comune.
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RINGRAZIAMENTI Grazie alla Professoressa Cristina Bianchetti che mi ha accompagnato in questo percorso e non ha mai smesso di credere in me stimolandomi e consigliandomi con estrema pazienza. Grazie alla Professoressa Governa per il suo sostegno e entusiasmo, con cui fin da subito ha appoggiato le mie idee. Un grazie al Professor Joao Seixas, che mi è stato vicino durante tutta la mia permanenza a Lisbona e si è sempre dimostrato disponibile e attento. Alla mia famiglia per avermi supportato e sopportato durante questi cinque anni universitari. A Lilian, compagna e amica che mi ha sempre sostenuto e incoraggiato, grazie per esserci e per esserci stata. A Edoardo e Raffaella che con pazienza mi hanno sempre ascoltato e mi sono stati vicino. Alla mia “seconda famiglia” (The Brokenflat) di Lisbona con cui ho iniziato questo viaggio e che mi ha rallegrato tutte le giornate durante la mia permanenza all’estero. A tutti i compagni nonchè amici incontrati in questi anni universitari. A Marco, Clara, Monica e Elia che con pazienza mi hanno accompagnato e si sono addentrati con me nella realtà della baraccopoli.
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i. Lisbona
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La cittĂ s-composta, Fabio Alessandro Fusco, 2012
UNO SGUARDO CRITICO SULLA CITTA’ EUROPEA DI OGGI Il panorama europeo Secondo i dati statistici UN Habitat relativi al 2003-2012, circa un terzo della popolazione mondiale è costituita da occupanti abusivi e vive in alloggi definiti e classificati come illegali o informali. A dati aggiornati al 2016 una persona su 8 (il 30% della popolazione solo nei paesi in via di sviluppo) vive in realtà urbane definibili come slums. A confermare questa tendenza basti pensare che il tasso di crescita della popolazione mondiale già entro la fine del 2050 comporterà che le città dovranno ospitare un terzo della popolazione mondiale, ma molte persone non avranno la possibilità di accedere alle condizioni minime di abitabilità. L’impossibilità di accogliere tutti fa sì che la città da una parte funga da polo attrattivo ma allo stesso tempo emargini le popolazioni più povere nelle sue periferie. Ciò ha provocato la comparsa delle bi-
donvilles francesi, delle chabolas spagnole, delle favelas brasiliane, delle ranchos venezuelane, delle gecekondu turche e dei bairros
de lata portoghesi. Si può dunque affermare che il fenomeno delle slums, che spesso erroneamente viene ricondotto ai soli paesi in via di sviluppo, esista in realtà anche nel panorama europeo, rivelandosi come un problema che affligge soprattutto gran parte dell’Europa Meridionale. Ad esempio in Francia le prime bidonvilles sorsero negli anni ’30,
FRANCIA
quando lo Stato ricorse, in modo consistente, alla manodopera spagnola, portoghese e italiana senza però un’adeguata politica di
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edilizia residenziale di accoglienza; alla fine della Seconda guerra mondiale si estesero maggiormente con l’arrivo della manodopera algerina. Negli anni della ricostruzione postbellica, l’attenzione dei Governi cominciò a focalizzarsi sulle bidonvilles, ma solo sul profilo della sicurezza e delle politiche migratorie. Facendo riferimento a un censimento indetto dalla Fondation Abbè
Pierre le persone che abitano oggi nelle bidonvilles sono 19.676 (dati risalenti al 2015), distribuite in 577 baraccopoli in totale.
SPAGNA
In Spagna le chabolas furono invece il risultato di tre eventi: l’ esodo rurale verso la capitale madrilena all’inizio del secolo scorso e in seguito alla guerra civile del 1936, e infine le politiche di rinnovamento dei centri urbani. Negli anni ’50 il chabolismo (la chabola è una baracca) diventò un fenomeno massiccio, soprattutto nella periferia a sud di Madrid, verso cui lo Stato franchista e le autorità locali alternarono atteggiamenti di tolleranza e piani di sradicamento. Nel 1950 il 16% della popolazione della capitale spagnola (più di 250 000 persone) viveva in chabolas. I programmi nazionali di ricollocamento iniziarono con l’impulso di movimenti sociali e comitati di vicinato. Le politiche per eliminare il fenomeno comportò la crescita della più grande bidonville d’Europa (la Cañada Real Galiana, 11 000 persone circa), che accoglieva e accoglie ormai spagnoli payos (non gitani), gitanos, ma anche migranti e precari. Dati statistici riportano che il 15,4% dei poveri di Madrid vive in chabolas.
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ITALIA
In Italia la problematica delle baraccopoli apparve per la prima volta
alla fine della Seconda guerra mondiale, quando numerosi alloggi furono distrutti dai bombardamenti. Nel 1960 cominciò un periodo di forte sviluppo industriale, soprattutto delle metropoli del Nord, con l’arrivo conseguente di un rilevante numero di migranti provenienti soprattutto dall’Italia meridionale, che determinò la comparsa di nuove realtà critiche urbane: le baraccopoli. Il caso di Milano è emblematico: le coree (baraccopoli auto-costruite), ai margini rurali della città, hanno accolto circa 70.000 persone, in gran parte proveniente dal Mezzogiorno, ma anche dal resto della Lombardia, frutto dell’esodo rurale. Le coree erano luoghi fuori controllo, caratterizzate da una forte chiusura identitaria. Il dibattito sulle baraccopoli riapparve poi all’inizio degli anni ’90 quando lavoratori migranti marocchini, albanesi e rumeni si stabilirono in accampamenti di breve durata e di piccole dimensioni, per poi trasferirsi in nuove sistemazioni fornite dalle amministrazioni locali o in alloggi privati. La nuova ondata di migrazioni dei rom dalla Romania, a partire dal 1997, ha di fatto confermato la presenza di migranti nelle baraccopoli sorte nelle immediate vicinanze delle principali città italiane. A testimonianza del fenomeno, si ricorda l’ultimo film documentario realizzato dai due fratelli registi De Serio, girato a Torino, “I ricordi del fiume”, ambientato in una delle più grandi baraccopoli della città (il Platz) situata sul lungo Dora. “Attraverso il Platz, una delle baraccopoli più grandi d’Europa, cre-
sciuta lungo gli argini del fiume Stura a Torino - hanno dichiarato i due registi - raccontiamo la fragilità della vita.”(Ansa, 20 Aprile 2016) A oggi su base statistiche dell’Istat il 9,6% della popolazione italia-
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na abita in baraccopoli.
PORTOGALLO
Oggetto di approfondimento di questa tesi è la realtà degli insediamenti illegali, bairros de lata, nel panorama portoghese, dove il fenomeno è estremamente radicato e visibile. A partire dagli anni 90 in occasione di grandi progetti internazionali come l’ evento di Lisbona Capitale Europea del ’94 e l’Expo del ’98, si verificarono numerosi movimenti di popolazione verso la capitale; unitamente a forti flussi migratori, provenienti dalle ex colonie portoghesi, che portarono alla prima ondata di bairros de lata. Da questo breve quadro generale, riguardante i paesi dell’Europa Meridionale, si evince come il problema delle baraccopoli, esista da molto tempo e continui a non essere affrontato in modo adeguato. Numerose sono le politiche urbane in risposta alle nuove esigenze delle città, ma tali interventi spesso si sono verificati insufficienti per fornire una concreta soluzione al problema. Mancano banche dati e statistiche sul fenomeno e soluzioni durature. In Italia manca un censimento delle realtà illegali, in Francia è stato effettuato ma non più aggiornato, mentre in Spagna la realtà è diversa. Non si fa altro che ignorare il fenomeno o si cerca solamente di tamponare il problema per un breve periodo di tempo, senza curarsi di tutte le implicazioni a livello sociale e urbanistico ad esso connesse.
Dalla città moderna a quella contemporanea Per comprendere come si è giunti alla condizione attuale è necessario fare un passo indietro nel tempo, precisamente all’epoca moderna. La città moderna del XX secolo, rappresenta per certi aspetti la cul-
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la della nostra concezione urbana, della nostra idea di città e risulta perciò essere anche l’origine e il punto di partenza che ha portato al manifestarsi del fenomeno delle baraccopoli. Il XX secolo è stato un periodo di forti cambiamenti caratterizzato, a livello socioeconomico, da una forte accelerazione dello sviluppo industriale, che ha provocato il fenomeno della produzione di massa e un consumo massificato e crescente. Le attività economiche si sono intensificate all’interno del panorama cittadino, portando ad un accentuarsi dell’interdipendenza tra le diverse classi sociali. Le politiche sociali si basavano su un concetto di benessere generalizzato e universale, concependo la povertà non tanto come un problema ma più come una condizione transitoria. Per quanto riguarda la pianificazione territoriale, la città era caratterizzata da pianificazioni normative scarsamente flessibili basate su razionalità e “azzonamenti”. La città moderna presentava dunque un carattere chiaro e definito e una diversificazione tra centro e periferia. Forte attenzione funzionalistica si alternava ad una spiccata ricerca dell’utopia. Luogo democratico e attento alla sfera sociale, luogo controllato, misurato, dalla struttura stabile. La città moderna ci ha lasciato quindi un’eredità molto forte, che ha dovuto adattarsi alle esigenze di una realtà urbana che è mutata. Realtà urbana che non è riuscita a svilupparsi secondo le sue prospettive “utopiche”. (Appendice n°1) La città occidentale è sempre stata immaginata e concepita come spazio dell’integrazione sociale e culturale, come luogo sicuro, protetto e tollerante. Ma questa continua ricerca della “perfezione” utopica di strumenti di controllo urbanistici e non solo, si è trasformato in un’arma a doppio taglio. La ricerca dell’utopia e la volontà
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di spiegare, analizzare e controllare la città, hanno fatto sì che il fenomeno urbano si sia evoluto andando contro quei principi guida, che hanno caratterizzato il XX secolo. Oggi il processo della globalizzazione ci ha sorpreso, le ondate migratorie sono incredibilmente aumentate, e i principi democratici che guidavano il XX secolo, hanno cominciato a sgretolarsi e dimostrarsi non pronti a soddisfare le esigenze di una società multietnica e multiculturale. La città si è trasformata, riprendendo il pensiero di Bernardo Secchi nel suo testo “La città dei ricchi e dei poveri”, in una “macchina” di distinzione e separazione, di emarginazione ed esclusione di gruppi etnici e religiosi, di attività e professioni, di individui e di gruppi dotati di un’identità e statuti differenti, di ricchi e di poveri. Nella città contemporanea e in particolar modo in quella europea, la distinzione tra ricchi e poveri, a causa della sue forti e profonde radici legate a ideali utopici e principi democratici, si accentua e si manifesta in tutta la sua dimensione paradossale. I movimenti migratori sono dunque diventati i protagonisti in un certo senso di una nuova idea di città che, oltrepassando i confini, hanno portato con sè culture e usanze differenti, diversi utilizzi del suolo e diversi modi di approcciarsi alla realtà che hanno ridato vita a quei terreni e quei luoghi rimasti a lungo nell’ombra e che negli anni hanno perso sempre più d’importanza per la cultura occidentale.
“Il migrante, secondo questo punto di vista, diviene un trasmigrante, un soggetto mobile, attore di reti di comunicazione e relazioni che eccedono lo spazio nazionale creando nuove appartenenze” (Claudia Bernardi,2013; pp.104)
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Così nasce il fenomeno delle baraccopoli, che al posto di essere la conclusione di un processo, la rivoluzione industriale, ha nuovamente trovato terreno fertile nella città. Si può dire che la città abbia vissuto una crisi, che si è manifestata su tre livelli: una crisi della forma e della sua struttura fisica causata dalla disarticolazione degli elementi, delle scale, della velocità, degli attori e delle funzioni; una crisi delle politiche urbane, in particolare quelle che cercano di dare una definizione alla forma urbana per una strutturazione pianificata e ordinata del territorio; e infine, una crisi ideologica e concettuale che cambia il modo di pensare la città, in un periodo di povertà concettuale. La città ha subito un processo di inversione, dettato dal modernismo in cui si è assistito ad un “divorzio”, una rottura progressiva dello spazio urbano con una dispersione dell’edificato e una sostituzione dello spazio vuoto. Un aspetto frammentato si manifesta tra lo spazio aperto e il tessuto urbano, tra lo spazio urbano e la natura. Riportando le osservazioni dell’urbanista e socio-economista François Ascher (1997) nella sua opera “Metàpolis ou L’Avenir des
Villes”, la città può essere definita come Metàpolis: agglomerazioni urbane, estese, discontinue e multi polarizzate, riflesso di una nuova fase di processo di urbanizzazione La città contemporanea ha dunque una struttura instabile, meno definita e controllabile. Si è persa la contrapposizione tra centro e periferia, così netta nel moderno.
“Il mutamento nella fisicità e nelle densità relazionali ha generato organismi eterogeni, un amalgama di città esplose e saldate in più punti che, diramandosi nei territori, incrociano altri insiemi urbaniz-
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zati.” (Sabrina Sposito, 2014; p. 187) Vicino ai grandi grattacieli e agli altri “giganti urbani” si contrappongono scenari di baracche, tende ed edifici a bassa definizione. Elementi contrastanti convivono nella medesima realtà noncuranti gli uni degli altri.
“Quanto più la città si erge a baluardo dell’identità, tanto più ne diventa la “trappola”, inducendo alla ricerca affannosa e ossessiva dell’origine, spesso inesistente e irrilevante, che stende una coltre ideologica sulla comprensione dei reali fenomeni di transizione in atto.“ (Orazio Camperzano, 2014; p. 37) La città può essere concepita oggi come un insieme di elementi connessi tra loro, ma che allo stesso tempo, per quanto li si vogliano presentare come un corpo omogeneo, risultano essere estremamente frammentati; da qui deriva l’importanza del compito dell’architettura e dell’urbanistica di creare legami tra le differenti parti. La morfologia della città è dunque mutata: un insieme di forme con usi e pratiche diverse che si mescolano e si amalgamano senza però convogliare in un punto di condensazione. L’espansione urbana si è manifestata in tutte le direzioni, in modo inaspettato e andando contro tutte le aspettative teoriche ipotizzate. I frammenti, creano fratture nella continuità geografica influenzando la vita, l’organizzazione spaziale così come i legami economici e sociali che animano il panorama delle città. Il vuoto prende così piede tra i tessuti incerti della città, in luoghi sospesi, dai progetti mancati e dagli eterni cantieri, nei quali la crisi e l’attesa per un nuovo futuro si fanno sentire con una certa intensità. Sorgono nuovi interrogativi su come si debba e si possa ripensare la città ai giorni nostri. Di fronte alla complessità del reale e alla varietà delle sfide che
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l’architettura deve affrontare, anche la Biennale di Venezia 2016, curata dall’architetto cileno Alejandro Aravena, da sempre impegnato nell’architettura “povera”, con Reporting from the front, ha voluto prendere in considerazione coloro che sono stati capaci di dare visibilità alle nuove realtà urbane con progetti volti a migliorare la qualità dell’ambiente edificato. Sfida che va combattuta su molti fronti, dal garantire standard di vita pratici e concreti all’interpretare e realizzare desideri umani, dal rispettare il singolo individuo al prendersi cura del bene comune, dall’accogliere lo svolgimento delle attività quotidiane al favorire l’espressione delle frontiere della civilizzazione. Si vuole offrire un nuovo punto di vista, che risulta necessario, l’architettura assume qui la funzione di donatore di forma, di carattere ai luoghi. L’attenzione si sposta di nuovo sull’abitante che assume il ruolo di progettista.
Nuovi significati e nuove utopie Riprendendo un articolo e pensiero di Pippo Ciorra (2014) le utopie dolci e ammaliatrici del passato si scontrano oggi con la forte diversità e le eterotopie dei frammenti contemporanei, dando vita a un’utopia del reale. La ricerca dell’utopia, della perfezione è da sempre presente nella storia dell’uomo, nasce dall’insoddisfazione dei luoghi reali, dalla volontà di alienarsi dalla realtà e rifugiarsi in un mondo parallelo ignorando tutti quei luoghi che si desidera cancellare. Le eterotopie si creano nei numerosi “ritagli” degli spazi della quotidianità, creando sospensioni di senso, e accentuando la volontà di creare spazi illusoriamente perfetti. I luoghi reali sono il perfetto connubio tra eterotopie e utopie, sono luoghi della continuità, di attraversamento, di riflessione e di vita,
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spazi in continuo movimento. La realtà è ciò che ci fa riflettere, pensare e sperimentare, sperare in qualcosa di migliore, nelle utopie. Gli spazi si contrastano, si oppongono, si combattono, creando un forte senso di identificazione da un lato e un forte senso di alienazione dall’altro. La realtà rimane ciò da cui tutto nasce, tutto si crea e si modifica.
“Per cogliere il valore dei luoghi reali è necessario oltrepassare “l’ovvio”, andare oltre ciò che si presume di conoscere, non fermarsi all’apparenza, al già noto, ma scoprire il loro “dorso”, la capacità di rivelare significati”. (Marco D’Annutiis, 2014; p.43) “Il frammento urbano è utopia, un luogo che non c’è, ed, allo stesso tempo, vero e verosimile.“ (Pippo Ciorra , 2014; p.24,25) Oltrepassando “l’ovvio”, riprendendo le parole di D’Annutiis continuano a crescere in parallelo piccoli spazi “parassiti”, dimenticati, nascosti , ignorati. Spazi connotati da barriere estremamente forti, da fili spinati, da connessioni deboli e tremolanti. Spazi raggiungibili con percorsi fantasma o di fortuna, improvvisati. Spazi che rappresentano la realtà, la fragilità della città, la sua umanità. Luoghi che sfuggono dal controllo, luoghi ignorati, luoghi senza nome e senza “governo”. Luoghi soffocati dal frastuono della crescita urbana, dalle grandi infrastrutture. Aree che sono diventate marginali, non solo a causa della propria posizione, ma poiché la vitalità urbana qui si spegne, il desiderio di cambiamento si affievolisce; spazi che sono nulli, vuoti, inutili per molti, ma che rappresentano un rifugio per molti altri.
“Nelle città europee, la periferia, il degrado, la povertà, l’assenza
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di servizi sono un arcipelago e non una cintura.” (Stefano Boeri, 2013; pp.10 ) Ma gli spazi considerati come scarti o come vuoti possono assumere oggi un nuovo significato, un nuovo valore. Possono essere considerati come delle risorse per la città e per il suo progetto. Possono essere di fatto pensati come strumenti utili per riattivare i territori e ricucire le parti, ridefinendo lo spazio e portando a narrative innovative ed inedite. Non sono più eccezioni, ma parti della città. La forte integrità della città si va quindi via via sgretolandosi. Ma si può dire, riprendendo le parole di Stefania Camplone (2014,p.139) che: “La stabilità ambientale può essere garantita at-
traverso la diversità interna del sistema, ma tale concetto porta con sè la complessità”. Diventa imperativo affrontare la realtà. Si devono affrontare i nuovi problemi che la città contemporanea ci sta ponendo di fronte agli occhi. Studiamo da anni la città, ma forse non la conosciamo così a fondo. La città contemporanea è una macchina dagli infiniti ingranaggi che continua a crescere e a manifestare diverse sfaccettature. Il mio intento è stato quello di andare ad indagare e porre l’attenzione su questi “non luoghi” che sembrano affliggere l’idea “utopica” della città europea, città potenzialmente garante dei diritti umani, fondata su principi democratici e su grandi piani urbanistici. È necessario cambiare punto di vista, riaprendo il dibattito sulla città.
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Azulejos
Atlante dell’Area Metropolitana di Lisbona
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|32 Fonte: www.aml.it - sito ufficiale dell’Area Metropolitana di Lisbona
100
100
80
80
60
60
%
Confronto tra saldo naturale e saldo migratorio
%
Percentuale della popolazione che vive in Portogallo e nell’AML
AML Portogallo
40
Popolazione Migrati
40 20
20
0
0
AML nord
2001
1960
AML sud
Percentuale della popolazione classificate per età
15 %
12 %
55 %
0 - 1 4 15-24 25-64 anni >65 anni
18 %
Percentuale di abitanti e abitazioni a confronto sul panorama nazionale e nell’Area Metropolitana di Lisboa
AREA METROPOLITANA DI LISBOA
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25
20
20
15
15 1991 2011
10 5 0
%
%
PORTUGAL
1991 2011
10 5
Popolazione residente
Famiglie
Alloggi
Edifici
Fonte: www.aml.it - sito ufficiale dell’Area Metropolitana di Lisbona
0
Popolazione residente
Famiglie
Alloggi
Edifici
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LEGENDA
Alta densità
Media densità
Bassa densità
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PERCENTUALI AREE VERDI PUBBLICHE in alcune capitali europee
9,5% 13% 14% 15%
16% 20% 33%
35% 40%
Parigi Amsterdam Torino Berlino Dubino Lisbona Londra Madrid Stoccolma
37| Fonte: www.worldcitiescultureforum.com
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FLUSSO PENDOLARE
MODALITA’ DI TRASPORTO Altro Piedi o bicicletta Trasporto pubblico Trasporto privato
MAFRA VILA FRANCA DEXIRA
LOURES SINTRA ODIVELAS AMADORA LISBONA CASCAIS
ALCOETE
OEIRAS
MONTIJO
MOITA ALMADA BARREIRO
PALMELA
SEIXAL
LEGENDA
SETUBAL
25.001 - 59.026 persone 2501 - 25.000 persone
SESIMBRA
250 - 2500 persone
39| Fonte: www.aml.it - sito ufficiale dell’Area Metropolitana di Lisbona
REDDITO MEDIO NELL’ AML
LEGENDA 1286.21 - 1882.95 E 1056.74 - 1286.20 E 949.45 - 1056.73 E 889.74 - 949.44 E
0 |40
5000
10.0000
Fonte: www.aml.it - sito ufficiale dell’Area Metropolitana di Lisbona
20.0000
CLASSI SOCIO-ECONOMICHE URBANO CONSOLIDATO 60%
Nel 2011 quasi il 14% della popolazione risiedeva all’interno di queste aree. La principale caratteristica distintiva di questi territori è l’invecchiamento; sono spazi qualificati e densamentre abitati con una mobilità pendolare non eccessivamente espressiva.
17%
SUBURBANO QUALIFICATO
Nel 2011 quasi il 15% delle popolazione risedeva in queste eree. Corrispondono a territori molto giovani, qualificati e densamente abitati rispetto al contesto degli altri spazi metropolitanI.
40%
Nel 2011 risiedeva circa il 16 % della popolazione in queste aree. Questi territori sono caratterizati da una minor qualificazione residente e di edificazione. Sono spazi densamente abitati e la popolazione residente è animata da un movimento pendolare espressivo.
SPAZIO DI IMMIGRAZIONE
50%
40%
21%
12%
Sesimbra
Moita
Barreiro
Seixal
Mafra
Palmela
Cascais
Almada
Lisboa
Loures Sintra
Amadora
Odivelas
Setàbul
Montijo
V.F. Xira
0
Oeiras Alcochete
Moita
Seixal
Sintra
Odivelas
Mafra
Barreiro
Palmela
Cascais
Sesimbra
Loures
V.F. Xira
Amadora
Montijo
SUBURBANO NON QUALIFICATO
Almada
Oeiras
Lisboa Setàbul
0
Alcochete
18%
Nel 2011, questi spazi rapprentavano l’8 % della popolazione. Sono spazi che manifestano una dimensione di immigrazione molto spiccata.
SPAZI INTEGRATI Nel 2011 risiedeva circa il 21% della popolazione in questi spazi. Sono luoghi animati da un’accentuata DI MINOR mobilità pendolare, rivelando così territori funzionalmente DENSITA’
Barreiro
Moita
Oeiras
V.F. Xira
Seixal
Palmela
Lisboa
Alcochete
Setàbul
Sesimbra
Almada
Sintra
Odivelas
Amadora
Montijo
90%
Fonte: www.ine.pt - sito ufficiale dell’Istituto nazionale di statistica portoghese
Lisboa
Amadora
Barreiro
Oeiras
Almada Odivelas
Seixal
V.F. Xira
Moita
Loures
Cascais Sintra
Alcochete
Setàbul
Sesimbra Montijo
Palmela
Lisboa
Amadora
V.F. Xira
Setàbul
Sintra
Montijo
Loures
Oeiras
Odivelas
Alcochete
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Almada
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Seixal
Palmela
Moita
Sesimbra
Barreiro
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0
24%
0
Loures
SPAZIO Nel 2011, questi spazi erano abitati dal 26 % della AUTOCENTRATI DI popolazione. Spazi caratterizzati da una mior urbanità e MINOR dallo spiccato autocentrismo DENSITA’
integrati. Parallelamente sono meno urbanizzato con un alto tasso di qualificazione.
50%
Mafra
Cascais
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TASSO DI DISOCCUPAZIONE NELL’ AML
LEGENDA 0 - 9.37 % 9.38 - 11.76 % 11.77 - 13.73 % 13.74 - 15.42 %
0
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15.43 - 16.81 %
5000
10.0000
Fonte: www.aml.it - sito ufficiale dell’Area Metropolitana di Lisbona
20.0000
PERCENTUALI DEL SALDO IMMIGRATORIO NELL’ AML
LEGENDA -11.5 - 7.6 % -7.5 - 0.0 % 0.1 - 15 % 15.1 - 35 %
0
5000
10.0000
Fonte: www.aml.it - sito ufficiale dell’Area Metropolitana di Lisbona
20.0000
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PERCENTUALE DI RESIDENZE SOCIALI NELL’ AML
LEGENDA 28 - 53 n° 14 - 27 n° 8 - 13 n° 1 - 7 n°
0
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5000
10.0000
20.0000
Fonte: Aires Segio; Relatòrio do Observatòrio de luta contra a pobreza na cidade de Lisboa; Lisbona; 2012
45| Fonte: Avaliação sòcio-urbanìstica e soluções integrados de planeamento estratègico - Gestual, FAULT, UNL
APPENDICE N°1: Letteratura ESTRATTO DEL LIBRO: Il Novecento è davvero finito di Cristina Bianchetti “Sono in molti a ritenere che si debba tornare a ragionare della
città. A decostruirne legittimazioni e giustificazioni. A osservare le separazioni tra dicibile e visibile. E che questo sia oggi particolarmente urgente. Il farsi della città è attraversato da una moltitudine di dispute, di disaccordi e di tentativi per ricostruire localmente intese sempre più fragili, pronte a disfarsi. Le trasformazioni innescano interessi, delusioni, contrasti. A volte conflitti. Ciò nondimeno la città viene descritta troppo spesso come fosse entro una sospensione, un’apnea. Il discorso sulla città ha espunto i contrasti, rifiuta la dimensione antagonistica come dimensione costitutiva. Le trasformazioni che stanno cambiando fortemente il carattere delle città europee sono intese come qualcosa di progressivo, di buono per tutti. La contrapposizione è vista come fenomeno arcaico che riguarda minoranze particolarmente disagiate o connotate. C’è una concezione dell’abitare cooperante, omogenea (la città infinita e la città generica, due formule di successo della città contemporanea, portano con se una tale idea). Pochi i tentativi di costruire un discorso sull’abitare che ne riconosca il carattere non solo plurale, ma ambivalente, per cui stare in alcuni luoghi è stare al centro e stare ai margini; essere premiati e essere penalizzati; godere di reciprocità e di ostilità. Qualcosa che non è buono per tutti. Detto in altri termini, il discorso urbanistico è quieto per il modo in cui costruisce il proprio sistema di legittimazioni e giustificazioni, una propria ideologia in grado di coinvolgere e legare a sé i soggetti che, a
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diversi livelli, vi sono implicati. Per una sorta di ansia a voler andare
subito agli effetti, all’efficacia, alla capacità visionaria, all’adattabilità del progetto. Espressioni chiare di un insieme di convinzioni e valori diversi da quelli del passato (che, entro uno sfondo riformista erano essenzialmente ispirati da idee di giustizia redistributiva, di inclusione sociale, di superamento delle inuguaglianze intese come condizioni atte a garantire il miglior processo di riproduzione sociale). Quello che oggi osserviamo nella quiete del discorso è una confusione dei valori vecchi e nuovi, un loro riarticolarsi, il che tende ad un’ ancora più urgente riflessione su discorsi, legittimazioni, giustificazioni. L’ipotesi che vorrei sostenere è che il discorso sulla città oggi sia nella maggior parte dei casi povero e debba essere riportato all’altezza dei problemi che la città pone. Ma per questo vada riformulato. Non basta riscoprire l’atteggiamento radicale degli anni sessanta, come fanno molti. O riscoprire l’autonomia dell’architettura come fanno alcuni. O ancora celebrare una dimensione politica entusiasmandosi per un certo marxismo che sta chiassosamente tornando entro uno sfondo acquietato. È necessario riposizionare il discorso urbanistico nel mondo, come avrebbe detto Wittgenstein. Coglierne gli elementi di sfrido, le contraddizioni, i paradossi nei discorsi, nelle ricerche, nei progetti volti alla città contemporanea. Cercare di rintracciare quegli elementi nel mondo che non coincidono con le interpretazioni comuni. Non è gusto per la divergenza, l’ambiguità, l’errore. Non è questo il punto. Il punto è come possa darsi oggi un discorso critico sulla città contemporanea che mantenga una attenzione tra esigenze di una buona descrizione e orientamento normativo di una pratica sociale quale l’urbanistica. Il che significa che non interessa capire meglio per meglio dividere, secondo l’assunto riformista. Da tempo Pier Luigi Crosta ha mostrato come una posizione di questo tipo semplifichi la conoscenza
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e riduca la società alla sua parodia. Interessa invece capire se, di fronte a ciò che sta cambiando nel territorio e nella società, siamo attrezzati a mettere in capo idee progettuali, ridefinizioni di problemi, capacità tecniche, immagini interpretative adeguate. Entro un’idea dello spazio che, per dirla con Lefebvre, rimane “uno spettacolo letteralmente popolato di ideologia”. (Cristina Bianchetti 2011, p. 9-11) Si è voluto riportare quest’estrettato letterario in quanto è stato un importante punto di partenza per la stesura del capitolo e perchè ha fornito un importante spunto di riflessione.
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ii. Il Bairro
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L’Area Metropolitana di Lisbona nei secoli XII e XIII; www.aml.pt
UN SALTO TEMPORALE Il XIX secolo “L’intervento dello Stato in insediamenti informali e altri ambienti scarsamente costruiti è da oltre un secolo un’arena in cui conoscenze scientifiche e tecnologiche hanno interagito con le politiche urbane e abitative, al fine di raggiungere scopi sociali dei diversi regimi politici in materia di stratificazione sociale, segregazione e accesso ai diritti. La nudità di ambienti mal costruiti ci permette di vedere, più chiaro che in altri ambienti urbani, le mutazioni nella natura del funzionamento sociale.” (Ascençao Eduardo, 2013; pp.155) Lo sviluppo industriale del Portogallo non presenta le caratteristiche convenzionali della rivoluzione industriale, infatti l’economia portoghese dell’ancient regime rimase strettamente dipendente dagli scambi commerciali con l’impero coloniale. La seconda metà dell’Ottocento rappresentò un periodo cruciale per lo sviluppo del paese. In seguito al 1851 il governo della Regeneração favorì la nascita delle condizioni essenziali per l’espansione della produzione mediante la costruzione di strade, ferrovie e infrastrutture indispensabili per la crescita del mercato interno. In tale periodo si assistette a importanti fenomeni di accelerazione della crescita delle città e dei processi di concentrazione urbana. Tra il 1864 e il 1900 la popolazione totale del paese crebbe del 29%, mentre la popolazione urbana aumentò del 75%. Lo sviluppo industriale del fine 800, coincise con le trasformazioni tecnologiche e i cambiamenti strutturali del settore industriale e fu contrassegnato da importanti mutazioni sociopolitiche per la strut-
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tura e la conformazione dell’attuale società portoghese. Nei centri urbani soggetti all’ aumento della popolazione, la produzione di nuovi edifici residenziali destinati al mercato dell’affitto fu riservata esclusivamente alla classe media; i prezzi si collocavano fuori dalla portata delle nuove classi lavoratrici, che disponevano di un reddito proveniente esclusivamente dal proprio lavoro e ancora meno per le popolazioni rurali di recente migrazione. A fronte dell’inesistenza di soluzioni abitative adeguate, nei centri urbani le classi inferiori trovarono rifugio in edifici degradati o abbandonati e su terreni non costruiti; oppure nei conventi degli estinti ordini religiosi, acquistati all’asta dagli speculatori, che ne affittavano le stanze. Si affermò di conseguenza la modalità del subaffitto, che comportò un forte aumento della densità abitativa anche in edifici con dimensioni ridotte e in pessimo stato di manutenzione; si propagò il moltiplicarsi di nuove edificazioni precarie, realizzate con materiali poveri su terreni poco appetibili o negli spazi interstiziali tra gli edifici esistenti, principalmente in prossimità delle nuove zone industriali, e con condizioni igienico sanitarie inadeguate. I proprietari di lotti edificabili di scarso valore cominciarono a sfruttare la possibilità di trasformarli in una fonte di reddito, realizzando su di essi abitazioni destinate alle classi socioeconomiche più deboli. Fu in questo contesto che costruttori, industriali e grandi commerDiario de Noticias, 6 febbraio 1939 M.Pimenta, J.A.Ferreira, As “illas” do Porto. Estudo socio-económico, CMP – Pelouro da Habitação e Acção Social, Porto, 2001
cianti diedero inizio alla produzione di abitazioni concepite per le sole nuove classi lavoratrici urbane; fino alla fine del XIX secolo la costruzione di residenze destinate alle fasce di reddito più basse rimase pertanto sotto il dominio di promotori privati, caratterizzata dalla ricerca del massimo rendimento e da un controllo praticamente nullo da parte dell’amministrazione comunale. Il problema di trovare soluzioni per le “gravi situazioni” di alloggia-
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mento delle classi operaie fu oggetto di un dibattito che cominciò a farsi sentire verso fine 800 inizio 900. Dall’emergenza dell’abitare verificatasi a cavallo del XX secolo negli Stati Uniti e in Europa fino ai successivi sviluppi di sperimentazioni abitative, la pianificazione modernista, l’architettura, l’ingegneria e l’amministrazione, hanno operato insieme per regolare gli spazi urbani dei poveri. Questo periodo storico fu incentrato sulla questione residenziale urbana e sulla ricerca di elaborazione di strategie per la soluzione dei problemi abitativi della popolazione inurbata. Tale periodo corrispose alla transizione da un mercato non regolamentato, essenzialmente privato, verso la progressiva introduzione dell’iniziativa statale, introdotta, in un primo momento, sotto il profilo legislativo e tradotta successivamente nello sviluppo dei programmi residenziali sociali di grande scala.
“Questo stato di cose è stato così prolungato che ha aperto la strada a suggestioni architettoniche e sociali che concepiscono le slum come la grammatica urbana del futuro” (Koolhaas, 2001; Neuwirth, 2004) Tutti questi sviluppi appartengono al processo d’ integrazione dei poveri, il “non pianificato” costituisce il “layer” che bisogna considerare per comprendere le modalità d’intervento da parte degli stati all’interno degli insediamenti informali.
La tradizione igienista L’inizio del XX secolo vide l’emergere dei primi programmi di edilizia residenziale pubblica, introdotta in risposta all’emergenza abitativa
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nel 1910-1920 e alle richieste da parte degli “igienisti” di miglioramento delle condizioni di vita delle classi con basso reddito; non solo per i rischi per la salute delle famiglie, ma anche in ragione del fatto che il pericolo si allargava a tutta la popolazione urbana, minacciata dalla propagazione delle infezioni e malattie che le condizioni sanitarie di tali abitazioni provocavano. Una città diffusa spontanea si estendeva oltre i confini urbani trasformando il deficit abitativo in deficit di infrastruttura. I lavoratori, infatti, esclusi dal circuito, furono costretti ad accettare soluzioni estremamente precarie: subaffitto, bidonvilles e insediamenti abusivi di tipo speculativo o in auto-costruzione, furono generalizzati, divenendo soluzioni tollerate in quanto fattori di stabilizzazione. Tale fragile equilibrio esplose in seguito al colpo di stato militare del 25 Aprile. Nelle aree urbane presero il via svariate azioni di appropriazione di alloggi e si affermò un ampio e impaziente movimento di rivendicazione di nuove residenze per le classi di minor reddito, così come di attrezzature pubbliche e infrastrutture. Il punto cruciale fu quello di indurre lo Stato ad intervenire, ad esempio col programma dei Bairros Sociais , programma del 1918-1919, che prevedeva la partecipazione finanziaria diretta di quest’ultimo, ma che alla fine non fu attuato causa carenze finanziarie. Questo periodo portò alla nascita di una forte relazione tra conoscenza scientifica e un abitare economico portando alla nascita di programmi normativi per l’abitare, nei quali i “principi abitativi” che venivano definiti come tecnico-scientifici, successivamente si materializzarono nell’idea ormai universale di “Standard abitativi”.
ESTADO NOVO DE SALAZAR
Sotto il regime fascista Estado Novo di Salazar, la fornitura di alloggi pubblici, risultò essere funzionale per lo più per le finalità ideologiche associate alla selettività sociale e alla gerarchizzazione: per esempio, nell’ambito del più importante programma di fornitu-
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ra residenziale pubblica, le Casas Económicas, venivano realizzate abitazioni solitamente destinate agli impiegati appartenenti solo alla classe medio – bassa. Il “povero cittadino” in senso proprio, che dipendeva da forme umili, principalmente il mondo delle costruzioni o l’ agricoltura, invece, poteva accedere solo a programmi come quello delle Casas para Realojamento. Sul piano materiale delle realizzazioni, nella prima fase del “periodo salazarista” lo stato controllava l’intero processo di costruzione delle Casas Economicas, dall’acquisto dei terreni, al finanziamento, alla costruzione, alla assegnazione degli alloggi e alla successiva gestione dei complessi. Sotto l’aspetto economico il programma era finanziato dall’Instituto Nacional do Trabalho e Previdência (INTP), dipendente dal Ministério das Corporações (MC); la struttura incaricata del coordinamento a livello nazionale del processo era la Secção de Casas Económicas. Le Casas para Realojamento venivano spesso costruite con materiali poveri; il Decreto prevedeva che tali alloggi costituissero una soluzione “provvisoria” per le famiglie sfollate dalle bidonvilles, per poi essere sostituite “in tempi brevi da altri alloggi di carattere permanente”. Le dimensioni, la qualità e il costo di tali case, che venivano affittate e arredate con i mobili indispensabili, includendo nelle rate anche le spese di acqua ed elettricità, erano nettamente inferiori a livello di qualità rispetto a quelli delle Casas Económicas, ma rappresentavano una possibilità per le fasce a reddito più basse. Con alcune eccezioni, la maggior parte dei quartieri si collocavano in zone urbane periferiche, probabilmente a causa della bassa den-
Illustrazioni tratte dalla serie di manifesti del 1938intitolati “A Lição de Salazar” e destinati alle scuole elementari per la celebrazione del deccennale del regime.
sità delle costruzioni, che esigevano grandi estensioni di terreni, e per gli elevati costi dei lotti nelle zone centrali delle città; occorre rilevare che esisteva di fondo contemporaneamente una componente di segregazione sociale e residenziale che il programma ten-
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deva a cristallizzare. Anche se teoricamente destinate alla soluzione dei problemi abitativi dei lavoratori, il numero di realizzazioni fu molto ridotto non portando quindi ad una significativa risposta al deficit residenziale. Ciò provocò la prima esplosione di baracche vicino Lisbona durante il tardo periodo tra il 1960 e l’inizio del 1970, in quanto “l’approvvigionamento privato”, per quanto fosse uno strumento estremamente utilizzato da parte delle famiglie portoghesi, non sempre risultava efficace, costringendo numerose persone a trasferirsi di conseguenza negli insediamenti informali. Nonostante le case popolari non fossero rivolte direttamente ai poveri delle città, i modelli abitativi di indubbia modernità sociale, come i Grand Ensembles, cominciarono a nascere; ciò che fu costruito seguì lo stile modernista architettonico, gli edifici furono disegnati seguendo il concetto di Unité d’Habitacion. Ciò ci mostra una giovane generazione di “tecnocrati” che lavorò per il Gabinete
Técnico da Habitação de Lisboa, in grado di articolare i parametri di costruzione e razionare economicamente il programma “Case con Affitti Accessibili”, concedendo in parallelo un forte grado di Tipologie di casas económicas NINY, Henrique Jorge, Inquérito habitacional, Ministério do Interior, Lisboa, 1941
libertà nella sperimentazione della forma urbana e architettonica. Il tutto fu reso possibile grazie alla gestione di tecniche scientifiche di approvvigionamento abitativo e controllando, organizzando l’economia, la normativa e gli standard abitativi. L’interazione scientifica è avvenuta per tanto tra le conoscenze architettoniche, la pubblica amministrazione economica e la pura politica.
Il SAAL Con il grande avvenimento della Rivoluzione del 25 Aprile del 1974, che comportò il ripristino della democrazia, venne introdotto un
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nuovo strumento urbanistico per rispondere al problema della povertà popolare e alla carenza di alloggi, destinato a caratterizzare e influenzare l’intera storia portoghese e delle residenze sociali.
“O SAAL è o único sonho que um arquitecto, quando acordado, pode sonhar.” (Fernando Távora, 1975)
“to support, through the municipalities, the initiative of the population living in poor conditions to foster their collaboration in the transformation of their own neighborhoods, investing their own latent assets, and possibly their money.” (Ministério da Administração Interna and Ministério do Equipamento Social e do Ambiente, Despacho, Diário Do Governo, vol. I Série, 1974.) Il servizio mobile per il supporto locale, Serviço de Apoio Ambula-
torio locale, programma istituito nel Luglio del 1974, tre mesi dopo la rivoluzione, nacque come un programma di assistenza di au-
Operazione SAAL alla Quinta do Bacalhau, progetto: M. Vicente,A.Becker, A.Tostões,W. WANG, Portugal: Arquitectura do século XX, Prestel/PF 97, Munchen, New York, Lisboa, 1997, p.273
to-costruzione che cercò di rispondere alla grave carenza di alloggi, essendo i programmi di abitazione convenzionale impossibili da attuare nel breve periodo. La mancanza di abitazioni fu causato da numerosi differenti fattori tra cui una scarsa flessibilità della legislazione che regolava il mercato degli affitti ed elevati prezzi delle case con relativi tassi d’interesse; questi fattori provocarono pertanto un repentino disinvestimento, un blocco del mantenimento degli edifici e una conseguenza perdita del valore delle proprietà. Il lavoro fu orientato alla ricerca di un metodo che considerasse come elemento fondamentale la partecipazione degli abitanti. Venne valutata la possibilità di applicazione di un procedimento che,
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mediante norme metodologiche, facesse riferimento a casi con considerevoli differenze di localizzazione territoriale. Nella definizione di tale metodologia la delimitazione delle aree di intervento, chiamate Unidades Operacionais, costituì uno dei problemi principali. Si trattava di ricercare un luogo antropologico che fosse contemporaneamente identitario, relazionale e storico; un luogo con delle potenzialità, che consentisse, entro i propri confini fisici, di risolvere i problemi residenziali. Il programma definiva criteri chiari per il mantenimento o la demolizione di edifici degradati, utilizzando, parallelamente alle considerazioni di carattere economico, altre valutazioni relazionate alla difesa del patrimonio e del paesaggio urbano. Alla “delicata” delimitazione dei campi d’azione, si accentuava parallelamente il carattere episodico di tali realizzazioni in confronto alla totalità della città e ciò dipendeva dal fatto che gli interventi dipendevano da una rete di consensi locali. La partecipazione degli abitanti si verificava non solo nella definizione del luogo, bensì nell’elaborazione di un programma comprendente discussioni sulle tipologie da adottare, sui sistemi costruttivi e materiali più appropriati, sulla gestione futura dei complessi e sulla definizione dei processi di finanziamento. Gli architetti partecipanti assumevano il ruolo di “contributo tecnico” nella definizione di un progetto sociale complessivo. Ma in assenza di una regolamentazione che inquadrasse l’intervento dei comuni all’interno del processo, il SAAL risultò incompatibile con la “razionalità” delle amministrazioni locali, determinando così, contrariamente a quanto annunciato nel decreto, che fosse lo stesso SAAL ad assumersi, nella pratica, l’intera responsabilità nella conduzione e valutazione del lavoro. Il SAAL, in quanto organismo statale, godeva del privilegio di una
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struttura snella e conquistava una grande autonomia nella definizione delle sue competenze e della propria metodologia. Esso tendeva, con la “legittimità rivoluzionaria” che l’alleanza al movimento popolare gli aveva conferito, ad assumere la gestione della città, trasformando i comuni in esecutori delle proprie decisioni tecniche e politiche. Le richieste di intervento si moltiplicarono su tutto il territorio nazionale, pertanto si giunse alla conclusione che il SAAL non poteva più occuparsi esclusivamente della questione residenziale, ma doveva allargare il proprio raggio di azione anche ad altri settori, come le attrezzature collettive sociali e culturali e le infrastrutture. In tale contesto venne proposta la creazione di una struttura unica a livello nazionale. Le zone di influenza delle associazioni cominciarono a sovrapporsi; l’articolazione degli interventi avanzò dal quartiere alla zona e dalla zona alla città, accompagnata da una crescente complessità nell’organizzazione dei centri abitativi. Senza elaborare proposte integrali e definite a livello di pianificazione della città e del territorio, il SAAL tentava un’ alternativa metodologica in cui la stessa pianificazione, il progetto e la costruzione costituissero la sintesi di un’azione multidisciplinare risultante dalla ricerca di consenso tra tecnici e abitanti mediante uno sviluppo scalare dal particolare al generale, dal quartiere alla città. Nella capitale le operazioni furono localizzate prevalentemente nelle zone suburbane e costituirono complessi destinati agli abitanti delle bidonvilles in fase di urbanizzazione. Si trattava, di norma, di
Manifesto delle associazioni di abitanti; “Movimento Popular e Práctica Urbanistica em Portugal, Cidade campo. Cadernos de habitação do território, n.2, 1979, p.48
edifici collettivi di media altezza, disposti a corte o a U, o in barre, in cui il trattamento degli accessi verticali e degli organismi distributivi orizzontali dominavamo i processi compositivi, collocandosi in continuazione con modelli tipologici testati sin dai primi anni Settanta. Tali interventi, anche se isolati, introducevano un nuovo modello di
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occupazione della città. Rappresentavano un’idea di città inclusiva in cui anche i ceti più poveri potevano partecipare alla vita del centro storico, in cui era ammessa la coesistenza di diversi strati sociali e di differenti funzioni urbane. Una città in cui nuove tipologie residenziali, confrontandosi con le tipologie tradizionali, andavano a costituire l’aspetto frammentario della città, contrapponendo al vecchio il nuovo e mantenendo un carattere generale consolidato dall’uso e dal tempo. Il SAAL rappresentò pertanto solo una piccola parte del totale ri-orientamento delle politiche urbane e abitative. Non è mai stato inteso come un modo per risolvere la crisi generale degli alloggi, ma solo per affrontare il suo problema più urgente: le “baracche” nei dintorni di Lisbona e Porto, che avevano cominciato a formarsi negli anni ‘60 – ‘70. A dispetto di un budget limitato si dimostrò essere una valida intuizione, in quanto fu in grado di dimostrare come l’impegno demoManifesti delle associazioni di abitanti “Movimento Popular e Práctica Urbanistica em Portugal, Cidade campo. Cadernos de habitação do território, n.2, 1979, p.52
cratico e la collaborazione con le popolazioni urbane povere fosse possibile e perché in un certo senso costituì un impegno, diventando parte integrante della missione di Stato al servizio della gente. Le sei fasi della metodologia erano: 1) dare priorità alle popolazioni; 2) la preferenza di lavoro in situ; 3) l’autonomia nei processi di progettazione e di costruzione; 4) l’uso delle risorse locali; 5) il decentramento; 6) lo sperimentalismo. In totale, vennero previste 174 operazioni, con il coinvolgimento di circa 40.000 famiglie. Delle circa 40.000 abitazioni, solo 7.000 furono completate, determinando il collasso del programma.
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Quando risultò chiaro che il SAAL implicava un modo diverso di pensare la città - una modalità di produzione dello spazio che sovvertiva i processi urbani capitalisti – venne abolito. In parallelo con l’estinzione del programma, l’andamento degli investimenti pubblici nell’abitare si invertì e andò gradualmente decrescendo negli anni successivi. Il metodo partecipativo influenzò la pratica architettonica in Portogallo nei due decenni successivi, o mediante la ri-applicazione della legislazione dell’ auto-costruzione del 1962 o attraverso schemi che vennero usati per rispondere ad alcuni problemi mediante l’utilizzo di tale strumento o ancora attraverso una buona collaborazione tra le singole municipalità e l’amministrazione sociale, implicando che alla municipalità spettasse la pianificazione e allo Stato il finanziamento, riducendo così i tassi d’interesse, favorendo, seppur parzialmente, la risoluzione del problema.
Il PER Conclusa l’esperienza del SAAL, l’intervento pubblico, determinato da motivi produttivistici, riprese mediante progetti a grande scala. I complessi di Setúbal, Chelas, Almada, nell’Area Metropolitana di Lisbona videro la reintroduzione dei modelli di alta densità edilizia declinati in modo differenziato. Questo impresse una nuova forza all’attuazione dei Planos Integrados, rimasti, nella pratica, quasi sospesi tra il 1974 e il 1976. Creati per “risolvere le carenze abitative in aree preferenziali di sviluppo, esigendo lo stabilizzarsi dell’occupazione lavorativa”, i Planos sviluppavano una produzione residenziale quantitativamente significativa che caratterizza fortemente ampie zone di espansione urbana. La recessione economica e finanziaria che coinvolse il Portogallo
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tra il 1982 e il 1985 e le deficitarie prestazioni, in termini qualitativi e quantitativi, del Fundo de Fomento da Habitação (FFH) nella gestione del patrimonio costruito e nell’esecuzione di alcuni dei suoi programmi, sommate al mutamento nella politica residenziale dello Stato nei confronti della produzione diretta di alloggi, portarono, all’inizio degli anni ‘80, ad un cospicuo rallentamento dell’attività del Fundo. Tale stagnazione, insieme alla necessità di inquadrare legalmente le nuove politiche statali per la casa, condussero, nel 1982, all’estinzione del FFH, dando avvio ad un processo di liquidazione che si protrasse fino alla fine del 1987. Posteriormente, l’inefficienza dell’Ente creato in sostituzione, il Fundo de Apoio ao Investimento
Habitacional (FAIH), determinò la creazione dell’Instituto Nacional de Habitação (INH) nel 1984 e, conseguentemente, dell’Instituto de Gestão e Alienação do Património Habitacional do Estado (IGAPHE) nel 1987. L’esperienza negativa del FFH, insieme al pensiero politico dominante, determinò l’abbandono dell’idea che il contributo dello Stato dovesse necessariamente avvenire mediante la costruzione diretta degli alloggi. In tal senso le mansioni dell’INH, vennero definite in modo da garantire l’azione statale in materia di edilizia residenziale sociale mediante l’erogazione di supporto tecnico e finanziario ai diversi possibili promotori: le amministrazioni locali, le cooperativas de habitação e il settore privato. Definito il nuovo modello di promozione residenziale popolare, a partire dal 1984 l’INH promosse, mediante l’applicazione di specifici meccanismi di supporto tecnico ed economico, circa 2.000 complessi residenziali distribuiti su tutto il paese. In continuità con il periodo precedente ma consolidandosi per quantità e qualità costruttiva e progettuale, le Cooperativas de
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Habitaçao Económica segnarono gran parte della produzione residenziale del periodo, proponendo interessanti soluzioni architettoniche e urbane, coadiuvate da una attenta ed efficiente gestione dei complessi e delle attrezzature d’uso collettivo costruite. Negli anni successivi i problemi abitativi non scomparvero; e nel corso del 1980 ci fu un notevole afflusso di migranti provenienti da paesi di lingua portoghese (ex colonie), la maggior parte dei quali si stabilirono negli insediamenti informali provocando di conseguenza una vera e propria espansione delle baraccopoli esistenti. La parziale liberalizzazione del controllo degli affitti nel 1985 associata alla carenza di alloggi, i prezzi impeditivi e le pratiche razziste dei padroni di casa resero difficile la vita degli immigrati africani. E’ stato stimato che circa 200.000 persone vivevano nelle baracche in questi anni. In seguito al forte flusso d’immigrazione si manifestarono in parallelo due movimenti: da una parte il consolidamento dei quartieri degradati già presenti all’interno della città che cominciarono la loro trasformazione verso la multiculturalità; dall’altra, in periferia, nuove occupazioni e movimenti spontanei che si trasformarono in insediamenti informali affetti da una profonda segregazione spaziale e sociale. Pertanto venne istituito il Plano Especial de Realojamento, PER, nel 1993. Il PER prevedeva l’eliminazione totale delle bidonvilles ed era destinato a correggere le distorsioni provocate dal relativamente oneroso sistema di finanziamento stabilito dalla legge che, di fatto, escludeva le fasce più deboli della popolazione residente negli insediamenti informali delle periferie urbane.
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Il programma fu destinato alle Aree Metropolitane di Lisbona e di Porto e il Decreto legge che lo regolava è stato aggiornato l’ultima volta nel 2003. Il PER prevede concessioni finanziarie alle amministrazioni pubbliche per la costruzione, l’acquisizione o localizzazione di abitazioni per famiglie residenti in baraccopoli. Il finanziamento è inoltre reso possibile per la riabilitazione di appartamenti o edifici vuoti, in disuso o addirittura per l’acquisto di unità immobiliari, coprendo il costo dei lavori, ammesso che siano destinate al ri-alloggiamento di famiglie già inserite all’interno del programma. Coloro che possono usufruire del programma possono essere le singole famiglie, i comuni e alcuni enti privati. Le famiglie che rientrano nel PER, incluse nei sondaggi realizzati dai servizi sociali, possono beneficiare di alcuni servizi (PER-FAMILIAS), che permettono loro di avere la possibilità di: acquistare una casa come abitazione permanente, adeguata alla dimensione del nucleo famigliare, in una localizzazione a propria scelta e di effettuare opere di ristrutturazione. Le famiglie potranno usufruire di un finanziamento a fondo perduto da parte della Caixa General di Deposito, che può coprire al massimo il 40 % del costo dell’immobile, un restante 20% potrà essere coperto dal comune o dal proprietario dell’unità immobiliare. I comuni aderenti al PER, analogamente ricevono un supporto per: • l’acquisizione di abitazione. • la totale o parziale acquisizione di unità abitative a costo controllato e l’acquisizione o l’infrastrutturazione di terreni incluse le parti accessorie e i servizi. • l’acquisizione di edifici o di una parte di edifici degradati o dismessi per la realizzazione di opere di riabilitazione di famiglie in difficoltà. • la realizzazione di opere di restauro.
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• la localizzazione di edifici utili per il ri-alloggiamento delle famiglie iscritte al programma. I costi sostenuti dai comuni non possono superare l’80% del finanziamento che possono ricevere dalla Caixa General di Deposito; i finanziamenti non sono cumulabili. Le unità immobiliari costruite o acquisite nell’ambito del programma di ri-alloggiamento saranno considerate proprietà municipali/ comunali e saranno soggette a una non trasmissibilità per un periodo di 15 anni circa. Il costo degli affitti sarà scelto e programmato in fasce di prezzo controllate che terranno conto delle possibilità economiche effettive delle famiglie. Le istituzioni private di sostegno sociale possono a loro volta partecipare al PER, con finanziamenti comparabili a quelli comunali. Dovranno agire in collaborazione con i comuni della loro località dopo aver individuato la zona d’intervento e le famiglie da aiutare ed impegnandosi nella demolizione delle baracche. I Comuni e le istituzioni private possono inoltre concludere accordi supplementari con lo scopo di facilitare l’inclusione sociale delle famiglie. In un primo momento le Câmaras risposero agli obiettivi del PER con soluzioni a grande scala che traducevano nelle scelte progettuali e costruttive i limiti di budget imposto dall’operazione. Verso la fine degli anni Novanta, invece, la riduzione significativa della scala degli interventi consentì un più dettagliato controllo degli aspetti architettonici e vennero sperimentati interessanti esempi di architettura, soprattutto in complessi di alloggi unifamiliari, talvolta progettati con accorgimenti significativi in termini di adattabilità evolutiva. La natura della produzione di edilizia residenziale sociale finanziata dall’INH tra il 1984 e il 2006 fu caratterizzata da un’ampia
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eterogeneità, che trovava spiegazione sia nelle differenti modalità di promozione, privata, cooperativa e municipale, sia nel numero consistente di soluzioni specifiche adottate. In questo senso bisogna ricordare che l’esplosione, inizialmente quantitativa e posteriormente qualitativa, della produzione di alloggi popolari che segue la Revolução de Abril, rappresentò un mutamento nel modo di interpretare il problema dell’abitare sociale, in cui l’approccio alla soluzione del problema si inquadra nel dibattito globale sui modi di occupare lo spazio, ma, nel caso degli interventi finanziati dallo Stato, con l’applicazione rigorosa di sistemi di controllo, non esclusivamente in termini economici e di superfici, ma anche in termini di qualità architettonica. Trentamila abitazioni furono costruite, al costo di 1,2 miliardi di euro, 600 milioni di investimenti diretti e 600 milioni di linee di credito per le autorità comunali. Le procedure di ri-alloggiamento iniziarono nel 1993 con le indagini sulla popolazione delle baraccopoli in ogni quartiere, spesso condotte in collaborazione con centri di ricerca universitari. Ignorando la necessità di auto-indagini e il coinvolgimento della comunità, l’adeguamento delle metodologie di censimento sarebbe poi diventato strumento di ingiustizia sociale. Il programma PER venne pertanto istituito per evitare e contenere le negative conseguenze del fenomeno migratorio sulla coesione sociale e sullo sviluppo economico della città, ma molto spesso, al posto di arginare il problema, questi grandi programmi legislativi non fecero altro che aumentare la marginalizzazione e il senso di segregazione sociale nonché razziale.
Verso una politica multiculturale In parallelo con il PER, a metà degli anni 90 si è vista un’esplosione
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di volontà di inclusione in diversi settori, e con essa, in parallelo, la proliferazione di organizzazioni non governative che tentarono di muoversi verso una politica multiculturale. L’apprendimento in materia di immigrazione e di segregazione residenziale, e la ricerca etnografica su diverse comunità di immigrati, compresi quelli che specificamente vivevano in insediamenti informali, facevano parte ormai di un movimento più ampio che tentava di garantire e ricercare l’ “integrazione” e la “multiculturalità”. In seguito nel 1995 venne emanato un ulteriore programma, URBAN, programma di iniziativa comunitaria destinato a sostenere la rivitalizzazione e la riqualificazione di aree urbane degradate, migliorando il parco residenziale, le infrastrutture e le attrezzature e sostenendo misure atte a combattere l’emarginazione sociale. L’iniziativa comunitaria URBAN mosse circa 70,56 milioni di euro distribuiti su sei interventi, 4 nell’Area Metropolitana di Lisbona e due nell’Area Metropolitana di Porto. Fu in questo scenario che prese piede in seguito, nel 2007, un’iniziativa per i quartieri altamente degradati, Iniciativa Bairros Criticos (IBC), uno dei tanti programmi di rigenerazione urbana attualmente in azione. Tra i suoi obiettivi generali ci fu quello di istituire un forte elemento partecipativo per la rigenerazione o la riabilitazione di tre diverse aree, ognuna con un diverso tipo di abitazioni.
Bairros criticos Il Bairros criticos (IBC) è stato messo in atto da un programma sperimentale da parte del Segretario di Stato per la città e la pianificazione, João Ferrão (2005-2009) e dall’Instituto da Habitação
e da Reabilitação Urbana. Si è cercato di “dimostrare” come pra-
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tiche di pianificazione più partecipative possano prendere forma utilizzando alcuni esperimenti come “provette”. Uno degli interventi venne realizzato in Cova da Moura, uno dei più grandi insediamenti informali nell’Area Metropolitana di Lisbona, collocato nello specifico nella municipalità di Amadora. Il progetto consisteva nel: 1) ricostruire l’immagine di Cova da Moura; 2) ricostruire le dinamiche sociali (opportunità economiche attraverso la formazione); Ingresso del Bairro Cova da Moura.
3) ricostruire l’ambiente fisico, l’ambiente costruito al fine di faìcilitare una possibile riabilitazione. Le case dovevano essere conformi alle norme stabilite nel regolamento dedicato per la riconversione delle Aree Urbanas de Genèse
Ilegal (Lei 91/95 del 1995, AUGI), un approccio più flessibile alla casa standard con soluzioni ingegneristiche al di sotto degli standard, ma che assicurassero per lo meno le “condizioni accettabili di vita” garantito dall’articolo della Costituzione portoghese n° 65. Cova da Moura ha una popolazione eterogenea di circa 5.000 abitanti, molti dei quali sono immigrati postcoloniali da Capo Verde, Angola, e da altri paesi africani di lingua portoghese, e il quartiere ha una ricca cultura transnazionale. L’idea dell’intervento, in un certo senso, era quella della teoria multiculturale applicata alla rigenerazione urbana.
“Coinvolgere gli immigrati di minoranza nella trasformazione di un quartiere è un segno positivo, Lisbona ha deciso che vuole essere Cosmopolis” (Sandercock, 1998, pag. 173) Scorcio del Bairro Cova da Moura.
Il primo passo fondamentale per questo era una valutazione delle attuali condizioni di abitabilità di ogni casa, per preparare i termi-
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ni del concorso internazionale per la progettazione. Il progetto si scontrava con lo specifico problema tecnico-scientifico di come valutare la città informale in modo da essere in grado di portarla nel regno del misurabile, e quindi di aggiornarlo. La legge AUGI venne introdotta per la classificazione, in termini giuridici, di tutti i loteamentos clandestinos considerati passivi rispetto al programma di riconversione urbana della legge e dei piani direttori municipali in vigore. Questa legge ha costituito un efficace cardine nella riconversione dei lotementos, accelerando i processi in corso e introducendo norme e regole specifiche per questo regime giuridico di eccezione, attribuendogli il “dovere di riconversione urbanistica”. La legge includeva l’obbligo di conformare gli edifici integrati e classificati come AUGI, con il permesso di suddivisione e conversione del piano dettagliato, nonché la co-partecipazione nelle spese di riconversione. Nei due decenni tra l’aprile del 1974 e la legge AUGI del 1995,
Fotografia di Isabel Raposo (Raposo Isabel, Valente Ana; Diálogo social ou dever de reconver-
são? As Áreas Urbanas de Génese Ilegal (AUGI) na Área Metropolitana de Lisboa; in Revista Crítica de Ciências Sociais n°91; 2010)
si possono distinguere tre periodi differenti riguardanti il livello di coinvolgimento dei proprietari e dei residenti nel processo di riconversione: 1. Un primo periodo rivoluzionario, breve ma dinamico, caratterizzato da numerose manifestazioni e rivendicazioni popolari per il diritto della casa, in parallelo ad una forte crescita demografica della popolazione urbana ed a una persistente lottizzazione illegale e proliferazione delle costruzioni illecite. Questo periodo si tradusse nell’assunzione del problema e portò alla formulazione di un nuovo decreto legge, per la prima volta in Portogallo, inerente al restauro e alla conversione delle aree illegali. Questa nuovo decreto riconduceva al pubblico la responsabilità della riconversione, prevedendo una compartizione coi proprietari e
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proteggendo le famiglie con minor risorse. 2. Un secondo periodo, di istituzionalizzazione della democrazia e di sedimentazione delle lotte politiche e popolari fu legato allo sviluppo della nuova Costituzione e alla creazione del governo locale. Il periodo si rifletté da un lato, nell’appoggio di alcune municipalità per l’infra-strutturazione dei loteamentos clandestions più popolati e nell’intervento diretto della popolazione nella produzione dello spazio urbano; dall’ altro lato da una marcata repressione verso queste realtà, una regolamentazione giuridica della proliferazione del fenomeno con il divieto di vendita delle vecchie cascine. 3. Un terzo periodo di transizione neoliberista, fu animato da un incremento di organizzazioni di proprietari e residenti per la conduzione amministrativa nel processo di conversione. La legge permise di accelerare la conclusione di alcuni processi di riconversione che erano in corso prima della sua approvazione ed il concepimento e l’attuazione di numerosi altri. Tuttavia, per contro, molte altre situazioni e processi non trovarono una risposta alle loro criticità: alcuni non furono identificati, altri non iniziarono il processo di riconversione. Infatti la legge AUGI non soddisfò e non rispose in maniera esauriente alla diversità delle situazioni , né alla diversità delle pratiche dei differenti comuni; la legge diede una risposta giuridica e tecnica solo alle situazioni per le quali fu concepita, situazioni senza grandi implicazioni, in cui i proprietari avevano una discreta organizzazione e le risorse necessarie per legalizzare e riconvertire il proprio lotto; non risultò tuttavia incisiva nel risolvere situazioni più complesse: problemi socio-territoriali che richiedevano un approccio maggiormente globale, una maggior solidarietà ed interazione tra i diversi attori ed un più gravoso impegno e finanziamento pubblico.
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Particolare costruttivo di una baracca in Bairro da Torre, Camarate
COSTRUIRE CLANDESTINO Il diritto alla casa e il domicilio è uno dei principali problemi che gli immigrati devono affrontare in Portogallo.
“A lógica que conduz ao processo de decisão e construção de um clandestino inicia-se muito antes da compra de um lote. Vai-se estabelecendo através de um sistema de necessidades, predisposições e valores que influem no comportamento e que têm origem na interiorização de uma realidade social complexa e sempre em mudança” (Guerra,1989; pp.68). Con il termine construção clandestina, si intende una costruzione che è stata edificata senza la licenza cameraria necessaria da Re-
gulamento Geral das Edificações Urbanas. Le costruzioni possono presentarsi in muratura o con materiali poveri e precari (Barracas); spesso si collocano in buona percentuale nelle zone rurali, ma possono nascere anche in presenza di insediamenti urbani già esistenti in confini estremamente definiti e segregati rispetto al contesto. La localizzazione di questi insediamenti è influenzata da fattori ri-
LOCALIZZAZIONE
correnti: la vicinanza del posto di lavoro; la prossimità ai confini comunali e per ultimo, ma non di minor rilevanza, il prezzo del terreno. Il tutto è regolato dalla necessità di evadere dalla fiscalizzazione cameraria che si esercita con maggior intensità nei centri focali delle municipalità e meno sui confini amministrativi. La nascita di agglomerati edilizi illegali dipende direttamente dalla disponibilità di terreni liberi a basso costo, con dimensioni tali da garantire un investimento, e dalla presenza di una facile accessibi-
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lità ai mezzi di trasporto pubblico. La prossimità del luogo di lavoro risulta essere uno dei fattori che maggiormente influenza la localizzazione di questi tipi di insediamenti, gran parte della popolazione maschile di fatto, lavora nel settore secondario (come impiegati nelle costruzioni civili e operai specializzati in diverse industrie) e nei livelli più bassi del settore terziario. Una gran parte lavora nella municipalità di Lisbona, pertanto necessita di procurarsi un’abitazione il più vicino possibile ai confini della città. La mappa allegata ci permette di vedere come nel 1971 i Bairros
clandestinos costituissero due cinture principali che circondavano la municipalità di Lisbona inglobando le aree maggiormente urbanizzate. Ad esempio la linea immaginaria che separa la municipalità di Almada da quella di Seixal, è definita da una serie di Bairros clandestinos che si sono formati sui limiti amministrativi in luoghi funzionali al lavoro e con facile accesso alla città, o vicino alle stazioni pubbliche di trasporto fluviale che conducono a Lisbona. Il Bairro è un’entità perfettamente riconoscibile e marcata nel paesaggio urbano; sorge quasi sempre nel bel mezzo di un campo, raramente incastonato nelle zone urbanizzate, con confini ben definiti. Solitamente mostra un unico collegamento ad una strada principale, che assume metaforicamente la funzione di “cordone ombelicale” che connette le due differenti realtà. Spesso questo accesso coincide con un vecchio camminamento rurale in pessime condizioni di conservazione. La difficoltà di urbanizzazione di questi terreni, che li rende “marginali” sul mercato e pertanto più economici, dipende direttamente dai meccanismi che regolano il mercato dei terreni e dalla grande differenza tra il valore di un terreno rurale e quello urbano. Il valore di questo sarà tanto più alto quanto minore sarà l’offerta; in questo
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Localizzazione dei Bairros clandestinos durante l’anno 1971; Salugueiro T., Bairros clandestinos na periferia de Lisboa, Lisboa, 1977, pp.31
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modo gli speculatori che regolano il mercato dei terreni, dominano l’offerta delle aree urbanizzate influenzando fortemente le decisioni della pianificazione urbanistica, riconducendola a proprio favore. Secondo lo schema classico di Alonso, il prezzo del suolo decresce progressivamente all’aumentare della distanza di quest’ultimo dai mezzi di trasporto. La nascita dei Bairros clandestinos coincide con un lotto clandestino. Pertanto, seguendo la formazione di un Bairro, possiamo assistere ad una prima fase in cui un “imprenditore” acquista una Curva dei prezzi delle abitazioni in relazione alla distanza dal centro; Salugueiro T., Bairros clandestinos na periferia de Lisboa, Lisboa, 1977, pp.35
proprietà con scarse prospettive di urbanizzazione a basso prezzo, di conseguenza quasi sempre sui confini della municipalità. L’assegnazione del lotto implica la presenza di un piano di costruzione di infrastrutture e normalmente il promotore di un lotto clandestino risponde a questa necessità limitandosi ad aprire una strada. La planimetria molto spesso risulta essere di tipo ortogonale e sorge in aree accidentate dove la forma insediativa si manifesta dichiaratamente noncurante della topografia. Una volta realizzata la via principale di accesso comincia la vendita dei terreni o direttamente dal compratore, nonché proprietario del lotto, o attraverso la figura di intermediari. A volte capita che i proprietari avvisino i compratori del fatto che la costruzione non è autorizzata; in altri casi promettono i permessi di urbanizzazione in tempi brevi così come l’attacco all’acqua, alla luce e il permesso di costruzione. Questo processo mostra un carattere estremamente speculativo che espone i compratori dei lotti illegali ad un forte rischio di demolizione delle strutture costruite. Una volta venduti tutti i lotti si comincia la fase di costruzione. In un primo tempo le costruzioni si presentano molto semplici in quanto le aree sono soggette ad una fiscalizzazione molto attenta; suc-
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cessivamente cominciano ad assumere un aspetto più evoluto ed elaborato. In una prima fase i materiali utilizzati sono poco resistenti o prefab-
EVOLUZIONE
bricati e le abitazioni non presentono suddivisioni interne ma solo un tetto molto instabile. Dopo il pagamento della prima multa il proprietario del lotto si sente autorizzato a proseguire la sua attività. La casa continua la sua evoluzione, cominciano a vedersi i rivestimenti delle pareti, le cucine vengono installate, compaiono le suddivisioni interne e il bagno. La pianta del lotto risulta essere in questa seconda fase, caratterizzata dalla presenza di edifici con un solo piano e con numerosi spazi liberi con un impianto estremamente irregolare. In una terza fase la costruzione comincia a diventare speculativa, si costruisce con il fine di lucro; si cerca di inserire il maggior numero di persone possibili all’interno di spazi con metrature quadrate molto limitate. La tipologia di edifici che compaiono nei lotti illegali dipendono da quattro fattori: il tempo di costruzione, la topografia, la capacità e possibilità di investimento e il desiderio di lucro. Spesso le costruzioni sono caratterizzate da tanti piccoli alloggi con la presenza di uno spazio in comune che può essere un corridoio, una cucina o un patio. La rapidità che si esige per la realizzazione delle abitazioni conferisce loro il tipico aspetto di casa-baracca. Il tempo e la mancanza di rischio permette l’evoluzione degli edifici, che assumono di conseguenza un aspetto più curato e consono; di fatto in seguito a lunghi periodi senza rischi d’intervento da parte dello stato e dell’amministrazione, le abitazioni subiscono numerosi cambiamenti e si sopraelevano di uno o due piani.
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Costruire una casa clandestina comporta un notevole rischio di dover pagare multe o di subire una demolizione improvvisa, pertanto si può affermare che l’evoluzione delle costruzioni clandestine è strettamente correlata al grado di frequenza e intensità dell’intervento municipale. Nonostante tutto i quartieri illegali tendono ad aumentare, nell’ottica della diminuzione dei rischi, talvolta a causa dell’inoperatività amministrativa, talvolta a causa dell’incoraggiamento dovuto all’intensificarsi delle costruzioni. La capacità e la possibilità di investimento, ha una grande importanza nell’evoluzione delle baracche, in quanto, la trasformazione, l’accrescimento dell’organizzazione e l’incremento della qualità dei materiali utilizzati risulta essere estremamente connessa alla disponibilità finanziaria. La speculazione è dunque un fenomeno che accompagna e che viaggia in parallelo all’evoluzione di un Bairro clandestino. Nella prima fase essa si manifesta nella “nascita” del lotto con la conseguente vendita dei vari appezzamenti di terra senza la presenza di un progetto di urbanizzazione. Nella seconda fase invece si può vedere l’azione della speculazione nell’affitto di abitazioni con prezzi nettamente inferiori rispetto a quelli riscontrabili nel mercato legale, ma che risultano essere estremamente elevati se li si relaziona al comfort e alle caratteristiche qualitative e quantitative a cui sono associati. Risulta dunque possibile distinguere i diversi Bairros clandestinos in base alla tipologia di edifici predominanti, alla dimensione e al tempo in relazione alla frequenza d’intervento municipale.
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Tra le pieghe del muro, Fabio Alessandro Fusco, 2012
INTRECCIO DI ETNIE L’inchiesta Purb.87 Ciò che rende un determinato gruppo etnico una minoranza non è da ricondurre tanto ad una storia collettiva specifica, ma piuttosto a una traiettoria di svantaggio economico e sociale. Con l’Inchiesta PURB.87 condotta nel 1991, venne utilizzato per la prima volta un sistema informatico specifico che portò alla realizzazione di una raccolta dati riguardante la popolazione nazionale residente nei Bairros clandestinos di Lisbona e delle sue periferie, e in parallelo, una raccolta dati inerente la percentuale di immigrati basata sullo studio delle Minorie etniche povere in Lisbona. Ponendo a confronto queste indagini risultò che la maggior parte degli immigrati residente nei Bairros erano di origine rom e origine africana, con provenienza dalle ex colonie portoghesi (Capo Verde, Sao Tome e Guinea Bissau). Le ondate migratorie a partire dagli anni ‘70 furono sempre più rav-
MIGRAZIONI
vicinate e determinate da disparate motivazioni e necessità. Ad esempio le motivazioni che determinarono la migrazione capoverdiana erano legate alla sfera lavorativa ed economica. Il primo movimento migratorio si registrò nel 1974. In una prima fase la maggior parte degli immigrati erano uomini in cerca di lavoro, successivamente, nella seconda decade degli anni ‘80 e ‘90 la migrazione interessò invece intere famiglie. La migrazione della Guinea Bissau e Sao Tome fu ugualmente spinta da motivazioni economiche e lavorative, di studio o di salute. Dal Mozambico e dall’Angola l’ondata migratoria fu invece scaturi-
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ta dalla necessità di cercare rifugio dalle guerre seguite al processo di de-colonizzazione. In base alle motivazioni che spingono la gente ad abbandonare il proprio paese cambiano naturalmente le aspettative e l’eventuale desiderio di ritorno in patria. Chi si è messo in viaggio per motivi di salute conterà maggiormente di poter tornare a casa e gli studenti vorranno tornare per portare cambiamenti e migliorare eventualmente le condizioni delle proprie famiglie nel paese di origine. Ma la maggior parte delle persone, anche se vivono in Bairros degradati non hanno intenzione di tornare in tempi brevi in patria in quanto il Portogallo offre loro maggiori possibilità di guadagno, condizioni più agevolate e una miglior assistenza sanitaria. Le tempistiche di permanenza risultano quindi essere legate alla presenza o meno del proprio nucleo famigliare, all’integrazione sociale, alle condizioni abitative e alle reti di aiuti e di sostegno da parte delle famiglie rimaste nel paese d’origine. La precarietà d’abitazione e la debole possibilità di scelta di questi gruppi, rappresentano elemento di esclusione sociale. Ad esempio nel quadro della società moderna capitalista, la struttura economica del mercato del lavoro assume un ruolo fondamentale nel disegno dei processi di integrazione o esclusione sociale. Negli ultimi anni il mercato del lavoro ha subito numerosi cambiamenti nella sua struttura, il repentino processo di tecnologizzazione della produzione e l’aumento del livello di istruzione e competenze minime richieste, hanno diminuito la possibilità di accesso al lavoro da parte della popolazione meno fortunata. Schnapper identifica tale processo come “discriminazione storica” in quanto fondata sulla disuguaglianza dello statuto specifico delle
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società coloniali, che si viene a creare tra la popolazione autoctona e la popolazione coloniale. L’indagine venne eseguita su 475 diverse unità, 1061 famiglie quindi circa 50.000 persone. Per quanto riguarda la popolazione nazionale emerse che il 39% (4% sul totale) delle abitazioni presentava una sola divisione interna ed era occupata da famiglie costituite da 3 elementi circa; il 35% (18% sul totale) presentava due divisioni interne per famiglie di 4 o più componenti e il 22% (35% sul totale) presentava invece tre divisioni per nuclei famigliari di 6 o più elementi. Per ciò che concerne gli immigrati invece emerse che: il 56% (5% sul totale) degli alloggi presentavano una divisione per famiglie con 3 o più componenti; il 55% (21% sul totale) erano abitazioni con 2 suddivisioni per famiglie con 4 o più componenti e infine un 34% (17% sul totale) presentavano 3 divisioni per nuclei famigliari costituiti da 6 o più componenti. Da ciò si evince che la densità abitativa dei Bairros clandestinos normalmente era ed è molto elevata e in particolare nelle abitazioni dove risiedevano gli immigrati, avendo essi minor possibilità di accesso a residenze sociali, provocando di conseguenza una sovraoccupazione dello spazio, la perdita di privacy, cattive condizioni per lo studio dei ragazzi e dei bambini ecc…
Informalità vs Formalità: in-group e out-group Spesso il problema dei Bairros de lata viene associato ai Programmi di abitazione sociale, ma la maggior parte delle volte tali soluzioni non portarono ad un miglioramento bensì al fenomeno di “incapsulamento” di un gruppo di residenti in un Bairro rispetto al restante gruppo di abitanti, provocando e accentuando il fenome-
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no di segregazione sociale. Questo fenomeno, per quanto nasca con l’intento di migliorare la condizione delle classi sociali più povere, spesso risulta essere un fallimento totale in quanto agisce frettolosamente e prevede il trasferimento delle persone in luoghi periferici e senza adeguati collegamenti con il centro della città. Di fatto al quartiere viene immediatamente assegnata un’etichetta negativa, in quanto rappresenta un quartiere sociale composto da famiglie provenienti dai Bairros de Barracas. Tuttavia se la tranquillità e la normalità tendono a prevalere, l’accettazione e l’integrazione, seppur graduale e con un ritmo estremamente lento, risulta possibile. Se invece inciviltà di varia natura si manifesta per un lungo periodo di tempo, si accentua la nomea di “luogo da evitare”. Il Bairro diventa un luogo responsabile di tutto ciò che di spiacevole accade, e questo è ciò che più di frequente succede. Si tratta di spazi che hanno una storia segnata da marginalità e delinquenza, anche se a causa di pochi individui che però bastano ad amplificare il senso di insicurezza e diffidenza per chi vive nei quartieri limitrofi. Da molte ricerche condotte si è riscontrato che la maggior parte della popolazione che vive nei Bairros de Barracas è consapevole dell’ etichetta negativa che ha il proprio quartiere. Gli uni colpevolizzano gli altri per il “brutto aspetto e pessima fama” del Bairro e di certo anche i media contribuiscono alla cristallizzazione “dell’etichetta negativa” riportando spesso e volentieri solo brutte notizie legate alla criminalità. Il tutto provoca una “chiusura” della popolazione al proprio l’interno, uno scoraggiamento ad investire nel quartiere e a realizzare qualche miglioria alimentando un generale sentimento d’ insicurezza.
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Questo senso di esclusione provoca d’altro canto la creazione di una rete sociale spesso molto stretta e fitta all’interno della realtà del Bairro, nel quale vi sono solitamente buone relazioni di vicinato e un chiaro senso di appartenenza e di comunità. La vita quotidiana degli abitanti del Bairro, spesso riproduce il modello socio culturale del proprio paese di origine, accentuando ulteriormente il senso di appartenenza alla comunità e provocando la nascita di forti legami affettivi e di solidarietà tra le diverse famiglie. Questo fa sì che la percezione del Bairro da parte dei moradores sia molto differente rispetto a quella degli outsiders. Molti di essi non si lamentano della propria condizione. Per comprendere questo sentimento bisogna ricordare che molto spesso, in particolare gli immigrati, hanno vissuto situazioni precedenti estremamente precarie e con condizioni di disagio e povertà decisamente più accentuate, che li portano ad apprezzare la loro situazione attuale
Africani e Rom: due etnie a confronto Per capire le dinamiche interne al Bairro e il suo funzionamento bisogna però fare un’analisi comparata tra le due principali etnie che vivono all’intero di queste realtà: gli africani e i rom. I rom, esattamente il 26%, preferiscono la vicinanza di gente della propria etnia mentre un 22% se potesse eviterebbe di vivere con
RELAZIONI DI VICINATO
gli altri rom. Gli africani culturalmente sono estremamente legati alla relazione di vicinato, essi di conseguenza preferiscono vivere con gente della propria etnia. Il 30% dei rom inoltre non vuole vivere vicino agli africani e la medesima percentuale di africani ha espresso la volontà di non voler abitare vicino ai rom. I rom fondamentalmente vivono la proprio condizione come una
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soluzione temporanea in modo estremamente negativo. Questo gruppo etnico è quello che maggiormente manifesta un certo malcontento, tanto per la qualità delle abitazioni e per le condizioni di abitabilità, quanto per il Bairro, per la sua posizione e accessibilità spesso problematica al centro della città. La popolazione africana che risiede nei Bairros spesso non riesce ad usufruire di interventi statali e di promozione residenziale pubblica, vivendo sovente in condizioni estremamente critiche talvolta addirittura senza i beni di prima necessità come la luce e l’acqua; ciò provoca la crescita di un sentimento di rifiuto per la propria realtà e a una progressiva volontà di “uscire” dal Bairro. Allo stesso tempo però spesso accade che, poiché le case sono il risultato di un lungo processo di auto-costruzione, una parte della popolazione, manifesti un forte attaccamento alla propria abitazione e quindi alla non volontà di cambiamento.
EDUCAZIONE
Le modalità di integrazione scolastica e professionale della popolazione di origine africana tuttavia rivelano un tentativo di approccio alle norme e ai valori della società portoghese, seppur con una scarsa capacità di concretizzare gli obbiettivi: il livello di scolarizzazione è molto basso e il tasso di disoccupazione è molto alto. La popolazione africana tenta di integrarsi all’interno della società ospitante e cerca di comprendere e osservare le leggi e i valori culturali della società portoghese, ma indubbiamente ci sono numerose differenze culturali, che se da una parte accentuano la segregazione di questa etnia, dall’altra viene usato come strumento di autodifesa e di agevolazione nel creare un senso di appartenenza a un gruppo all’interno di una città e una cultura che non è la loro. I rom invece non cercano tendenzialmente di integrarsi e mettersi in gioco; risultano essere perciò maggiormente emarginati, essi non riconosco l’utilità di alcuni strumenti d’integrazione e rivendica-
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no una propria identità collettiva. Al di dell’etnia di appartenenza per le persone che vivono situazioni particolarmente critiche e sfavorite esistono due tipi d’aiuto: l’aiuto
AIUTI FORMALI E INFORMALI
informale e quello formale. L’aiuto informale è quello che si riceve direttamente dalle famiglie o dalle reti sociali che si vengono a formare all’interno del Bairro tra amici e vicini. Gli aiuti formali sono invece quelli che si recepiscono dalle istituzioni o dalle associazioni pubbliche. Gli aiuti formali costituiscono un aiuto sostanziale per l’alloggio o per l’alimentazione, mentre quelli informali risultano essere maggiormente utili per il problema dell’integrazione. Nei primi anni dei grandi flussi d’immigrazione gli aiuti formali risultavano essere maggiormente sfruttati, ma ai giorni nostri, dal momento che si è venuto a creare un vero e proprio networking di flussi migratori intrecciati, quelli informali hanno preso il sopravvento. Sia la popolazione africana che quella rom di fatto quando vivono problemi economici tendono a rivolgersi alla famiglia, agli amici e a i vicini; mentre per problemi inerenti la salute o l’istruzione tendono a far riferimento ai servizi statali. Quando si presentano problemi scolastici gli africani tendono a voler risolvere il problema tra loro mentre i rom tendono ad ignorarlo, compromettendo l’integrazione nella società ospitante. Gli africani contano sulle proprie forze e cercano di affrontare qualsiasi problema. I rom invece non fanno investimenti di nessun tipo provocando un fenomeno di auto-esclusione. Le due etnie presentano un chiaro, diverso inserimento nel mercato del lavoro. Per quanto riguarda la sfera lavorativa di fatto, gli africani trovano
LAVORO
lavoro principalmente nel commercio per strada o nelle costruzioni, nei cantieri e tendono a privilegiare l’appoggio degli aiuti informali.
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I rom lavorano per conto proprio, spesso all’interno delle proprie reti familiari e si approcciano al lavoro, non tanto come un obbiettivo, bensì con la sola scusante che è necessario per sopravvivere. I rom, a differenza della popolazione africana, dipendono dai servizi e dalle istituzioni. Una buona percentuale di africani si dichiara soddisfatta degli aiuti formali e tendono a sfruttarli quando vivono gravi problemi economici o per guardare al futuro con sentimento maggiormente ottimista; i rom si lamentano spesso degli aiuti che ricevono. Gli africani fondamentalmente si manifestano frustrati e si vergognano della loro povertà e cercano con le proprie forze di rialzarsi; i rom cercano di sfruttare la povertà a proprio favore. Le due etnie presentano dunque in una situazione critica di minoranza necessità diverse e differenti strategie d’intervento.
Il djunta-mon Abbiamo già accennato al fatto che spesso, nella realtà dei Bairros clandestinos, si cerca di riprodurre le dinamiche socio culturali del paese di origine. L’istituzione del djunta-mon a tal proposito, praticata in una delle realtà oggetto di indagine, il Bairro Terra da Costa in Almada, ne è una prova concreta. Il djunta-mon è un’istituzione di grande importanza in Capo Verde che è stata recuperata e attualizzata per far fronte a nuovi problemi che si possono manifestare nel contesto migratorio. È una pratica estremamente utilizzata nei Bairros clandestinos dell’Area Metropolitana di Lisbona e viene utilizzata per stabilire forme di assistenza reciproca per un interesse collettivo. Mediante un’attualizzazione permanente delle sue forme, funzioni e significati, il djunta-mon è diventata una pratica determinante nella realtà dei Bairros.
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Djunta-mon è un’espressione composta che nasce in Guinea Bissau e che a Capo Verde equivale all’espressione “Juntar las manos”. Rappresenta una forma di mutuo aiuto molto consistente all’interno di gruppi famigliari, tra amici e vicini che collaborano nel lavoro e nelle attività agricole. La logica di questa tradizione è direttamente collegata alle particolarità metereologiche delle ex colonie, e in particolar modo al ciclo delle piogge. Il periodo delle piogge è estremamente limitato, pertanto le attività agricole si concentrano in un lasso di tempo molto breve e hanno bisogno di una lavorazione intensiva. Nel sistema del djunta-mon ogni partecipante invita il resto della popolazione a collaborare nella lavorazione delle proprie terre, assumendosi in cambio una duplice responsabilità: una a breve termine, garantendo il cibo e le bevande a coloro che collaborano durante le fasi del lavoro agricolo; e l’altra a lungo termine, che consiste nelle promesse di restituire le stesse ore di lavoro quando gli altri lo richiederanno. Si osserva dunque una logica di reciprocità equilibrata, dove in cambio della fornitura di un servizio si garantisce la restituzione di un valore approssimativo in un tempo più o meno limitato. Con le prime ondate migratorie l’usanza del djunta-mon è sbarcata anche in Portogallo, ma assumendo connotazioni differenti, allargandosi ad altri panorami lavorativi come il lavoro domestico, il cucinare, il prendersi cura dei bambini ecc.. Il sistema viene sfruttato per aumentare il senso di comunità e per far fronte alle problematiche maggiori che si dovranno affrontare. Il djunta-mon in conclusione è un’istituzione che consiste basicamente nella prestazione di un lavoro non retribuito che è destinato a coprire una necessità del gruppo o di alcuni dei suoi membri. Il
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tutto gira attorno al concetto di reciprocità, che rafforza la coesione del gruppo e i benefici della comunità. L’entrata in un nuovo contesto determina la necessità di ricodificare la vita sociale, la cultura del paese di origine rappresenta per il migrante un punto di appoggio: una materia prima che, in funzione del contesto, può essere riutilizzata e combinata con nuove concezioni. La popolazione capoverdiana in Portogallo è stata stimata di 42.857 persone dal Servizio degli stranieri e di frontiera (SEF 2013), organo ufficiale incaricato di registrare e controllare la presenza di stranieri sul territorio portoghese. Se ci atteniamo a questi dati, questa popolazione rappresenta la terza minoria immigrante dopo il Brasile e l’Ucraina. La longevità della presenza capoverdiana sulla terra portoghese ha consentito al consolidamento di una seconda, di una terza e quarta generazione di discendenti. Il volume totale di questa popolazione fu stimato nel 2008 intorno agli ottanta milioni, includendo coloro che non possedevano i documenti o quelli che al contrario avevano già ottenuto la nazionalità portoghese. Parliamo di una minoria di enorme importanza in Portogallo, che si concentra specialmente nell’area metropolitana della capitale. La forte tradizione migratoria nell’arcipelago di Capo Verde può essere osservata già nei secoli XVII e XVIII. In questa fase, il forte flusso migratorio si spiegò come risultato della desertificazione dei terreni agricoli dell’isola dovuta ad un inadeguato modello agricolo. La scarsa stagione delle piogge, la povertà dei suoli e la forte disuguaglianza generata dalla struttura coloniale portoghese, sta alla base del modello socioeconomico dell’”espulsione” periodica di
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una grande parte della popolazione capoverdiana. Un primo flusso migratorio si osservò agli inizi del XX secolo, principalmente diretto negli Stati Uniti e più tardi in Brasile e Argentina. Nella seconda metà del secolo la popolazione cominciò a migrare anche in Europa, in un primo momento diretto nei Paesi Scandinavi, Francia e Lussemburgo, poi più tardi anche in Italia e Portogallo. Dalla fine degli anni ‘60 la migrazione capoverdiana si concentrerà solo esclusivamente in Portogallo e specialmente in Lisbona e nella sua Area Metropolitana. A partire dal 1975, anno dell’indipendenza di Capo Verde dal Portogallo, i flussi migratori al posto di calare incrementarono la propria intensità. L’indipendenza di Capo Verde ci permette di distinguere due principali flussi migratori. Negli ultimi anni dell’impero coloniale, si poté assistere ad una migrazione direttamente stimolata dalla metropoli. Lo stato portoghese cercava di risolvere in questo modo la sua mancanza di manodopera, in un momento in cui molti giovani erano emigrati in Europa Centrale e si stavano combattendo numerose guerre coloniali in Africa. In questo primo flusso fu consistente, in parallelo, la presenza di studenti che migrarono verso la metropoli per migliorar la propria formazione culturale. Una seconda importante ondata migratoria si registrò in seguito alla fine del regime coloniale, caratterizzata dalla presenza lavoratori poco qualificati, il cui inserimento si verificò in condizioni lavorative e residenziali precarie. In parallelo a questo flusso si osservò un incremento delle industrie nella periferia di Lisbona, che richiamarono una grande mano d’opera, in particolare la popolazione capoverdiana, rappresentante una forza lavoro molto numerosa e
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economica. Inoltre la periferia offriva una grande quantità di terreni vuoti, o nella maggior parte abbandonati, che permettevano ai capoverdiani di insediarvisi investendo una piccola quantità di capitale. Il djunta-mon viene usato spesso nella prima fase di formazione di un Bairro clandestino, in quanto è necessario costruire in tempi brevi dei ripari per la famiglia e il tempo a disposizione degli uomini durante le giornate lavorative è molto limitato. Gli uomini pertanto si aiutano vicendevolmente nella fase costruttiva, mentre le donne e i bambini aiutano a reperire il materiale da costruzione. Il ricorso a questa pratica permette agli immigranti di accelerare i tempi di costruzione delle proprie “baracche” potendo contare sull’aiuto dei propri vicini, restituendo il favore con un contributo di lavoro simile. L’utilizzo di questa pratica favorisce così la creazione di una forte rete sociale unitamente alla nascita di un senso comunitario, in parte dovuto alla necessità di far fronte a problemi comuni e in parte dovuto al medesimo substrato etnico di appartenenza. Va notato che la continuità di utilizzo della pratica del djunta-mon nel tempo non significa che questa sia rimasta stabile nelle sue forme, funzioni e significati. L’evoluzione nella vita di un Bairro solleva diversi problemi e sfide da affrontare, a cui il djunta-mon ha dovuto adattarsi riprogrammandosi. Pertanto, se nella fase costruttiva delle baracche, il djunta-mon portò ad una vera e propria mobilitazione lavorativa tra gli individui, sia nella lotta per i servizi basici sia per l’organizzazione urbanistica, nel corso degli anni le funzioni di questa pratica si sono implementate. Negli ultimi anni esso ha assunto una funzione più simbolica riuscendo a coinvolgere un grande numero di persone nella gestione dei problemi di quartiere e incoraggiando la nascita di una rete di
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vicinato legata a forme redditizie di convivenza. Non va dimenticato infine che il djunta-mon ha contributo in modo cruciale a nobilitare il quartiere ponendo nella giusta luce la cultura capoverdiana.
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Bairro da Torre, Camarate, Loures
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Taglio dell’elettricità in Bairro da Torre, Camarate
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BAIRRO DA TORRE, CAMARATE, LOURES Bairro da Torre è un Bairro di origine illegale che nasce nel distretto di Loures, Camarate al confine con la municipalità di Lisbona, a pochi chilometri dall’aeroporto; non si sa quando nacque con precisione, ma si trova sul territorio portoghese con certezza dalla fine degli anni 80, inizio anni 90. Il terreno si presenta come una landa desolata, classificato da Piano Regolatore come spazio urbanizzabile misto per l’industria e il settore terziario. A Nord la zona è caratterizzata dalla presenza di un piccolo quartiere residenziale, costituito da edifici di piccola dimensione di altezza variabile tra i due e i tre piani, classificato da PR come spazio
Bairro da Torre, 2001; Google earth
residenziale a bassa densità. La qualità degli edifici è molto scarsa, le coperture sono quasi tutte piane e non sono presenti servizi pubblici di rilevanza al suo interno, così come zone verdi. A Ovest e a Sud si può notare la presenza di industrie, alcune in stato di semi-dismissione e altre ancora in funzione, la cui maggioranza appartiene al settore metalmeccanico. A Est si staglia imponente invece l’aeroporto di Lisbona, i cui aerei scandiscono tutte le ore della giornata. Il lotto clandestino si presenta in prevalenza verde e senza servizi di rilevanza. Lo spazio è estremamente permeabile e non presenta nessuna barriera al suo interno, assumendo una conformazione semi permeabile in prossimità dell’area residenziale e interrompen-
Bairro da Torre, 2017; Google earth
dosi sui confini con le tre grandi barriere: la statale, l’industria e l’aeroporto. Davanti alle zone ad “alta densità costruttiva”, si aprono surrogati di
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piazze, che assumono la funzione di luoghi d’incontro animati dalla presenza di piccoli fuochi e sedute improvvisate con assi di legno e pneumatici. Una strada sterrata che collega la statale all’industria spezza e divide il Bairro in due porzioni che si distinguono tra loro per la diversa concentrazione etnografica: la zona a Nord occupata principalmente da africani provenienti dalle ex-colonie portoghesi e la zona più a Sud principalmente da Rom. La strada senza nome, come una grande arteria della città, si ramifica e spezza l’isolamento del Bairro. Il Bairro ospitava all’incirca 1.500 persone e fino al 2001 le baracche si estendevano su tutto il lotto. La composizione demografica si presenta e presentava molto variegata, i numerosi immigrati africani che giunsero in Portogallo dalle ex-colonie ne rappresentano la maggioranza. Intervistando Maria, donna Sao tomese di 45 anni che vive nel Bairro da 8 con tre bambini, si è appreso che la maggior parte della popolazione proviene da Sao Tome, Senegal e Capo Verde, ma sono presenti anche numerosi Rom. (Appendice n°2) La maggior parte degli uomini che lavorano, lavorano nelle industrie, nei supermercati o nelle costruzioni edili, le donne principalmente nelle pulizie domestiche. Ci sono però numerosi disoccupati a volte per gravi situazioni di salute. La popolazione viveva e vive tutt’ora con un reddito minimo che va da 170 € al mese fino a 300 €, senza le condizioni minime accettabili per la sopravvivenza. Alcune famiglie sono in possesso di acqua potabile in quantità estremamente ridotte ma non possiedono elettricità, se non quella che riescono a rubare collegandosi illegalmente ai pali della luce statale, che regolarmente viene “tagliata”. Attualmente sono quattro mesi che la municipalità ha
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staccato l’elettricità, impedendo alle persone di poter usufruire di riscaldamento e del normale funzionamento degli elettrodomestici. Non è presente un sistema fognario e la raccolta dei rifiuti non tende a passare in questa zona della città, provocando un accumulo di immondizia che rende ancor più precaria la vita di questa gente. Nel 2010 arrivò per la prima volta la notizia da parte della Camera municipale di Loures del programma di demolizione delle prime baracche, non curandosi di proporre e supportare la popolazione con delle possibili soluzioni o programmi di ri-alloggiamento alternativi. Allora risiedevano, nel Bairro 94 famiglie in totale. Nel Marzo del 2011 cominciarono i lavori di demolizione, che lasciarono molte persone senza riparo e costringendole a rimanere per la strada. Le demolizioni avvenute non tennero conto minimamente della struttura delle abitazioni, molte rimasero con una parte della baracca completamente scoperchiata. La popolazione in risposta, organizzò una manifestazione che si tenne il 7 Maggio del 2011, richiedendo l’annullamento e la sospensione del programma di demolizione, in quanto 63 famiglie non avevano le condizioni economiche necessarie per pagare un affitto e non risultavano iscritte a nessun programma di ri-alloggiamento (PER). Il 16 Maggio le opere di demolizione ripresero il loro corso, la Camera Municipale si impegnò però ad attivare un Programma di Prohabita, alternativa al programma PER, seppur nella sua versione più precaria: un appoggio temporaneo di due anni. Il Prohabita è un Programma di finanziamento che facilita l’accesso alla casa, definito dal Decreto legge n°54/2007, creato nel 2004 e rivisto del 2007. Il Prohabita si concentra principalmente sul sostegno delle famiglie
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povere nell’accesso alle abitazioni, favorendo la rigenerazione urbana e le spese di acquisto o di costruzione di nuovi edifici. Consiste in investimenti per creazione di nuove condizioni di contratto di locazione, ponendo una particolare enfasi sulla partecipazione dei proprietari e sulla presenza di edifici vuoti. La nuova legge mira a creare accordi non solo con i comuni e le regioni autonome, ma anche con le associazioni, creando una nuova risposta intercomunale promuovendo nuove relazioni complementari tra diverse istituzioni, che si uniscono per risolvere i problemi abitativi esistenti sul territorio. L’obiettivo è quello di affermare che il problema degli alloggi e della rigenerazione urbana, non sia da ricondurre a un solo comune, ma debba esser visto bensì come un problema globale che possa colpire qualsiasi zona. Meccanismi di coordinamento e di cooperazione sono definiti come importanti strumenti per poter attuare il programma in questione. Con il Prohabita si va ad operare in situazioni eccezionali, per dar sostegno alle famiglie bisognose, le cui case sono distrutte da calamità o disastri naturali o per coloro che hanno bisogno di alloggi in breve tempo, perché vivono in tende o edifici simili che sono stati oggetto di demolizione. Sono inoltre presi in considerazione i sostegni alla riabilitazione di alloggi sociali degradati e la creazione di attrezzature di sostegno, in questi complessi residenziali, in assenza o insufficienza di impianti urbani di uso collettivo. Sono ammissibili i finanziamenti, nell’ambito degli accordi di collaborazione conclusi sotto l’ Prohabita, dei seguenti enti ed istituzioni: • le regioni autonome, i comuni e le associazioni di comuni concedenti gli accordi di collaborazione; • i servizi dell’amministrazione pubblica, enti pubblici ed enti
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commerciali con incarichi nel campo di applicazione territoriale delle regioni e con delle competenze autonome per promuovere la gestione sociale e abitativa; • aziende pubbliche regionali e comunali, da o per conto della propria regione o del comune, nei termini legali o statutari, che possiedono il potere necessario per la sottoscrizione del finanziamento, compresa la pratica di tutti gli atti ad esso connessi. Hanno accesso al premio di abitazioni all’interno delle Prohabita famiglie che soddisfano le seguenti condizioni: • se la famiglia è considerata bisognosa ai sensi del Decreto-legge n° 135/2004, del 3 giugno, in seguito modificato dal Decreto-legge n° 54/2007 del 12 marzo; • se nessuno dei suoi membri è in possesso, a qualsiasi titolo, di altre abitazioni nell’area metropolitana della contea di suo alloggiamento o in un comune limitrofo, ne registrato ai fini fiscali, previdenziali o altre residenze permanenti nel territorio nazionale; • se nessuno dei suoi membri usufruisce del sostegno finanziario pubblico per scopi abitativi. Gli abitanti di Bairro da Torre nel tentativo di accedere a questo Programma “risolutivo” riscontrarono numerosi problemi: mancanza di documenti necessari da presentare ai proprietari delle abitazioni per concludere la trattativa, prezzi d’ affitto impeditivi in relazione al reddito di molte famiglie (sovente gli affitti superavano di fatto i 400 euro) che non erano in grado di pagare le mensilità e il deposito cauzionale ed infine alcune famiglie che hanno subito discriminazioni raziali da parte dei proprietari. Il Prohabita in questa situazione non ha giovato alle famiglie residenti, se non solo per i
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due anni di sostegno finanziario, dopo i quali una parte considerevole degli abitanti, non essendo in grado di mantenere l’abitazione, ritornarono per la strada. Le demolizioni continuarono e ripresero ufficialmente il 18 di Ottobre, non promettendo di fornire una soluzione a coloro che non erano iscritti al PER. La Camera in compenso cercò una soluzione per le 20 famiglie con situazioni più gravi e maggiormente instabili. Il processo di smantellamento del Bairro è quindi continuato, con numerose interruzioni e proteste da parte della popolazione. Il dialogo proseguiva tra demolizioni e manifestazioni, arrivando fino ad oggi. La popolazione del Bairro da Torre è diminuita, ma la realtà del Bairro continua ad esistere. Il Bairro si presenta oggi come una landa desolata, si possono vedere numerose macerie delle baracche già demolite, le quali però non sono state rimosse; l’organizzazione del Bairro non è più visibile e il senso di comunità è molto precario. Parlando con Mario, un residente che risiede qui da 20 anni, mi è stato raccontato che sono presenti numerosi conflitti interni, la camera nuovamente ha tagliato la luce e loro sono costretti a riscaldarsi col fuoco, che spesso comporta un grande pericolo per le baracche, costruite con materiali poveri e di riciclo. Mario racconta come la sua baracca a causa del fuoco si sia già bruciata e distrutta una volta. (Appendice n°2)
“Non abbiamo la possibilità di far crescere i nostri bambini, non possiamo dargli riscaldamento, vogliamo manifestare ma non c’è coesione tra noi, nessuno ci considera” Le abitazioni si presentano estremamente precarie, alcune sono realizzate con legno e sacchi della spazzatura, altre riescono ad
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avere un muro in mattoni. Lamiere accatastate si accumulano, assi di legno sono tenuti insieme con connessioni tremolanti e instabili. Ciascun rifugio non possiede più di tre suddivisioni interne, i più fortunati possiedono elettrodomestici. Le strade sono sterrate, i bambini giocano tra gli arbusti e le macerie. Dal 2011, osservando delle foto aeree e comparandola con la situazione attuale, possiamo notare come il baricentro del lotto si sia spostato e duplicato; lo spazio aperto abbia preso una posizione di maggior rilevanza e come la logica di dismissione sia l’unico sistema che regoli questa realtà. Il contrasto è molto forte, le baracche si stagliano in opposizione all’aeroporto e alle grandi industrie. Passanti camminano sul ciglio della strada, che si affaccia direttamente sul Bairro, non curanti della realtà che si staglia di fronte ai loro occhi, come se ormai fosse diventata la normalità. Alcuni vedendo giovani studenti addentrarsi nel quartiere sorridono, altri si avvicinano per consigliare di allontanarsi. La popolazione però si presenta “accogliente” o meglio, non curante della mia presenza. La chiusura è netta da ambo le parti. Alcuni si avvicinano chiedendo la ragione della visita, altri si limitano a guardare con sguardo interrogativo. Una piccolo gruppo si stizzisce per la mia presenza e lancia una mela. Questo caso studio presenta una delle tante possibilità d’intervento all’interno di una realtà di Bairros clandestinos e testimonia come il ri-alloggiamento spesso non porti alla soluzione del problema in mancanza soprattutto di studi sociali opportuni che guardano alle necessità reali delle persone, a un miglioramento, se non per un breve lasso di tempo. In questo caso non ha fatto altro che accentuare il senso di non appartenenza a una comunità, di essere
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completamente invisibile. Si è andata accentuando il senso di segregazione urbana e razziale. I residenti continuano nonostante tutto a non arrendersi, continuano a lottare per i propri diritti e persistono nel combattere la loro lotta per diventare visibili e per divenire riconoscibili e parte della società dove ormai abitano da decenni. (Appendice n°3)
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Particolare costruzione in Bairro Terras da Costa, Costa de Caparica
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BAIRRO TERRAS DA COSTA, COSTA DE CAPARICA, ALMADA In parallelo non si può generalizzare la situazione, in quanto altre realtà clandestine e illegali, che ho avuto modo di studiare e visitare, presentano delle situazioni completamente differenti. Diversi strumenti di intervento sono stati utilizzati e hanno portato a un miglioramento concreto della situazione della popolazione residente. Questo è il caso ad esempio di Bairro da Terras da Costa, nella municipalità di Almada, a Sud del fiume Tejo. Bairro Terras da Costa si presenta estremamente vicino alla realtà cittadina di Costa de Caparica (10 minuti a piedi dal centro), che per paradosso, risulta una delle città della municipalità di Almada, che per maggioranza è animata da sentimenti politici di destra, con una delle maggior percentuali di adesione. È presente un forte
Bairro Terras da Costa, 2001; Google earth
contrasto e “parallelismo” tra le due realtà, che sono connesse miseramente da una vecchia strada rurale senza alcuna tipologia di pavimentazione, nella totale o quasi non curanza l’una per l’altra. Il Bairro sorge su un terreno che, da Piano Regolatore, è classificato come riserva ecologica e agricola naturale (REN/RAN), circondato da campi e impianti di irrigazione. È un luogo tutto sommato permeabile che non presenta forti barriere ma che allo stesso tempo è chiaramente isolato dalla realtà cittadina. Il Bairro presenta delle abitazioni con materiali di fortuna , ma strutturalmente migliori rispetto a quelle di Bairro da Torre. Nel centro focale del “quartiere” si trova un piccolo spazio ristoro, bar
Bairro Terras da Costa, 2017; Google earth
con tanto d’insegna “Cafè Fim Danoity” e subito a Sud è presente un punto di raccolta rifiuti per quanto precario. C’è coesione. Il Bairro nel complesso presenta un’organizzazione più definita rispetto alla realtà di Camarate, è presente un’infrastruttura seppur
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minuta, un senso di comunità. Bairro Terras da Costa vede la sua origine 30 anni fa circa e mostra attualmente 800 abitanti, 250 famiglie in tutto, per la maggior parte di origine Capoverdiane e Rom, con un buon 45% che presenta un’età inferiore ai 18 anni. In altre piccole percentuali si trovano persone che arrivano dalla Guinea Bissau e dall’Angola. Il numero di abitanti non rimane prettamente stabile e costante, ci sono numerose nascite e spostamenti di popolazione, soprattutto nel periodo estivo con l’arrivo di famigliari e amici. Non si hanno notizie certe relative alla nascita di questo Bairro, ma dalle foto aeree della zona si può notare un agglomerato di baracche propriamente consolidato, come ai giorni nostri, a partire dal 2001. Una buona parte della popolazione maschile lavora nelle costruzioni edili mentre le donne principalmente lavorano nel campo dei lavori domestici. È presente però, come spesso accade in realtà molto povere, una buona percentuale di persone che lavorano nello spaccio di droga e in attività illegali; nel 2013 venne a stabilirsi nel Bairro una piccola comunità brasiliana che agiva nella più profonda illegalità e che di fatto non instaurò nessun tipo di legame e contatto all’interno del Bairro, ma dopo un anno circa scomparve nel nulla. Gli immigrati vengono in Portogallo per cercare delle situazioni favorevoli per la conduzione di una vita migliore, ma si trovano spesso, una volta arrivati, a doversi scontrare con un alto tasso di disoccupazione e di esclusione sociale. Molti abitanti del Bairro hanno fatto domanda per poter usufruire dei programmi di abitazione sociale alla Camera Municipale di Almada, ma la lista d’attesa è molto lunga. Le case si presentano molto precarie, alcune, le più fortunate,
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presentano semplici muri realizzati con laterizi e calce, ma senza alcuna tipologia di rivestimento esterno o interno; le “pareti” perimetrali, con spessori inferiori ai 15 centimetri, sono realizzate con materiali poveri e di fortuna, compensati, legnami o lamiere. Tutte le abitazioni hanno delle coperture non adeguate, che puntualmente durante i periodi di pioggia tendono a cedere distruggendo le abitazioni e necessitando di un’ulteriore ricostruzione. Le metrature minime necessarie per normativa non sono rispettate e tutte le abitazioni sono soggette ad un sovra-utilizzo. Fino al 2012, anno di intervento da parte dell’ateliermob, il Bairro non possedeva né l’attacco all’elettricità né tantomeno l’attacco all’acqua potabile, la prima fonte riscontrabile era a un chilometro di distanza. Il Bairro presentava ingegnosi sistemi di raccolta di acqua piovana, che furono ideati per cercare di far fronte a tale problematica: una collaborazione a rotazione era presente per andare a prendere l’acqua e ridistribuirla all’interno tra i moradores. La mancanza di acqua potabile, aggiunta alle numerose difficoltà fisiche ed economiche, creò il presupposto di una formazione di una vera e propria organizzazione interna e a un associazionismo, atto a far nascere una fitta rete di aiuto reciproco nelle pratiche di auto costruzione e miglioramento delle case, per prendersi cura dei bambini nelle ore lavorative e infine per cercare di instaurare delle relazioni con gli enti pubblici pressando per l’ottenimento dell’aggancio all’acqua potabile (djunta mon). Il Bairro non presenta nessuna tipologia di pavimentazione, se non per brevi tratti, quasi tutti i camminamenti sono in terra battuta. Lo spazio presenta una permeabilità abbastanza accentuata, non ci sono nelle immediate vicinanze grandi barriere che la separano dalla realtà cittadina, tuttavia qui è la natura che fa da “sparti ac-
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que” isolando la baraccopoli dal resto della città. Il Bairro si manifesta compatto e con un’apparente organizzazione interna, con strade, numeri civici e spazi ristoro. La suddivisione per differenze demografiche anche qui è presente creando delle realtà separate l’una dall’altra. Nel 2012 l’ateliermob, cominciò a lavorare nell’abito del workshop “Noutra Costa”, promosso dal Dipartimento di Architettura (DA/ UAL) e dal il Centro di Studi di Architettura, Città e Territorio (CEACT/UAL) dell’Università Autonoma di Lisbona, si presentò per il Bairro un’enorme e importante possibilità. Lo studio di architetti decise di agire con due progetti, uno realizzabile a breve termine e l’ altro attuabile su lungo termine. Fu presente una buona collaborazione con alcuni dei rappresentanti dell’UAT e alcuni membri delle Fronteiras Urbanas, un progetto accademico focalizzato sull’ alfabetizzazione degli abitanti del Bairro, con l’intento di iniziare una mediazione con le autorità pubbliche e migliorare le condizioni di vita degli abitanti. Inizialmente l’ateliermob, con la co-partecipazione di alcuni studenti, ebbero l’idea di realizzare un campo da calcio e organizzare una partita tra la comunità e il comune, ma nessuno si presentò. Tiago Saraiva, uno degli architetti dello studio, racconta che fu proprio in quel momento che una delle più anziane matriarche del Bairro, Dona Vitoria, suggerì loro di realizzare una cucina comunitaria, per poter garantire l’arrivo dell’acqua, che rappresentava uno dei problemi maggiori. Si cercarono numerosi finanziamenti per la realizzazione del progetto. Un ingente sostegno finanziario, esattamente 30.000 €, venne garantito dal Programma di Sviluppo Umano della Fondazione Gulbenkian e infine, nell’Agosto del 2013, alcuni membri del collettivo
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francese Exyzt, cominciando lo smantellamento della “Casa do Vapor”, un centro comunitario effimero nella Cova do Vapor nella frazione di Trafaria, offrirono il legno recuperato da tale attività per la costruzione della Cucina comunitaria. In questo modo il progetto ottenne nuovi materiali, ma anche nuove persone interessate al lavoro e nuovi volontari per la sua realizzazione, in particolare i membri del collettivo Warehouse. Per prima cosa si demolirono le baracche vicino alla strada sul confine con la città, che erano occupate principalmente dalla popolazione rom e che presentavano condizioni estremamente precarie e non accettabili. Successivamente con un progetto partecipativo della popolazione si giunse alla progettazione e realizzazione della cucina. Il progetto rappresentava il primo spazio comune, il primo luogo di ritrovo all’interno del Bairro, un luogo dove la popolazione poteva mangiare, fare il bucato e dove i bambini potevano giocare, molti infatti non hanno l’accesso alla scuola per-primaria e passano le loro intere giornate all’interno del Bairro. Nell’Ottobre, il team di progetto composto da ateliermob, Casa do Vapor, Warehouse e la Commissione degli abitanti di Terras da Costa, individuarono il luogo più appropriato per la realizzazione del progetto.
Pianta progettuale
Nel Novembre del 2013, la Camera Municipale di Almada, dichiarò la volontà di accogliere la richiesta di portare gli attacchi dell’acqua all’interno del Bairro. La cucina presenta una sala da pranzo, uno spazio per cucinare, una zona lavanderia e uno spazio polifunzionale. È una struttura lignea con una pianta a ferro di cavallo, aperta su tutti i lati. Alcune abitazioni, le più precarie vennero temporaneamente con-
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solidate; si realizzarono gli attacchi all’acqua potabile e all’elettricità e nacque in parallelo, per l’organizzazione interna del Bairro e per seguire il pagamento di bollette, un’associazione formale: l’AMTC, Associaçao de Moradores Terras da Costa. La cucina comunitaria venne inaugurata ufficialmente nel Dicembre del 2014. L’epilogo dell’esperienza è stato coronato da una mostra allestita nel palazzo turistico di Costa de Caparica, con la collaborazione del Comune di Almada. La volontà da parte dell’autorità pubblica di un’esposizione del lavoro, ha dimostrato come, anche con un Schizzo progettuale
piccolo intervento si possa cambiare le relazioni tra il quartiere e la città. Dando vita a nuovi canali di comunicazione tra residenti e istituzioni locali. Attualmente l’ateliermob, da come si è potuto evincere da un incontro con Tiago Saraiva, sta proseguendo con la seconda fase progettuale, quella a lungo termine. È in programma nei prossimi 8 anni di demolire il Bairro e ricostruirlo, mantenendo e rispettando l’attuale organizzazione interna e le medesime localizzazioni, su un terreno adeguato e urbanizzabile. Si sta cercando di trovare un terreno non troppo lontano dal luogo dove ora sorge il Bairro, perché, come si è detto più volte in precedenza, la localizzazione è molto importante e deve essere non troppo lontano rispetto ai mezzi pubblici e agli accessi alla città. (Appendice n°3) Si stanno raccogliendo numerose interviste e si sta continuando una profonda collaborazione con le famiglie. L’intento di ateliermob è quello di dare nuove abitazioni alle famiglie, realizzandole ad hoc e fornendo in parallelo dei corsi di autocostruzione, in quanto, numerosi abitanti, hanno espresso la volontà di costruirsi la propria abitazione.
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Per alcune famiglie si andrà incontro per tanto alla realizzazione da parte degli architetti dell’intera abitazione; per altri si fornirà solo un modulo “primordiale” che la famiglia andrà poi a implementare a proprio piacimento e in base alle proprie necessità. C’è inoltre l’intenzione di realizzare in quello che sarà il nuovo Bairro, un ufficio tecnico permanente di consultazione per le pratiche di auto-costruzione. La società di Terra da Costa, ha reagito positivamente all’intervento, Il Bairro prima invisibile, ora è al centro di numerosi lavori di ricerca e di indagine; non tutti i problemi sono però risolti. Durval, residente in Bairro Terra da Costa dice: “prima del progetto
Fotografia di Fernando Guerra
della cucina comunitaria, il nostro senso di comunità funzionava molto bene, in seguito al progetto si è verificata un’po di confusione”. Durval sostiene che l’aiuto esterno era necessario ed è stato utile, ma tanto significa anche trovare un equilibrio e una forza interna al Bairro per poter affrontare l’impatto del cambiamento e voler modificare la propria realtà. A testimoniarlo l’architetto Saraiva racconta come siano nati dei piccoli conflitti interni dopo la realizzazione della cucina, riguardo a
Fotografia di Fernando Guerra
chi dovesse o no tenere le chiavi della struttura ad esempio. Quest’Area illegale, risulta per il momento, essere una delle più fortunate sul panorama municipale; il progetto realizzato rappresenta una delle tante tipologie di approccio al problema e forse una degli interventi meno invasivi e rispettosi dei reali bisogni delle persone, non guardando loro come degli individui da soccorre ma bensì come delle persone con dei diritti specifici che, come gli altri, hanno e devono possedere il diritto al lugar, il diritto alla casa. Il successo del progetto e l’apprezzamento da parte dei residenti
Fotografia di Fernando Guerra
è evidente. Dal mio sopralluogo sul posto e confrontandomi con alcuni degli abitanti del Bairro, tutti si sono dimostrati entusiasti del
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lavoro e la struttura viene utilizzata durante l’arco della giornata con regolarità. Dopo l’intervento nel Bairro Terras da Costa lo studio ateliermob è stato contattato da molte altre realtà, tra le quali Bairro da Torre in Camarate, analizzato precedentemente, in seguito al taglio dell’elettricità da parte della municipalità quattro mesi fa; ma anche dal Bairro Jamaica nella comunità di Seixal e da Cova da Mora nella municipalità di Amadora. Questo può essere forse interpretato come un esempio o un punto di partenza per definire una tipologia di approccio verso queste realtà che si stanno facendo sempre più forti e numerose nella realtà portoghese.
INDAGINE FOTOGRAFICA SU BAIRRO TERRAS DA COSTA A COSTA DE CAPARICA, ALMADA
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Due Bairros a confronto
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ACCESSI
Bairro da Torre, Camarate 0
LEGENDA
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Accessi Strade EdiďŹ cato
Bairro Terra da Costa, Costa de Caparica 200
Cucina
0
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DENSITA’ INSEDIATIVA
Bairro da Torre, Camarate 0
LEGENDA
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Alta densità Media densità Bassa densità
Bairro Terra da Costa, Costa de Caparica 200
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INFRASTRUTTURE
Bairro da Torre, Camarate 0
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Strade principali Strade secondarie Sentieri
Bairro Terra da Costa, Costa de Caparica 200
0
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PERMEABILITA’ URBANA
Bairro Terra da Costa, Costa de Caparica
Bairro da Torre, Camarate 0
100
LEGENDA
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0
100
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Barriere Spazio semi-permeabile Spazio permeabile
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SPAZIO APERTO
Bairro Terra da Costa, Costa de Caparica
Bairro da Torre, Camarate 0
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EdiďŹ cato Spazio aperto
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0
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AREE VERDI
Bairro Terra da Costa, Costa de Caparica
Bairro da Torre, Camarate 0
LEGENDA
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100
0
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Verde pubblico Campi agricoli
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APPENDICE N°2: Interviste INTERVISTA N°1: Mario, Bairro Da Torre, Camarate; 10-11-2016
Mi addentro per la prima volta nel Bairro un po’ intimorita e titubante. Sono poche le persone che incontro, ma nessuno sembra curarsi eccessivamente della mia presenza e si allontana velocemente. Continuo a camminare a scattare delle foto indisturbata Ad un tratto sento una voce alle mie spalle e un uomo di piccola statura in portoghese mi chiede che cosa stia facendo. Nel momento in cui gli spiego il mio lavoro e le mie intenzione la sua espressione si addolcisce e mi ringrazia. G: Quanti anni ha? M: 49. G: Da quanto tempo vive nel Bairro? M: Da 10 anni. G: Ha dei figli? M: Si, tre bambini piccoli. G: Di che nazionalità è? M: Sono di origine Rom, ma sono nato in Portogallo. G: Ha ricevuto qualche tipo di aiuto, sovvenzioni da parte dello
stato? M: Per il momento no, ma ho rischiato di perdere la mia casa durante gli interventi di demolizione. Nessuno prende a cuore la nostra situazione, nessuno ci considera. G: Avete accesso ai beni di prima necessità? M: Abbiamo la possibilità di accedere all’acqua, ma la disponibilità
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è molto scarsa. La luce l’hanno staccata 3 mesi fa, ma qui fa fred-
do e dobbiamo scaldarci con il fuoco che spesso rappresenta un pericolo, la mia baracca si è già bruciata a causa del fuoco e ho dovuto ricostruirla da zero. Non abbiamo la possibilità di far crescere i nostri bambini, non possiamo dargli riscaldamento, vogliamo manifestare ma non c’è coesione tra noi, nessuno ci considera. G: Avete un buon rapporto col vicinato? M: No. Non c’è coesione come una volta, adesso ognuno guarda al proprio tornaconto personale. Abbiamo spesso da ridire l’uno con l’altro. G: Avete provato ad avere un contatto o una comunicazione con
la municipalità? M: Si, abbiamo manifestato più volte ma senza nessun successo, manca la coesione tra di noi. G: Pratica una qualche professione? M: No, sono disoccupato.
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INTERVISTA N°2: Maria, Bairro Da Torre, Camarate; 18-01-2017
Durante il mio terzo sopralluogo nel Bairro non appena arrivo vedo una donna di mezza età con due borse della spesa che si avvia verso la baraccopoli. Con calma mi avvicino e le chiedo se gentilmente posso farle alcune domande, lei sorride e annuisce. G: Quanti anni ha? M: 45. G: Da quanto tempo vive nel Bairro? M: Da 8 anni. G: Ha dei figli? M: Si, due. Uno di 8 e l’altro di 6 anni. G: Di che nazionalità è? M: Arrivo da Sao Tome. G: Pratica qualche professione? M: Si, lavoro come badante la sera e come donna delle pulizie durante il giorno. G: Mi sa dire quali sono le nazionalità dei residenti qui? M: La maggior parte di noi africani arriva da Capo Verde e da Sao Tome come me. Ci sono però anche senegalesi, zingari e rom. G: Quante sono le famiglie residenti? M: Circa 70-80. G: Possiede l’attacco all’acqua e all’elettricità? M: La luce manca da 4 mesi, l’acqua è scarsa, devo lavarmi in una bacinella. Non ci sono fognature.
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INTERVISTA N°3: Joana e Luìsa, Bairro da Torre, Camarate; 1801-2017
Poco dopo aver incontrato Maria, mi imbatto in due ragazzine con uno zaino in spalla che stavano tornando da scuola. G: Quanti anni avete? J: Io ho 14 anni. L: 16. G: I vostri genitori lavorano o sono disoccupati? J-L: Disoccupati G: Di che nazionalità è? J-L: Rom G: Avete la possibilità di frequentare la scuola e avere un’educa-
zione? J-L: Si noi andiamo a scuola tutti i giorni. G: Dovete prendere i mezzi di trasporto per andare a scuola? Se si
sono molto lontani? J-L: Si dobbiamo prendere il pullman, la fermata è lontana circa 30 minuti da qui. G: Avete accesso ai servizi sanitari? J-L: Si possiamo andare in ospedale e ricevere cure eventuali G: Se il governo intervenisse vorreste vivere da un’altra parte o
sempre qui? J-L: A noi piacerebbe rimanere qui, è sempre casa nostra.
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INTERVISTA N°4: Tiago Saraiva, Studio Architettonico Ateliermob; 08-12-2016
Dopo il sopralluogo a Bairro Terras da Cosa a Costa de Caparica, sono riuscita a contattare Tiago, uno dei progettisti della cucina comunitaria. G: Come è nata l’idea di intervenire in una realtà come quella di
Bairro Terras da Costa? T: Abbiamo partecipato nel 2012 a un workshop “Noutra Costa” promosso dal Centro per lo studio d’Architettura, città e territorio dell’ Università Autonoma di Lisbona e Frontiere urbane, un progetto incentrato sull’alfabetizzazione e a sviluppare un progetto per il Bairro per poter migliorare le condizioni di abitabilità per i residenti. G: Da quanto tempo è presente sul territorio il Bairro? T: Le prime testimonianze risalgono a circa 30 anni fa. G: Quanta gente abita all’interno del Bairro e di che nazionalità
sono? T: Nel Bairro vivono all’incirca 500 persone di cui il 45% sono di età inferiore ai 20 anni. La maggioranza della popolazione arriva da Capo Verde, nel 2013 si era instaurata una piccola comunità di brasiliani, che credo fossero inseriti nel traffico della droga e che di fatto non si integrò mai nella comunità e dopo pochi anni sparì nel nulla. G: Quando siete arrivati sul posto la prima volta qual era la situazio-
ni che vi siete trovati di fronte? T: Le abitazione dei rom che si trovavano verso la città erano in pessime condizioni, inaccettabili direi, per tanto le abbiamo demolite in parte. Le altre residenze sono ed erano caratterizzate da metrature decisamente inappropriate per il numero di persone che vi
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vivono all’interno. I muri realizzati con materiali di fortuna tutti con spessore inferiore ai 15 cm spesso e volentieri soggetti alla possibilità d’incendio, visto che l’unico mezzo per scaldarsi è il fuoco. I tetti estremamente precari dopo ogni temporale necessitano di riparazioni e interventi. La prima fonte d’acqua si trovava a un chilometro di distanza e non avevano nessun allaccio all’elettricità. G: Com’è nata l’idea della cucina? T: è nata su suggerimento di una delle residenti ed è subito stata presa in considerazione perché ci permetteva di tamponare l’emergenza, portando acqua, elettricità e creando uno spazio di ritrovo e condivisione G: Come sono le relazioni sociali all’interno dei Bairro? T: Sono molto intense, è presente la pratica dello djunta mon e le relazioni in vicinato sono importanti. I tanto in tanto nascono delle piccole dispute e scontri interni, ad esempio una volta concluso il progetto della cucina, rimaneva il problema di scegliere una persona a cui affidare le chiavi e a tal proposito ci sono state parecchie discussioni e litigi. G: Il vostro progetto ha un qualche seguito? J-L: Certo! Ora come ora siamo impegnati nella ricerca di un territorio alternativo su cui far sorgere il nuovo bairro. Non possiamo mantenerlo nell’attuale posizione, il territorio su cui nasce è classificato come riserva ecologica e agricola da Piano Regolatore. La vicinanza alla città o come minimo ai mezzi pubblici è molto importante. Stiamo inoltre continuando a rimanere in contatto con i residenti e ci stiamo rapportando personalmente con ogni singola famiglia, cercano di individuare specificamente le necessità di ciascuno. Alcune famiglie hanno richiesto di poter costruire la propria abitazione, altri ci hanno lasciato carta bianca. La nostra idea e di fornir loro un “blocco primordiale” lasciando, per chi l’ha richiesto,
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la possibilità di poterlo ampliare a proprio piacimento e in base alle personali necessità . Vogliamo inoltre prevedere un ufficio da noi gestito che rimanga sempre aperto, per poter monitorare la situazione e per poter seguire da vicino la costruzione delle baracche fornendo aiuto e consulenze dal punto di vista teorico e pratico. G: In seguito a questo progetto la vostra committenza è in qualche
modo mutata? T: Non del tutto, anche se siamo stati contattati da numerose altre baraccopoli, che richiedono aiuto. Ad esempio Bairro da Torre a Camarate o Jamaica a Seixal.
Si sono riportate le interviste realizzate sul campo, utili strumenti per poter entrare in contatto con gli abitanti delle baraccopoli e che hanno permesso l’approfondimento e la comprensione della vita nel Bairro.
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APPENDICE N°3: LA VITA NEL BAIRRO
Uno dei tanti accessi alla baraccopoli.
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La sosta.
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Il bucato.
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Il bucato e il lavarsi.
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I bambini e il gioco.
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I bambini e il gioco.
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Il fuoco.
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Il fuoco.
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La complicitĂ e la conversazione.
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L’attesa.
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iii. Il Progetto
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Battle of Words, parole chiave della Biennale di Venezia 2016 di Alejandro Aravena; www.domusweb.it
PERCORSO [IN]FORMALE Numerosi sono gli architetti che si sono cimentati nella progettazione relativa all’architettura informale e altrettanto numerose sono le soluzioni individuate e realizzate. Dopo un’estesa e accurata ricerca sui progetti attuati nel panorama informale si possano individuare tre macro categorie a cui poterli ricondurre: progressiva, simbolica e infrastrutturale/ di servizio. La prima categoria menzionata, quella progressiva, nasce dal-
CATEGORIA PROGRESSIVA
la presa visione del progetto Quinta Monroy realizzato a Iquique dall’architetto cileno Alejandro Aravena, con il quale si diede vita ad un nuovo modello insediativo che gli garantì il premio Pritzker nel 2016. L’idea progettuale, fondata sul principio dell’autocostruzione e sulla volontà di dar libertà all’utenza di creare la propria realtà, si limita a fornire delle strutture minime con degli spazi vuoti affiancati, che negli anni successivi prendono forma e si riempiono grazie all’intervento della popolazione. Il progetto architettonico è considerato una strategia di appropriazione del territorio che ammette differenti approcci abitativi, non implicando un ruolo predittivo e prescrittivo, ma facendosi manipolare dai suoi abitanti, ricordando che un progetto si attiva e diventa tale solo una volta che l’utenza lo anima e lo vive, affidando di conseguenza alla figura dell’architetto il ruolo di mediatore. L’architetto Aravena si limita qui a creare e fornire delle semplici linee guida, creando un solido punto di partenza per la futura realtà costruttiva. Il progetto risale al 2001 e venne realizzato nel 2004; nacque dalla necessità di ri-alloggiare 100 famiglie con notevoli difficoltà eco-
Quita Monroy, prima e dopo l’intervento da parte della popolazione; www.elementalchile.cl
nomiche, basandosi su una disponibilità liquida pari a 7.500 dollari. Ogni famiglia ha potuto costruirsi la propria realtà seguendo
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le proprie esigenze e le proprie tempistiche e adattando lo spazio, il materiale e le dimensioni alle proprie possibilità economiche e “temporali”. Quinta Monroy è stata ispirazioni per numerosi altri progetti, tra i quali si ricorda, quello già stato analizzato in precedenza, della Cozinha Comunitària nel Bairro Terras da Costa a Costa de Caparica, il quale prevede la realizzazione di strutture analoghe, una volta individuato un terreno edificabile su cui poter “spostare” la realtà della baraccopoli, basate su una struttura minimale di partenza e una definizione a grandi linee dello spazio, che verrà disegnato e lasciato nelle mani dei suoi futuri abitanti, una volta istruiti riguardo alcuni elementi base di autocostruzione garantendo qualità costruttiva e abitativa. La seconda categoria individuata, quella simbolica, è caratterizzata
CATEGORIA SIMBOLICA SI
da interventi spesso minimali e “mimetici” che si pongono come finalità ultima, sfruttando una partecipazione sociale, quella di creare un senso di appartenenza e di riconoscibilità del luogo. Tra le prime iniziative si ricorda quella di Favelas Painting, progetto fondato nel 2005 da Jeroen Koolhaas e Dre Urhahn (conosciuti anche come HAAS&HAHN), due architetti e artisti olandesi che hanno realizzato numerose opere di street art in tutto il mondo e in numerose realtà informali. Si ricorda ad esempio uno dei loro interventi più famosi, realizzato nella realtà della favelas di Santa Maria a Rio de Janeiro (Brasile), nel quale si è colorato la facciata degli gli edifici che si ergono sul perimetro di una delle piazze principali, Praça Cãntao per una superficie di 7000 metri quadri in totale. L’intento del progetto è stato quello di dar vita con un pretesto a
Rio de Janeiro, Progetto Favelas Painting; www. favelapainting.com
un catalizzatore sociale per il miglioramento dei rapporti di vicinato. Analogo risulta essere quello realizzato dal collettivo madrileno Boa
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Mistura all’interno di una tra le più violenti e difficili realtà brasiliane, Vila Brâsilandia di São Paulo. Dopo aver lì vissuto per due settimane, ospiti di famiglie locali, i membri del collettivo hanno individuato alcuni punti strategici nei vielas, strade scalinate che si oppongono ai Becos pianeggianti, considerati non sicuri e bui dalla popolazione; sfruttando il processo dell’anamorfosi (immagine frammentata che prende forma solo posizionandosi in un determinato punto prospettico), con un’ unica stesura di colori accesi sono state dipinte alcune parole di speranza usate con ricorrenza nella baraccopoli: amor, beleza, doçura, firmeza, màgica, orgulho, poesia. L’iniziativa fa parte di un progetto partecipativo chiamato “Luz nas Vielas” (la luce nei vicoli) nato con l’intento di rafforzare i vincoli umani all’interno delle realtà più povere, creando un senso di appartenenza ad un luogo e cercando di innescare come input un cambiamento e un messaggio di speranza. Sempre in questa categoria, per quanto si discosti dai due esempi precedenti, si ricorda il progetto realizzato nel 2010 nella favelas no Alto do moro do Vidigal a Rio de Janeiro in Brasile, dalla comunità della favelas insieme all’architetto Pedro Enrique de Cristo. L’intervento si è basato sulla realizzazione di spazi verdi pubblici, di raccolta d’acqua, di ritrovo e agricoltura fronteggiando contemporaneamente uno dei grandi problemi che affiggeva la realtà, l’immondizia. Grazie a un’attiva partecipazione della popolazione residente si è ripulita la favelas dai rifiuti che sono stati utilizzati per creare qualcosa di nuovo e funzionale. L’idea di convertire la zona di deposito immondizia in un parco ecologico nacque su iniziativa di due residenti: Mario Quintanilha e Paulo Cesar de Almeida. Dopo un periodo di raccolta e smaltimen-
São Paulo di Brasile ,Progetto Luz nas Vielas; http://www.boamistura.com
to rifiuti durato 6 anni, durante i quali sono state rimosse 16 tonnel-
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late di immondizia liberando un’area di 8,5 mila metri quadri, ebbe inizio un altro lungo processo, quello di ri-coltivazione dell’area, che portò la zona a diventare la prima foresta “agricola” di Rio. Il parco accoglie oggi giardini, orti comunitari e spazi per l’intrattenimento e ha ricevuto alcuni premi internazionali attirando numerosi visitatori. Altrettanti sono i progetti che si possono ricondurre all’ultima categoria infrastrutturale/ di servizio, spesso caratterizzata da progetti che nascono in forte contrasto con la realtà in cui agiscono, carat-
CATEGORIA INFRASTRUTTURALE
terizzati da una notevole tecnologia e da costi elevati. Tra questi ricordiamo Forest of Hope di El Equipo Mazzanti e la Scala mobile della speranza di Cesar Hernandez. Forest of hope è un progetto che nacque nel 2011 a Cazucà in Colombia, commissionata dalla fondazione Pies Descalzos. Si presenta come un centro sportivo dove si possono praticare differenti e svariate attività sportive e prender parte ad attività accademiche e ricreative che inducano la comunità ad essere cooperativa. L’area progettuale è molto depressa e i servizi pubblici sono pressoché assenti, la sicurezza notevolmente compromessa, diventando rifugio per numerose persone con difficoltà economiche o che arrivano da paesi in guerra. Forest of hope è un progetto aperto, modulare, in grado di ampliarsi e “spostarsi”. L’area progettuale di circa 1744 metri quadri è sormontata da 700 metri quadri di struttura spaziale che rievoca un fila di alberi. Ogni modulo è un poliedro a 12 superfici. La Scala mobile della speranza invece è un progetto di urbanistica
Cazucà, Progetto Forest of hope; http://www. elequipomazzanti.com,2011
promosso e finanziato dal Comune di Medellìn in Colombia, in particolare in Comuna n°13, considerata una delle parti più pericolose della città famosa per il narcotraffico. Il progetto rappresenta solo una piccola parte di un grande piano urbanistico che viene definito
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pianificazione sociale, prevedendo l’inserimento di infrastrutture nei quartieri più marginali della città garantendo a tutti l’accessibilità ai servizi e alle risorse, creando di conseguenza unione e cooperazione tra i cittadini. A tal proposito nel 2011 è stata inserita una serie di 6 scale mobili concatenate e lunghe rispettivamente 385 metri. Queste infrastrutture permettono di inerpicarsi lungo le ripide pareti collinari, permettendo la “scalata” in soli 5 minuti invece dei 35 minuti che si impiegherebbero a piedi. Questo intervento per quanto minimale, ha creato speranza nella popolazione mettendo in contatto zone delle città che prima erano in completo isolamento e ha dato inizio ad un processo di riqualifica graduale della zona. Tutti i progetti nonostante presentino caratteri differenti e possano essere classificati in modo diverso hanno una caratteristica in comune: tutti pongono la propria attenzione sulla popolazione, il cui coinvolgimento è visto come chiave del successo progettuale e considera il valore dell’architettura in base a ciò che riesce a produrre. La mia ipotesi progettuale, nella quale ho cercato di tener conto degli aspetti positivi e negativi dei progetti analizzati, potrei collocarla tra la categoria simbolica e quella infrastrutturale, anche se forse potrei provare a definirla con una nuova categoria. Medellìn (Colombia), La scala della speranza, foto di Action Press, 2015
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BE [IN] COMFORT
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BE [IN] COMFORT Come si evince da quanto analizzato precedentemente risulta chiaro come la presenza degli insediamenti informali nelle realtà cittadine non possa più essere ignorata e che ciò comporti un approccio diverso allo studio della città nonché alla progettualità urbana. Quale ipotetico scenario d’intervento è stato scelto la realtà di Bairro da Torre a Camarate, dove l’intervento statale non ha portato a soluzioni concrete ma ad una notevole dispersione. Il mio intento è stato quello di ridefinire in qualche modo la città europea e pertanto di creare una connessione tra le due realtà urbane, quella più formale e quella informale. Il progetto proposto non è finalizzato a risolvere direttamente il problema dell’abitazione e del diritto alla casa, bensì a promuovere una connessione e un incontro graduale tra le parti coinvolte, rappresentando un passo preliminare. L’intento è quello di dar vita ad una zona filtro, una zona d’incontro che si concretizzi con un progetto lineare che prenda vita nella strada sterrata che divide la baraccopoli dal quartiere residenziale, che rappresenta metaforicamente e materialmente una barriera e un limite tra le due realtà. Dopo un’attenta analisi delle necessità del luogo e riflettendo su quali fossero le prime necessità in questo spazio anomalo, si sono individuati tre principali obbiettivi progettuali: l’approvvigionamento d’acqua,l’agricoltura di sussistenza e il gioco.
L’acqua Partendo dal presupposto di voler intervenire con azioni non particolarmente dispendiose, poiché la realtà della baraccopoli rappre-
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senta uno scenario temporaneo che in un futuro potrebbe anche non esistere più o collocarsi altrove, si è svolta una ricerca su possibili strumentazioni atte a risolvere uno dei principali problemi della zona, ovvero l’acqua. Il progetto Warka water, messo a punto dallo studio Architecture and vision dell’architetto italiano Arturo Vittori, presentato alla Biennale di Venezia nel 2012, potrebbe rappresentare una valida soluzione. Warka water è un progetto che cerca di catturare l’acqua dove i metodi convenzionali non sono disponibili. La struttura cattura la maggior quantità possibile dell’umidità presente nell’aria, condensandola quando entra in contatto con le superfici lineari della torre e conducendola al serbatoio sottostante che la mantiene fresca. Ciò che permette a questo progetto di superare la dimensione tecnica della raccolta dell’acqua è che esplora la capacità di diventare anche spazio sociale e fonte d’identità per un villaggio. La dimensione necessaria per l’acquisizione di una quantità rilevante di umidità si risolve in una struttura monumentale in grado di trasformarsi in un punto di riferimento. La forma diventa un elemento del luogo, potente e memorabile e allo stesso tempo un dispositivo tecnico e cartolina di una città. Il progetto nacque con l’intento di arginare il problema della siccità in Etiopia, per tanto si arrivò alla realizzazione di una struttura, ispirata al mondo naturale. Molte piante e animali hanno sviluppato capacità uniche di raccogliere l’acqua dall’aria e sopravvivere in ambienti ostili. Dallo studio per tanto del coleottero Namib, delle foglie del fiore di loto, delle tele di ragno e del sistema di raccolta della nebbia dei cactus si sono identificati una serie di materiali che facilitino la condensazione e il flusso d’acqua, nonché la capacità della superficie di stoccaggio. La forma dei termitai invece ha inspirato la forma del guscio
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esterno della struttura integrando le tecniche etiopi di cesteria. La struttura si basa fondamentalmente su tre fenomeni naturali: condensazione, evaporazione e gravità e non necessità di elettricità ma si limita a sfruttare lo sbalzo termico tra il giorno e la notte, raccogliendo allo stesso tempo nebbia, rugiada e acqua piovana. La manutenzione necessaria è minima e la realizzazione veloce. Lo scheletro esterno è realizzato con il bamboo, mentre la maglia interna è realizzata con semplice nylon. Il progetto è interamente ecologico e pensato per non lasciar nessuna traccia sul terreno in seguito ad eventuale smantellamento. Sfruttando il clima atlantico del Portogallo e prendendo visione di alcuni dati statistici riportati, si è pensato di inserire nell’area d’intervento due di queste strutture che assumono la funzione di elementi chiave dell’intero progetto. La torre dell’acqua, in questo caso, è al tempo stesso parte di una infrastruttura ed elemento iconico, una sorte di totem utile, pensato anche come fattore di miglioramento sociale. Da un lato utilizza l’alta tecnologia per catturare l’acqua; dall’altra è un dispositivo a bassa tecnologia in grado di innescare un senso di appartenenza al luogo e alla comunità.
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RACCOLTA D’ACQUA GIORNALIERA
PORTATA DELLA CISTERNA
COSTRUZIONE
3000 L
10 giorni/ 10 persone
ASSEMBLAGGIO
PESO
COSTI
2 ore / 10 persone
80 Kg
1000 E
50 - 100 L
SUPERFICI Mesh: 30 mq Collettore: 8.1 mq Canopy: 10 m
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MANUTENZIONE Facile da mantenere e da pulire
DIMENSIONI Altezza: 9 m Diametro 3,7 m
ANTENNA: Gruppo di antenne ancorate alla struttura con elementi argentati sulle estremità per riflettere la luce e allontanare gli uccelli. STRUTTURA: Suddivisione in spazi triangolari realizzati con cornici in bamboo, garantendo allo stesso tempo robustezza e forza strutturale mentenedo complessivamente il peso molto leggero e la struttura stabile.
TETTOIA: Realizzata per creare giochi di ombra e spazi di condivisione e communità. CORDE: Corde poliestere dalla conformazione triangolare, per conferire stabilità alla struttura alta e libera e ancorarla al terreno.
COLLETTORE: Canalizzatore dell’acqua nella cisterna con la funzione di condensatore di rugiada.
MESH: Maglia permeabile che, permettendo all’aria di entrare, cattura l’acqua al suo interno sottoforma di goccioline che scendono verso il basso sfruttando la gravità. IMBUTO: Sistema di filtraggio.
WATER TANK: Cisterna con capacità portante da 3000 litri. BASE: Blocco di pietra che assume la funzione di piatta187| forma di sostegno.
BAMBOO
MESH (maglia di rete)
CORDE DI POLIESTERE
SPAGO
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RAFFREDDAMENTO RADIATIVO ACQUA PIOVANA
ARIA UMIDITA’ E CONDENSAZIONE
RACCOLTA NEBBIA
CONDENSAZIONE RUGIADA RACCOLTA ACQUA
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TEMPERATURE MASSIME E MINIME 30 25 20 15 10 5 0 G
F
M
A
M
G
L
Max
A
S
O
N
D
S
O
N
D
Min
PRECIPITAZIONI (mm) 120 100 80 60 40 20 0 G
F
M
A
M
G
L
A
PERCENTUALI D’UMIDITA’ 90 80 70 60 50 40 30 20 10
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0
www.ine.pt G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Lo scambio, la mobilità e l’ombra Nella zona centrale della striscia si è pensato poi di realizzare quattro piccole strutture scatolari, che assumano la duplice funzione di luoghi di ritrovo e gioco e spazi d’ombra, che funzionano da “bussola” inquadrando e proponendo delle viste obbligate e indirizzate verso le realtà urbane che si intenderebbe avvicinare: una struttura sarà dunque orientata verso la baraccopoli, una verso la zona residenziale e due che rispettivamente guardano verso le due torri dell’acqua. Essendo lo scopo del progetto principalmente quello di potenziare il senso di appartenenza ad un luogo creando una sorta di consapevolezza cittadina e di integrazione, partendo dal presupposto che la realtà della baraccopoli stessa sia di variabile e temporanea, si è voluto dare maggior importanza all’utenza e alle sue potenziali attività piuttosto che alla struttura progettuale di per sè. Ci si è limitati pertanto a suggerire possibili scenari nei quali lo spazio fluisce liberamente senza forzature, partendo dal presupposto, probabile e plausibile, che questo luogo potrebbe anche diventare uno spazio di conflitto anziché uno spazio d’integrazione. È subentrata a questo punto la naturale suggestione dell’alveare, una struttura estremamente organizzata nella quale le api agiscono indipendentemente e autonomamente, pur tenendo conto le une dalle altre. Partendo quindi dalla forma esagonale delle cellette dell’alveare che rappresenta per antonomasia questa architettura naturale, si è pensato a delle strutture mobili e molto semplici, realizzabile utilizzando materiali “poveri” o di recupero, come ad esempio casseri da cantiere, pallet e tubolari in acciaio, che posso-
Concept progettuale
no assumere funzioni e utilizzi differenti a seconda delle evenienze e necessità della popolazione.
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Gli elementi lignei possono essere esagoni “a terra” o esagoni “aerei”. Se vuoti assumono la funzione di orti urbani se pieni diventano sedute e giochi per bambini; esagoni “aerei” assumono invece funzione di delimitazione dello spazio per lo scambio di merci e di beni oppure possono essere spazio gioco o di ritrovo. La contrapposizione di elementi fissi ed elementi mobili focalizza l’attenzione sull’azione dell’utenza che “attiva” gli oggetti mediante il loro diretto utilizzo in totale libertà organizzativa, ma ponendo allo stesso tempo il presupposto di un servizio aggiuntivo ora assente, che possa implicare un miglioramento della vita e del confort delle due parti coinvolte. Elementi chiave del progetto sono dunque essenzialità, minimalismo e autogestione che in fondo non sono altro che elementi che caratterizzano da sempre la realtà fantasma delle baraccopoli.
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FUNZIONI PRINCIPALI
L’acqua
Il gioco
Lo scambio e l’approvvigionamento
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ELEMENTI FISSI
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ELEMENTI MOBILI
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LIBERO MOVIMENTO
L’acqua
Il gioco
Il djunta-mon
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ELEMENTI A TERRA
Legno Altezze: orti: 60-70 cm sedute: 50 cm giochi: 50,30,20 cm Larghezza: 1,5 m
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ELEMENTI AEREI
Alluminio a incastro Altezza: 2 m struttura bambini 2.5-3 m spazio scambio Larghezza: 1.5 m
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BUSSOLA
Legno Dimensioni: 5x3x3 m
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Djunta mon
Djunta mon
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CONCLUSIONI Le baraccopoli sono un fenomeno molto particolare, rifiuto e prodotto della città. Sono realtà definite informali o classificate come illegali, ma di fatto parte integrante della città stessa, che si manifestano con sempre maggior frequenza, portando con sé nuovi interrogativi, nuove visioni, nuovi problemi e nuove soluzioni. Il fenomeno non essendo più riconducibile a specifiche realtà come l’America Latina o l’Africa, ha ormai acquisito una dimensione tale da non poter più essere ignorato. Le dinamiche che muovono la città sono cambiate così come la sua composizione e le relazioni al suo interno. Si deve a mio parere considerare l’informale, “l’illegale”, il diverso come uno spunto di riflessione, come una nuova opportunità per mettersi in gioco, come una nuova fonte di conoscenza . Camminando per le realtà dei Bairros portoghesi ho avuto modo di toccar con mano i contrasti, i paradossi e le barriere tra le diverse parti. Materiali prendevano vita e forme disparate, una vera e propria città parallela si materializzava di fronte ai miei occhi. Le barriere sui due fronti erano tangibili, le realtà sembravano vivere in totale indipendenza l’una dall’altra. La popolazione, spesso screditata e emarginata, si è mostrata per certi aspetti aperta al dialogo, anche se con titubanza; si poteva percepire la volontà di cambiamento. Ciò mi ha fatto pensare e sperare che sia possibile una comunicazione, un punto d’incontro e che l’architettura potesse e abbia un ruolo determinante per la riuscita dell’intento. Ciò che definisce una |204
baraccopoli è la presenza di abitazioni precarie, auto-costruite e fuori norma. Non posso dire che la mia attenzione sia stata mossa da un sentimento di commiserazione per gli abitanti, perché per quanto siano considerati estranei alla realtà cittadina, ai miei occhi erano cittadini, che come tutti, possiedono dei diritti specifici. Il primo passo per raggiugere l’obbiettivo, di definire la realtà informale come parte della città, potrebbe essere cercare di indagare a fondo il problema, comprenderlo e renderlo famigliare, “formale”, soprattutto in quanto il periodo storico in cui viviamo ci porta a dover affrontare il problema di petto. Il passo successivo potrebbe essere poi quello di sensibilizzare la popolazione, avvicinandosi gradualmente con dei progetti simili a quello illustrato in questo elaborato, senza aver la presunzione che funzioni, partendo dalla consapevolezza che potrebbe trasformarsi anche in un luogo di conflitto, ma che non essendo radicale e forzato, potrebbe anche essere un successo per il lento e graduale processo d’integrazione. Il conflitto è una possibilità estremamente presente, la povertà è una delle realtà più antiche del mondo e le disuguaglianze che da essa derivano sono radicate nella città e nella cultura. È un processo, quello dell’integrazione molto lungo e accidentato, ma a mio parere possibile. La volontà di creare punti d’incontro e alleviare, anche se in misura contenuta, alcuni problemi, anima l’intero progetto, ponendo sotto una luce positiva e propositiva alcune problematiche. La città necessita di essere ridefinita e ridisegnata e per fare
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ciò si deve cercare di ricucire i numerosi poli che costituiscono il tessuto urbano, senza sconvolgere il suo aspetto e le sue dinamiche, rispettando la sua frammentarietà e diversificazione. La baraccopoli non può più essere vista dunque come uno scarto bensì come terreno fertile di cambiamento ed evoluzione, un ritorno in un certo senso alla semplicità e alla funzione primordiale dell’architettura cioè quella della sopravvivenza e della convivenza..
“Ci sono dunque paesi senza luogo e storie senza cronologia;
città, pianeti, continenti, universi, di cui sarebbe certo impossibile trovare traccia in qualche carta geografica o in qualche cielo, semplicemente perché non appartengono a nessuno spazio. Probabilmente queste città, questi continenti, questi pianeti sono nati, come si suol dire, nella testa degli uomini, a dire il vero, negli interstizi delle loro parole, nello spessore dei loro racconti o anche nel vuoto dei loro cuori; insomma è la dolcezza delle utopie” […] “Ecco che cosa voglio dire. Non si vive in uno spazio neutro e
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bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta. Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti e gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose. Ci sono le regioni di passaggio, le strade, i treni, le metropolitane; ci sono le regioni aperte della sosta transitoria, i caffè, i cinema, le spiagge, gli alberghi, e poi ci sono le regioni chiuse del riposo e della
casa. Ora, fra tutti questi luoghi che si distinguono gli uni dagli altri, ce ne sono alcuni che sono in qualche modo assolutamente differenti; luoghi che si oppongono a tutti gli altri e sono destinati a cancellarli, a compensarli, a neutralizzarli o a purificarli. Si tratta in qualche modo di contro-spazi.� (Michel Foucault 2004; pp.11,12)
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v. Bibliografia
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FILMOGRAFIA Ossos, 1997, Pedro Costa, Portogalllo In Vanda’s room, 2000, Pedro Costa, Portogallo
I ricordi del fiume, 2016, Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio,Torino
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