Francesco de Mura - Trinità in Gloria tra Angeli

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xpertise Artista Titolo Datazione Tecnica e Supporto

Francesco de Mura Trinità in Gloria tra Angeli post 1760 Olio su tela (telaio ottagonale) 85,5 x 76 cm. (telaio) Din1ensioni 97,5 x 90 cm. (cornice) Valutazione € 8.000 - 10.000

Firma dell'Esperto in Antichità ed Ogge d'Arte

drm. J)aniele Fiore - Storico dell'Arte ed Fsperto in Antichità ed Oggetti d'Arte Ruolo n.822 - CCL1A diBari Iscrizione n.056 - CTUTribunale di Bari injò@theartadvisor.it ·www.theartadvisor.it


Tra i vecchi insegnamenti di cui ciascuno dovrebbe fare tesoro, c'è quel modo di diI·e candido ed accorato al contempo- che ilwita a non parlar male degli altri, soprattutto se assenti. Parafrasando il concetto iI1 ambito storico­ artistico, possiamo asserire che non bisognerebbe mai argomentare su un dipiI1to quando questo non è stato adeguatamente

all'artista defunto il postumo diritto a scrollarsi queste caligilli di dosso?! Tra le due, per ovvie ragioni narrative, si è deciso di intraprendere la prima, nella speranza. di poter iI1 seguito ritessere la trama del racconto con più vividi colori.

restaurato. Nel farlo, s'iI1eorre spesso in errore, portando argon1entazioni a

Al fine di rendere meno impervio il percorso comune, è bene informare il lettore circa il metodo di osservazione adottato. Si tratta iI1 sostanza di un sin1pat:ico

detrimento di un dipinto o del suo artista, entran1bi "assenti" quando sono

esercizio mentale, volto a modificare la propria capacità cognitiva attraverso una

all'osservatore. Sedimenti vari, figli del "Tempo Pittore" o artatamente realizzati per creare un effetto

serie di"filtri" logici, funzionali a: 1) rimuovere httte le picchiettature di colore identificabili come sedimenti sull'impasto

antichizzante, al pari delle velature (che da provvido reintegro di ablazioni cromatiche,

cromatico (in tal modo la pittura risulta più luminosa);

sconfinano spesso nella vera e propria ridipiI1tura), impediscono alla pellicola

2) intensificare il contrasto tra le zone con cretto a ramificazione uniforme da quelle con

pittorica originaria di fornire le mmune contro argomentazioni alle eventuali

screpolature disomogenee o impercettibili (separando così il sostrato originale dai

supposizioni dell'esperto di turno rendendo, di fatto, il dipiI1to "assente" (e per di più, in questo caso, assente giustificato).

successivi interventi di restauro); 3) riconoscere il ductus pittorico dominante (funzionale a distinguere le lumeggiahtre e

Mi permetto qui brevemente di accennare a tutte le volte in a.ti opere da alcuni definite

piccoli ritocchi dati a corpo -sul pigmento originale- dallo stesso artista, da quelli

"tenebrose", fossero iI1 realtà tele che necessitava.no di una blanda pulitura per

realizzati da"estranei"); 4) identificare il punto luce principale e di

tornare a vibrare delle loro cromie originarie. D'altronde, è bene rammentare quelle situazioni in gli acqull'enti spesso s'imbattono

conseguenza l'ampiezza ed iI1tensità media delle ombre proprie e di quelle portate (utile, anche nel caso di composizioni studiate a

allorquando portano al capezzale del restauratore tele smorte, nella vana speranza

tavolino -come la presente- a marca.re le zone di ridipintura, solitamente caratterizzate da

che quest'ultimo possa "resuscitare" quei vividi colori, impressi nella loro mente dalle parole dell'antiquario, piuttosto che dalla

una certa discontinuità con le precedenti).

tavolozza pittore.

[AWERTENZA SEMISERIA: vivamente il lettore

impiegata

-a

suo

tempo-

dal

poco

sconsiglia abihtato

lavorativa,

all'osservazione dal provare alcuno di questi metodi: problemi visivi, nausea, capogiro,

impongono allo scrivente di porsi davanti al bivio: raccontare la propria versione della realtà, quantunque questa sia offuscata dalle

paranoia e disturbi ossessivo-compulsivi, sono solo ala.mi tra i più comuni effetti collaterali riscontrati.]

Le

circostanze

nebbie del

Tempo,

della

vita

o tacere senza rivendica.re


Come in una sessione di lavoro con Photoshop, una volta creati altrettanti livelli di lettura per ciascuno dei filtri logici creati, ci poniamo ad osservare la loro sovrapposizione. Il conseguente effetto d'insieme, ci indirizza verso le seguenti considerazioni. ✓ Tre su quattro degli Angeli che decorano la porzione superiore, presentano un ritocco nella zona orbitale. Tale accorgimento, verosinlilmente pensato per dare una maggiore intensità agli sguardi, è in realtà in antitesi con il gioco di macchie chiaroscurali, originariamente volute per accentuare la sensazione di :in1perscrutabilità e distanza percettiva rispetto all'osservatore. Per un confronto diretto, si guardi poco più ù1 basso, ai due Cherubini dipinti a grisaglia che osservano Dio Padre. ✓ Occhi, forcella nasale, labbra ed ombra della porzione sinistra di viso e collo del Cristo sono state "rinforzate". In questa zona, hl.fatti, è percepibile una certa diminuzione del cretto pittorico, ù1dice di il1tervento successivo. A ben guardare, si nota una palese as:i.nunetria del volto, con naso e labbra non in asse con occhi a forcella nasale. Questo dato lascia supporre che il viso, originariamente orientato di tre quarti sul lato destro, sia stato modificato secondo una poshua frontale. Viene spontaneo chiedersi: pentimento o ridipintura? Per rispondere al quesito, bisogna comprendere come, quando e perd1é sia stato realizzato questo intervento. L'intensa fase ilwestigativa, volta a cercare termini di paragone al manufatto oggetto di studio, ha svelato come l'ù1tera composizione presenti puntuali richiami agli schemi pittorici di Francesco de Mura1 (Napoli, 1696-1782). l Da qui in seguito si farà menzione utilizzando esclusivamente la "d" minuscola, sulla sçorta della trascrizione utilizzata da Be1nardo

Nelle opere (tante!) a lui riferibili, quali la Trinità nei depositi di Palazzo Barberini Ìll Roma - un bozzetto del 1763 per una tela oggi scomparsa dalla Parrocchiale di Frattamaggiore- ed altre consin1ili, il volto di Cristo è raffigurato di tre quarti ed il1tento a scrutare verso il basso, con1e nel caso del Padreterno della tela il1 esame. Indagini successive hanno appurato come il tipo fisionomico oggetto d'indagine, trovi comunque riscontro in una cospicua serie di opere, realizzate dallo stesso de Mura nell'ultin10 vente1mio della sua quasi settantennale carriera professionale. Fermo restando la plausibilità della prima ipotesi (pentin1ento ), le eventuali asimmetrie riscontrate possono essere attribuibili ad un poco felice ù1tervento di restauro, piuttosto che ad una scarsa din1estichezza del maestrante "demuriano" il1earicato aggiornare la tela al nuovo stile iconografico sviluppato dall'atelier napoletano. È comunque ben difficile osservare quella bocca, senza pensare d1e non sia stata in qualche modo rilnaneggiata. A parte l'effetto "incisivo spezzato o diastèma" dovuto al distacco accidentale del pigmento proprio il1 questa zona, le ampie labbra -un tempo carnose- sono state oggetto di un ilnpietoso maquillage a base di"cerone e rossetto", per ridurne le dimensioni. Tale cosmesi ha portato anche allo spostamento dell'asse della ca1ma nasale creando, al contempo, una certa mescolanza (diciamo così) con la zona perilabiale, dove si intravvede un accenno (svanito ed alopecico) di baffi. Idem dicasi per la barba che, rimaneggiata in maniera confusa con le"nuove" ombre del collo (sempre sul lato sinistro), riduce l'effetto di profondità del viso, appiattendolo.

de Dominici (Napoli, 1683-1759) nella editio princeps -1743- del Tomo IlI delle Vite de' piHori, srnlton·, ed arch;tetti napoletan;.


Ben inteso, stiamo occupando un'intera colonna di testo per sondare una superficie estesa poco più di 9cm2, ma che purtroppo interessa una zona di osservazione privilegiata per lo spettatore. Per svelare la bellezza nascosta di questa tela, gustando appieno della materia cromatica fortemente plastica e costruita per macchie chiaroscurali, bisogna esplorare le zone meno intaccate da interventi successivi. Focalizziamo quindi la nostra attenzione sul nerboruto puttino, ritratto di spalle con la testa di profilo. La composizione, classicheggiante nelle masse muscolari ipertrofiche e nella tensione dinamica (l'infante siede sulle nubi come fosse disteso su un triclinio), riecheggia la plastica di Alessandro Algardi (1598-1654) in uno dei suoi più celebri bronzetti, l'Ercole Bambino che soffoca il Serpente. Di quest'opera si possono facilinente rintracciare nella "rete" tre repliche: una custodita presso Palazzo Corsini in Roma; le altre due (datate rispettivamente 1635 e 1641 circa) presso il Museo David and Alfred Smart di Chicago. Il summenzionato puttino (quelo dipinto, ben inteso), tratteggiato come un piccolo cameo, può essere preso ad esempio dei modi caratterizzanti l'intera opera. L'indagine investigativa si è ben presto ramificata in due tronconi principali. Il primo, volto a trovare termini di paragone ai modelli compositivi; il secondo, mirato invece all'individuazione del tipo fisionomico specifico del Cristo. Nel primo caso si è reso necessario il confronto con un ampio numero di tele di dimensioni silnili alla Trinità in Gloria (ad onor' del vero sarebbe più opportuno parlare in termini di soggetti rappresentati delle stesse dimensioni, a prescindere dalla superficie complessiva del telaio) presenti nella collezione del Pio Monte Misericordia

di Napoli, vero e proprio archivio privato della del nostro e del suo entourage. Il secondo filone d'indagine ha trovato una svolta positiva nella ricerca sistematica di opere mahue del de Mura, afferenti ad un preciso tema iconografico: la Cena in Emmaus. L'accezione "mahua" non è posta a caso, poiché quella cl1e può essere considerata stilisticamente come la più giovane-il piccolo rame statunitense- è datata al 1750. Al fine di comprovare l'ipotesi attributiva, si è dato seguito ad un ulteriore e finale approfondimento d'indagine, mediante il raffronto con almeno un'altra opera, il cui stato di conservazione palesasse evidenti segni di interventi pittorici posteriori. Confrontare, in.fatti, un dipinto non restaurato altri con sosta.nziahnente "musealizzati" (termine che designa quelle opere d'arte restaurate a tal punto da sembrare -all'occhio del comune spettatore­ uscite di fresco dalla bottega del pittore), è un'operazione antiscientifica ed imparziale, in quanto sbilanciata in favore dei secondi. La scelta è quindi caduta su un dipinto aggiudicato da Sotheby's New York il 6 giugno 2013, il San Filippo Neri in Gloria. La tela di 74,3 x 48,9 cm, già attribuita nel 1991 dalla stessa casa d'aste al de Mura, viene per l'occasione riassegnata e confermata su segnalazione di Spinosa. Questi indentifica la Gloria come un bozzetto per l'omonima opera realizzata per la Chiesa dei Gerolamini verso il 1730 (informazioni tratte dalle note del catalogo d'asta; lotto 106). Tutto giusto, tutto in ordine, sarebbe quindi la sola risposta possibile. Quello che la casa d'aste omette di comunicare, è lo stato di conservazione del dipinto, che si presenta svelato (ovvero privo delle velature pittoriche originali), e maldestramente ridipinto nella pare bassa.


fotografica La che riproduzione accompagna il lotto è eloquente nel mostrarci l'impietosa e greve mano che ha di fatto "rimodellato" le forme dei due angioletti svolazzanti, oramai ridotti a goffi fantocci alati che sorreggono rispettivamente una poco comprensibile forma di vegetazione (forse in sostituzione dei gigli, attributo del santo) ed un "cuore al flambé", che non merita altro commento. Al fine di offrire la migliore fruibilità dei dati elaborati, sono state realizzate tre gallerie virtuali, ciascuna suffragata da una serie di ulteriori confronti fotografici in dettaglio. Le illustrazioni selezionate (riproduzioni fotografiche di opere considerate "certe"), offrendo puntuali raffronti ed eventuali spunti per un futuro contraddittorio, diventano esse stesse il perno di una narrazione che, da letterale diventa puramente visiva.

Stante quanto fin qui puntualmente esposto e nell'augurio di poter tornare sul manufatto in esame non appena si dia compimento ad un auspicabile e necessario restauro dello stesso, si certifica quanto segue. Il dipinto, realizzato ad olio su un telaio ottagonale di 85,5 x 76 cm e rappresentante la Tri11ità i11 Gloria tra Auge/i, è a giudizio dello scrivente attribuibile al pennello di Francesco de Mura ed ascrivibile ad un ambito cronologico posteriore al 1760. Tale dat11111 è stabilito sulla base delle affinità stilistico-compositive con il Trionfo di Bacco del Kaiser Friedrich Musew11 di Berlino. Dal confronto con l'opera berlinese ed in mancanza di ulteriori termini di confronto, si tende ad escludere che la Trinità in Gloria sia un bozzetto per una tela di maggiori dimensioni e sia conseguentemente da considerarsi come opera compiuta. La stima proposta di € 8.000 - 10.000 (euro ottomila-diecimila/00) si riferisce, in maniera cauta, al valore dell'opera allo stato presente; non si esclude quindi la possibilità di una eventuale rivalutazione economica a seguito del buon esito del restauro. Addì 25 gennaio 2019.


DE MURA, Francesco di VINCENZO RIZZO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990) DE MURA, Francesco. - Nacque a Napoli il 21 apr. 1696 da Giuseppe (nativo di Scala Salerno - e dimorante a Napoli, alla via Orto del Conte, conunerciante di lane) e da Anna Linguito (cfr. Napoli, Arch. del Pio Monte della Misericordia, Pel Pio Monte della Misericordia contro la Regal Casa Santa dell'Ave Gratia Piena ... 1782, p. 1). Per una controveTSia che sorse alla morte del D. tra la Casa Santa A ve Gratia Piena e il Pio Monte, che beneficiò, per lascito testamentario, dell'intero inunenso patrin10.nio dell'artista (un capitale che raggiungeva la :impressionante cifra di 55.454 ducati, oltre 187 suoi quadri, argenti, carrozze, nonché altre munerose fedi di credito), fu avanzata, da parte dell'Ave Gratia Piena, che pretendeva l'eredità, la versione secondo la quale il D. era stato un trovatello "esposto" alla ruota dell'Arumnziata, battezzato col nome di Francesco e successivamente affidato, perché lo allevasse, ad Andreana Pastore, moglie del lanaiolo Pompilio di Amura (cfr. Causa, 1970, pp.5 2 s.). Per questo il De Dominici (1743) scrive d1e era figlio di Pompilio. Uno scolaro del pittore giordanesco G. Simonelli - vista la prepotente attitudine del piccolo D. al disegno - consigliò di far frequentare al ragazzo la bottega di Domenico Viola, presso la quale egli restò per circa un aimo "istradato con h1tta carità nelli principi del disegno ..." (De Dominici, p. 694). Dopo di che, il D. fu inserito nell'affollato atelier di Frai1eesco Sol:imena - contava poco meno di dodici anni - presso cui restò all'incirca venti armi (dal 1708 al 1729-30).

Fu senza dubbio presso il Solimena - che subito lo piedilesse e lo considerò il più dotato dei suoi allievi - che il D. acquisì, anche sulla scorta degli insegnamenti del Giordano, del De Matteis e del "colorare" di Giacomo Del Po, il suo mestiere e la capacità di un disegno forbito e delicato insieme (De Domini.ci, p. 694). Nel 1713 copiò (da Solimena) un S. Michele arcangelo che scaccia Lucifero per l'abate Zola, maestro di cerin1onia del cardinale Francesco Pignatelli (De Dominici, p. 695) e dipinse, dopo poco, la sua prima opera pubblica, un Cristo morto in croce con s. Giova1mi per la chiesa napoletana di S. Girolan10 delle Monache a Mezzocaimone, opera nella quale refluirono soprath1tto le lezioni di quel tenebrismo neopretia110 inculcatogli dal breve discepolato presso il Viola e dal quale il D. subito si staccò, propendendo, poi, sempre più, per un graduale ed ininterrotto alleggerin1ento, addolcimento e sdliarin1ento di tutta la ga1nma dei suoi colori. Tale processo è già evidente nella sublime Immacolata ed angeli (1715-18 circa), dipinta per la chiesa napoletana delle monache di S. Maria Porta Coeli ai Ma.tmesi ed ath1ahnente, dopo la distruzione di quella dliesa, custodita nella sacrestia del Divino Amore, sempre a Napoli: tela che costih1isce uno dei raggiung:imenti poetici più alti della prima produzione del D., agganciandosi l'opera alle Immacolate del seicentesco Bernardo Cavallino cui il D. dovette sicuramente guardare nella sua attività giovanile (dr. Rizzo, 1978, fig. 1). Sotto tale influsso sono anche da inserire il S. Antonio da Padova della pinacoteca del Pio Monte e la Madonna col Ba111bino e s. Domenico del Museo Duca di Martina (villa della Floridiana) di Napoli, nonché la tela di stesso soggetto presso il napoleta110 Monte Man.so di Scala, tutte opere però in cui già sono evidenti gli in1peti rococò, densi di reflussi


giordaneschi, non scevri di bagliori dorati, che furono propri del Giordano. Ad attestare ancora di più la grande lezione di Giordano c'è la tela di S. Oronzo che predica (Napoli, S. Pietro a Maiella, cappella Marescalli), eseguita nel 1723, il cui bozzetto è nella sacrestia della cappella del Tesoro di s. Gennaro, nel duomo di Napoli (cfr. Catello, 1977, p. 51). Verso il 1723 dovettero essere dipinte le tre tele per la cappella di S. Paride nella cattedrale di Tem10.1 rappresentanti S. Paride che uccide il dragone, La fuga in Egitto e S. Martino che dona il mm1tello al povero, commissionategli dal vescovo G. Martino Del Pozzo, che fece costruire la cappella (cfr. De Monaco-Zanone. La cattedrale di Tem10, Tem10 1965, pp. 47 ss., tavv. XXII, XXV, XXVI). Ben presto la committenza più sofisticata cominciò ad accorgersi dei D. e si ebbero le prime richieste degne di nota, che dettero più tardi lo spunto al Solimena per una ingiustificata gelosia di mestiere. Il ricchissimo Bartolomeo De Ma.io per il suo splendido palazzo alla Smlità commissionò al D., per 255 ducati, nel giugno 1727, quattro quadri di sm1ti protettori dei quali parla anche tl De Dominici (p. 695; Rizzo, 1978, p. 109, doc. n. 1). Di quest'mmo è m1d1e la tela fim1ata e datata con Ilsacrificio di Ifigenia, oggi a Providence nel Rhode Island School of Design Museurn of Art (cfr. ibid., p. 108, fig. 22). Per il rifacinlento settecentesco della chiesa napoletm1a di S. Maria Dmmaromita, la badessa Elena Giudice, nel 1727-28, pagò al D. ben undici tele per decorare l'intera navata del tempio (dieci Virtù e una grande Adorazione dei magi sovrapporta), che si pongono come l'anticipazione diretta - per bellezza di colori chiari e trasparenti e per una più intensa e

commossa orchestrazione compositiva dell'affresco di medesimo soggetto per la chiesa della Nunziatella che il D. eseguì quattro mmi più tardi (cfr. ibid., pp. 102 s.). Nel novembre del 1727 sposo Alma d'Ebreù, m1dm1do ad abitare sul colle di S. Efremo Nuovo (cfr. Ceci, 1933, p. 107). Quasi certamente è dello stesso a1mo lo splendido Ritratto di do1ma (Napoli, Pina.e. del Pio Monte della Misericordia) in cui il D. raggiunse il cuhnine della sua capacità sia di ricerca della introspezione psicologica sia di atteggiamento del più saporoso rococò (dr. Rizzo, 1978, p. 99). Anche del 1727 sono l'affresco con l'Assunzione della Vergine e le tele con la Pietà e l'Adorazione dei pastori per la sacrestia dell'Annunziata di Airola (ibid., p. 'fl, figg. 5-8). Nel 1729, insieme con lo stesso Solimena e con D. A Vaccaro, diede disegni (d1e sarmmo incisi da A. Baldi) per il volume del mard1ese di Canunarota (un imitatore napoletm10 di Comeille e Racine) su Le tragedie cristiane. Contemporm1emnente pose mm10 alle tele e agli affreschi per la cappella di S. Nicola di Bari, nella d1iesa dedicata al santo a via Toledo, su commissione dei padri pii operai, dove, quattro aimi più tardi, nel 1733, affresd1erà m1che la cupola maggiore, per 500 ducati (dr. ibid., doc.VIII) rappresentando Iltrionfo di s. Nicola e santi vescovi, dipinti tra finestrone e finestrone. I bozzetti per gli affreschi nella cupoletta della cappella si conservano nella Pinacoteca del Pio Monte della Misericordia e sono importanti sia perché gli affreschi sono molto rovinati sia perd1é quest'opera riveste un significato particolare tra i lavori della giovinezza dei De Mura. Infatti, a parte la veemenza della descrittività degli eventi miracolosi, vi è una orchestrazione compositiva degna del miglior Giordano e del più composito Solimena, ma, nello stesso tempo,


una raffinatezza espressiva e una politezza cromatica d1e già stavano alla base delle peculiarità stilistiche del De Mura. Per le nobili monad1e di S. Giuseppe dei Ruffò, realizzò "un dipinto nel primo mmo d1e, uscito di scuola, si ritirò a dipingere nella sua propria casa... " (De Dominici, 1743, p. 703). I gesuiti, che inh1irono perfettamente l'eccezionalità del suo temperamento e del suo talento, non solo lo considerarono degno del raro privilegio della promessa di sepoltura nella dliesa della Nunziatella, ma lo sollecitarono and1e per varie opere da mandare fuori d'Italia. Infatti, nel settembre 1730, attraverso il gesuita G.A. Sepes, padre generale in Terrasanta, il D. inviò - per decorare la chiesa della Natività di Gemsalemme - quindici quadri rappresentanti i Misteri della Vergine e della Passione di N.S., nonché uno con S. Cristoforo per i quali aveva chiesto 750 ducati, ma si accontentò di 558, bonificm1do il resto della sonuna "per sua devozione" (dr. Rizzo, 1980, p. 41, doc. n. 2). Fu nel 1731 che comparve, per a.tra di P. A. Orlm1di e Antonio Roviglione, l'Abecedario pittorico "dall'autore ristampato, corretto ed accresciuto ... ed in quest'ultima impressione ... al Signor Frm1eesco Mura, eccellente e magnifico pittore napoletano dedicato ...". Oltre alla dedica, il libro conteneva, per la prima volta, un elenco delle opere che il maestro aveva realizzato fino ad allora e i nomi dei notabili per i quali aveva già lavorato. Fu questo il definitivo riconoscin1ento, da parte della critica ufficiale, della grm1dezza del D. (con un anticipo di dodici mmi rispetto al De Dominici, che ne scriverà solo nel 1743): attestazione a stampa che irritò, com'era prevedibile, il più famoso Solimena. Questi si contrariò tm1to da indurre il Roviglione (che, poi, era tra i meglio accetti del suo studio e, per

giunta, uno dei suoi allievi) a distanza di pod1i mesi, a far ristampare l'Abecedario con la elin1inazione dedica drastica della tall'eccellente e magnifico pittore ...". Ma la cattiveria non dmmeggiò minin1amente il D.: anzi la sua fama si accrebbe al punto da ricevere la più mnbita delle commissioni, quella cioè di affrescare, con l'Epifmtia il catino absidale della Nunziatella, la nuova chiesa sanfelicim1a per il noviziato napoletano della Compagnia di Gesù, che aveva sede in uno dei posti più incantevoli della collina, sopra Pizzofalcone, laddove abitavm10 le fmniglie più nobili e i personaggi più importanti. Fu, in realtà, questa incantevole Epifmlia, la vera opera nuova di quegli anni (1731-32), che dimostrò quali erano le nuove direttive da seguire per il mutato gusto rococò: colori di luce vera, di pieno open air, di grazia indefinibile e, nello stesso tempo, di un certo rigoroso rappresentare la realtà: tm1to che i padri gesuiti - esigentissimi in fatto di ultima moda - gli conunissionarono diciotto anni dopo l'intera decorazione della stessa chiesa, la quale risulta, perciò stesso, il punto cardine di tutto l'excursus del D., d1e vi è perfettamente compendiato nella sua più succosa tipologia. La fama d1e gliene derivò ebbe subito i suoi effetti: nello stesso 1731, Luigi Sm1severino, principe di Bisignm10, gli pagò 100 ducati come m1ticipo dell'affresco d1e il D. avrebbe dipinto nella galleria del suo palazzo principesco "fuori Porta di Chiaia" (cfr. Arch. stor. del Banco di Napoli, Banco d. Pietà, Giorn. di cassa, m. 1642, 20 nov. 1731). Le committenze, importm1ti proseguirono senza sosta: i benedettini dell'abbazia di Montecassino e quelli della cltiesa napoletm1a dei Ss. Severino e Sossio gli offrirono interventi di notevole consistenza e prestigio cl1e lo impegnarono per alami anni (1731-1745).


Già nel marzo 1731 pose mano alle molteplici tele che eseguì per decorare alcune cappelle, il coro ed altri ambienti dell1 abbazia, che era stata già decorata dal Giordano nel 1677-78. Nel 1731 dipinse nella cappella di S. Bertario; nel 1735--36 furono compiuti tutti i dipinti per la sala del capitolo e la cappella di S. Gregorio e nei successivi 1737-39 furono ulti1nate le tele per le cappelle di S. Michele, della Pietà e della Vergine Assunta. Per h1Ue queste opere, che furono distrutte nei bombardamenti del 1943, il D. ricevette circa 3.000 ducati. Datato 1740 è l'enorme affresco per la volta della chiesa napoletana dei Ss. Severino e Sossio, retta dai padri benedettini, rappresentante S. Benedetto e s. Scolastica che propagano le regole dell 1Ordine, p1mto di riferimento per tutti i colti viaggiatori del grand tour, da Cochin a Fragonard. Per la stessa chiesa dipinse, tutt'intorno all'enorme navata, 32 Santi, Pontefici, e Vescovi benedettini, che furono pagati 1.800 ducati il 25 dicen1bre 1745 (A Faraglia, in Arch. stor. per le provv. napoletane, Ili [1878], p. 128) e il grande quadro con la Madonna d1e bacia i piedi di Gesù all'interno della parete d'ingresso che fu pagato 515 ducati il 31 ag. 1746. Negli stessi anni aveva dipinto (1733) tre tele per la dliesa di S. Gaudioso a Napoli (la Samaritana, l'Adultera, la Crocefissone di Gesù) che andarono anch 1 esse distrutte nei moti contrari alla Repubblica partenopea del febbraio 1799. Nel 1738 aveva inviato a Madrid, alla regina madJe Elisabetta Farnese, finnandoli e datandoli, i bozzetti (oggi nella Granja di Segovia e nel palazzo reale di Madrid) dell'affresco dipinto nello stesso a.imo per il palazzo reale di Napoli (Allegoria delle virtù di Carlo di Borbone e Maria Amalia). Nello stesso periodo affrescò l'alcova della regina (resta.110 solo i bozzetti conservati a Napoli al Pio Monte:

F. Bologna, Solimena..., in Prospettiva, 1979, 16, pp.53 ss.). Nel 1739 eseguì la Disputa di Gesù con i dottori del tempio, per la sala del capitolo alla certosa di S. Martino, in Napoli, tela che fu issata sulla porta che introduce al coro. Nello stesso anno, il D. eseguì le tele per la demolita chiesa di S. Spirito di Palazzo, incentrate su Episodi della vita di s. Domenico, s. Pio V e s. Vincenzo Ferreri. Tra il 6 marzo 1738 e il 28 giugno 1741 era.no stati inviati al D., per ordine del re di Sardegna, anticipi per recarsi a Torino (cfr. Schede Vesme) dove giunse finaln1ente il 10 luglio 1741. Pose subito mano agli affresdli nel palazzo reale, nella cosiddetta sala delle macchine, raffigurando tre Storie di Teseo, con una fillissima interpretazione che riscosse il plauso della corte sabauda. Più tardi (nel 1748) da Napoli invierà cinque sonh1ose Allegorie mtÙiebri, d1e furono sistemate nella stessa sala delle macchine. Nel 1742 lavorò agli affreschi con Storie di Achille nella sala d1iarnata gabinetto delle miniahtre. Affresco, poi, altre sale, col Concilio degli dei (restano oggi solo franu11enti); e con la Vita di Achille (totalmente distrutto). Gli ultimi affreschi ad essere eseguiti (prima della partenza da Torino che avve1me il 21 geim. 1743) furono quello raffigurante I giuod1i olimpici, nella terza camera degli Archivi e quello con le Storie di Teseo nella sesta carnera degli Ardlivi. Vei1ticinque anni dopo, nel 1768, invierà delle tele sovrapporte (Storie di Alessandro Magno, Storie di Cesare, Storie di Achille) nonché 1 otto quadri ... per seJviJ di modello per tappezzerie' (Sd1ede Vesme; cfr. Mostra del Barocco..., 1963, p.28); e ancora nel 1769 due Madonne (Schede Vesme); e con questo concluse il suo rapporto con la corte sabauda. 1

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Agli anni torinesi o a quelli immediatamente successivi (1742-1745) sono da datare i due mirabili dipinti di collezione romana, Paride saetta Achille e la partenza di Enea, nonché l'Allegoria della Carità (Chicago, TI1e Art Institute), la straordinaria Allegoria delle Arti del Museo del Louvre (tutti in Spinosa, 1986, p. 160, tavv- 56, 58, 59, fig. 303). È databile al 1744-45, l'affresco con Battaglia di Velletri nel salone delle feste di palazzo Marigliano, a Napoli, per il duca di Airola. Molto verosimilmente nel 1748, egli dipinse il superbo ritratto di un importante aristocratico inglese, :in v:is:ita a Napoli, il Conte Jarnes Joseph O' Mahoney, figlio del celebre generale di origine irlandese (dipinto venduto presso Christìe's, a Londra, nel 1979; dr. Spinosa, 1986, pp. 160 s., fig. 304), pendant alla Contessa Mal1oney (oggi Caen, Musée des Beaux-Arts), opera di Piene Subleyras col quale il D. aveva moltissime affinità elettive (Rosenberg, 1982). Gli anni dal 1745 al 1750 lo vedono freneticamente impegnato in diversi complessi chiesastici e monasteri nonché presso la nobiltà e la borghesia. Nel 1746 dipinse una tela gigantesca per la rimodernata chiesa angioina di S. Chiara a Napoli da porre sull'altare maggiore (quasi fondale da palcoscenico), al di sopra della tomba di Roberto d'Angiò; rappresentava S. Chiara ed altri santi francescani nel trionfo dell'Eucarestia, e venne distmtta dai bombardamenti del 1943, ma ne resta un'ottima foto Alinari come di altre opere del D. nella stessa chiesa: S. Chiara che mette in fuga i Saracenicon Santissimo, dipinta poco dopo, e Salomone d1e dirige l'edificazione del tempio, dipinto nel 1751-52. Nel 1748 affrescò la volta del Sedile di Porto (detto di S. Giuseppe) tem1inato in quell'aimo, oggi non più esistente.

Nell'aprile 1750 elaborò un modello per un Trionfo da eseguirsi in argento che il regio portolano Pietro Guido Sersale regalò a Carlo di Borbone (dr. Napoli, Ard,. stor. d. Banco di Napoli, Poveri, 1416, 30 apr. 1750). Dal 1750 al 1751 fu impegnato per l'intera restante decorazione della chiesa gesuitica della Nunziatella, in ali aveva già affrescato, nel catino absidale, l'Epifania (1731). Al centro della volta rappresentò in uno strabiliante luccichio di brillanti colori, di gamma ricchissima, l'Assunzionedella Vergine, con un concerto di angeli tra i più belli e affascinanti di tutto il rococò napoletano. Ai lati dipinse le allegorie della Carità e dell'Eucarestia nonché, en grisaille, quelle dell'Abbondanza, della Fede, della Speranza e della Temperanza. Negli spazi residui pose gmppi di putti e cherubini che giocano con serti di fiori, nelle armoniose decorazioni realizzate dal maestro ornarnentista Tommaso Zini, in oro su fondo verde. Al di sopra dell'organo, affrescò alami episodi della vita di Gesù, come l'Infanzia e la Fuga in Egitto. Essendo morto il Solimena nel 1747, il D. ormai era considerato "il primo dipintore oggidì in Napoli" come ebbe a riconoscere l'autorevole padre abate D. Placido Troyli, patrizio e teologo, nella sua Istoria generale del Reame di Napoli (Napoli 1752, IV, 4, p. 445). 1120 maggio 1756 portò a compimento il magnifico ritratto del Cardinale Antonio Sersale (arcivescovo di Napoli dal 1754 al 1776; dr. Spinosa, in Civiltà del '700 [catalj, 1979, 1, p. 200) ora in collezione privata negli USA, firmato e datato sul retro. Degli stessi anni è l'accorato ritratto del Beato Francesco de Geronimo, nella Pina.e. del Pio Monte (ibid.), studio preparatorio della consimile figura inserita nel telone per il Monte Manso di Scala, che è datato 1758.


È anche del 1756 la grande tela raffigurante La Vergine che intercede presso la ss. Trinità in favore delle anime del Purgatorio che egli eseguirà, succedendo a C. Giaqu:into che si era impegnato ad eseguirla per sua devozione, per la cripta dell'Arciconfraternita della Ss. Trinità dei Pellegrini. La tela attualmente è al centro del coro ed è opera particolarmente importante della sua maturità perché vi convergono ren1:iniscenze r:iberiane (nei dorsi senili) e addirithtra caravaggesche (nell'angelo giovinetto che plana dall'alto). Al 1757 va.imo datate le tre tele con Storie della Vergine che ai1darono a sostituire quelle di B. Caracciolo nella cappella dell'Assunta, nella dliesa della certosa di S. Martino. Le tre tele furono numerose volte replicate anche con piccole varianti - sia dal D., per varie chiese della Puglia, sia dai suoi numerosi allievi, per tante altre chiese napoletai1e e di paesi vicilli e di altre regioni, come la Calabria (per es., repliche della Visitazione e dell'Annunciazione sono visibili ancor oggi nelle chiese napoletane di S. Caterina a Chiaia e di S. Maria di Piedi.grotta. Una A.tmunciazione un poco più tarda è nella dliesa dell1 Annunciata di Airola). Nel 1757, don Camilla Nolli, di Cllieti, gli commissionò una Pietà, pagandogliela 60 ducati (cfr. Napoli, Ardt. stor. d. Banco di Napoli, Banco di s. Giacomo, 29 ott. 1757, p. 698). Del 1758 è lo splendido telone con Giovai1i e santi gesuiti che invocano la ss. VergiI1e che il D. eseguì per la cappella del collegio gesuita del Monte Manso di Scala, dataitdolo e fontandolo (avvenimento, questo, eccezionale, dato che il maestro assai raramente firmava e datava le sue opere).

Anche del 1758 è il ritratto del mard1ese pugliese Niccolò Fraggianni, potente giureconstùto e ministro dei Borbone (ritratto che G. Ceci vide presso gli eredi nel 1933) da cui fu tratta l'incisione d1e si vede nel frontespizio del volume Elogio funebre pel marchese N. Fraggi.anni, presso la tipografia Simoniana nel 1763. Il 3 sett. 1759 ricevette 300 ducati dal Monte della Pietà (cfr. Rizzo, 1980, p. 36 doc. n. 8) per aver dipinto due quadri ovali, con le allegorie mtùiebri della Sia.trezza pubblica vestita d1arn1i e della Disciplina, che possono agevolmente identificarsi in due dei quattro ovali della collezione dei Bai1co di Napoli, provenienti appunto dalla sala maggiore del palazzo del Monte di Pietà a S. Biagio dei Librai ed ora esposti al Museo di Capodimonte. Dipinse, poi, S. Benedetto che adora la ss. Vergine col Bambino per il cappellone di destra della crociera dei Ss. MarcelliI10 e Festa a Napoli, iI1 collaborazione con gli architetti L. Vanvitelli e M. Gioffredo dte ne avevano appena completato il rinnovamento ard1itettonico (cfr. F. Strazzullo, Il monastero e la chiesa dei Ss. Marcellino e Festo, Napoli 1956). La collaborazione col Vanvitelli, che grandemente lo ammirnva, prosegtù per la decorazione dell'appena ricostruita chiesa della Ss. Ammnziata di Napoli: il D. fu incaricato (1760) di dipiltgere gli enormi tre teloni per l'altare maggiore e la crociera (L' Aruumciazione, La strage degli i.J.mocenti e IlmartiI·io di s. Barbara); altre tele della chiesa vennero affidate ai migliori allievi del D. (cfr. G. B. D'Addosio, Origilti e vicende della Ss.ma Casa dell'A.tuumziata, Napoli 1883). Contemporanee sono le tele per S. Caterina da Siena, sempre a Napoli, La Vergi.J.1e del Rosario e S. AgostiI10 d'lppona, cui forse collaborò G. Diano.


Del 1762 è l'Angelo custode dipinto per conunissione della famiglia Cannignano, nella omonima cappella nella basilica di S. Lorenzo Maggiore a Napoli (cfr. Rizzo, 1980, p. 41). Nel medesimo a.imo affrescò diversi soffitti nei palazzi nobiliari dei Berio, dei Maddaloni, degli Orsini di Gravina: opere h1tte scomparse. Nel 1763 dipinse nei quattro peducci della cappella del Ss. Crocifisso dei Riario di Corleto, nella chiesa teatina dei Ss. Apostoli in Napoli, Angeli giovinetti reggenti i simboli della Passane. Del 1764 è la tela della Allegoria della Pudicizia per la sala della Primavera nell'appartamento vecchio della reggia di Caserta, che è un modello pittorico per un arazzo (oggi nella reggia di Napoli) che fu tessuto in lana e seta dall'arazziere di corte Pietro Duranti (cfr. N. Spinosa, Arazzeria napoletana, Napoli 1971, pp. 50 ss.). Il D. eseguì pure perizie ad opere d'arte per ordine del re (1764; cfr. R. Pane, F. Fuga, Napoli 1956, p. 213) e, nel 1765, insieme a G. Bonito, G. Sanmarlino, C. Giaquinto e L Vanvitelli, fon1ò la perizia con cui venivano ordinate a.lame modifiche alla statua equestre di Carlo Borbone che doveva essere eretta al centro del Foro Carolina (cfr. E. Nappi, in Annali di storia econ. e soc. dell'Univ. di Napoli, VIII [1967), pp. 200 s.). In quegli anni accaddero avvenimenti memorabili ed apocalittici, come la terribile eruzione del Vesuvio, del 1754, la peste del 1764 e l'altra eruzione del 14-20 ott. 1767; nel contempo i gesuiti venivano espulsi da Napoli: avvenimenti che dovettero sicuramente ispirare al D. le sue concitate e vibranti Scene di terrore (Pinacoteca del Pio Monte della Misericordia), che sono tra i raggiw1gimenti più alti della sua pithua di movimento, en

plein air, pervasi di azzurrognoli

vapori cilestr:ini e

Il 20 giugno 1768 mori la moglie del D., che volle essere sepolta nella chiesa della Nunziatella a Pizzofalcone "in dove godo la mia sepolhua" (cfr. Test. Anna d'Ebreù, Arch. stor. d. Pio Monte della Misericordia, ms. 16 ag. 1768, pp. 3 ss.). La stai1chezza (aveva onnai 75 anni) e il disgusto per le sopraffazioni subite in seno alla famiglia (cfr. Napoli, Pio Monte, Testamento, 17 febbr. 1770: 11ebbi a soffrire molte inquiehtdini non compatibili né alla mia età né alle mie applicazionL."t lo indussero a rinunziare alla prestigiosa carica di direttore della Reale Accademia di nudo, come risulta dalla lettera di dimissioni che firmò il 9 marzo 1770 (Lorenzetti, 1952). Malgrado la rinunzia all'incarico e l'accettazione delle sue dimissioni, al D. fu pagato lo stipendio sino alla sua morte. Di questi anni sono la grai1diosa Moltiplicazione dei paili (1771) per la sovrapporta interna della cattedrale di Foggia e le due tele per la cappella di S. Francesco di Sales nella chiesa dei gerolamini a Napoli. Pur soffrendo per gli acciacchi e l'avvilimento della solitaria vecdliaia (vedovo, senza figli, invidiato per l'estrema ricchezza raggiunta), il D. produceva ancora tele dense di vibrazioni poetiche e di splendide cromie come IlMartirio di s. Placido per il cappellone dei principi di S. Angelo nel transetto della d1iesa napoletana di S. Giorgio dei Genovesi, in via Medina, databile al 1771, anno che risulta nell'epigrafe apposta sul medesimo altare. Il 3 sett. 1772, L Vanvitelli scriveva: "Il migliore di tutti li dipintori, che presentemente sono in Napoli, nel quale concorrono le parti che avere deve w1 valent'uomo, per distinguersi sopra gli altri, egli è Don Francesco de Muro, di cui sarebbe desiderabile averne


qualche opera a fresco stille mura del Real Palazzo di Caserta... " (cfr. N. Spinosa, L Vanvitelli e i pittori attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento..., in Storia dell'arte, 1972, 14, pp. 204 s .). Del 1773 è la stanca, ma ancora assai mondana tela di S. Francesco d'Assisi che implora la ss. Vergine e Gesù Cristo per l'altare maggiore della chiesa napoletana di S. Francesco degli Scarioni a Chiaia, nella zona inferiore della quale vi è tm tripudio di fiorì e di putti. Dello stesso anno sono l'immensa tela della Pentecoste per l'altare maggiore della chiesa dello Spirito Santo e i tre quadri della cappella di S. Liborio nell'omonima cappella in S. Nicola alla Carità. Dal 15 aprile al 13 giugno 1774 soggiornò a Napoli J.-H. Fragonard d1e eseguì tma serie di shtdi su tipi popolari, soggetti sui quali pure si era cimentato il D., come risulta dall'elenco dei suoi quadri nell'foventario ms. redatto dal suo allievo P. Bardellino, nel 1783, che si trova nell'Archivio storico del Pio Monte, pp. 21 ss.). Del 1775 sono la tela per i Ss. Apostoli di Napoli, con Maria Burali che supplica il beato Burali d'Arezzo e i quattro sovrapporte e il sovraspecdlio per la camera da letto del re alla reggia di Caserta, rappresentanti Putti che giocano; in questi ultimi il D. include realistiche nature n1orte di angurie, mele, pere, pesche, uva, zucche e struggenti, lontani paesaggi serotini. Nel settembre 1776, per commissione del duca di San Vito eseguì la Vegine che accoglie sotto il suo manto gli ammalati e i diseredati per l'altare maggiore della d1iesa napoletana di S. Maria degli Incurabili o dei Popolo, opera di recente recuperata dopo secolare abbandono. Del 1778 è l'tùtima sua tela: !martiri cam1elitani s. Angelo, s. Pier Tomn1aso e il beato Franco, nel Carmine Maggiore di Napoli.

L'11 ott. 1780, nel testamento redatto presso il notaio Valenzia di Piscinola, il D. dispose di essere sepolto "nella chiesa del convento di S. Pasquale di 88 alcantarini di Chiaja, al quale convento si ritrovano pagati ducati 50 per detto interro...". Aggiungerà poi altri codicilli il 16 luglio 1782. Il successivo 19 agosto, nel pieno della calura, il D. mori al terzo piano del palazzo del principe di Torino (nell'athtale via Foria, tratto Pontenuovo), dove abitava un appartamento di sedici stanze, in località, all'epoca, assai aJnena. Tutti i pittori napoletani della, generazione successiva alla sua, - anche se, a volte, solo per i loro esordi, - desumeranno da lui stilemi e ganune cromatiche: da D. Mondo a G. Traversi, da P. Bardell:ino a I. Cestaro, da Liani al Bonito, da Stara.ce Frand1is al De Caro, dal De Ma.io al Pahunbo (l'unico allievo ricordato nel testamento dal maestro), da G. Diano a F. Narici e sino alle estreme propaggini del Cm:imarano, del CaJnuccini, del Molinaro.



F. de Mura, TrinitĂ in Gloria tra Angeli, olio su tela 85,5 x 76 cm (cornice: 97,5 x 90 cm); secolo"; fronte e retro giĂ Cambi, asta 246 lotto 101, come "Scuola Napoletana del











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LEG 01) F. de Mura,Angelo e Putti con simboli vescovili, olio su tela 47 x 36 cm;

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Pio Monte di Misericodia, Napoli; cat. nr. 00409989

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02) F. de Mura,Angelo e Putti con simboli vescovili, olio su tela 47 x 36 cm; Pio Monte di Misericodia, Napoli; cat. nr. 00409991

03) F. de Mura,Angelo con Turibolo, olio su tela 47 x 36 cm; Pio Monte di Misericodia, Napoli; cat. nr. 00409990

04) F. de Mura, Angelo con Turibolo, olio su tela 47 x 36 cm;

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Pio Monte di Misericodia, Napoli; cat. nr. 00409992

OS) F. de Mura, Trinità in Gloria tra Angeli, olio su tela 85,5 x 76 cm; già Cambi, asta 246 lotto 101, come "Scuola Napoletana del XVII sec."

06) F. de Mura, Santo Stefano, olio su tela 59 x 35 cm;

Pio Monte di Misericodia, Napoli; cat. nr. 00409996

07) F. de Mura, Santo Vescovo, olio su tela 59 x 35 cm; Pio Monte di Misericodia, Napoli; cat. nr. 00409997

08) F. de Mura, Imene e la Pudicizia, olio su tela 370 x 215 cm; Pio Monte di Misericodia, Napoli; cat. nr.




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,_Confronto con F. de Mura:,Anuelo o e Putti con simboli vescovili; cat: nr. 00409989; particolare

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Confronto con F. de Mura, Angelo con Turibolo-, cat. nr. 00409990; particolare

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LEGENDA

01) F. de Mura, Cena in Emmaus, olio su tela 193 x 127 cm; già mercato antiquario NY; Fondazione Zeri, scheda nr. 63735

02) F. de Mura, Cena in Emmaus, olio su tela 200 x 155 cm;

già Babuino, asta 165 lotto 103; ex Collezione Palazzo Tafuri (SA)

03) F. de Mura, Cena in Emmaus, olio su tela 76 x 62 cm; ubicazione sconosciuta; Fondazione Zeri, scheda nr. 63614

04) F. de Mura (attrib.), Cena in Emmaus, olio su tela 76,2 x 61,9 cm; Christie's, 11.07.2008 lotto 200

05) F. de Mura, Cena in Emmaus, olio su rame 39,2 x 52,9 cm; Davis Museum at Wellesley College (USA)

06) F. de Mura, Carro di Bacco, olio su tela 77 x 115 cm; Berlino, Kaiser Friedrich Museum; inventario nr.: AKG49213

07) F. de Mura, Trinità in Gloria tra Angeli, olio su tela 85,5 x 76 cm; già Cambi, asta 246 lotto 101, come "Scuola Napoletana del XVII sec."






Confronto con F. de Mura, San Filippo Neri in Gloria; olio su tela, di 74,3x48,9 cm; giĂ Sotheby's NY, asta 06.06.2013 lotto 106


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·· F. de Mura, San Filitppo Neri in Gloria; particolare ,•




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