Thema 12|22

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THEMA www.themaprogetto.it ISSN 2384-8413 |1222 Severino Dianich LuigiLeoni Roberto CiotoliGiusi-Tagliaferri RIVISTA DEI BENI CULTURALI ECCLESIASTICI eecclesiologiaarchitettura

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3.[...]Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompa gnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera ri Doveprodotta.non esplicitamente indicato negli articoli, il materiale fotografico è di proprietà dell'autore del testo o scaricabile liberamente da internet. www.themaprogetto.it themaes.editore@gmail.com In copertina F. Hammoutène. Notre Dame de Pentecôte. Maison d’Église, 2001, Défense – Parigi, Francia Realizzata con il contributo di

|1222 THEMA RIVISTA DEI BENI CULTURALI ECCLESIASTICI PONTIFICIUM CONSILIUM DE CULTURA THEMA è patrocinata dal 1.pg. Editoriale Sergio Massironi 5. ECCLESIOLOGIA E ARCHITETTURA Severino Dianich 21. SPAZI DI LUCE Luigi Leoni 27. LA CHIESA DI S. GIACOMO A FERRARA Roberto Tagliaferri 33. LIBRIRubricheAT(H)EMA Giusi Ciotoli THEMA 12|22 periodico2022 Pubblicazioneannualeregistrata presso il Tribunale di Pescara, con autorizzazione del 15/6/2011, registro di stampa 10/2011 ISSN 2384-8413 Editore Centro Studi Architettura e Liturgia via della Liberazione 1, Montesilvano (Pe) Direttore Responsabile Francesca Rapini Redazione via della Liberazione 1, Montesilvano (Pe) Sergio Massironi, Paola Renzetti, Giuliana Quattrone Comitato Scientifico Luigi Bartolomei, Goffredo Boselli, Fabrizio Capanni, Andrea Dall’Asta, Esteban Fernández-Cobián, Antonio de Grandis, Renato Laganà, An drea Longhi, Giuseppe Pellitteri, Claudio Varagnoli Corrispondenti Andrea Jasci Cimini (Svizzera), Luigi Monzo ( Germania) Progetto grafico e impaginazione Mauro Forte Hanno collaborato Severino Dianich, Luigi Leoni, Roberto Tagliaferri, Giusi Ciotoli, Giu seppe Di Eleonora, Danilo Lisi, Stefania Platania, Guglielmo Scannerini Amministrazione Alessandro Amicantonio Credits & Copyrights

Legge 22 aprile 1941, n. 633 Art. 70 1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro co municazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizza zione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scien tifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

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Thema 12 rappresenta una presa in carico mentale e scientifica del cambiamento d’epoca in corso. Il soffermar si di volta in volta su qualche aspetto, infatti, potrebbe non bastare e tradire quel coraggio di fondo che papa France sco incarna, in una testimonianza tanto convincente per credenti e non credenti. Egli sprona l’umanità tutta, e in essa anche il nostro amore per la ricerca, a guardare in faccia la realtà. Il contributo di Severino Dianich, uno dei maggiori teologi italiani viventi, costituisce in tal senso la nostra risposta fondamentale a un generale bisogno di orientamento, tipico delle fasi di transizione. La lettura po sata di un grande maestro: tra tante polarizzazioni e paro le gridate, pubblichiamo così una lunga storia, ripercorsa con attenzione alle fonti e intelligenza dei suoi dinamismi interni. Chi è la Chiesa? Non solo gli architetti, ma il popolo di Dio in tutte le sue componenti ha bisogno delle pagine seguenti, in cui Dianich fa parlare gli edifici che in duemila anni i cristiani hanno configurato per dare forma al proprio convenire. Luoghi e non solo spazi, perché la disposizione delle pietre racconta un modo di abitare il mondo. Con una semplicità che mai semplifica e la chiarezza di chi, amando ciò che insegna, sa accompagnare nella densità delle cose narrate, don Severino ci offre un saggio che rappresenta il coronamento dei guadagni novecente schi nel campo dell’architettura sacra: movimento biblico e liturgico, Concilio Vaticano II, rivoluzione della sensibilità estetica, secolarizzazione. Soffermarsi su quanto scrive sarà fondamentale per capire dove si è giunti e perché. Il presente e il futuro rimangono da scrivere, anche oltre le linee guida che l’autore sembra abbozzare. Le sue pagine rappresentano, però, la lucidità raggiunta su diversi punti fondamentali, già alle soglie del nuovo millennio: la natu ra intramontabile del luogo di culto cristiano come domus ecclesiae; la tensione dialettica con il sacro e il suo imma ginario come strutturante la fede biblica; il rilievo dei poli liturgici – in particolare di ambone e altare - come poli di

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Sergio Massironi Il territorio italiano, disseminato di antiche e nuove chiese, lamenta ogni giorno ai nostri occhi il travaglio degli ultimi decenni. «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca»1: Papa Francesco non poteva venire più radicalmente al punto, impegnando la Chiesa italiana a un Umanesimo cristiano che interroghi le sue abitudini più consolidate. Il servizio che una Rivista come la nostra vuole offrire al Paese non può non fare i conti con le fratture di un mondo a pezzi. A differenza di chi si lascia prendere dall’angoscia o si arma per difendere certezze e interessi minacciati, fare cultura significa per noi interpretare il cambiamento attraverso il dialogo interdisciplinare. L’esercizio dell’attenzione, di cui nel secolo scorso è stata maestra Simone Weil, passa da quello che in uno dei suoi ultimi saggi il benedettino fran cese Ghislain Lafont definiva “principio di piccolezza”: «Il cambiamento reale avviene mediante l’azione di elementi deboli. È quanto si può stabilire se si guarda alla storia dei mondi e dell’umanità, poi alla storia della salvezza e infine alla storia della Chiesa. […] L’idea di fondo è que sta: le situazioni di potenza sono in definitiva sterili; esse sono legate a una certa condizione di un sistema globale, capace certamente di performance, di miglioramenti ed eventualmente di estensione, ma all’interno di una confi gurazione chiusa, incapace di una vera creatività. La novità viene proprio dalle incrinature che non finiscono di pro dursi nel sistema globale; oppure viene dall’incapacità che il sistema evidenzia quando è attaccato dall’esterno da elementi estranei alla sua logica»2. Sono parole illuminanti anche per una rilettura di quanto dal Concilio Vaticano II in poi è avvenuto nella costruzione di nuove chiese e nel rapporto tra cattolicesimo e beni culturali. Potremmo dire che i luoghi sono cartina tornasole di chi li abita e così di quelle “incrinature” in cui uno sguardo profetico sa vedere spuntare germogli.

1 Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, Firenze, 10 novembre 2015

EditorialeEditoriale

2 G. LaFont Piccolo saggio sul tempo di papa Francesco, Bologna, EDB, 2017

3 vita; l’esigenza trasversale alle epoche di una casa “con molte dimore”; il dinamismo missionario quale condizione di vita o di morte della presenza ecclesiale. Tutto questo andrà compreso e ripreso, perché è lungi dall’essere co nosciuto e recepito. L’analisi di Dianich, proprio in quanto circostanziata scien tificamente, contiene anche il proprio limite, portandoci di fronte a sfide che il teologo non tocca, come lasciandole a generazioni successive alla sua: la chiusura e l’abbandono di molte chiese costruite nel Novecento; la custodia del patrimonio artistico e il suo possibile ruolo nella missione; il rapporto del cattolicesimo con l’arte contemporanea, oltre che con l’architettura, e la maturità culturale e pastora le della sua committenza; il mutato rapporto fra chiese e territorio e la domanda aperta su quello fra parrocchie e cattedrale; l’impatto culturale delle comunità di migranti, tra i maggiori fattori di rinascita della vita ecclesiale locale; il ritorno, se non al monumentale, almeno alla visibilità dei luoghi di culto come istanza pubblica; la ricerca di racco glimento e silenzio, nella city come nei boschi, in una vita feriale sempre più pressante; il rapporto tra spazi ecclesiali ed educazione dopo la crisi degli abusi sessuali; lo spa zio delle scuole come dilatazione del culto domenicale in una missione da riconfigurare. La rivista è già impegnata in questa indagine a tutto campo, sensibile a quanto av viene a ogni latitudine non semplicemente nelle tendenze artistiche, ma nella ricomprensione che il cristianesimo fa di sé ci offre in questo numero il criterio per distinguere l’improvvisazione da uno sviluppo intelligen te di quel felice intreccio che ha caratterizzato dall’inizio il convenire cristiano: si tratta della fedeltà al canone del Nuovo Testamento. Canone come misura e unità di riferi mento. Ebbene, proprio la norma biblica impegna a osare: forse questa è la consapevolezza che ci manca quando si tratta di riformulare, di ripensare, di ridisegnare il rap porto tra fede e cultura. Si deve guardare indietro, come l’autore che non nasconde le sue simpatie per il momento paleocristiano e il monachesimo medievale, ma sapendo che neanche i modelli che privilegiamo possono risponde re a quanto ci viene incontro come inedito. Piuttosto, nei passaggi storici che il nostro teologo ripercorre e descrive, più che alle continuità dovremmo osservare ammirati le di scontinuità. Ognuna di esse comportò dei rischi – dalla nascita della basilica costantiniana all’esplosione del ba rocco seicentesco – ma anche un’inculturazione che di volta in volta ridonava a Dio la parola e alla Chiesa una casa. Non meno di questo ci attende: alla modestia va unita l’audacia. Entrambe richiedono studio e preghiera: non l’una senza l’altro. I contributi di Tagliaferri e Leoni, che completano questo numero monografico, rappresentano perfettamente l’at tenzione a non mancare il momento storico, accompa gnando criticamente ciò che nasce. Come scrisse Simone Weil, infatti, “L’attenzione consiste nel sospendere il pro prio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto, nel mantenere in sé stessi, in prossimità del pensiero, ma a un livello inferiore e senza che vi sia con tatto, le diverse conoscenze acquisite che si è costretti a utilizzare. Nei confronti di tutti i pensieri particolari già for mati, il pensiero deve essere come un uomo in cima a una montagna che, guardando davanti a sé, al tempo stesso percepisce, pur senza guardarle, molte foreste e pianu re sottostanti. E soprattutto il pensiero dev’essere vuoto, in attesa, non deve cercare alcunché, ma essere pronto ad accogliere nella sua nuda verità l’oggetto che sta per penetrarvi”3 3 s. WeiL, “Riflessioni sul buon uso degli studi scolastici in vista dell’amore di Dio” in: Attesa di Dio, Milano, Adelphi, 2008.

Editoriale

Severinostesso.Dianich

Dire

1. COME E PERCHÉ NASCE

Caritas,luogol’immaginariorisvegliadiundipenombra,conlucidicandele,quadri,statue,altari,odored’incenso...Eppure,guardandolarealtàsparsanellecittà,conlelorochiese,iconventi,glioratoriparrocchialiconilorocampisportivi,icentriincontriamounarealtàdiversa.

5 1. F. Hammoutène. Notre Dame de Pentecôte. Maison d’ Église, 2001, Défense – Parigi, Francia ECCLESIOLOGIA E ARCHITETTURA

Severino Dianich Dire “chiesa” risveglia l’immaginario di un luogo di penombra, con luci di candele, quadri, statue, altari, odore d’incenso. Leggere “Chiesa” sui giornali significa ricevere notizie sul Vaticano. Eppure, guardando la realtà sparsa nelle città, con le loro chiese, i conventi, gli oratori parrocchiali con i loro campi sportivi, i centri Caritas, incontriamo una realtà diversa. Qual che anno fa sono andato a visitare a Parigi la Défense (2001), la grande edgecity dei centri direzionali delle multinazionali, del mondo della finanza e degli affari di Parigi. Era domenica e volevo andare a messa nella chiesa, ben visibile con la sua grande vela di facciata, ma l’ho trovata chiusa. Alla Défense infatti ci sono più posti di lavoro che posti letto e Notre Dame de la Pentecôte sta lì per coloro che operano nei grattacieli che la circondano ed è aperta nei giorni di lavoro, per offrire spazi di sosta, momenti di spiritualità e di incontri e l’opportunità di conoscere la fede cristiana. In Francia si sta sviluppando un modello di chiesa di questo genere, la maison d’Eglise Anche a Colonia, appena entri nella chiesa di San Teodoro, hai davanti a te l’aula liturgica e sulla destra, nel vestibolo, uno spazio caffè. Non sono episodi di deplorevole perdita del senso dello spazio sacro, ma ricerca di un ritorno alle origini di una chiesa, casa accogliente per i fedeli e per chiunque cerchi Dio. La nascita della Chiesa Nei vangeli ben poco si parla della Chiesa, nominata solo due volte in Matteo, anche se Gesù cura il drappello dei discepoli a lui più vicini, crea un gruppo di dodici, cui si affida perché siano in futuro i testimoni di ciò che avranno vissuto accanto a lui, attribuisce loro il compito e l’autorità di “legare e sciogliere” (Mt 18) e stabilisce Pietro come il capo di una futura Chiesa (Mt 16). Solo una volta, in Giovanni, si dice che Gesù battezzava (Gv 3,22). Più che fondare la Chiesa, Gesù la prepara per il futuro, dopo di lui. Sarà questa infatti la missione che egli le consegnerà, garantire al mondo la memoria di fede su Gesù. Con la morte di Gesù, in realtà, tutto sembrava finito: i due discepoli che se ne vanno da Gerusalemme a Em maus dopo la sua morte lo confessano: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute» (Lc 24,21). Se c’è quindi una storia di Gesù dopo Gesù, lo si deve a ciò che gli Apostoli hanno sperimentato per un breve tratto di giorni dopo la sua morte, i fatti pasquali. Lo snodo decisivo è la risurrezione di Gesù, così come le donne e gli Apostoli l’hanno LA CHIESA “chiesa”

6 sperimentata, creduta e dichiarata pubblicamente al popolo a Gerusalemme, quindi oggetto di una predicazione diffusa in pochi decenni in molte città dell’area mediterranea. Se ci do mandiamo cos’è la Chiesa, la prima risposta è che si tratta della trasmissione della memoria e della testimonianza della risurre zione di Gesù, intorno alla quale si radunano di generazione in generazione le comunità dei credenti. Chi dice di volere Gesù e non la Chiesa dovrebbe ricordarsi che non avrebbe avuto noti zia su Gesù se non ci fosse stata la Chiesa. Alla testimonianza si accompagna la narrazione di come egli è vissuto, cosa ha detto e fatto e come lo hanno condannato e ucciso. È quindi una rete comunicativa di relazioni interpersonali. Senza questo complesso di eventi, probabilmente la storia non avrebbe con servato neppure la memoria di Gesù. L’inizio è l’episodio narrato dagli Atti degli Apostoli: «Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: «Uo mini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo [...] Gesù di Nàzaret - uomo accreditato da Dio presso di voi [...] voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucci so. Ora Dio lo ha risuscitato, [...]All’udire queste cose si sentiro no trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. E Pietro disse loro: “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo”, [...] Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone» (Atti 2,1441). Quattro sono le componenti dell’evento: 1. L’Apostolo che dice la sua fede in Gesù risorto; 2. Le persone che gli prestano fede e credono in Gesù; 3. Il loro accedere al rito del Battesi mo: 4. Il comporsi di una comunità a Gerusalemme, la prima Chiesa. Questa esperienza si riprodurrà fino al giorno d’oggi, nel continuo suo rigenerarsi là dove già c’è e nella nascita di nuove Chiese nei diversi paesi del mondo. Dopo la prima esperienza vissuta e all’inizio di una seconda ge nerazione cristiana, i cristiani presero coscienza in maniera più chiara di ciò che fra di loro stava avvenendo. Lo esprime san Giovanni verso la fine del primo secolo, scrivendo in una sua lettera: «Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo ve duto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le no stre mani toccarono del Verbo della vita [...] noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo.  Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1, 1-4). È per celebrare questo evento originario che si sono eretti nelle chiese solenni e magnifici amboni. La comunicazione della fede avviene abitualmente nella vita comune, dovunque, nella relazione tra le persone, nella loro singolarità. La comu nione, che lega i fedeli fra di loro resta viva anche nella loro di spersione quotidiana, dovunque e ogni giorno, ciascuno al suo lavoro e all’esercizio delle sue responsabilità nella società. Essa però si rende visibile quando i fedeli si riuniscono fra di loro. Per questo i cristiani hanno avuto bisogno di crearsi il loro luogo, una casa nella quale condividere le loro esperienze di fede, pro grammare intraprese comuni, accogliere chiunque per qualsiasi motivo venga a cercarli. Ma il germogliare della fede è un evento mistico, impossibile senza l’impulso dello Spirito Santo: il loro luogo, quindi, non sarà solo lo spazio del loro incontrarsi, ma comprenderà anche l’aula della celebrazione, gioiosa e solenne, nell’adorazione di Dio, del mistero che si è compiuto in loro e del quale hanno bisogno continuamente di alimentarsi. Dalla domus ecclesiae alla basilica Al primo inizio furono singole famiglie ad ospitare in casa pro pria gli altri fedeli. Ne abbiamo la testimonianza nella Lettera ai Romani di San Paolo che nelle parole di congedo manda i suoi saluti alla coppia di sposi, «Prisca e Aquila, [...] alla comunità che si riunisce nella loro casa […] a quelli della casa di Aristòbu lo [...] a quelli della casa di Narciso che credono nel Signore». Il luogo della riunione dei fedeli e della celebrazione dei loro riti fu quindi la casa, una casa grande, di una qualche famiglia ricca che ospitava la comunità o, in alcuni casi, che la donava alla comunità. Così per un lungo tempo la mensa eucaristica fu la mensa di casa. Lo sviluppo di una forma rituale, che col tempo diventava sempre più complessa, sarà il frutto della coscienza della fede e della consapevolezza che quel ripetere il gesto dell’ultima cena di Gesù non era un ricordare qualsiasi, ma un evento mistico, come e più che la celebrazione della Parola, cioè il rinnovarsi della comunione della Chiesa con Gesù, nella sua morte e nella sua risurrezione. La crescita spontanea, intor no alla semplicità della cena del Signore, di un apparato rituale

2. Cattedrale di S.Maria Assunta, inizio 1064, proclamazione del vangelo dall’ambone (opera di Giovanni Pisano, 1305), Pisa In questa pagina

Al di là dell’amplificarsi dell’apparato rituale, sarà la crescita numerica della comunità, a far nascere il desiderio di poter fruire per la liturgia di uno spazio di grande dimensione, degno e maestoso. È così che già prima della concessione ai cristiani della libertà di culto, come attesta Eusebio da Cesarea in un’omelia per la dedicazione di una basilica, ricostruita sul le rovine di quella distrutta dalla persecuzione, a Tiro nel Libano, si costruirono chiese di grande dimensione, non più nella forma della casa, ma piuttosto prendendo a modello la basilica civile, luogo che era destinato a diversi eventi di carattere pubblico. I cristiani mai avrebbero pensato, infatti, di adottare il modello del tempio pagano per edificare i luoghi del loro incontro e della celebrazione del loro culto. Chiameranno le loro costruzioni col nome di “chiese”, perché non le consideravano come la casa di Dio, bensì come la casa della Chiesa: Dio avrebbe abitato in mezzo a loro, là dove essi si sarebbero riuniti, poiché Gesù aveva detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Con questo spirito, pur tenendo in abominio il culto degli dei, i cristiani non si fecero scrupolo neppure di trasformare i templi pagani in chiese. Anzi, la trasformazione del loro spazio acquistava una potente valenza simbolica. Nel culto greco romano, infatti, la cella del tempio, spesso circondata da un magnifico colonnato, era la casa del dio e ne ospitava il simulacro, mentre il popolo assisteva dall’esterno al rito del sacrificio. San Paolo aveva scritto ai cristiani di Efeso: «Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). La comunità cristiana poteva quindi ritenere la sua stes sa casa come la casa di Dio. Se questo era vero, lo si doveva in realtà al fatto che il vero tempio di Dio è comunità cristiana stessa. È ancora Paolo che scriveva a quelli di Corinto «Santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1Cor 3,17). Non sarà mai il tempio, nel quale gli uomini non possono entrare, il luogo in cui Dio abita e, se un luogo circoscritto nelle sue pareti potrà mai essere venerato ed amato come fosse abitazione della divinità, lo sarà solo perché vi abita la comunità da lui visitata e a lui consacrata. I vecchi maestosi templi pagani per loro erano sedicenti case di dio, manufatti umani qualsiasi, che essi avrebbero potuto Pagina precedente

3. Tempio D (denominato di Giunone), 450 a.C., Agrigento ©Claudio Garofalo

sempre più complesso spingerà anche ad operare qualche cambiamento nei caratteri distributivi della casa, diremmo oggi, un suo “adeguamento liturgico”. A Dura Europos, nel Sud-est della Siria, al confine con l’Iraq, si possono vedere ancora dei consistenti ruderi di una ricca casa che, verso il 240, veniva adattata a luogo liturgico, con qualche parete affre scata e uno spazio appositamente creato per la celebrazione dei Battesimi. Anche quando ad Aquileia intorno al 313 si costruirà, a partire dalla domus, una vera e propria basilica, la si imposterà conservando l’idea di una casa con diverse stanze.

Il luogo dell’adorazione di Dio La comunità cristiana, invero, è chiamata ad essere tempio di Dio in tutta la sua vita, nel suo operare quotidiano nel mondo con fede, nella giustizia e nella pace, come ha voluto Gesù: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). La loro casa avrà molti spazi diversi per tutte le “opere buone” che essi dovranno progettare e realizzare insieme, ma quello più eminente sarà destinato all’«Opus Dei», come amava dire san Benedetto, cioè alla pure lode di Dio e alla contemplazione del suo mistero: il vano nobile della casa della Chiesa destinato alla celebrazione della liturgia. Le sue componenti distributive saranno, quindi, impostate a partire dalle dinamiche della celebrazione liturgica.

4. Cattedrale, adattamento del tempio di Atena, VI sec., interno, Siracusa © Maurizio Aliotta

Con questi pensieri sullo sfondo, a Siracusa, fu possibile trasformare il tempio di Atena in una chiesa cristiana. Murando gli interstizi fra una colonna e l’altra del colonnato che cir condava la cella del tempio, si è ottenuto un grande spazio interno e, traforando i muri della cella lo si rese fruibile in tutte le sue parti. Ne risultò alla fine un solenne edificio a tre navate, del tutto simile alle basiliche costruite appositamente per il culto cristiano. Linguaggio sim bolico e linguaggio architettonico si completavano a vicenda.

8 manipolare come avessero voluto, fino a trasformarli in chiese, appena li avessero resi ca paci di ospitare al loro interno il popolo dei credenti, il vero tempio vivente del Dio vivente.

Dall’origine in poi il cuore della vita ecclesiale è sempre rimasto l’ascolto della Parola la co municazione della fede: se ad un certo punto nessun cristiano comunicasse più ad altri la parola della fede, la Chiesa e il cristianesimo stesso cesserebbero di esistere. La comunità cristiana, quindi, quando si raduna inizia a cantare le sue lodi, esaltando la Parola con la quale egli ci si è rivelato e acclamando il suo rendimento di grazie: al termine della lettura risuona la voce del popolo: «Rendiamo grazie a Dio! Lode a te o Cristo!». Solo un certo oblio del ruolo vitale dell’opera missionaria. dovuto alla convinzione che ormai tutto il mon do fosse cristiano, spiega perché nella liturgia si siano immiseriti i riti della Parola di Dio e l’architettura delle chiese non abbia più previsto l’ambone, come il primo fulcro vitale dell’a zione liturgica. Non è un caso che oggi si ritorni a dare forma degna all’ambone, in una situazione nella quale si sta riproponendo con forza l’urgenza dell’evangelizzazione. Nella liturgia solenne si porta, fra i ceri accesi, sull’alto dell’ambone il grande Libro e si proclama il Vangelo della salvezza fra nuvole d’incenso e l’Alleluja dei fedeli. Dopo l’ascolto della Parola, dal cui mistero ogni volta si rigenera, la comunità si ritrova riu nita intorno all’altare. L’atmosfera spirituale della riunione cristiana è quella dell’incontro fra terno, dello scambio delle esperienze della fede, della progettazione di imprese comuni da attuare nella società in cui si vive. Tutto questo è opera dell’uomo, che però non è possibile senza la potenza della grazia di Dio. La vita cristiana non può prosperare se non si alimenta del pane di Dio. «Il pane di Dio –diceva Gesù – è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6,33), cioè lui stesso. La sera prima della sua cattura e della sua morte in cro ce egli aveva riunito a mensa, intorno a sè i discepoli più cari e «mentre mangiavano, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”» (Mt 26,26). Ora l’altare, per la comunità riunita, è quella stessa mensa intorno alla quale nutrirsi del pane di Dio, cioè del corpo di Cristo che è mor to e risorto per la vita del mondo. Al compiersi del gesto eucaristico la comunità acclama: «Mistero della fede! Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione!». Gesù aveva trasformato, in quella cena del nostro nutrimento spirituale, la sua morte in un rito sacrificale: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi» (Messale Romano). La 5. Cattedrale di S.Maria Assunta, inizio 1064, La proclamazione del vangelo dall’ambone (opera di Giovanni Pisano, 1305), Pisa

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Il primo fulcro del comporsi dell’assemblea liturgica per l’adorazione di Dio sarà il luogo della celebrazione della Parola. È intorno alla comunicazione della Parola di Dio che la Chiesa è nata ed è in forza del continuo ripetersi dell’evento che la Chiesa continua ad esistere nella storia.

La sensazione di vivere nel mistero di Dio, alimentata dalla maestà del luogo e dalla bellezza e solennità dei riti, ha condotto gradualmente ad attribuire un’aura di sacralità al luogo stesso, ai suoi spazi, alle pareti, alle cose.

liturgia della cena è anche celebrazione del sacrificio di Cristo offerto al Padre e la semplice tavola della cena delle prime celebrazioni in un altare mensa è anche altare sacrificale. Lo si vorrà come l’asse di tutto lo spazio della chiesa, anzi del mondo, di forma cubica o lieve mente allungata in direzione verticale, perché l’offerta del sacrificio salga verso l’alto. Non si vorrà mai, però, dimenticare la mensa della cena e, per questo, nelle celebrazioni lo si coprirà di una preziosa tovaglia.

Nella chiesa stessa si distinguerà il luogo più sacro, il presbiterio del clero, ben recintato dalle balaustre, nel quale fedeli comuni e in particolare le donne non dovevano entrare, e il luogo meno sacro, la navata del popolo, non si entrerà in chiesa se non purificandosi con l’acqua benedetta e vi si rispetterà un sacro silenzio. Bisogna riconoscere che si è trattato di una tendenza di ritorno alle ancestralità del sacro dalle quali Gesù e gli Apostoli hanno inteso liberarci. La liturgia riformata dal Concilio, infatti, ignora divieti sacrali, sorpassa re cinti e balaustre, parla di “dedicazione della chiesa”, non più di “consacrazione”, mentre saranno detti “consacrati” non i luoghi né le cose, ma i fedeli e il popolo dei battezzati. A suo tempo era stata la Riforma protestante ad ergersi contro la sacralizzazione della chie sa, scorgendovi una contraddizione con la demitizzazione operata dal Vangelo di oggetti,

11 tempi, luoghi sacri. Fu Calvino, soprattutto a denunciare il modo di sentire di «coloro che pensano l’orecchio di Dio sia loro più vicino nel tempio che altrove», condannandoli senza mezzi termini: «Condividono la rozzezza dei giudei e dei pagani» (Corpus reformatorum XIX, c. 87). Egli voleva che le chiese restassero chiuse quando non vi si raduna il popolo per la preghiera comune. Nella tradizione cattolica, invece, si è voluto che lo spazio liturgico restasse in qualche maniera vivo in tutte le ore del giorno per la preghiera personale dei fedeli. La custodia dell’ostia consacrata, il Santissimo Sacra mento, nel tabernacolo, con accanto la lampada sempre accesa, le imma gini dei santi, candele e fiori offerti dai fedeli, il profumo dell’incenso che vi aleggia, fanno delle chiese uno spazio propizio al silenzio, alla meditazione e al colloquio intimo col Signore. Valori che nulla hanno a che fare col sacro e che merita salvare. È anche l’offerta a chiunque passa per la strada di un luogo accogliente per un momento di ristoro dello spirito. La progettazione di una chiesa dovrà prevedere il grande spazio luminoso ed aperto per l’assemblea liturgica, ma anche quell’angolo più riservato ed intimo per il raccoglimento personale.

2. LA FRACHIESALITURGIA E VITA

La casa della Chiesa si rende conoscibile soprattutto per il volume emer gente e la forma di particolare eminenza del luogo della celebrazione liturgica. La Chiesa non dimentica, però, che il suo culto a Dio non può consistere solo nei riti, ma coinvolge tutta la sua vita. San Paolo chiede ai fedeli di Roma un rovesciamento radicale rispetto alle loro esperienze religiose precedenti: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Offrire a Dio il proprio corpo vuol dire fare con le mani, i piedi, gli occhi, la mente, la bocca, cose degne di Dio, nella sequela e nell’imitazione di Gesù Cristo. Il Concilio Vaticano II riassume con rara efficace questo modo di pensare: «La sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa [...] è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC 9 e 10). L’originaria esperienza della domus resta, quindi, un paradigma in superabile. Gesù lo diceva a proposito del paradiso, ma è bello evocare le sue parole, «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore» (Gv 14,2), anche a proposito della casa della comunità cristiana, che dovrà, sempre, articolarsi in tanti ambienti diversi per gli impegni e i momenti diversi della vita e dell’opera della comunità cristiana.

6. Altare eucaristico con le figure di Abele e di Melchisedec, mosaico, sec. VI, S.Vitale, Ravenna © Giuseppina Barsacchi In questa pagina

7. Abbazia di Santa Maria Assunta di Praglia, magazzino, fine XV sec., Teolo, Padova © Archivio Praglia

La tradizione monastica Emblematico del vitale rapporto fra gli impegni della vita quotidiana e la celebrazione liturgica è l’impianto architettonico dei monasteri. Il luogo del la liturgia ne emerge sopra tutti gli altri per la sua maggiore eminenza. Lo seguono la Sala del Capitolo, la Biblioteca ed anche il Refettorio, perché la convivialità stessa, accompagnata dalla lettura o dalla musica, è vissuta come un rito dedicato a Dio. Vengono quindi i luoghi dell’abitazione dei monaci, quelli del loro lavoro e quelli delle relazioni con la popolazione del posto, per quanto funzionali, sempre dotati di un particolare decoro. Dal punto di vista architettonico basta andare a Praglia, nei Colli Euganei, per vedere come l’estetica monastica abbia saputo dare anche agli spazi di vita della comunità, dalle celle dei monaci ai luoghi di lavoro fino ai ma gazzini per le derrate, un carattere di nobiltà pari a quello della chiesa. Nulla Pagina precedente

8. Le Corbusier, Convento di Santa Maria de La Tourette, 1956-1960, chiostro, Éveux, Francia Pagina successiva 9. R. Schwarz. Chiesa del Corpus Domini (St. Fronleichnam), 1930, interno, particolare, Aquisgrana,. Germania

Per progettare una chiesa è necessario farsi una chiara visione della natura della Chiesa e della sua missione. Se, per realizzare questa condizione, ritorniamo al momento della prima origine, vediamo che l’evento non è avvenuto intorno ad una particolare pratica cultuale, bensì intorno all’esperienza della comunicazione della fede da parte degli Apostoli e di quanti hanno creduto loro, ai loro famigliari, amici, vicini. Nel cristianesimo, infatti, non c’è culto che non sia fondato sulla partecipazione ad una fede comune. Se poi ci domandiamo quale sia lo scopo dell’esistenza della Chiesa, vediamo che si tratta di rendere viva lungo tutti i tempi la missione stessa di Gesù. Avviene attraverso le parole che raccontano di lui ed esprimono l’esperienza di fede del credente, ma più ancora attraverso le opere, che sono parlanti quanto e più delle parole. È stata questa la ragione per cui le comunità cristiane delle prime generazioni, in un mondo pieno di dei, di templi e di culti, apparivano poco religiose. Un certo antiritualismo le caratterizzava, al punto da essere accusate di ateismo dai religiosissimi pagani: «Quale tempio

12 vi doveva risultare comune, nel senso di cosa banale, perché ogni spazio del vivere è spazio sacro. Questi medesimi caratteri, pur con forme molto diverse, si riscontrano con Van der Laan a Vaals, Renzo Piano per il piccolo monastero di Ronchamp o Le Corbusier a Latourette, dove Corbu, nel disegnare le vetrate del chiostro, ha voluto affiancarsi il compositore greco Jannis Xenakis, perché il taglio dei vetri doveva avere un ritmo musicale. Nella progettazione delle chiese, oggi è invalso l’uso di parlare della “chiesa” e degli “annessi”, ma è una terminologia che tradisce il senso vero di ciò che realmente è una chiesa, cioè la casa nella quale si svolge tutta la vita della Chiesa. Un architetto oggi può avere successo progettan do eleganti cappelle, situate in luoghi romantici, nella foresta o su uno scoglio di mare o in alta montagna. Ma non sono questi raffinati manufatti le vere chiese. La sfida di un architetto di chie se è la progettazione di un complesso parrocchiale. Il problema di una congruente unità estetica degli ambienti collaterali all’aula liturgica, brillantemente risolto dai monaci, si ripropone a propo sito della parrocchia, perché la Chiesa, nell’articolata visibilità del suo complesso architettonico, possa manifestarsi alla città per ciò che è: una comunità viva ed operosa, che intende mettersi al servizio della città, in nome del Signore, alla cui adorazione e invocazione dedica i momenti più alti della sua vita e lo spazio più bello. Il luogo di una liturgia della vita

Il luogo di una liturgia per la vita Il monastero, con il suo complesso architettonico, può essere fonte di ispirazione per progettare oggi un complesso parroc chiale. La parrocchia nel Medioevo non era un’istituzione così strutturata come lo è oggi ed era un punto di riferimento meno importante dei monasteri e delle innumerevoli confraternite, de dite alla cura dei poveri, dei malati, dei pellegrini e alla sepoltura dei morti. In tempi più vicini a noi, con il rarefarsi numerico dei monasteri e il loro progressivo abbandonare le città, per stan ziarsi nelle campagne, e con una progressiva crisi delle confra ternite, chi ne assume la ricca eredità, anche nei confronti della città, è la Soprattuttoparrocchia.dopoilConcilio di Trento (1545-1563), le si è im posta la necessità di dotare la sua chiesa di diversi ambienti, destinati, essenzialmente, all’abitazione del parroco, poiché si imponeva ai vescovi e ai parroci l’obbligo della residenza, e all’istruzione catechistica dei bambini, visto che si intendeva promuovere l’apprendimento della dottrina cattolica da parte dei fedeli. Lungo l’Ottocento poi, soprattutto per la spinta di don Bosco e dei suoi Salesiani, le parrocchie hanno cominciato a dotarsi di vasti spazi per l’accoglienza e l’educazione cristiana dei bambini e dei giovani, puntando anche sui valori educativi dello sport, per cui, non di rado, sorgeranno accanto alle chiese anche impianti sportivi e strumenti ricreativi i più vari. Il Concilio Vaticano II, in seguito, spingerà alla vitalizzazione della vita co munitaria dei fedeli, per i valori dei rapporti interpersonali, per la formazione permanente dei cristiani adulti e per la progettazione di intraprese comuni di carattere religioso e sociale ad attuare la missione della Chiesa, fra le quali, in primo luogo l’accoglienza e la solidarietà da offrire ai poveri. Nelle progettazioni più recenti è diventato abituale prevedere anche una cucina per la convivialità della comunità stessa e, non di rado, per poter organizzare la mensa dei poveri. Sarà l’ispirazione dell’architetto a poter dare a questi luoghi di vita comune un’atmosfera pur sempre diversa da quella dei luoghi comuni, come ha saputo fare l’architettura monastica. Anche se la vita un po’ caotica della parrocchia, per la presenza di bambini e di giovani, non permetterà la raffinatezza di molti luoghi monastici. In ogni modo i luoghi dell’accoglienza di una parrocchia non dovrebbero assomigliare allo sportello di un’isti tuzione pubblica, le aule del catechismo hanno bisogno di far respirare un’atmosfera diversa da quella delle aule scolastiche, il salone non potrà essere uguale a quello di un auditorium, anche

potrei mai costruire – scriveva Minucio Felice (II-III sec.) – a colui che il mondo intero, da lui costruito, non può contenere? E restando io in ogni modo un uomo, potrei rinchiudere in un tempietto la potenza di una così grande maestà? Non è forse meglio che io gli dedichi uno spazio nella mia mente e gli consacri un luogo nel mio cuore?». L’intrusione della vita da vivere quotidianamente, nelle sue fatiche e nelle sue gioie, all’interno della liturgia è stata sentita con finezza, nel suo valore, da Rudolph Schwarz, il quale nella sua chiesa del Corpus Domini ad Aachen, ha voluto la luce filtrasse nell’interno attraverso delle piccole finestre, che riproducono la stessa forma di quella delle fabbriche e anche di alcuni complessi abitativi del quartiere. Ha poi fatto scendere dal soffitto diverse serie di cilindri di vetro bianco, che nascondono le lampade dell’illuminazione artificiale, ma che lungo il giorno riflettono, in maniera cangiante a seconda dell’ora del giorno, la luce che emana dalla finestre. La durezza del lavoro in fabbrica viene sublimata nell’adorazione di Dio e l’adorazione sale a Dio dal rude terreno delle fatiche umane. Sembra non sia stato facile ai primi cristiani comprendere come, nella fede in Cristo, fosse un assoluto non senso, immaginare un atto di culto al quale non corrispondesse una qualche pratica di vita. Paolo, infatti, si ritrovò ben presto a doversi confrontare con l’incoerenza dei suoi cristiani di Corinto i quali, neppure durante la Cena del Signore, che aveva la forma comune del mangiare insieme, erano capaci di attuare il comandamento fondamentale dell’amore e della condivisione: «Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto (che si era portato da casa) e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere?» (1Cor 11,21-22). La ritualità cristiana è protesa nell’adorazione di Dio, ma dopo che Dio si è fatto uomo in Gesù, non è possibile ren dere onore a Dio nel culto senza che la vita vissuta e da vivere fra gli uomini vi corrisponda e lo compenetri a fondo.

perché servirà sempre per funzioni assai diverse fra di loro. La grande casa del popolo di Dio non è il complesso del Palazzo comunale, né un complesso scolastico, né la sede degli uffici del Patronato. Lo si vede, anche da lontano, per il tradizionale campanile, felicemente sopravvis suto ai molti cambiamenti, e per il brillare di un luogo particolare del complesso, nella evidente eminenza dell’aula liturgica. Un esempio interessante fra molti è quello di Rossi Prodi che, a Ca lenzano, per la chiesa della Madre di Dio, ha composto in una armoniosa unità il luogo alto della celebrazione rituale con le altre componenti del complesso architettonico, che lo compongono al modo di uno spontaneo allungarsi ed estendersi dello spazio destinato alla liturgia. Come lo deve essere la Chiesa, anche la sua casa deve essere protesa al mondo, aperta ai bisogni della città e, insieme, concentrata nell’adorazione di Dio, nella gratuità dei suoi riti, dei suoi canti, delle celebrazioni liturgiche. Ha bisogno vitale della bellezza, anche se mai dovrebbe cedere alla ten tazione del lusso: il vero artista sa rivestire di bellezza anche le cose più semplici e più povere.

In conclusione mi sembra di dover suggerire all’architetto che si accinge a progettare una chiesa parrocchiale di frequentare almeno per alcuni mesi, anche se personalmente non ne condivides se la fede, una comunità parrocchiale vivace, ricca di iniziative, bene inserita nel contesto citta dino, non solo partecipando alla messa domenicale, ma anche osservandola dal di dentro nello scorrere della vita di tutti i giorni

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11. Cattedrale si San Giorgio, inizio 1131, fiancata meridionale, Ferrara

10. F.Rossi Prodi, Complesso parrocchiale Santa Maria Madre di Dio, 2017, esterno, Calenzano, Firenze © Pietro Savorelli Pagina successiva

15 3. LA CHIESA E LA CITTÀ

In cammino con gli uomini Nel Medioevo l’intreccio fra la vita che si svolgeva nella chiesa e quella della città era sentito così naturale che, a Ferrara, la cat tedrale stessa poteva accogliere con naturalezza, addossata sul suo fianco destro, tutta una serie di botteghe. Nello stesso tes suto urbano non c’era alcuna soluzione di continuità fra la vita religiosa e quella civile. Per un intero millennio in un’Europa tutta cristiana la cattedrale è stata al centro della città. Basta navigare un po’ nella rete, alla ricerca di visioni dall’alto di alcune città medievali (p.e. Münster o Strassburg) per averne una chiara vi sione. Lo svuotamento dello spazio anteriore alla facciata di una cattedrale, per ricavarne una piazza monumentale, frequente nell’Ottocento, è stato un segnale di una secolarizzazione avan zante, che onorava il valore storico e monumentale dell’opera d’arte, ma nel contempo la isolava, in una qualche misura, dalla vita comune della città che, prima, quasi le si addossava con le sue case tutto intorno. Venendo ai nostri tempi, trovo significativa dei vorticosi cam biamenti che stanno avvenendo, la cattedrale di Los Angeles di Rafael Moneo, inaugurata all’inizio del millennio, situata a fianco di una grande autostrada, nelle vicinanze di un impres sionante intreccio di rotatorie. Intende, pur sempre, essere un importante punto di riferimento, facile da raggiungere in auto, per gli abitanti della città, ma anche il segno di una città diversa, dalla popolazione estremamente mobile e del tutto cangiante in forme diverse di religiosità, cultura e sensibilità. In un simile contesto la Chiesa stessa è chiamata a ricordarsi di essere un popolo in cammino. La Chiesa, infatti, non può ritenersi il centro del mondo, né l’arrivo finale della storia umana: solo il Signore è «il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d’ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni» (GS 45).  La Chiesa, invece «cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cri sto e a trasformarsi in famiglia di Dio» (GS 40). La Chiesa e il potere All’inizio le comunità cristiane apparivano come uno dei tanti culti più o meno esoterici, una delle variegate sette che fiorivano nell’impero. A San Paolo, giunto prigioniero a Roma, gli ebrei della comunità romana, venuti a trovarlo, avevano detto: «Noi non abbiamo ricevuto alcuna lettera sul tuo conto dalla Giudea [...] (ma) ci sembra bene ascoltare da te quello che pensi di questa setta, infatti sappiamo che ovunque essa trova opposi

16 zione» (At 28, 21). Sia per la piccola dimensione delle comunità, sia perché guardate con ostilità e perseguitate, inizialmente le comunità cristiane non hanno avuto alcun ruolo pubblico. Para dossalmente, sono stati gli acuti strateghi della politica imperiale a intuirne le pericolose potenzialità sul piano politico. In un qua dro politico nel quale a Giulio Cesare erano stati decretati onori come a un dio e, in seguito, gli imperatori saranno destinatari, almeno dopo la morte, di un vero e proprio culto pari a quello degli altri dei, i cristiani che pretendevano esistesse un unico Dio e Gesù fosse l’unico vero Signore del mondo erano potenziali sovversivi, da eliminare.

È interessante seguire l’evoluzione delle forme architettoniche delle chiese, che testimonia ampiamente come la loro ideazione sia sempre determinata dalla situazione storica, cioè dalle trasformazioni della coscienza civile, della spiritualità, dagli sviluppi della riflessione teologica e dai cambiamenti che stavano avvenendo nel clima culturale e nel costume.

Per la basilica cristiana sarebbe stato prematuro situarsi nella città con la maestosità dei templi pagani, Inoltre la scelta dei luoghi, fra l’altro, era predeterminata dalla volontà di onorare i sepolcri dei martiri e quindi cadeva sempre su luoghi periferici. A contrasto con il modello dei templi, i loro armoniosi colonnati, che circondavano la cella del dio verranno riproposti, ma nell’in terno, quasi ad onorare il popolo di Dio e guidarlo verso il suo Signore, risplendente nei catini absidali delle sue basiliche. Verso l’esterno la basilica si offre alla città con il suo atrio, per invitare il passante ad entrarvi: il vescovo Eusebio da Cesarea, in uno degli anni fra il 314 e il 319, nella sua omelia per la dedi cazione di una basilica a Tiro, nel Libano, diceva: «Un vestibolo grande e molto elevato offre una comprensiva immagine di ciò che si contempla dentro e attira gli sguardi persino degli estra nei alla nostra fede».

I vangeli raccontano di Gesù che, prima di iniziare la sua mis sione, lungo il suo ritiro nel deserto, aveva sentito il fascino del potere da cercare e acquistare come il mezzo migliore per rea lizzare lo scopo di un rinnovamento e della salvezza del mondo: «Il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Allora Gesù gli rispose: “Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”» (Mt 4,11). L’episodio è programmatico dello stile di Gesù, che costantemente scarta la possibilità di acquisire un potere terreno per portare a compi mento la missione messianica, fino a dichiararlo esplicitamente di fronte a Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combat tuto perché non fossi consegnato ai Giudei [...] sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità» (Gv 18,33). La verità da proclamare davanti a Pilato era una sola, cioè che al di sopra di lui e del suo imperatore c’è uno, infinitamente più grande e più potente, Dio. Nelle prime generazioni cristiane non mancava un forte senso della grandezza e della potenza del Cristo risorto, giudice del mondo: «Alla fine, il Cristo consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni principato e ogni potenza e forza» (1Cor 15,24-27). La comunità cristiana, però, scorge l’espandersi della potenza del Risorto alla fine della storia e non se ne ritiene in alcun modo la depositaria, se non in un senso rovesciato: «Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma[...]quello che è de bole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (2Cor 1, 26-27). In ogni modo, ricordando le parole di Gesù, «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte» (Mt 5,14), la Chiesa non si è mai data la forma di una setta esoterica, da restare isolata e nascosta nella città, mentre è stata sempre consapevole di avere un ruolo pubblico.

All’inizio del IV secolo acquisterà la libertà di esercitarlo, grazie al decreto dell’imperatore Costantino. Alla fine poi dello stesso secolo. Teodosio assumerà il cristianesimo all’interno delle strut ture imperiali e ne farà la religione ufficiale dell’impero romano. Cominciava così una nuova fase della vita della Chiesa nella società che caratterizzerà la storia dell’Europa per più di un mil lennio: Chiesa e mondo diventavano gradualmente non due poli di una feconda dialettica, ma una cosa sola. Una dialettica che si metterà in moto sarà, invece, quella fra i due poteri, l’ecclesia stico e il civile. Mentre l’Oriente ha percorso una strada diversa, quella di una “sinfonia”, come i cristiani orientali amano dire, fra lo Stato e la Chiesa e, quindi il perseguimento di una stretta alleanza fra i due poteri (vedi anche l’attuale costante intesa fra il Patriarcato di Mosca e il governo della Federazione Russa), la Chiesa d’Occidente, pur riconoscendo all’autorità civile il potere politico, ha preteso per sé, a lungo, il ruolo di giudice supremo della moralità del costume del popolo, degli sviluppi della legi slazione civile e della stessa condotta morale dell’imperatore e dei principi. Sarà la modernità a mettere in moto il travagliato processo di piena emancipazione della società civile dalla Chie sa, con la laicizzazione dello Stato e, in tempi più vicini a noi, l’avvento del sistema democratico di governo. In parallelo al cammino culturale e politico la stessa composizione demogra fica delle popolazioni si frastagliava in etnie, culture e religioni diverse.

Un esterno per la testimonianza evangelica Introdurre, in alcuni particolari momenti storici, un nuovo edificio nel tessuto urbano ha una potente valenza simbolica: modificando la skyline del sito, si giunge a manipolare l’imma gine complessiva della città. Si pensi al cambiamento occorso alla Roma dei Cesari con l’edificazione della basiliche degli Apostoli e, dopo quindici secoli, in senso opposto, con l’erezione, nel pieno suo centro, del Vittoriano. Parigi, dopo la rivoluzione francese e la successiva restaurazione, ha subito un cambiamento radicale del suo volto, come, dopo la rivoluzione sovietica i sette grattacieli di Stalin hanno trasformato quello della capitale della

12. Basilica di Santa Sabina, V sec., interno, Roma © Antonio Dianich

13. A. Pozzo, Gloria di Sant’Ignazio, XVII sec., cappella di sant’Ignazio, Chiesa del Gesù, Roma © Giuseppina Barsacchi

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L’architettura barocca ancora si impone per la sua sontuosità, però intenzionata, con lo splendore delle sue immagini ad esaltare gli ideali di vita cristiana vissuti dai santi e, con gli audaci trompe-l’oeuil e i suoi transparentes che aprono lo spazio verso il cielo, a promuo vere la devozione, ad indurre i fedeli alla meditazione della gloria celeste e a meritarsene il premio, praticando la virtù. Se c’è nelle chiese dell’epoca anche una forma di ostentazione e di rivalsa sul protestantesimo, l’intento dominante sembra quello di una didattica della fede che gioca le sue carte, più che sulle parole, sull’attrazione della bellezza e sulle emo zioni che lo splendore delle forme è capace di suscitare.

Nel Medioevo, nel quadro sociale politico di un Sacro Romano Impero, monasteri e catte drali si daranno vistose forme monumentali e la cattedrale del vescovo assumerà il ruolo di punto focale di tutto il tessuto urbano della città. Si deve notare che vi corrisponde anche una crescita della ricchezza e della potenza di vescovi, abati, alti prelati, cui si intrecciava sete di guadagno e corruzione, assieme al frequente abbandono della predicazione e di qualsiasi attività pastorale. In reazione nascevano i grandi ordini religiosi dei Frati Mendi canti, Francescani e Domenicani che crearono un nuovo modello di chiesa, caratterizzata dal loro ideale della povertà, austera nel decoro, privata dei colonnati, perché la si voleva spazio vasto ed aperto adatto all’esercizio della predicazione.

Al predominio di un rigoroso carattere di austerità si ritornerà solo con la Riforma prote stante, più nella Chiesa Riformata di Calvino e meno in quella Luterana, rimasta più fedele ad alcune tradizioni. Da parte della Chiesa Cattolica, il Concilio di Trento avvierà una seria e profonda riforma morale del clero e la riattivazione in tutti i campi dell’attività pastorale.

Il Concilio Vaticano II, nell’intento di superare una situazione di plurisecolare conflittualità con il mondo moderno, a partire dall’affermarsi dell’illuminismo e soprattutto dopo la rivoluzione francese, ha proposto con forza il bisogno di ritrovare una forma di Chiesa che, in coerenza con il Vangelo, si rendesse libera da qualsiasi ricerca del potere.

La figura della città ricorre spesso nei documenti del Concilio, per indirizzare il cammino del popolo di Dio verso la Gerusa lemme che scenderà dall’alto alla fine dei tempi. Lo sguardo costante all’eterno lo libera dall’ansia di procurarsi ricchezza e potere in questo mondo, nel quale i cristiani sono chiamati solo a condividere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (GS 1). I cristiani sono «cittadini dell’una e dell’altra città» (GS 43) e LG 36 dichiara il valore dell’indipendenza della società civile: «La città terrena, legittimamente dedicata alle cure secolari, è retta da propri principi” e la Chiesa, secondo GS 77, «non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittima mente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubi tare della sincerità della sua testimonianza». I Padri conciliari raccoglievano nei loro documenti, come è naturale, istanze che già fermentavano nella Chiesa. Ne abbiamo anche una testimo nianza in architettura nella piccola chiesa di Sant’Elena a Bonn, progettata da Emil Steffan (1960), che si allinea totalmente, irri conoscibile, se non fosse per una piccola campana che sporge dalla piatta facciata, alla serie degli altri caseggiati della strada. Ritroviamo questo senso vivo di partecipazione, umile e solidale, alla vita della gente, quarant’anni dopo a Parigi nella Rive Gau che. Quando si iniziava a costruire il nuovo, grandioso, edificio della Bibliothèque Nationale François-Mitterrand, l’arcivescovo cardinal Jean-Marie Lustiger pensava al futuro di quel quartiere: «Quando vidi i primi abbozzi della grande Biblioteca, questo im menso tempio del sapere, mi è venuto di pensare che solo una piccola chiesa, modesta, ma di una rigorosa bellezza avrebbe potuto aggiungere alla monumentale costruzione il supplemento d’anima di cui aveva bisogno». Due anni dopo l’inaugurazione della Biblioteca, nel 1997, si apriva il cantiere della costruzione di N.D. de la Sagesse, dedicata alla Madonna della Sapienza, su progetto di Pierre-Louis Faloci. Vista dall’alto è un puntino rosso in una piazza alberata, contornata da massicci caseggiati, a due passi dalle imponenti torri della Biblioteca. Senza cedere a forme di radicalismo, come nel caso di Bonn, il suo modesto volume non regge al confronto di tutto ciò che gli sta attorno, ma col caldo colore del suo laterizio il mezzo al verde della piaz za, spicca rispetto alle superfici biancastre o grigie del contorno e richiama alle dimensioni intime della vita e offre la percezione di una disposizione all’accoglienza. Le basta questo per dare alla Rive Gauche della torreggiante facciata di Saint Sulpice, dell’alta torre di Saint Germain des Près, delle cupole della Sor bona e del Panthéon e dei solenni edifici delle grandi istituzioni universitarie, un nuovo segnale, contemporaneo ma sottodi mensionato rispetto alle torri della Biblio François Mitterand, di una Chiesa umile ma, oggi come ieri, volta ad accompagnare gli studenti e gli studiosi della città, offrendo loro la sua acco glienza, l’opportunità di incontrarsi con gli abitanti del quartiere e anche con i poveri che vi trovano rifugio, un luogo di meditazio ne e la proposta della sua fede. Con tutto ciò, anche dopo il Concilio, non è mancata la tenden za a dare ancora alle chiese le forme monumentali del passato. Ne abbiamo un esempio a Torino, nella chiesa del Santo Volto di Mario Botta, dedicata nel 2006. Non che la chiesa debba mi metizzarsi o nascondersi: deve offrire, nel segno della differenza, il senso di una Presenza di cui il mondo di oggi ha bisogno, ma deve porsi in spirito di fraternità, non in ostentazione di superio rità, al servizio degli uomini. Gli equilibri formali dei volumi e delle forme in rapporto al contesto urbano, nel caso di una chiesa cri stiana, devono sempre trarre ispirazione, non dalle ideologie del giorno, ma dal vangelo e dai sentimenti che animano gli orien tamenti della comunità cristiana. Bisognere imparare la lezione dalle situazioni nelle quali la città non è disponibile ad offrire alla Chiesa uno spazio onorevole per la sua casa. è il caso di Karl Moser, il quale a Basilea, nel 1926, in una fase caratterizzata dall’immigrazione di cattolici in una città dalla tradizione total mente protestante, nella quale la Chiesa cattolica non godeva

Santa Russia. Costruire in un complesso abitativo un nuovo edificio è sempre, in qualche maniera, un atto di violenza, come lo è la reazione che non di rado ne consegue. Alla fine dell’Ottocento sul colle di Montmartre, bagnato del sangue dei soldati francesi e dei rivoluzionari della Commune, l’ultimo tardivo sussulto della rivoluzione, si erigeva la grande basilica neoromanica-neobizantina del Sacré Coeur. Il devoto interno chiama la Francia alla penitenza per i crimini commessi, come recita la scritta alla base del mosaico absidale, mentre l’ester no che con la sua bianca mole domina il panorama di Parigi, sembra voler rivendicare alla Chiesa la sua sovreminenza sulla società civile. Gli stessi stilemi romanici e bizantini richiamano le antiche glorie di Bisanzio e del Medioevo. Negli stessi anni, anche se in un clima politico totalmente diverso da quello europeo, si ricostruiva a New York, dopo un terremoto, la Trinity Church con la sua agile guglia neogotica e l’ambizione di creare l’edificio più alto degli Stati Uniti. Se oggi la osservia mo in una visione dall’alto, appare come un giocattolino nella selva dei grattacieli che in seguito le sono cresciuti all’intorno. Anche questa è una significativa immagine, e contrario, dei sempre possibili errori nel ricercare un felice equilibrio fra la chiesa e il suo contesto urbanistico, il quale a sua volta riflette il rapporto della Chiesa stessa e con la società civile.

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15. K. Moser, Chiesa di Sant'Antonio, l926-27, galleria d’ingresso, fiancata, Basilea, Svizzera

16. K. Moser, Chiesa di Sant'Antonio, l926-27, vetrate, fiancata, Basilea, Svizzera

neanche di un riconoscimento pubblico, ha dovuto collocare la sua chiesa di Sant’Antonio in un sito ristretto e infelicemente orientato. Non c’era alcuna possibilità di far sporgere la chiesa sulla città con una sua facciata, mentre bisognava inserirla nella linea ininterrotta degli altri caseggiati, con la fiancata lungo il grande viale alberato della Kannenfeldstrasse. Moser preferì non ricavare il portale nella parete della chiesa, che preferì con trassegnata da una serie di grandi finestre vetrate. Introdusse, invece, fra l’edificio contiguo e la chiesa una specie di atrio, trasversale alla linea continua dei caseggiati, entrando nel quale si incontra l’ingresso nell’aula liturgica. Nessuna rivendicazione la Chiesa cattolica avrebbe avanzato nei confronti della città. Si sarebbe collocata fra le case degli uomini con semplicità e modestia. Non avrebbe, però, rinunciato a lanciare il suo mes saggio. L’ingresso all’atrio, una specie di galleria che introduce anche ai retrostanti locali della parrocchia, si esibisce, infatti, sulla strada con una certa sua solennità, grazie alla sua alta e profonda strombatura, che evoca i portali delle chiese medievali e che invita a penetrare in uno spazio inatteso, dal quale poi, entrati in chiesa, si respira un’atmosfera nuova, di grande bel lezza. Le sei grandi vetrate della fiancata, inoltre, irradiano sulla strada le luci e i colori che ricevono, a loro volta, dalle vetrate del lato opposto della chiesa.

14. P.L. Faloci, Notre-Dame de la Sagesse, 1998-2000, esterno, Parigi, Francia © Jean Paul Pasquet

Al termine di questo immaginario dialogo fra teologi e architetto, mi pare utile riportare alcune righe che scrivevo nel volume La Chiesa e le sue chiese. Teologia e Architettura (San Paolo 2008): «Accingendosi a progettare una chiesa, è ovvio che si studino attentamente le funzioni alle quali l’articolazione dei suoi spazi dovrà rispondere, il suo impatto sul paesaggio e sulla rete urbana della città, gli emblemi, i simboli e i segni attraverso i quali essa vorrà farsi riconoscere, ecc. Resta, però, al fondo di tutte le ricerche possibili e immaginabili la domanda radicale: perché si costruiscono chiese? Scrive Christian Norberg-Schulz: “Sembra necessario sottoporre i compiti edilizi a un’indagine fondamentale, chiedendosi ad esempio: Che cos’è una chiesa?, piuttosto che: Com’è una chiesa?” (Ch. Norberg-Schulz, Intenzioni in architettura, Officina Edizioni, Roma 1983, 107). È la domanda sul senso». È questo che abbiamo cercato di fare consegnando a chi vorrà leggerle queste riflessioni.

EPILOGO

Luigi Leoni

1. Chiesa del monastero di Nostra Signora di Novy Dvur nella repubblica CecaJohn Pawson 2004 - foto Fondazione Frate Sole SPAZI DI LUCE

La chiesa diviene il luogo ove si concretizza al massimo grado l’interazione tra l’uomo con i caratteri di lopercezione,concezione,fedeespazioincuiviveedesprimelesuerelazioni.

Quando ci si accinge a studiare l’evoluzione degli spazi architet tonici che sono stati ideati per progettare ed erigere chiese nelle varie epoche storiche, in ogni paese dei cinque continenti in cui il Cristianesimo è penetrato, si rimane felicemente colpiti dalla incredibile varietà e ricchezza di forme. Lo studio è di grande interesse e ci porta ad una trattazione vastissima e molto com plessa, difficilmente circoscrivibile. Si comprende che moltissimi fattori interagiscono nel determi nare gli orientamenti che sottendono al pensiero e all’ideazione che genera le varie forme architettoniche. Ciò dipende dal fatto che vi è una correlazione stretta tra lo spa zio costruito con i valori che lo stesso spazio incarna e l’uomo stesso. È innegabile l’influsso tra l’uomo e lo spazio architetto Possiamonico. affermare che l’architettura definisce e denuncia con chiarezza come e chi è l’uomo in un’epoca storica. Mostra le sue aspirazioni, il suo credo, le sue speranze, i suoi sogni. Cer tamente in negativo purtroppo può esprimere degenerazioni, falsità e meschinità ma importa soprattutto mettere in luce che, al contempo, l’uomo con la sua creatività e la sua riflessione può trasfondere negli spazi un mondo ricco di valori che detta no modi di comportamento e di pensiero e tracciano vie nuove da percorrere. La chiesa diviene il luogo ove si concretizza al massimo grado l’interazione tra l’uomo con i caratteri di concezione, percezio ne, fede e lo spazio in cui vive ed esprime le sue relazioni. Lo studio e la riflessione sullo sviluppo ed evoluzione che ha co nosciuto l’edificio Chiesa in due millenni di storia sono mirabili. Cambiamenti della società e del pensiero umano sono stati matrici di trasformazioni che lasciano persino perplessi se non si getta lo sguardo alla complessità dei valori che interagiscono nella genesi di un’opera d’arte ecclesiale, chiamati ad abbrac ciare tutte le sfere del pensiero e dell’agire umano. Si scopre in particolare come si sviluppano le relazioni tra espressioni artistiche e la riflessione teologica. Sin da quando ero studente al Politecnico di Milano, mi chiede vo quale fosse il ruolo dell’architettura sacra nella vita dell’uomo, meglio, quale compito fosse chiamato a svolgere uno spazio sacro nella vita dell’uomo, quale influsso può produrre sul suo spirito interagendo con la ricchezza di sensazioni e di palpiti che ogni persona vive, quando è immerso in un’atmosfera carica di valori, di creatività e di luce.

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Vivere in tali spazi produce senso di appagamento totale dell’anima e del corpo con il raggiungimento di percezioni di gioia e di pace interiori capaci di donare slancio al nostro Lespirito.Corbusier parlava di “spazi indicibili” per descrivere questi spazi. Ne sono prova le te stimonianze che ci ha lasciato con il santuario di Notre-Dame du Haut a Ronchamp e la chiesa del monastero domenicano di La Tourette. Padre Costantino Ruggeri parlava di “spazi mistici”1. Entrambi avevano colto il segreto di una ricerca appassionante nella nostra età contemporanea per esprimere l’indefinibile, per dar concretezza all’irraggiungibile con mezzi misteriosi ma veri, intensi e di nuova creatività.

3. Chiesa Parrocchiale di S. Paolo a Rho (Milano) - Padre Costantino Ruggeri e Luigi Leoni, 1990foto Fondazione Frate Sole lo spazio “mistico” più che sacro, non organico, bensì immagine, luce e poesia; provocante ed eccitante alla liberazione dalle cose morte per destarci nel nitore della bellezza, nel bianco luminoso e ardente.

2. Chiesa Parrocchiale di San Francesco a Kayon gozi (Diocesi di Ruhigi) Burundi - Padre Costantino Ruggeri e Luigi Leoni, 1980 - foto Luigi Leoni

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Tutti noi possiamo affermare per esperienza di essere stati come rapiti trovandoci in spazi che parlano al nostro cuore con un linguaggio misterioso ma di intensa spiritualità che sod disfa le nostre più alte aspirazioni.

Paolo VI nel rivolgersi agli artisti nel lontano 1964, con acume e sensibilità grande, mise in evidenza come nell’arte sacra si è chiamati ad esprimere in qualche modo l’inesprimibile, Compitol’ineffabile.sicuramente affascinante per il quale spendere la vita: dare anima e corpo a ispi razioni che aprono all’uomo la speranza di un mondo nuovo, che indicano orizzonti nuovi, che comunicano fuoco nel cuore! Nella pubblicazione delle “Celle”, del 1982, manifesto chiaro e forte del credo artistico di padre Costantino Ruggeri, nell’introduzione, in modo vibrante ed acceso, così esordisce: «Il nostro spazio è ormai inabitabile. Tutto è oscuro, sgraziato, umiliato. Soprattutto banale. Gli agglomerati urbani opprimenti, le strade piene di paura, le chiese senza poesia, le istituzioni corrose e corrotte, i pensieri senza creatività, i cuori senza slancio; in tutti l’abdicazione al sublime. Offesi da questo attentato alle insopprimibili speranze, cerchiamo nella totale spo gliazione i segni umili ed assoluti di uno spazio innocente, espressivo dell’anima ed ospitale al cuore. Rifiutando ogni banalità e concezione utilitaria dello spazio, vogliamo vivere la più incorruttibile e inebriante “poesia delle cose”. Al di là di ogni intendimento estetico, Padre Costantino propone: “lo spazio “mistico” più che sacro, non organico, bensì immagine, luce e poesia; provocante ed eccitante alla liberazione dalle cose morte per destarci nel nitore della bellezza, nel bianco luminoso e Nelardente».marzo

del 19782 Padre Costantino Ruggeri aveva scritto: «Lo “spazio mistico” costitu isce il motivo ed il fermento della mia esperienza attuale. Contrariamente allo spazio sacro tradizionale, che è sempre spazio circoscritto, precisato, configurabile in termini volumetrici ed estetici già assimilati, quello mistico ha misure sempre intuite e mai precisate. Proprio per tali ragioni lo “spazio mistico” è stimolante. È per intenderci, uno spazio assoluto e non relativo, un luogo aperto, non chiuso […] Cercarne l’evidenza, per un artista, per un archi tetto, […] è l’avventura estetica più esaltante e difficile, perché è prima di tutto un’avventura

1 P. Costantino Ruggeri Lo spazio mistico Centro Culturale San Fedele Piazza San Fedele 4 20121 Milano Esposizione dal 31 marzo al 23 aprile 1978 2 Fra Costantino Ruggeri Le celle Spazi Mistici La locusta Vicenza Stampa Arti Grafiche Barlocchi 1982 Pagina a lato

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Pagina a latoe in basso

In essa troviamo espressi candore di forme, essenzialità di tratti, luminosità nella concezione dell’insieme e dei dettagli, poesia dei segni, novità nella creazione degli spazi: testimonianza tan gibile di alta valenza spirituale del messaggio della Salvezza.

Nel 1993 Padre Costantino istituì la Fondazione Frate Sole con lo scopo di premiare le migliori opere di chiese realizzate nel mondo. Tali opere sono un esempio tangibile dei valori più alti espressi nel nostro tempo nell’architettura di Chiese.

Tra queste: - Chiesa Parrocchiale di San Francesco a Kayongozi (Diocesi di Ruhigi) Burundi 1980 - Chiesa Parrocchiale di S. Paolo a Rho (Milano)1990 - Santuario San Francesco Saverio a Yamaguchi (Giappone) 1998 - Santuario Madonna del Divino Amore a Roma 1999 - Chiesa alla Madre di Dio - Santuario Madonna del Latte a Betlemme (Palestina) 2006 Di tali esempi di chiese segnalo i tratti peculiari: la creatività, l’unicità, la novità, l’invenzione poe tica, la bellezza, la purezza di linee, il candore di visioni, il canto della luce, la poesia ed efficacia dei segni, la celebrazione del soffio di vita e ancora la spogliazione da sovrastrutture banali, l’armonia con il creato, luoghi di manifestazione del mistero. Essi esprimono l’essenza di valori che si fanno segno di grazia, che mettono in comunicazione con il Trascendente e annunciano la presenza del Divino.

4. Santuario San Francesco Saverio a Yamaguchi (Giappone) - Padre Costan tino Ruggeri e Luigi Leoni, 1998 - foto Fondazione Frate Sole 5. Santuario Madonna del Divino Amore a Roma - Padre Costantino Ruggeri e Luigi Leoni, 1999 - foto Luigi Leoni

25 d’uomo, […] di cercatore dell’ombra” di Dio nella luce dell’evidente, o della “luce” di Dio nell’om bra delle limitazioni del creato. Lo “spazio mistico” è […] un aspetto della bellezza e della verità delle cose, una zona liberata dalle strumentalità, dalle funzionalità, dall’uso delle sacralizzazioni e delle laicizzazioni di moda. È il punto d’incontro tra l’assoluto della bellezza ed il relativo delle forme in cui esso viene più che realizzato e circoscritto, indicato come un punto sempre nuovo di partenza nell’esperienza di un artista».

6. Chiesa alla Madre di Dio - Santuario Madonna del Latte a Betlemme (Palesti na) - Padre Costantino Ruggeri e Luigi Leoni, 2006 - foto Luigi Leoni

Il travaglio umano ha portato Padre Costantino a riflettere e a cimentarsi nello studio e nella ri cerca di nuovi spazi ecclesiali che hanno in sé le connotazioni proprie delle convinzioni mistiche spirituali che lo hanno sempre animato. Per avere testimonianze concrete di queste asserzioni occorre passare in rassegna le numerose opere realizzate da Padre Costantino Ruggeri dagli anni 70 del secolo scorso sino ai primi anni del nuovo millennio. Esse dicono il cammino artistico che ha dato vita ad episodi che si pongo no come tappe di un percorso di alto significato artistico.

In particolare segnalo il premio conferito a John Pawson nel 2008 per la realizzazione della Chiesa del monastero di Nostra Signora di Novy Dvur nella repubblica Ceca. Tale opera mostra la forza del messaggio trasmesso da un’architettura sacra in termini di bellezza e di armonia.

3 “L’immagine è un’imitazione che esprime l’originale in modo tale che tra l’una e l’altro permane una differenza”. GIOVANNI DAMASCENO, De imaginibus oratio III, 16, PG 94, 1337.

linguaggiL’inaugurazionedellanuovachiesadiS.GiacomoaFerraraoffrel’occasioneperfareilpuntosulrapportotrareligioneeestetici

27 LA CHIESA DI S. GIACOMO

Le questioni fondamentali verteranno sul contesto rituale dell’immagine sacra e sul nuovo statuto epistemologico dell’arte moderna, con la fiducia di trovare un nuovo paradigma di rilettura del Niceno II e del nuovo corso avviato dal Vaticano II circa l’icona nella liturgia. Il Cristianesimo fin dall’inizio si è trovato, per quanto concerne l’immagine, tra ten sioni opposte: condivideva col mondo biblico la proibizione a farsi immagini di Dio e d’altra parte annunciava esattamente il contrario, cioè che Gesù era l’immagine (eikon) del Dio invisibile (Col 1,15-20). A questa polarità se ne aggiungeva un’al tra, altrettanto devastante. Per un verso l’immagine pittografica era evocatrice di presenza spirituale, sulla linea della iconografia rituale ben presente nel mondo greco romano. D’altra parte la potenza “magica” delle immagini era pericolosa e andava sottomessa alla parola e alla scrittura. Il tentativo di disinnescare il potere delle immagini evoca una situazione di grande sincretismo con il mondo pagano. T. Mathews ha sostenuto che le più antiche immagini cristiane hanno permesso al Cristianesimo di posizionarsi nell’Impero come religione di riferimento, non tanto o soltanto per l’uso della “mistica imperiale” promossa da Costantino a favore della Chiesa, ma per la capacità dei temi iconografici di intercettare il consenso2 Il Concilio di Elvira nel 306 al canone 36 recita: “La collocazione di dipinti nella chiesa deve essere vietata, poiché l’oggetto della venerazione e dell’adorazione non si trova su una parete”. La teologia in seguito ha provato a giustificare teoreticamente il culto delle immagi ni ponendo il rapporto tra l'immagine e l'originale in termini di “imitazione”3 Lo sviluppo dell’iconodulia sul modello dell’Incarnazione tuttavia non è stato così tranquillo, ma ha avuto tensioni drammatiche nella controversia iconoclasta, che ha diviso la chiesa d’Oriente da quella d’Occidente. Il punto delicato non è il piano rappresentativo, che vale per la persona di Gesù come per le icone, ma il piano invisibile del mistero di Gesù. L’inaugurazione della nuova chiesa di S. Giacomo a Ferrara offre l’occasione per fare il punto sul rapporto tra religione e linguaggi estetici, nella fattispecie con il progetto di Benedetta Tagliabue e di Enzo Cucchi.

1 EVDOKIMOV, L’Ortodossia, Bologna, EDB, 1981, p. 317.

A FERRARA Roberto Tagliaferri Il Cristianesimo già agli esordi ha vissuto un grande conflitto tra culto delle imma gini e tentazione iconoclasta fino alla rottura all’interno delle chiese d’Oriente e P.d’Occidente.Evdokimov arriva a dire: “L’essenziale dell’icona si sprigiona dalla teologia della presenza, ed è qui che l’Occidente si diparte dall’Oriente”1

2 Cf. T.F.MATHEWS, Scontro di dei. Una reinterpretazione dell’arte paleocristiana, Milano, Jaca Book , 2005.

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Da quando le neuroscienze hanno corroborato la riflessione fenomenologica sul valore della percezione nella conoscenza a scapito dello “errore di Cartesio”, tutto concentrato sulla ragione concettuale, si è registrato un grande interesse sull’estetica, sull’epistemologia delle emozioni, che ha coinvolto anche la teologia e la pastorale della Chiesa.

L’idea dell’arch. B. Tagliabue era di creare un luogo di sogno, come una mongolfiera che dal cie lo plana sulla terra. Subito si è sentita l’esigenza di trovare gli elementi simbolici per una chiesa. Innanzitutto un vettore longitudinale ed iniziatico dal punto zero della soglia d’ingresso doveva produrre un cambiamento nei fedeli in un cammino verso l’eschaton, ovvero verso il futuro, il definitivo nello sfondamento spaziale dell’abside, segnata da una grande croce gemmata, sim bolo di morte e risurrezione. Il percorso, guidato da una grande croce lignea sospesa al soffitto, dall’ingresso accompagna i fedeli fino al presbiterio e all’abside. Nell’intersezione dei due bracci un vettore verticale virtuale congiunge l’altare con lo sfondamento del tetto con la cupola come un “axis mundi”, che congiunge cielo e terra. Su questi spunti architettonici sono intervenuti il teologo e l’artista, che hanno assecondato l’i dea iniziale immettendo sulle pareti di cemento armato, lasciato crudo, grandi croci di pietra su

Specialmente nelle discipline come la scienza liturgica, si è affermato un approccio pragmatico, meno interessato alla semantica dei testi e delle dottrine e più attento alla performance rituale dei sacramenti della fede. L’efficacia performativa dei riti riguarda sia Dio sia l’uomo, cosicché risulta sorpassata una visione quasi miracolistica e si fa strada un’interpretazione attenta ai molteplici codici simbolici del rito. Tra questi vi sono l’architettura dello spazio sacro e il programma iconografico che l’accompagna. Essi non sono linguaggi indipendenti, ma devono risultare sinergici con la multiformità dell’azione liturgica e questo comporta un’enorme attenzione alla complessità sinestesica. Come nel teatro, a maggior ragione in un rito, spazi, tempi, attori, musiche, canti, danze, profumi, travestimenti, immagini, parole proclamate, assemblea, devono trovare sintesi in una regia con competenze plurime per ottenere il massimo di performatività. La chiesa di S. Giacomo ha comportato questo sforzo empatico di tante competenze per ren dere efficace il progetto architettonico. Mi limiterò ad offrire alcuni spunti su spazio architettonico e programma iconografico, perché solo la celebrazione liturgica in atto potrà verificare la bontà degli intendimenti dei progettisti.

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cui si appoggiano ceramiche nere come fazzoletti con scene della storia della salvezza. Le grandi croci segnalano e ritmano il pellegri naggio del cristiano, ricordando che “solo passando attraverso la passione si giunge alla gloria della risurrezione”. I riquadri, opera di E. Cucchi, da un lato rievocano gli eventi dell’Antico e del Nuovo Te stamento secondo il metodo tipologico antico di promessa e adem pimento. Sulla destra, entrando, sono evocati gli articoli della fede d’ Israele: creazione, patriarchi, esodo dall’Egitto, pellegrinaggio nel deserto, dono della Legge, dono della terra, promessa di un Messia. Sul lato sinistro il compimento della promessa con il mistero dell’In carnazione del Messia e con le leggi per il cristiano in cammino nel tempo: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli” e “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non pro duce frutto”. Sull’ultima parte attigua al presbiterio il passaggio dalla missione di Gesù alla missione della Chiesa, con il simbolo antico della nave-Chiesa sballottata dai flutti e tenuta a galla dall’albero della croce. Da ultimo, va segnalato all’ingresso lo spazio battesimale con l’invito iniziatico a passare per la porta stretta e con scene battesimali dell’Antico e del Nuovo Testamento. Se dal punto di vista contenutistico non vi sono novità nell’ideazione della chiesa di S. Giacomo, invece dal punto di vista iconografico le innovazioni sono profonde, perché non hanno riscontro nella storia dell’arte ecclesiale. I soggetti di Cucchi, infatti, si staccano dai modelli tradizionali e tendono non a descrivere, a rappresentare, ma ad allu dere, attraverso indizi che costringono a pensare. Lo spettatore poco rassicurato nelle sue credenze sapute, è costretto a riflettere e ad attivare l’immaginazione simbolica. L’organicità di arte e architettura si avverte nel dialogo tra cemen to armato delle pareti con il marmo delle grandi croci e dell’altare, un grande masso cubico estratto da una cava in Puglia. Il tutto ha l’aspetto del non finito, ma è un effetto voluto per percepire nella po tenza della materia l’afflato dello Spirito. L’inevitabile fastidio dei fedeli è un rischio calcolato dall’arte contemporanea, che intende produrre uno shock nello spettatore per creare emozioni ed esperienze pro fonde, non solo rappresentazioni legate alle credenze ricevute per “epidemiologia” sull’autorità di chi ce le ha trasmesse. Luogo archi tettonico e icone, insomma, intendono attivare insieme un’esperienza religiosa genetica e innovativa. Su questo fronte si apre un capitolo inedito del rapporto tra religione e linguaggi estetici. È risaputo che da molto tempo si è rotto il patto che legava arte e fede per tanti motivi che non si possono qui rievo care. Tuttavia la nuova sensibilità epistemologica sulla fondamentale dimensione estetica della conoscenza, corroborata dalla fine delle credenze per contagio di idee, hanno riavvicinato Chiesa e arte. L’arte stessa, infatti, lamenta un impoverimento della sua ispirazione, lascia ta troppo spesso in balia delle trovate estemporanee e accetta vo lentieri le nuove sfide della committenza ecclesiastica. D. Freedberg sostiene con vigore la fine della potenza dell’arte, che nel mondo antico creava presenze soprannaturali e che oggi è solo comunicativa e frivola. L’antropologo Carlo Severi descrive la “mnemotecnica” della “Bibbia dakota”, che con i suoi pittogrammi mette in relazione perce zione e memoria per tramandare il modello culturale. La chiesa di S. Giacomo a Ferrara è un esempio da tenere in consi derazione per le ragioni più profonde attivate nella progettazione, che ha inteso riattivare il “genius loci” dove non ci sono solo uomini, ma si respira la presenza del Sacro nello stormire delle fronde dei grandi alberi che circondano la chiesa all’Arginone di Ferrara.

Casa Editrice: Gangemi Editore Collana: Architettura, Urbanistica, Ambiente Formato: 24 x 24 cm Legatura: Filorefe Anno di edizione: 2022 Pagine: 144 Prezzo: 28€ di Giusi Ciotoli L’ornato liturgico e l’architettura cultuale sono due temi topici, di straordinaria importanza per la ricerca teorico-applicativa dell’architettura degli ultimi 150 anni. Con molta probabilità la “caduta degli stili”, affermatasi dapprima con il Movimento Moderno e consolidatasi in maniera decisiva nei primi anni 2000, ha rafforzato le prospettive di un’architettura “libera” da segni, valori e concezioni culturali, in grado di esprimere figurativamente la società del pe riodo. Questa «società neo-eclettica» nella quale viviamo – così come viene definita da Ugo La Pietra all’interno del testo1 – comincia a porre domande circa la necessità di “tornare” ad esprimere in forma quanto più collettiva possibile, gli aspetti valoriali e sensoriali di un edifi cio; una tematica che diventa ancora più delicata se applicata all’architettura cultuale, tipo architettonico che più degli altri impone una risemantizzazione organica del proprio processo Ilcreativo.volume L’ornato liturgico e l’architettura cultuale – curato da Danilo Lisi ed edito per i tipi di Gangemi – si presenta come un contributo utile e necessario per dibattere su un nodo centrale dell’architettura contemporanea, in grado di innescare tutta una serie di domande, argomentando il confronto teorico e disciplinare su un argomento che impone la nostra riflessione. Seguendo l’impostazione editoriale già avviata nel precedente lavoro Lo spazio sacro e la città contemporanea, Lisi affronta la propria indagine stimolando un confronto binario: da un lato la ricerca scientifica compiuta studiando le forme cultuali ereditate da un passato recente, così da ricavare indicazioni, estrapolare riferimenti, individuare distinzioni formali ed estetiche tra i vari progetti affrontati nei testi; dall’altra la possibilità concreta di esprimere, attraverso gli schizzi, la materia, la composizione artistica e architettonica, la sintesi completa e compiuta dell’organismo cultuale. Tra i due binari – l’uno chiaramente più teorico l’altro dall’orientamento decisamente più concreto – si affrontano artisti, progettisti e liturgisti, puntando ad un avvicinamento delle differenti formazioni al fine di suggerire una sistematizzazione unitaria dei luoghi di culto. Nella prima parte del volume “Le stagioni dell’ornato nella modernità” la ricerca muove i propri passi dall’unicum della Sagrada Familia, magnum opus dell’architetto catalano Antoni Gaudí per il quale «ordine geometrico, sistema statico, convergenza di architettura, scultura, arti pittoriche e vetrarie, varietà dei materiali, delle loro tessiture e colori, tutto concorre a definirne l’esito globalmente ornamentale, in una convergenza continua tra dati desunti dalla natura e componenti di liturgia, di devozione e di cultura cristiana»2. C’è chiaramente molta differenza tra la decorazione totale avanzata da Gaudí e l’interpretazione di una modernità scabra, in cui il simbolismo religioso è indagato attraverso una sensibilità figurativa che lega il linguaggio espressivo alla tradizione formale del vernacolare. A tal proposito sono partico larmente interessanti le opere di Giò Ponti, Luigi Caccia Dominioni, Enrico Castiglioni3 e la 1 Cfr. Disegnare il futuro di Ugo La Pietra.

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Autore: Danilo Lisi (a cura di) Con i contributi di: Ugo La Pietra, Maria Antonietta Crippa, Peter Krečič, Caroline Helmenstein, Elena Pontiggia, Tiziana Proietti, Albert Gerhards, Tino Grisi, Francesca Leto, Beniamino Servino, Rosalia Pagliarani, Giovanna Cassese

2 Cfr. Ornato e architettura per la liturgia 1 - Gaudí di Maria Antonietta Crippa. 3 Cfr. Ornato e architettura per la liturgia 2 - Da Le Corbusier a Caccia Dominioni di Maria Antonietta Crippa.

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La seconda parte del volume “Work in progress: sulle orme di Matisse” declina il rapporto tra ornato liturgico e architettura cultuale attraverso la presentazione di progetti contemporanei, nei quali sono indagati i legami inscindibili tra arte e architettura e tra iconografia e liturgia. La rap presentazione del rito è, pertanto, uno degli argomenti di maggiore interesse per capire come configurare la spazialità architettonica integrando professionalità diverse. La prospettiva offertaci da Albert Gerhards è quella di un teologo che indaga l’espressione più attuale delle forme del rito nelle Chiese. Secondo Gerhards quello di «“camminare insieme è diventato un leitmotiv per una nuova forma di rappresentazione del rito nella performance e nel design spaziale»9; così facendo è infatti favorita la concezione di nuovi spazi per «(…) di esperienza e di trascendenza proprio perché non sono “occupati” da simboli e rituali del potere ecclesiastico, ma piuttosto sono spazi di attesa, spazi vuoti di incontro con se stessi, con il prossimo e forse con Dio».10 L’apertura au spicata da Gerhards è possibile anche nell’ottica di una condivisione non solo dei luoghi fisici ma del locus del progetto: l’approccio collaborativo tra architetti, progettisti, liturgisti e artisti diventa una collaborazione integrata attiva nei diversi momenti ideativi dell’edificio di culto. In tal senso, l’esperienza della Chiesa di Sant’Ignazio da Laconi a Olbia assume il carattere di “manifesto” del legame tra le tre componenti del progetto, ovvero liturgia, architettura e arte, tanto da non poter trovare autorialità in nessuno dei momenti progettuali. È interessante quanto afferma a riguardo la capogruppo Francesca Leto: «A quanti chiedono “chi ha fatto cosa” rispondiamo prima di tutto spiegando un processo, descrivendo dinamiche collaborative che vanno al di là di un semplice “lavorare insieme”».

6 Cfr. Ornamento e Intelligibilità della Forma nell’opera di Hans van der Laan di Tiziana Proietti. 7 Ivi. 8 Cfr. Sironi: due esempi di arte sacra di Elena Pontiggia. 9 Cfr. La rappresentazione del rito nella contemporaneità di Albert Gerhards.

5 Cfr. Bisogna aggiungere qualcosa, un contributo poetico… Sul “sovrappiù” nell’architettura cultuale di Rudolf Schwarz di Caroline Helmenstein.

11 Se il progetto della Chiesa di Sant’Ignazio da Laconi a Olbia ha visto la collaborazione integrata tra diverse professionalità per costruire un progetto “comune” ottenuto lavorando a più mani, qual cosa di simile è avvenuto anche con l’intervento di decorazione globale coordinato da Santiago Calatrava per la Chiesa di San Gennaro nel Real Bosco di Capodimonte. Quest’operazione, che ha suscitato contemporaneamente posizioni contrarie e a favore, è stata definita da Giovanna Cassese come l’interpretazione in chiave contemporanea (non restauro!) di una nuova espres sione della sacralità, in cui l’architettura del passato, la tradizione artigiana e la tecnica riescono a fondersi, tracciando nuove possibili linee di ricerca nella sperimentazione dell’ornato liturgico.

4 Cfr. Jože Plečnik e l’architettura dello spazio santo di Peter Krečič.

7 La percezione e la sacralità sono affrontate anche nella composizione artistica di due opere di Mario Sironi: L’Annunciazione – vetrata disegnata negli anni Trenta per la cappel la dell’Ospedale di Niguarda a Milano – e il progetto mai realizzato per l’altare del Santuario di Oropa (commissionato negli anni Cinquanta). Sono due esempi distanti nel tempo, concepiti da Sironi come opere religiose in grado di suggerire lo studio e «(…) la comprensione della natura dell’uomo»8 che l’artista sardo considerava come proprio dovere.

34 «concezione artisticamente critica e insieme teologica della modernità»4 ricercata da Jože Plečnik nel corso della sua attività progettuale. Il rapporto tra costruzione, sacralità dello spazio ed espressività figurativa dell’ornato è centrale per il “maestro costruttore” tedesco Rudolf Schwarz, per il quale «il disegno del vuoto e la chia rezza dell’effetto spaziale che lo accompagna (…)»5 sono stati aspetti progettuali ricercati nelle numerose opere realizzate. Il “sovrappiù e superfluo” considerati quali “contributi poetici” sono elementi costanti che garantiscono il funzionamento stesso degli edifici ideati da Schwarz. L’ornamento è locus ideale per le indagini spaziali e percettive portate avanti dal monaco be nedettino Hans van der Laan, per il quale «l’ornamento è un “ordinamento speciale” per le parti più piccole. Esso va immaginato come un elemento intermedio tra una parte e un’altra di uno stesso elemento architettonico (…) o tra elementi diversi».6 Tale modus pensandi è attuato sia nell’ideazione degli edifici che nel disegno dei paramenti liturgici; del resto van der Laan «ricono sce all’ornamento un ruolo cruciale, ovvero quello di marcare i contorni delle forme per questioni strettamente percettive che non possono essere risolte esclusivamente attraverso le tecniche costruttive».

10 Ivi 11 Cfr. Lo spazio della celebrazione liturgica. La chiesa di Sant’Ignazio da Laconi a Olbia di Francesca Leto.

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La Chiesa di San Gennaro (progettata da Ferdinando Sanfelice nel 1745 su volere di Carlo di Borbone) è stata riaperta al culto il 19 novembre 2021 ed è ben presto diventata «(…) simbolo di sacralità contemporanea, di una nuova spiritualità che elogia la natura, frutto di una visione umani stica del mondo, che vuole rimettere al centro il rapporto tra uomo e paesaggio alla ricerca di una armonia».12 Ciò che colpisce maggiormente è la volontà di Calatrava di recuperare il patrimonio immateriale proprio dell’ambiente culturale nel quale è stata ideata la cappella, interagendo – nei diversi momenti dell’iter progettuale – con le realtà artigiane di Capodimonte, di San Leucio e di Vietri sul Mare. Particolarmente fertile è stata la collaborazione con i maestri ceramisti e gli allievi della Real Fabbrica di Capodimonte-Istituto Superiore ad Indirizzo Raro Caselli, con i quali Cala trava ha innescato un dialogo generazionale sui temi della produzione culturale, artistica e proget tuale dell’opera architettonica. Del resto il tema del sacro e, ancor di più, dell’opera d’arte totale, è uno dei più cari a Calatrava, avendo trovato più volte possibilità di espressione nella ideazione di luoghi di culto. In tal senso si segnala come «(…) la simbiosi tra arti e architettura che caratterizza la parabola di Santiago Calatrava appare intrinsecamente predisposta alla progettazione di un edificio sacro a tutto campo, dove interno ed esterno, decorazioni e oggetti liturgici si fondano armoniosamente in un unico insieme».13

14 Cfr. Trasformazioni, Sovrapposizioni dialogo tra Danilo Lisi e Beniamino Servino.

Una diversa accezione della visionarietà del progetto lega Beniamino Servino a Tino Grisi: quest’ul timo, per la precisione, parla di “tradizione visionaria” in grado di perpetuare idee nate da tendenze progressive. Nel suo testo, Grisi analizza l’impostazione di numerosi progetti liturgici (dalla Chiesa parrocchiale di San Dalmazio in Paderno Ponchielli al concorso per la nuova chiesa di San Paolo VI ad Alba Adriatica) focalizzando la propria attenzione sul rapporto tra gestualità, rito e oggetto liturgico e affermando quanto segue: «L’oggetto nello spazio del rito non è “semplice icona, ma testimonianza di ciò da cui l’icona proviene e che essa silenziosamente ricorda”»16. L’unità tra liturgia, architettura e arte è raggiunta attraverso l’ideazione dell’altare, dell’ambone ma anche del calice e dell’accipite. Una spazialità indagata attraverso mille tecniche e altrettante scale di intervento, per arrivare a comprendere che «l’ornato liturgico contribuisce all’identità di uno spazio cultuale dove le cose, le persone e lo spirito sappiano sempre parlarsi e ci parlino».17 In conclusione possiamo affermare che il volume L’ornato liturgico e l’architettura culturale offre uno spaccato ricco, aperto alle più attuali esperienze progettuali, muovendo dalla consapevo lezza che non «possa esserci un prima e un dopo»18, ma soltanto un organico fluire di riflessioni, previsioni e intuizioni così da rinsaldare l’armonia tra apparato iconografico, ornamento liturgico e spazialità architettonica.

Santiago Calatrava esprime tale organicità attraverso disegni preparatori, acquerelli che definisco no i diversi stadi del processo creativo di ogni opera; l’utilizzo di tecniche di disegno tradizionali, unito alla strumentazione digitale, è proprio anche dell’architetto campano Beniamino Servino il quale ha indagato attraverso alcune interessanti opere – quali una cappella in una azienda agricola a Gioia Sannitica e il collage “Nostra Signora delle lamiere” – «(…)il rapporto tra edificio sacro e paesaggio, nonché l’inserimento nelle nuove realtà urbane, sempre più multiculturali, multietniche e multireligiose»

15 Ivi. 16 Cfr. Pensare l’oggetto nello spazio del rito di Tino Grisi.

12 Cfr. Una spiritualità contemporanea. L’opera di decorazione totale di Santiago Calatrava per la chiesa di San Gennaro nel Real Bosco di Capo dimonte di Giovanna Cassese. 13 Cfr. “In contemplazione del progetto”. Alcune osservazioni sulla progettazione degli edifici di culto in Santiago Calatrava di Rosalia Pagliarani.

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14. Grazie al dialogo tra Lisi e Servino siamo in grado di rintracciare nuove possibi lità formali ed espressive nell’approccio ad un edificio di culto, ricordando sempre che l’elemento visionario «rappresenta la realtà, il presente non il futuro, attraverso il suo punto di osservazione e con i suoi strumenti»15

17 Ivi. 18 Cfr. Simbiosi di arte e architettura di Danilo Lisi.

Giusi Ciotoli. Architetto e Dottore di ricerca in Architettura e Costruzione, attualmente è Ricercatrice presso il Dipartimento di Architettura e Progetto dell’Università di Roma La Sapienza. Tra le numerose ricerche nelle quali è impegnata si segnala “Gaetano Rapisardi Architetto. 1893/1988” coordinata da Clementina Barucci (Centro Studi Muratore e DiSDRA Sapienza).

36 THEMA 12

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Severino Dianich. Docente emerito di ecclesiologia e già direttore del Master in Teologia e architettura di Chiese della Facoltà teologica di Firenze, autore di vari saggi sui rapporti fra teologia e arti, fra i quali La Chiesa e le sue chiese. Teologia e Architettura, San Paolo, Cinisello B. 2008.  Luigi Leoni. Architetto, presidente della Fondazione Frate Sole con sede in Pavia, dagli anni giovanili ha collaborato con Padre Costantino Ruggeri sino al 2007 nello Studio Ricerche Arte Sacra e dopo il 2007 con l’arch. Chiara Rovati nella progettazione e realizzazione di chiese, cappelle, sculture, arredi liturgici e vetrate artistiche in varie parti del mondo. Roberto Tagliaferri. Teologo interessato ai fenomeni culturali che destabilizzano l'Occidente e il cristianesimo, tenta di interfacciare i punti critici che agitano la Chiesa e il mondo contemporaneo alle prese con la complessità e con la fine del paradigma riduzionistico etnocentrico del positivismo scientifico.

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