ARCHITETTURA
e LITURGIA
CENTRO STUDI ARCHITETTURA
e LITURGIA
Università degli Studi “G. D’ANNUNZIO” FACOLTA’ DI ARCHITETTURA Dipartimento I.D.E.A. CENTRO STUDI
ARCHITETTURA e LITURGIA Corso di Perferzionamento in
Cultura e Progetto dello Spazio Sacro DIREZIONE: Prof. Arch. LUDOVICO MICARA - Prof. DON ANTONIO DE GRANDIS Coordinatore Scientifico Arch. Fernando Cipriani - Coordinatore Didattico Arch. Michele Giuliani
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INDICE
EDITORIALE «Beni Culturali, testimonianza, annuncio» di Leonardo Servadio
LETTURE 6 La creazione di opere , oggi Mons. Stefano Russo
24 Difendere il patrimonio più grande Intervista al Cap. Gianluca Ferrari del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale
8 I musei ecclesiastici in Italia nel 2013 Mons. Giancarlo Santi
28 Conservare gli edifici, testimoni di storia: nella continuità e nella diversità Corrado Gavinelli
16 Le regole del tempo nella valorizzazione del contemporaneo Ugo Carughi
34 Interventi architettonici nella Città del Vaticano: una modernità radicata Sandro Benedetti
20 L'inventariazione dei beni culturali ecclesiastici e le responsabilità dei Parroci” Paola Renzetti
38 Pietrasanta: il monumento come testimone che cammina col tempo Marco Romano
22 Il mecenatismo, nella storia e nell'attualità: da Mecenate alle Fondazioni bancarie Francesco Sanvitale
42 Il Duomo di Venzone: la nuova sistemazione liturgica e la sua coerenza con l’esistente Sandro Pittini 46 Le tante pietre della St. Partick's Cathedral di Manhattan Intervista di Michela Beatrice Ferri a Jeffrey Murph
THEMAIDEA
50 Le Cosmogonie non hanno prezzo Stefano Mavilio
«E se davvero sappiamo trarre qualche profitto dalla storia del passato, o qualche sollievo all'idea di esser ricordati da quelli che verranno, che possano conferire convinzione alle nostre azioni, o pazienza alla nostra tenacia di oggi, vi sono due compiti che incombono su di noi nei confronti dell'architettura del nostro paese la cui importanza è impossibile sottovalutare: il primo consiste nel conferire una dimensione storica all'architettura di oggi, il secondo nel conservare quella delle epoche passate come la più preziosa delle eredità».
52 Il MAXXI Architettura: in missione tra bene culturale e pubblico interesse Margherita Guccione 54 La Galleria San Fedele di Milano: vocazione a promuovere l'arte” Andrea dall’Asta
(Le sette lampade dell'architettura) J. RUSKIN ll
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FOTO DI COPERTINA Dall’ archivio del Comando Carabinieri TPC: Madonna col Bambino, di Antoniazzo Aquili detto “Antoniazzo Romano”. Rubata dalla chiesa di Santa Maria e San Biagio a Sant'Angelo Romano (RM) e recuperata a Roma.
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"Beni Culturali, testimonianza, annuncio" Leonardo Servadio
U
n'ovvietà spesso dimenticata: la Chiesa è stata il principale committente di beni culturali in Italia, e le Chiese cristiane lo sono state probabilmente in Europa, forse nel mondo. La cultura post illuminista si è convinta di vivere di vita propria, quando invece i principi fondativi su cui si è basta – a partire dai concetti di “eguaglianza”, “fraternità”, “libertà”– sono stati diffusi e si sono affermati proprio grazie al cristianesimo: non dal 1789, ma dall'epoca della predicazione evangelica (lo spiega con chiarezza Romano Guardini in “La fine dell'epoca moderna”). Nel 2013 si è festeggiato il 1700mo anniversario dell'Editto di Milano, con cui nel 313 Costantino e Licinio diedero per la prima volta nella storia libertà di culto a ognuno, garantendo rispetto per tutte le religioni, e fecero questo a seguito dell'avvenuta affermazione del cristianesimo. Come è stato più volte notato, a partire dalla testimonianza in tal senso offerta dall'Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, nell'occasione dell'apertura dell'anno costantiniano il 7 dicembre 2012 (festività del patrono milanese, Ambrogio), quell'Editto costituisce un passo fondamentale per la civiltà. Perché distingue, per la prima volta da parte di un'autorità terrena, tra potere temporale e potere spirituale, ponendo la libertà di culto come base di autentico rispetto tra le genti. Poiché la Chiesa e le sue chiese sono presidio di questi principi fondanti della civiltà intesa nel senso più compiuto del termine, esse sono custodi del tesoro espresso da tale tradizione anche nelle forme artistiche e architettoniche. All'architettura e all'arte che in vario modo rappresentano la Chiesa spetta dunque di rievocare il senso di quel messaggio: se riescono in questo, esse restano veicolo della cultura, e della civiltà. Lo hanno fatto nel passato, quando con mole svettante le chiese si ponevano come evidente momento di mediazione tra terra e cielo. Lo fanno ancor oggi quando i grattacieli
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gareggiano in statura con le montagne? La cultura e la civiltà non si misurano in centimetri né in chilometri. E certamente ancora oggi le chiese e le tante espressioni creative che le accompagnano sono momento fondamentale di una cultura veicolata in quel messaggio evangelico che non ha tempo ma che si incarna in ogni tempo, laddove vi sia chi è capace di compiere il “comandamento nuovo”, e di rivolgersi all'altro, chiunque esso sia, con gesto amorevole – e non con superbia scettica o con supponente acrimonia. Pur con queste premesse, da anni la Chiesa si dibatte nel rovello: in che modo espressioni dell'arte e dell'architettura contemporanee possano incarnare il messaggio; in che modo possano tradurlo nella città odierna; in che modo possa offrirsi un momento di silenzio nel frastuono che agita le menti e le coscienze nell'arena globale dei mass-media. In che modo nelle periferie massificate possa risaltare una presenza intesa come momento di identità che attira, non di sfilacciamento che allontana?
Da sempre committente di opere d'arte e di architettura imperiture, la Chiesa di oggi è chiamata a rinnovare il suo impegno non solo nel conservare, ma anche nel generare nuove edificazioni. I nuovi centri parrocchiali sono momento qualificante per i quartieri periferici, ovvero per la città contemporanea. Un ripensamento critico sulla chiesa di Tor Tre Teste a Roma progettata da Richar Meier: questa potrebbe divenire esempio di come portare l'architettura contemporanea alla dignità del luogo di culto.
Per tutto questo, parlando di beni culturali e Chiesa, se risulta inevitabile rivolgersi al tema della conservazione del vasto patrimonio ereditato dai secoli passati, il discorso immediatamente si allarga a come oggi si producono nuove testimonianze: nuovi beni culturali che esprimano l'età nostra e la proiettino nel futuro. C'è un momento molto significativo, citato da Mons. Stefano Russo nel suo intervento pubblicato su queste pagine, sul quale avrebbe forse senso proporre un dibattito più ampio. Quando si approssimava il Grande Giubileo del 2000, svolta del secolo e del millennio, la Chiesa di Roma decise di lanciare il programma “50 chiese per Roma 2000” per aprire nuovi centri parrocchiali nelle periferie della Capitale. E per farlo con un tipo di committenza nuova e qualificata. Basata sul concorso, che garantisse di superare l'abitudine di affidare incarichi a pochi professionisti conosciuti. L'idea era di aprire al vasto orizzonte, di permettere a tanti di farsi avanti, di allargare il cerchio dei soliti noti... Vi fu un primo concorso “aperto” nel 1993, per due centri parrocchiali nelle borgate di Acilia e di Tor Tre Teste. Parteciparono 532 studi di architettura, soprattutto italiani ma anche stranieri. Fu assegnato solo l'incarico per Acilia (allo studio Bet di Milano, di Bruno Bozzini e Maria Pia Borghi). Nessuno dei progetti presentati per Tor Tre Teste fu ritenuto valido. Un enorme impegno di energie che coinvolse oltre 2000 progettisti, si tradusse in un solo incarico.
Risulta superfluo ricordare lo storico intervento di Paolo VI nel maggio del 1964 e il suo impegno nel dialogare col mondo delle arti, seguito con particolare enfasi da Giovanni Paolo II in diversi pronunciamenti. Uno dei frutti di questa lunga marcia di riavvicinamento con la cultura contemporanea, intrapresa dalla Chiesa dopo i traumi seguiti all'Illuminismo, è che oggi ci troviamo per la prima volta nella storia con un padiglione del Vaticano nella Biennale artistica di Venezia, voluto dal Pontificio Consiglio della Cultura presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi, supponiamo per riaffermare che la Chiesa non si è allontanata dalla sua missione di testimoniare il Vangelo anche attraverso i linguaggi artistici.
Di per sé un risultato di grande rilevanza: come dire, che la preparazione degli architetti odierni di fronte a un tema impegnativo come quello della chiesa, appariva piuttosto scarsa.
Nello specifico campo dell'architettura tale riavvicinamento è forse ancora più maturo.
Com'è noto, si ricorse a un secondo concorso: questa volta non aperto bensì rivolto solo a 6
grandi studi, noti a livello mondiale. Ed entrarono in campo gli archistar. Furono invitati Tadao Ando, Santiago Calatrava, Frank O. Gehry, Richard Meier, Günther Benisch, Peter Eisenman: la crème de la crème del momento. A dimostrazione di come la Chiesa volesse tornare alle grandi committenze, che “dicessero” il meglio del mondo contemporaneo. Fu scelto il progetto di Meier: poi realizzato, grazie all'impegno di un grande produttore di cementi, naturalmente in cemento. Se Meier intendesse tale architettura in quel materiale non è dato sapere. Resta il fatto che la chiesa di Tor Tre Teste, Dives in Misericordia, con le sue tre conchiglie a sezione sferica che si allontanano digradanti da un asse centrale tra loro raccordate da vetrate trasparenti, è assurta a emblema del Giubileo del 2000; anche se fu conclusa – date le difficoltà tecniche incontrate – nel 2003. Un caso esemplare, perché quella chiesa è diventata effettivamente l'icona del quartiere, cui ha donato una nuova centralità evidente. L'edificio risalta sull'intorno, malgrado la presenza dei vicini palazzoni abitativi, e si distingue molto bene da qualunque altra presenza. È un'affermazione nuova e squillante, un monumento che nobilita l'abitato. Con la sua realizzazione, la Chiesa romana ha saputo dimostrare la propria volontà di ritornare a esprimersi con le modalità del tempo corrente e di farlo in modo autorevole. Dando un nuovo, singolare apporto culturale alla città. Il modo con cui l'operazione è stata compiuta rivela tuttavia anche alcuni limiti, che si riscontrano nell'architettura stessa. La chiesa Dives in Misericordia è un monumento importante. Ma è veramente “chiesa”? Le mancano molti aspetti che sembrano
ineludibilmente legati all'essere chiesa, a prescindere dallo stile costruttivo seguito. Ne elenchiamo alcuni. 1. Nell'entrare non si esperisce alcun cambiamento rilevante, non vi è la percezione della “soglia”. A differenza di quanto avviene con le chiese storiche, entrando nelle quali si sente con evidenza il passaggio da un esterno luminoso a un interno di solito di penombra: uno dei modi più evidenti in cui si esperisce la differenza tra mondo profano e chiesa. Tale soglia qualificante è demarcata con chiarezza anche in moltissime chiese contemporanee: basti pensare alla cattedrale di Brasilia, progettata da Oscar Niemeyer (l'ingresso è un ambito scuro da cui si riemerge nella grande luminosa aula), o alla criticatissima chiesa di S. Paolo Apostolo a Foligno, opera di Massimiliano e Doriana Fuksas, della quale tutto si potrà dire, ma non che non faccia ben ponderare a chi entra la distanza tra il “fuori” e il “dentro”. Invece in Dives in Misericordia questa distanza non si sente, c'è invece assoluta continuità, per via delle vetrate a nastro che accompagnano in alto e sui fronti l'edificio: la soglia scompare. 2. I luoghi liturgici non risaltano, per lo stesso motivo: vi è uniformità luministica e la collocazione di un faro sopra l'altare (che peraltro è piuttosto nascosto) non riesce e farne risaltare a presenza. Lo stesso fonte battesimale si presenta in modo non chiaro; pur in prossimità dell'ingresso, lo si individua a fatica. 3. Nell'aula ecclesiale prevale il dialogo aereo tra macchina architettonica posta a inquadratura del crocifisso sopra l'altare, e l'organo che è ubicato dall'altro lato sopra l'ingresso: sono gli elementi più in vista. Tutto il resto passa in secondo piano. Quando chi scrive ebbe l'opportunità di chiedere a Meier se avesse consultato un liturgista, egli
evasivamente affermò di aver “sentito qualcuno”. La sua cultura di architetto avrebbe forse richiesto che si informasse meglio, tanto più che la sua tradizione religiosa è diversa da quella cattolica. Il che ovviamente non è un limite: se si paragona il risultato ottenuto da Le Corbusier a Ronchamp, probabilmente l'esempio più importante o quanto meno più citato nel panorama delle chiese contemporanee, il problema risulta evidente. Le Corbusier, di cui si dice fosse ateo, agiva con l'assidua guida di p. Jean Marie Couturier, grazie al quale giunse a intendere a fondo che cosa dovesse esprimere nella chiesa. Di qui un risultato mirabile in cui la luce è materia dello spazio e la sistemazione liturgica risulta appropriata e perfettamente coerente col complesso dell'edificio. Tale coerenza in Dives in Misericorisa manca: è un'architettura originale e importante, ma si sente che non è stata concepita come chiesa. Evidentemente a Meier il committente non pose un chiaro programma, non diede spiegazioni sufficienti, non chiese di rispondere a specifici bisogni. La cultura “laica” del progettista non è stata adeguatamente complementata, in quel caso pur così rilevante ed emblematico, dalla cultura della Chiesa. Perché un'architettura riesca bene è necessario che ci sia un buon progettista, ma è anche necessario che ci sia un buon committente: e che sappia che cosa vuole e perché lo vuole. Non è semplice questione di consulenza liturgica, intesa come prestazione tecnica volta alla corretta dislocazione dei poli liturgici: è questione di intendere a fondo che cos'è l'ambiente della chiesa. Ora, la Chiesa che è in Italia, dall'epoca di quel progetto ha compiuto molti passi in avanti. Con i suoi concorsi chiamati “Progetti Pilota” la Conferenza Episcopale Italiana ha voluto
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mettere in campo team di progetto multidisciplinari: progettista insieme con artista e liturgista. E nelle ultime edizioni ha privilegiato il ruolo del committente - vescovo e comunità parrocchiale - per la scelta ultima, dopo un primo vaglio a opera di esperti riconosciuti a livello nazionale. Ha soprattutto svolto veri e propri work-shop per informare tutti gli inviati ai concorsi, su quali siano i desiderata del committente. Non solo, il Servizio Nazionale Edilizia di Culto, che organizza i concorsi, ha anche cominciato a svolgere seminari per educare i committenti. Effettivamente, non basta affidarsi agli architetti, per bravi che siano: perché non è s e m p l i c e m e n t e q u e s t i o n e d i c u l t u ra ecclesiastica dei progettisti. È questione di trovare la misura adatta alla chiesa dei nostri giorni, attraverso un dialogo tra un committente che sappia il fatto suo e un progettista che sia maturo a sufficienza per saper compaginare la propria creatività con la dovuta umiltà. Dove vi sono esempi di successo si vede proprio questo insieme di fattori. Rudolf Schwarz, il maggiore tra i costruttori di chiese dell'epoca contemporanea, pur profondamente cristiano, operò in dialogo costante col teologo Romano Guardini. Per la sua cappella di Vence, Matisse fu guidato da Couturier, esattamente come Le Corbusier a Ronchamp. Ancora, non è solo questione di disposizione dei luoghi liturgici: è questione di concezione di uno spazio nel quale la liturgia possa dispiegarsi nei suoi vari momenti, ma in cui possa abitare anche la sola preghiera individuale: uno spazio ispirato quanto misurato. Capace di essere veramente “umile e alto”. La chiesa è tale anzitutto nell'atmosfera che la pervade.
Meritano di essere conosciute. Oltre quelle degli autori citati, ci sono quelle di Alvar Aalto (a Riola di Vergato), le chiese poco note ma notevolissime di Enrico Castiglioni, alcune opere di Michelucci, di Gio Ponti, di Figini e Pollini, di Justus Dahinden, Francesco Berarducci... e tante altre che con la loro presenza contribuiscono ad arricchire la città non di glamour, ma di prezioso silenzio: di ambienti nei quali l'essere umano può ritrovarsi in quanto tale, non in quanto funzione.
Concorso Progetto Pilota 2011/vincitore Nord Italia, Benedetta Tagliabue
La Chiesa anche ai nostri giorni ha prodotto opere di grande significato, quando ha saputo scegliere e dialogare. Perché sia “chiesa” serve un autentico impegno culturale, un'opera di creazione che tenga conto di tutti gli aspetti che convergono nell'edificio più complesso, perché rivestito di tante valenze affettive e simboliche quanto nessun altro. Dunque, una chiesa solo parzialmente riuscita, quale quella di Tor Tre Teste, andrebbe ripensata: il fatto che l'Autore sia “ancora in vita” non può raffrenare dall'opera: la chiesa dev'essere chiesa, appunto, non monumento. Non appartiene all'autore, ma alla comunità che in essa deve poter riconoscersi: è questa la tesi che, tra gli altri, su queste pagine difende Marco Romano. E, così come un'antica cattedrale può essere aggiornata con un nuovo altare che stabilisca un migliore dialogo col “popolo di sacerdoti”, anche la chiesa di Meier può essere ripensata, perché da elemento monumentale diventi chiesa: ci potrebbero volere decenni, ma è importante almeno porsi il problema.
Concorso Progetto Pilota 2011/vincitore Italia centrale, Francesca Leto
Può essere un'occasione per individuare nuove vie di impegno, non astratte ma concrete, per generare beni culturali che siano anche autentiche testimonianze, pur nel complicato e turbolento mondo contemporaneo.
Ve ne sono, di chiese simili, e più di quel che non si possa credere, anche ai nostri giorni. Concorso Progetto Pilota 2011/vincitore Sud Italia, Mario Cucinella THEMA I EDITORIALE I 4
Richard Meier/ Parrocchia Dio Padre Misericordioso a Tor Tre Teste_Roma THEMA I EDITORIALE I 5
“La creazione di opere, oggi” Intervista a Mons. Stefano Russo
Che cosa porta a considerare un oggetto “bene culturale”: l'età o la qualità? Il valore di un bene può derivare certamente anche da fattori quantizzabili da un punto di vista economico ma soprattutto per noi sono fondamentali quei fattori che fanno riferimento principalmente al piano del significato. Lo Stato normalmente stabilisce un criterio dirimente attraverso dei parametri cronologici: un bene mobile è da considerarsi tutelabile se ha superato i 50 anni, un bene immobile se ha superato i 70 anni.Naturalmente l'esistenza di questi precisi limiti cronologici non implica che un oggetto di pregio di età inferiore non sia da considerarsi di valore culturale. E in ambito ecclesiale in generale diamo molta importanza ai manufatti artigianali o alle opere d'arte anche se contemporanee, tanto più se queste sono legate alla liturgia. Infatti nella grande opera di inventariazione informatizzata del patrimonio che le diocesi italiane stanno portando avanti si schedano anche manufatti di recente realizzazione. Si può citare qualche esempio? La chiesa Dives in Misericordia, costruita su progetto di Richard Meier nel quartiere Tor Tre Teste a Roma e inaugurata nel 2003. Un'opera la cui grande rilevanza è stata subito riconosciuta a livello internazionale: possiamo senz’altro considerarla un bene culturale che è stato tra l’altro realizzato a seguito di un concorso organizzato con notevole impegno da parte del Vicariato di Roma. Non v'è dubbio che il quartiere in particolare ne abbia tratto un immediato vantaggio e com'è noto l'impatto dell'opera ha contribuito al fatto che lo stesso progettista americano sia stato scelto anche per il nuovo involucro edilizio dell'Ara Pacis. Entrambi i progetti, oltre agli elogi hanno anche ricevuto critiche. Sulla chiesa di Richard Meier sarebbero diverse le considerazioni da fare, resta il fatto che si tratta di un’architettura ecclesiastica di pregio che
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comunque rimarrà nella storia a testimonianza dei nostri tempi. E sul piano artistico? Tra le tantissime opere che potrebbero essere citate, desidero ricordare quella elaborata sul tema del Risorto da Claudio Parmeggiani per il IV Convegno ecclesiastico nazionale svoltosi a Verona nel 2006. Nel preparare il bozzetto, l'artista dialogò a lungo con il Segretario generale della Conferenza Episcopale, che allora era S. E. Mons. Giuseppe Betori, e con altri suoi esponenti. Ricordo che sulle prime aveva concepito un'interessante immagine stilizzata e sfumata di un una figura d’uomo poi in seguito, ripensandoci e pur non sollecitato a questo, da laico, sentì la necessità di aggiungere nel fondo l’immagine della croce. Nella sua riflessione aveva partorito il pensiero che non è possibile comprendere il Risorto senza la croce. Quell'opera resta come il simbolo del Convegno, dedicato a “Gesù risorto, speranza del mondo”. Il che riconduce all'importanza del committente per orientare l'opera... La responsabilità del committente è di primaria rilevanza, il suo ruolo insostituibile nel condurre un dialogo con l'artista e col progettista nel caso di edifici. Non per limitarne la libertà, ma per sollecitarne una creatività attenta al contesto nel quale è chiamato ad operare. E ovviamente in ultima analisi anche per accompagnare il lavoro dell’artista affinché possa ben comprendere le istanze liturgiche, simboliche, espressive, o di semplice decoro. Le opere vanno conservate, ma anche valorizzate. Come si affronta questo aspetto? L'attenzione rivolta alla conoscenza e alla conservazione costituisce la necessaria premessa per la migliore valorizzazione.
La Chiesa continua il suo impegno di grande committente: per l'esercizio del culto continuano a nascere manufatti di pregio che già da subito meritano di essere considerati per il loro valore culturale. L'impor tanza dell'inventario informatizzato per conoscere e proteggere questi beni culturali. Il senso della musealizzazione dei beni e il delicato problema della loro contestualizzazione.
Per questo a livello nazionale la Chiesa italiana ha deciso di promuovere l'inventario informatizzato dei beni culturali mobili, permettendo alle diocesi di usufruire, per la sua realizzazione, dei contributi 8x1000, di un’assistenza quotidiana e di moderni ed aggiornati software. Nel portare avanti questa impegnativa opera si è venuti a conoscenza di un patrimonio ancora in gran parte nascosto, si sono potuti decidere in modo consapevole interventi conservativi e di conseguenza si stanno realizzando molteplici iniziative pastorali che stanno facendo riappropriare le comunità locali di questo patrimonio. In alcuni casi, verificando che non sussistevano più le condizioni di sicurezza e/o di conservazione del bene, si è deciso di trasferirlo nel museo diocesano di riferimento o presso idonei locali di proprietà ecclesiastica. Resta inteso che le opere d'arte concepite per fini liturgici o comunque per un contesto ecclesiastico, per quanto è possibile, andrebbero mantenute nel sito di appartenenza perché solo lì esse trovano pienamente il loro significato.
Per dire, l'Ultima cena leonardesca, se strappata dalla parete del refettorio dei frati domenicani nel convento di S. Maria delle Grazie, certamente conserverebbe grandissimo interesse, ma resterebbe avulsa dal contesto che l'ha originata e quindi dalla sua ragion d'essere. Questo è il limite di tutti i musei. Ma vi sono anche pregi... In molti casi, come già detto, è inevitabile ricorrere alla musealizzazione di certe opere e non v'è dubbio che sta all'abilità dei museografi, ben guidati dalla committenza, studiare allestimenti che recuperino il più possibile senso delle opere esposte. I musei possono costituire un importante strumento informativo e formativo. Per esempio, molti musei diocesani ed ecclesiastici – mi vengono in mente in questo momento il museo diocesano di Trento e quello di Padova – hanno studiato un approccio particolare per le scuole e sono riusciti a instaurare un fruttuoso dialogo con i docenti. Così che attraverso la scuola nel museo si può recuperare una parte fondamentale della storia e della cultura del luogo. (LS)
Dall’archivio dei CC TPC: Paolo de Matteis/ La Trinità, rubata dalla chiesa di Santa Maria Egiziaca di Napoli e recuperata a Bergamo. THEMA I RUSSO I 7
I musei ecclesiastici in Italia nel 2013 Mons. Giancarlo Santi
Museo Popoli e Culture del PIME_Milano THEMA I SANTI I 8
I Musei religiosi in Italia: una situazione che si è evoluta molto rapidamente in particolare negli ultimi due decenni e oggi si presenta come una serie di presenze radicate nel territorio e di questo espressive. Che cosa sono, quanti sono, dove sono, come operano, quali finalità perseguono, quali prospettive li animano... A queste istituzioni, piccole o grandi che siano, è affidata la missione di conservare la memoria, testimoniare la fede e dialogare con le culture. Un'analisi del Presidente dell'Associazione Musei Ecclesiastici Italiani (AMEI).
1. La situazione La situazione dei musei religiosi italiani nel 2013 si può sintetizzare con tre aggettivi: sono giovani, numerosi e piccoli. Tra essi, i musei ecclesiastici (ME) (cioè quelli di proprietà ecclesiastica) sono 875, quelli privati (cioè quelli di proprietà privata) sono 116. I musei diocesani (MD), che nel 1971 erano 37, nel 2013 sono 218. Gli altri 657 ME (il dato, tuttavia è da considerare approssimato per difetto) sono musei parrocchiali, musei dei santuari, musei missionari, case museo, musei di ordini e congregazioni religiose e altri ancora. I ME italiani costituiscono una rete di medi, piccoli e talora piccolissimi musei presente capillarmente su tutto il territorio nazionale che, a partire dagli anni settanta del XX secolo, in pochi anni, è impegnata a rendere popolare la presenza del museo in Italia, anche nei centri nei quali non ne esisteva alcuno. La maggior parte di essi è nata per volontà dei vescovi (le diocesi italiane sono 226) e delle comunità parrocchiali (che sono circa 25.000), oltre che delle comunità religiose maschili e femminili sparse sul territorio nazionale. Le loro sedi sono in genere edifici storici, quali antichi conventi o monasteri, palazzi vescovili, seminari o chiese. Fa eccezione il MD di Pordenone, unico in Italia a essere stato progettato ex novo. Questi musei si possono considerare veri e propri presidi impegnati a conservare, studiare e valorizzare, far conoscere il patrimonio culturale. In essi si esprime anche la fierezza di appartenere a una piccola patria nella quale da secoli confluiscono fede vissuta e cultura locale. Si tratta di istituzioni segno di una vitalità culturale che non arretra neppure in tempi di crisi. I ME sono aperti anche all'arte contemporanea: molti ospitano collezioni di opere del XX secolo.
Alcuni musei sono interamente dedicati all'arte contemporanea. I più noti sono quelli di Concesio (Brescia), Milano (Galleria d'arte sacra dei contemporanei), Bologna (collezione Lercaro), Assisi (Galleria Pro Civitate Cristiana) e Trapani. 2. I musei diocesani Nel panorama assai variegato dei ME italiani meritano una attenzione speciale i musei diocesani (MD), sia per il loro ruolo centrale nelle diocesi, sia perché, in genere, sono quelli meglio organizzati e più vivaci. a) Il costituirsi dei Musei Diocesani: motivazioni e criticità Fin dall'inizio del XX secolo, in particolare dopo la prima guerra mondiale, la Santa Sede aveva caldamente raccomandato ai vescovi italiani di istituire i MD allo scopo di garantire una migliore tutela e conservazione del patrimonio culturale ma solo verso la fine del XX secolo i vescovi italiani si sono mobilitati tutti con risolutezza. Così, nel giro di pochi anni, il numero dei MD (comprendendo quelli aperti, quelli in progetto e quelli in restauro) si sta avvicinando a quello delle diocesi (226) e, a quanto risulta, è destinato a superarlo. Sembra infatti che si tenda a creare un MD in corrispondenza di ogni antica diocesi: anche in quelle accorpate con altre. In questi casi, cioè, i MD vengono progettati come “memoriali”, cioè come istituzioni che custodiscono la memoria storica di una diocesi non più esistente in forma autonoma. I motivi di questo grande e rapido sviluppo dei ME in genere e dei MD in specie sono numerosi. L'evento ecclesiale più recente attorno al quale ruota la istituzione di numerosi MD italiani è stato il Grande Giubileo del 2000. Ma le condizioni che hanno stimolato e favorito la creazione di un così grande numero di MD sono
più di una e di varia natura. In primo luogo le politiche e gli incentivi economici a favore dei beni culturali promosse e approvate, sia da parte civile (a livello regionale e nazionale), sia da parte ecclesiale. In secondo luogo la sensibilità sociale complessiva sempre più favorevole alla conservazione dei beni culturali e alla loro valorizzazione. In terzo luogo la riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II che da una parte ha favorito un grande rinnovamento anche nel campo degli arredi e delle vesti liturgiche, con il conseguente accantonamento di una massa notevole di oggetti di culto, e dall'altra ha fatto crescere la stima per le chiese locali e il loro patrimonio culturale e ne ha chiesto con molto vigore la conservazione. Ma non basta. Anche iniziative come l'inventario informatizzato dei beni culturali ecclesiastici promosso dalla CEI a partire dal 1996 (avendo reso evidente l'ampiezza di tale patrimonio e le sue precarie condizioni di sicurezza e di conservazione) sembra avere anch'esso contribuito a motivare questo tipo di iniziative.
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Museo Diocesano_Bressanone
Per completare la serie delle condizioni e degli stimoli che hanno favorito la istituzione dei MD in Italia occorre rilevare che tale iniziativa è stata vista con molto favore e incoraggiata dalle Soprintendenze che, in più di un caso, se ne sono assunte direttamente l'impegno progettuale e hanno dato un consistente aiuto finanziario. Come si può rilevare, siamo di fronte a una serie di condizioni favorevoli e di motivazioni positive all'insegna della collaborazione cordiale e nel rispetto dell'identità di ciascuno, che permangono e costituiscono una grande potenzialità per la Chiesa e per la società nel suo complesso. In questa vicenda non sono assenti i punti critici che sono stati e continuano a essere oggetto di riflessione e di dibattito. Ne segnalo tre. Il primo punto critico ruota intorno al tema della concentrazione. Quando si crea un museo diocesano, infatti, si corre il rischio di concentrare una parte, quella più significativa, del patrimonio culturale di una diocesi, in un'unica sede, con il conseguente impoverimento di numerose sedi locali. Ma questo rischio sembra sia stato bilanciato, sia dalla grande cautela con cui si è operato nel creare i MD, sia dalla nascita di una fitta rete di musei ecclesiastici locali, come è successo in Valle d'Aosta o come è successo con la creazione dei depositi vicariali nella diocesi di Firenze. Il secondo punto critico è una marcata tendenza al pragmatismo. Infatti è stato notato che l'istituzione dei MD in Italia non è stata accompagnata da una riflessione proporzionalmente ampia sulla natura e sulle finalità del MD, inteso come istituzione culturale specificamente ecclesiale. L'idea di museo che sta alla base di numerosi musei ecclesiastici è spesso piuttosto generica. Il terzo punto critico riguarda l'identità dei
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musei stessi. In più di un caso i MD sono ancora debolmente connotati dal punto di vista della specifica identità. Inoltre risultano fragili dal punto di vista istituzionale, del personale direttivo e gestionale (si tende ad aprire i musei ecclesiastici in assenza di una inquadratura sufficientemente solida e definita per quanto riguarda allestimento e gestione, che sono spesso considerate realtà “in itinere”, in fase di, o in cerca di definizione). b) L' ide nti tà s pe ci f ica: dis po s iz io ni, orientamenti norme. I documenti. Il problema dell'identità specifica dei MD non è sfuggito all'attenzione della Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa né alla Conferenza Episcopale Italiana che sono intervenute nel merito pubblicando importanti documenti che elenco qui di seguito: - Norme per la tutela e la conservazione del patrimonio storico e artistico della Chiesa in Italia, 14 giugno 1974, nn. 10 e 11. - Conferenza Episcopale Italiana, I beni culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti, 9 dicembre 1992, nn. 20 e 21. - Conferenza Episcopale Italiana, Nota pastorale L'adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, 31 maggio 1996, n. 44. - Pontificia Commissione per i beni culturali della Chiesa, la lettera circolare La funzione pastorale dei musei ecclesiastici, 29 giugno 2001. Nell'ambito della normativa civile sono di grande rilevanza anche per i ME, sia il Codice Urbani, sia l’ “Atto di indirizzo sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei” approvato con il decreto ministeriale 10 maggio 2001. I n f i n e , n e l l ' a m b i t o d e l l a n o r m a t i va concordataria, occorre ricordare l'Intesa tra il Ministro per i beni e le attività culturali e il
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana relativa alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche 26 gennaio 2005, art. 2, comma 4; art. 6, comma 4 e comma 5. c) Il profilo del MD italiano in sintesi. Tenendo conto dei contenuti dei documenti citati è possibile tracciare un sintetico profilo dei MD italiani che, con gli opportuni adattamenti, può essere riferito a tutti i ME. Il MD non è un insieme di beni culturali ma è un'istituzione culturale ecclesiale fondata con decreto del vescovo e gestita dalla diocesi. È dotato di proprio statuto e regolamento. È dotato di un proprio organico comprendente almeno il direttore e uno o più conservatori. Si a v va l e i n o l t r e d i v o l o n t a r i f o r m a t i appositamente. Il MD è dotato di un bilancio specifico; è un'istituzione guidata e sostenuta dalla diocesi anche sotto il profilo finanziario. Il MD è un'istituzione culturale specifica della diocesi, posta al servizio diretto della diocesi stessa, ultima istituzione culturale nata rispetto ad altre come l'archivio e la biblioteca diocesana. In quanto museo, il MD strutturalmente fa riferimento agli standard comuni a tali istituzioni adattandoli per quanto possibile al contesto ecclesiale. Il patrimonio del MD è costituito in primo luogo dalle opere che gli vengono affidate in deposito temporaneo rimanendo di proprietà di altri enti ecclesiastici. In secondo luogo da eventuali beni e collezioni che gli sono pervenute in proprietà. Soprattutto, il MD è al servizio del patrimonio culturale complessivo esistente nell'ambito della diocesi della quale è espressione. Il suo primo obiettivo è di promuovere ogni iniziativa che valga a conservare, studiare e valorizzare tale patrimonio. Senza limitarsi alla mera
semplice deposito ordinato. L'allestimento, la gestione e le iniziative del MD sono progettati non in modo generico, ma in modo da manifestare la specifica fisionomia delle Chiesi locali. Il MD è da considerare un museo istituzionale non solo di arte, per quanto sacra. La dimensione artistica potrà di volta in volta essere prevalente per quanto riguarda le opere esposte, ma il cuore del MD è la Chiesa locale, la sua fisionomia, la sua storia e la sua missione rese visibili e fruibili al pubblico mediante il riferimento al complesso del suo patrimonio culturale. Valorizzando il patrimonio dei beni culturali di cui dispone e al quale fa riferimento (quello diocesano) e utilizzando ogni supporto e strumento, il MD si pone l'obiettivo di rendere visibile la Chiesa locale intesa come comunità di credenti animata da una fede ricevuta, proclamata, celebrata, vissuta ed espressa; una Chiesa calata nella dimensione storica, geografica e territoriale. Il MD opera “nel contesto” e “in stretta collaborazione con” gli organismi diocesani preposti alla cura dei beni culturali, delle arti, e dell'arte sacra (Uffici e Commissioni della Curia), con le altre istituzioni formative, culturali e pastorale della diocesi ed esistenti nell'ambito della diocesi, della regione ecclesiastica, della Conferenza Episcopale Italiana. Dialoga e collabora (mantenendo la propria autonomia e identità) con i musei pubblici e privati e le loro associazioni, con le istituzioni pubbliche e private dedicate alla ricerca e all'insegnamento di tutti i livelli, in particolare con le Università e con le associazioni di tutela del patrimonio culturale. Si pone al servizio del progetto pastorale diocesano in tutte le sue dimensioni. Utilizza i linguaggi delle arti (in senso lato) per proclamare il vangelo in primo luogo alla comunità cristiane stesse. Nello stesso tempo ha come scopo di evangelizzare, fare catechesi,
dialogare con la società di oggi, con gli uomini delle arti e della cultura, a qualunque cultura appartengano, qualunque sia la loro confessione religiosa e l'atteggiamento religioso e spirituale. Pratica e promuove il dialogo interculturale e interreligioso. Opera consapevolmente nel contesto fisico, antropologico, storico, sociale in cui la diocesi vive e opera attualmente e ne coglie tutte le opportunità. È parte integrante ed espressione vivace nell'ambito della diocesi del “progetto culturale” della Chiesa in Italia. Conserva, espone, studia prevalentemente opere in deposito temporaneo appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche della diocesi. Promuove la ricerca in materia di beni culturali ispirati alla fede e alle molteplici manifestazioni della vita Chiesa nell'ambito della evangelizzazione, catechesi, vita liturgica, carità. Promuove nell'ambito delle comunità ecclesiali la formazione in materia di conservazione dei beni culturali e di promozione dell'arte per la Chiesa e per la liturgia. In ambito diocesano, il MD costituisce il punto di riferimento di eventuali altri istituzioni museali ecclesiastiche.
Museo Diocesano d’ Arte Sacra_Pordenone
I musei ecclesiastici aperti in Italia dal 2005 al 2012/13 2005 Ugento, diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, cattedrale, MD. La Spezia, diocesi di La Spezia – Sarzana Brugnato, oratorio di San Bernardino, MD, sede di La Spezia. Perugia, diocesi di Perugia – Città della Pieve, quindici sedi, MD diffuso. Rieti, diocesi di Rieti, palazzo vescovile, Pinacoteca diocesana a completamento del MD.
Gregorio De Ferrari, Estasi di Santa Scolastica, inizi XVIII secolo, Museo Diocesano_Genova THEMA I SANTI I 11
Museo Diocesano_Mazara del Vallo
Giovanni Battista Buonacquisto/ croce astile, argento, 1714, Museo Diocesano_Potenza
2006 Massa, diocesi di Massa Carrara - Pontremoli, MD, sede di Massa. Reggio Emilia, diocesi di Reggio Emilia Guastalla, palazzo vescovile, MD. San Marco Argentano (CS), diocesi di San Marco Argentano - Scalea, chiesa di S. Giovanni B., MD. Troia, diocesi di Lucera - Troia, MD Tesoro della cattedrale. Gaeta, diocesi di Gaeta, MD. Pesaro, diocesi di Pesaro, Palazzo Lazzarini, MD.
Castellammare di Stabia, chiesa dell'Oratorio, MD, sezione stabiese. Napoli, diocesi di Napoli, chiesa di Donna Regina Nuova, MD, ampliamento. Ravenna, diocesi di Ravenna, palazzo arcivescovile, Museo Arcivescovile. Mantova, diocesi di Mantova, nuovo allestimento del MD Francesco Gonzaga. Livorno, diocesi di Livorno, palazzo vescovile, MD, primo lotto. Torino, diocesi di Torino, chiesa inferiore della cattedrale, MD, in fase di ampliamento.
2007 Arezzo, diocesi di Arezzo, MD. Caltanissetta, diocesi di Caltanissetta, seminario diocesano, MD. Napoli, diocesi di Napoli, chiesa di Donnaregina Nuova, MD. Feltre, diocesi di Feltre - Belluno, MD di arte sacra. Bisceglie, diocesi di Trani – Barletta - Bisceglie, ex palazzo vescovile, MD, sezione di Bisceglie. Gubbio, diocesi di Gubbio, nuova sezione archeologica del MD. Ascoli Satriano, diocesi di Cerignola - Ascoli Satriano, polo museale di Ascoli Satriano. Milano, diocesi di Milano, concorso internazionale per il completamento del MD.
2009 Sora, diocesi di Sora – Aquino - Pontecorvo, complesso della cattedrale di Sora, MD diffuso. Ales – Terralba, MD. Livorno, diocesi di Livorno, palazzo vescovile, MD, secondo lotto. Pavia, diocesi di Pavia, cripta del duomo, MD, progetto. Cremona, diocesi di Cremona, matronei della cattedrale, MD, progetto. San Marino, diocesi di San Marino - Montefeltro - Pennabilli, seminario, MD, progetto.
vescovile, diocesi di Cremona, MD, annuncio. Ravenna, diocesi di Ravenna, Palazzo a r c i v e s c o v i l e , r i a p e r t u ra d e l M u s e o Arcivescovile di Ravenna, dopo più di dieci anni di chiusura per lavori di restauro. Pennabilli, Palazzo Bocchi, diocesi di San Marino - Montefeltro - Pennabilli, MD del Montefeltro Troia, diocesi di Lucera - Troia, MD di Troia. Nusco, diocesi di Sant'Angelo dei Lombardi – Conza – Nusco - Bisaccia, MD. Taranto, diocesi di Taranto, prossimo all'inaugurazione. Bari, diocesi di Bari – Bitonto, MD, in corso di ampliamento. Bitonto, diocesi di Bari – Bitonto, MD, in allestimento. Reggio Calabria, diocesi di Reggio - Bova, MD. Lamezia Terme, Diocesi di Lamezia Terme, MD. Cosenza, diocesi di Cosenza - Bisignano, MD, in fase di allestimento. Gerace, diocesi di Locri – Gerace, MD , in fase di completamento. Squillace, diocesi di Catanzaro - Squillace, MD, in fase di completamento. Lungro, diocesi di Lungro, MD, in progettazione.
2010 Prato, diocesi di Prato, M di Arte Sacra, in prossimità del M di Pittura Murale di San Domenico, prima ipotesi. Capua, diocesi di Capua, chiesa di San Salvatore in Corte, MD d'arte sacra moderna. Asti, diocesi di Asti, chiesa di San Giovanni, riaperta e con allestimento temporaneo in attesa dell' allestimento definitivo del MD, previsto per il 2011. Torino, cattedrale, diocesi di Torino, MD, nuovo allestimento. Sezze, Palazzo dei canonici della concattedrale di Santa Maria, diocesi di Latina – Terracina – Sezze – Priverno, sezione del MD. Cremona, diocesi di Cremona, Palazzo
2011 Caserta, diocesi di Caserta, Cappella del Redentore, MD, apertura con una mostra di fotografia contemporanea per celebrare la vita. Trani, diocesi di Trani, MD, riapertura dopo un periodo di chiusura per lavori di restauro e per la creazione di una rete multimediale. Assisi (Perugia), Muma, Museo missionario Amazzonia dei frati cappuccini dell'Umbria. Monreale, diocesi di Monreale, palazzo arcivescovile, MD di Monreale. Matera, diocesi di Matera – Irsina, palazzo arcivescovile, MD di Matera. Arezzo, diocesi di Arezzo – Cortona Sansepolcro, palazzo dei vescovi, Museo Diocesano di Arte sacra, MUDAS, apertura con
2008 Foligno, diocesi di Foligno, palazzo delle canoniche, MD. Carpi, diocesi di Carpi, chiesa di Sant'Ignazio, MD di arte sacra cardinale Rodolfo Pio di Savoia. Genova, diocesi di Genova, MD, rinnovato del percorso espositivo. Cremona, diocesi di Cremona, palazzo vescovile, MD, annuncio. Ancona, diocesi di Ancona - Osimo, MD, riapertura dopo il restauro statico. Castellammare di Stabia, diocesi di Sorrento -
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la mostra “Giorgio Vasari: santo è bello”. Taranto, diocesi di Taranto, antico seminario, MD di Taranto Nonantola (Modena), diocesi di Modena Nonantola, palazzo abbaziale, museo benedettino diocesano, riapertura con nuovo allestimento della sezione dedicata al tesoro abbaziale. Bergamo, Museo delle suore sacramentine, Casa madre, via Sant'Antonino. Potenza, diocesi di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo, MD di Potenza. Venosa, MD, in allestimento. Melfi, diocesi di Melfi – Rapolla – Venosa, palazzo vescovile, MD. Tursi, diocesi di Tursi – Lagonegro, MD, in allestimento. Tricarico, diocesi di Tricarico, MD, in allestimento. Andria, diocesi di Andria, MD, in allestimento nella nuova sede, diversa da quella precedente. Larino, diocesi di Termoli Larino, inaugurazione della prima sezione del Museo storico diocesano nella nuova sede del Palazzo Arcivescovile. Agrigento, diocesi di Agrigento, inaugurazione del MD nella nuova sede del Palazzo Arcivescovile. Faenza, diocesi di Faenza – Modigliana, riapertura del MD dopo due anni di lavori. 2012 10 maggio, Milano, inaugurazione del “Percorso archeologico”, basilica dei Santi Apostoli e Nazaro. 25 maggio – 23 giugno, Roma, apertura dell'itinerario “La case dei santi. Un percorso nella Roma cristiana del '600 e '700”; visita alle abitazioni romane di S. Antonio Maria Zaccaria, S. Camillo de' Lellis, S. Carlo da Sezze, S. Felice da Cantalice, S. Giovanni Leopardi, S. Giuseppe Calasanzio, S. Ignazio di Lodola, S. Leonardo da
Porto Maurizio.
Diocesano di Cuneo.
giugno, Bolzano – Burgusio, abbazia benedettina di Marienberg, ampliamento del museo dell'abbazia, istituito nel 2007.
26 ottobre, Ozieri,inaugurazione del Museo Diocesano di Ozieri, diocesi di Ozieri
7 giugno, Como, inaugurazione del Museo Don Luigi Guanella. 27 giugno, Roma, ampliamento e nuovo allestimento del Museo dei Cappuccini, via Vittorio Veneto, 27. 30 giugno, Alberobello, diocesi di Conversano Monopoli, basilica dei santi medici Cosma e Damiano, inaugurazione del Museo dedicato a Mons. Cosmo Francesco Ruppi. 2 luglio, Roma, Museo di Propaganda Fide, entra in funzione la nuova audioguida in lingua coreana 15 luglio, Monteprandone (AP), inaugurazione del nuovo allestimento del Museo di San Giacomo, convento di San Giacomo della Marca, diocesi di San Benedetto del Tronto, è una delle dieci sedi dei Musei Sistini del Piceno. 20 luglio, Barletta, inaugurazione del polo museale della concattedrale di Barletta, diocesi di Trani – Barletta – Bisceglie. 21 luglio, Fraciscio di Campodolcino (Sondrio), inaugurazione della “casa museo” del beato don Luigi Guanella, diocesi di Como. 25 agosto, Bergamo, inaugurazione del tesoro della cattedrale, .ampliamento del Museo Diocesano, cripta della cattedrale, diocesi di Bergamo. 29 settembre, Cuneo, inaugurazione del Museo
27 ottobre, Milano, inaugurazione del museo dedicato al beato don Carlo Gnocchi, diocesi di Milano 28 ottobre, Regalbuto, inaugurazione del tesoro della Chiesa Madre, diocesi di Nicosia. 30 ottobre, Genova, inaugurazione del nuovo allestimento del piano terreno del Museo Diocesano, diocesi di Genova. 14 novembre, Reggio Calabria, inaugurazione Sezione staccata del Museo diocesano “Mons. Aurelio Sorrentino” COLLEZIONE DI PRESEPI “NINI' SAPONE, allestito presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose in un'ala del seminario, via del seminario 18 novembre, Assisi, inaugurazione di “Frame”, la mediateca francescana sita davanti alla basilica inferiore di San Francesco; composta da tre sale multimediali prepara i pellegrini a visitare le basilica e i suoi affreschi mediante la proiezione di filmati sulla vita di san Francesco... 1 dicembre, Parma, inaugurazione, dopo una radicale ristrutturazione, del Museo d'Arte Cinese ed Etnografico, dei Missionari Saveriani, diocesi di Parma. Il primo nucleo del museo è stato costituito nel 1901 dal beato Guido Maria Conforti, vescovo di Parma e fondatore della congregazione dei Saveriani, nella casa madre dei Missionari Saveriani, viale San Martino, 8 Parma. 6 dicembre, Tarquinia, diocesi di Civitavecchia – Tarquinia, inaugurazione del Laboratorio
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didattico del Museo d'arte sacra di Tarquinia MAST 19 dicembre, Albano Laziale, diocesi di Albano Laziale, inaugurazione del Museo Diocesano di Albano, palazzo Lercari, già sede dei vescovi dal 1795. 21 dicembre, Larino, diocesi di Termoli – Larino, inaugurazione del Museo Diocesano di Termoli – Larino “Mons. Giovanni Andrea Tria”, nella nuova sede dell'episcopio di Larino. 22 dicembre, Mazara del Vallo, diocesi di Mazara del Vallo, presentazione del Museo multimediale “I Giusti di Sicilia”, Seminario Vescovile di Mazara del Vallo. L'inaugurazione è prevista per il 31 marzo 2013. 2013 primavera 2013, Bisignano, inaugurazione del Museo diocesano d'arte sacra, diocesi di Cosenza - Bisignano, Calabria; (la guida TCI/2005 lo dà “in allestimento”) giugno 2013, Pomarance (Volterra), diocesi di Volterra, parrocchia San Giovanni, museo d'arte sacra. 4 novembre 2013, Milano, inaugurazione del Museo del Duomo con nuovo allestimento Lavori in corso - Tortona (Alessandria), diocesi di Tortona, MD, in fase di completamento - Bologna, sezione bolognese del Museo dei Cappuccini di Reggio Emilia, in fase di completamento - Susa, ampliamento del MD di Susa, in fase di progetto
Cremona. MD, in corso di realizzazione Siti “Anagrafe” CEI, aggiornato regolarmente. Contiene le schede di 234 musei ecclesiastici italiani aperti e in corso di allestimento “Italia cultura” MIBAC, utilizza come fonte le guide del TCI Contiene le schede di 6104 musei italiani raggruppate per tipologia non per proprietà. Comprende anche i musei ecclesiastici.
ecclesiastico nel quadro istituzionale. Problemi di riconoscimento e di sostenibilità finanziaria”. Napoli, 11 – 14 novembre 2009, “L'allestimento come segno identitario del museo ecclesiastico”. Trento, 19 – 21 0ottobre 2011, “L'azione educativa per un museo in ascolto” Assisi, 20 – 23 novembre 2013, “ I musei ecclesiastici di fronte alla crisi. La rete, una possibile risposta” (titolo provvisorio).
Bibliografia essenziale Atti dei convegni AMEI: Genova (1997), Ancona (1999), Roma (2001), Catania (2003), Susa (2005), Siena (2007), Napoli (2009), Trento (2011). A. Propersi M. Grumo (redd.), Le problematiche gestionali dei musei ecclesiastici, Milano, ISU Università Cattolica, 2004. E. Giacomini Miari P. Mariani, Musei religiosi in Italia, Milano, TCI, 2005. G. Santi, I musei religiosi in Italia, Milano, Vita e Pensiero, 2012. I convegni nazionali AMEI Genova, 14 – 15 novembre 1997, “I musei ecclesiastici in Italia. Dalle opere del duomo, ai musei diocesani, alle raccolte”. Ancona, 21 – 23 ottobre 19999, “I musei ecclesiastici in Italia. Dall'idea alla gestione”. Roma, 22 – 24 novembre 2001, “Imprenditoria culturale e gestione dei musei ecclesiastici”. Catania, 19 – 22 novembre 2003, “Musei ecclesiastici e standard museali. Analisi ed esperienze”. Susa – Bardonecchia, 12 – 15 ottobre 2005, “Ammirare e comunicare. L'esperienza estetica e i contenuti dell'arte religiosa nei musei”. Siena, 7 – 10 novembre 2007, “Il museo I THEMAFOTO8I Museo Diocesano_Molfetta
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Museo Diocesano d’ Arte Sacra_Pordenone THEMA I SANTI I 15
Le regole del tempo nella valorizzazione del contemporaneo Ugo Carughi
L
a legge italiana di tutela si basa su un'idea astratta del tempo, considerando quest'ultimo solo dal punto di vista quantitativo e prescindendo dalla valenza storica che distingue ogni momento da tutti quelli che l'hanno preceduto e che lo seguiranno. Sappiamo, invece, che un avvenimento può comportare mutamenti improvvisi e inaspettati che, in sua assenza, avrebbero richiesto molti anni, forse molti decenni; oppure, non si sarebbero mai verificati. La natura e l'intensità di un accadimento, anche durato pochi istanti, possono tradursi in mesi, anni, decenni. Sappiamo, inoltre, che il tempo è un fatto essenzialmente mentale, soggettivo e nessuna legge potrà mai privarci della facoltà personale di vivere le sensazioni e le sollecitazioni che ci vengono dall'habitat esterno. Analoghe considerazioni valgono se, in luogo di un singolo, pensiamo a un'intera comunità e al suo sentimento collettivo. La capacità di far convergere la valutazione personale e quella pubblicistica di un fatto è, appunto, ciò che si richiede agli organi di tutela. E invece, le formali convenzioni stabilite dalla legge si traducono in convenzionali finzioni che finiscono spesso per falsare la realtà, deresponsabilizzando le amministrazioni nel controllo del territorio e inducendole, talvolta, a utilizzare il passato come un paravento dietro cui nascondersi per non affrontare il presente. Le limitazioni imposte all'azione di tutela dalla legge italiana comportano che un'architettura sia considerata contemporanea solo se realizzata da meno di cinquant'anni, o di settanta se il proprietario è pubblico; l'altra condizione è che il suo autore sia in vita. Si tratta di due condizioni definite nel lontano 1902 dalla cosiddetta 'legge Nasi'; ma, seppur comprensibili, esse non appaiono più attuali, considerate la rivoluzione informatica e l'accelerazione nella durata delle stesse correnti espressive. THEMA I CARUGHI I 16
L'ulteriore distinzione tra cinquanta e settant'anni, chiaro omaggio alla libertà d'azione di Comuni, Province e Regioni in nome del cosiddetto 'federalismo fiscale', appare ancor più irrazionale. Ibernare per un tempo astrattamente definito qualsiasi possibilità di tutela, significa trasferire tale opportunità alle generazioni future, senza, però, garantire le condizioni di ciò che a loro perverrà: una contraddizione in termini. Gli organi di tutela, inoltre, confinati per cinquanta o per settant'anni fuori la porta del contemporaneo, non avranno mai verso questo la necessaria competenza e autorevolezza di cui sono, invece, depositarie quando si tratta di salvaguardare opere 'storicizzate'. Insomma, il fatto che l'Italia sia uno dei pochi Paesi al mondo a porre una barriera temporale inderogabile all'azione di tutela, è un primato non necessariamente positivo. Non si comprende perché, poi, occorra attendere il decesso dell'architetto autore dell'opera per attuare un provvedimento di salvaguardia: questi, in genere, non ricava i suoi proventi dalla vendita del bene come, invece, l'artista che inizialmente è il proprietario del dipinto o della scultura che ha realizzato. L'architetto è generalmente pagato per la sua attività di progettista e di direttore dei lavori. Come ha osservato Rafael Moneo, l'edificio, una volta realizzato, resta solo sul territorio mentre il suo autore è ormai lontano. Aggiungiamo che, diversamente da una tela o da un affresco, esso può essere modificato per motivi funzionali: dunque, può aver bisogno di essere tutelato molto prima di una 'opera mobile' per controllare che successivi lavori di 'adattamento' a nuovi usi o, semplicemente, di aggiornamento delle preesistenti funzioni, non ne snaturino i caratteri. La problematica posta dalla necessità della prospettiva storica potrebbe essere elusa o almeno attenuata stabilendo una sorta di
I criteri sui quali basare la tutela di un bene sono oggi, secondo la legge italiana, prevalentemente di carattere cronologico e questo porta a non considerare altri aspetti qualificanti del bene stesso. Solo laddove entra in ballo la tutela paesaggistica anche il singolo oggetto architettonico, considerato nel contesto del quale è divenuto elemento attivo, assume il carattere di bene significativo sotto il profilo culturale, a prescindere dalla sua età.
gradualità dell'interesse culturale, come accade in molti Paesi. Ma non in Italia, dove una diversa declinazione dell'interesse vige tra beni di proprietà pubblica (“interesse culturale”) e privata (“interesse culturale particolarmente importante”), mettendo, così, in rapporto un fattore di valore assoluto e tendenzialmente universale (l'interesse culturale), con un altro che più contingente e ondivago non potrebbe essere, quale il regime proprietario, legato al mercato di una determinata area, in un determinato momento storico. È possibile, per la verità, dichiarare l'interesse culturale di un bene prescindendo dalla sua data di realizzazione e dal suo autore e senza entrare nel merito delle sue intrinseche qualità architettoniche; ma solo se è individuabile un chiaro rapporto con la coeva storia della cultura. Ciò significa rinunciare ad attribuire al bene il cosiddetto 'interesse intrinseco' di unicum irripetibile, per considerare il solo 'interesse relazionale’ (1). Tale distinzione operata dal Codice comporta inoltre che, ai sensi dell'articolo 54, comma 1, lettera d) bis, il secondo provvedimento impedisca l'alienazione dell'opera quando questa appartiene al demanio culturale. Eppure nei provvedimenti emessi in riferimento allo 'interesse relazionale' non sono mai state escluse le qualità innovative delle opere, anche se non possono essere utilizzate per motivare il vincolo, essendo in esse formalmente individuato, quale ratio esclusiva della tutela, il solo rapporto con la cultura. I provvedimenti di tutela su architetture contemporanee in cui sia riconosciuto il rapporto con fattori esterni non sono numerosi e mostrano come il blocco imposto dalla norma sia stato rimosso attraverso un escamotage burocratico. Si tratta di opere quali, ad esempio, la Casa alle Zattere di Ignazio Gardella (foto 1),
o il Ponte sul Basento, a Potenza, di Sergio Musmeci, che avevano ormai un apprezzamento condiviso: c'era certezza di qualità e d'unicità o, quanto meno, della loro tipicità; il clamore, talvolta polemico, che aveva suscitato la loro realizzazione già costituiva di per sé un elemento di storicizzazione. D'altra parte, la distinzione tra interesse 'intrinseco' e 'relazionale' (2) spesso non trova riscontro nella realtà. Non vogliamo arrivare al paradosso inammissibile per la cultura occidentale, per cui in Cina o nella Repubblica di Corea il monumento viene conservato solo come testimonianza storica, il che non impedisce che sia ripetutamente ricostruito nel corso del tempo in forme e tecniche diverse da quelle iniziali. Dobbiamo, tuttavia, ammettere che qualsiasi prodotto concettuale o materiale concepito dall'uomo, per quanto eccelso, non si rivela immune da ciò che gli gira intorno. Non potendosi, dunque, separare l'interesse di un'opera creata dall'uomo, anche se unica e irripetibile, da interessi e contingenze di altra e più prosaica natura, non ha alcun senso disgiungerlo da quello che, invece, si manifesta per il legame con fattori esterni; tanto meno, prevedere per i due casi procedure differenziate di vincolo. Ma ciò è, appunto, quanto avviene nella normativa italiana. Un altro modo per salvaguardare il Contemporaneo è riferito alla legge n. 633/1941, detta 'sul diritto d'autore', che presenta una tale serie di limiti e fraintendimenti interpretativi da costituire una dubbia risorsa di salvaguardia. Ciò nonostante, è individuata quale unica possibilità per tutelare un'opera contemporanea nel Disegno di legge quadro sulla qualità architettonica, in eterno parcheggio nel Parlamento, che rinuncia alla formulazione di nuove norme; ma è evidente che il Disegno è improntato in prevalenza da
interessi del mondo professionale ben più che da quelli legati alla salvaguardia del territorio. S a r e b b e p o s s i b i l e p e r ò c o n s i d e ra r e l'architettura contemporanea all'interno di vincoli più ampi. Prescindendo dal cosiddetto 'vincolo indiretto', che può preliminarmente dettare prescrizioni con rilievo urbanistico in un'area riferita a uno o più immobili sottoposti a diretta dichiarazione d'interesse (art. 45 del Codice), il concetto di paesaggio, che riguarda anche il costruito(3), rende possibili nuove opportunità di tutela in tale ambito, in quanto i vari elementi che compongono l'insieme sono considerati preliminarmente in ragione dei rapporti reciproci. Diversamente da quello 'culturale', il vincolo paesaggistico non è condizionato dalle date di realizzazione degli immobili che compongono l'insieme da tutelare. Il comma 1 dell'articolo 138 prescrive, tra l'altro, che «La proposta [di dichiarazione d'interesse paesaggistico] è formulata con riferimento ai valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono». Questa scala dimensionale rende inutile interporre un preciso intervallo di tempo tra la data della realizzazione di un'architettura e il momento in cui si considerano i rapporti che essa instaura con l'insieme paesaggistico in cui va ad inserirsi e vanifica qualsiasi distinzione tra architettura 'antica', 'moderna' e 'contemporanea'. Quel che conta, infatti, non è la valutazione diacronica dell'insieme, ma quella sincronica. Se non è il tempo trascorso dalla data di realizzazione degli elementi di un insieme, a determinarne «la valenza identitaria in rapporto alle aree in cui ricadono», quest'ultima potrebbe essere rintracciabile, oltre che in tutto
il resto, anche nei valori collettivi espressi dalla nuova opera. A tal fine, risulta decisiva l'analisi di quest'ultima in rapporto al contesto storico, oltre che a quello topografico: l'individuazione, cioè, di tutti gli elementi in qualche modo collegabili all'architettura considerata, quali edifici analoghi per linguaggio espressivo; oppure circostanze e precedenti cui è riferita la sua realizzazione; o, ancora, la permanente validità degli esiti prestazionali in funzione collettiva. Le suddette considerazioni sono confermate dal fatto che le soprintendenze, a cui è preclusa la tutela delle architetture contemporanee, sono invece chiamate in causa quando gli interventi devono essere realizzati in contesti urbani o naturalistici di rilievo, sollecitando un giudizio in riferimento a questi ultimi come condizione propedeutica alla loro esecuzione. Un giudizio per il quale vengono convocati nello stesso istante tutti gli elementi dell'insieme paesaggistico, indipendentemente dall'epoca della loro realizzazione. Nel caso in cui il contesto sia costituito esclusivamente o prevalentemente da edifici e strade, è evidente che gli «interessi» considerati dall'articolo 138 sarebbero quelli «storici, culturali, morfologici, estetici». Volendo includere, quale parte del contesto, un'architettura contemporanea, i possibili «interessi» a essa riferibili sarebbero solo quelli «culturali, morfologici, estetici», in assenza della prospettiva storica. Contemplando, inoltre, anche lo sviluppo sostenibile del territorio, il vincolo paesaggistico appare davvero come un provvedimento in progress disponibile ad accogliere prescrizioni ad operandum. Infatti, la dichiarazione d'interesse prevista nella Parte Terza sui beni paesaggistici prevede la prescrizione di una serie di direttive: il comma 1 dell'articolo 138 aggiunge che la «proposta [di notevole interesse pubblico…] contiene proposte per le prescrizioni d'uso THEMA I CARUGHI I 17
intese ad assicurare la conservazione dei valori espressi». Il comma 2 dell'articolo 140, ribadisce che la «dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato». Il riconoscimento dei valori di una nuova architettura potrebbe rientrare nel vincolo nella misura in cui essa si adegua alle sue direttive. Inoltre, il fatto che i criteri d'intervento siano pubblicamente enunciati all'interno del provvedimento è quanto mai importante perché sono resi noti agli utenti, contribuendo a creare un territorio d'intesa con la pubblica amministrazione.
NOTE (1) Il comma 3, lettera d dell'art. 10 del d.l.vo n. 42/2004 recita: «Sono altresì beni culturali, quando sia prevista la dichiarazione prevista dall'articolo 13: […] d) le cose immobili o mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose».
Luigi Cosenza/ Fabbrica Olivetti, 1954-1979_Pozzuoli
(2) Il cosiddetto 'interesse intrinseco' è contemplato dall'articolo 10, comma 1 del Codice per i beni appartenenti a…enti e istituti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, nonché dal comma 3, lettera a) dello stesso articolo per quelli appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1. L' 'interesse relazionale' è indicato nello stesso articolo 10, comma 3, lettera d) (3) La lettera c dell'articolo 136 del d.l.vo n. 42/2004 recita: «Sono soggetti alle disposizioni di questo Titolo per il loro notevole interesse pubblico: […] c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri e i nuclei storici».
Mostra Oltremare, 1940_Napoli THEMA I CARUGHI I 18
Dall’archivio dei CC NTC: Andrea della Robbia/ Cristo di Pietà tra la Madonna e San Giovanni Evangelista. Rubato dal Convento di Santa Maria delle Grazie di Arezzo e recuperato a Roma.
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L'inventariazione dei beni culturali ecclesiastici e le responsabilità dei Parroci Paola Renzetti
L
'Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici (UNBCE) della Conferenza Episcopale Italiana ha da tempo avviato inventariazioni e censimenti dei beni culturali ecclesiastici a partire da quello dei beni mobili artistici e storici nel 1996 a seguire quelli sui beni architettonici (chiese) , sugli archivi ecclesiastici e sulle biblioteche . Un'iniziativa che non ha precedenti nella storia della Chiesa e forse dell'intera comunità umana. Per la prima volta uno dei maggiori patrimoni culturali esistenti in Italia, e forse nel mondo, sarà conosciuto nella sua interezza: potrà quindi essere protetto e valorizzato nel migliore dei modi. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio istituito con D.Lgs. n. 42 nel 2004, all'art.17, sulla catalogazione, prevede che il Ministero con il concorso delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali, con le modalità di un decreto ministeriale, curino la catalogazione dei beni culturali loro appartenenti e, previe intese con gli enti proprietari, degli altri beni culturali. In anticipo sulle disposizioni del Codice in merito alla catalogazione, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD) del Ministero per i beni culturali e ambientali (MIBAC) nel 2002 con una convenzione, originata dall'intesa del 1996 tra la CEI ed il MIBAC, quale primo passo applicativo dell'art.12 dell'accordo di revisione del Concordato Lateranense, definirono le modalità di collaborazione per l'inventario e il catalogo dei beni culturali mobili, consentendo, con l'uniformità dell'inventario della CEI alle direttive di merito e metodo stabilite dall'ICCD e integrato con aspetti peculiari del patrimonio ecclesiastico, l'avvio dell'inventariazione dei beni mobili artistici e storici. A garanzia dell'accordo: la consegna dell'inventario alle Soprintendenze competenti e all'ICCD per gli usi istituzionali. Nel frattempo l'inventario, informatizzato, dei beni mobili artistici e storici sta confluendo nel
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sito BEWEB (beni ecclesiastici in web), con accessi riservati e visualizzazioni ed immagini protette, mentre sul sito dell' UNBCE, la banca dati “Le chiese delle diocesi italiane” permette di consultare le schede di censimento ed il progetto anagrafe quelle relative alle biblioteche, archivi e musei. Con gli inventari in rete nasce un vero e proprio servizio pubblico riguardo ai beni culturali ecclesiastici da parte di enti diversi ed integrati, civili ed ecclesiastici. L'inventario dei beni mobili artistici-storici, già previsto dal diritto canonico, è stato promosso, con precedenza rispetto a quello architettonico, archivistico e bibliotecario, poiché maggiormente esposti al rischio di perdita, di furti e di degrado. Oggi tale inventario è la documentazione ufficiale dell'identificazione del bene a garanzia di tutela del patrimonio ecclesiastico ma anche il primo passo al contributo della Chiesa per la realizzazione della “catalogazione” statale: di essa ne è l'integrazione. Questo patrimonio così come è stato inventariato non ha prodotto una trascrizione numerica e materiale di dati ma un fondamento conoscitivo per la tutela e valorizzazione dei beni: insieme alle testimonianze liturgiche d'uso, di riti e di celebrazioni, emerge il carattere culturale locale che fa dell'inventario un documento dell'identità storico-civile della nostra civiltà. Se l'inventariazione e la catalogazione dei beni culturali mobili e immobili, come recita all'art.2 l' intesa del 2005 tra la CEI e il MIBAC, è il fondamento conoscitivo di ogni successivo intervento, oggi più che mai la consapevolezza del patrimonio rende responsabile chi del patrimonio è custode. Il fruitore privilegiato dell'inventario è il parroco e proprio a lui la consegna di una copia della parte di inventario artistico e storico limitata ai beni di sua competenza richiederà l'impegno per la manutenzione, la responsabilità per gli
Con l'opera di inventariazione, lanciata già a fine anni '90, la Conferenza Episcopale Italiana ha precorso l'impegno di catalogazione decretato dallo Stato con il Codice dei Beni culturali e del paesaggio. Si è giunti a una stretta sintonia e a una fattiva collaborazione tra Stato e Chiesa che ha portato anche alla messa in “Rete” delle opere. Ne consegue anche un impegno per i Parroci, chiamati a essere responsabili dei beni culturali di loro competenza. .
spostamenti, i prestiti, le riproduzioni, il restauro…. in una parola della cura ma anche della valorizzazione dei beni di pertinenza. Alla luce dell'inventario e del Codice dei beni culturali e del paesaggio e più precisamente dell'ultimo decreto ministeriale del 27 settembre 2006 che introduce i criteri e le modalità per la verifica dell'interesse culturale dei beni mobili (così come fu per i beni immobili col decreto del 25/01/05), nel patrimonio già emerso (quello artistico e storico) , i beni culturali “per presunzione” sono le cose mobili, da ritrovare elencate nel codice, (insieme a quelli immobili ) …appartenenti a persone giuridiche private senza fini di lucro (tra cui gli enti ecclesiastici) , che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico …, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, ( o ad oltre settanta anni se immobili). È chiaro che tutti quei beni riferiti dal Codice e con le caratteristiche sopramenzionate sono sottoposte comunque alla disciplina di tutela del Codice perché considerati per presunzione beni culturali , fino alla verifica dei beni stessi. Il bene verificato se riconosciuto d'interesse, acquista lo stato giuridico di bene culturale e con esso tutte le disposizioni del codice inerenti la tutela, conservazione e valorizzazione compreso i diritti delle agevolazioni. L'inventario dei beni mobili artistici e storici ecclesiastici da cui emerge lo stato di conservazione, la consistenza oltre che le caratteristiche tecniche del bene, fa trovare preparato l'ente ecclesiastico alla procedura di verifica dell'interesse dei beni culturali mobili (almeno per questa parte già inventariata) e di conseguenza preparato a recepire tutte le altre disposizioni del Codice che riguardano le funzioni di tutela e di fruizione e valorizzazione. È il parroco, quale rappresentante legale, il primo responsabile del compito istituzionale della tutela dei beni culturali ecclesiastici, tutela soggetta alla normativa canonica,
soggetta alla normativa canonica, concordataria e civile. Con il riconoscimento del valore culturale dei beni, lo Stato, attraverso il Codice, ne ha il controllo che limita la piena disponibilità del bene al proprietario-possessore, per un interesse derivato dall'appartenenza al Patrimonio culturale. Dall'inventario emergono “natura” e “dimensione”dei beni: tipologia, consistenza, carattere, aspetti storico, artistico, liturgico, culturale ovvero l'unicità dell'oggetto che consentono di elaborare percorsi d'uso , misure di salvaguardia, iniziative di fruizione e di valorizzazione. Il che richiede una buona programmazione a carattere nazionale che dall'intesa del 2005, la quale teorizzava la programmazione dell'inventariazione e la catalogazione, porti a una intesa e/o accordo operativo tra le parti, ora che uno degli obiettivi prefissati (l'inventario dei beni storici-artistici) si stà raggiungendo.
Dall’archivio de Comando Carabinieri TPC: Benozzo Gozzoli/ Madonna col Bambino, rubata dalla chiesa di San Giovanni ed Ermolao di Calci (PI) e recuperata a Londra. THEMA I RENZETTI I 21
Il mecenatismo, nella storia e nell'attualità: da Mecenate alle Fondazioni bancarie
Sorto per rivestire di splendore il potere di imperatori e principi, diviene col tempo, e in particolare grazie all'impegno della Chiesa, sistema per la promozione delle arti. Oggi si sono moltiplicate le istituzioni private che si impegnano in azioni di finalità culturale: in condizioni difficili, e avendo come precipuo interesse di conservare e tramandare le grandi opere del passato.
Francesco Sanvitale
M
ai Gaio Cilnio Mecenate, pur assolutamente consapevole del proprio ruolo, avrebbe immaginato, operando alle soglie del Primo Millennio (morì nell'8 a. C.), che avrebbe dato il suo nome a una categoria di benemeriti della cultura e dell'arte la cui azione, sostantivizzata in “mecenatismo”, avrebbe percorso i secoli tra straordinarie avventure. E, come spesso avviene, Mecenate, che con una piccola forzatura potrebbe essere paragonato a una sorta di ministro della cultura moderno, svolse di fatto un ruolo alquanto diverso da quello poi intrapreso da coloro che si possono definire suoi successori. Egli, essendo effettivamente un amante dell'arte e della letteratura, protesse, sostenne e favorì l'opera, tra gli altri, di Orazio, Properzio, Virgilio, ma aveva come fine ultimo di illustrare l'età augustea che doveva essere grande in tutto per giustificare il definitivo passaggio dalla Roma Repubblicana alla Roma Imperiale. Era un politico colto, non alieno da azioni di responsabilità di governo e militari, e seppe costruire un'impalcatura di capolavori letterari spesso scovando egli stesso i potenziali autori, anche attraverso una rete di “informatori” che erano gli stessi letterati e poeti entrati nel suo circolo. Un altro grande merito di Mecenate fu di aver inaugurato un modo di sostenere la politica, che fu appieno recepito dai futuri imperatori, mossi a infaticabile gara per circondarsi di artisti di ogni genere affinché con le loro opere magnificassero i detentori del potere anche agli occhi della posterità, oltre che all'ammirazione dei contemporanei. Una formula vincente che superò i secoli bui della disgregazione dell'Impero, attecchendo, anche se in forme rozze, ai regni barbarici, proseguendo con splendore a Costantinopoli, e rifiorendo alla corte papale di Roma. Ed è fuor di dubbio che il mecenatismo della Chiesa abbia svolto un ruolo di primo piano, e per lunghi secoli, nella valorizzazione delle arti.
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Citando un solo, affascinate quanto contraddittorio esempio, va ricordato Papa Giulio II della Rovere, detto il “Papa Guerriero” o il “Papa Terribile”, capace di tener testa alla spregiudicata violenza del Borgia, che amava più la corazza con la spada al fianco che le vesti sacre. Eppure Giulio II fu sostenitore e protettore di Bramante, Raffaello e Michelangelo. Con quest'ultimo, dati i difficilissimi, pestiferi caratteri di entrambi, fu in un costante conflitto, tra liti e riappacificazioni che generarono però l'affresco della Cappella Sistina e il monumento funerario del Papa. Principi, re, imperatori, papi, cardinali, duchi o baroni, proporzionalmente alle proprie possibilità e alla considerazione di se stessi e della propria casa, fecero per secoli gare anche aspre e senza esclusione di colpi allo scopo di accaparrarsi nelle loro corti pittori, scultori, architetti, musicisti, letterati, scienziati. Spesso per sincero amore verso la cultura, perché soggiogati dal bello, ma sovente per erigere e mostrare uno “status symbol” che travalicava le finali tà artistiche per scendere più prosaicamente nel politico. La stessa nascita del melodramma nella Firenze medicea fu una ben orchestrata operazione cortigiana per stupire tutte le teste coronate intervenute alle nozze di Maria de' Medici col re di Francia Enrico IV (che però se ne restò a Parigi) il 5 ottobre 1600. Fu eseguita l'Euridice di Ottavio Rinuccini e Jacopo Peri, due attivi membri della “Camerata de' Bardi” che, sotto la guida di Vincenzo Galilei (padre del più noto Galileo), stilava il programma per il rinnovamento della musica. L'effetto dirompente nell'animo dei presenti e il desiderio di emulazione spinsero tanti a ripetere la novità presso le proprie corti e, su tutti, Vincenzo Gonzaga che, a differenza degli altri, aveva a Mantova lo “imperatore della musica” Claudio Monteverdi che portò a maturazione l'opera lirica, traendola fuori dalla fase sperimentale, e la diffuse a Venezia. Qui nel 1637 si apriva il primo teatro pubblico
che di fatto la sottraeva dal monopolio delle corti per aprirla a sempre più vaste fasce d'utenza. Peraltro i Medici, che possono ascriversi anche questo merito, da accorti banchieri mecenati si erano fatti principi e per quella origine borghese ante litteram possono vantare anche, con un po' di forzatura storica, il primato del mecenatismo bancario che, a parte poche altre esperienze, almeno nel nostro Paese resta l'unico attivo, pur con le vistose differenze rispetto ai secoli d'oro, e non soltanto per quantità e qualità del fenomeno quanto proprio per una nuova ideologia che ne ha mutato la struttura originaria. La progressiva crescita di classi sociali diverse aristocrazia, clero e popolo, poi l'ascesa della borghesia artigiana, commerciale, bancaria insieme con figure determinanti negli assetti della società (magistratura, gerarchie militari etc.) sempre meno appannaggio delle tradizionali classi dominanti – ha ampliato il numero dei fruitori del bello artistico e favorito la nascita di collezionisti, e collezioni, non solo ospitate in regge e palazzi gentilizi, ma anche in ricche case borghesi. Così come, nell'affermarsi di un consolidamento degli Stati nazionali, sempre meno retti da forme di assolutismo monarchico, le collezioni dei re si mutarono in musei pubblici. Questi, beninteso, hanno origini antiche: il capostipite fu il Museo di Alessandria voluto da Tolomeo I, il generale di Alessandro il Grande che alla morte del condottiero rifondò una dinastia di faraoni che si protrasse fino a Cleopatra. Il museo di Tolomeo accoglieva e sosteneva la comunità artistica e scientifica dell'area ellenistica che consacrava il suo lavoro alle Muse. Ma il primo museo moderno, dal quale discendono le istituzioni che oggi conosciamo, compare solo nel 1734 quando papa Clemente XII aprì al pubblico le raccolte pontificie inaugurando i Musei Capitolini, oggi Musei Vaticani.
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Il mecenatismo puro andò così sempre più mutandosi nell'interesse di personalità facoltose che, attraverso un ricco collezionismo, costituivano raccolte, a volte ingenti, di opere d'arte, favorendone sì la produzione e quindi, anche se indirettamente, sostenendo gli artisti (pensiamo alla grande collezione d'arte contemporanea dei Conti Panza di Biumo a Varese che purtroppo vive oggi non poche incertezze), ma perdendo quello spirito di irripetibile fascino delle origini. In Italia si possono ancora notare esempi significativi come la Fondazione Giorgio Cini di Venezia che nel 1951 nacque proprio ricalcando l'ideologia del museo tolemaico di Alessandria come collettrice di ingegni dell'arte, della musica, della storia, dell'etnoantropologia, ma perdendo, per comprensibili ragioni del mutare dei tempi, questa caratteristica e specializzandosi più negli studi, nell'organizzazione di mostre, nel custodire una collezione dove spiccano opere di Tiziano, Dosso Dossi, Carlo Crivelli, senza dimenticare l'attività editoriale su molti fronti della cultura. Più recentemente, splendido esempio di mecenatismo contemporaneo ha offerto la Fondazione Famiglia Terruzzi Villa Regina Margherita di Bordighera che ha profuso ingenti risorse (si parla di 8 milioni di euro!) nel restauro della villa abitata dalla prima regina d'Italia negli ultimi anni di vita, ospitandovi quindi una collezione d'arte raccolta dal capostipite Terruzzi e ricca di capolavori inestimabili. La Fondazione Terruzzi ha il merito di aver restaurato la villa, di averla dotata della collezione di famiglia, di svolgervi prestigiose attività, pur non essendone proprietaria, poiché Villa Margherita è del Comune di Bordighera e della Provincia di Imperia. In questi tempi durissimi per gli enti locali, e di sordità d'ogni governo alla tutela e alla valorizzazione dei nostri beni culturali, che ne sarebbe stato altrimenti? E quest'ultimo argomento ci introduce alla parte
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finale di questa sintesi del mecenatismo nella storia e nell'attualità: il ruolo delle Fondazioni d'origine bancaria, e delle Banche in generale, in un nuovo concetto di mecenatismo. Credo si debba partire proprio dal progressivo tirarsi indietro della mano pubblica dalle sue competenze sui beni culturali. Le Fondazioni hanno così, ad esempio, avviato stretti rapporti con le Soprintendenze per realizzare restauri, opere di consolidamento, ristrutturazioni contro il degrado di opere pittoriche, scultoree, architettoniche, urbanistiche e archeologiche. Nel contempo le collezioni create in decenni (o, per certi storici istituti, in secoli) di acquisti, anche come investimento patrimoniale, si sono aperte al pubblico, in alcuni casi come veri e propri musei: si prendano come esempi i recentissimi Palazzo de Mayo della Fondazione Carichieti (foto 1-2-3), e il polo museale della Fondazione di Lucca. C o n t e m p o ra n e a m e n t e , l e Fo n d a z i o n i organizzano o sostengono mostre, e sono sempre attive nell'editoria d'arte, benemerita iniziativa culturale che non si ferma all'edizione di lusso ma consegna alla storia pezzi importanti, a volte sconosciuti, della creatività artistica. Tutto questo, mentre pure sostengono le emergenze sociali, la ricerca scientifica, la musica, il teatro, il cinema, e ogni possibile comparto della cultura, dell'arte, della scienza e della solidarietà secondo anche le vocazioni e le necessità delle diverse comunità di riferimento. Alla fine si pongono due domande: è “tutto bene” quanto è compiuto dalle Fondazioni? E, sono dunque le Fondazioni d'origine bancaria i nuovi mecenati nell'Italia del Terzo Millennio? Alla prima domanda risponderò così: se qualcuno, per carenza di informazione, dicesse che le Fondazioni sono “tutto male” affermerebbero qualcosa che è molto lontana dalla realtà; e il motivo balza all'occhio ponendosi questi quesiti: che ne sarebbe dei beni culturali italiani senza le Fondazioni? Con che cosa le sostituiremmo? Con gli Assessorati
degli enti territoriali? Con un intervento nella loro gestione della politica la quale, è vero, è la mediatrice tra la società e il potere, ma potrebbe far danni irreparabili in un settore come questo, dove si amministrano cifre molto importanti? E dunque teniamoci le Fondazioni bancarie, nella speranza che migliorino le loro criticità a partire dall'avvicendamento ai vertici, ove necessario: ci sono benemeriti presidenti, e mi riferisco quale esempio al presidente della Fondazione Cariplo e dell'Acri, Avv. Giuseppe Guzzetti, che ha difeso l'esistenza e l'autonomia delle Fondazioni vincendo battaglie impossibili! Alla seconda domanda è difficile rispondere: non vedo all'orizzonte nemmeno le ombre di un Virgilio o un Orazio, di un Michelangelo o un Raffaello, di un Monteverdi o un Mozart. Questa nostra è un'epoca “alessandrina”: ha come proprio dovere conservare per tramandare. E allora, forse sì, le Fondazioni sono i mecenati del nostro tempo.
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"Difendere il patrimonio più grande" Intervista al Cap. Gianluca Ferrari del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale
Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha pubblicato un Manuale sulla tutela dei Beni Culturali Ecclesiastici. Come mai questa decisione? L'idea del manuale è nata in un incontro che ebbe luogo tra il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, prof. Lorenzo Ornaghi, e il Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, card. Gianfranco Ravasi. Lo scopo: fornire, a quanti sono impegnati nella missione pastorale in tutto il mondo, consigli e accorgimenti pratici per migliorare la tutela dei beni culturali ecclesiastici. L'incarico è stato affidato al Comando CC TPC in virtù del livello di “eccellenza” riconosciuto, nel settore di competenza, in ambito i n t e r n a z i o n a l e . L' o p u s c o l o s i n t e t i z z a l'esperienza operativa maturata negli oltre 40 anni di attività. I beni di proprietà della Chiesa nel mondo sono di tipi molto differenti e diverse sono le possibilità e le sensibilità culturali delle tante Chiese nazionali: come può un unico volume tenere conto di questa varietà? In effetti, le differenze tra le molteplici realtà ecclesiastiche nel mondo (differenze talvolta anche sul la semplice individuazione dell'oggetto da tutelare o sulle caratteristiche dell'edificio-chiesa, contenitore dei beni culturali), hanno rappresentato l'unica difficoltà incontrata nell'impostazione del manuale a cui si è voluto dare un taglio eminentemente pratico, che doveva poter essere efficace a livello mondiale. Per esempio, l'indicazione di “verificare la possibilità che un fedele, sempre presente alle celebrazioni liturgiche, custodisca nella propria abitazione (quando la chiesa è chiusa), i pochi beni, di facile trasportabilità e di necessario utilizzo durante le funzioni religiose”, pur nella
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consapevolezza del rischio che questi oggetti possano, in questo modo, essere dispersi (per furto, per sottrazione illecita a seguito della morte del fedele che ne era custode, per malafede dello stesso, etc. A questo proposito, un efficace argine a queste eventualità potrebbe essere la verbalizzazione della consegna temporanea, documento che dovrebbe essere inviato alle superiori Autorità ecclesiastiche), è, in coscienza, una delle poche, possibili risposte all'alta probabilità di furto quando: questi beni sono custoditi in chiese isolate, prive di protezione fisica o elettronica; i beni non sono di rilevanza tale da essere custoditi presso locali diocesani sicuri; non vi sono musei diocesani o locali disponibili, predisposti per l'esigenza; diversamente dalla situazione italiana che meriterebbe una trattazione specifica, non vi è una concreta attuazione della politica ecclesiastica di tutela. Si è quindi ritenuto doveroso, in questo manuale, modulare i consigli sulla sicurezza su diversi livelli in modo che ciascun destinatario possa adottare quelli più confacenti alla propria realtà e di più rapida attuazione e, per il futuro, disponga già di linee guida adeguate d'implementazione. Diceva che i Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale hanno un'esperienza ultra quarantennale: quando sono nati? Precedendo di un anno la Convenzione UNESCO di Parigi del 1970 con la quale, tra l'altro, si invitavano gli Stati membri a dotarsi di specifici servizi finalizzati alla protezione del patrimonio culturale, il 3 maggio 1969 veniva istituito, nell'ambito del Ministero della Pubblica Istruzione, allora competente in materia, il
Intervista esclusiva per Thema, concessaci dal Cap. Gianluca Ferrari, dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (CC TPC), che tra l'altro spiega: sono a rischio non solo le tante opere d'arte di pregio presenti nei luoghi di culto, ma anche oggetti di minor valore venale, quali i candelabri o le navicelle, per i quali c'è un florido mercato internazionale. Di qui la necessità di attivare procedure di prevenzione. Questo è uno degli argomenti centrali di cui parla il manuale che nasce dalla collaborazione tra Stato e Chiesa. Fondamentale è l'inventariazione dei beni. La lunga esperienza italiana su questo argomento, fa sì che il Comando CC TPC sia leader nel mondo per quanto attiene alla prevenzione dei furti di oggetti di rilevanza culturale.
“Nucleo Tutela Patrimonio Artistico”. Erano gli anni in cui l'Italia, interessata da una significativa ripresa economica, veniva “aggredita” dall'intensificarsi delle esportazioni clandestine di testimonianze culturali, rubate o scavate illecitamente, per arricchire musei e collezioni private in tutto il mondo. È proprio a causa del rischio di assistere alla dispersione del patrimonio culturale, che il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ebbe l'intuizione di destinare alcuni militari a tutelare il patrimonio paleontologico, archeologico, artistico e storico nazionale. Nel 1975, a seguito dell'istituzione del Ministero per i Beni Culturali, il Comando transitava alle dipendenze funzionali del nuovo Dicastero e nel 2001 assumeva l'attuale denominazione di “Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale”, divenendo Ufficio di diretta collaborazione del Ministro. In che modo è strutturato? Oggi il Comando CC T.P.C. può contare su circa 280 militari, in possesso di qualificata preparazione acquisita anche attraverso la frequenza di specifici corsi organizzati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Reliquiari. Rubati dalla Cattedrale di San Lorenzo di Viterbo e recuperati a Potenza.
Lampada. Rubata dalla chiesa di Santa Maria De
L'attuale ordinamento prevede:
settore del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
un Ufficio Comando, organo di supporto decisionale del Comandante nell'azione di comando, controllo e coordinamento delle attività d'istituto, sia in territorio nazionale, sia all'estero. Nell'ambito dell'Ufficio è inserita la Sezione Elaborazione Dati che gestisce la “Banca Dati dei Beni Illecitamente Sottratti”; un Reparto Operativo (a sua volta articolato nelle sezioni Antiquariato, Archeologia, Falsificazione e Arte Contemporanea) con competenza territoriale su Lazio e Abruzzo nonché con compiti di coordinamento operativo sull'intero territorio nazionale per le indagini di più ampio spessore; - 12 Nuclei, con competenza regionale o interregionale, e 1 Sezione. Il Comando agisce in sinergia con altre forze? All'Arma dei Carabinieri, Forza Armata e Forza di Polizia a competenza generale, è da sempre attribuita una preminenza nella tutela del patrimonio culturale, confermata dal Decreto del Ministro dell'Interno del 28 aprile 2006 che ha specificamente attribuito al Comando CC TPC la funzione di polo di gravitazione informativa e di analisi del settore, a favore di tutte le Forze di Polizia e degli Organismi internazionali. Dal 1980, il Comando CC TPC dispone, inoltre, della “Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti”, in cui sono inserite, per l'attivazione delle ricerche dei beni, le segnalazioni provenienti da tutte le Forze di Polizia relative ai reati commessi in danno dei beni culturali. Il Comando, quindi, opera sul territorio nazionale, con funzioni di prevenzione e repressione dei reati in questo specifico settore, in collaborazione con tutte le componenti dell'Arma dei Carabinieri e con le altre Forze di Polizia nonché in sinergia con le Direzioni Regionali e le Soprintendenze di
Arce di San Vito Romano (RM) e recuperata a Potenza.
Con riguardo alla proiezione estera, il Comando agisce nell'ambito della cooperazione internazionale di polizia assicurata da INTERPOL. Sempre in ambito internazionale, inoltre, può svolgere funzioni di supporto specialistico nelle operazioni di peace-keeping (come avvenuto in Iraq dal 2003 al 2006) e svolge attività di formazione per gli operatori di Polizia e delle Dogane degli Stati che lo richiedono. Vi sono specifici Paesi coi quali la collaborazione è più stretta? Negli anni, per il numero di attivazioni relative al recupero dei beni culturali italiani illecitamente esportati, si sono instaurati rapporti privilegiati con gli U.S.A., la Francia, la Germania, l'Inghilterra, la Spagna e la Svizzera. La cooperazione internazionale, sia per le attività di recupero, sia per la formazione specialistica nella tutela del patrimonio culturale, è un ambito estremamente qualificante che il Comando CC TPC segue con particolare attenzione. Proprio in forza del riconosciuto livello di “eccellenza”, sono sempre più numerosi i Governi che richiedono di far partecipare il personale delle proprie Forze dell'Ordine, delle Dogane e anche dei Ministeri della Cultura, ai corsi che, anche col sostegno di organizzazioni internazionali, sono organizzati dal Comando CC TPC. A titolo esemplificativo, negli ultimi anni sono state realizzate attività addestrative per funzionari di Albania, Algeria, Argentina, Bolivia, Bosnia, Cile, Cina, Colombia, Costa Rica, Croazia, Ecuador, El Salvador, Erzegovina, Guatemala, Honduras, Iran, Moldavia, Mongolia, Nicaragua, Panama, Perù, Serbia, Slovenia, Venezuela, Turchia, Russia e, in ultimo, sono stati richiesti specifici corsi di specializzazione dalla Repubblica Federale di Germania, dalla Polizia Federale Svizzera e
Candelabro. Rubato dalla chiesa di San Francesco a Ripa di Roma e recuperato a Potenza.
dall'UNESCO per la Libia. L'impegno profuso nel contesto internazionale ha permesso di incrementare e qualificare, nel tempo, proprio i rapporti con quest'ultima organizzazione ONU, con la quale il Comando CC TPC vanta un'assidua e fattiva collaborazione finalizzata al confronto e alla diffusione, in ambito addestrativo, delle procedure e tecniche da noi adottate nel settore preventivo, operativo ed extragiudiziale per la restituzione dei beni c u l t u ra l i . D a l fe b b ra i o 2 0 1 2 , c o m e riconoscimento di questo rapporto privilegiato, è stato distaccato a Parigi, presso la sede UNESCO, un Ufficiale del Comando, unico rappresentante delle Forze di Polizia a essere impiegato in quella sede. Intensi ed estremamente proficui, infine, sono i rapporti con UNODC, l'Ufficio delle Nazioni Unite che si occupa del contrasto alla droga, al crimine internazionale e al terrorismo, e con ICOM, l'Organizzazione internazionale che riunisce i musei e i professionisti del settore. I beni culturali di natura religiosa rappresentano un'alta percentuale del patrimonio culturale complessivo nazionale. Nell'ultimo quinquennio qual è il trend dei furti in danno delle chiese e degli edifici di culto cattolico? In Italia, nel quinquennio 2008-2012, sono stati registrati 2.394 furti in danno del patrimonio artistico custodito in chiese ed edifici di culto cattolico (monasteri, conventi, etc.) con 23.668 oggetti trafugati tra dipinti, sculture, suppellettili di natura religiosa e liturgica. Nel 2012, i furti perpetrati in Chiese e Istituti religiosi, rappresentano il 52.4% circa del numero complessivo dei furti di beni d'arte avvenuti sul territorio nazionale. Questi dati emergono dalla consultazione della “Banca Dati dei beni illecitamente sottratti” che costituisce uno strumento investigativo di grande efficacia ed è un punto di riferimento per le Forze di
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Cristoforo Scacco/L'Annunciazione. Rubata dalla chiesa di San Felice Vescovio di Nola (NA) e recuperata a Brescia.
Polizia italiane ed estere. Tra l'altro, proprio in forza dell'esperienza nella gestione della Banca Dati TPC, il Comando è leader nel progetto europeo denominato PSYCHE (Protecting System for the Cultural Heritage) che, in estrema sintesi, prevede la modernizzazione della banca dati INTERPOL delle opere d'arte rubate, per un più efficace e celere scambio informativo. Il fenomeno è in crescita o in diminuzione? I 424 furti denunciati nel 2012, rispetto ai 396 dell'anno precedente, indicano una tendenza alla recrudescenza del fenomeno. La suddivisione geografica dei furti nelle chiese registrati nel 2012, vede, quali regioni più colpite, in ordine decrescente, Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, mentre, su base quinquennale, sono la Lombardia, la Toscana e la Campania. Quali sono i beni più spesso rubati? Candelieri, reliquari, calici, crocifissi: tutti oggetti di facile occultamento e trasporto. Soprattutto candelieri (nell'ultimo anno 311), seguiti dai reliquari (131). Di recente è stato constatato un aumento delle sottrazioni di beni bibliografici di proprietà ecclesiastica, in analogia con quanto si è registrato a livello nazionale in enti ed istituti statali e privati. Perché si rubano questi oggetti? Gli oggetti ecclesiastici più comuni sono sottratti per essere convertiti in elementi decorativi e di arredo: per esempio, i tabernacoli sono trasformati in porta liquori, gli incensieri in lampadari, le navicelle in porta caramelle, etc. Si è registrato, inoltre, un significativo incremento dei furti di corone, rosari e, in generale, degli oggetti posti sulle statue votive, beni talvolta di scarso valore ma, comunque, di facile cessione per ottenere un'immediata
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Bernardino di Betto (Pinturicchio)/Madonna col Bambino. Rubata dalla chiesa di Santa Maria
Anonimo/Madonna in preghiera.
Maggiore di Spello (PG).Recuperata a Monaco di Baviera.
disponibilità di denaro. Come operano i ladri? Gli autori dei furti sono spesso ladri di bassa caratura delinquenziale che spesso si interessano a beni di scarsa rilevanza artistica ma di rapida commercializzazione. Le opere pittoriche di maggiori dimensioni vengono abitualmente sezionate al fine di facilitarne il trasporto. L'analisi del modus operandi indica, come modalità maggiormente ricorrente, l'effrazione di porte e finestre, in orario notturno, ma si segnalano casi in cui i furti sono avvenuti a seguito dell'introduzione e successivo occultamento del ladro all'interno dell'immobile ecclesiastico, poco prima della chiusura. Non è trascurabile la casistica dei furti commessi in data e orario imprecisati, o durante l'apertura dei luoghi di culto ai fedeli, indice di minore attenzione alla predisposizione delle misure di difesa. Quindi i luoghi di culto cattolico sono quelli dove maggiore è il rischio di furto... Sì, questa considerazione è la ragione che ha portato la Santa Sede a richiedere la realizzazione di un manuale sulla tutela dei beni culturali ecclesiastici. Le difficoltà di tutela sono legate a molteplici fattori, quali: - il delicato rapporto tra conservazione e fruizione dei beni, e tra controllo degli ambienti e rispetto della riservatezza dei fedeli; soprattutto in Italia, l'estrema parcellizzazione degli obiettivi sull'intero territorio nazionale, spesso in aree disabitate e disagevoli da controllare anche attraverso servizi salutari; in generale, la costante esposizione dei beni alla pubblica fede, trattandosi in gran parte di oggetti di culto e di devozione; l'uso che di molti beni viene fatto durante le
liturgie, oggetti che poi non vengono adeguatamente riposti; l'apertura delle chiese, anche in aree con scarse presenze e quando non sono in corso celebrazioni, senza che siano previste forme di vigilanza; l'assenza, in molte realtà ecclesiastiche, anche delle minime predisposizioni di sicurezza per la custodia dei beni culturali più pregevoli e facilmente asportabili, delle misure di protezione fisica dell'edificio, nonché di sistemi di allarme antintrusione. Che cosa si attende il Comando CC TPC dalla pubblicazione del Manuale? Il manuale, che sarà distribuito dal Pontificio Consiglio della Cultura a tutte le Comunità cattoliche nel Mondo, avrà come primo, importante effetto, di sensibilizzare i responsabili dei beni a una più attenta conservazione del patrimonio culturale. Già con questa rinnovata attenzione, supportata dall'attuazione di accorgimenti dettati anche solo dal buon senso, il fenomeno dei furti dei beni culturali ecclesiastici potrà -questo è l'auspicio- essere ridimensionato. Per l'Italia, invece, questa pubblicazione potrà essere un punto di partenza per realizzare, in collaborazione con l'Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della CEI, linee-guida specifiche, aderenti all'unicità della situazione italiana. Per quanto riguarda la conoscenza del patrimonio culturale in generale e, in particolare di quello ecclesiastico, quali sono le proposte del Comando CC TPC? Il Comando CC TPC, da sempre, ritiene che la conoscenza del patrimonio culturale rappresenti il primo importantissimo passo per prevenire il rischio di furto. Solo ciò che si conosce si può proteggere e solo ciò che si sa di possedere può essere immediatamente
denunciato quando viene sottratto. È per questo motivo che per i privati e per quanti non possono accedere a una catalogazione rigorosamente scientifica, il Comando CC TPC promuove l'adozione della “carta d'identità” descrittiva e fotografica del bene: l'Object ID, compilabile anche on-line sul sito www.carabinieri.it e concepita per consentire una rapida ed efficace descrizione dei beni d'interesse culturale posseduti. Tale scheda, allegata anche al manuale per servire da ausilio alle realtà ecclesiastiche che, a livello mondiale, al momento non possono procedere a una catalogazione tecnica, è estremamente utile in caso di denuncia di furto poiché consente l'efficace informatizzazione degli elementi descrittivi e fotografici nella “Banca Dati” del Comando CC TPC. Questa procedura, quindi, favorisce l'attività di recupero attraverso la comparazione con quanto giornalmente è oggetto di controllo. Se la descrizione del bene e la qualità delle immagini fotografiche che lo ritraggono saranno soddisfacenti, risulterà più efficace l'identificazione e meno ardua l'azione di recupero. Può portare ad esempio un recente recupero di beni culturali ecclesiastici? Il 7 gennaio scorso il Comando CC TPC ha recuperato 50 beni culturali tra argenti sacri, dipinti, sculture, provento di 24 furti commessi, nell'ultimo decennio, soprattutto in danno delle più belle chiese e basiliche romane. L'operazione si inquadra nell'ambito delle attività svolte per contrastare proprio il traffico illecito di opere d'arte sacra sottratte al patrimonio culturale ecclesiastico italiano. Le investigazioni sono iniziate nel 2011, a seguito di alcune controversie sorte dalla divisione di una considerevole eredità accumulata da un avvocato, di origini lucane, che aveva investito ingenti capitali nell'acquisto di una collezione di centinaia di opere d'arte.
Il personale operante, insospettitosi per la commercializzazione di alcuni beni di pregevole fattura, collocati sul mercato antiquario dall'erede principale, hanno approfondito i controlli sulla provenienza degli stessi e, individuatane l'origine furtiva, hanno svolto ricerche finalizzate a rintracciarli e recuperarli. Le operazioni sono state rese difficoltose dalla circostanza che, nel frattempo, i beni, proprio per ostacolarne l'individuazione, erano stati distribuiti in varie abitazioni e magazzini dell'erede e dei suoi familiari. L'identificazione degli oggetti quali provento di furto è stata resa possibile anche grazie alla “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti” del Comando CC TPC ove gli oggetti rubati erano stati inseriti. Che significato ha per il Comando CC TPC e per i rapporti con la Chiesa questa pubblicazione? Per il Comando CC TPC e -riferendomi ai sentimenti espressi, in occasione della cerimonia di consegna, dal Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri, Gen. C.A. Leonardo Gallitelli- anche per tutta l'Arma, il manuale rappresenta un contributo che siamo onorati di aver potuto fornire alla Santa Sede, per tutelare il patrimonio culturale ecclesiastico. Anche la collaborazione tra il Ministero dei Beni e le Attività Culturali e il Consiglio Pontificio della Cultura, si qualifica ulteriormente con questo vademecum, segno della reciproca alta considerazione e del rapporto privilegiato tra Governo italiano e Santa Sede. Pensare che questo manuale sarà distribuito capillarmente a ogni Comunità ecclesiastica nel Mondo, permette di comprendere la dimensione dell'iniziativa e l'orgoglio del Comando CC TPC di aver potuto realizzarla.
Ostensorio. Rubato dal Duomo di Sant'Andrea di Vetralla (VT) e recuperato a Potenza. THEMA I CARABINIERI I 27
Conservare gli edifici, testimoni di storia: nella continuità e nella diversità
I criteri di intervento contingenti (e duraturi) per la salvaguardia continuativa degli edifici ecclesiali, monumentali e comuni: come conservare i Luoghi della Fede. Il problema della manutenzione e della prevenzione per evitare restauri impegnativi e a volte rovinosi più del degrado naturale; e il collegato problema del ripristino che, anche nel caso di cambi d'uso, offre comunque nuove possibilità culturali
Corrado Gavinelli
S
ono in genere tre, nella prassi del Restauro moderno, i criteri di intervento conservativo che comunemente vengono indicati dalle teorizzazioni di settore e seguiti per una loro appropriata applicazione non alterante o distruttiva. Essi in pratica costituiscono i fattori fondamentali del Restauro degli Edifici (storici e attuali) che illuminano il buio e difficile percorso della Conservazione dei Patrimoni edilizi (di ogni genere, e non soltanto sacri ed ecclesiastici). Si tratta della Manutenzione (che risistema l'edificio esistente con sole contingenti riparazioni tecniche senza particolari modifiche nella costitutività dell'impianto edilizio, e nel rispetto completo del suo insieme compositivo), del Ripristino (o ristrutturazione, operata con necessarie modificazioni inevitabili, ma sempre inerenti alle situazioni costruttive e formali dell'esistente, per riprenderne e ricostituirne condizioni d'uso e aspetti compositivi), e della Trasformazione (che avviene nelle particolari due esigenze di mutamento d'uso della costruzione: in un caso, anche nel mantenimento della funzione originaria, indirizzando la variazione nella scelta propositiva di introdurre una novità espressiva nella compagine costruita esistente, combinando un'apposita ibridazione tecnicospaziale/formale tra le architetture di origine e inserite, tramite evidenti – differenti e alternative – edificazioni o aggiunte; oppure, dovendo drasticamente cambiare destinazione all'organismo, definirlo decisamente quale altro involucro di nuove, e totalmente differenti dallo scopo originario, utenza e fruizione). Le Tre Lampade dell'Architettura (Restaurativo-Conservativa) Religiosa Questi procedimenti attuativi valgono (tranne per casi estremamente eccezionali o anomali) per ogni lavoro esecutivo rivolto a qualunque organismo edilizio (civile o militare o altro, laico o religioso), indipendentemente dal contenuto THEMA I GAVINELLI I 28
delle sue funzioni; perché essi costituiscono un principio di intervento, e si riferiscono sostanzialmente alla salvaguardia generale della architettura, in assoluta indipendenza – in quanto intervento tecnico – da ogni condizione contenutistica e fruitiva (la cui definizione precipua appartiene ad un'altra, e specificativa, attribuzione di identità – di servizio, di significato ideologico, e di formalizzazione spaziale – delle destinazioni). Con questo non intendo dire che l'involucro architettonico è un contenitore indifferente da racchiudere nella sua forma che le è stata attribuita con la origine della sua costruzione; ma che invece costituisce un insieme articolato e mutante che, nel caso della propria conservazione, deve venire trattato nella propria totalità con considerazioni distinte, individualmente riferite, nei confronti dell'edilizia e dei propri funzionamenti. Manutenzione (Continuità preservativa), ed Evoluzione Nella Chiesa Cattolica, l'apparato della conservazione, della continuità (ripristino) e manutenzione (riparazione), dei Beni Architettonici religiosi, nei casi di intervento contingente si può ritenere (perché come tale si rivela nella pratica) uno dei più avanzati e organizzati metodi di sistemazione al mondo: non soltanto per l'efficienza operativa, ma anche per la solerzia di esecuzione, consentite dai processi attuativi tipici assunti dagli enti ecclesiastici preposti. La ragione di tale condizione è molto semplice, e dipende sostanzialmente dalla pragmatica necessità di mantenere in pieno uso costante gli organismi di culto (e loro annessi: case parrocchiali, oratori, scuole, conventi, santuari, e così proseguendo; tranne – forse – certe vecchie cappelle agrarie, che non sempre però appartengono a una diretta cura delle istituzioni ecclesiastiche) e di tenerli sempre sotto controllo nel senso di una loro opportuna
stabilità temporale. È una condizione implicita che nella storia della Chiesa si ritrova documentata nei poderosi sistemi di verifica fisica dei beni ecclesiastici materiali impostati con le Visite Pastorali, che in effetti risultavano anche dettagliatissimi strumenti di analisi – e prescrizioni risolutive per riparazioni e restauri: giungenti, perfino, a cogliere gli elementi più minuti su cui intervenire, quali reti rovinate alle finestre o gli scalini in legno mancanti nelle torri campanarie – di tutti gli organismi ecclesiali che i Vescovi (nei loro faticosi itinerari attraverso le proprie diocesi) andavano diligentemente a visitare durante i loro percorsi di contatto con le popolazioni da incontrare. I regesti compilati dai Segretari Vescovili non avevano un carattere di stesura disciplinarmente tecnico, ma costituivano dei riporti (rapporti scritti) di minuzioso dettaglio pratico, utilissimi anche per ogni (anzi, costituivano proprio dei verbali di riferimento diretto per ogni necessario) intervento attuativo (foto 1-2).
Oggi i documenti burocratici per la riparazione e
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Oggi i documenti burocratici per la riparazione e il restauro degli edi fici sacri sono indubbiamente più sofisticati e specifici rispetto ai documenti degli itinerari vescovili di visita pastorale, e le relative osservazioni edilizie vengono demandate e svolte da apparati procedurali e soggetti professionali specialistici, correlati alle normative statali di intervento sugli edifici storici e di pregio culturale; tuttavia essi dipendono sempre da sostanziali dettami di bisogni d'uso continuo (per le più semplici esigenze di funzionamento intrinseco) e dalle prescrizioni attuative delle istruzioni ecclesiastiche interne (di cui le decisioni conciliari del 1963 costituiscono l'atto istitutivo di fondamentale proceduralità nel settore del cosiddetto Adeguamento per la Riforma Liturgica determinato nel 1993 in riferimento a innovazione fisica o risistemazione formalespaziale degli organismi ecclesiali, da realizzare o già esistenti) che posseggono una loro autonomia decisionale abbastanza determinante. Per la quale, trattandosi di elementi esistenti già periodicamente riparati e non di casi estremi di speciali ripristini o di salvataggio dalla rovina, la vecchia regola canonica della manutenzione contingente che John Ruskin ha espresso e sostenuto dal lontano anno 1849, rimane ancora la più facile e pratica risorsa empiricamente esecutiva per la effettiva conservazione e la sostanziale tutela di ogni bene materiale esistente (foto 3). Una prescrizione quasi elementare e semplicistica che però sottintendeva tutti i peggiori difetti problematici che il restauro moderno stava introducendo nella pratica di ripristino delle architetture vecchie e antiche, e cominciava a denunciare le improprie o p e ra z i o n i d i re s t a u ro p ro d o tt e d a indiscriminate e dannose falsificazioni storicistiche attuate nell'Ottocento, e protrattesi fino all'epoca più recente della mimesi postmoderna.
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La diffidenza verso il metodo restaurativo di ricostruzione innovatrice (che lo stesso disinvolto Eugène Viollet-Le-Duc osteggiava – teoricamente; perché poi, al momento della attività esecutiva, non disdegnava una forte operazione di ricostruttività inventiva, per quanto giustificata da un rifacimento congetturale di tipo filologico: come testimonia il restauro del Castello a Pierrefonds, progettato tra 1857 e 1861 e costruito fino al 1879 dall'architetto francese, venendo completato nel 1885 dagli allievi Maurice Ouadou e Just Lisch – nei confronti di impropri criteri di sopraffazione della onestà riproduttiva del costruito: come scrisse, anch'egli nel 1849, “il restauro è da considerarsi una distruzione dell'opera d'arte” originale; e su questo pericolo “Gli architetti non dovrebbero mai perdere di vista che lo scopo dei loro sforzi è la conservazione degli immobili, e che la via per raggiungere tale fine è la cura riposta nella loro manutenzione”, poiché può succedere che “Per quanto abile possa essere, il restauro di un edificio resta sempre una necessità spiacevole”) (foto 4-5-6), nella concezione conservatrice ruskiniana viene interpretata addirittura come incosciente capacità di conservazione (l'atto restauratore “è la più totale distruzione che un edificio possa subire: una distruzione alla fine della quale non resta neppure un resto autentico da raccogliere, una distruzione accompagnata dalla falsa descrizione della cosa che abbiamo distrutto”). Per entrambi questi autori comunque l'inclinazione operativa verso la Manutenzione è stata identica ed esplicita, quale condizione ottimale di un giusto – e cauto (cautelante più che cautelativo) – principio di metodo per proteggere degnamente la vita di una costruzione storica (e anche recente) e non rovinarne la consistenza di piena autenticità; e che in totale coincidenza, concettuale e casuale insieme, all'epoca di Viollet e di Ruskin si riferiva proprio alle “Istruzioni per la
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conservazione, la manutenzione, ed il Restauro degli edifici diocesani”, che lo stesso teorico francese aveva di suo pugno compilato (e pubblicato nel 1857). Classificazione e Catalogazione Attualmente non esiste un Elenco ufficiale e completo (e definitivo) degli edifici ecclesiali riconosciuti tra i Beni Culturali da conservare e tutelare, a causa della enorme quantità di organismi esistenti al mondo da valutare (tanto per riferirsi a qualche cifra concreta, un iniziale censimento diocesano ha contato, per ora, 63.756 chiese): e per avere un esempio della enormità del lavoro di catalogazione da effettuare sui beni culturali complessivamente, soltanto in Italia (nazione che per altro detiene il numero maggiore di luoghi protetti), e per le opere architettonico-paesistiche esclusivamente riconosciute dall'UNESCO, i siti censiti sono 47 (in un totale di 936 per i 153 Paesi considerati in tutto il globo terrestre), e tutti però riferiti unicamente a monumenti antichi (comprendenti i luoghi sacri di Roma, Assisi, Firenze, Venezia, Napoli, Urbino, Siena, Vicenza e Verona, Mantova, Ferrara, Pienza, Ravenna, e quindi la Piazza del Duomo a Pisa, Santa Maria delle Grazie a Milano, la Cattedrale di Modena, le Chiese tardo-barocche della Valle di Noto e dei Sassi a Matera, i santuari dei Sacri Monti). Un elenco che non è di molto diverso – in quantità di casi – per le altre nazioni, e che dunque difetta alquanto verso la definizione concreta più aperta e diffusa (perché composta da un numero grande, se non enorme, di elementi da considerare, e classificare) di una completa raccolta di esemplari da salvare. Per i quali non resta altro che affidarsi alla tradizionale – e intramontabile, fino all'attuazione di più precisi strumenti sostitutivi di catalogazione specifica – metodologia pratica delle vecchie visite pastorali (o altre analoghe elencazioni contingenti di luoghi parrocchiali) THEMA I GAVINELLI I 29
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da cui trarre siti ed edifici da opportunamente considerare, e selezionare. Nelle condizioni comunque, di una immediata necessità di intervento, il ricorso a una accorta e sensata manutenzione, rimane sempre il mezzo più efficace per riparare ai danni che si presentano costantemente, perché essa non richiede lavori estremamente specializzati o lunghe ricerche di ricostruzione formale. Quindi il criterio di intervento più adatto è sempre la Prevenzione, che permette di mantenere e conservare le opere in ogni momento, e non nel caso estremo – magari poi più complicato da ripristinare, e forse irreparabile – di degrado o di dissesto causati da incuria e trascuratezza. Al di là, comunque, di ogni pratica burocraticonormativa (che senza dubbio è utilissimo strumento di salvaguardia, ma anche vincolante sistema di insidia attuativa e di blocco operativo), conservare i Luoghi della Fede costituisce un imperativo categorico di etica generale più che filosoficamente kantiano; porta ad un obbligo morale e sociologico verso il patrimonio (anche quello non ancora ufficialmente riconosciuto) della storia della Umanità e della sua cultura – perfino dispersa e minuscola – in quanto testimonianza concreta e unica della vita dei siti e del lavoro delle sue genti, dei desideri e delle aspirazioni dei popoli, delle credenze e delle ideologie, delle istituzioni e dei riti, e della loro continuità (anche solamente attestatrice di una condizione avvenuta e conclusa, quanto di una esistenza – esigenza – vitale e perseguibile). Ripristino (conferma e prosecuzione) Nella maggioranza dei casi, il processo restaurativo di conservazione procede nella procedura del Ripristino, poiché gli edifici esistenti – sebbene debitamente da mantenere nella loro costitutività ed essenza, necessitano di risistemazioni idonee (anche innovative e mutanti) per un efficace adattamento alle condizioni sopraggiunte di uno sviluppo epocale
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e funzionale, contingente (per il presente) ma anche duraturo (per l'avvenire), possibilmente flessibile nonostante le condizioni fissate di mantenimento della propria realtà in atto (complessivamente storica: di origine e sviluppo). La Ristrutturazione può conseguire due risultati sostanziali, identici ma fortemente diversificati: la conservazione nel mutamento epocale senza apparente trasformazione fisica (come si percepisce dai grandi organismi delle Cattedrali – dal Duomo milanese a Notre-Dame di Parigi, per esempio: resistite – con la loro esteriorità iniziale, per quanto anch'esse cambiate nei secoli – nel tempo alle più grosse risistemazioni necessarie), le cui operazioni di adattamento contingente non si manifestano con esagerati interventi diversificatori (foto 7-8); e inoltre il cambiamento compositivo-formale attuato con percepibile – ed a volte con ricercato evidenziamento – riconoscibilità delle parti nuove (nella considerazione generale di lasciare – giustamente – ad ogni epocalità la propria identità culturale, con la totale distinzione delle intrusioni disciplinarmente applicate; secondo quanto è riscontrabile dalle esecuzioni aggiuntive formulate nella Chiesa di San Giovanni Divino a New York da Santiago Calatrava nel 1992, le cui nuove articolazioni di struttura architettonica tipicamente costolare – sebbene analogamente rapportabili alla morfologia neo-gotica dell'edificio preesistente – mostrano un linguaggio espressivo del tutto inequivocabilmente appartenente all'epoca della propria costruzione) (foto 9-10). Valga per tutti i casi, come riferimento specifico a tale criterio ristrutturatore, la lunga e progressiva edificazione della Basilica del Crocefisso a Boca, opera mastodontica di Alessandro Antonelli costruita (tra 1822-1888/1895 e 1900-1988) sopra, e intorno, a una normale e anonima piccola cappella votiva di campagna del Rinascimento manieristico (eretta nel 156368): il quale, nella sua maestosa veste
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monumentalistica di neoclassico eclettismo, ricopre un modestissimo edificio votivo cui nei secoli si è rivolta la fede popolare del luogo, richiedendo una progressiva aggiunta di organismi edilizi dalla più enfatica morfologia architettonica, a causa della crescente afflusso – da ogni parte del Piemonte e da altre regioni – di pellegrini (nel cui complesso organismo, più di recente, nel 1988 è stato inserito un Museo del Santuario, da me progettato con Mirella Loik, introducendo una caratterizzante immagine di tipica espressione post-moderna) (foto 11-12-13-14). L'adattazione dunque, nei limiti di una equilibrata (ma anche eversiva, purché introiettatamente corrispondente) riorganizzazione di ordine articolato, comporta lo strumento per la continuità della sola manutenzione rivolto alla complessità degli aggiornamenti da attuare. Soltanto il procedimento conservativo fine a se stesso può costituire, in certi casi estremizzati ed eccezionali, la cristallizzazione vitale degli scopi e delle funzioni, e diventare un elemento di fissità temporale di pura esteriorità storicoepocale e fruitivamente visiva: come si presenta il caso della condizione archeologica, conservata all'atto finale della sua scoperta, quale reperto storico fermatosi al momento della propria conclusione esistenziale, che risulta di fatto non più praticamente proseguibile. Trasformazione (e cambiamento totale) E dunque, se la conservatività monumentale resta però una situazione – per così dire – morta, in quanto praticata su organismi di attualità trascorsa e passata, appartenente alla memoria di una tradizione o di una precisa esemplarità vigente; il mantenimento del patrimonio comune e quotidiano (la cosiddetta Ordinaria Amministrazione) comporta la conferma dichiarata della conservazione vivente: di quanto cioè risulta posseduto, e non
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deve venire dissolto o perso, e – al contrario – si tende accortamente a lasciare testimonialmente (tramandato, per una ulteriore tradizionalità) a tutti, per una necessaria prosecuzione unitaria, e non in qualche modo impropriamente interrotta da innovazioni aggiuntive necessariamente richieste dagli adattamenti epocali oppure anche nella drastica trasformazione alternativa e non più inerente (che può permanere, e durare, anche diversamente dalle sue originarie funzioni, che si sono dovute contingentemente cambiare). Ed è proprio, paradossalmente, nella condizione del mutamento costitutivo che si risolve la sfida restaurativo-conservativa (con il conseguente suo rischio) nei confronti della proprietà originaria dell'edificio (religioso o meno, sacrale o laico, di iniziale devozione popolare o di evoluta partecipazione collettiva, come pure di estranea e lontana riproposizione). Portato al limite delle sue pertinenze, il concetto di conservazione non costituisce soltanto un fatto materiale di attestazione di una identità costruttiva o di uno scopo d'utenza attribuita, bensì comporta anche una impostazione di qualità del recupero fisico, che contiene la consistenza (o sostanza) dell'oggetto volumetrico e spaziale, ma può oltrepassare la sua istitutività iniziale (e proseguita). Nel progetto conservativo si concentrano possibili disponibilità, tra cui però due opzioni restano inevitabilmente determinanti per un coerente ed equilibrato procedimento operativo: come già prima ho riferito, sono la conferma continuante, o la riproposizione alternativa. Ma tanto nella scelta del ribadimento storico di origine costruttiva, quanto nella vicenda di una sua diversa destinazione, anche l'edificio ecclesiastico si presta sempre a mantenere (a meno di un utilizzo volutamente deviato o estremamente improprio che ne annulla il significato originario; come è constatabile nella famosa Cappella Gotica di Londra, sconsacrata,
disinvoltamente trasformata in uno scatenato ritrovo musicale notturno: il cui nuovo utilizzo risulta faticosamente confermato, tuttavia, dalle sagome semanticamente contraddicenti – e senza dubbio sconcertanti: decisamente fuori luogo – delle vetrate originarie), e conservarla sebbene non confermandola, una propria identità per così dire sacrale, da cui la sua condizione si è generata, per quanto trasferita ad altre determinazioni e necessità. Per più giustamente giudicare tale situazione, consideriamo tre esempi di estremo cambiamento delle decisioni progettuali nelle azioni prosecutive dei templi di culto, in tre casi religiosi differenti. Il Partenone – notorio tempio del paganesimo greco-antico – si presenta quale dimostrazione esemplare, per le sue complesse vicende di gloria e distruzione, e di rinascita propria quale autonomo organismo culturale della concettuale universalità di patrimonio storico mondiale indipendentemente dalle sue origini templari e di ripristino della propria destinazione religiosa (foto 15-16-17in album18in album). Nato come santuario ellenico, diventa chiesa cristiano-bizantina dedicata a Santa Sofia nel V secolo dopo Cristo, mutandosi quindi, in epoca medioevale (nel Dodicesimo e Tredicesimo secoli: e coerentemente decorata – dentro – con affreschi figurativi d'epoca) in Basilica di Santa Maria, per poi trasformarsi in Moschea islamica nel 1456 (con svettante minareto esterno e ornamenti geometrici sulle pareti interne: e utilizzato anche, nel 1687, come Polveriera dai Turchi) (foto 17in album); e finisce poi per stabilizzarsi, quale rovina abbandonata, in monumento antico soltanto, senza più alcuna attribuzione religiosa. Questa sua ultima, e rimasta, funzione prettamente estetico-culturale (foto 18 in album), non ha cambiato per nulla, nella frequentazione e nella ammirazione dei visitatori, la propria qualità antica di esimio monumento storico; annullando però nel tempo il suo originario e THEMA I GAVINELLI I 31
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precipuo ruolo di culto, e perfino facendo dimenticare al proprio aspetto architettonico – ed al corrispondente contesto circostante – il tipico contenuto primitivo di sacralità lungamente protratto nel tempo, in seguito fatalmente perso con le mutate vicende di trasformazione sociali e umane. Dei suoi episodi di astratta monumentalizzazione (alla quale mai nessuno si è sognato di ridare – né lo richiederà mai – la originaria qualifica di uso religioso) il pittore statunitense Edwin Fredrich Church ha dato, nel 1871 (eseguendone schizzi e immagini di rilievo pittorico nel 1869-70), una eccellente testimonianza del suo stato di “maestosa rovina” (senza altra attribuzione specificativa), che gli era provenuta dal giorno della sua (parziale) distruzione (continuata poi impietosamente dal trascorrere dei secoli di abbandono e incuria: e anzi di saccheggio dei suoi resti preziosi) (foto 15), che la sensibilità culturale tardo-ottocentesca, e successiva, volle ridare alla umanità ricuperando il suo aspetto formale di glorioso monumento del passato (a cominciare dai restauri filologici attestati nel 1914 dalle fotografie dell'archeologo Maxime Collignon e concludendo con l'attuale ricomposizione, effettuata nel 1986-91 da Manolis Korres – con Charalambos Bouras per il contesto acropolitese – del colonnato destro e della facciata, ricostruiti coi materiali originari ritrovati sul posto e in riferimento ai documenti storici esistenti) (foto 16- 18 in album). Altro fatto singolare di trasformazione fruitiva – in questo caso non religiosa ma esclusivamente formale – proviene dalla esecuzione del giapponese Tempietto Matsuo che l'architetto Yusufumi Kijima ha attuato, nel 1974-75/76, entro al Parco Shirakawa a Kumamoto, eclatantemente contravvenendo alla regola secolare di rifacimento identico dei templi shintoisti giapponesi (che prevede – e sostanzialmente obbliga, secondo la tradizione rituale di questa religione naturalistica – a
ricostruire ogni 25 anni gli edifici di culto copiando identicamente l'esemplare da sostituire precedentemente attuato: allo scopo di mantenere intatta nei secoli e per sempre, la stessa immagine sacra originaria senza variazioni) introducendo una costruzione completamente diversa – di estrema connotazione post-moderna, e per di più con elementi stilistici dichiaratamente occidentali e non-nipponici – ignorando ogni attinenza formale verso la tipica architettura lignea (dai sostegni pilastrati ricoperti con grandi tetti a falde) del Giappone antico (foto 19). E, ancora di più, la risoluzione completamente mutante si riscontra nella esigua Cappella del Castello medievale a Valllauris, comunissimo esempio di impiego cultuale privato in epoca medievale, che – sconsacrata per inutilizzazione e avendo perso il proprio originario scopo religioso per cui è nata – ha ceduto il proprio caratteristico ambiente a volta (debitamente ristrutturato nella sua compagine muraria e spaziale) per accogliere un prezioso capolavoro pittorico di Picasso (i pannelli della Guerra e della Pace, elaborati tra il 1951/52-54; con una aggiunta separata del 1958) (foto 20), diventando un piccolo museo dell'artisticità universale, e luogo unico di esortazione positiva verso le aspirazioni collettive di solidarietà umana.
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Interventi architettonici nella Città del Vaticano: una modernità radicata
Il restauro, che ha recuperato il senso impresso dal Maderno alla facciata di San Pietro, ha potuto essere compiuto grazie al ritrovamento di alcuni caratteri originali che in passato erano sfuggiti alla ricerca. Il nuovo ingresso ai Musei Vaticani si sposa con l'architettura esistente aggiungendovi nuova modernità e dinamismo. Due esempi di valorizzazione e aggiornamento, nel luogo che è il cuore del mondo cattolico.
Sandro Benedetti
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'avvenimento millenario che ha segnato gli anni di passaggio verso il nuovo secolo è stato l'occasione per una serie di interventi su aspetti qualificanti della realtà edilizia nella Città del Vaticano. Tra questi, due che mi hanno coinvolto progettualmente, hanno rinnovato alcune sue parti emblematiche: la Facciata della Basilica di S. Pietro e l'Ingresso ai Musei Vaticani, dove un nuovo accesso si è affiancato al precedente passaggio aperto negli anni '30, divenuto insufficiente a causa del gran flusso di visitatori negli ultimi anni ed ora necessitante di un insieme di nuove attrezzature necessarie. Il restauro della Facciata di S. Pietro Il lavoro di restauro sulla Facciata di S. Pietro, da me progettato e diretto tra il novembre 1997 e l'autunno 1999, si inscrive in una modalità progettuale che fa della contestualità con l'opera l'asse orientatore del processo restaurativo. Quella che ne reinterpreta il sentimento di identità, la fa comprendere nella sua natura più profonda di immagine e, come dice Cesare Brandi, ne evidenzia il riconoscimento di valore. Conquistando l'unitaria legge formativa che lo regge, le eventuali diverse modalità formative che convivono in esso e infine le eventuali modifiche parziali sovrapposte all'opera nel corso dei secoli. Così è stato per il restauro della Facciata di S. Pietro. Le conoscenze storico-critiche consolidate non davano spiegazioni circa la presenza di un accentuato stato di ammaloramento della superficie del monumento, denotato nettamente dalla particolare tonalità coloristica dello sporco che la caratterizzava: la non usuale coloritura ocra scuro del suo travertino (foto 1). Nettamente differente dalle molte facciate romane in travertino coeve, connotate da una diversa gradazione di sporco, dal grigio al nero più o meno intenso. Di qui, la necessità della THEMA I BENEDETTI I 34
riapertura di un'indagine archivistica atta a chiarire il processo costruttivo svolto nella fase avanzata della Facciata tra il 1611 e il 1612, quando essa ancora era sprovvista dei campanili (foto 2). Si è scoperta la stesura - sui fondi della vasta parete in travertino - di uno scialbo color ocra: finalizzato a far risaltare in chiaro le articolazioni principali del colonnato a ordine gigante, i tabernacoli e i balconi presenti nella vasta superficie. Tale scoperta archivistica è stata confermata subito dopo dal ritrovamento nel Museo di Roma di rappresentazioni pittoriche tra cui una, antecedente al 1641, che mostra la non usuale bicromia originaria tra fondi ocracei e bianche articolazioni delle membrature architettoniche (foto 3). A questo si è aggiunta l'individuazione di un'ulteriore particolarità, fin qui sfuggita: l'esistenza nella Facciata di uno speciale carattere di non complanarità dei piani laterali fiancheggianti quello centrale del maestoso timpano colonnare. Tali piani laterali divergono verso l'esterno, ognuno di circa mezzo metro: un espediente finalizzato a dare tensione di emergenza alla composizione della parete (foto 4). L'accertamento di questi caratteri, degli scialbi ocracei e delle divaricazioni in fuori nei piani laterali rispetto a quello centrale timpanato, hanno costituito il nuovo riconoscimento di valore presente nell'opera. Il Maderno cioè, animando la gigantesca composizione plastica con la scialbatura dei fondi e col divergere dei campi laterali, aveva potuto inventare la nuova densa plasticità parietale cadenzata su tre strati plastici tra massa muraria e colonne (foto 5). Proprio questa soluzione apre nel 1612 l'importante capitolo delle facciate a composizione colonnare intrecciata del Barocco romano. Un risultato a cui guarderanno i maestri del Barocco: Borromini, Pietro da Cortona e Carlo Rainaldi in particolare.
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Una doppia invenzione regge così la struttura figurativa: che, ancorché appesantita dall'aggiunta dei due campanili inseriti dopo il 1612, resta unica, non solo per la dimensione tra le facciate romane del Seicento ma anche per le novità del colore ocraceo soprammesso e della modulazione a divergenza dei piani frontali. Questo complesso percorso conoscitivo ha portato alla definizione di un restauro conservativo conseguente al riconoscimento di valore, che non è stato né un restauro di ripristino né un restauro innovativo, ma un restauro di “messa in valore” della bellezza e della ricchezza plastica della composizione: conservando nel modo più attento possibile la ritrovata sua qualità di scialbatura, evitando il rischio di una pulitura dello sporco che determinasse lo sbiancamento della parete in travertino: avviando procedure tecniche che ne consentissero la pulitura mantenendone però la presenza dello scialbo soprammesso, che rende unica questa architettura. Cioè, non si è puntato alla restituzione integrale della composizione seicentesca: dato che essa ci è pervenuta con ulteriori cambiamenti rispetto all'origine, quale quello della perdita dell'originaria scialbatura nel grande attico della Facciata, poi cancellata dal tempo e ora non riproposta col progetto. Così come delle scialbature in rosso e verde, sovrapposte successivamente a quelle maderniane intorno alla Loggia delle Benedizioni, che invece sono state conservate. Un restauro, quindi, teso all'eliminazione delle superfetazioni e degli ammaloramenti subiti in qualche parte, che appesantivano le valenze qualitative dell'opera ora ritornata alla forza evidenziatrice maderniana. Circa gli elementi maderniani trasformati dal tempo ma conservati, va sottolineato in particolare il ruolo dello sbiancamento dell'attico: questo, privo della protezione di un deciso aggetto di cornicione, nei quattro secoli di vita è stato dilavato e sbiancato quasi del tutto facendo riemergere così l'immagine chiara del travertino
(foto 6 ). Questa importante variazione è stata accettata e conservata per la precisa ragione che, avendo essa definito una decisa connessione coloristica tra la fascia terminale della Facciata e il colore perlaceo della retrostante Cupola, posta al centro della composizione michelangiolesca, ha determinato una positiva e nuova connessione tra Cupola e Facciata. Contribuendo così a legare e ravvicinare visivamente - a non dividere ma unificare - l'immagine dell'insieme dell'organismo petrino. Rendendo le due parti “ravvicinate” dalla chiarità coloristica conquistata col tempo. Riducendo quell'allontanamento, rispetto alla concezione michelangiolesca, creato dall'introduzione del prolungamento maderniano antistante la Cupola. A questo decisivo risultato va poi aggiunta tutta una complessa e vasta campagna di nuove stuccature, di riprese delle tantissime esistenti, divenute scure col tempo e contrastanti con il travertino: oltre agli ulteriori interventi di pulitura e stuccatura degli orologi, delle statue poste sopra l'attico, della Loggia delle Benedizioni, dell'altorilievo del Buonvicino, su cui non mi soffermo. Il tutto nell'ottica di un doppio traguardo: rendere omaggio al Maderno rivalutandone alcuni appannamenti dell'opera, rendendo altresì omaggio alla grande Basilica di San Pietro col riportarne il “volto” allo splendore che il grande Giubileo millenario richiedeva (foto 7).
uscita del rinnovato sistema funzionale. La scelta di integrare il preesistente assetto ha determinato quindi le principali cadenze della nuova progettazione: unitamente alla possibilità di utilizzare le poche aree libere esistenti tra il precedente Ingresso e le sezioni museali della zona nord vaticana. In particolare lo spazio del Cortile delle Corazze, posto in contiguità diretta dell'esistente sistema museale, l'area a valle antistante la Palazzina di Innocenzo VIII ed il Bastione delle Mura vaticane. Il nuovo ingresso, innestato sul precedente degli anni '30, col suo incidere nella fortificazione vaticana, ha determinato il particolare carattere severo e monumentale conferito al grande portale, che lievita la dimensione dell'apertura, alta da terra fino al cordone in travertino delle Mura Vaticane. Opera notevole dello scultore Cecco Bonanotte, ricca di risonanze materiche, il nuovo portale evidenzia il salto di qualità nuovo conquistando una sua specifica significazione. Maestoso nella cinquecentesca fortificazione vaticana, si coordina col tessuto bronzeo delle ante segnate da un grande maniglione e alla muratura attraverso una risonante architrave obliqua con lo stemma di papa Giovanni Paolo II. Da questo varco inizia la sequenza dell'itinerario sotterraneo di risalita al grande complesso dei Musei, costituitisi nel tempo a partire dalla postazione isolata della Palazzina di Innocenzo VIII, dell'ultimo Quattrocento, attraverso un lungo processo additivo. Dal grandioso iniziale organismo cinquecentesco dei primi anni del secolo, sviluppato poi da Pirro Ligorio e Gregorio XIII nel XVI secolo, cresciuto nel XVIII col Museo Pio-Clementino, l'Atrio dei Quattro Cancelli e la Rotonda, e nel XX secolo tra il 1932, con la Pinacoteca e l'Ingresso di Momo, e gli anni '60 con la nuova ala del Museo di Paolo VI. Il nuovo organismo dà risposta a più esigenze: l'assorbimento meno caotico della cresciuta folla dei visitatori, una risalita fluida al sistema museale superando il non piccolo
Il Nuovo ingresso ai Musei Vaticani Il secondo intervento – quello del nuovo Ingresso ai Musei Vaticani progettato insieme con Lucio Passarelli tra il 1996 e l'inizio dell'anno giubilare del 2000 – affronta il tema della trasformazione e integrazione dell'entrata ai Musei Vaticani realizzata nel 1932 da Giuseppe Momo (foto 8). A questa col nuovo progetto ci si affianca senza manometterla, riassorbendola unitariamente e destinandola a percorso di
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dislivello di 22 metri, l'integrazione con nuovi servizi e attrezzature necessari (controllo all'ingresso, accoglienza, informazioni, bookshop, meccanismi di risalita, servizi igienici, biglietteria, ristorazione). La particolare condizione orografica, le scarse superfici a disposizione, il grande dislivello da superare hanno determinato i caratteri principali del n u o v o i n s e d i a m e n t o d i a r c h i t e t t u ra prevalentemente sotterranea. Una sorta di promenade scavata dentro la terra, con scarse aperture che ne punteggiassero l'articolato dipanarsi della salita verso il Colle Vaticano (foto 9). In un insieme di sequenze interne, slarghi, passaggi, rampe e scale, che – dopo avanzamenti, rotazioni, inversioni di direzione – conquistano la luce dall'alta copertura vetrata nell'area dei Quattro Cancelli. Non tanto come sistema di cellule spaziali a diversa destinazione funzionale, ma come percorso a sequenze formali fuse in connesse fasce di scorrimento: animate dalla pulsazione discontinua della luce, che ne ravviva o smorza le qualità. Dalla p e n o m b ra d e l l ' e n t ra t a n e l l 'A t r i o, a l suoallungarsi verso la luce del patio di fondo, al rovesciarsi della direzione di salita all'ammezzato della biglietteria, al risalire del roteare spaziale della grande rampa verso la luce dell'obliquo canalone, all'approdo finale acquietato nella grande vetrata della copertura. Di questa complessa conformazione su due aspetti occorrerà soffermarsi: il grande atrio e la rampa di risalita. Sul carattere del grande Atrio di ingresso (foto 10), entro cui emerge la bella scultura di Giuliano Vangi “Varcare la soglia”, polarizzante lo spazio verso la salita al piano ammezzato evidenziato dall'ampio ritmo a tutta altezza degli speroni a contrafforte delle Mura Vaticane e dal risonante soffitto cassettonato (foto 11): dentro cui flotta libero l'ammezzato, ruotato diagonalmente e sospeso dall'alto, attivato dalla luce della vetrata strutturale sul fondo dell'atrio. Sul secondo tema, quello della rampa di risalita, vanno segnalati due aspetti. L'eco della preesistente rampa di Momo
reinverata e sorpassata nella nuova soluzione: sia rispetto alla sua fissità verticale ruotante su sé stessa, ora liberatasi nel nuovo dispiegarsi libero delle spire dalla parete involucrante, sia per il nuovo avanzare diagonale degli avvolgimenti verso il fondo e verso l'alto (foto 12_in album).Il tutto si anima in uno sviluppo diagonale ad elica che si esalta dimensionalmente e geometricamente nella rotazione obliqua (foto 13) e avanza verso il centro dei Musei Nord. Trasformando e rinnovando totalmente gli esiti spaziali della rampa, liberati a tratti dalla fissità costruttiva del canalone come essa fosse in un esterno: roteante nei suoi avvolgimenti semicircolari che si inseguono liberi nello spazio. Al termine di questa breve nota basterà richiamare la particolarità del linguaggio architettonico e strutturale attraverso cui si concreta l'intervento manifestato in un impasto libero e disinibito tra materiali e tecniche molteplici. Quali le grandi cadenze strutturali del cassettonato di copertura sorreggente l'ammezzato nell'Atrio fatte risuonare dal complesso insieme di speronature, a contenimento del profondo scavo sorreggente i volumi del Museo PioClementino e della Sala Rotonda, dentro cui vive il nuovo ingresso; o quali quelle del vetro strutturale dell'Atrio e della grande copertura finale nella sala di arrivo della rampa. Colloquianti e organicamente fuse con modi e tecniche tradizionali. Un linguaggio che non si contrappone né imita le immagini delle architetture storiche, ma che si esplica in una modernità dialogante nel timbro di oggi: fuori dall'algida autosufficienza delle rotture o delle gratuite gesticolazioni decostruttive. In una articolata scansione delle masse basamentali, su cui concrescono organicamente le cadenze murarie a mattoni e le squillanti vetrate: instaurando un efficace colloquio, con il maestoso terrapieno delle Mura Vaticane e l'insieme svettante della Sala Rotonda del Museo Pio-Clementino (foto 14_in album).
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Pietrasanta: il monumento come testimone che cammina col tempo Marco Romano
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uesta idea corrente che le reliquie del nostro passato debbano venire semplicemente e accuratamente conservate tal quali non ha un autentico fondamento. Fino al Settecento uno Stato era un insieme di città entro una giurisdizione territoriale legittimata dall'esistenza di un sovrano, che tale era per la grazia di Dio che così l'aveva fatto nascere. Per questo l'estensione geografica degli Stati dipendeva soltanto dalle vicende dinastiche, ed era del tutto normale che il figlio di Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia sarebbe diventato il sovrano di un nuovo Stato, costituito dall'unione degli Stati dei quali erano sovrani i suoi genitori, la Spagna. Quando Luigi XIV sostiene che la France c'est moi non intende affatto sostenere il suo potere assoluto – mai esistito, i parlamenti regionali, e soprattutto quello di Parigi, gli cassavano continuamente gli editti – quanto il fatto che uno Stato esisteva in quanto giurisdizione di un Sovrano. Nella rivoluzione francese l'Assemblea, per sottolineare la propria autonomia dalla giurisdizione sovrana, deliberò di rappresentare la volontà nazionale e di essere dunque legittimata dall'esistenza di una Nazione, un corpo morale precisamente sul modello della civitas di una città. Ma quali caratteri comuni unissero i cittadini di uno Stato per poterli considerare tutti insieme un corpo spirituale con una propria volontà era tutt'altro che scontato, il francese era parlato dalla metà della popolazione, la fede religiosa era nonostante tutto frammentata, i costumi differenti, la cultura essenzialmente locale, la stessa città capitale priva di prestigio. Già a suo tempo Montesquieu, polemico nei confronti di Rousseau e della sua idea – mutuata dall'esperienza ginevrina – di una Nazione mistica riconducibile all'unitarietà della sua assemblea, aveva sottolineato questa difficoltà di individuare un terreno comune sul THEMA I ROMANO I 38
quale fondarla. E ancora alla fine dell'Ottocento Renan concluderà che dopotutto non vi è un terreno comune a tenere insieme una Nazione, ma che alla fin fine la nazione è l'esito di un plebiscito quotidiano: perché, mentre l'appartenenza alla civitas era connessa al possesso di una casa, la Nazione era costituita dagli elettori benestanti, non dai cittadini che vi fossero nati, e dunque era la loro quotidiana convinzione immotivata di costituire la Nazione il solo vero fattore di coesione. L'Ottocento è attraversato da due sentimenti dialettici: da un lato sopravvive saldo il principio che al governo di una Nazione – seppure eletto (ma peraltro soltanto da una élite privilegiata, non davvero da tutto il popolo) – occorresse una legittimazione quasi di ordine divino, quella di un Sovrano, e dunque tutte le Nazioni europee dovessero avere un Sovrano, e la costituzione di una Grecia indipendente dall'Impero Ottomano comportò che le fosse messo a capo un Sovrano, un principe appartenente nella fattispecie ai Wittelsbach bavaresi, mentre d'altro canto la stessa Francia, dopotutto una Repubblica in piedi soltanto dal 1870, era considerata un'anomalia destinata un giorno o l'altro a ritornare nelle regole: peccato che dopo il 1918 le cose siano andate nella direzione opposta e a sopravvivere saranno soltanto le dinastie della Spagna, della Gran Bretagna, dell'Olanda e dei paesi Scandinavi, sullo sfondo della convinzione che le Nazioni, con sistemi elettorali ormai popolari, fossero davvero soggetti legittimati a esprimere la propria volontà, seppure non senza rigurgiti di regimi autoritari autoreferenti – in Russia, in Germania, in Italia, in Spagna, che rispecchiavano una qualche insicurezza sulla propria piena legittimazione. Ma nel frattempo era andato avanti il programma di costituire davvero la Nazione come un corpo mistico, la cui preesistenza alla concreta consistenza degli Stati era
Da tempo è invalsa l'abitudine di ascoltare funzionari statali o intellettuali impostisi all'attenzione pubblica, cui è riconosciuta una funzione di stabilire ciò ch'è corretto o quel che corretto non è nel conservare o rivificare opere antiche di valore monumentale. Andrebbe invece rivalutato il ruolo della civitas nel compiere questa scelte: in fondo è questa la depositaria dei valori che le opere rispecchiano, e la loro principale fruitrice.
testimoniata da una cultura asserita antecedente alla conquista dei Romani, dunque fondativa di una memoria comune, e saranno, anticipati dai canti di Ossian evocati da Macpherson, la saga dei Nibelunghi, Roma caput mundi, Gino, eravamo grandi, e là non eran nati. La costruzione di questo pedigree nazionale verrà affidata a un ceto nuovo di intellettuali che, cementati da metodologie scientifiche acclarate in studi, convegni, scambi comuni alla scala europea, consentono di ricostruire per esempio ogni lingua nazionale – ecco il nostro Manzoni - quella che verrà insegnata in tutte le scuole e che dovrà essere il cemento unificante dell'intera popolazione, e queste ricerche verranno proseguite dagli antropologi, dagli etnologi, e persino Pellegrino Artusi proporrà il contesto della cucina italiana. Se poi la riconoscibilità di ogni città nello sterminato paesaggio europeo era stata affidata ai loro sfolgoranti temi collettivi, al loro confronto alla scala europea, era lì che occorreva affondare le reti, era lì che occorreva dimostrare come costituissero non l'espressione di ogni civitas ma la manifestazione di uno spirito nazionale riconoscibile. Sarà un'operazione tortuosa, il revival gotico alla fine del Settecento costituirà il fondamento della certezza che lo stile nazionale dell'Inghilterra fosse il gotico, e dunque in stile gotico verrà costruito il palazzo del parlamento; la Francia assicurava invece fosse l'architettura del Grand Siécle e farà costruire il nuovo palazzo municipale di Chambéry, dopo l'annessione della Savoia alla Francia, con il suo bravo tetto mansardato: che poi, in un certo senso, è quanto resta implicito nei versi del Leopardi, Vedo le mura, gli archi, ma la gloria non vedo, come se la manifestazione dell'italianità fosse legata all'architettura romana. Ma sarà anche un'operazione presto abbandonata, se Viollet-le-Duc aveva
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ricostruito la genealogia dello stile gotico e dei suoi costruttori facendo delle grandi cattedrali il culmine dell'architettura francese – mentre Ruskin scriveva Le pietre di Venezia e La bibbia di Amiens –, se la pretesa di certificare fattualmente quale fosse il vero autentico stile nazionale sarà il tema del primo congresso degli architetti italiani nel 1861, verrà presto in chiaro come un simile obiettivo non fosse perseguibile. Conforme invece al carattere essenzialmente burocratico delle Nazioni, quello sottolineato da Max Weber, sarà invece la procedura di creare un ceto di esperti certificati da scuole e da confronti alla scala nazionale – ma anche riconosciuti alla scala internazionale per la comune padronanza di strumenti concettuali condivisi dalle élite di tutta Europa – con il programma semplice di classificare come espressione dello spirito della nazione, e non sulla base di una consonanza stilistica ma di una procedura burocratica, quanto doveva venire riconosciuto come sua testimonianza. Ora quei monumenti architettonici, costruiti con il loro entusiasmo e con le loro risorse dai cittadini delle città, come civitas nei palazzi comunali o nelle cattedrali, ma anche come ordini religiosi destinatari di molti legati, ma anche come singoli cittadini che intendevano contribuire con i propri palazzi alla loro bellezza, non sono più il dominio delle città che li hanno costruiti ma di un apparato di esperti che ne ha letteralmente espropriato le competenze: perché ora il duomo di Orvieto non è più nella sfera di competenza dei discendenti che chiamarono Lorenzo Maitani a decorarne la facciata, liberi anche oggi di riviverne a loro modo lo spirito, ma sono letteralmente colonizzati dagli esperti, promossi dalla loro stessa confraternita nazionale e confermati dallo Stato, che sono mossi dalle loro teorie, spesso divergenti o conflittuali, ma tuttavia legittime sempreché espresse nell'ambito di quella medesima élite: perché invece il libero desiderio di una comunità che quell'edificio ha
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realizzato un tempo con i propri sacrifici, non ha il suo dovuto riconoscimento di legittimità. Così il comune di Pietrasanta ha restaurato il convento degli agostiniani costruito un tempo nella piazza principale e ne ha fatto un magnifico museo di scultura, profittando del fatto che moltissimi artisti sono venuti e vengono da tutto il mondo per realizzare qui le loro sculture e ne lasciano qui i modelli: dunque in questa chiesa, che è ora un museo, Igor Mitoraj aveva offerto una scultura per decorarne la facciata. Subito Vittorio Sgarbi leva la sua protesta per il preteso sgorbio sull'integrità della chiesa, con l'autorevolezza dell'esperto riconosciuto dalla cultura nazionale, ma se ora riprendiamo in mano i nostri destini e riconosciamo invece al Comune di Pietrasanta la piena legittimità di intervenire con propri criteri estetici su quello che la storia gli ha consegnato come suo proprio dominio, come domino della sua civitas, allora il suo punto di vista, qualunque sia, ha maggiore legittimità di quello di Vittorio Sgarbi. Non sono le pietre a starci a cuore, è il loro significato. Quando venne fondata Pietrasanta gli agostiniani erano un ordine recente, alla ricerca di una visibilità che i francescani avevano già da qualche decennio, e per questo cercheranno di conseguire un sito prestigioso nelle città nuove, come appunto nella piazza principale di Pietrasanta e una settantina d'anni dopo di Cittaducale. Per sottolineare il loro prestigio, gli agostiniani decoreranno al meglio le facciate dei loro conventi, con un portale sapientemente decorato a Cittaducale (foto 12), e a Pietrasanta (foto 3-7) con la curiosa idea di sovrapporre all'originaria facciata romanica una loggetta gotica stilisticamente del tutto incongrua, ma del tutto coerente con la sottostante intenzione estetica di rendere quanto più possibile bella questa facciata: non potendo sempre avvalersi della collaborazione di Andrea Mantegna come a Padova. Ed è questa intenzione estetica che dobbiamo
riconoscere e rispettare, e anzi riprenderla come il filo e il suggerimento delle nostre stesse intenzioni estetiche, e dunque aggiungere all'edificio un ulteriore motivo decorativo, specchio, come la loggetta gotica, dei nostri tempi. Il senso dei monumenti che ci sono stati lasciati dai nostri antenati non è soltanto quello di ammirarli ma anche di riviverli nei modi più consoni a quanto la civitas di oggi ritiene. Così lo splendido museo di scultura nella torre medievale di Montevarchi o l'altrettanto splendido museo MUST a Lecce: gli edifici monumentali sono tali soltanto perché riconosciuti da ogni comunità come il proprio corpo vivente. E se Santa Maria di Collemaggio (foto 4-5-6), una splendida chiesa dell'Aquila con un soffitto a cassettoni che rispecchiava il culmine lineare della facciata, l'indizio di una continuità stilistica rivisitata in San Bernardino, fosse stata restaurata a sue spese e per sua volontà dalla civitas, avremmo evitato il disastro del restauro voluto dalla Soprintendenza – che i cittadini mai avrebbero condiviso e neppure permesso - , ripulire questo meraviglioso interno per rimettere a nudo una struttura romanica qualunque. Dobbiamo ascoltare la voce innocente che vede come il re è nudo, gli esperti dello Stato non hanno alcuna competenza maggiore degli esperti locali, e di certo le memorie dei loro antenati saranno sempre salvaguardate e rinnovate con maggiore generosità e intrinseca competenza dai discendenti di quanti li hanno voluti, e dei quali i cittadini di oggi sono gli eredi non soltanto perché ne conservano il DNA ma perché in quel DNA è forse racchiusa la loro specifica e pervasiva volontà di bellezza, dolcemente piegata alla loro vita, al suo quotidiano rinnovarsi.
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Il Duomo di Venzone: la nuova sistemazione liturgica e la sua coerenza con l'esistente Sandro Pittini
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partire dal 1993, con i lavori ancora in corso per la ricostruzione del Duomo di Sant'Andrea Apostolo di Venzone ridotto a rudere dagli eventi sismici del 1976, la Fabbriceria del Duomo decide di avviare la progettazione per la definizione dello spazio interno del complesso cultuale e la sistemazione delle pertinenze esterne con l'individuazione delle seguenti quattro aree tematiche: - allestimento dello spazio liturgico attraverso i nuovi ornamenta ecclesiae, quali l'altare, l'ambone, le sedi, la custodia eucaristica, il fonte battesimale: i principali fuochi liturgici. Lo studio comprende anche la nuova collocazione del crocifisso ligneo quattrocentesco nella zona terminale dell'abside trecentesca. L'allestimento di crocifisso e ornamenta definisce i cardini del nuovo presbiterio riformato; (foto 1-2) - ricollocazione delle opere d'arte mobili restaurate, quali sculture lignee e lapidee, affreschi e tele provenienti per la maggior parte dallo stesso Duomo. All'interno di questo obiettivo ricade la ricollocazione dell'importante gruppo scultoreo ligneo di inizio cinquecento denominato “Compianto sul Cristo morto”. È compreso anche l'allestimento della maggior parte delle opere d'arte lapidee provenienti dalle facciate esterne, non più ricollocabili nelle loro posizioni originali onde evitare il loro degrado causato dagli agenti atmosferici; gli originali saranno sostituiti da copie; - l'allestimento della sacrestia, edificata in origine tra il 1811 e il 1869, da adibire a spazio espositivo al piano terra e di locali di deposito al piano superiore. All'interno di questo ambito tematico è compresa la realizzazione di un percorso museografico al fine di rendere fruibile l'area degli scavi archeologici sottostanti l'aula, venuti alla luce a seguito dei lavori per la
ricostruzione del Duomo. - la ricostruzione della cappella di san Michele, collocata di fronte al Duomo, dotandola di nuovi arredi liturgici nella parte superiore e l'allestimento dell'apparato ostensivo dedicato al gruppo delle mummie nella cripta sottostante, la definizione di un lapidario posto in prossimità del Duomo e la sistemazione delle pertinenze esterne con la collocazione di lastre tombali. A distanza di venti anni da quel primo approccio al complesso tema dell'allestimento dello spazio interno e della ridefinizione dello spazio esterno del Duomo si può tracciare un bilancio sostanzialmente positivo, in quanto si sono realizzate la maggior parte delle opere previste. Mancano ancora da definire il percorso archeologico sottostante l'aula e il lapidario esterno, il completamento dell'allestimento museale all'interno della sacrestia vecchia e la ricollocazione di alcune opere d'arte all'interno dell'aula. Durante questa lunga fase di studio per la realizzazione dell'articolato sistema di opere si è mantenuto un costante confronto tra l'architetto Francesco Doglioni, docente di restauro architettonico presso la Facoltà di Architettura dello IUAV di Venezia, progettista dell'intervento di restauro delle murature superstiti e di ripristino per anastilosi delle parti crollate, il parroco don Roberto Bertossi quale referente della Fabbriceria del Duomo, alcuni validi esperti quali la professoressa Marisa Dalai Emiliani docente in Critica d'Arte alla Sapienza di Roma, il professor Remo Cacitti docente presso la Università Cattolica di Milano, la professoressa Maria Pia Rossignani, recentemente scomparsa, docente in archeologia presso l'Università Cattolica di Milano e il sottoscritto in veste di architetto e museografo, progettista delle opere qui illustrate. Questo confronto ha permesso di realizzare una perfetta interrelazione tra le varie
Il sisma del 1976 causò danni disastrosi in tutto il Friuli. Venzone è uno dei luoghi che dovettero essere abbandonati e quindi recuperati con lavoro e fatica. In particolare il suo Duomo fu ricostruito per anastilosi, recuperando appieno l'antico manufatto. Quindi vi sono stati aggiunti elementi nuovi che ne hanno aggiornato lo spazio liturgico, disegnati in modo tale da mantenere un corretto rappor to con l'architettura storica.
figure coinvolte dove ognuno ha potuto dare il proprio contributo secondo le specifiche competenze, agevolati dal fatto di operare con ritmi e tempi piuttosto dilatati, il che ha permesso un certo controllo sulla qualità finale del lavoro.
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Come si è evidenziato sopra, il primo intervento, anche in ordine di tempo, ha riguardato l'allestimento dello spazio liturgico attraverso la realizzazione dei nuovi ornamenta ecclesiae. L'altare, assieme alla sede, all'ambone e alla custodia eucaristica, sono stati studiati sottolineandone alcuni caratteri al fine di rendere più eloquente il loro significato, al tempo stesso la scelta e la cura dei materiali e dei dettagli costruttivi hanno permesso una certa uniformità linguistica. L'apparato decorativo allude a un principio costruttivo in quanto evidenzia la tessitura dei conci lapidei di diversa dimensione e finitura, in stretta analogia, ma in scala ridotta, con quanto avviene nei piloni a sostegno delle arcate tra il transetto e le tre absidi. Questi fuochi o eminenzialità sono collocati all'interno di una precisa trama dimensionale determinata dal disegno della pavimentazione policroma e della posizione di alcune lastre tombali risalenti agli interventi effettuati tra il 1865 e il 1886. Infine due oggetti di grande valore quali il frammento lapideo raffigurante l'Agnus Dei, probabile antica mensa del vecchio altare ritrovata murata alla base dell'altare s e i c e n t e s c o, e i l fo n t e b a tt e s i m a l e cinquecentesco di Bernardino da Bissone, sono opportunamente inseriti in una nuova sistemazione, assumendo un nuovo e rinnovato significato. Questa articolata fase è stata inaugurata in occasione della riapertura al culto del Duomo nel 1995. (foto 1-2) La seconda area tematica ha come principale ambito di studio l'allestimento del pregevole gruppo scultoreo del Compianto ligneo cinquecentesco all'interno della Cappella del Gonfalone realizzata nella seconda metà del XIV secolo. Il nuovo apparato ostensivo evoca l'antica ancona lignea ad armadio che custodiva l'oggetto plastico, reinterpretando il sistema di apertura delle due portelle ad anta come nei tipici esempi dei Flugelaltar . Il nuovo armadio è
costituito da un involucro semitrasparente in travicelli verticali di abete sbiancato che, anche se chiuso, lascia intravedere le figure policrome del Compianto. Esso è stato collocato sopra la base dell'altare seicentesco non più ricostruito, in un perfetto controluce proveniente dalla coppia di bifore trecentesche della facciata sud. Le ante, una volta aperte a libro, si sovrappongono due a due in modo tale che i travicelli formano uno schermo contro l'eccessiva presenza luminosa(foto 5_in album). La terza area tematica consiste nella realizzazione di un apparato allestitivo finalizzato a rendere fruibile lo spazio della Sacrestia Vecchia ad uso di luogo espositivo, di deposito e contemporaneamente vano di servizio-vestiario in occasione di importanti celebrazioni liturgiche. Si tratta di un luogo per l'esposizione e la conservazione di opere d'arte provenienti dal cospicuo patrimonio di arredi ed opere d'arte a soggetto sacro provenienti dallo stesso Duomo e da altre chiese del territorio di Venzone. Esso è organizzato secondo due criteri espositivi: un'esposizione fissa per le opere di maggior pregio prevista al piano terra e un'esposizione a rotazione determinata da precise ragioni di conservazione e di fruizione delle opere d'arte in previsione di cicliche mostre tematiche al piano superiore. Il dispositivo di progetto è costituito da una struttura reversibile realizzata da un'orditura lignea che si inserisce all'interno dello spazio della Sacrestia. In questo modo si sono potuti realizzare sia il solaio che divide in due ambiti la dimensione verticale della sacrestia, le scale di collegamento tra due distinti livelli, e il sistema delle teche espositive inserite all'interno del nuovo intervento. Il dispositivo architettonico così delineato riprende, semplificandone la fattura, la configurazione degli spazi originali realizzati nel XIX secolo andati distrutti con il terremoto. Con ciò si è operato non il recupero
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mimetico e falso dello stato ante sisma ma la riproposizione critica della situazione ab origine. Così la volta a vela a sesto ribassato che chiude il soffitto e la nuova parete che sostiene e delimita la scala di collegamento dei due livelli è definita da una struttura finale a correnti di legno (arelle) leggermente staccate tra loro pronte per essere coperte dal rinzaffo dell'intonaco che però non verrà mai steso. Nella sistemazione dello spazio della Sacrestia si è realizzato oltre alla struttura in legno anche degli arredi fissi in massello di cedro attrezzati sia per il deposito che per l'esposizione dei materiali ad allestimento variabile posti al piano superiore, mentre al piano inferiore è stato addossato alla parete meridionale un mobile dotato di contenitori che consentono il ricovero di apparati liturgici in uso e il deposito di altri arredi e opere d'arte. Lo spazio al piano terra del piccolo ambiente è interessato da un allestimento fisso di alcune opere d'arte eterogenee tra loro per materiale (sculture lignee, un dipinto su tavola, una tela d'altare) epoca e provenienza, nel tentativo di realizzare una sorta di stanza delle meraviglie, una Wunderkammern agli albori della museografia. (foto 6)
murature del tratto superstite fuori terra. La sistemazione dello spazio interno consiste principalmente nell'aver riproposto il vecchio ingresso della Cappella chiudendo l'apertura ottocentesca con la nuova sistemazione del presbiterio inserito nella piccola abside semicircolare. All'interno si è ridisegnato l'altare, che riprende la collocazione e la dimensione della antica mensa, in asse con la sistemazione di un crocifisso settecentesco posto al centro di una nuova controparete in doghe di legno addossata al fondo semicircolare. L'intervento si configura completamente reversibile e al tempo stesso fortemente inserito nell'ambito della piccola aula circolare. Le parti nuove sono realizzate in tavole di larice precedentemente spazzolate in modo da rendere evidente al tatto le venature. Risulta così una superficie vibrante alla luce proveniente dalle due monofore, mentre il colore del legno assume con il tempo un colore caldo e naturale (foto 7-8-9_in album).
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Infine il progetto di restauro delle murature superstiti e la ricostruzione delle parti crollate della Cappella di san Michele si pone in continuità con il più ampio complesso progetto di ricostruzione del Duomo di Venzone. L'edificio venne costruito intorno alla metà del XIII secolo con funzione di cappella cimiteriale o come Battistero ed è composto da un'aula superiore e da una cripta interrata. Nel 1842 la Cappella venne adibita a Museo delle Mummie, nell'occasione venne murato l'ingresso principale posto ad ovest e ricavata una nuova apertura nell'abside ad est. Il sisma del 6 maggio 1976 provocò il crollo dell'ambiente superiore, mentre un successivo incendio doloso contribuì a disgregare ulteriormente le I THEMAFOTO7 I THEMA I PITTINI I 44
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“Le tante pietre della St. Partick's Cathedral di Manhattan” Intervista di Michela Beatrice Ferri a Jeffrey Murphy, AIA
Il restauro della cattedrale di New York City è condotto in quattro fasi: al momento si è arrivati alla seconda. Oltre alla pulizia delle superfici in pietra esterne e interne, e al ripristino delle vetrate, si provvederà alla riabilitazione dell'altare principale. La cattedrale fu eretta in stile Gothic Revival su progetto di James Renwick Jr. e inaugurata nel 1879. Sulle sue superfici si trovano diversi materiali provenienti da diverse zone, che richiedono attenzioni “personalizzate”.
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St. Patrick’s Cathedral a New York ©Whitney Cox
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New York City il 17 marzo del 2012 la festività liturgica di San Patrizio ha visto l'avvio della grandiosa opera di restauro della Cattedrale di Saint Patrick's. Da ormai più di un anno, al 460 di Madison Avenue si possono seguire i lavori in corso: l'impalcatura sovrasta la maggior parte della navata e le scale salgono verso l'alto, in un continuo ronzio di attività come sottofondo. Come nota il suo Rector, Monsignor Robert T. Ritchie, «in questa cattedrale anche il ponteggio assume un certo fascino»: il suo ordine e la sua simmetria all'interno di questo magnifico luogo sacro in stile Gothic Revival lo rendono perfino attraente. Il restauro della Cattedrale è un grande richiamo a ciò che ogni cristiano dovrebbe compiere ogni giorno nel proprio animo e, di conseguenza, anche nella Chiesa. La Cattedrale di Saint Patrick è, inoltre, «l'affermazione su pietra della presenza cattolica in questa città che era la capitale dell'America protestante», come ha scritto lo storico Thomas J. Shelley. Ma rappresenta soprattutto un simbolo della storia di New York City, anche per i non cattolici – molti dei quali sono divenuti “Cathedral Builder” per le donazioni effettuate in risposta all'appello del cardinal Timothy Dolan. Jeffrey Murphy, coordinatore del team del restauro della Saint Patrick's Cathedral, ha rilasciato in esclusiva a Thema questa intervista sui restauri in corso.
MICHELA BEATRICE FERRI: Quando hanno preso avvio i lavori per il restauro della Saint Patrick's Cathedral e qual è la data prevista per il loro completamento? JEFFREY MURPHY: La prima delle quattro fasi del progetto di restauro ha preso avvio nell'aprile del 2012 e il suo completamento è previsto per il giugno del 2014. M.B.F.: Quanti interventi o restauri ha subito la
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Cattedale in precedenza? J.M.: Nel corso del tempo si sono susseguiti diversi interventi. Ricordo che la Lady Chapel, collocata sul fondo a est nell'interno della Cattedrale, fu aggiunta solo nel 1905. Verso la fine degli anni Quaranta vi fu la prima notevole opera di restauro interno ed esterno. Successivamente, negli anni Settanta le parti esterne della Cattedrale furono pulite e quelle interne ridipinte. M.B.F.: Con che metodologia avete deciso di condurre l'opera? J.M.: Abbiamo seguito il metodo conservativo, volto ad assicurare la longevità dell'edificio. Siamo convinti che si debba restaurare solo ciò che necessita di una radicale risistemazione. A questo proposito, basti pensare alla scelta di come intervenire sui vetri colorati e sui vetri di protezione. Degli oltre seimila pannelli in vetro colorato, solo quelli che presentavano gravi danni e che non avrebbero potuto essere riparati in situ sono stati rimossi e restaurati in uno studio di esperti. La vetrata colorata principale è in buone condizioni, così come la maggior parte dei pannelli che saranno riparati e puliti in loco: questa scelta assicura che il vetro e il manto in pietra che lo circonda non subiscano danni a seguito delle rimozioni. I vetri di protezione sono stati sostituiti:altrimenti avremmo compromesso la longevità del vetro colorato. M.B.F.: Quante e quali sono le differenti fasi dell'opera di restauro? J.M.: Sono quattro: l'opera avrebbe dovuto durare circa tre anni. A causa del mancato raggiungimento di alcuni obiettivi nella raccolta dei fondi, è stata stilata una nuova programmazione dei lavori. In base a questa, stiamo procedendo ora nel completare la prima fase e ci avviamo all'approvazione della seconda fase. In ogni caso, si prevede che, sia la prima, sia la seconda fase saranno completate per il giugno del 2014. La prima fase comprende la sistemazione
dell'esterno in pietra e delle parti del tetto che si affacciano sulla Fifth Avenue, tra cui la facciata e le torri, e così anche tutto il lato est del transetto a nord e a sud. Saranno restaurati le vetrate colorate e i corrispondenti vetri protettivi delle torri e del rosone occidentale, dei transetti, e della prima campata che si apre dietro il nartece. La pulizia degli interni in pietra e il restauro dei banchi avverrà partendo dalla parte ovest fino alla prima campata dopo l'ingresso. La seconda fase, invece, comprende il completamento della parte restante all'interno e il completamento del restauro delle vetrate colorate poste oltre la prima campata e nei transetti. La terza fase comprende il restauro della parte esterna, della parte interna e dei vetri colorati del deambulatorio e della zona dell'altare. La quarta fase comprende, infine, il restauro della canonica e delle parti esterne della residenza del cardinale, delle terrazze, e degli ultimi elementi che contribuiscono ad arricchire l'immagine della Cattedrale. È prevista, inoltre, la creazione di un giardino memoriale nella zona ovest della canonica. M.B.F.: Parlando dello spazio interno, ci saranno cambiamenti o modifiche radicali? Che dire, per esempio, dell'altare? J.M.: L'unico cambiamento significativo che riguarda questa parte dell'interno riguarda l'altare liturgico, che sarà rimosso proprio perché l'altare principale sarà utilizzato nuovamente per le celebrazioni. M.B.F.: Quali sono i principali materiali che saranno utilizzati per il restauro? Che dire per esempio dello splendido marmo della facciata? J.M.: Il marmo Tuckahoe – estratto nella contea di Westchester, nello stato di New York – costituisce il principale materiale utilizzato per la costruzione della parte esterna ed interna della Cattedrale. Si tratta di un marmo stupendo, dalla tonalità calda e cremosa, particolarmente poroso e per questo motivo non resistente: richiede molta cura. Poiché le THEMA I FERRI I 47
cave di Tuckahoe sono state chiuse, avevamo programmato di prelevare la stessa pietra dalla parte inferiore delle mura della residenza del Cardinale, per poi usarla per le necessarie sostituzioni. Fortunatamente il nostro team ha trovato grandi lastre di marmo Tuckahoe nei cortili di alcuni proprietari di case nella contea di Westchester e la abbiamo acquistate. Il che ci risparmia di riutilizzare materiali esistenti nel complesso della cattedrale. M.B.F.: Vi sono altri tipi di marmi in Saint Patrick's? J.M.: La pulizia del materiale è tutt'altro che un'operazione meramente estetica: è una misura di conservazione che ha come scopo di aumentare la longevità della pietra e dell'edificio in generale. Il restauro della Cattedrale di New York è un'impresa complessa non solo a causa delle dimensioni dell'edificio, ma anche e soprattutto per la presenza di sei tipi di pietra che si trovano al suo esterno, e che richiedono trattamenti di conservazione leggermente diversi per ognuno. Le terrazze e la base dell'edificio sono in granito, mentre la maggior parte dell'edificio fino alla base delle torri è in marmo Tuckahoe; inoltre, vi è la presenza del marmo Georgia che è stato usato per le riparazioni avvenute nel corso del tempo, e del marmo Vermont con il quale fu costruita la Lady Chapel. Una parte di marmo Lee è presente nel livello inferiore delle torri e il marmo Cockeysville si trova a metà strada e sulla cima delle torri. Tutti i marmi sono di colore chiaro, mentre – come già detto – il marmo Tuckahoe è particolarmente cremoso, leggero e caldo nella tonalità: le qualità di questa pietra sono tra le ragioni per cui l'architetto James Renwick Jr. selezionò il Tuckahoe nella progettazione della Saint Patrick's Cathedral verso la metà dell'Ottocento. M.B.F.: Quali sono i rischi a cui sono esposte le parti realizzate in marmo Tuckahoe ? J.M.: Se una caratteristica distintiva del
Tuckahoe è di essere più cristallino di altri marmi, un fattore negativo è dato dal fatto che è particolarmente esposto ai rischi causati dagli agenti chimici nocivi depositati dall'inquinamento atmosferico. La semplice pulizia aiuta a preservare la pietra e permette ai restauratori di identificare crepe e danni altrimenti non rilevabili. La pulizia della pietra si effettua in modo abbastanza innovativo: spruzzando una polvere minerale morbida insieme con un getto d'acqua che elimina solo gli stati depositati dagli inquinanti sulla superficie della pietra. Alcune delle immagini che riproducono la Cattedrale negli anni Ottanta del XIX secolo – poco dopo la sua inaugurazione – mostrano un edificio dall'aspetto monolitico e leggero: è facile immaginare che durante i suoi primi trent'anni di vita si sia mantenuta tale. Alla fine del restauro della parte esterna, potremo avere un'idea di come appariva nel 1879, all'inaugurazione. M.B.F.: È la prima volta che lo studio “Murphy Burnham & Buttrick Architects” lavora al restauro di un edificio in stile neo-gotico? J.M.: Sì, la prima volta che lavoriamo a una cattedrale in stile Gothic-Revival. Ma abbiamo seguito diversi altri lavori su chiese : abbiamo curato il progetto di ristrutturazione per la Saint Bartholomew's Church che si affaccia su Park Avenue, e stiamo lavorando alla ristrutturazione della Trinity Church di Wall Street. Siamo stati in grado di pianificare e condurre i lavori per la Saint Patrick's Cathedral grazie alle nostre c o m p e t e n ze i n t e r n e , o l t re c h e a l l a collaborazione con la Building Conservation Associates e alla creazione di una squadra di ingegneri e di consulenti di alto livello, ognuno con esperienza nel proprio campo.
St. Patrick’s Cathedral a New York ©Whitney Cox
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Le cosmogonie non hanno prezzo Stefano Mavilio
Premessa in guisa di rimprovero Volessimo rifarci alla corrente normativa, per la quale “sono beni culturali le cose immobili e mobili che (…) presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà” (1), nulla avremmo ancora detto che non fosse un elenco di nomi, peraltro senza apparente rigore lessicale. Né ci aiutano ulteriori articoli di legge, nei quali lapidariamente- si qualificano tali beni nell'ambito più generale del cosiddetto patrimonio culturale ; tanto meno ci aiutano a capire le relative <appartenenze> (2) , creando ulteriore imbarazzo a chi non agisse senza fini di lucro (3). Certo di provocare tedio, nondimeno riporto a seguire, per pura necessità retorica: “Sono inoltre beni culturali: le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie; gli archivi, le raccolte librarie; le cose immobili e mobili che rivestono un interesse particolarmente importante [un interesse particolarmente importante? n.d.A.]; a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; le collezioni o serie di oggetti; le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà [le cose? n.d.A.]; le cose di interesse numismatico; i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio; le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio [e se non fossero rare ? n.d.A.]; le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio; le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico; le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; i siti minerari di interesse storico od THEMA I MAVILIO I 50
etnoantropologico; le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico; le tipologie di architettura rurale aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell'economia rurale tradizionale. Sono inoltre oggetto di specifiche disposizioni di tutela: gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli e gli altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista; gli studi d'artista; le aree pubbliche; le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni; i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni e infine -udite ! - le opere dell'architettura contemporanea di particolare valore artistico ”(4). Il tutto, immagino, purché inserito in apposite liste a discrezione dei Solerti Funzionari. Abbiamo dimenticato qualcosa? Per una ipotesi non normativa del Bene Culturale Per rimanere nell'ambito di quanto richiestomi (i beni culturali e la Chiesa da considerarsi in senso contemporaneo: ovvero quando una Architettura diventa "bene culturale", non tanto a livello giuridico quanto a livello di cultura sic et simpliciter”), propongo una ipotesi epistemologica che delle norme faccia a meno ma non faccia a meno del buonsenso. Inizierò da una possibile definizione, che in periodi di minimalismo, di pensiero debole e di politically correct, suona forse troppo presuntuosa (“ma anche no”, direbbero i miei studenti): “Bene Culturale” (d'ora in poi senza virgolettato e senza iniziali maiuscole) è quell'artefatto parte della triade “oggetto conoscente, soggetto conosciuto, conoscenza” - che condivide le sue leggi con l'Universo secondo furono applicate in un dato contesto culturale (tempo e luogo). Un bene culturale è quindi una cosmogonia localizzata. Un microcosmo.
Il problema: come introdurre concetti di buon senso in un contesto normativo in cui il formalismo è sempre in agguato. Che cosa sia un bene culturale e in che modo la chiesa rientra in questa categoria. Prima di cercare risposte e di compiere affermazioni, l'Autore invita ad abbandonare i pregiudizi, e a recuperare il senso del valore che supera la materialità dell'oggetto.
Ha peso e dunque massa; ha massa, dunque occupa uno spazio; occupando uno spazio ne condivide le regole, le contempla (le osserva) e contemplandole le riproduce ad immagine e somiglianza, nel senso indicato da Florenskij (5). - Un bene culturale ha a che fare con la cultura nel senso di culto, di cura, di civiltà (6), che a sua volta ha a che fare con la civitas ; è un bene perché concerne il Bene, non tanto nel senso di «bene comune», quanto piuttosto nel senso di Bene Originario: quel “Bene naturale che per l'anima è la sua attività”(7) secondo dice Plotino (8). Diversamente, segnalo che la B di bene, essendo imparentata con la Beth, allude alla costruzione, essendo essa stessa conformata ad immagine di casa, di tetto, di copertura, di porta, nonché consonante «principiale» della creazione. Bene culturale, dunque, è culto per il costruire primigenio: ancora una volta, riproduzione cosmica per eccellenza. - Se Bene è Bello, ove fosse dimostrato - e lo si dimostra facilmente giacché ambedue correlati con, e pertanto riconducibili al, Vero - avremmo ora una definizione ancor più completa di bene culturale. Che esso è in qualche modo selezionabile fra le infinite manifestazioni dell'ειδος, create in guisa di microcosmo (forma formata, che deriva dalla Forma Formante) e dell'idea condivide i caratteri archetipici (9). Di contro segnalo che delle infinite molteplicità di artefatti, soltanto alcuni di essi brillano per quelle verità di cui sopra delle quali sarebbero pregni; diremo in tal caso che sono corrispondenti all'Archetipo di riferimento, dal quale essi derivano, e del quale detengono Vero) nelle sue varie inculturazioni, parla anche di valore: possiede un valore. Purché si ricordi che il valore non appartiene propriamente all'oggetto ma gli aleggia intorno, giacché è riconducibile al Valore in quanto idea, e solo per questo è appartenente all'artefatto.
Le Corbusier/ cappella di Notre Dame du Haut _Ronchamp _Croce dell’altare
Il bene ha valore, perché detiene Valore/i. Nondimeno, avendo esso a che fare con la occupazione dello spazio, il bene culturale avrà comunque - vorrei dire inoltre - un valore economico, poiché, sia esso architettura, pittura, scultura, ecc., sarà di un certo materiale peso misura e proporzione; sarà inoltre inserito in un circuito economico - di valori - che nulla hanno a che fare con il bene medesimo. Le cosmogonie - come si sa - non hanno prezzo. Appendice tassonomica Ora qui c'è qualcosa che non c'era prima (12) “Ora qui c'è qualcosa che non c'era prima” “ E cos'è, una nuova chiesa ?” “ Direi piuttosto il significato di essa” “ E cosa significa una chiesa?” “Significa il Corpo mistico di Cristo del quale Egli è il Capo e noi le membra. In poche parole, una ierofania in Cristo” “In senso allegorico ?” “In senso simbolico. E così possiamo sbarazzarci in un sol colpo di tutte le chiese disegnate in guisa di vesti, di Cristi distesi (che una volta si dicevano “ad quadratum” secondo Ildegarda di Bingen) di croci, di tende, di vele (conchiglie! che a me paiono piuttosto palloni da rugby) di arche, cubicoli tabernacoli e di tutte le interpretazioni che nel corso degli anni ne sono state date -fossero anche riuscite bene, talora accadecon buona pace per gli esegeti di quart'ordine.” “Cos'è dunque una chiesa?” “È certamente edificio e allora dicesi chiesaedificio; è Assemblea, edificio di carne; è corpo mistico di Cristo, come dissi; è segno eucaristico e di crocefissione; è simbolo perché rimanda altrove (e pertanto
Le Corbusier/ cappella di Notre Dame du Haut_Ronchamp_porta posteriore
non è allegoria); è segno urbano; è evento riconoscibile; è nobile senza essere pompier ; è ricca senza mancare di rispetto a chi è povero; è ricettacolo di luce, della luce ove splende e rifulge la Gloria di Dio (13) ; è inno alla gloria di Dio (della quale secondo taluni potrebbe essere emanazione (14) , ipòstasi secondo talaltri (15)); è luogo essa stessa e contiene altri luoghi; è spazio per l'azione liturgica e per lo svolgimento dei Riti: introibo ad altare Dèi; è cassa acustica; è confortevole ma non tanto da trattenermi oltre il necessario (ite, missa est !); è ubiqua, giacché ovunque, sempre diversa e sempre uguale; è insieme forma formata e Forma Formante. E ancora: è opera d'arte nella misura in cui risponde alle istanze suddette, consentendo al Vero di illuminare il Bello; di contro non è arte se risponde ai capricci dei singoli e delle mode; certamente non è un museo; è bella se manifesta appieno le verità in essa contenute; se svela l'idea, conformemente alla regola d'arte. In poche parole, è evento che riunisce.
(5) “Nella Bibbia si distingue l'immagine di Dio dalla somiglianza di Dio; (…) la prima si doveva intendere come il fondamento spirituale di ogni uomo in qunato tale, mentre la seconda (…) la possibilità che l'immagine di Dio si incarni nella vita e in tal modo si mostri in volto.” (Florenskij P. , Le porte regali - Saggio sull'icona, a cura di Elémire Zolla, Adelphi 1993, pag. 43). (6) cfr. Pianigiani O., Vocabolario Etimolgico della lingua Italiana, versione on-line, 2002, alla voce "cultura" (7) cfr. Plotino, Enneadi, I 7, 6. E ancora: “L'intelligenza e la sua Vita intelligibile hanno la forma del Bene.” ibid., VI 7, 2022. (8) “Le tre ipòstasi -l'Uno, il νους o Intelligenza e l'Animacostituiscono la trinità plotiniana e stanno a rappresentare i piani del Bene, della Verità e della Vita.” (Faggin G., Introduzione a Plotino, Enneadi, Milano 2010, pag. XXI). (9) Più che all'archetipo in senso Junghiano, in quanto patrimonio dell'inconscio collettivo, alludo qui all'archetipo secondo la definizione che ne diede altri. cfr. ad es. Zolla E., Archetipi, Marsilio 2002. 10) La produzione del bene culturale -dunque- in quanto incarnazione dell'Idea, non è un <teorizzare> a proposito dell'artefatto, il quale come dice la parola stessa, è ciò che risulti fatto ad arte, tantomeno è un produrre fine a se stesso; quanto piuttosto, per dirla con Coomaraswamy “(…) è un agire per il raggiungimento di un fine. Il fine è una ierofania, l'apparizione del Bello nella Luce del Vero.” (cfr. Coomaraswamy A. K., Il grande brivido , Milano 1977). (11) Soltanto ora dunque, possiamo distinguere la categoria della conservazione/manutenzione del suddetto bene, dal momento che abbiamo rinvenuto in esso un valore da mantenere costante nel tempo, eventualmente da accrescere, certo da non far deperire.
NOTE (1) cfr. Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 recante titolo: "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 Supplemento Ordinario n. 28, Titolo I, art. 2. (2) “Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici.” ibid., art. 1.
12) Il titolo dell'Appendice è liberamente tratto da una conversazione con Leonardo Servadio (13)“Contenuti archetipici dei testi sacri, sono la Gloria e la Luce nella quale questa si manifesta.” (Chenis C., Fondamenti teorici dell'arte sacra. Magistero postconciliare, Roma 1991).
(3) “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro (…)”, ibid. Titolo II, art. 1.
(14) Per la teoria cabalistica della emanazione della Gloria di Dio attraverso le dieci Sephiroth, si veda ad esempio: Scholem G., La kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi 2001; si veda anche: Idel M., Qabbalah. Nuove prospettive, Milano 2001.
(4) D. L. 22 gennaio 2004, cit. titolo II, passim.
(15) cfr. supra, nota n. 8.
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Il MAXXI Architettura: in missione tra bene culturale e pubblico interesse Margherita Guccione
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n una stretta connessione di intenti, nel conoscere per tutelare, conservare per diffondere e ricercare per promuovere, si può certamente affermare che l'architettura tout court rappresenti la trama che riannoda il senso del bene culturale come interesse pubblico. L'architettura è sempre stata contemporanea, nel momento in cui viene realizzata e poi nei modi con cui viene metabolizzata e rielaborata nei tessuti urbani e negli usi umani. Nelle stratificazioni che nei secoli hanno prodotto la straordinaria qualità identitaria del paesaggio italiano, l'architettura ha sempre assunto forme e significati diversi, espressioni dell'epoca e della società coeva. Dalle trasformazioni d'uso dei monumenti romani in epoca medievale ai ripensamenti viari di epoca barocca alle città di fondazione del Novecento, per citare solo alcuni casi storici, gli interventi sullo spazio costituiscono da sempre lo scenario dinamico della società e ne rispecchiamo fedelmente i valori. Ufficialmente inaugurato nel maggio 2010, il MAXXI Architettura, primo museo nazionale di architettura in Italia, è impegnato nella promozione e valorizzazione dell'architettura del XX e XXI secolo. L'attenzione e la consapevolezza che ha portato alla definizione di quest'istituzione, nell'universo dei beni culturali, ha una storia recente che risale all'affiancamento, nel Ministero per i beni e le attività culturali tradizionalmente dedicato all'antico, di un'area rivolta all'architettura e all'arte contemporanea. Nella convinzione "[…] che alla fondamentale funzione di salvaguardia della nostra eredità culturale debba accompagnarsi quella del sostegno alla formazione e diffusione di nuove testimonianze della sensibilità creativa della nostra epoca […]"(1). A seguire, nel 2001 (2) nasceva la Direzione Generale per l'Architettura e l'Arte Contemporanee (DARC) per conoscere, promuovere, valorizzare e
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tutelare la creatività del presente e in particolare l'architettura contemporanea italiana. Molte le iniziative, i progetti e le ricerche che nell'ultimo decennio hanno approfondito la conoscenza di un patrimonio diffuso con l'obiettivo di riconoscere l'interesse culturale e mappare la presenza di opere di qualità, per attivare interventi di tutela e conservazione. Parallelamente, dal 1999, con il concorso internazionale di progettazione vinto da Zaha Hadid iniziava la progettazione e la realizzazione del futuro MAXXI_ Museo nazionale delle arti del XXI secolo, all'interno del quale sono state definite le basi, l'ambito di interesse e i “confini” del Museo di Architettura. MAXXI significa “Museo nazionale delle arti del XXI secolo” ed è il primo Museo pubblico italiano interamente dedicato alla creatività contemporanea, all'arte e all'architettura. Nasce dalla convinzione che il flusso della creatività italiana che ha attraversato due millenni di storia non possa interrompersi e vuole rappresentare la consapevolezza di quanto sia importante promuovere le espressioni della creatività di oggi in un Paese, come l'Italia, caratterizzato da secoli di primato nel campo artistico e architettonico. In coerenza con la missione generale del MAXXI (3), il Museo di architettura (4) opera per testimoniare e diffondere la conoscenza dell'architettura nella pluralità di accezioni, significati e declinazioni che questa disciplina comporta, per le sue intersezioni con le altre forme della creatività contemporanea, e per i rapporti che intrattiene con la cultura e, in senso ancora più generale, con la società. Il MAXXI Architettura è parte integrante del grande complesso museale disegnato da Zaha Hadid che prima ancora di essere un luogo urbano, determina sul piano culturale una condizione comune di ricerca con l'altro Museo - il MAXXI
Il primo museo dedicato all'architettura in Italia esplora, attraverso le proprie esposizioni e collezioni, la produzione del XX e del XXI secolo, mettendola in relazione con l'evolversi del pensiero artistico e in generale della creatività italiana, in un continuo confronto con le proposte e le ricerche che si svolgono all'estero. La stessa “veste” architettonica del Museo, grazie alla propria fluidità, tipica della modalità progettuale di Zaha Hadid, si presta a un nuovo tipo di dialogo con le opere in mostra, fungendo da dinamico collegamento con la città.
Arte - per orientare la comprensione del presente e degli scenari futuri nel campo delle arti visive e dell'architettura. Lo spazio museale anticipa infatti attraverso la forma architettonica ciò che ospita: denso di energia, mutevole e attraente, è uno spazio libero dalle consuete coordinate cartesiane, che attraverso le linee sinuose che lo hanno generato propone itinerari inaspettati e innovativi. Prima opera della collezione di architettura e al contempo opera d'arte, l'organismo architettonico ha certamente c o n d i z i o n a t o c o n l a s u a interpretazione/anticipazione delle forme del futuro, il progetto culturale del MAXXI Architettura. Un progetto centrato sul radicamento nel contesto culturale e territoriale italiano, ma aperto a uno sguardo internazionale, con una missione che abbraccia l'intero Novecento e arriva alla contemporaneità. La missione culturale segue due linee di azione distinte ma in costante dialogo, la prima che procede verso la comprensione storica dell'architettura del Novecento e l'altra rivolta al presente per rispondere agli interrogativi e alle aspettative della società attuale. È articolata in diverse aree di intervento: le acquisizioni per le collezioni del museo, le attività espositive, la ricerca e la produzione culturale, che sono promosse direttamente o in coproduzione/collaborazione con altre istituzioni. Le collezioni del MAXXI Architettura comprendono tutti quei prodotti e documenti che, in forme diverse, rappresentano la complessità materiale e concettuale dell'architettura attraverso i suoi processi evolutivi: dalla produzione ideativa, alla realizzazione fisica, all'uso e al suo inserimento nel contesto fisico e culturale. L'acquisizione dei fondi privati dei progettisti si è rivelata un importante punto di partenza per la
costituzione delle collezioni (5), orientata verso gli archivi personali di architetti e ingegneri di rilievo internazionale del Novecento tra i quali Carlo Scarpa (foto 1), Aldo Rossi, Pierluigi Nervi e da disegni, progetti, installazioni site specif di architetti del XXI secolo (Alessandro Anselmi, Francesco Venezia, Carlo Aymonino, Toyo Ito,..). Sulle collezioni opera il Centro Archivi che è anche un laboratorio sperimentale per favorire la ricerca storica e l'indagine sistematica sui materiali conservati e sui temi delle mostre. Un'importante linea di intervento è quella dell'esplorazione del presente, guardando al dibattito attuale, ai temi emergenti, al di là di ogni confine tematico o territoriale. Esplorando le intersezioni della disciplina con le altre manifestazioni creative, si vogliono indagare i nuovi linguaggi, la varietà dei problemi, la molteplicità dei soggetti, le tendenze che caratterizzano la ricerca attuale nazionale e internazionale. In questo senso si intende avvicinare il pubblico, anche più generalista, all'architettura nei suoi significati più ampi e assoluti: architettura come impegno sociale e civile, come connessione tra la qualità dei luoghi e la qualità della vita, come ricerca estetica e interesse per l'innovazione. Mettendo in relazione passato, presente e futuro, il MAXXI Architettura è continuamente animato da mostre, eventi, iniziative culturali che connettono mondi diversi, aprendosi a tutti i continenti. La mostra Energy (foto 2) racconta con 7 installazioni internazionali come gli architetti vedono l'energia del futuro e le forme che ne deriveranno. 21 per XXI, la mostra organizzata con la CEI – Conferenza Episcopale Italiana, ha presentato al pubblico l'ultima frontiera della ricerca sulle chiese e la forma dello spazio sacro. Nella piazza del Museo quest'anno l'allestimento estivo HE del giovane gruppo bam!, lega il MAXXI allo spazio estivo del MoMA/MoMA PS1, per offrire al pubblico una
innovativa e suggestiva condizione di benessere. Scriveva Gio Ponti “L'Architettura come professione deve servire la società futura sul piano funzionale, tecnico, produttivo, economico: deve servire la felicità e le esigenze degli uomini sul piano della loro vita - aria, sole, salute, assistenza, lavoro: deve nutrire l'intelletto degli uomini sul piano dell'intelligenza e dello stile, unità, ordine, essenzialità; come arte deve nutrire l'anima degli uomini e i loro sogni sul piano dell'incanto immaginazione, magicità, fantasia, poesia”(6).
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NOTE (1) Relazione D.leg 20 ottobre 1998 n.368- Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali. (2)DPR n. 441 del 29 dicembre 2001. (3)Legge 69 del 2009 e Statuto della Fondazione. (4)Denominato MAXXI Architettura simmetricamente al Museo di arte denominato MAXXI Arte.
Sacripanti/Tor Tre Teste
(5)Il patrimonio del MAXXI Architettura si articola in Collezioni del XX secolo, Collezioni del XXI secolo, Collezioni di Fotografia cfr www.fondazionemaxxi.it (6)Gio Ponti Amate l'architettura 1957
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La Galleria San Fedele di Milano: vocazione a promuovere l'arte P. Andrea Dall’ Asta, S.I.
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opo il rientro dei gesuiti in Milano avvenuto nel 1946, la Galleria San Fedele, fondata da Padre Arcangelo Favaro nel 1949, s'inserisce all'interno della cultura milanese del secondo dopoguerra come uno tra i tentativi più coerenti e articolati di trasformare e aggiornare la cultura artistica del tempo. Sin dagli inizi, la Galleria si segnala nel promuovere l'arte contemporanea, cercando di suscitare e di stimolare il pensiero sul significato dell'espressione artistica, intesa quale luogo in cui l'uomo riflette su se stesso e sul suo universo simbolico, affettivo, spirituale, al di là del credo religioso o ideologico. La sacralità dell'arte è interpretata nella sua capacità d'interrogare e d'interpellare la vita dell'uomo, evitando ogni facile formalismo o puro compiacimento, aprendo la dimensione estetica a uno spazio di ricerca di senso. L'intento della Galleria è stato, ed è ancora oggi, di permettere un confronto e uno scambio di esperienze tra artisti, critici, appassionati. Sin dagli inizi della sua attività, grande è l'apertura culturale delle iniziative, slegate da qualunque carattere commerciale. Immediatamente, la Galleria si rende nota per il desiderio di dialogare con le espressioni artistiche più significative dell'epoca. E le sue scelte, che ammettono varie tendenze artistiche e differenti orientamenti ideologici, suscitano indignazione e polemica, soprattutto quando toccano temi attinenti alla dimensione religiosa. Una delle preoccupazioni maggiori della Compagnia di Gesù era di dimostrare come si potesse superare la frattura che si era creata ormai da decenni fra Chiesa e arte. Il programma della Galleria si incentra sul dialogo con la modernità, secondo un confronto che vuole servire l'arte e gli artisti, nella coscienza che la qualità estetica dell'opera è in stretta relazione con un problema di carattere etico e spirituale, e con la profondità di un THEMA I DALL’ ASTA I 54
discorso sull'uomo. L'attività della Galleria È impossibile tracciare, per quanto per sommi capi, l'attività svolta nella Galleria dalla sua nascita a oggi, sotto le successive direzioni di p. Arcangelo Favaro, Gian Vittorio Cappelletto, Alessio Saccardo, p. Eugenio Bruno. Di fatto, in Galleria esporranno alcuni tra i più grandi artisti dell'epoca, da Carlo Carrà a Georges Rouault, da Marc Chagall a Lucio Fontana, da Yves Klein a Enrico Baj, a Richard Nonas e Henri Matisse… Molti artisti non sono cristiani, il che risulta problematico per un pubblico cattolico tradizionale. Che senso ha per un artista non credente esporre in una Galleria Cattolica? Rimane celebre la risposta data da p. Favaro a un artista “non credente”; quando questi disse: “Padre, io non credo in Dio”, quello replicò: “L'importante è che i santi credano in te.” L'arte sacra supera la tradizionale sfera liturgica. L'arte deve parlare della vita. Il nome della Galleria San Fedele è legato ancora al Premio San Fedele, rivolto ai giovani e alle sperimentazioni artistiche. Il Premio nasce nel 1951, si rivolge esclusivamente a pittori scelti di età inferiore ai 30 anni, e matura nel clima dell'Italia che riprende a vivere dopo le ferite della guerra, proiettandosi verso il futuro. Il Premio si propone di entrare nel vivo del dibattito artistico della giovane arte italiana, col desiderio di metterne in luce i fermenti più significativi e le tendenze più diversificate. Se gli spazi storici della Galleria San Fedele si affacciavano su Piazza San Fedele al numero 4, i nuovi spazi, quelli ancor oggi attivi, si inaugurano il 6 febbraio 1968 con una strepitosa mostra di arte americana, grazie alla collaborazione del conte Giuseppe Panza di Biumo. L'evento suscita scalpore, c'è chi s'indigna per i “gesuiti progressisti”. In Galleria sono esposte opere di Marc Rothko, Franz Kline, Robert Rauschenberg, Claes Oldenburg, James
Un impegno per il dialogo nella convinzione che l'estetica possa superare barriere e preclusioni, e che la cultura sia un luogo aperto all'annuncio. Così, gli spazi espositivi destinati all’arte contemporanea sin dal secondo dopoguerra si aprono ai più grandi nomi di diverse tendenze contemporanee. Consentendo una nuova impostazione nella ricerca di senso nella produzione dei nostri giorni, una riflessione sull'immagine, la promozione di giovani talenti, l'esplorazione di linguaggi capaci di recuperare l'etica nell'espressione creativa.
Rosenquist, Roy Litchenstein, Jean Fautrier, Antoni Tapies. Una vera e propria sintesi dell'arte contemporanea nel mondo. Il Concilio Vaticano II si è concluso da pochi anni. Al momento dell'inaugurazione della nuova sede della Galleria e del nuovo Centro Culturale, p. Pedro Arrupe, Generale della Compagnia dei Gesuiti, ribadisce il ruolo di dialogo che l'Ordine è chiamato a svolgere nella città. Il pensiero di Arrupe si focalizza sulla funzione dialogante della cultura. La Chiesa non può rinchiudersi in cittadelle difensive, nella nostalgia di un potere perduto. La Galleria dei nostri giorni La Galleria San Fedele continua la sua attività, sino ai nostri giorni, nel desiderio di promuovere una formazione culturale e spirituale dell'uomo. Conferma sempre il proprio carattere di “sala aperta”, di luogo in cui si promuove la cultura, secondo uno stile di pensiero e di vita capace di entrare in dialogo con i meccanismi di produzione culturale del nostro tempo: nel desiderio di animarli dall'interno.
Collettiva dei giovani artisti_Premio San Fedele, Galleria San Fedele_Milano
Tre punti programmatici costituiscono oggi le direttrici secondo cui agisce la Galleria. 1. Se la Chiesa ha da molto tempo abbandonato una seria riflessione sull'immagine, appare urgente recuperare un dialogo con il mondo contemporaneo. In questa direzione, la Galleria San Fedele invita gli artisti a riflettere sui grandi temi della nostra spiritualità. L'assunto di fondo è che l'arte cosiddetta “sacra” necessita di una “conversione” del linguaggio che non può essere separato da una “attualizzazione” del suo messaggio. L'espressione estetica è chiamata a farsi esperienza di pienezza di senso, in grado d'interrogare la vita umana. Che l'arte si faccia carico di una lettura del presente, perché possa esprimere le urgenze del nostro tempo. Attraverso l'attenzione ai grandi temi del passato, la Galleria San Fedele riflette su come le immagini tradizionali possano essere attualizzate secondo il linguaggio di oggi. 2. La Galleria commissiona. Gli artisti sono invitati a interpretare quel patrimonio spirituale che è stato alla base dell'esperienza di fede per generazioni di credenti. In questo percorso, la Galleria San Fedele accompagna gli artisti nella loro riflessione. La Galleria è nata come luogo di accoglienza dei giovani. Il rapporto con il mondo giovanile è un aspetto ancora oggi centrale. La Galleria vuole aiutare i giovani a riflettere, ad approfondire le grandi tematiche e le sfide del nostro tempo. In questo senso, nel 2004 è stato ripristinato il Premio Artivisive San Fedele, il cui desiderio è quello di permettere ai giovani di compiere un percorso formativo, di offrire loro un luogo d'incontro. Il Premio San Fedele si pone come un cantiere espressivo e un laboratorio creativo, finalizzato alla formazione dei giovani artisti.
3. L'altro settore è in relazione all'arte come luogo di denuncia politico-sociale. L'immagine è qui considerata nella sua capacità di permettere una riflessione su problematiche attuali che attraversano la nostra società. L'immagine diventa, in questo caso, luogo di riflessione sui problemi dell'uomo contemporaneo, spazio di denuncia politica e sociale, nell'intenzione di dare voce agli ultimi, a chi non ha gli strumenti “consueti” per potere comunicare il proprio disagio. L'arte parla allora di promozione della giustizia.
Mostra L’infinito nel finito
Con queste caratteristiche, secondo le quali etica ed estetica tendono a coincidere, la Galleria San Fedele non vuole cedere di fronte alla mentalità superficiale e qualunquista, violenta e cinica del nostro tempo. Vuole promuovere una nuova civiltà che si fondi sui valori fondamentali dell'uomo.
Mostra L’infinito nel finito
Installazione di Jannis Kounellis_Senza titolo
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