The Unknown 05

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Il lavoro continua, le soddisfazioni aumentano, è ancora tanta la musica da ascoltare, sono infiniti i live ai quali andare, tanti i posti ancora da visitare e ancora di più le persone da incontrare. Trovare un lavoro che stimoli la tua creatività e la tua passione come è successo a noi non è da tutti, per questo ci riteniamo fortunate ad essere qui all'una di notte a mettere insieme le ultime cose perché tutto sia al suo posto, per quelli che sono i nostri standard; e così coltiviamo nei nostri cuori la voglia di continuare il nostro percorso indisturbate, qualsiasi cosa avrà in servo per noi il futuro, qualunque cosa ci sia sulla linea di quel traguardo che stiamo cercando di raggiungere. Tra commenti positivi e critiche, più o meno, costruttive, ringraziamo tutti coloro che abbiamo incontrato fin ora lungo il nostro percorso: coloro che hanno deciso di supportarci, coloro che hanno deciso di credere in noi, coloro che ci hanno dato la possibilità di crescere, coloro che ci hanno colmato di consigli, coloro che ci hanno più semplicemente ignorato. E un grazie particolare va a te che hai deciso, per dedizione, per curiosità o forse più probabilmente perché ti abbiamo citato noi, di leggere questo quinto numero di The Unknown. Nella speranza di soddisfare le tue aspettative ti ricordiamo che il bello sta nell'imperfezione, quindi STAY UNCOOL TO BE COOL!

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Fondatrici: Bianca Errante e Silvia Gigli Autrice: Bianca Errante Fotografa: Silvia Gigli


Reports Swmrs

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College Party

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Goodbye Summer Fest 6 Dyna-mite Party Vol.2

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reviews Sunset Radio

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Snoopers

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Hell & Back

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Vietato Mancare!

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Goodbye summer fest

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Si torna in quel di Vicenza, in quella scena che ci ha in un certo senso dato lo slancio e che ci ha permesso di espanderci, si torna lì dove tra facce amiche e sorrisi, due chiacchiere e risate incontenibili, si sente un po’ l’aria di casa, perché fa piacere vedere vecchi amici, perché fa piacere passare la serata in loro compagnia, perché sono sette le band pronte ad esibirsi e perché noi di musica non ne avremo mai abbastanza. Sono i novellini Decacy ad aprire le danze di questo Goodbye Summer Fest, purtroppo siamo arrivate tardi e quello che abbiamo sentito è stata la loro ultima canzone, ma sono certa che, se l’intero set è andato come questa singola canzone, non hanno di sicuro deluso, e pensare che sono solo alla loro prima esibizione fa sorridere, mi auguro che continuino per questa strada. Secondi ad esibirsi gli Orangewig, con nuova formazione e con nuovo materiale da proporre. 
Nuova formazione perché Fabio ha dovuto salutare i suoi compagni e nuovo materiale perché hanno proposto per la prima volta Philomena e BumbleBee live, 7


i due singoli estratti dal loro prossimo EP Second Part Two. Che dire? Devo ancora abituarmi all’assenza di Fabio che, per quanto restasse sempre nell’angolino con i suoi occhiali da sole, era essenziale per il sound. Nulla di irreparabile, l’esibizione è andata bene, ho visto questa band crescere e continuo a vederla migliorare di live in live, provo quasi un senso d’orgoglio nei loro confronti, ma non ditelo a Mattiello. Breve pausa per la cena e si ritorna davanti al “palco” con i Junk Street, dopo aver scoperto che Anna non sarà più la loro voce ho assistito alla loro esibizione con un briciolo di malinconia e ho trovato il loro set leggermente spento, come se

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mancasse quella scintilla che li ha sempre caratterizzati, li ho visti diverse volte per poter affermare una cosa del genere e mi è dispiaciuto, che sia per colpa del cambio di formazione, che si sia spezzato qualcosa, non so e non sono affari miei, ma la loro carica mi è mancata, in maniera non indifferente. I Rising Over risultano nella norma, il set fila liscio, le canzoni ormai le canticchio pure io, troppa elettronica per i miei gusti, ma sono nel loro ambiente. E’ il turno dei Farewell, scoperta hardcore vicentina, non avevamo mai sentito parlare di loro, il live non è stato male, nulla di così entusiasmante ad esser sinceri,



ma se la sono cavata bene, insomma non mi sono rimasti impressi e solitamente questa non è mai una buona cosa, ma spero ci saranno altre occasioni per ricredermi. Si arriva ai protagonisti della serata, perché si, la gente è in trepidante attesa per il loro secondo live di tutta un’intera carriera, gli Umberto Emo. Ci delizia della sua presenza Di Maio, che arriva direttamente da Napoli per cacciare fuori due accordi al basso, che viene poi rubato dal pubblico, è il primo caso registrato di oggetto rubato ad un napoletano. Purtroppo devo ammettere che il live è stato leggermente più fiacco del 10

primo a cui abbiamo assistito, ma è stata comunque una gioia per gli occhi vederli nuovamente e sentire le loro perle, perché non c’è nulla di così artisticamente unico nello scenario italiano, quindi tanto di cappello. Da depennare l’intervento trap, non è piaciuto a me e non è piaciuto alla maggior parte del pubblico. Ultimi in scaletta Edward In Venice, finalmente riusciamo ad assistere ad un loro live. Mi sono piaciuti? Si, davvero tanto, mi ha messo tristezza vedere appena dieci persone davanti quei cinque di Pesaro, ma me lo sono goduto, sono stati bravi, il loro hardcore è uno dei migliori che abbia mai sentito, ottimi sound, peculiari, abbastanza distintivi, tratto non indifferente per una band del genere. Felice di averli visti e speranzosa di rivederli presto.

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Questo è stato il Goodbye Summer Fest, quello che sarebbe dovuto essere un sostituto del Summer Fest, ma che in realtà non lo è stato, e pensare che è passato più di un anno dalla prima data della Magnagati Crew alla quale abbiamo assistito, e questo ci ha dato modo per valutare la loro crescita, i loro cambiamenti, i loro eventi nel corso del tempo, ma, con rammarico, devo dire che l’atmosfera è risultata spenta, gli eventi hanno subito un calo non indifferente, colpa della scena? Colpa della crew? Non voglio puntare il dito verso nessuno, ma poteva andare meglio.


Ad un anno dall’uscita di Vices, in seguito all’incontro con i Sunset Radio, abbiamo deciso di dare un ascolto più approfondito all’album di debutto della band di Ravenna. Vices si apre con Home, avrei trovato più adatta all’apertura Upside Down, per l’intro energico e fresco che rallegra e mette voglia di continuare con l’ascolto, entrambe le tracce risultano comunque ben strutturate, niente male i contenuti, che sono un po’ alla portata di tutti, nel senso che un po’ tutti potrebbero rivedersi nelle loro parole, forse addirittura per la durata dell’intero album. Comunque la prima cosa che mi salta all’occhio, o meglio all’orecchio, appena inizio l’ascolto di quest’album è la vaga somiglianza delle corde vocali di Andrea con quelle di Patrick Stump e già alla seconda traccia, Surrounded, sento anche un 12

sound molto simile ai Fall Out Boy, riff imponenti che suonano bene e ottima carica. La terza traccia conferma quanto detto prima, l’album è fresco, moderno, ma con una marcia in più, le sonorità non risultano banali e si snodano da una Stoned And Confused a una Nothing To Lose, da una My Summer a una Older, da una Bed Of Roses alla sua versione acustica.
 Una nota di merito va proprio alla versione acustica di Bed Of Roses che da all’album quell’aspetto sentimentale che, soffermandosi ad un ascolto superficiale, mancava nelle tracce precedenti. La ballata in chiave acustica non può mai mancare, ci sta sempre bene, non è mai un errore, ma sopratutto non se ne ha mai abbastanza di canzoni del genere, tant’è vero che qualcuno una volta disse che le ballad sono la cosa più punk che ci sia; così ecco che i Sunset Radio con la loro chiusura acustica, in un feat con non so sinceramente chi, e non sono riuscita a risalirci da nessun canale, ci regalano l’ultimo briciolo di magia in un album che ha tutta la mia approvazione. L’album si presenta in chiave poppunk con sonorità più complesse e articolate, frutto dell'influenza punk rock, ma anche dell’armonia tra le varie tracce, bel legate tra loro.


live in Milan Era il 2011, passavo le giornate a prendermela con il mondo, ad ascoltare musica e a cercare quella chiave che mi spingesse ad esprimere me stessa in tutto e per tutto; era il 2011 e quei bravi ragazzi che erano Emily’s Army rilasciavano il loro primo album, Don’t Be A Dick, non sto a spiegarvi cosa sia successo dopo, mi piacque, ma il sound era ancora troppo blando, troppo influenzato dalla casa nella quale erano cresciuti e nella quale continuavano a crescere. Poi arrivò il 2013 e con Lost At Seventeen le cose cambiarono leggermente, ma è quello che succede in seguito, dal 2014 in poi, che ha dell’incredibile. Perché vi dico tutto questo? Non perché avessi voglia di perdere due lunghi minuti della mia vita per scrivervi la loro breve discografia, ma perché nel 2014 sarebbero diventati quella chiave che mi ha spinta ad esprimere me stessa in tutto e per tutto. Milano, 17 settembre, giornata calda, ma piacevole, si fa un veloce giro in centro che non dispiace mai, si pranza in maniera davvero poco salutare e ci si avvia verso il Tunnel Club.

Partiamo dalla fila di gente in attesa dell’apertura dei cancelli dalle prime luci del mattino, passiamo per gli incontri con i membri della band, giungiamo al nome del famigerato opener, per arrivare all’apertura dei cancelli. Si entra, la venue è piccola, non che questo sia un problema di per se, sotto il palco c’erano circa 170 persone a detta di qualche addetto del locale, il vero problema del Tunnel Club è che non era pronto ad accogliere quel tipo di pubblico. Hanno deciso di mettere delle transenne davanti al palco, transenne che perché ovviamente non erano 13



fisse e dopo due salti quelle transenne non si sono più viste. Era alquanto prevedibile che per il tipo di band questo sarebbe stato un risultato ovvio, le soluzioni quindi erano due: mettere le transenne fisse, che nemmeno l’omone di due metri che tirava gomitate sarebbe riuscito a buttare giù; oppure non metterle proprio, perché stiamo parlando degli SWMRS, perché i loro concerti sono riunioni familiari, e perché se smorzate già da ora l’atmosfera da band emergente che c’è ai loro concerti me li immagino tra qualche anno a suonare con la security schierata direttamente sul palco. Sorvoliamo sulla venue, sul caldo asfissiante e sull’incapacità generale del pubblico italiano e concentriamoci sul live.

In apertura i milanesi Mistakes, una perla di Ammonia Records all’attivo dal 2011. Sono giovani e si vede, ma non tanto nell’aspetto, ma sul palco, sembrano leggermente impacciati a tratti, ma nonostante tutto tengono bene il palco. Riccardo, alla chitarra, ha una voce per me non del tutto piacevole, sono gusti per carità, ma semplicemente non fa per me. Cosa che sono costretta a sottolineare è la carenza di abilità alla batteria, ho dovuto alzare gli occhi al cielo un paio di volte, o forse di più, ma nulla che il tempo e l’esperienza non possano risolvere, c’è del potenziale? Probabilmente si, io purtroppo non ne ho sentito, ma il mio è solo un mero parere fine a se stesso, dato da una singola esibizione alla quale ho assistito.


Arriva il turno degli SWMRS e i quattro non hanno fatto altro che soddisfare le aspettative che riponevo in loro, anzi, dirò di più, le mie aspettative, per quello che hanno realmente visto i miei occhi e sentito le mie orecchie, erano fin troppo basse. Entrano Cole Becker in elegante vestitino blu a pois, Max Becker, Joey Armstrong e Seb Mueller per dare inizio alle danze. Si apre con Palm Trees, uno degli ultimi singoli usciti con la deluxe version per Fueled By Ramen, un’esplosione, cori inarrestabili e un accenno di pogo. La band ci regala praticamente l’intero album di debutto Drive North, 16

più o meno eh, ma non mancava proprio nulla, da una Silver Bullet a D’You Have A Car?, da una BRB a una Turn Up, da una cover dei Ramones al discorso iconico precedente a Uncool. Nota di merito per l’esecuzione di Lose It, l’ho trovata magica, poche volte nella mia vita mi sono sentita una tale scarica emotiva lungo la spina dorsale, e durante l’esecuzione di quest'ultima è stata una di quelle volte. Una vera e propria scarica d’adrenalina la chiusura con Drive North (preceduta da una timida Hannah), e per fortuna, visto il diluvio che ci attendeva all’uscita dal Tunnel Club.


Risultato? Sono ottimi musicisti con dell’ottimo potenziale, il fatto che in così poco tempo stiano percorrendo così tanta strada non mi sconvolge più di tanto, specialmente perché è tutto nelle loro mani, è solo ed esclusivamente talento. Ho visto un pogo forse un po’ timido, ho visto un circle pit che ha fatto fatica a partire, ho visto un wall of death non male, sono stata contenta del concerto? Non del tutto, sono uscita da lì pensando di non voler fare mai più un live in Italia, adesso mi sono tranquillizzata, ma sapete com’è, quando cerchi di allontanarti per prendere aria e ti arriva un pugno sullo zigomo, non è che la prima

cosa che ti viene da pensare è “si che bello, rifacciamolo”. Ad ogni modo gli SWMRS non sono una band per tutti, i loro contenuti sono diversi, i loro show sono già completi, la loro attitudine appartiene ad un universo tutto loro, ma se solo provaste a vedere oltre quello che credete di star vedendo e se solo provaste ad ascoltare oltre quello che credete di star ascoltando, posso assicurarvi che band con una tale sicurezza artistica e una tale consapevolezza delle proprie capacità, al giorno d’oggi, è difficile da trovare. Perché non è solo nel saper suonare due accordi, non è solo nell’essere intonati, quello che ho avuto al loro live è stata pura


emozione, quello che mi hanno dato gli SWMRS, ideologicamente, è la chiave per essere me stessa, nulla di strano che il nostro motto sia Stay Uncool To Be Cool.

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DJ Senso porta alla nostra attenzione gli Hell & Back, gruppo tedesco attivo dal 2011, con tre album e due EP alle spalle, l’ultima loro produzione è quasi fresca di stampa, o quantomeno non troppo stantia, Slowlife infatti esce il 30 giugno di quest’anno. L’album è composto da 12 tracce, tutte abbastanza omogenee tra loro, abbastanza? Ma che dico, del tutto omogenee tra loro, c’è chi lo ritiene un pregio, chi invece un difetto, io devo dire che l’ascolto superficiale del disco è piacevole, ma se ci si concentra, di traccia in traccia, non c’è un solo attimo di respiro, le canzoni risuonano tutte sulla stessa linea. Ed è così che una Nailed It non ha nulla in più rispetto a una Cringer, una Not Getting It non mi resta più impressa di una Trasure Chest, o una Still Fading risuona quasi indisturbata al mio ascolto. La traccia che mi ha colpito maggiormente, senza nulla togliere alla bellissima It’s Not A Lie (If You Believe It), è la title track Slowlife, forse per il significato intrinseco, forse per la strumentale che cambia leggermente, o forse semplicemente per impatto emotivo. Insomma, l’album non mi ha colpito particolarmente, darò un altro ascolto, magari più spensierato di quelli ai quali l’ho sottoposto, non è certo

finito qui il capitolo con gli Hell & Back, siamo curiose e ascolteremo anche il resto della loro produzione, che sinceramente ci era del tutto sfuggito, ma quello che ho avuto il piacere di ascoltare in questi giorni non ha fatto breccia nel mio cuore. Ci risentiamo al prossimo album!

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Dyna-mite Party

2 . l o V

Per chiudere settembre si gioca in casa con il secondo appuntamento del Dyna-Mite Party con Stanis, Skulljerks e Andead. E’ bello sentire finalmente profumo di casa a Bologna, è solo il terzo evento al quale assistiamo, ma le facce cominciano a diventare conoscenti, l’atmosfera è meno tesa e comincio a sentirmi confortata in questa nuova casa base. 20

Primi davanti il furgoncino Volkswagen del Dynamatic i bolognesi Stanis, prima data in città per la band formata da militanti del punk rock, abbiamo infatti davanti ai nostri occhi membri di Linterno e XState Ride. Una vera e propria esplosione, energia, un bel cantato e riff pazzeschi, non sentivo qualcosa che mi prendesse così tanto da tempo, quindi grazie per avermi incantata con un set pulito, sereno e che mi ha fatta sorridere. Purtroppo la gente era poca, ma non sanno cosa si son persi, assistere al loro live era di certo tempo ben speso. Il Veneto non ci abbandona mai e direttamente dalla laguna rivediamo i Skulljerks, band punk rock dall’energia contagiosa. Adesso vi racconto una cosa divertente, quando siamo venute a sapere dell’evento ho letto le band, non avevo idea di chi fossero gli Stanis, ero felice di rivedere gli Andead dopo il Bay Fest, e infine c’erano i Skulljerks, il nome mi ricordava qualcosa, sapevo di averli già sentiti, sapevo di conoscerli, e infatti li avevamo conosciuti a Lonigo insieme a Devasted, Zachary, Spaventapassere e altri. Ed è per questo che conoscevo le loro facce e conoscevo le loro canzoni, ma il mio



immensa. Gli Andead sono una delle band più complete nei contenuti, non risultano scontati, dicono la loro, si divertono, mettono su un buono show, creano un’atmosfera familiare durante le loro esibizioni. Hanno decisamente dato, insieme a tante altre band, una spinta in più allo scenario punk rock di quest’Italia un po’ smorta. cervello è rasente al sovraccarico. Ottimo show, sono magnetici, hanno un qualcosa che ti attira, che sveglia la tua curiosità e ti spinge a restare davanti agli spastici saltelli di Andy. Dopo il Bay Fest tornano nel loro habitat naturale e noi non ci facciamo sfuggire l’occasione per rivederli live, così ci piazziamo in prima fila per il live della band che fa alterare i fan più sfegatati del Ramonescore, gli Andead. Dopo due piacevoli chiacchiere con Andrea ho assistito al loro live con una nuova consapevolezza di ciò che vuol dire per gli Andead fare musica, il fattore emotivo è giunto alle stelle, ciò che avevo davanti era una band di rispettabili musicisti, con tanta voglia di dire la propria e tanta bravura nel farlo, la scaletta ha soddisfatto tutti: dalla più recente For The Underdogs a My Little Horror, da una What About Now a Not Givin’ Up. Nota di merito per quest’ultima, la voglia di urlarla al mondo tutte le volte che l’ascolto è 22

Ci tengo a ringraziare l’organizzazione perché ormai l’Italia è povera di eventi del genere, è stata una serata preziosa che terrò per sempre nel mio cuore, nella speranza di poter assistere ad altri mille di questi eventi, il punk rock non è morto, siamo noi che l’abbiamo ucciso, ma possiamo sempre fare qualcosa per risollevarlo, e il DynaMite Party è solo uno dei tanti esempi.


Conoscemmo gli Snoopers grazie ad Alberto Perezzani che ha prodotto due singoli del primo EP dei padovani, e che ha ben pensato che ci sarebbero piaciuti. Mai alcuna intuizione fu più giusta.
 Dal primo ascolto di Mermaids quella con gli Snoopers è stata una bellissima e soddisfacente storia d’amore che ci ha portate a diversi loro live, ma anche ad un’estenuante attesa per l’uscita del loro EP di debutto, Once Bitten, Twice Shy. L’EP si apre con un intro molto diverso da quelli che si sentono ultimamente in giro, suona davvero molto bene, non annoia, anzi, mi incuriosisce, è uno dei pochi intro che non mi mettono voglia di saltarlo, anzi, è una piacevole prova strumentale della band. Quando un lavoro è ben fatto si capisce dal principio? Credo proprio di si, per questo motivo gli amici di Padova si prendono un “bravi” già sul finire del primo minuto d’ascolto. E’ il turno di Dr. Doofenshmitz Doesn’t Follow The Plot, canzone di cui non riuscirò mai a scrivere correttamente al primo colpo il titolo, e canzone che abbiamo sentito tante di quelle volte live che quando l’ho sentita per la prima volta nella sua versione studio non sono riuscita a ritenerlo il primo ascolto. Le aspettative che i live mi avevano costruito sono state del tutto

soddisfatte, di forte impatto l’intervento di Tom Olletipac nel bridge, che aggiunge quel tocco emotivo che non guasta mai. One Last Breath è forse la traccia che mi ha convinto di meno, ma l’EP si risolleva del tutto con Lonely Glimmers, della quale avevamo avuto un assaggio live, da sottolineare, per mettervi curiosità, l’intervento in spoken words, davvero ben eseguito. Infine ci troviamo a riascoltare, forse per la millesima volta, quella meraviglia di Mermaids, la traccia che mi ha fatto innamorare di loro, vederla finalmente parte di un EP fatto e finito è quasi motivo d’orgoglio. Il supporto alla scena non guasta mai e gli Snoopers si stanno facendo strada diventando sempre di più un punto di riferimento per il genere, davvero un ottimo EP, adesso aspettiamo solo il primo full lenght. 23


alla scena, quello è il mio unico interesse, non ho nulla contro le discoteche, non ho nulla contro i party all’americana, non ho nulla contro il College Party in se. Il College Party è uno degli eventi con maggior richiamo non solo per Bologna, ma per gente da tutta Italia, partiamo da questo presupposto. Ma cos’è il College Party? 
Per chi non lo sapesse è un vero e proprio party. Aprono la serata due band dello scenario pop-punk italiano e poi? Poi due dj set diversi, in due sale diverse, uno musica commerciale, l’altro una bella playlist di pop punk/easycore/skate punk e tanta altra roba.
 Vi dirò cosa sembra a me il College Party, e parlo semplicemente per supporto

Il College Party è una falsa vetrina per band emergenti. L’ho detto veramente? Ebbene si. Cosa offre realmente alle band? La gente si esalta perché pensa che sia un evento che offre sia un live che un after con le palle, ma la sostanza purtroppo sta solo nell’after. Le band arrivano, suonano quella ventina di minuti, mezz’ora al massimo, suonano e quelle dieci persone alla quale realmente importa del live in realtà non hanno idea di cosa stia suonando la band, perché l’acustica è pessima, i volumi


fanno sempre abbastanza pena e finisce che senti degli assoli pazzeschi alla chitarra e zero voce. Finiscono i live, le band smontano tutto alla velocità della luce e via con il vero party, il locale si riempie, gli amici si ritrovano, la birra scorre, ecc. Non critico nessuno in particolare, cerco di mettere i puntini sulle i su un evento fomentato da molti: da chi segue la scena, da chi ogni giorno ha a che fare con band emergenti, da chi fa parte di una band emergente. La cosa mi provoca tristezza e risentimento verso una scena che si lamenta di essere morta, ma che poi non fa nulla per cambiare situazioni del genere, Bologna è un centro pulsante per la musica, alla fine dei live ho visto tante di quelle facce conoscenti in giro per il

Millennium, facce che so essere amanti del genere, e magari sono quelle stese facce che brontolano per la scena, ma se siete i primi a non far nulla per migliorare le cose, come pensate che questa possa cambiare? Ad ogni modo questo sfogo salta fuori in seguito alla mia presenza al primo appuntamento dell’anno con il College Party, live HÜney e Sunset Radio, sono stati bravi? Non saprei dirlo, non ho sentito molto, ma sono di sicuro felice di essere stata presente, sono felice di poter rientrare in quelle dieci persone alle quali forse, qualcosa, importa. Facciamo cosÏ, la parte delle due band in apertura? Tagliamola pure, proverei meno tristezza, credo.







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