The Unknown x Bay Fest 2019

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august 27, 2019



Bologna FOUNDERS & DIRECTORS Silvia Gigli Bianca Errante

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Bianca Errante

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DAY ONE Arriva il caldo e con il caldo si avvicinano le ferie e da un po’ di anni a questa parte ferie per noi significano solo una cosa, tre giorni di sudate pazzesche, sistemazioni arrangiate all’ultimo minuto, tante piadine e il mare, cosa che di per sé fa la maggior parte degli italiani in periodo di vacanza, ma con un qualcosa in più, il Bay Fest, ancora lui, alla sua quinta edizione, più fiero che mai. E con l’aria di estate si parte in direzione Igea Marina, l’appuntamento è sempre lì, sul legno rovente del Beky Bay in un pomeriggio qualunque, a salutare amici come se ci si fosse visti solo il giorno prima, di anno in anno tutto ritorna a prendere forma, come un qualcosa di spontaneo.



Si parte con un beach stage da paura, rivediamo Mike Noegraf ad aprire le danze del Bay Fest 2019, seguito da Dave Hause e il fratello Tim per un’esibizione da urlo, chitarra e tastiera mescolate a testi da batticuore, che ti prendono allo stomaco. Peccato però che quest’anno rispetto ai precedenti non ci fossero attività in spiaggia durante la giornata, nessun DJ set; oppure ricordate twister e beer pong? Niente nemmeno quello, il vibe della giornata era di fatti un po’ fiacco, la spiaggia non era ricolma di gente, forse visti anche i mille gradi che si raggiungevano al sole. Si corre a mangiare la prima piadina di una lunga serie e ci si avvia all’ingresso, qualcosa è cambiato dentro Parco Pavese e si nota appena ci si mette piede dentro, i prezzi sono rincarati, quasi tutto un euro in più, token venduti di cinque in cinque, obbligandoti a prenderne dieci per spenderne magari sei, la sabbia sem6

brava quasi aumentata, e la solita pecca di ogni anno del pubblico che non può uscire, nonostante la presenza di un braccialetto per i tre giorni. L’arrivo è stato interdetto, ma basta che sul palco salga la prima band che alla fine tutto scivola in secondo piano, l’atmosfera comincia a somigliare a quella del Bay Fest, anche se la gente è indubbiamente di più. I primi ad inaugurare il

palco sono gli All Coasted da Vicenza. Su di loro c’è pure una storia carina da raccontarvi, risalente ai tempi in cui The Unknown era membro parte della scena vicentina, prima della gloria assoluta; avremmo dovuto godere di quel punk rock con tendenze allo ska californiano e quei suoni un po’ grezzi alla Rancid e la velocità degli sprizzi di skate punk che ne fanno parte, proprio agli inizi del nostro cammino, ma


piovve e non riuscimmo a vederli più fino a quel lunedì di agosto. Le nostre strade si sono incrociate, quasi come a farlo apposta, è come se entrambi avessimo raggiunto un traguardo, insieme. Loro sul palco si sono mossi alla grande e hanno aperto le danze tra i pochi presenti. Ecco qui c’è un altro

punto critico di questa edizione, i controlli troppo lenti, o meglio, non si può pretendere nulla da solo due persone che controllavano gli zaini all’ingresso, ma questo ha portato molta gente a perdere l’intero set non solo della prima, ma anche della seconda band, i Masked Intruder. Secondi sul palco con i loro colori coordinati

hanno suonato appunto davanti meno gente di quel che avrebbe voluto esserci, visti anche i non so bene quanti minuti di anticipo con cui hanno iniziato a suonare, energici, tengono il palco in modo eccellente e fanno breccia nei cuori. Finito il loro set la gente era in dirittura d’arrivo, almeno per l’inizio dei Punkreas. Gli storici milanesi sanno come intrattenere, con canzoni in scaletta da brividi, Voglio Armarmi, Aca Toro, La Canzone del Bosco, Salta, Canapa e Il Vicino, non c’è molto da dire, non riesco a star ferma, carica ed adrenalina a livelli altissimi, poche chiacchiere e tanta sostanza, per quanto si voglia dar spazio alle novità un po’ di storia non fa mai male. Una festa tutta all’italiana quella che si crea sotto palco e per fortuna, visto che quest’anno in scaletta c’era una band in meno, proprio quella tra le proposte emergenti di terra nostrana. I Punkreas hanno, in un certo senso, colmato il vuoto. 7


Breve pausa, si incrocia una fila di gente in attesa del proprio turno al meet and greet con Frank Turner, si salutano altri amici ed è nuovamente il tempo di volare sotto palco. Quarto in scaletta Frank Turner & The Sleeping Souls, il cantautore britannico porta sul palco un rock ’n’ roll fresco, inglese, con quella patina di ribellione che in certi casi guasta tutto, l’esibizione è un po’ piatta e purtroppo la loro proposta non mi entusiasma, anzi, non mi convince per nulla, ma questi sono gusti, la gente è rimasta comunque contenta del live, quindi chi sono io per giudicare?


È quasi il turno dei pezzi grossi, ma prima ci si scalda con un po’ di sano hardcore newyorkese, è il turno dei Sick Of It All. Loro in formissima, il fonico un po’ meno, purtroppo gran parte dell’esibizione rasentava il rumore. La gente era comunque super carica e il pogo era tutto tranne che timido, nonostante la sabbia, nonostante i polmoni neri, la gente non demordeva. Ed eccoci arrivati al grande appuntamento, per la seconda volta sul palco del Bay Fest, direttamente da quella folle terra che è la California, i NOFX, con un sobrissimo Fat Mike in vestito di

raso rosso che cadeva a pennello, non mi vergogno ad ammettere che probabilmente se lo indossassi io non otterrei lo stesso risultato. Partono alla grande, si scolano una bottiglia di vino e iniziano, veloci e travolgenti come pochi, purtroppo la scaletta è stata strana, sono rimasta un po’ delusa dall’assenza di Don’t Call Me White, ma alla fine hanno fatto The Brews, non posso di certo lamentarmi. Istituzione artistica prima che musicale, con irriverenza e strafottenza la band ha ammaliato i nostri cuori e dissetato le nostre orecchie, chi conosce la loro storia sa e può comprendere

quanto sia magia quel che portano sul palco. I NOFX si confermano una delle migliori band che esistano in attività, sembra che nulla li scalfisca, loro restano lì, dai discorsi da evitare, le azioni discutibili, alla musica pressoché perfetta. La serata si è conclusa nel migliore dei modi e così il primo giorno si chiude, tra rientri in piena notte con Intercity prenotati all’ultimo secondo e un’altra bella sudata in arrivo dopo solo qualche ora di sonno. Il Bay Fest vuol dire anche questo, ridurre quasi a zero qualsiasi bisogno fisiologico, dal mangiare al dormire.


DAY tw


wo Il secondo giorno parte un po’ male, per noi niente beach stage, arriviamo appena in tempo per sentire le ultime note di Joey Cape da lontano, mi sto ancora mangiando le dita, ma purtroppo non possiamo ancora pretendere nulla da Trenitalia. I mormorii su una probabile pioggia nelle prossime ore allarmano un po’, ma finché gli squarci azzurri del cielo si fanno vedere tra qualche timida e innocua nuvola non ci preoccupiamo, siamo tutti pronti, entriamo a Parco Pavese e qui, prima di parlarvi delle band, devo fare un appello a tutte le booking dell’universo conosciuto, basta con tutta questa plastica, la soluzione c’è, quantomeno dimezzare la plastica monouso con materiali comple-

tamente organici, tutti quei bicchieri per la birra potevano essere potenzialmente ridotti, come è stato fatto già da altre realtà, il nostro pianeta sta soffrendo, dalla collinetta del Bay Fest si può vedere il mare e pensare a tutta quella plastica fa un po’ di amarezza, ma sono certa che in un futuro si potrà trovare una soluzione. Ad ogni modo, sebbene la stanchezza sia già in agguato non si demorde e ci si precipita sotto palco per l’arrivo dei Viboras. Voce graffiante, un ritmo travolgente e influenze che li pongono a metà via tra The Distillers e The Interrupters, arrivano da Milano e segnano l’inizio perfetto per questo secondo giorno tutto da ballare. Tra l’altro menzione d’onore alla cover di Knowledge degli Operation Ivy.

A seguire un’istituzione tutta italiana, i Persiana Jones. Che dire? Sull’esibizione nulla, sono i Persiana Jones, sappiamo tutti quel che propongono e come lo propongono, ma per dirla tutta sono un po’ stufa di sentire durante un live lamentele su quanti generi di merda esistano, va bene, c’è musica di merda nel mondo, è sempre stato così, nonostante si tratti comunque di gusti personali e giudicare un qualcosa migliore solo per un proprio parere è davvero una cosa che limita artisticamente un essere umano, fatto sta che se siamo tutti dentro Parco Pavese, davanti il palco del Bay Fest, con maglie di NOFX, Against Me!, Lagwagon e Bad Religion il pericolo che qualcuno ascolti merda si dimezza notevolmente. Micro critiche a parte un live dei Persiana Jones non lo cerco, ma nemmeno lo evito.

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Terzi sul palco i Less Than Jake e il loro ska punk molto più punk che ska. Contentissima di averli rivisti dopo due anni, sullo stesso palco, nelle stesse condizioni di sabbia e sudore. Li ho trovati un po’ meno in forma della volta precedente, ma ho avuto come l’impressione che il tono di un po’ tutte le band fosse calato rispetto ad altri anni, chissà perché, chissà se

mai lo sapremo. Nonostante l’audio che aveva indubbiamente qualche problema, sin dal primo giorno come durante i Punkreas o i Sick Of It All, hanno tenuto il palco come ci si aspetta che facciano, questa volta meno chiacchiere e molto più movimento, in forma da un punto di vista musicale, l’ho trovata davvero un’ottima esibizione con pilastri della loro discografia

come The Science Of Selling Yourself Short, All My Best Friends Are Metalheads,Plastic Cup Politics e Look What Happened. Ho ballato tanto, ancora una volta grazie per avermi fatto scaricare per bene. Tra l’altro bravo pubblico ci siamo presi i complimenti come miglior hand clapping che hanno mai visto.


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È il turno dei Good Riddance che non deludono nemmeno questa volta, puro stile californiano, forse più in forma dell’ultima volta che li ho visti, e fatalità quella famosa pioggia di cui si vociferava dalla mattina è arrivata, inesorabile, nell’arco di qualche secondo, allagando la gente dentro Parco Pavese, il temporale sembrava un remake dello scorso anno, ma il palco non ha avuto problemi, credo si fossero attrezzati, peccato che la gente che non voleva bagnarsi, proprio come lo scorso anno, è rimasta ammassata sotto quei pochi punti coperti, forse qualche gazebo in più sarebbe servito anche per ripararsi dal sole, ma alla fine non era davvero così necessario, le giornate sono state sopportabili e si trovava comunque riparo sotto gli alberi, purtroppo la situazione era diversa sotto palco, dove il sole batteva forte, la sabbia si alzava alta e dove sarebbe bastato spruzzare un po’

d’acqua per rendere le prime file più vivibili. Ho visto comunque festival in condizioni peggiori, cerchiamo quindi di non essere troppo puntigliosi. Penultimi sono i Pennywise che, lasciatemelo dire, hanno rapito il mio cuore. Quello di questo Bay Fest è stato il live con il quale ho finalmente pensato per la prima volta si cazzo i Pennywise non vedo l’ora di rivederli, cosa che non era accaduta la volta scorsa, seppur mi avessero convinta in live più che su disco.

Poi vogliamo mettere la cover di Stand By Me? Non so voi, ma ho corso per tutto il parco come una disperata solo per quanto bene la fanno. Direi che Pennywise super promossi. Il palco si veste di scacchi, sappiamo bene quel che sta per accadere, gli Ska-P, gli ospiti per eccellenza della serata sono pronti a salire, quando ci giunge voce che il concerto era a rischio poiché Pulpul si era rotto il tallone d’Achille e avrebbe suonato in sedia a rotelle, come se la situazione


che si crea ad un live degli spagnoli non sia giĂ di per se abbastanza surreale. Gli sfondi dalle immagini interscambiabili di orologi e vetrate delle chiese portavano il trash ad un livello talmente alto che non me la sento di fare critiche, se in mezzo ci si mette una versione con tastiera ska di Back in Black, basta dire che si rasentava l’imbarazzo, ma è quel trash necessario almeno una volta nella propria vita per risvegliare quel fanciullino comunista e liberista che vive in noi, quindi in alto le canne e lega legalizaciĂłn.



DAY THREE


Terzo giorno e si parte da Bologna con la pioggia, ah si, se vi stesse chiedendo quale fosse la sistemazione di quest’anno, tra spiaggia e albergo a chilometri di distanza, vi risponderò semplicemente con: un avanti e indietro da Bologna a Igea Marina con quattro ore di sonno a notte. Quindi siamo partiti da casa nostra, avvolti dalla pioggia e abbiamo raggiunto un’Igea Marina più umida e

ventosa del solito, il bagno di notte che avevamo programmato mi sa che salta. Ad ogni modo perdiamo l’esibizione di Palm Down, ma arriviamo appena in tempo per Brightr che con la sua chitarra scarabocchiata ha addolcito l’atmosfera e la tensione emotiva dell’ultimo giorno. Si entra e l’aria è già più malinconica, sappiamo

tutti che alla fine della serata dovremo salutare Parco Pavese ancora una volta e ancora una volta dovremo aspettare un anno per rivederlo e per rivederci, perché in fondo, per quanti problemi ci possano essere noi riusciamo a superarli con ironia e con un sorriso, scaricando la tensione nel pogo, sbattendo i piedi sulla sabbia e ballando come non ci vedesse nessuno.


I primi ad esibirsi in quest’ultima giornata sono i Time For Vomit (TFV) e che bomba ragazzi! Davvero non ho mai visto così tanta energia dalla prima band, il pubblico completamente coinvolto, le voci erano alte e i ragazzi di Reggio Emilia hanno dato luogo ad un live perfetto dal primo all’ultimo pezzo, la presenza scenica era travolgente, davvero un piacere vederli sul palco, novantadue minuti di applausi. È il turno degli Shandon e qui torniamo su un tasto dolente a livello di esibizione, non ho mai

mostrato amore nei loro confronti, anzi, e questa volta non mi sono ricreduta. Li ho trovati spenti, mi hanno annoiata e ho trovato che anche il pubblico non fosse pienamente coinvolto. Che tutte le esibizioni sono sembrate un po’ sottotono lo abbiamo già detto, ma in questo caso ancora di più. Terzi sul palco quelli che per me erano l’attrazione della serata, i canadesi PUP. I quattro di Toronto sono stati senz’altro il momento più alto di questo Bay Fest, l’esibizione migliore e più travolgente,

sentire live le perle del loro ultimo album è stato un piacere, ancor più che su disco, mine vaganti come Sleep In The Heat, Kids, Dark Days e DVP hanno infuocato il pogo e rallegrato il pubblico come pochi prima di allora sul palco del Bay Fest 2019. Si mangia qualcosa al volo e nel frattempo gli ultimi biglietti vengono venduti, l’evento è ufficialmente sold out e si vede, la gente è tantissima, talmente tanta che per passare da un capo all’altro del parco ci si impiegano tre giorni, non si era mai visto un Bay Fest così.

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Sul palco salgono i The Story So Far con quel velo alternative che li pone a metà tra pop punk e emo, ho trovato l’esibizione parecchio statica, non li avevo mai visti prima, nemmeno ascoltati per dire la verità e sono parecchio interdetta e delusa da quel che ho visto e sentito, non ho avvertito energia, ma de gustibus. Non me ne vogliate, ma ho ufficialmente ribattezzato Parker Cannon come il terzo Gallagher, il mood alla fine è quello, decidete voi se è un complimento o meno. Con l’arrivo dei Dead Kennedys mi tocca tornare al problema audio, la voce era quasi del tutto assente e le lamentele arrivavano dalle prime file fino in fondo, il problema era evidente, ma non so cosa sia successo, perché se i giorni precedenti l’audio non era eccellente con i Dead Kennedys da dove mi trovavo era davvero complicato distinguere le canzoni. Ad ogni modo la band era super in forma, carichi e veloci, ma sono pur 20

sempre i Dead Kennedys senza Jello Biafra, traete voi le conclusioni. E per concludere torniamo a spuntare un’altra casella, ebbene si, mai visti i The Offspring live, ma abbiamo rimediato anche a questo. I californiani salgono sul palco con un bel po’ di ritardo, suonano poco, credo poco più di un’oretta,

l’età comincia a sentirsi e io non ho più quattordici anni, non nego che avrei preferito un’altra chiusura per questa quinta edizione. C’è da dire che le intramontabili prese dall’unico disco secondo me decente, Americana, restano le intramontabili e trattenersi dal cantarle è impossibile.


E si conclude così, con qualche calcio ai bicchieri e qualche saluto, l’ultimo giorno del Bay Fest 2019, sebbene i problemi non siano mancati l’atmosfera tra il pubblico era equilibrata, rispettosa e pacifica, la gente era felice perché Bay Fest significa musica, significa band internazionali su un palco nel bel mezzo della Romagna, significa polvere in faccia e salsedine tra i capelli, significa ferie, significa un ritrovo.


Il Bay Fest siete voi, siete voi che vi fate i chilometri, da ogni parte del mondo, siete quelli che dormono in campeggio, ma anche quelli che si cercano il primo albergo meno caro e più vicino, siete quelli che si bevono un intero stipendio, ma che restano pacifici, siete quelli che prendono posto sulla collinetta, perché il Bay Fest è anche relax, siete quelli che pogano, siete quelli seduti, il Bay Fest siete voi che lo popolate ogni anno, non chiunque lo organizzi, perciò questo report è tutto per voi, è un onore passare tre giorni con così tante belle persone, speriamo di rivederci il prossimo anno.

Un ringraziamento va a tutto lo staff che, nonostante le difficoltà, ha mantenuto il controllo, ad Hub Music Factory e agli sponsor, ma un ringraziamento speciale va a quei ragazzi che da cinque anni a questa parte hanno reso possibile questo evento, lavorandolo al tornio fino all’ultimo dettaglio. Ci si vede al prossimo Bay Fest.



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