The Unknown 06

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Sembrerebbe che ancora una volta è tempo di restyle! Cambieranno molte cose, cambierà il sito, cambierà una parte del nostro lavoro, cercheremo di incrementare la produzione scritta, cercheremo di soddisfare un po' tutti rendendo le nostre pagine più accattivanti, siamo due menti in continuo movimento, cerchiamo di migliorare ogni minima cosa nel nostro operato, ecco perché in questo periodo il lavoro ha rallentato. Ci impegneremo al massimo per offrirvi tutto ciò di cui avete bisogno, per soddisfare i vostri occhi, le vostre menti e il vostro cuore. Non ci spaventa affrontare un nuovo cambiamento, non ci preoccupa mettere alla prova la nostra creatività, anzi, ci stimola; manterremo l'attitudine quella di sempre, cambiare restando se stessi è la chiave di tutto in un certo senso, ecco perché mai dovrete prenderci troppo seriamente, ecco perché non ci limiteremo solo a creare dei contenuti nuovi, ma raddoppieremo il nostro lavoro e, nonostante questo faccia un po' paura, siamo fiduciose che con il vostro appoggio raggiungeremo un nuovo traguardo, conquistando di volta in volta nuovi obiettivi. Tra commenti positivi e critiche, più o meno, costruttive, ringraziamo tutti coloro che abbiamo incontrato fin ora lungo il nostro percorso: coloro che hanno deciso di supportarci, coloro che hanno deciso di credere in noi, coloro che ci hanno dato la possibilità di crescere, coloro che ci hanno colmato di consigli, coloro che ci hanno, più semplicemente, ignorato. E un grazie particolare va a te che hai deciso, per dedizione, per curiosità o forse più probabilmente perché ti abbiamo citato noi, di leggere questo numero di The Unknown. Nella speranza di soddisfare le tue aspettative ti ricordiamo che il bello sta nell'imperfezione, quindi STAY UNCOOL TO BE COOL!

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Fondatrici: Bianca Errante e Silvia Gigli Autrice: Bianca Errante Fotografa: Silvia Gigli


Reports Pop Punk Mosh Party 3x01 All Time Low

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reviews Anti-Flag

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Spring Mood

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A Kind Of Superhero

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Neck Deep Photo Gallery

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On My Own

A Kind Of Superhero A Kind Of Superhero è una band nata nel 2014 in quel di Latina e oggi porta alla nostra attenzione il suo EP di debutto, un disco in perfetto stile pop punk con diverse influenze che rendono il tutto molto più completo, On My Own. L’EP uscirà a breve e fidatevi, ne varrà la pena dargli un ascolto, quindi tenete d’occhio i loro social. Il disco si apre in modo davvero fresco con My Perfect Enemy. Lo stile richiama in toto il pop punk, le connotazioni del genere ci sono tutte, ma non è troppo lontana l’influenza punk rock più rozza che mette da parte i tecnicismi e lascia che la band dia sfogo ad una musicalità ormai rara nella scena. L’album risulta omogeneo proprio per i fattori chiave del genere che si amalgamano in perfetta sintonia con la voce di Alessandro, che non nego 6

credo abbia un timbro più adatto al punk rock, ma sono finalmente felice di aver trovato un artista con orizzonti ben più ampi di molti altri. Ho apprezzato molto la batteria in Glad To Be Dead e nel complesso l’album è un ottimo esordio, credo non avrebbero potuto fare di meglio come prima presentazione. Appena arriva Stop mi parte un sorriso, venti secondi di canzone più vicina al punk rock che al pop punk, inutile dire che è stata molto apprezzata, sopratutto perché ha rimarcato quella netta e piacevole contrapposizione tra la voce e le sonorità. Unica pecca forse la chiusura, mi è risultata un po’ debole, probabilmente (so far from) Perfect avrebbe funzionato meglio in un altro punto dell’EP; preso singolarmente è un brano comunque molto valido, pieno di carica emotiva e buoni contenuti. Alla fine dell’ascolto la cosa che più mi è rimasta impressa è, senza alcun'ombra di dubbio, la voce, credo sia davvero raro incontrare un timbro come quello di Alessandro che si distingue nettamente dalle solite voci che siamo abituati a sentire in questo scenario.


3x01 Il Pop Punk Mosh Party è iniziato ormai da un mese e ha già regalato soddisfazioni. La prima è stata quella del 7 ottobre, data d’apertura per questa nuova stagione, on stage: Out For Summer e The Bottom Line. Per dirla tutta la nostra decisione di avventurarci fino in quel di Parma è stata una decisione presa all’ultimo minuto, ma quelle avventate, solitamente, sono le migliori decisioni che si possano prendere e così, curiose di sentire i The Bottom Line su un palco ancora decisamente piccolo, non ci siamo fatte sfuggire l’occasione.

In apertura i modenesi Out For Summer, nulla di eccezionale, un po’ acerbi, d’altronde sono al loro primo anno di carriera, avrebbero potuto risparmiarsi le due cover, ma in fondo nulla da rimproverare, spero avranno un’altra occasione per farmi ricredere e per regalarmi qualcosa di più convincente rispetto a ciò che ho sentito. Ma ecco che arriva l’attrazione principale della serata: The Bottom Line. I quattro ragazzi direttamente dall’Inghilterra soddisfano le mie aspettative, tutto ottimo, buona musica, ottimi musicisti, un intrattenimento non indifferente. Il pubblico è coinvolto, è presente, canta insieme a Max e Callum che non si risparmiano diverse

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arrampicate sulle casse; si salta e si balla, l’atmosfera si scalda, diventa una vera e propria festa, questo è ciò che mi piace vedere ad un concerto, questo è ciò che mi aspetto da una serata. Finito lo show dei The Bottom Line è subito festa e ancora festa, e festa fino alle sei del mattino, la birra scorre, le risate risuonano, c’è chi gioca ai videogame, chi invece, sotto palco, canta a squarciagola un dj set pressoché perfetto, c’è una bella atmosfera, ci si scambiano sorrisi, i più molesti cercano di intrattenere una conversazione che in realtà non ha un inizio e nemmeno una fine, poi ci sono i palloncini, a chi non piacciono i palloncini? Io mi sono

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portata a casa un Simba leggermente storpio, lo tengo con me da quella sera, perché quella sera ho scoperto che le cose, se solo lo si vuole, possono essere diverse, le situazioni piacevoli possono ancora esistere ed è per questo che il Pop Punk Mosh Party è uno di quei raduni piacevoli. E’ già un’altra la data passata all’uscita di questo numero, noi purtroppo il 4 novembre non siamo potute essere presenti e la cosa dispiace un po’, ma ci si prepara comunque a fare nuovamente quattro salti al MU di Parma venerdì 7 dicembre, il giorno dopo è festa, che vi costa? On stage: Amber Town e Damned Spring Fragrantia.


live in Bologne Il 29 e 30 ottobre i Neck Deep, in compagnia di Blood Youth, As It Is e Real Friends, hanno smosso il mondo del pop punk con due concerti, uno a Milano e uno a Bologna. A noi la serata a Zona Roveri piace ricordarla cosĂŹ, eccovi qualche foto!

Blood Youth 9


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Real Friends25


As It Is


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Neck Deep


Tornano gli Anti-Flag nelle nostre playlist, tanti sono i titoli che ci hanno regalato in questi anni e tante sono le canzoni che ci hanno emozionato e che ci hanno fatto urlare a squarciagola, dopo l’esibizione, che ancora rivedo vivida nella mia memoria, al Bay Fest di quest’estate mi è risultato davvero difficile aspettare tutti questi mesi per sentire cosa avesse in serbo per noi la band di Pittsburgh. American Fall è un titolo in netta contraddizione con American Spring, precedente release della band, d’altronde anche l’odierno presidente è in netta contraddizione con il Mr. Presidente che nel 2015 accompagnava l’uscita del nono album, e così lo scompiglio sociale che hanno vissuto in quest’ultimo periodo gli Stati Uniti ha partorito altre undici perle della band che non ha mai allontanato lo sguardo dal suo fulcro vitale; ed è proprio questa la peculiarità della band: niente ballad sdolcinate in memoria di un ex qualunque.

La canzone non tarda a partire, l’intro è essenziale, ma immediato, così come il ritornello, punto di forza il bridge che rafforza il brano, regalando una carica peculiare.

L’album si apre con American Attraction, primo singolo rilasciato ed un ottimo inizio per l’album. Il brano risulta aggressivo al punto giusto, ben studiato, e la voce roca di Justin, come al solito, è perfetta per il genere.

La band si destreggia bene tra sing along molto travolgenti come quello di I Came. I Saw. I Believe., e riff ska eccentrici, come in When The Wall Falls, risulta quasi impeccabile, peccato per Digital Boy che non mi ha convinta a pieno, ma che ha

Si passa alla seconda traccia, ultimo singolo, forse di tutti è quello che mi ha convinto di meno, ma The Criminals resta comunque il centro di gravità di tutto l’album, l’intero concept si può dire che ruota attorno a questo brano, sono bastati comunque un paio di ascolti in più per convincermi a pieno della validità della canzone.

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comunque un gran peso in fatto di contenuti, è tuttavia la traccia più debole dell’album. I Came. I Saw. I Believe. tra l’altro ha preso quasi una connotazione da slogan, però forse è troppo immaginarlo come prossimo tatuaggio da fare. Arriva poi il turno di Racist, traccia più travolgente e forte dell’intero disco. Era da tempo che non provavo la sensazione che mi ha messo addosso questa canzone fin dal primo ascolto, è esagerato dire che mi ha messo i brividi? Assolutamente no, è una di quelle canzoni che tutti almeno una volta nella loro vita dovrebbero ascoltare. Risulta orecchiabile, forse gli uditi più raffinati non la troveranno poi così piacevole, ma credo che in realtà non le manchi nulla.

Piacevole anche la chiusura con Casuality che risulta quasi come una luce di speranza alla fine di un grande scompiglio. La tensione politica, sociale ed ideologica che stiamo vivendo merita di essere urlata, con lo scompiglio che tutto il mondo sta vivendo un album così era ciò di cui avevamo bisogno e, a discapito delle ultime dichiarazioni di Gallager, far luce sui recenti avvenimenti, che siano questi politici o sociali, è essenziale, e per fortuna esistono band come gli AntiFlag che con il loro decimo album non mancano il loro consueto bersaglio: muovere una rivoluzione, seppur ideologica.


live in Bologne Era il 2 settembre 2012 e, dopo un diluvio che aveva mandato le mie pulsazioni alle stelle, mi ritrovai in fila per entrare all’Arena Joe Strummer in occasione dell’IDay Festival, primi in scaletta: All Time Low. Certo era un nome a me sconosciuto, ma che alla fine del set destò in me non poco interesse e che mi portò ad un ascolto più approfondito del loro materiale. Le cose andarono bene per un po’, il loro prodotto musicale mi incuriosiva

e soddisfaceva la quindicenne che ero, cose del tutto normali insomma, poi uscì Future Hearts e la mia reazione non fu del tutto positiva, mi allontanai dalla band, forse stavo crescendo, o forse il modo in cui stavano crescendo loro non faceva per me. A giugno di quest’anno uscì il loro settimo album, Last Young Renegade, ma la situazione non fece che peggiorare, ma i pareri di chi li aveva visti ad aprile, in occasione della loro data sold out all’Alcatraz di Milano, mi avevano incuriosita, fino a spingermi ad assistere al loro show all’Estragon Club, il 16 ottobre. Al mio arrivo all’Estragon trovo già un buon numero di fan in attesa dell’apertura dei cancelli, meno di quel che pensavo, più di quella “necessaria”, d’altronde la venue è piccolina, c’è posto per tutti. Passo la giornata in maniera abbastanza gradevole, si scherza con un paio di amici, si chiacchiera, insomma, solite cose da fila, finché non arriva il momento di avviarsi verso l’ingresso, cancelli aperti, si dia il via alle danze (letteralmente). Prime a salire sul palco le inglesi Hey Charlie, chi sono non si sa, 15


praticamente non hanno mai fatto nulla nella loro carriera, un EP alle spalle, tra l’altro decisamente recente, qualche traccia su Spotify e un’unica data da headliner prima del tour in apertura ai quattro di Baltimora. Le tre ragazze, tutte rigorosamente bionde, vestite uguali, alte e con un bel visino, iniziano il loro set nutrendo la mia curiosità, ma sono troppo dura se dico che mi sarei risparmiata volentieri la loro esibizione? Probabilmente si, ma il set è stato uno sventolamento di capelli continuo, accordi su accordi che richiamavano alla mia memoria riff già sentiti, una batterista alquanto imbarazzante che ha semplicemente picchiato, con i polsi più rigidi che io 16

abbia mai visto, le pelli. Simpatiche, probabilmente con del potenziale, ma non adatte all’occasione. E’ il turno dei Creeper, anch’essi inglesi, nome che destò dei sospetti quando vennero annunciati, non riuscivo proprio a capacitarmi come potessero amalgamarsi in quella line up, ma per dirla tutta il loro set è stato il momento migliore della serata, un’esibizione così difficilmente poteva essere surclassata e, infatti, ciò non è successo. La scaletta soddisfa praticamente tutti, partono con Black Rain per giungere a Suzanne, passando per Black Mass, Hiding With Boys, Lie


Awake e Poison Pens, per concludere con la magica Misery. Forse usare l’aggettivo magica è scontato, forse non le da nemmeno giustizia, è stato un momento di pura gioia, di puro piacere emotivo e musicale, la carica che la band è riuscita a trasmettere al pubblico è indescrivibile, insomma, se non eravate presenti mi risulta troppo complicato riuscire a trasmettervela, anche solo lontanamente, se in più aggiungiamo un fattore personale, ovvero la dedica di Will ad una nostra amica, non potete immaginare quanto io sia stata bene. Comunque Will e soci hanno adempiuto al loro compito, mi hanno fatto innamorare di loro, mi hanno


convinta a pieno, nonostante qualche ascolto sporadico non mi ero mai concentrata troppo su questa band, ma da quando li ho visti live qualcosa è cambiato, non posso quindi far altro che ringraziarli, perché quando una band riesce a far questo ha vinto tutto, su tutti. Innamorarmi così di una band, dopo averla vista live, era un po’ quello che mi era successo in quell’ormai lontano 2012 con gli All Time Low, mi avevano incantata, quello scambio di chitarre che volarono sulle loro teste, il loro entusiasmo contagioso, quell’allegria che pochi ai tempi mi trasmettevano, tutte cose che ricordo con piacere, ma che purtroppo non 18

ho ritrovato in questo loro show. Ma partiamo dal principio. Ovviamente ero consapevole che non mi sarei goduta una setlist piena di vecchie perle, da quel primo concerto la band ci ha regalato tre nuovi album, il materiale è quindi raddoppiato e le pretese di assistere ad una Time Bomb, una Jersey Rae o una Forget About It, erano basse. Si parte con la nuova Last Young Renegade e la voglia delle vecchie perle già mi assale, tra l’altro molti mi avevano avvertito che le nuove tracce, piene di basi elettroniche, live risultavano molto meglio, io tutta questa differenza non l’ho notata, ed ecco che una Dirty Laundry, una Drugs & Candy e una Life Of


The Party mi ritrovano del tutto indifferente. Certo fa piacere che già come seconda canzone ci abbiano regalato Damned If I Do Ya (Damned If I Don’t), ed è sicuramente meraviglioso che nella scaletta siano state incluse tracce come Lost In Stereo, Backseat Serenade, Vegas e Weightless, ma non era il 2012, d’altronde io sono cambiata e loro sono cambiati, nulla di così assurdo, semplicemente non ci ritroviamo, non ritrovo più quella band che mi aveva incantata, forse semplicemente i loro contenuti sono rimasti adatti ad un pubblico più giovane, l’età media d’altronde non è di sicuro delle più alte.

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Una grande pecca è stata la voce di Alex, decisamente meno incantevole e tecnicamente imperfetta, ma anche la freddezza di Jack che ha di sicuro scherzato meno di quanto mi aspettassi; punti positivi? Jack con la maglia dei Creeper e Ryan con la maglia degli SWMRS. Una cosa che mi ha davvero lasciata amareggiata, in realtà, è stata la durata del concerto, appena 17 canzoni, con ben sette album alle spalle, forse sono abituata a ben altro, ma credo potessero fare di meglio e se, invece, questo è il meglio che potevano fare, ho assistito a show nettamente più meritevoli d’attenzioni. 20

Nel complesso è andata bene, sarà perché dal fondo dell’Estragon risultava tutto più distaccato, sarà perché ballare e cazzeggiare durante tutto il loro live, con tanto di bottle flip nel mezzo, mi ha distratta, sarà perché quei quattro di Baltimora non sono riusciti ad incantarmi per la seconda volta, sarà perché i gusti cambiano, sarà perché non sono più adatti alle mie esigenze, sarà perché a 21 anni ho bisogno di frasi un po’ più stimolanti di Cause you and me are like drugs and candy.


Arriva alle nostre orecchie il full lenght d’esordio dei romagnoli Spring Moods, poco tempo fa avevano attirato la nostra attenzione con il singolo First Class Bitch e finalmente siamo pronte a goderci il loro lavoro al completo. Partiamo dal presupposto che la band ci regala quattordici tracce veloci e brevi, pensate che la più lunga dura ben due minuti e ventiquattro secondi, questo basti per farvi un’idea di cosa aspettarvi dal disco, pentatoniche e vocalismi eclettici non sono all’ordine del giorno. L’album si apre con una citazione dal film I Guerrieri della Notte, la traccia d’apertura, alla fine dei conti non è altro che un ripetersi di I Don’t Wanna Stay, ma comunque il tutto funziona, non so nemmeno io perché per dirla tutta. Le tracce risultano un susseguirsi di Ramonescore, come non ne sentivo da tempo e, nonostante sia bello tornare alle origini, viste le numerose citazioni e quindi il livello di contenuti, mi sarei aspettata qualcosa più completa, nonostante sappia benissimo che la cosa non rientra nei canoni del genere. L’album, forse proprio per l’assenza di questo fattore sembra tardare a partire, finché non arriva Star Wars Love Story, il brano anima leggermente le tracce precedenti, ed ecco giungerci ad una

nuova citazione direttamente da Goodmorning Vietnam!, sempre nella stessa traccia la band ha inoltre inserito un pezzo del discorso che Trump tenne all’Inauguration Day. E si torna a fare marcia indietro sulle tracce brevi e concise con Fireworks, questa seconda parte dell’album risulta comunque nettamente superiore alla precedente, ha qualcosa in più, non saprei dirvi cosa, ma è più frizzante, mi da quasi l’impressione di non essere un lavoro della stessa band, quindi buon lavoro nella prima parte, ottimo nella seconda, specialmente perché hanno arricchito la mia curiosità con la traccia di sola strumentale All I Want. Alla fine dei conti il concept è semplice, Sad Love Story, nulla di meno, forse qualcosa in più, un album carico di ottime sonorità, credo che il lavoro sia assolutamente ben riuscito. 21





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