The Unknown 09

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Bologna FOUNDERS & DIRECTORS Silvia Gigli Bianca Errante

EDITOR

REPORT Loud Summer Fest Bologna Sonic Park: Weezer Sherwood Fest: Dropkick Murphys

Bianca Errante

REVIEWS

ART EDITOR Silvia Gigli

Chora Pup Edward In Venice Stanis

EDITORIAL STAFF

Gallery

bianca@theunknownmusic.com

silvia@theunknownmusic.com

Bianca Errante “Yanothing” Matteo Pizzuti Francis Patrick

PHOTOGRAPHERS Silvia Gigli Annalisa Fasano Matteo Pizzuti

CONTACTS

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The Unknown is against disinformation and rejects every unofficial news, every unproven source and every kind of media speculation. The Unknown is here just for musicians, fans and good music, is here to speak the truth.

Dune Rats The Amity Affliction La Dispute

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PLAYLIST Cikiracikira

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xm24

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BRAND NEW

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report

LOUD SUMMER FEST

testo e foto di Matteo Pizzuti

Roma c’è. Roma è viva, si muove, tra un cassonetto che straborda di rifiuti, un autobus che non passa per un’ora all’ora di punta ed una linea metro con varie fermate chiuse per mesi interi, Roma resiste. E lo fa gonfiandosi di rabbia per i motivi appena elencati e risputandotela addosso tramite un pezzo hardcore. “A Roma non si fa un cazzo” è la frase che sento dire di più. Frase detta di solito da gente che non ha nemmeno la voglia di andare a vedere che esistono diversi festival, sparsi per tutto l’anno e per tutta la città, che raccolgono gruppi emergenti e non, locali e non. 4

Uno di questi è il Loud Summer Fest, che, come suggerisce il nome, si svolge d’estate. Il LOA Acrobax ha ospitato questo enorme evento, e quando dico “enorme”, intendo dalle 19 alle… In realtà non lo so, alle tre sono dovuto andare via e mancavano ancora i CGB. In ogni caso, è stato sorprendente vedere la varietà di band che hanno suonato, 12 in tutto. Dal crossover thrash degli ormai più volte lodati Rake-Off all’oi di periferia degli spagnoli Boot Boys. Si poteva trovare di tutto, ognuno con la sua particolarità ed i suoi tratti distintivi. I Closed Speech e il loro skate punk melodico anni ’90, i Tibia con il loro hardcore applicato al black metal, i Raw da Cagliari, nei loro costumi di latex, con uno

dei frontman che sicuramente non fa annoiare, tra uno sproloquio su Dio, insulti agli omofobi e un po’ di insano autolesionismo stile GG Allin. Per non parlare del punk metal irriverente dei Maxcarnage. Ora vorrei spendere due paroline in più su di un gruppo che è quello che più di tutti ha rapito la mia attenzione quella serata. Si chiamano Short Fuse e probabilmente già li conoscerete. Li avevo visti già una volta e mi erano piaciuti, ma davanti un palco basso, con molta gente davanti, non ero riuscito a godermeli pienamente. Sono una potenza della natura, uno dei migliori gruppi hardcore al momento sul suolo italiano. Il cantante non sta fermo un attimo, qualche maledizione gliel’ho tirata, visto che


non riuscivo a fotografarlo, corre e salta da una parte all’altra del palco, urlando alla vecchia maniera, alla newyorkese. L’hardcore anni ’90 che riescono a buttarti addosso durante i loro set è un qualcosa di fisico, riesci a toccarlo. Ma la cosa che ho veramente apprezzato è che loro, di violento, hanno solo la musica. Andrea, il cantante, ha più volte specificato che in una scena bisogna supportarsi l’uno con l’altro, niente divisioni. Si poga nel pit, ma nella vita bisogna sempre aiutarsi a vicenda. “Non sono nessuno per dire queste cose”, ripeteva. E mi rivolgo direttamente a te, Andrea. No, non sei nessuno, ognuno di noi è un nessuno. Ma a volte, alcuni di questi nessuno decidono di utilizzare la loro voce per dare dei messaggi, piccoli o grandi che siano. Ed è lì che quel nessuno diventa qualcuno. E tu sei uno di questi. Il resto del concerto fila tranquillo, c’è parecchia gente e sono tutti presi, il set dei No More Lies impeccabile come al solito, i Krangs

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in apertura hanno scosso quei pochi che già erano arrivati, gli Azione Diretta di Perugia, insieme ai Boot Boys già citati hanno portato un pizzico di classico oi. Bella scoperta per i 217 di Pescara, che fino ad ora avevo sentito solamente nominare. E anche il Loud Summer Fest è andato. Ora, un messaggio ad alcune deplorevoli teste di cazzo che risiedono ai piani alti di quella cosa totalmente inutile e dannosa che la gente chiama “governo”. Provate a sgomberarci, provate a chiudere tutti i centri sociali di Roma e d’Italia. Provateci. Questa è guerra. Questa è Roma.


review

CHORA self titled - ep

choranoise.bandcamp.com di Matteo Pizzuti

Ormai, in 27 anni di vita, dovrei aver capito che le emozioni che colpiscono di più sono in realtà quelle più negative. La rabbia, la disperazione, l’estraniazione. In questo EP ci sono tutte le emozioni negative che cercate. Perché in realtà le cercate, vero? Qualche tempo fa ero alla ricerca di gruppi da ascoltare e recensire, quindi fondamentalmente di gruppi che non avevo mai sentito. Un mio amico mi passa un link di Bandcamp con un messaggio molto semplice e chiaro: “Sentite questi zì”. Sì, dai, ascoltiamo. Una badilata sulle gengive. Tutte le cose brutte della mia vita tornate a galla in 19 minuti e nonostante tutto era comunque così bello. Questi sono i Chora, di Firenze, formati nel 2016. Autori di un postrock intriso di salse hardcore che ricorda parecchio gruppi come Neurosis e Breach. Questo EP omonimo, contenente 3 tracce, è capace di far tornare a galla tutti i vostri demoni. Il ritmo lento e sofferto, la voce urlata e i riff a metà

strada tra l’aggressività del metal e la dissonanza del noise creano una sensazione quasi di profondo disagio. Ed è esattamente la loro intenzione. I Chora danno voce alla sofferenza con la musica, sembra quasi uno sfogo, liberarsi dei propri demoni interni, facendoli passare attraverso le note. Il loro nome può prendere due significati diversi: se pronunciato cora si intende (in maniera forse molto semplificata) un’idea teorizzata da Platone, ovvero quell’abisso caotico, la materia alla base di tutto che prende la forma delle idee che riceve. Senza ricevere quell’idea, la Chora rimarrebbe caos. L’altro significato è molto più semplice. Se volete pronunciarlo ciora, vi accosterete al verbo portoghese chorar, che vuol dire piangere.

chitarra e voce e Mary Ann Cocteau alla batteria. L’artwork sulla copertina, creato da Ade-Le, con le sue tonalità di grigio e nero, sembra anticipare il sound che andremo ad ascoltare. Il disco autoprodotto ed autodistribuito, è stato registrato al CSA Next Emerson di Firenze, da Alex Rossi degli xDeloreanx, Carlos Dunga e Destinazione Finale ed è disponibile sia in formato digitale, scaricabile dal loro Bandcamp, sia in copia fisica. Questa recensione si conclude qua, tra una digressione filosofica, una lezione di portoghese e tanta voglia di ascoltare il loro secondo EP, che scommetto essere già in lavorazione, vero?

Entrambe le chiavi di lettura sono interessanti e molto azzeccate. Perché sì, in questi tre pezzi c’è sofferenza, tristezza ed astrazione pura. Lasciando ora filosofia ed emozioni in un angolo, parliamo di cose più concrete e materiali. I Chora sono Ade-Le Ibrida al basso e voce, Cassandra Spettro alla 7


Gallery

DUNE RATS di Annalisa Fasano

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GALLERY

SUBMEET

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review

PUP

MORBID STUFF

pup theband.com pup theband@gmail.com di Yanothing

Quando pensi di aver ascoltato tutto quello che c’è di interessante al mondo, quando la noia ti prende a tal punto da voler passare pomeriggi interi davanti Netflix e un ordine su Just Eat capisci che è arrivato il momento di darsi una svegliata e quale modo migliore che dare un ascolto ai PUP? I canadesi d’altronde sono la carica perfetta per dare uno scossone alla propria vita; dispettosi, irriverenti, come qualsiasi band dovrebbe essere, il connubio perfetto tra quello che piace e quello che è puramente ironico, cazzone e prepotente. L’album si apre con la title track, si apre proprio come pensi che un loro album debba aprirsi, niente strane sorprese o spiacevoli scoperte, Morbid Stuff è di per se una traccia che trasuda midwest emo in diverse occasioni, sarà un caso visto che il produttore è un certo Dave Schiffman? La canzone che ha attirato maggiormente la mia attenzione è di sicuro Kids, forse perché non è sinceramente la canzone che mi aspettavo di sentire su questo disco, forse perché non mi aspettavo di sentirla già come seconda 10

traccia, forse perché pensavo che quest’album ci avrebbe messo più tempo per conquistarmi. Grazie comunque, so già cosa urlare al Bay Fest, d’altronde I DON’T CARE ABOUT NOTHING!

re quel ponte tra old school e new school, dando nuova gloria ad un pop punk che non siamo più abituati a sentire. I PUP si confermano senz’alto la proposta più valida dello scenario odierno.

Morbid Stuff è un pop punk incalzante e ironico che tiene in piedi l’intero disco quasi senza fatica, rendendolo un pezzo chiave nella seppur breve discografia dei canadesi. I riff melodici si alternano ai bridge in pieno stile PUP rendendo anche il titolo perfetto, perché innegabilmente questo è il prodotto più morbido della band e forse anche il più convincente, comprensibile il tour sold out sulla west coast. Alla fine sul disco c’è davvero poco da dire, è un ascolto piacevole, piacevole come lo erano (e lo sono ancora) i Weezer, avevo grandi aspettative e sono senz’altro state soddisfatte.

La chiusura, tipicamente più morbida delle tracce precedenti per una volta incornicia l’album con un vero e proprio senso, ero molto indecisa se recensire o meno questo disco, ma alla fine, i mille ascolti hanno portato all’elogio totale e alla devozione assoluta.

I ritornelli sono incalzanti, i testi si allontanano lievemente dalla cazzoneria tipica loro e abbraccia strutture più definite e rigide, in contrapposizione alla loro sregolatezza. Questo è un album di tutto rispetto, è l’album giusto per questo periodo musicale, è l’album che, forse è esagerato da dire, potrebbe crea-


P L A Y L I S T

CIKIRACIKIRA

The Toasters, 2-Tone Army

Hepcat, I Can’t Wait

Reel Big Fish, Beer

Rancid, Fall Back Down

Punkreas, Canapa

Bad Manners, Special Brews

The Planet Smasher, Unstoppable

Less Than Jake, The Science Of Selling Yourself Short

Goldfinger, Put The Knife Away

Operation Ivy, Unity

Mad Caddies, Road Rush

The Interrupters, Title Holder

Ska-P, Cannabis

Uni Poska, Le Mustazze

RFC, A New Message

The Distillers, City Of Angels

The Mighty Mighty Bosstones, The Impression That I Get

Mustard Plug, On And On

Persiana Jones, Puerto Hurraco

Anti Flag, The Press Corps 11


THE AMITY AFFLICTION

gallery

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di Annalisa Fasano


CANE HILL

gallery

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CRYSTAL LAKE

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POLAR

COVO CLUB, BOLOGNA Viale Zagabria, 1

Venerdì 25 OTTOBRE 2019


WEEZER testo di Yanothing foto di Silvia Gigli

Quanto sono belli i festival? Non possiamo negarlo, un festival è qualcosa che va vissuto fino in fondo, a pieno, almeno un paio di volte all’anno; un festival, che sia questo uno, tre, o sette giorni, è fonte di allegria, felicità, spirito d’appartenenza e serenità, almeno questo vale per me. Mettere piede ad un festival mi fa sentire rinata ed è strano come questa cosa io l’abbia compresa solo pochi giorni fa. Ricordate l’Arena Parco Nord? Una delle venue più importanti del nord Italia, che ha ospitato decine e decine di nomi e che per diversi anni è rimasta in disuso? In quell’anfiteatro naturale ci passai un’intera giornata, la mia prima giornata a Bologna, e per una piccola fuori sede come me sono ricordi importanti e, pensate, qualche anno dopo mi ritrovai a vivere in questa Bologna ed una delle prime cose che feci fu passare un pomeriggio di noia lì, lì dove l’erba era talmente alta da rendere quella collina una montagna, la vidi spoglia di palco e 16

di persone e per qualche secondo credetti davvero che se era morta una venue come l’arena dedicata a Joe Strummer, forse anche tutto il resto della musica sarebbe morta, prima o poi. Invece eccoci qui, sette anni dopo, i Weezer stanno per salire sul palco e sono mille le cose diverse. Intanto è cambiato tutto all’Arena Joe Strummer, l’organizzazione è eccellente e non lo dico tanto per dire, questa volta si va ben oltre al hanno aperto i cancelli puntuali. Appena entri al Bologna Sonic Park vieni accolto da un market ben tenuto, ma credo in posizione per nulla ottimale, ci si fionda al bar, si pagano due euro e si ha un bicchiere riutilizzabile tutte le volte che vuoi, i punti d’acqua non sono pozzanghere, il parco è pulitissimo, nei bagni c’è la carta igienica e niente puzza e per quanto si trattasse di una data molto tranquilla non era scontato trovare tutto così in ordine e pulito. Ma poi danno pure la Coca Cola gratis, dove l’avete mai vista una cosa del genere in Italia?


A scaldare il pubblico già abbastanza accaldato arrivano gli SWMRS ed è di per se abbastanza strano aver visto una band come loro su un palco così grande, abituata alle venue precedenti, innegabile che io mi sia sentita fiera come una mamma lo è dei figli diplomati e con tutto questo in corpo, sempre io, ero una delle poche a conoscerli, anche questo, di per se, è stato parecchio strano. Ancora un po’ acerbi su un palco così grande e senza un briciolo di confidenza con il pubblico, hanno comunque tenuto in piedi lo show, la setlist è filata via liscia e la gente interessata cresceva di canzone in canzone, d’altronde quando una folla si inginocchia insieme a te per poi esplodere in una danza deve essere per forza segno di qualcosa. Grezzi, veloci, strani, questo è ciò che gli SWMRS sono e simboleggiano, ma non è di sicuro facile riportare sui grandi palchi quell’energia con la quale ti travolgono, ci stanno riuscendo? Sinceramente non saprei dare

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una risposta o, comunque, non so quanto questa sarebbe oggettiva. L’organizzazione è super puntuale, il cambio palco è celere ed è già il turno dei Royal Republic. Band svedese con alle spalle dieci anni di attività, un sound alternative molto rock ’n’ roll a tratti garage e a tratti

più melodico, formula che di per se dovrebbe funzionare, ma che in più di un’occasione mi ha lasciata con l’amaro in bocca, il live dei Royal Republic è una di quelle. Non ho grandi cose da rimproverare se non che un live di circa un’ora non può essere una continua scenografia. Va bene, saliamo

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report

alla batteria per mostrare il nostro talento musicale, va bene, lanciamo la chitarra al tecnico con tanto di rullo di tamburi per la suspance, va bene tutto, ma alla lunga non mi potete rimproverare se distolgo l’attenzione e tutto d’un tratto il truck degli hamburger mi sembra più interessante, ma sarà anche la fame a rendermi così acida, alla fine i quattro se la sono cavata bene. Il sole finalmente inizia a calare, il caldo non è più umido, gli stomachi sono pieni e l’entusiasmo per l’arrivo dei Weezer cresce nell’aria, sotto il palco la gente aumenta di minuto in minuto e sulla collinetta restano poche anime per godersi una bella serata di luglio in compagnia di un pilastro della storia musicale. Tutto nella norma. Al loro arrivo sul palco è inutile negare che ha inizio la magia, non ho mai visto nulla di così assurdo e sublime allo stesso tempo, non ho mai provato così tante sensazioni di felicità come durante quel set, non che non sia stata felice ad altri concerti, anzi, sono felice ad ogni concerto a cui vado, ma con i Weezer si provano così tanti tipi di

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allegria che è difficile elencarli tutti. I sorrisi si mescolavano alle lacrime e come uno schiocco di dita, in un viaggio lungo decenni, tra Tears For Fears, e A-ha, si naviga attraverso pietre miliari come Say It Ain’t So, Troublemaker, Perfect Situation e la magica Happy Together, cover dei The Turtles, nella quale hanno inserito un ritaglio di Longview, pura magia. Mi hanno fatta ballare, mi hanno fatta cantare, mi hanno fatta piangere, mi hanno sinceramente fatto vivere una serata indimenticabile e se mai avessi potuto credere di vedere gli Weezer a pochi passi da casa mia, è successo, e chissà che mille cose possono ancora succedere. Tra l’altro, lasciatemelo dire, una delle migliori esibizioni canore di tutta la mia vita.

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Potrebbe succedere di tutto, dopo l’acqua gratis e i bagni puliti, se la Vertigo è stata capace di regalarci un festival come il Bologna Sonic Park forse per la musica c’è ancora una speranza e forse il mondo tornerà a prendere forma, che così comincio a non capirci nulla, che così sta andando tutto a pezzi, ditemi che non è così.

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GALLERY

LA DISPUTE di Annalisa Fasano

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GALLERY

MILK TEETH

PETROL GIRLS

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review

edward in venice empathy

edwardinvenice.bandcamp.com edwardinvenice@hotmail.com di Matteo Pizzuti

“Perfettamente bilanciato… Come tutto dovrebbe essere” probabilmente è ciò che direbbe un Titano pazzo di nostra conoscenza. Ed è esattamente ciò che ho pensato io dopo aver ascoltato la prima volta Empathy, l’ultima fatica in studio, la quarta, per essere precisi degli Edward In Venice. Mai troppa violenza e aggressività e mai troppa melodia. Ogni cosa al punto giusto. Perfettamente bilanciato, appunto. E’ uscito il 26 aprile 2019 sotto l’etichetta inglese Lockjaw Records. L’EP della band pesarese è il primo con Ivan alla chitarra, ed ha passato diverse fasi di registrazione. Le chitarre sono state registrate dalla band stessa, il resto è stato registrato, mixato e masterizzato da tre persone diverse (Riccardo Pasini e Brendan Paolini di Studio ’73 di Ravenna e Neil Kennedy dei Ranch Studios in Inghilterra). Il sound del gruppo non si discosta troppo dai loro lavori precedenti, ovvero un melodic hardcore con pesantissime influenze di un emo anni ‘90, ma sembra tutto decisamente più curato. Il suono, le composizioni, le melodie, i riff, mai banali; vanno a braccetto con del22

le melodie vocali dolci amare, con intermezzi urlati al confine con lo scream. La batteria non è per forza martellante, cosa che spesso accade nel genere, ma sa perfettamente quando frenare e quando premere sull’acceleratore. Nonostante il singolo uscito sia la seconda traccia High Tide, devo dire che i due pezzi ad avermi colpito sono la prima traccia, The Deserter e Blue Whale. The Deserter, che dire? Posso dire che è la perfetta traccia d’apertura per un EP del genere. Dinamica, melodica, ma non sdolcinata e, soprattutto, non prevedibile. Per Blue Whale il discorso è un altro. Non si era fatta notare rispetto agli altri pezzi, fino a circa un minuto dalla fine. La coda del brano è qualcosa di veramente notevole. Sembra riprendere le melodie dissonanti dello Shoegaze dei My Bloody Valentine per portarle in un mondo che ha anche fare più con l’hardcore punk che con altro. E quella melodia di chitarra riverberata in salsa agrodolce non va facilmente via dalla testa. Menzione onorevole anche per Manolo Riddim, una breve strumentale che spezza precisamente a metà l’album. Poco più di un

minuti di accordi dal sapore jazz, un intermezzo rilassante, ma che sembra dire bene, fine primo tempo, adesso arrivano le altre. Anche in questo è perfettamente bilanciato. Tre canzoni, una pausa strumentale ed altre tre canzoni. L’apoteosi della goduria per chi ha quelle leggere punte di OCD che non lo mollano mai. Oppure per Thanos. Aspetto veramente con piacere una prossima uscita. Oppure di vederli di nuovo dal vivo, li vidi alla terza giornata del Bay Fest 2018, in apertura a Bad Religion e Suicidal Tendencies, e già lì mi lasciarono piacevolmente sorpreso. La band nel frattempo partecipa a grossi festival in giro per l’Europa, condividendo il palco con i mostri sacri del genere. Speriamo di ribeccarli al più presto!


grafica di Andro Malis 23


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DROPKICK MURPHYS testo di Yanothing foto di Silvia Gigli

Ah le trasferte, quei meravigliosi viaggi che non vediamo l’ora di affrontare, la giusta preparazione ad un evento, specialmente perché durante le trasferte succedono cose incredibili, e poi vogliamo mettere la magia di un viaggio con la musica ad alto volume, snack ipercalorici e una vista mozzafiato? Certo, tutto ciò quando hai l’auto, ma che succede se sei un plebeo in bicicletta senza alcuna speranza di un viaggio sereno? Finisce che viaggi in un vagone che puzza, di

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un treno in ritardo, senza aria condizionata e tu, che corri per tutta la stazione sudando già tutto il sudabile, resti non solo senza cuffie per la musica ad alto volume, ma non hai nemmeno il tempo di comprare snack ipercalorici. Questa è la condizione di ogni mia trasferta e questo comporta anche assurdi ritardi non voluti sulla tabella di marcia, ma come la mettiamo quando capita la rara occasione di una trasferta in auto e si riesce comunque ad arrivare in totale ritardo? Questo preambolo sul mio viaggio


report

è solo un modo mal celato per dire che mi sono persa qualcosa, qualcosa tipo l’intero set dei The Creepshow allo Sherwood Festival, non che dopo averli sentiti su disco fossi così curiosa. Sono comunque arrivata in tempo per vedere il palco in preparazione dei The Interrupters, d’altronde, scusate la franchezza, ma per me i veri protagonisti della serata erano loro, ah questi benamati opener che non si fila mai nessuno. La lunga assenza della band californiana ha instaurato dentro di me un morboso attaccamento alla loro musica, e pensare che ormai sono passati tre anni dalla loro prima volta in Italia dovrebbe darvi una vaga idea della mia impazienza. Il ritmo e la solarità sono tra i loro punti di forza che sul palco gli conferiscono fluidità, bella presenza e un’ottima carica, impossibile non lasciarsi coinvolgere, tralasciando il fatto che davvero una buona porzione del pubblico ha risposto a braccia alzate e voci sgolate ai californiani, sotto il loro stesso stupore. Alla fine quello che si impara da un loro live è che nessuna release sarà appagante come vederli in azione su un palco e che il testimone di questa nuova ondata di ska lo stanno prendendo in mano loro. 25


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A meno di un anno di distanza i celtici Dropkick Murphys sono tornati nel bel paese per scaldare nuovamente i nostri cuori a suon di irish punk vecchia scuola, di un irish punk controverso, unico nel genere, i Dropkick si confermano ancora una volta un’istituzione nella scena, ma io resto salda alla mia idea, sono davvero pochi i momenti in cui mi vien voglia di dire “si cazzo, i Dropkick Murphys, non vedo l’ora di rivederli”, anzi, credo non sia mai successo e che mai succederà, trovo ci siano proposte nettamente superiori alla loro, ma nonostante questo il set è stato di fuoco, loro erano in ottima forma e nel loro ambiente naturale, qualche punto in più rispetto al Bay Fest della scorsa estate lo hanno guadagnato, d’altronde si tratta sempre di un’istituzione storica nell’irish punk. Lasciare lo Sherwood a fine serata è stato davvero difficile, d’altronde l’estate arriva e comincio a sentire il bisogno di posti del genere, di passare una serata tra birrette in bicchieri riutilizzabili, con buona musica e un’ottima compagnia. L’estate è questo e poterla vivere a pieno, tutti i giorni, ogni sera una città diversa, musica e ancora musica, sarebbe il sogno della mia vita, ma torniamo a lavorare che senza auto mi sa che non si può mica andare tanto lontani.

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report

L’estate significa mille cose, per me significa la luna alle spalle di un palco, l’aria leggera della sera, talmente leggera da alleggerire anche la mia mente. Lasciare il parcheggio nord dello Stadio Euganeo di Padova è stato difficile, ma l’ho lasciato con la speranza di un futuro show da headliner per i The Interrupters, la base è solida e portare più ska nelle nostre estati non sarebbe poi così male, che la vita va affrontata, ma con un sorriso sulle labbra.

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review

STANIS

Tales Of A Modern Society

stanis.bandcamp.com stanispunxhc@gmail.com di Yanothing

Finalmente riesco a ritagliarmi uno spazio per dire la mia sul primo full lenght degli Stanis, trio melodic punk bolognese che si prepara all’uscita di Tales Of A Modern Society con un paio di singoli, Society e Ready Reply, ed EP. La band raggiunge un traguardo importante con quest’album, portando al nostro ascolto undici tracce intense, complesse, travolgenti e un altro milione di aggettivi in più perché è un album veloce, semplice nella sua complessità e porta gli Stanis su un gradino più in alto e se la velocità è sempre stata una loro carat-

teristica chiave, in quest’album non si smentiscono, tenendo comunque d’occhio le linee che restano pulite, in tracce che per definizione potrebbero essere un totale casino, ma che alla fine risultano chiare e trasparenti, la musica rispecchia l’idea della società moderna, da qui credo il titolo, sfuggente, veloce, senza tempo, salda comunque ad alcuni pochi appigli, proprio come l’intero disco. Insomma, sebbene sul fronte nostrano non fossi così felice delle ultime novità ascoltate fortunatamente gli Stanis mi hanno riportata sulla strada del melodic punk all’italiana, suoni crudi e autentici.

Le voci sono ruvide e ben allineate con il resto della musica, la dimostrazione che non servono grandi giochi dietro un buon album è proprio la loro prova, se quindi non avete ancora ascoltato la loro ultima fatica vi prego di correre, sarà sicuramente un valore aggiunto alla vostra vita. Grazie a tracce come Society, Anxiety e Love Song, Tales Of A Modern Society ha riportato un sorriso in questa giornata di ascolto perpetuo che mi ha lasciata con l’amaro in bocca, l’incazzatura sulle nocche e un’immensa voglia di far casino nel pogo. foto di Silvia Gigli

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CONTRO IL NULLA CHE AVANZA xm24 di Yanothing

29 giugno, un giorno di fuoco in questa Bologna umida, un giorno, l’ennesimo, di lotte, lotte contro il patriarcato, lotte contro le potenze che cercano di schiacciare realtà cittadine instaurate nel nostro territorio, spazi antifascisti che creano un ritrovo per centinaia di persone ogni settimana, ogni mese, ogni anno. Cuore pulsante di un quartiere, la Bolognina, casa di The Unknown, un centro importante per la comunità, qualsiasi essa sia, un luogo messo sotto attacco troppo a lungo e ingiustificatamente, un luogo che non vogliamo perdere, un luogo autentico in un quartiere che viene preso quotidianamente di mira da giornali, politicanti e cittadini bolognesi. Il clima politico attuale è il migliore

amico di uno sgombero che è ormai minaccia da anni, ma poi per cosa? Oltre l’odio per i centri sociali di pochi cittadini come può uno spazio socio-culturale come XM24 recare disturbo? Le forze mediatiche celano il vero motivo dello sgombero dietro false lamentele, notizie gonfie più dei miei piedi il giorno del pride, sarebbe addirittura la Bolognina a non volere l’XM, sarebbero addirittura i suoi frequentatori, ma le lamentele si riducono a poche persone, persone che sono il fulcro di una propaganda mediatica denigratoria nei confronti di un centro sociale e del quartiere che lo ospita. XM24 sta lì, ma non ci deve stare, perché è degrado, perché la classe media non vuole vivere tra bestie di satana, per la gentrificazione, per quella riqualifica delle periferie, per quei palazzi ultramo-

derni con appartamenti tutti uguali, appartamenti che nessuno si può permettere, file di palazzi identici, mostri architettonici che distruggono l’equilibrio di un intero quartiere, la ricchezza delle cooperative regionali e delle imprese di costruzione, vantaggio per tutti tranne che per gli abitanti della Bolognina. Non siamo da molto parte della Bolognina, ma stiamo già rischiando di perdere una delle ragioni per le quali questo quartiere deve essere la casa di questo progetto, inoltre con lui sfumerebbero anche tutte le altre ragioni, che sono strettamente legate al clima che si respira all’XM. L’Ex Mercato Ortofrutticolo di via Fioravanti 24 non si tocca, contro il nulla che avanza noi siamo la resistenza.

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DOLL SKIN - LOVE IS DEAD AND WE KILLED HER

LA DISPUTE WATER

ANTEROS WHEN WE LAND

Le Doll Skin suonano proprio come mi sarei aspettata, cattive e rabbiose, crude come una band hardcore dovrebbe essere, una proposta unica nel suo genere, una female fronted band dall’Arizona che ci regala un secondo EP dal carattere deciso, riff che incalzano un cantato potente. Le quattro di Phoenix reggono il confronto con altre realtà della scena e con Love Is Dead And We Killed Her rientrano tra una delle band che mi incuriosisce maggiormente nell’ultimo anno.

Il post hardcore nostalgico e super emotivo dei La Dispute intavola un album da dieci su dieci. Panorama ha un’attitudine teatrale, a tratti cupa a tratti super potente, incalzante, penetrante. I La Dispute, recentemente di passaggio in Italia, ci regalano dieci tracce che risuonano quasi angoscianti all’ascolto, ma che sono il perfetto tuffo in un io interiore che fatichiamo a raggiungere. A metà album ì’angoscia lascia spazio ad uno sfogo continuo, è un album che ti fa sentire bene.

Quando sentite nell’aria uno strano odore di revival non vi starete di sicuro sbagliando, con i colori fluo e le spalline che tornano in voga nei negozi di tutto il mondo gli Anteros atterrano nei nostri cuori con il loro primo full lenght, When We Land. Il suono degli anni ottanta è alle porte e le ginocchia cominciano a muoversi su ritmi frizzanti e leggeri. La voce di Laura è una delle cose più belle che io abbia mai sentito e si sposa perfettamente con l’indie rock che propongono.

dollskinband.com

ladispute.org

anterosofficial.com

BAD RELIGION - AGE OF UNREASON badreligion.com

Torna il professore con la sua banda, come se fosse semplice accettare che i Bad Religion non hanno più vent’anni, il genere più ascoltato non è più il rock ‘n’ roll e il CD è ormai in via d’estinzione. Age Of Unreason è il perfetto pugno in faccia ad una società che forse non ha davvero più voglia di ascoltare queste cose. Più propriamente è ciò che dovrebbe essere, ma si limita, piuttosto, a rimarcare quanto abbiamo bisogno di musica fresca, la lezione l’abbiamo imparata, ci siamo lamentati di quel che avevamo e ci siamo beccati la trap, ma non per questo dobbiamo fingere che un album suoni bene solo perché frutto dei Bad Religion, o forse si drovrebbe solo accettare la saggezza di prof Graffin? Alla fine sono cose da comprendere con molta calma. 30


thebottomlineuk.com

BRAND NEW

THE BOTTOM LINE - NO VACANTION

L’abum degli inglesi The Bottom Line è il racconto di un lungo viaggio, di un lungo tour, di un lungo lavoro e di tutto ciò che quel viaggio ha portato nelle loro vite. E’ in particolare l’evento che li vede coinvolti nell’uragano Harvey a smuovere la band a scrivere No Vacantion. Il quartetto incornicia il loro pop punk in una versione più matura e consapevole. Gli highlight dell’album sono Over and Over, Everything e la melodica Doomed. L’ascolto nel complesso risulta lievemente pesante, ma comunque un ottimo risultato. BLEACHED - DON’T YOU THINK YOU’VE HAD ENOUGH? hellobleached.com

La band tutta al femminile che ha, in passato, fatto breccia nei nostri cuori, torna all’attacco con un nuovo album, Don’t You Think You’ve Had Enough? Una ballata malinconica a colpi di riff melodici e ritmi che ricordano la disco anni ottanta. Le tre di Los Angeles riportano a nuova gloria una proposta effervescente e d’impatto, e se volete il revival che revival sia. THE FERRETS - SICK SAD WORLD

MOTHER LOVE VISION

I The Ferrets, direttamente dal piacentino ci regalano un full lenght di tutto rispetto. Il disco, uscito il 10 luglio è un salto verso un nuovo futuro, una dichiarazione di crescita musicale, ma sopratutto personale, hanno dato vita ad una sbavatura politica che rende la loro proposta ancora più valida.

I Mother hanno finalmente rilasciato il loro primo album o EP, queste mezze lunghezze mi confondono. Love Vision è un album dal sound accattivante che allontana il melodic hardcore da quel che siamo abituati a sentire, nove punti su dieci.

theferrets.bandcamp.com

mothervenice.bandcamp.com 31




www.theunknownmusic.com


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