Archeo n. 476, Ottobre 2024

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BOLSENA

MAGNA GRECIA

VALCAMONICA

INCHIESTA SULLE ORIGINI

MAGNA GRECIA

POLYGYROS

CLASSIS RAVENNA

SPECIALE CIVILTÀ NURAGICA

Mens. Anno XXXIX n. 476 ottobre 2024 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

VOLSINIO

GRECIA

IL NUOVO MUSEO DI POLYGYROS ORVIETO

QUANDO ROMA CONQUISTÒ LA RUPE LAZIO

SORPRESE DAL LAGO DI BOLSENA

SPECIALE

XXVI BORSA MEDITERRANEA DEL TURISMO ARCHEOLOGICO

IL PROGRAMMA COMPLETO

LA SCOPERTA DELLA CIVILTÀ NURAGICA

www.archeo.it

2024

IN EDICOLA L’ 8 OTTOBRE 2024

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ARCHEO 476 OTTOBRE

€ 6,50



EDITORIALE

MEMORIE SENZA SCRITTURA Un’ampia e fondamentale parte dell’antica storia d’Italia si è svolta senza potersi avvalere di uno dei principali strumenti preposti alla sua «autorappresentazione», la scrittura. Può sembrare un’affermazione scontata: l’assenza della scrittura, si obietterà, concorre a definire le civiltà della preistoria e, ancora nel Novecento e perfino ai giorni nostri, caratterizza tutti i popoli del mondo, sparsi dall’Artico alle terre rosse dell’Australia, definiti, appunto, in funzione di questo loro tratto mancante. Eppure, il discorso sui «popoli senza scrittura» dell’Italia si distingue, per complessità e rilevanza: la loro memoria è parte integrante della nostra storia, il loro «racconto» è stato, ed è ancora, oggetto di imprese che segnano la nostra vita culturale e civile. Ce ne parla Gianfranca Salis nello Speciale (alle pp. 84-103), rievocando gli esordi della scoperta della civiltà nuragica. Vale la pena di riportare un passo dell’appello diffuso nel 1920, sull’onda delle prime rivelazioni su questa cultura all’epoca definita «preromana», da Antonio Taramelli, archeologo della Regia Soprintendenza del Museo e degli Scavi di Antichità della Sardegna: «Cessata la grande bufera della guerra, finita in luminosa vittoria per valore di soldati e virtú di popolo, occorre riprendere senza indugio il lavoro nelle arti proficue della pace. Lo studio delle memorie e dei monumenti è fra le piú nobili di queste arti, e da esso proviene gloria ed onore al paese che lo coltiva e lo venera…». Alle moderne indagini sulla memoria delle civiltà italiche del Mezzogiorno ha dedicato, di recente, un’appassionante sintesi Massimo Osanna, oggi direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura, ma per lunghi anni archeologo impegnato nella ricerca sul campo. Nell’intervista in apertura di questo numero (alle pp. 40-55), Osanna spiega come sia proprio la ricerca archeologica a ridare – miracolosamente – voce a quei mondi che l’assenza di scrittura aveva reso muti. Richiamando le parole dello scrittore W.G. Sebald, che, nel suo ultimo romanzo, Austerlitz, lamenta come «l’oscurità non si dirada, anzi si fa piú fitta al pensiero di quanto poco riusciamo a trattenere, di quante cose cadano incessantemente nell’oblio con ogni vita cancellata, di come il mondo si svuoti per cosí dire da solo, dal momento che le storie, legate a innumerevoli luoghi e oggetti di per sé incapaci di ricordo, non vengono udite, annotate o raccontate ad altri da nessuno». Andreas M. Steiner In questa pagina, dall’alto: un bambino impiegato come operaio sugli scavi del santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri e l’archeologo Antonio Taramelli (1868-1939) durante un sopralluogo.


SOMMARIO EDITORIALE

L’INTERVISTA

di Andreas M. Steiner

incontro con Massimo Osanna, a cura di Andreas M. Steiner

Memorie senza scrittura 3

Attualità NOTIZIARIO

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SCAVI Ritorno al Gran Carro

6

«Quella Magna Grecia cosí italica...» 40

66 MUSEI

di Giampiero Galasso

FRONTE DEL PORTO Le tessere raccontano

12

di Cristina Genovese

MUSEI Un cacciatore e la sua storia 16 A TUTTO CAMPO Cento! 18 di Andrea Zifferero

PREISTORIA Cavalieri e disegni misteriosi 22

Una nuova casa per i tesori della Calcidica 66

40

di Dimitra Aktseli

MUSEI

MOSTRE

Le ragioni di una conquista «preventiva» 56

Vivere e pregare in una capitale dell’impero 78 a cura della Redazione

di Giuseppe M. Della Fina

di Giancarlo Sani

56 2024

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€ 6,50

www.archeo.it

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BMPAE TA STU 20 M 24

ARCHEO 476 OTTOBRE

Federico Curti

INCHIESTA SULLE ORIGINI

VALCAMONICA MAGNA GRECIA

Comitato Scientifico Internazionale

Impaginazione Davide Tesei Amministrazione amministrazione@timelinepublishing.it

SPECIALE CIVILTÀ NURAGICA

Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it

CLASSIS RAVENNA

Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it

POLYGYROS

Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it

Mens. Anno XXXIX n. 476 ottobre 2024 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

VOLSINIO

Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Angelo Poliziano, 76 – 00184 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it

In copertina Paestum. Una veduta del tempio di Hera, tradizionalmente noto come Basilica, la cui costruzione fu iniziata intorno al 560 a.C.

Presidente

MAGNA GRECIA

BOLSENA

Anno XL, n. 476 - ottobre 2024 Registrazione al tribunale di Milano n. 255 del 07.04.1990

78 IN EDICOLA L’ 8 OTTOBRE 2024

di Luciano Calenda

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o. it

ARCHEOFILATELIA Un’altra Magna Grecia

GRECIA

IL NUOVO MUSEO DI POLYGYROS

ORVIETO

QUANDO ROMA CONQUISTÒ LA RUPE LAZIO

SORPRESE DAL LAGO DI BOLSENA

SPECIALE

XXVI BORSA MEDITERRANEA DEL TURISMO ARCHEOLOGICO

IL PROGRAMMA COMPLETO

arc476_Cop.indd 1

Maxwell L. Anderson, Bernard Andreae, John Boardman, Mounir Bouchenaki, Wim van Es, M’Hamed Fantar, Louis Godart, Svend Hansen, Friedrich W. von Hase, Thomas R. Hester, Donald C. Johanson, Venceslas Kruta, Henry de Lumley, Javier Nieto

LA SCOPERTA DELLA CIVILTÀ NURAGICA 27/09/24 11:42

Comitato Scientifico Italiano

Enrico Acquaro, Carla Alfano, Ermanno A. Arslan, Andrea Augenti, Sandro Filippo Bondí, Francesco Buranelli, Carlo Casi, Francesca Ceci, Francesco D’Andria, Giuseppe M. Della Fina, Paolo Delogu, Francesca Ghedini, Piero Alfredo Gianfrotta, Pier Giovanni Guzzo, Eugenio La Rocca, Daniele Manacorda, Danilo Mazzoleni, Cristiana Morigi Govi, Lorenzo Nigro, Giulio Paolucci, Sergio Pernigotti, Sergio Ribichini, Claudio Saporetti, Giovanni Scichilone, Paolo Sommella, Romolo A. Staccioli, Jacopo Tabolli, Giovanni Verardi, Massimo Vidale, Andrea Zifferero Hanno collaborato a questo numero: Dimitra Aktseli è archeologa dell’Eforato delle Antichità della Calcidica e del Monte Athos. Luciano Calenda è consigliere del CIFT, Centro Italiano Filatelia Tematica. Francesca Ceci è archeologa presso la Direzione dei Musei Capitolini di Roma. Francesco Colotta è giornalista. Giuseppe M. Della Fina è vice presidente della Fondazione per il Museo «Claudio Faina» di Orvieto. Luciano Frazzoni è archeologo. Giampiero Galasso è giornalista. Cristina Genovese è funzionaria archeologa del Parco archeologico di Ostia antica. Gianfranca Salis è coordinatrice dell’area funzionale Patrimonio Archeologico della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna. Giancarlo Sani è fondatore del Centro Arte Rupestre Toscano. Andrea Zifferero è professore associato di etruscologia e antichità italiche e direttore delle Collezioni d’Archeologia e d’Arte del Sistema Museale dell’Università degli Studi di Siena


Rubriche TERRA, ACQUA, FUOCO, VENTO

Una rivoluzione a colori

104

di Luciano Frazzoni

104 L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA

Il potere dell’immagine 108 di Francesca Ceci

LIBRI

110

84 SPECIALE

La scoperta della civiltà nuragica

84

di Gianfranca Salis

Illustrazioni e immagini: Shutterstock: copertina e pp. 91 (alto), 92/93 – Cortesia Soprintendenza ABAP per la provincia di Viterbo e per l’Etruria Meridionale: pp. 6-11 – Parco Archeologico di Ostia antica: pp. 12-13 – Cortesia Koinè Comunicazione: p. 16 – Stefano Mammini: pp. 18, 20 – Cortesia Centro Arte Rupestre Toscano: M. Colella: pp. 22, 23 (alto), 25; G. Sani: pp. 23 (basso), 24 – da: Massimo Osanna, Mondo nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia, Rizzoli, Milano: pp. 40, 41 (basso), 42/43, 45, 48-55 – Chiara Goia: p. 41 (alto) – Jacques Descloitres, MODIS Land Rapid Response Team: pp. 46/47 – Cortesia Fondazione per il Museo «Claudio Faina», Orvieto: pp. 56/57, 58, 59 (basso) – Doc. red.: pp. 59 (alto), 96, 96/97, 104-106 – Cortesia Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali: pp. 60 (basso), 62; Alfredo Valeriani: pp. 60 (alto), 61 – Cortesia Museo Archeologico di Polygyros: pp. 66-67, 68 (basso), 69, 70-77 – Cortesia Fondazione RavennAntica-Ufficio Stampa & Comunicazione: pp. 78-83 – Cortesia degli autori: pp. 84/85, 86, 88-89, 90, 91 (basso), 93, 94-95, 97, 100-103, 108-109 – Cippigraphix: cartine e rielaborazioni grafiche alle pp. 44, 68, 86/87.

Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.

Pubblicità e marketing Rita Cusani e-mail: cusanimedia@gmail.com – tel. 335 8437534 Distribuzione in Italia Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia srl Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Stampa Roto3 Industria Grafica srl via Turbigo 11/B - 20022 Castano Primo (MI) Servizio Abbonamenti È possibile richiedere informazioni e sottoscrivere un abbonamento tramite sito web: www.abbonamenti.it/archeo; e-mail: abbonamenti@directchannel.it; telefono: 02 49572016 [lun-ven, 9-18; costo della chiamata in base al proprio piano tariffario]; oppure tramite posta scrivendo a: Direct Channel SpA Casella Postale 97 – Via Dalmazia, 13 – 25126 Brescia (BS) L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno. Arretrati Il Servizio Arretrati è a cura di: Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia Srl - 20090 Segrate (MI) I clienti privati possono richiedere copie degli arretrati tramite e-mail agli indirizzi: collez@mondadori.it e arretrati@mondadori.it Per le edicole e i distributori è inoltre disponibile il sito: https://arretrati. pressdi.it

L’indice di «Archeo» 1985-2023 è disponibile sul sito https://ulissenet.comperio.it/ Registrandosi sulla home page si ottengono le credenziali per la consultazione di prova


n otiz iari o SCAVI Lazio

RITORNO AL GRAN CARRO

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i è appena conclusa la prima fase delle ricerche finalizzate alla messa in sicurezza, al restauro, alla fruizione e alla valorizzazione dell’insediamento palafitticolo sommerso del Gran Carro nel Lago di Bolsena (Viterbo). Realizzate grazie ai finanziamenti PNRRCaput Mundi, le indagini sono state condotte al fine di ottenere una conoscenza piú approfondita del giacimento archeologico, preludio alla realizzazione di un percorso subacqueo destinato a migliorare l’accessibilità e l’esperienza del pubblico. Noto dalla metà del secolo scorso, il sito è stato oggetto di ricerche e

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Nella pagina accanto, in alto: foto da drone dell’insediamento del Gran Carro, nel lago di Bolsena (Viterbo). Nella pagina accanto, in basso: vasi ancora in situ sul fondale del lago. ricognizioni intensive da parte del Servizio di Archeologia Subacquea della Soprintendenza ABAP per la provincia di Viterbo e per l’Etruria Meridionale con la direzione scientifica di Barbara Barbaro, funzionaria archeologa specializzata in protostoria. Per la prima volta, lo scavo è stato eseguito secondo i criteri metodologici propri delle indagini in ambito preistorico, in un contesto che presenta una notevole complessità di lettura sia per la presenza dell’acqua, sia per la particolare stratificazione archeologica. Datato alla prima età del Ferro (fine X-inizi IX secolo a.C.), con una fondazione già durante il Bronzo Medio (XV secolo Statuina fittile antropomorfa con connotazioni femminili, avente forse una funzione votiva, dopo la ripulitura, e, nella foto a sinistra, al momento del ritrovamento.

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n otiz iario In questa pagina, dall’alto: un’anfora con anse a colonnette e un poppatoio. Nella pagina accanto, dall’alto, a sinistra, in senso orario: un vaso biconico con decorazione a metope ancora in situ (X-IX sec. a.C.); una coppia di fusi con fusaiole; un pettine in legno individuato nel corso delle indagini.

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a.C.), l’insediamento si articola in due settori: una zona abitativa, localizzata nella cosiddetta «palafitta», e un’area cultuale, identificata nel monumentale tumulo di pietre noto come «Aiola». Dal 2023 le indagini si sono focalizzate in un settore mai indagato dell’area abitativa, con l’obiettivo di mettere in luce strutture archeologiche a una profondità tale da consentirne la fruizione anche con una semplice maschera da snorkeling. «La complessa stratificazione – spiega Barbara Barbaro – è costituita da livelli alternati di strutture andate a fuoco, crollate e poi ricostruite, intervallati da strati interpretabili come terrapieni artificiali accumulati per coprire i resti degli incendi, probabilmente piuttosto frequenti tra abitazioni costruite in legno e dove i focolari erano anche interni alle strutture stesse. Questi strati di “battuto” o terrapieno artificiale si caratterizzano per il colore giallo-arancione dato dalla presenza di numerosissime scaglie, residui della lavorazione del legno dovuti alle ricostruzioni delle capanne, all’interno dei quali si trovano ancora molti strumenti da lavoro, soprattutto lignei, e oggetti non piú in uso e gettati. La maggior parte della ceramica proviene, invece, dai livelli di crollo causati dagli incendi e risulta spesso deformata dall’azione del fuoco e pertanto non piú funzionale in antico seppur se integra nelle forme. Nel corso dell’ultima indagine è stato asportato un primo strato di “battuto”, da cui provengono numerosi strumenti e manufatti di legno, tra cui un manico per ascia, chiavistelli di porte, due fusi, di cui uno decorato con le fusaiole d’impasto ancora infilate, due pettini forse da telaio, un


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coperchietto conico forato con decorazioni plastiche a protome di uccello. Eccezionale è il rinvenimento di un canestro in vimini, che ancora conservava il suo contenuto, di colore biancastro, forse un prodotto caseario. Tra i reperti ceramici, vi sono molte olle per contenere derrate alimentari, ma anche anfore decorate con anse a colonnette, vasi biconici, tazze, ciotole decorate, due poppatoi, e vasetti miniaturistici, tra cui uno presenta incisioni simili a ideogrammi. Unico è poi il rinvenimento di una figurina fittile antropomorfa appena abbozzata, anche nelle connotazioni femminili, in impasto poco cotto, che mostra ancora i

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segni delle impronte digitali di chi l’ha modellata e l’impronta di una trama di tessuto sotto il petto, segno che doveva essere probabilmente “vestita”. Il suo rinvenimento in area abitativa, in una delle strutture messe in luce, è da considerarsi di tipo votivo, forse da mettere in relazione a un qualche tipo di rituale domestico, una sorta di lare ante litteram. Un altro particolare elemento fittile, in questo caso zoomorfo, è rappresentato dal rinvenimento di un cavallino miniaturistico: frammentato sulle terminazioni delle zampe che presentano i segni dei fori passanti per sostenere delle ruote, il reperto è interpretabile come parte di un carretto cultuale protostorico. Per questi due ultimi oggetti sembrerebbe escludersi la possibilità che possa trattarsi di giocattoli, ma è piú probabile siano da interpretarsi quali rappresentazioni plastiche legate ad antiche tradizioni. Dall’interfaccia tra il primo terrapieno individuato e lo strato sottostante, composto da un accumulo di travi lignee andate a fuoco assieme a elementi architettonici, provengono numerosi reperti, tra cui oltre un centinaio di ceramiche, molte integre o ricomponibili, oggetti di bronzo (anellini, fibule, piccoli scalpelli, aghi, ami da pesca): tra gli ornamenti, spiccano un vago di collana di bronzo finemente decorato e un pendente in osso ornato da cerchielli incisi. La distribuzione dei materiali rinvenuti potrebbe dare indicazioni riguardo alla suddivisione degli spazi interni delle strutture, certamente costruite all’asciutto e impiantate direttamente sul suolo e non su soppalchi. Da qui andrebbe

In alto: il poppatoio (vedi foto a p. 8, in basso), al momento del ritrovamento. Nella pagina accanto, dall’alto: il manico in legno di un’ascia; un canestro in vimini con resti di un materiale di colore biancastro, forse un prodotto caseario. revisionata l’idea di “palafitta” proprio sulla base degli ultimi dati archeologici raccolti. Si è infatti rilevato che non solo i pali sono tutti inseriti in cavi di fondazione riempiti di sabbia e inerti, ma sono contenuti in canalette di fondazione piene (contrariamente a quanto si riscontra in contesti all’asciutto in cui sono evidenti i negativi delle fondazioni). Oltre ai cavi di fondazione sono conservati in prossimità dei pali alcuni elementi quadrangolari, in origine di «terra cruda», che hanno assunto una certa consistenza dopo aver subito l’azione del fuoco e quindi combusti. Potrebbe trattarsi di qualcosa di simile a mattoni crudi o muri in tecnica pisée. Contemporaneamente alle operazioni di scavo e recupero sono state condotte ricognizioni in un’area limitrofa solo

apparentemente vuota, ma nella quale sono stati individuati piú di 50 pali nuovi, che si aggiungono agli oltre 500 già noti, testimonianze fondamentali per comprendere l’intero impianto e tessuto abitativo». All’indagine hanno partecipato i restauratori della Società CSR Restauro Beni Culturali S.a.S. e gli operatori Egidio Severi, Massimo Lozzi, Amedeo Raggi. Per l’assistenza in acqua hanno collaborato i sommozzatori della Guardia di Finanza della Stazione navale di Civitavecchia, i subacquei dell’Aliquota Carabinieri di Roma, la motovedetta dei Carabinieri di Bolsena e la Polizia Provinciale di Viterbo. A coadiuvare i lavori di ricognizione i volontari del Centro Ricerche Archeologia Subacquea e i subacquei non vedenti di Albatros Scuba Blind International. Giampiero Galasso

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FRONTE DEL PORTO a cura di Claudia Tempesta e Cristina Genovese

LE TESSERE RACCONTANO LE TOMBE DELLA NECROPOLI ALL’ISOLA SACRA SONO IMPREZIOSITE DA VIVACI MOSAICI POLICROMI E IN BIANCO E NERO. NUOVI E IMPORTANTI INTERVENTI MIRANO A FAVORIRNE L’ACCESSIBILITÀ E LA FRUIZIONE

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a Necropoli portuense all’Isola Sacra si presenta al visitatore con edifici funerari tra i meglio conservati dell’antichità, che si susseguono, a esito di un progressivo addossamento, lungo la via Flavia-Severiana, asse generatore dell’insediamento sepolcrale (vedi Archeo n. 435, maggio 2021; on line su issuu. com). Già il solo carattere monumentale impressiona per la varietà architettonica delle tombe, destinate in prevalenza a liberti, ovvero a quel ceto medio della società portuense che aveva concorso alla costruzione e al funzionamento dei porti imperiali al servizio dell’Urbe. L’appartenenza a questa compagine sociale, che connota l’intero sistema territoriale «OstiaPortus» in chiave cosmopolita e multiculturale, è documentata dalle iscrizioni poste all’esterno delle tombe e a tale committenza va ricondotta anche la scelta degli apparati decorativi (mosaici, stucchi, pitture, terrecotte, sculture) degli stessi edifici funerari e delle maestranze per la loro realizzazione. Quasi in perfetta antitesi rispetto al tono austero con cui si presenta oggi la Necropoli, in buona parte spogliata delle sue decorazioni, potremmo immaginare nell’antichità un

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tripudio di colori, immagini e arredi in cui il ricordo dei defunti veniva proiettato in una dimensione di eternità. Una parte di tali decorazioni è tutt’oggi conservata e visibile in situ: tra queste, sono particolarmente apprezzabili quelle in mosaico con tessere in bianco e nero o policrome.

MITI E ALLUSIONI Per quanto riguarda in generale i temi decorativi, essi consistono in motivi geometrici, in altri di carattere «generico», rinviando approssimativamente al concetto di benessere, e in soggetti di carattere mitologico. Tra gli esemplari che si caratterizzano per l’estrema vivacità delle immagini vi è il mosaico antistante l’ingresso alla cella della Tomba 16, con la rappresentazione di un composito paesaggio nilotico, disposto attorno a una maschera di Oceano:

vi campeggiano piante acquatiche stilizzate, due barche, pigmei, di cui due in posa erotica, un ippopotamo e vari altri elementi vegetali. Un riferimento in stretta connessione con il contesto funerario, allusivo alla concezione stessa dell’aldilà, si scorge nel mosaico, con tessere in bianco e nero, che decora il piccolo atrio d’ingresso della Tomba 143, affacciato direttamente sulla crepidine della via FlaviaSeveriana, in cui sono rappresentate due imbarcazioni che si dirigono verso un faro. La composizione figurata è potenziata in maniera suggestiva dall’iscrizione in greco «ode pausylipos», ovvero «qui cessa ogni affanno», evocativa, in chiave allegorica, del raggiunto momento di serenità al termine della vita, al pari del conforto offerto ai naviganti dall’approdo in un porto sicuro,


Nella pagina accanto: veduta del settore occidentale della Necropoli di Porto all’Isola Sacra. In questa pagina, da sinistra, in senso orario: mosaico antistante l’ingresso alla cella della Tomba 16; i mosaici della corte interna della Tomba «della Mietitura»; particolare del mosaico dell’atrio d’ingresso della Tomba 143.

metaforica della raffigurazione, si potrebbe cogliere un riferimento all’attività lavorativa del proprietario della tomba, forse un pistor (fornaio) o un mercator (commerciante di grano).

UN IMPEGNO COSTANTE

sebbene non sia da escludersi, al contempo, un riferimento topografico alla vicina Portus. Da mettere in relazione con un messaggio funerario è anche la straordinaria decorazione musiva che orna la corte interna della Tomba E 25, detta «della Mietitura». Qui sono presenti due diversi motivi figurati: nella parte scoperta vi è una scena di carattere mitologico con la rappresentazione del momento in cui Alcesti esce dalla porta dell’Ade accompagnata da Eracle che la riconsegna al marito Admeto, seguito da uno scudiero. L’episodio raffigurato è tra

i piú suggestivi a evocare i concetti di pietas e di amore coniugale, che consentono addirittura ad Alcesti di ritornare tra i vivi, dunque di resuscitare, e di ricongiungersi cosí con Admeto. Pure a una concezione circolare della vita, che presuppone una dipartita e un ritorno, trasposta nel ciclo naturale di una coltura quale il grano, si riconnette il mosaico che decora la porzione coperta della corte della stessa tomba, consistente in una sequenza di riquadri che appunto illustrano la coltivazione, la raccolta e la battitura del grano. In questo caso, fuori da una lettura

Un patrimonio musivo dunque ricco e variegato quello della Necropoli dell’Isola Sacra, che è stato negli ultimi due anni interessato da importanti interventi conservativi e di messa in sicurezza (vedi Archeo n. 460, giugno 2023; on line su issuu.com). L’impegno del Parco si sta inoltre dispiegando anche in termini di miglioramento delle stesse condizioni di fruizione di tali mosaici: è infatti in corso di completamento la realizzazione di un apposito percorso di visita e di una balaustra di affaccio che consentirà di poter finalmente apprezzare i mosaici sopra descritti della Tomba «della Mietitura», assicurando al contempo le idonee condizioni in termini di accessibilità da parte del pubblico. Cristina Genovese

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n otiz iario

MUSEI Lombardia

UN CACCIATORE E LA SUA STORIA

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a aperto i battenti nelle scorse settimane, a Sovramonte (Belluno), il Muvar-Museo dell’Uomo della Val Rosna, nato con l’intento di raccontare il primo popolamento umano delle Alpi. L’Uomo della Val Rosna era un cacciatore morto a un’età compresa tra i 25 e i 30 anni, che visse 14 mila anni fa e la cui sepoltura fu scoperta nel 1987, lungo il fianco sinistro della Val Schenèr, che collega Fonzaso al Primiero: artefice del ritrovamento fu Aldo Villabruna, appassionato e studioso di preistoria, il quale, durante i lavori

di rettifica del tracciato stradale, notò un accumulo di materiali detritici a forma di cono. Lo scavo archeologico della sepoltura cominciò nel 1988 e i lavori furono diretti dal professor Alberto Broglio dell’Università di Ferrara, con la collaborazione degli «Amici del Museo» di Belluno. L’Uomo della Val Rosna, incompleto da metà dei femori in giú, fu deposto disteso e supino in una fossa profonda, col corpo reclinato a sinistra, verso la parete del riparo. Sul suo avambraccio sinistro furono posti un sacchetto

Ricostruzione dell’Uomo della Val Rosna, un cacciatore vissuto nell’ultima fase del Paleolitico Superiore, l’Epigravettiano, intorno ai 14 000 anni da oggi.

contenente una punta in osso decorata da tacche, un coltello a dorso, una lama e un nucleo in selce, un ciottolo di siltite, usato come ritoccatore, e un grumo di sostanza resinosa, forse mastice. La fossa venne interrata e coperta da pietre, raccolte nei torrenti circostanti, alcune delle quali dipinte con ocra rossa. I resti del cacciatore sono conservati all’Università di Ferrara, a disposizione degli studiosi, mentre il corredo funerario si trova al Museo Archeologico dei Musei Civici di Belluno. Nelle sale del neonato Muvar sono documentati tutti gli aspetti legati alla sepoltura dell’Uomo della Val Rosna: dalla rappresentazione dei luoghi del ritrovamento, alle modalità di vita dell’uomo preistorico, fino alla particolare sepoltura. La «passeggiata didattica» consente di conoscere da vicino l’antichissimo antenato e le sue abitudini: grazie a ricostruzioni e video, è possibile sapere in che modo si vestiva per affrontare il freddo, come consumava i pasti, a quali medicamenti faceva ricorso per curare ferite e malattie, compresi i denti cariati, quali fossero i momenti della vita del cacciatore e dei suoi contemporanei, come avvenisse la sepoltura. (red.)

DOVE E QUANDO Muvar-Museo dell’Uomo della Val Rosna Sovramonte (Belluno) Orario fino al 31/10: sa-do, 10,00-12,30 e 15,00-18,30 Info tel. 350 1855732 (in orario di apertura); e-mail: info@museomuvar.it; www.museomuvar.it; www.tramedistoria.it

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A TUTTO CAMPO Andrea Zifferero

CENTO! LA NOSTRA RUBRICA HA RAGGIUNTO LE 100 PUNTATE. È PARTITA NEL LUGLIO 2016, CON SPAZI DEDICATI A PROGETTI DI RICERCA E VALORIZZAZIONE DELL’ATENEO SENESE, MA ANCHE ALLA DISCUSSIONE DELLE CRITICITÀ NEL SETTORE DELL’ARCHEOLOGIA E DEI BENI CULTURALI. PROVIAMO A STILARE UN PRIMO BILANCIO

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iamo arrivati, con fatica e soddisfazione condivise con Mara Sternini, in qualità di coordinatori della cura e della qualità dell’iniziativa, alla centesima puntata della rubrica (vedi la prima uscita in «Archeo» n. 377, luglio 2016; on line su issuu. com), che non ha mai interrotto la cadenza mensile durante gli otto anni appena conclusi. Ci sentiamo in obbligo di esprimere gratitudine al direttore Andreas M. Steiner e alla redazione della rivista, per la professionalità e la pazienza con cui ci hanno assistito nella programmazione e nell’editing dei contributi, senza dimenticare i nostri colleghi e i giovani collaboratori, che nel tempo hanno offerto un supporto importante alla continuità di A Tutto Campo, con la sintetica presentazione dei loro progetti. L’Università di Siena ha proposto ai lettori di «Archeo» diversi esempi di applicazione della metodologia archeologica, nelle ricerche di superficie, negli

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Visitatori in fila all’ingresso del Parco archeologico del Colosseo.

scavi e negli studi condotti su abitati, necropoli e santuari a vario livello geografico e cronologico, ma anche con lo studio dei luoghi di estrazione e trasformazione delle materie prime, come miniere e fornaci, senza trascurare le analisi sulla cultura materiale e sulla storia della ricerca.

DISCIPLINE IN SINERGIA Di particolare interesse per chi scrive, i progetti promossi attraverso forme di collaborazione multidisciplinare con scienze che indagano la genetica di piante e popolazioni e con scienze mirate alla ricostruzione dell’ambiente e

del paesaggio delle comunità antiche, con l’impiego di analisi archeometriche per identificare l’origine degli impasti argillosi delle produzioni ceramiche e i residui organici ancora presenti nei contenitori recuperati sugli scavi, essenziali per ricostruire i sistemi alimentari delle comunità antiche. Da segnalare, per importanza e numero di interventi, i servizi dedicati alla ripresa, nell’arte contemporanea, di archetipi e modelli dell’architettura e della scultura greca e romana e a tutti quei temi suggeriti dalle criticità che attraversa la disciplina nella tutela e valorizzazione del



Altre immagini dei turisti che ogni giorno visitano l’Anfiteatro Flavio. Nel 2023 il Parco archeologico del Colosseo ha fatto registrare oltre 12 milioni di ingressi. patrimonio culturale. Con il numero 100 della rubrica, ripartirei proprio da questo argomento, decisamente attuale e utile a stimolare una riflessione tra i lettori della rivista. Mentre le Università italiane, la cui missione è perseguire la formazione dei giovani archeologi anche con l’esperienza sul campo, hanno finalmente intensificato in anni recenti i rapporti con le comunità locali, grazie alle attività di Terza Missione (altrimenti definita Public Engagement), consistenti in una sistematica disseminazione dei prodotti della ricerca, con la ricezione e la messa in opera dei suggerimenti provenienti dai settori dell’archeologia professionale e dalle componenti impegnate nella tutela e valorizzazione dei beni culturali, il Ministero della Cultura (MIC) ha modificato in profondità le modalità della propria missione, introducendo una progressiva distinzione tra le attività di tutela, essenziali per la conservazione del bene, e quelle di valorizzazione, concentrate sull’organizzazione dei musei, dei monumenti e dei siti e parchi di varia filiera. Il recente Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (n. 57 del 15 marzo 2024), entrato in vigore il 18 maggio scorso, ha quindi suddiviso il MIC in quattro Dipartimenti distinti, dedicati

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rispettivamente all’Amministrazione Generale (DiAG), alla Tutela del Patrimonio Culturale (DiT), alla Valorizzazione del Patrimonio Culturale (DiVA) e infine alle Attività Culturali (DiAC), che costituiscono oggi l’asse portante dell’Istituto. Il potenziamento delle attività di valorizzazione era stato avviato nel 2016, con il conferimento di una maggiore autonomia gestionale e organizzativa ai musei, siti e parchi piú prestigiosi: tale configurazione era poi confluita nella creazione del Sistema Museale Nazionale, istituito nel 2018, che oggi accoglie 554 tra musei, raccolte, monumenti, siti e parchi accreditati e 372 collegati (elenco aggiornato ad agosto 2024), di vario profilo giuridico, tra i quali spiccano i Musei Nazionali e soprattutto i Musei Civici, afferenti alle Regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Calabria, Sardegna e alla Provincia Autonoma di Trento.

POLITICHE SOSTENIBILI Il Sistema Museale Nazionale è basato su una forma di accreditamento garantita dal numero e dalla qualità degli standard assicurati dal singolo museo (per esempio, i giorni di apertura al pubblico, i profili professionali del personale dedicato, i servizi ai visitatori, ecc.), che dovrebbero costituire la base di

partenza per politiche sostenibili di gestione partecipata, organizzate in rete e coordinate dal MIC. La realtà è però diversa, perché l’esperienza dei sistemi museali, avviata nel nostro Paese dagli anni Ottanta e messa a regime negli anni Novanta, ha insegnato che il livello piú indicato per la creazione e soprattutto per la governance delle reti è quello regionale, se non addirittura provinciale (vedi «Archeo» n. 398, aprile 2018; n. 407, gennaio 2019; n. 408, febbraio 2019, on line su issuu.com). Chi scrive nutre forti perplessità sull’effettiva efficacia di un Sistema Museale Nazionale, che sembra comunque privilegiare e portare sempre all’attenzione pubblica i grandi musei, monumenti e parchi delle città d’arte, trascurando invece il patrimonio diffuso, esemplificato dai Musei Civici, oggi piú che mai bisognosi di una progettazione culturale e di valorizzazione, capace di integrare la visita al museo con itinerari dedicati ai monumenti e ai siti archeologici sparsi nel territorio comunale. Senza contare l’effetto negativo che gli eccessi di un turismo concentrato nelle città hanno sul degrado dei monumenti e dei musei, oltre al palpabile disagio causato ai residenti. Ma di ciò tratteremo nelle prossime puntate di A Tutto Campo. (andrea.zifferero@unisi.it)



n otiz iario

ARTE RUPESTRE Valcamonica

CAVALIERI E DISEGNI MISTERIOSI

L

a Valcamonica è stata teatro di una storia millenaria e vanta uno starordinario patrimonio di arte rupestre preistorica, forte di centinaia di rocce con migliaia di incisioni che raccontano e illustrano questa storia. Da alcuni anni la commissione Terre Alte del Comitato Scientifico del Club Alpino Italiano collabora con altri ricercatori italiani alla ricerca e allo studio delle pitture presenti nella valle; al momento queste sono state individuate tutte sul versante orografico sinistro, con la massima concentrazione presso le cosiddette Scale di Paspardo, che iniziano in località «le Sante» e risalgono l’articolato versante della montagna, lungo il quale vi sono numerose falesie e ripari sotto roccia. Lo studio di queste eccezionali testimonianze ha avuto inizio già in passato e dunque, prima di dare conto delle ricerche piú recenti, è opportuno fare un po’ di storia. Nel 1957 Emmanuel Anati, emerito studioso di arte rupestre, segnalò una pittura da lui individuata sulla roccia denominata «La Roccia del Sole», nelle vicinanze di Paspardo. Si trattava di una croce, di probabile epoca medioevale, dipinta a calcina bianca e per molti anni è stata l’unica pittura scoperta nella valle, ben poca cosa rispetto alle centinaia di migliaia di figurazioni incise sulle rocce. Solo nel 1992, nel corso di una campagna di ricerche di superficie condotta allo scopo di censire le rocce incise, fu notata una parete aggettante con tracce di pitture. Un’attenta analisi permise di scoprire una figura di cavaliere, dipinto probabilmente con ocra rossa. La figura misura 30 x 25 cm circa e risulta leggibile solo nella parte centrale, dal momento che

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uno spesso strato di calcite, che sta sfogliandosi, impedisce di vedere la parte anteriore del cavallo. Il cavaliere è definito da una sottile linea di contorno; il braccio destro è alzato a sorreggere una spada o quel che resta di una lancia, mentre il sinistro è rappresentato come

In alto: un momento dell’analisi della parete rocciosa alle Scale di Paspardo, dove è stata osservata la massima concentrazione di pitture.


nell’atto di sorreggere le briglie. Il busto va assottigliandosi verso il centro e lascia intravedere una cintura, alla quale è forse appesa la guaina della spada: si osserva infatti una linea che attraversa di sbieco la parte inferiore del busto sotto la cintura. Il cavaliere sembra indossare un elmo, dalla cui calotta si dipartono piccoli segmenti, a indicare la presenza di una cresta. Il collo del guerriero è lungo, ma della medesima grandezza del tondo con cui è realizzata la testa. Testa e collo sono campite interamente dal colore. Il cavaliere appare di proporzioni piú grandi rispetto al cavallo. Dell’animale si notano chiaramente la coda, due zampe e tracce di una terza. L’abrasione della calcite impedisce di osservarne il muso, ma alcune tracce del colore del collo restano

A destra: il dipinto raffigurante un cavaliere, scoperto nel 1992 nel corso di una delle campagne di ricerca condotte dal Centro Camuno di Studi Preistorici. In basso: il dipinto del personaggio ribattezzato «cavaliere rosso», scoperto nel 2008 nei pressi del torrente Re di Tredenus.

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visibili sotto il velo piú chiaro del calcio. Per quanto concerne una proposta di datazione, non si può non tenere conto della presenza del cavallo, che riporta la figura nell’ambito dell’età del Ferro, delle cui fasi è caratteristico anche il tema del guerriero. Purtroppo, la mancanza dello scudo nella figura, impedisce una collocazione cronologica piú circoscritta della nostra figura. Nella prima età del Ferro, infatti, gli scudi sono sempre rotondi o a pelle di bue, mentre nella seconda età del Ferro sono costantemente rettangolari o quadrangolari, del tipo cosiddetto La Tène. Al di sotto della pittura a 1 m circa di distanza, si notano chiaramente alcune

incisioni realizzate con tecnica a martellina e a graffito. Tra le figure a martellina è ben evidente una piccola scena di duello, mentre le figure a graffito appaiono molto piú schematiche: antropomorfi schematici nello schema «alberiforme», stelle a cinque punte, meandri e figurazioni geometriche (capanne?). Solo quindici anni piú tardi venne finalmente scoperta una nuova pittura in Valcamonica: era l’ottobre del 2008, quando il ricercatore danese Bjarne Stig Hansen si trovò davanti a una placca verticale di arenaria sulla quale apparivano evidenti quattro zone con pitture in rosso, alcune di non facile immediata lettura.

Nella pagina accanto: la pittura, scoperta in località Figna, raffigurante un cervo e, accanto all’animale, una figura antropomorfa armata. In basso: particolare dell’ascia a tagliere espanso impugnata dal «cavaliere rosso». La tipologia dell’arma permette di datare la pittura al II sec. a.C.

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Il punto in cui si trova la parete con le pitture è sul lato destro della forra del torrente Re di Tredenus, scosceso e di difficile accesso. Il successivo rilievo, lo studio e l’elaborazione delle fotografie in alta risoluzione hanno permesso di appurare la presenza di tre cavalieri, di un volto a grandezza naturale, di una sagoma antropomorfa, l’incisione di una croce e della data 1560. Si tratta sicuramente del piú importante ritrovamento pittografico della Valcamonica e di tutta l’arte rupestre centro-alpina. La figura piú conservata è quella denominata «cavaliere rosso», dove possiamo ammirare il cavallo con criniera, l’elmo crestato, l’ascia impugnata e i dettagli della veste del cavaliere. L’ascia è del tipo a tagliente espanso e questa connotazione è molto importante per la possibile datazione del complesso pittorico, data la sicura appartenenza alla facies finale della cultura di La Tène finale, tra la fine del II secolo a.C. e l’epoca della romanizzazione della valle. Sulla destra, in alto, abbiamo una figura di cavaliere con capo raggiato, scudo «a pelle di bue» e gonnellino frangiato del tipo raffigurato su alcune incisioni in zona. Insolito e particolare è il grande volto in colore bianco, in cui si distinguono la sagoma della testa, del collo e l’abbozzo di occhi, naso e bocca. Tutte le figurazioni dipinte sono attribuibili alla tarda età del Ferro (IV-I secolo a.C.). Poco prima di arrivare alla prima delle rocce incise dell’area di Campanine di Cimbergo, su una paretina rocciosa verticale alla sinistra del sentiero, è dipinta in arancione scuro una ruota a tredici raggi, poco visibile a occhio nudo. La pittura venne scoperta dal


Centro Camuno di Studi Preistorici nel corso delle numerose campagne di ricerca e di rilievo delle rocce incise nell’area di Campanine, che per molti anni hanno impegnato i ricercatori dell’istituto, che, nel 2009, hanno pubblicato Lucus Rupestris, un’opera racchiude il corpus completo delle oltre cento rocce studiate e rilevate. Significativo è il fatto che proprio la prima istoriazione dell’area sia la rappresentazione di una ruota, un soggetto che ritroviamo su altre rocce dell’area e ancor piú frequentemente nei siti limitrofi di Pagherina e Dos del Pater. La ruota a raggi e i simboli circolari in genere (incluso il sole raggiato) rivestono un valore simbolico particolare nell’arte rupestre

camuna, a partire dalla fase calcolitica. La valenza prevalente è di carattere uranico, mentre nel Tardo Ferro è un probabile simbolo del dio celtico Taranis o suo equivalente locale. Circa venticinque anni fa la ricercatrice del CCSP Tiziana Cittadini, osservando le pareti di un riparo sotto roccia in località Figna, notò una labile pittura che rappresentava un cervo e la successiva elaborazione di alcune foto della pittura ha permesso di «vedere» una figura antropomorfa armata posta alla sinistra del cervide. Recenti esplorazioni, alle quali ha collaborato il Centro Arte Rupestre Toscano, hanno portato a nuove scoperte: ne segnaliamo qui le piú significative, anche se, al momento, di difficile interpretazione.

Un disegno particolare si incontra nei pressi della roccia dei Tridenti (Scale di Paspardo) e una sinuosa pittura, anch’essa di difficile lettura, si trova su una roccia, alla destra del sentiero, nei pressi di Foppe di Nadro. Alla base delle rocce che ospitano i dipinti non sono mai stati trovati resti dei coloranti, probabilmente perché non sono mai stati eseguiti sondaggi stratigrafici. Nei pressi delle rocce incise invece sono state ritrovate ocre con tracce di usura, una circostanza che fa pensare alla possibile colorazione delle figure incise. Appare ancora oscuro il motivo della colorazione (quasi sempre sul rosso), che potrebbe avere avuto una valenza magica o rituale. Giancarlo Sani

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i n f o r m a z i o n e p u b b l i c i ta r i a

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INCONTRI Campania

L’ANTICO FA SPETTACOLO Al via, dal 9 ottobre, la seconda edizione di FAB! – Festival dell’Archeologia di Bacoli – che si consolida come l’appuntamento in Campania per gli appassionati di Archeologia, Cultura e Ricerca. Con focus su Intelligenza Artificiale e Parchi Archeologici. Nata nel 2023 con l’intento di valorizzare il patrimonio storico e naturalistico dei Campi Flegrei, la rassegna internazionale di cinema e cultura archeologica è diretta da Nicola Barile e organizzata da Giovanni Parisi e Giovanni Calvino per TILE Storytellers, con il contributo della Regione Campania e della Fondazione Film Commission Regione Campania. Curatore della rassegna cinematografica è Dario Di Blasi, organizzatore e consulente per prestigiosi festival nazionali e internazionali, come Rovereto, Firenze, Atene, Spalato. Le proiezioni e le presentazioni si tengono presso il palazzo dell’Ostrichina, all’interno del Complesso Borbonico del Fusaro, mentre i panel scientifici si tengono nella splendida Casina Vanvitelliana, ex casino di caccia del Re Ferdinando I delle Due Sicilie. Tra le peculiarità della rassegna ci sono il focus sull’intelligenza artificiale, la comunicazione istituzionale dei Parchi Archeologici e le mattinate dedicate alle scuole, con film selezionati ad hoc per i piú giovani, laboratori didattici e visite guidate. Nucleo centrale di FAB! è il concorso, con una selezione di quattordici film, che verranno valutati da una giuria di esperti del settore e dal pubblico. Come premi due statue che rappresentano una Kore moderna avvolta in una pellicola cinematografica, firmate dall’artista Salvatore Scuotto fondatore, insieme ai fratelli, de La Scarabattola, autori, tra l’altro, del premio Giffoni Film Festival. Questi i film in concorso: Orfeo ed Euridice, Don Pelayo, Tremors, Alexander the Great Pharaoh, Neanderthal: the First Artist?, Witness of History, Gaziantep: Septimius Severus Bridge, Pompei, le Secret de la Villa de Civita Giuliana, Cast in Bronze,

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In alto: i vincitori dell’edizione 2023 di FAB! con Dario Di Blasi (secondo da destra). Qui sopra: Giovanni Calvino (a sinistra) e Giovanni Parisi. Lady Sapiens, The Philae Operation, Rescuing the Nile’s Temple, Giordania Biblica, Diving in Aegean History, Ostia: sulle Sponde della Storia, Pret’a Mmare. Spazio fuori concorso per Acquateam, Brividi nell’artico, Caramelle, Animiamoci e Lucia nella notte, dedicati ai piú piccoli durante i matinée e, il venerdí, ci saranno le dirette streaming per i bambini ricoverati nel polo pediatrico Santobono-Pausilipon – il piú grande del Sud Italia –, organizzate da Emanuela Capuano. TILE Storytellers, in collaborazione con Comune di Bacoli, Regione Campania, Lite Communication, Parco Borbonico del Fusaro, Royal District presenterà una serie di attività collegate al festival. «Il Cinema Archeologico riveste un’importanza fondamentale nell’ambito della divulgazione culturale e della conservazione del patrimonio storico. Attraverso l’arte cinematografica, si possono non solo portare alla luce le meraviglie nascoste del passato, ma anche ispirare e coinvolgere il pubblico, promuovendo la valorizzazione delle testimonianze che arricchiscono la comprensione della storia umana», cosí gli organizzatori. Tra i partner dell’evento il MANN-Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Parco Archeologico dei Campi Flegrei, il Museo Darwin-Dohrn, la Soprintendenza dell’Area Metropolitana di Napoli, l’EAV, il Parco Borbonico del Fusaro, la onlus Sostenitori dell’Ospedale Santobono, il Royal District dei Siti Reali Borbonici e la Pro Loco di Bacoli.



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ARCHEOFILATELIA

Luciano Calenda

UN’ALTRA MAGNA GRECIA 1 2 3 Questo numero di «Archeo» si apre con l’intervista all’archeologo Massimo Osanna, direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura, che prende spunto dal suo recente libro Mondo Nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia (vedi alle pp. 40-55). Sulla base dei suoi studi e 4 5 6 della lunga esperienza lavorativa in loco, Osanna sostiene, e dimostra, che il termine «Magna Grecia» va applicato piú che a entità geografiche o politiche a un lungo processo di integrazione tra le genti italiche del Sud dell’Italia continentale (1) e i nuovi arrivati. Le comunità che si formarono nel 7 8 tempo raggiunsero livelli talmente alti in campo sociale, culturale ed economico che gli stessi Greci considerarono tali realtà addirittura superiori a quelli della madrepatria: ecco, in estrema sintesi, il senso della dizione Magna Grecia per quelle parti d’Italia! Il libro 9 narra dei molti scenari di questo fenomeno socio-politico 10 e qui mostriamo alcuni dei siti citati e altre località che fanno parte di questa «Magna Grecia» italiana, allargata poi anche alla Sicilia, in ordine cronologico. I primi insediamenti 11 risalgono 775 a.C., quando genti da Calcide (2), città dell’Eubea, 11a fondarono Pithecusa (Ischia, 3), dove è custodita la «coppa di Nestore», che reca tre versi che alludono alla coppa descritta nell’Iliade e che sono il piú antico documento in lingua greca e il primo riferimento scritto ai poemi omerici. Contemporaneamente fu fondata Cuma, sede della famosa Sibilla (4), e poco dopo, tra il 756 12 13 14 e il 730, fu la volta dei primi insediamenti siciliani: Giardini Naxos (5) e poi Zancle, oggi Messina (6). Sulla costa ionica Greci di stirpe achea fondarono nel 720 Sibari (7) e, subito dopo, Crotone; in quegli stessi anni fu la volta di Locri (8), citata da Plinio il Vecchio (9) nella sua Storia Naturale, quando scrive che: 15 16 «A Locri inizia la costa d’Italia detta Magna Grecia…», forse perché fu l’ultima città fondata da Greci direttamente provenienti dal Golfo di Corinto. Qualche tempo prima, 17 nel 704 a.C., furono fondate Taranto, città che oggi è intesa come il centro della Magna Grecia (10), e Metaponto (sullo sfondo del IL CIFT Questa rubrica è curata dal CIFT (Centro Italiano di Filatelia Tematica); per francobollo si vedono le colonne del tempio di Hera, 11, 11a). Poi fu la chiarimenti o informazioni, si può scrivere alla volta di Paestum (12) e dell’espansione verso la Sicilia con Siracusa redazione di «Archeo» o al CIFT, anche per (13), Gela (Mura timoleontee, 14), Agrigento (15), Heraclea Minoa (16) e qualsiasi altro tema, ai seguenti indirizzi: Selinunte, ove fu trovato il famoso Efebo d’oro (17). Segreteria c/o Luciano Calenda In definitiva possiamo dire che la Magna Grecia dopo Sergio De Benedictis C.P. 17037 - Grottarossa l’integrazione dei primi Greci con gli Italici Corso Cavour, 60 - 70121 Bari 00189 Roma continentali e dopo l’estensione verso la Sicilia segreteria@cift.club lcalenda@yahoo.it oppure www.cift.it diventò ancora piú «Magna».

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CALENDARIO

Italia ROMA Teatro

Autori, attori e pubblico nell’antica Roma Museo dell’Ara Pacis fino al 03.11.24

Un museo per l’École

La collezione di antichità dell’École française de Rome École française de Rome, Galleria (piazza Navona, 62) fino al 20.12.24

BOLZANO Etruschi

Artisti e artigiani Centro Trevi-Trevilab fino al 02.02.25 (dal 24.10.24)

CARRARA Romana marmora

Storie di imperatori, dèi e cavatori CARMI, Museo Carrara e Michelangelo fino al 12.01.25

Penelope

Parco archeologico del Colosseo, Tempio di Romolo e Uccelliere Farnese fino al 12.01.25

CENTURIPE (ENNA) Il rapporto tra Roma, gli Italici e la Sicilia Museo Archeologico Regionale fino al 09.01.25

CONEGLIANO (TREVISO) Egitto DeVoti Etruschi

Da Veio a Modena e ritorno Museo delle Antichità etrusche e italiche. Sapienza Università di Roma fino al 31.03.25

Viaggio verso l’immortalità Palazzo Sarcinelli fino al 06.04.25 (dal 23.10.24)

FORTE DEI MARMI (LUCCA) Gli Egizi e i doni del Nilo Fortino Leopoldo I fino al 02.02.25

GAVARDO (BRESCIA) L’età del Legno. 4000 anni fa al Lucone

ARICCIA (ROMA) La riscoperta della Domus Aurea: Smuglewicz, ovvero «Francesco Polacco» Incisioni dalla collezione Marigliani Palazzo Chigi fino al 24.11.24

BARUMINI (SUD SARDEGNA) Sardegna nuragica

Scavi e scoperte tra Ottocento e Novecento Centro Giovanni Lilliu fino al 03.11.24 34 a r c h e o

Manufatti in legno e tessuti dal sito palafitticolo dell’età del Bronzo Museo Archeologico della Valle Sabbia fino al 31.12.24

ORVIETO Volsinio capto. 265-264 a.C. Museo Etrusco «Claudio Faina» fino all’08.12.24

PITIGLIANO (GROSSETO) Guerra e Pace

Significati e simboli del rango e del potere nei contesti funerari vulcenti Museo Civico archeologico «Enrico Pellegrini» fino all’08.12.24


Sarà gradito l’invio di informazioni da parte dei direttori di scavi, musei e altre iniziative, ai fini della completezza di questo notiziario.

POMPEI L’altra Pompei

Vite comuni all’ombra del Vesuvio Parco Archeologico di Pompei, Palestra grande fino al 15.12.24

TORINO La Scandalosa e la Magnifica 300 anni di ricerche su Industria e sul culto di Iside in Piemonte Galleria Sabauda, Spazio Scoperte fino al 10.11.24

TRENTO Con Spada e Croce

Longobardi a Civezzano Castello del Buonconsiglio fino al 20.10.24

VETULONIA Il ritorno del condottiero

Principi etruschi nella Tomba del Duce di Vetulonia Museo Civico Archeologico «Isidoro Falchi» fino al 02.02.25

REGGIO CALABRIA Gli dèi ritornano

I Bronzi di San Casciano Museo Archeologico Nazionale fino al 12.01.25

Francia PARIGI Capolavori della Collezione Torlonia Museo del Louvre fino all’11.11.24

Nella Senna

Ritrovamenti dalla preistoria ai giorni nostri Crypte archéologique de l’île de la Cité fino al 31.12.24

Il Met al Louvre

Dialoghi di antichità orientali Museo del Louvre fino al 29.09.25

NÎMES Achille e la guerra di Troia RIO NELL’ELBA (LIVORNO) Gladiatori Museo Archeologico del Distretto Minerario fino al 01.11.24

SESTO FIORENTINO Archeologia svelata a Sesto Fiorentino

Momenti di vita nella piana prima, durante e dopo gli Etruschi Biblioteca Ernesto Ragionieri fino al 16.03.26

TAORMINA Da Tauromenion a Tauromenium Palazzo Ciampoli fino al 30.11.25

Musée de la Romanité fino al 05.01.25

Germania BERLINO Elefantina

Isola dei millenni James-Simon-Galerie e Neues Museum fino al 27.10.24

Regno Unito LONDRA Le vie della Seta British Museum fino al 23.02.25

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AN L’ TI ART CH E E M DE O LLE NE TE

LA NUOVA MONOGRAFIA DI ARCHEO

L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA LA MONETA ANTICA

ARTE • PROPAGANDA • RELIGIONE di Francesca Ceci


N

onostante il sempre piú diffuso utilizzo dei pagamenti elettronici, le monete sono ancora oggi una presenza familiare, alle origini della quale c’è una storia millenaria. Come racconta la nuova Monografia di «Archeo», infatti, l’introduzione di quei pezzetti di metallo come controvalore di beni o prestazioni ha radici antiche e, nel caso di Roma, la monetazione divenne una delle attività piú importanti – e piú attentamente controllate – dell’amministrazione repubblicana prima e imperiale poi. Al contempo, i monetieri e, soprattutto, i personaggi che si avvicendarono ai vertici del potere, intuirono lo straordinario potenziale propagandistico delle monete, che, proprio perché destinate a una circolazione di ampio raggio, potevano trasmettere anche nelle province piú remote messaggi celebrativi e autocelebrativi ben chiari. Per questi e molti altri motivi, lo studio della numismatica costituisce da tempo un formidabile alleato dell’archeologia e, piú in generale, della storia, forte com’è di un evidente valore documentario. Aspetti che Francesca Ceci, autrice della Monografia, ha passato per noi in rassegna, confezionando un’opera ricca di notizie, curiosità e non poche sorprese. Un universo dal fascino indiscusso, insomma, come del resto dimostra il fatto che le monete sono state e continuano a essere uno dei piú potenti motori del collezionismo, al quale si devono, peraltro, molte delle raccolte conservate in musei italiani e stranieri.

GLI ARGOMENTI

• QUESTIONI DI IMMAGINE •R AFFIGURARE GLI DÈI • F RA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO Denarii romani in argento battuti al tempo di vari imperatori fra il I e il III sec. d.C.

in edicola

• L A REALIZZAZIONE DELLE MONETE: DALLE MINIERE ALLA ZECCA •D RITTI E ROVESCI: QUASI COME UN’ANTOLOGIA

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L’INTERVISTA • MAGNA GRECIA

«QUELLA MAGNA GRECIA COSÍ ITALICA…» Massimo Osanna, oggi direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura e già direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, è professore di archeologia classica all’Università degli Studi di Napoli Federico II. In passato ha insegnato all’Università degli Studi della Basilicata, a Matera, punto di partenza per lunghi anni di ricerche archeologiche sul campo nelle terre del Meridione d’Italia. Quelle indagini sono oggi confluite in un volume di oltre 350 pagine, frutto di una riflessione metodologica che vuole riscattare un mondo straordinario quanto fino a oggi sconosciuto ai piú, quello delle antiche popolazioni italiche del Sud Italia: Mondo nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia, però, non solo documenta, in maniera approfondita e con una scrittura fluida non comune alle trattazioni specialistiche, i momenti salienti delle ricerche archeologiche svolte dall’autore nel corso di due decenni, ma accompagna il lettore lungo le contrade tra Sibari e Taranto, Metaponto e Paestum «passando per Crotone, Venosa, Caulonia», rendendolo via via partecipe di una nuova, sorprendente, prospettiva sulla storia antica della terra nota con il nome di «Magna Grecia». Ne abbiamo parlato con l’autore. incontro con Massimo Osanna, a cura di Andreas M. Steiner 40 a r c h e o


♦ Partiamo da una questione solo in apparenza formale: tu metti tra virgolette due termini fondamentali, «colonizzazione» e «indigeni», termini che anche tu usi, ma... con riserva, e che proponi di ridefinire. La prima impressione è che, con questo libro, tu intenda capovolgere la prospettiva vigente con cui abitualmente si guarda alla Magna Grecia e il rapporto delle civiltà dell’Italia antica con le diverse civiltà impostesi come egemoni... Il fatto di aver lavorato per tantissimi anni – l’intero quindicennio precedente alla mia nomina a direttore di Pompei – in contesti indigeni, con il grande scavo di Torre di Satriano ma anche con tanti altri progetti fra Basilicata e Puglia, mi ha effettivamente offerto la possibilità di acquisire un punto di vista diverso, altro da quello, diciamo, tradizionale. Come in tutte le vicende scientifiche e umane, anche qui è questione di prospettiva: si tratta sempre di individuare la direzione dello sguardo, da dove guardi e verso dove. Se, per esempio, si fanno ricerche solo sul mondo greco, è facile che si osservino tutti gli altri dal punto di vista greco, un fenomeno che definisco «veder greco», appunto. La grecità si impone, cosí, come prospettiva totalizzante anche, naturalmente, per la mole di indubbie conquiste che le culture greche hanno offerto alla nostra civiltà. Partendo, invece, dal punto di vista dei cosiddetti «indigeni», che, come già accennato non vorrei chiamare tali perché, cosí facendo, li releghiamo in una sorta di nebulosa indistinta, la discussione si sposta. Infatti, cosí come ci sono Greci e Greci – quelli di Sibari che sono Achei, gli Spartani che sono quelli che troviamo a Taranto, gli Euboici che fondano Cuma – portatori di culture, di lingue e anche di alfabeti diversi, anche il mondo cosiddetto indigeno è tutt’altro che omogeneo, composto da una varietà che spesso non viene messa correttamente a fuoco. Il mio sguardo, formatosi in tanti anni, si è soffermato sui tratti che individuano le diverse culture: questi tratti mi si sono rivelati grazie ai prodotti della cultura materiale e ai modi della ritualità, ai diversi tipi di sepolture, alle diverse ceramiche. E mi hanno fatto capire molto bene come anche il mondo italico è composto da una serie di insiemi con tratti distinti e specifici. È fondamentale rendersi conto (segue a p. 44) In alto: Massimo Osanna, direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura. A sinistra: kantharos matt-painted di area enotria. VI sec. a.C. Potenza, Museo Archeologico Nazionale. Nella pagina accanto: olla matt-painted con decorazione «a tenda» e ciotola d’impasto come coperchio. VIII sec. a.C. Sala Consilina, Museo Archeologico Nazionale. a r c h e o 41


L’INTERVISTA • MAGNA GRECIA

«In Italia e in Grecia l’antichità classica svolge un ruolo di enorme rilievo, senza confronto rispetto ad altre realtà europee. Sembra quasi tautologico, certo, per ognuno di noi che sperimenta quotidianamente il contatto con l’antico nel tessuto urbano delle nostre città…»

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Parco Archeologico di Sibari. Veduta aerea del teatro di Copiae. a r c h e o 43


L’INTERVISTA • MAGNA GRECIA

che, il «mondo nuovo» venuto a crearsi con l’arrivo dei Greci è un mondo che prende forma in un territorio diverso dalla Grecia e che emerge dall’incontro/scontro con genti e culture di quel territorio. Genti e culture che, a loro volta, erano stati i protagonisti di importanti dinamiche culturali, già da tempo inserite nel piú ampio network mediterraneo.

in massima parte, una Magna Grecia italica. I territori greci si trovano, puntiformi, lungo le coste con una chora, una periferia potremmo dire, che si spinge di qualche chilometro verso l’entroterra, ma tutto il restante territorio è italico. È questa una realtà che, cronologicamente, vale sia per la fase dell’incontro sia per quella dello scontro che vede il ribaltamento delle forze in lotta: basti pensare a quanto accade nel IV ♦ Nell’immaginario comune la Magna Grecia vie- secolo a.C., con i Lucani bellicosissimi, o con i Bretne percepita come un Sud Italia unitariamente ti che insidiano le città greche in Calabria. Un ribal«greco», sul quale si affacciano poi i Latini, gli tamento di forze in seguito al quale, proprio per contrastare la forza degli eserciti «indigeni», i Greci Etruschi... È un’immagine del tutto falsata. La Magna Grecia è, chiameranno in soccorso Roma, che cosí entrerà nello scacchiere del Sud Italia.

L L I A

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STORIE INGHIOTTITE DAL TEMPO L I B I A Are re e de d i File ilen ni

La nascita della letteratura latina e la trasmissione fino a noi di opere di scrittori e commediografi a partire dal III secolo a.C. rappresenta per noi una opportunità incredibile per conoscere quel mondo, quella società, quella cultura. Ben diversa la possibilità di conoscenza che abbiamo dei popoli italici che non hanno espresso – o meglio avuto la opportunità di trasmettere a noi – il loro pensiero poetico e le loro storie. Della produzione letteraria, dei racconti, delle vicende narrate nelle varie comunità abitate dalle genti italiche non sappiamo né abbiamo conservato nulla: se esistita, la loro produzione «letteraria» non ha avuto infatti il tempo di assumere una forma scritta con cui tradurre le gesta della

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♦ Veniamo all’altro termine con cui abitualmente etichettiamo quell’epocale processo che investe il Meridione d’Italia a Mar Nero partire dall’VIII secolo a.C., la colonizzazione. In che misura deve essere ridefinito? Sicuramente non si trattò di un evento repentino... Sono le stesse fonti antiche a suggerirci che la colonizzazione sia avvenuta in un momento circoscritto, con l’arrivo dei in un luogo S I RGreci I A Ta e Tarso so la successiva fondazione specificoTar di una città, evento che segna l’attiUga g ri rit mo a partire dalUg quale tutto cambia. do d o La realtà, invece,AArAraradoveva essere stata Ci p r o Bib bllo o ben diversa e assai piú complessa. E Beirrut non è affatto sbagliato, a questo fine, F E N I C I A Sidon ne richiamare il confronto con la storia Gaza Ga

I S R A E L E

G I U D E A

Aless Ale ssandrria a Na Nau aucra au cratis cra ts tis tradizione orale. Le loro storie, non trasposte su un E G I T T O supporto materiale durevole attraverso la scrittura, affidate semplicemente al potere effimero della parola, sono state inghiottite dal tempo. […] Si lamenta lo stato altamente frammentario e parziale in cui ci sono giunte le liriche di Saffo o le tragedie di Euripide, ma quello che resta ci consente egualmente di riconoscere e apprezzare quella straordinaria civiltà letteraria che le ha prodotte e ci consente di intravedere tratti significativi della società che le ha viste nascere; dell’immaginario poetico e delle storie narrate dagli Italici non intravediamo nulla, possiamo solo dolerci per il naufragio irreparabile di un mondo intero, tramandato per qualche generazione e poi perso per sempre.


In alto: monile in ambra dalla tomba 106 di Braida di Vaglio. VI sec. a.C. Potenza, Museo Archeologico Nazionale. A destra: parure funeraria femminile dalla tomba 309 di Alianello. VIII sec. a.C. Policoro, Museo Archeologico Nazionale.

della colonizzazione d’età moderna o quella delle migrazioni dell’età contemporanea. Mantenendo sempre la consapevolezza, naturalmente, che si tratta di fenomeni diversi. Oggi sappiamo che, a partire dall’VIII secolo a.C., assistiamo a flussi migratori, inizialmente forse anche poco definiti dal punto di vista etnico. In seguito saranno questi migranti a dare vita a delle città, ma si tratta di processi che si svolgono nell’arco di una

o piú generazioni. Inoltre, quando i primi Greci arrivano a Taranto o a Sibari si trovano di fronte ad abitati che erano già stati visitati da genti arrivate nel corso di precedenti migrazioni e che si erano progressivamente inserite negli insediamenti indigeni. Insomma, esisteva già una consuetudine tra locali e genti greche. Quello che cambia, a un certo punto, è che alcuni Greci arri(segue a p. 48) a r c h e o 45


L’INTERVISTA • MAGNA GRECIA

Stretto di Messina

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LA DIASPORA DEGLI EUBEI

Eubea

Corinto

All’inizio di questa nuova avventura che porterà le coste italiane a popolarsi di città greche, protagonisti indiscussi della mobilità attraverso il Mediterraneo sono gli Eubei, gli abitanti di un’isola che non sarà granché importante dopo l’età arcaica, ma che tra IX e VIII secolo a.C. detiene senza dubbio il primato nella navigazione verso Occidente e non solo. Provenienti da due centri ubicati di fronte alla costa dell’Attica, Eretria e Calcide, gli Eubei sono grandi esperti del mare e dei suoi pericoli. La tradizione attribuisce proprio a Calcide i primi stanziamenti in Occidente, a cominciare da Ischia (Pithecusa) nella prima metà dell’VIII secolo e poi via via sulla costa tirrenica dirimpettaia a Cuma, per arrivare allo stretto di Messina (Reggio) e alla costa orientale della Sicilia (Nasso, Leontini, Catania). Gli Eubei, sebbene abbiano acquisito conoscenze del mare e delle sue coste prima degli altri, non sono ovviamente gli

unici. Diverse città e territori della Grecia continentale e insulare concorrono a questo straordinario fenomeno che possiamo definire come una vera e propria diaspora. Innanzitutto Corinto, il dinamico centro sull’istmo che nel 733 a.C. fonda Siracusa, polo destinato a uno straordinario destino di potenza fino alla conquista romana, e contemporaneamente Corcira, l’antica Corfú, per concentrarsi dunque sulla costa balcanica (Apollonia, Epidamno ecc.). Se Sparta fonderà solo la potentissima Taranto, altro centro destinato a segnare marcatamente la storia della Magna Grecia fino all’ingresso di Roma nello scenario mediterraneo, realtà territoriali chiamate dai Greci ethne, come l’Acaia nel nord del Peloponneso, daranno vita a un numero significativo di nuovi insediamenti essenzialmente sulla costa ionica, da Sibari a Crotone, da Caulonia a Metaponto, ma poi anche sul Tirreno, con la intermediazione di Sibari, a Poseidonia.

Foto satellitare dell’area centrale del Mediterraneo: si riconoscono l’Italia con le terre dell’antica Magna Grecia e la Grecia stessa, circondata dai mari Adriatico, Ionio ed Egeo. È questo lo scenario geografico in cui, soprattutto tra IX e VIII sec. a.C., ebbe luogo la grande diaspora di popolazioni greche verso le terre dell’Italia meridionale. a r c h e o 47


L’INTERVISTA • MAGNA GRECIA

vano e decidono di restare. Questo, naturalmente, crea una serie di conseguenze a catena che coinvolge i rapporti, fatti di alleanze e contrapposizioni, con i precedenti abitanti. Ma anche qui vanno evitate le semplificazioni: non dobbiamo pensare a blocchi contrapposti di «nuovi arrivati» vs «indigeni», ma a un complesso sistema di preesistenti alleanze e rivalità all’interno del quale vengono a inserirsi, dialetticamente, i nuovi «coloni». In estrema sintesi: la formazione di quel «mondo nuovo» che diventerà la Magna Grecia è il frutto di rapporti complessi e differenziati già all’interno delle stesse comunità indigene. Mentre le fonti ci riferiscono date precise – 720 a.C. per Sibari, 704 a.C. per Taranto – le città raggiungono una loro fisionomia compiuta solo a partire dalla metà del VI secolo a.C. E non è un caso che alla seconda metà del VI secolo a.C. si datano nuove fondazioni, come per esempio quella di Metaponto o quella di Poseidonia, fondazioni ben piú mature potremmo dire, perché alle spalle hanno già una storia secolare di stanziamenti. ♦ Facciamo un passo indietro. Quale potrebbe essere stato il motivo scatenante, se di un singolo motivo possiamo parlare, che ha portato a quel moto migratorio di cui abbiamo sentito parlare sin dai banchi di scuola? In Grecia, l’VIII secolo a.C. è un momento di grande mobilità, segnato dal passaggio delle piccole comunità della cosidTabella bronzea detta «età oscura» – di X-IX seco- con iscrizione dal lo a.C. –, eredi dei grandi palazzi santuario del micenei ormai disgregatisi, verso Timpone della la creazione delle città, le poleis. Motta di Una spinta, una trasformazione Francavilla profonda che certo avrà creato Fontana. problemi, come per esempio la nuova corsa alle terre cui forse non tutti erano in grado di accedere. Nuove forme di disuguaglianza – e dunque di emarginazione sociale – potrebbero aver portato alla creazione di gruppi umani che sono andati a cercare fortuna altrove.Vorrei sottolineare, però, che anche queste nuove mobilitazioni si inseriscono in un quadro di dinamiche preesistenti: avventurieri e mercanti, infatti, c’erano stati da sempre, durante l’età del Bronzo e poi anche nei secoli X-IX a.C. Pensiamo alle genti euboiche, straordinariamente dinamiche, che andavano alla ri48 a r c h e o

cerca di metalli di cui la Grecia aveva necessità. Quel mondo era un mondo da sempre in movimento, con flussi paralleli, dettati da motivazioni anche diverse, che portano all’esplorazione di nuovi lidi, dove alcuni gruppi decideranno di trasferirsi stabilmente. ♦ Torniamo agli «Italici». Una delle ragioni, forse la piú rilevante, che spiega perché sappiamo cosí poco di queste genti è l’assenza della scrittura. Gli Italici non scrivono. Viene subito in mente il termine con il quale la moderna antropologia definisce i popoli un tempo chiamati «primitivi», ovvero «popoli senza scrittura». Con la differenza che, nel nostro caso, ci troviamo di fronte a popoli senza scrittura che vivono in un contesto in cui la scrittura, però, esiste ed è diffusa. E poi c’è un altro aspetto curioso che sottolinei nel tuo libro e che potremmo chiamare il «fattore Ero-


doto». Perché il «padre della storiografia», questo etnologo ante litteram, cosí prolifico, non si interroga circa la presenza delle genti italiche, non sembra neanche percepirne l’esistenza? Potrei rispondere con una battuta: gli Italici potrebbero essere stati l’argomento di un suo prossimo libro che però non ha avuto tempo di scrivere! Tanto piú che Erodoto visse i suoi ultimi anni proprio a Thurii – colonia greca presso Sibari – dove poi morí nel 425 a.C. Grazie a lui, però, abbiamo dei flash che aprono diversi squarci di luce sulla storia degli Italici, con frammenti di informazioni che, effettivamente, ci fanno rimpiangere la mancanza di una trattazione sistematica da parte sua.

interconnessioni tra le élites dell’epoca, che si davano appuntamento anche in luoghi cui si giungeva altresí da molto lontano... Ma per tornare alla tua domanda precedente: a noi manca un Erodoto che si sia occupato dell’etnologia dei popoli italici, un Tucidide che abbia dedicato una sezione delle sue Storie alla Magna Grecia (mentre invece scrive della Sicilia, n.d.r.), un Pausania che abbia progettato una Periegesi dell’Italia meridionale...

♦ A questo punto veniamo a uno dei principali messaggi del tuo libro: gli Italici emergono alla conoscenza, per la prima volta e in maniera profonda, grazie all’archeologia... Lo dimostrano le ricerche condotte per quasi due ♦ Nel tuo libro ti soffermi sulla cronaca delle noz- decenni, a partire dagli anni Novanta, descritte nei quattro capitoli finali del libro: quelli nella Sibaritide, ze di Agariste riportata da Erodoto... ...una testimonianza straordinaria dei rapporti, delle con le indagini nell’importantissimo sito di Franca-

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L’INTERVISTA • MAGNA GRECIA Statua di kouros di epoca arcaica. VI sec. a.C. Atene, Museo Archeologico Nazionale. Nella pagina accanto: veduta aerea del pianoro di Serra di Vaglio, che ha ospitato parte dell’insediamento antico.

LE NOZZE DI AGARISTE Per comprendere quanto fosse importante e influente la città tra VII e VI secolo a.C. e quali legami stretti intercorressero con le aristocrazie del Mediterraneo e i loro valori e costumi – a cominciare da quelle della Grecia – un racconto di Erodoto risulta particolarmente illuminante. Nel Libro VI delle sue Storie, lo storico narra le nozze di Agariste, figlia del tiranno di Sicione Clistene – una fanciulla destinata a diventare la bisnonna di Pericle –, con Megacle del potente genos (stirpe) ateniese degli Alcmeonidi, un evento internazionale che deve essere accaduto intorno al 570 a.C. Il lungo racconto è particolarmente rilevante per noi perché getta luce sulla vita delle aristocrazie greche e ci permette di comprendere quanto importante fosse in questo mondo la condivisione di valori e stili di vita analoghi, a livello internazionale […] Dall’Italia partecipano solo due giovani che rappresentano due città potenti e che di lí a breve – entro lo scadere di quel secolo – sarebbero entrambe state cancellate dalla storia della Magna Grecia: Smindiride, figlio di Ippocrate, da Sibari, e Damaso, da Siri, figlio di Amiri detto il Saggio. Presentando Smindiride, Erodoto ci dice che costui al suo tempo era «l’uomo che aveva raggiunto i massimi livelli di eleganza» e aggiunge: «Sibari in quel periodo era all’apice dello splendore».


villa Marittima, a Taranto – fondazione spartana, come sappiamo – e nel suo territorio (cito solo il caso del villaggio di L’Amastuola), nelle terre del fiume Siris e di Metaponto e, infine, nelle montagne della Basilicata, con l’esplorazione del palazzo «omerico» di Satriano... ♦ Un’alternativa alla supremazia documentaristica degli autori greci alla quale contrapponi una nuova lettura dei contesti archeologici – ricorrendo anche a una visione di tipo antropologico – che sembra voler relativizzare concetti conso-

lidati come, per esempio, quello di «ellenizzazione» o anche di «acculturazione» ... Possiamo continuare a utilizzare questi termini a condizione, però, di spiegare bene come li intendiamo. A partire dagli anni Sessanta, il concetto di «ellenizzazione» implicava la nozione di un processo di progressiva penetrazione dei Greci dalla costa verso l’interno, al fine di permeare della loro cultura e trasformare in maniera «colonialistica» il mondo dell’entroterra. Ecco, questa è una visione sbagliata, che oggi non possiamo piú applicare. Non esistono piú i Greci con la cultura, da un lato e, dall’altro, i barbari senza la cul-

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tura, che acquisiscono dai Greci tutto lo strumentario per interpretare il mondo. Certo, l’ellenizzazione c’è, ma non si tratta della contrapposizione tra due blocchi in cui uno permea completamente l’altro. Dall’analisi archeologica emergono forme di osmosi, di adattamenti «attivi» da parte delle culture locali, che vediamo impegnate a selezionare elementi greci funzionali a esprimere autorità e potere. E qui, un ruolo non indifferente deve aver giocato l’aspetto «esotico»: pensiamo soltanto alla coppa proveniente da Mileto rinvenuta a Satriano, ai contatti e alle storie che il trasporto di quell’oggetto deve aver comportato. Ora, tutte le storie che non sono raccontate si perdono; e mi piace qui rimandare alle struggenti parole che il grande scrittore tedesco Georg Sebald ha dedicato a questo aspetto della vita nel suo Austerlitz. Quella coppa, però, quell’oggetto è una testimonianza durevole che sopravvive al naufragio di tutte le storie. Il nostro compito è quello di restituirgli la 52 a r c h e o

I RICCHI E I POVERI DI SATRIANO Non ci sono templi per gli dèi a Torre di Satriano. Il culto per le entità soprannaturali non ha qui uno spazio separato da quello degli uomini, ma viene celebrato – come vedremo – nelle stesse abitazioni, o meglio nelle magioni dei personaggi al vertice della comunità, che ben si distinguono dal resto delle case, abitazioni assai modeste, capanne con tetto in paglia e argilla. Le case dei «sudditi», della gente comune che non appartiene alla famiglia regnante, distribuite senza un ordine geometrico sul pianoro che ospita il nucleo abitativo, hanno lasciato tracce molto modeste, proprio perché erano realizzate in materiale povero, deperibile, come fango, argilla, paglia, legno.


In questa pagina, dall’alto: ricostruzione del vano di ingresso del Palazzo di Torre di Satriano e una veduta aerea del Palazzo stesso. Nella pagina accanto: vista dall’altura di Torre di Satriano verso est, sullo sfondo, il rilievo di Serra di Vaglio.

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

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L’INTERVISTA • MAGNA GRECIA

LO SGUARDO DEGLI ALTRI Quasi tutto quel che sappiamo degli Italici al di là di quanto restituisce l’archeologia ci arriva attraverso testi letterari di altre civiltà, dalla letteratura greca o latina, mediato da voci di una produzione letteraria straniera: parole di Greci o di Romani. Una visione di parte, uno sguardo dall’esterno e spesso rivolto a chi era considerato nemico (e vinto). A questo si aggiunge che il piú delle volte gli eventi e i documenti riportati sono registrati in testi di molto posteriori ai fatti narrati, esito dunque di voci dissonanti e asincrone. Delle genti non greche, dei barbari che

«circondavano» piú o meno minacciosamente i territori occupati dai Greci – in Puglia: i Messapi, i Peucezi, i Dauni; in Basilicata e Calabria: gli Enotri – e che entreranno a piú riprese in conflitto con i Romani (dai Sanniti agli Apuli, dai Lucani ai Brettii) non si può dunque che avere uno sguardo deformato da un punto di vista particolare, quello dell’altro, del Greco che guarda verso il barbaro, o del Romano che narra di chi è stato sconfitto, inquadrandolo piú o meno sistematicamente in cliché tipici di chi si rivolge con distacco e superiorità a società e culture diverse (e per questo considerate inferiori).

Una veduta della valle del Bradano oggi, con le fattorie sorte nell’ambito della riforma agraria del dopoguerra.

parola, utilizzando gli strumenti interpretativi oggi a nostra disposizione. ♦ Mi ha molto colpito una considerazione che riporti nel capitolo iniziale del libro, intitolato Tra mare e terra, in cui introduci il lettore al territorio oggetto delle tue indagini, in particolar modo quello delle contrade interne. A un certo punto accenni un parallelo tra il paesaggio agrario appenninico tra IV e III secolo a.C., cosí come emerge dalla documentazione archeologica, scandito dalla presenza di piccole fattorie a conduzione familiare, e le tracce della riforma agraria avvenuta, in quelle stesse contrade, nel secondo dopoguerra del XX secolo. Di quell’impresa, infatti, in massima par54 a r c h e o

te fallimentare, testimoniano ancora le bianche casette contadine, oggi in rovina, che punteggiano quel bellissimo paesaggio e che nel tuo libro documenti con una foto particolarmente suggestiva… …sí, quella strada l’ho percorsa per una vita, è la cosiddetta Bradanica che attraversa l’omonima valle da Venosa verso Matera. Il contatto quasi quotidiano con i segni di quel paesaggio ha fatto balenare in me una suggestione: ecco, mi sono detto, cosí doveva apparire il paesaggio nel IV secolo a.C., quando si assiste a una sorta di boom del popolamento agrario dovuto a una redistribuzione, anche alle classi intermedie, di quelle terre che prima erano appannaggio dei grandi latifondisti di età arcaica (come lo era il principe di Satriano, per intenderci).


Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

♦ Una realtà di breve durata… …con dinamiche simili, potremmo dire, a quanto accade millenni piú tardi con la riforma agraria del XX secolo. Già verso la fine del III secolo a.C., infatti, quando queste terre vengono travolte dall’ingresso di Roma nel Sud-Est della Penisola, assistiamo al ritorno dei latifondi, con le élites (gli optimates) che si alleano con Roma contro le plebi urbane e rurali. Lo racconta bene Livio: quando arriva Annibale viene accolto dalla plebe che vede in lui un potenziale complice in grado di riscattarla da una condizione di subalternità. Con la vittoria di Roma, poi, si procede a deportazioni e al ripopolamento di quelle terre, con espropri a danno soprattutto dei Lucani, dei Sanniti… e al ripristino delle grandi proprietà agrarie. E cosí le tante, piccole, fattorie scompaiono.

PER SAPERNE DI PIÚ Massimo Osanna, Mondo nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia, Rizzoli, Milano 2024 ISBN 978-88-17-17490-9 – www.rizzolilibri.it

Già in quei secoli lontani, dunque, l’esistenza di quegli antichi contadini e pastori è stata travolta da una storia – come ricordava Carlo Levi con riferimento alle vicende del secolo scorso – «diretta da lontano». Ovvero da Roma. Le immagini che corredano l’articolo sono tratte dal volume Mondo nuovo. Viaggio alle origini della Magna Grecia, con l’eccezione della foto satellitare alle pp. 46/47. a r c h e o 55


MOSTRE • ORVIETO

LE RAGIONI DI UNA CONQUISTA «PREVENTIVA» IL 264 A.C. SEGNA L’INIZIO DELLA PRIMA GUERRA PUNICA E ROMA È CHIAMATA A SOSTENERE UNO SFORZO BELLICO ASSAI GRAVOSO. COSÍ, PER SCONGIURARE L’APERTURA DI ALTRI FRONTI, ASSEDIA VELZNA, L’ANTICA ORVIETO, AFFINCHÉ QUELLA E LE ALTRE CITTÀ-STATO ETRUSCHE NON COMPIANO MOSSE OSTILI. UN EPISODIO AL CENTRO DELLA MOSTRA ALLESTITA NEL MUSEO «CLAUDIO FAINA» DELLA CITTÀ SULLA RUPE di Giuseppe M. Della Fina

N

ella storia etrusca e in quella della Roma repubblicana, l’assedio e la conquista di Velzna (Volsinii, in lingua latina) da parte del console Marco Fulvio Flacco nel 264 a.C. costituiscono un episodio significativo. A quei fatti è dedicata la mostra «Volsinio capto. 265-264 a.C.», allestita a Orvieto, negli spazi del Museo Etrusco «Claudio Faina», per iniziativa della Fondazione Faina in collaborazione con la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. L’importanza dell’avvenimento è suggerita da diversi motivi: la caduta della città-stato chiuse in maniera definitiva la stagione della conquista dell’Etruria da parte di Roma. Un’avanzata che era iniziata nel 396 a.C. con la conquista di Veio da parte di 56 a r c h e o

L. Furio Camillo. La data stessa dell’episodio, il 264 a.C., risulta significativa: in quello stesso anno ebbe infatti inizio la prima guerra punica. L’intervento effettuato a Velzna – uno dei piú duri realizzati da Roma nella penisola italiana – trova spiegazione proprio nel messaggio di terrore che i vincitori volevano inviare a tutti gli Etruschi mentre l’Urbe stava per affrontare una delle superpotenze mediterranee.

GUAI A RIBELLARSI Ai piedi del pianoro di Velzna si trovava il loro santuario federale – il Fanum Voltumnae – e da lí il messaggio poteva arrivare con facilità a tutte le altre cittàstato etrusche. Una ribellione, mentre Roma era impegnata contro Cartagine, sarebbe po-

tuta costare cara e arrivare a causare la distruzione e l’abbandono forzato del proprio luogo di origine. Sulla vicenda ci informa in maniera dettagliata, nella sua opera Epitomé historíon (VIII, 7, 4-8), Giovanni Zonara, uno storico vissuto alla corte dell’imperatore Alessio I Comneno, sotto il quale aveva ricoperto le cariche di capitano della guardia e di primo segretario. Ritiratosi come monaco sul Monte Athos, morí intorno al 1130. Zonara scr iveva dunque a grande distanza dagli avvenimenti, ma aveva a sua disposizione fonti letterarie, o capitoli di esse andate perdute per noi. Egli racconta che, dopo una r ivoluzione che aveva portato al potere gli oikétai, i servi, gli aristocratici


Particolare della decorazione di un sarcofago rinvenuto in località Torre San Severo, sui cui lati lunghi sono raffigurati sacrifici funebri voluti da Achille sulla tomba di Patroclo (vedi anche la foto a p. 58). Ultimi decenni del IV sec. a.C. Orvieto, Museo «Claudio Faina».


MOSTRE • ORVIETO

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decisero di chiamare in proprio soccorso l’esercito di Roma, la potenza che avevano combattuto sino a pochi anni prima.

LE POSSIBILI DATE In un testo divenuto un classico dell’etruscologia – Storia degli Etruschi –, Mario Torelli ha suggerito date possibili per le singole tappe di tale processo: ha collocato la scalata nelle gerarchie militari e la conquista dell’amministrazione tra il 295 e il 280 a.C.; la definitiva scalata al potere negli anni immediatamente anteriori o posteriori al 280 a.C.; la

In alto: una pittura della Tomba Golini I raffigurante un suonatore di doppio flauto e un inserviente che prepara cibi per un banchetto. IV sec. a.C. Orvieto, Museo Archeologico Nazionale. A sinistra: cratere del Gruppo di Vanth. 320-300 a.C. Orvieto, Museo «Claudio Faina». Nella pagina accanto: un’altra immagine del sarcofago da Torre San Severo. Ultimi decenni del IV sec. a.C. Orvieto, Museo «Claudio Faina».

crisi finale, che portò alla reazione aristocratica, nel 265 a.C. I rivoltosi furono avvertiti da un Sannita dell’arrivo di un corpo di spedizione romano e si prepararono a resistere. L’assedio durò a lungo e in uno scontro iniziale morí un console romano, ma poi Marco Fulvio Flacco, subentratogli nel comando, riuscí a conquistare la città. L’intervento comportò il trasferimento forzoso degli abitanti superstiti in un altro luogo: sui pendii delle colline a ridosso del lago di Bolsena, dove già in precedenza era attestata una presenza etrusca e dove potevano trovarsi interessi di alcune delle famia r c h e o 59


MOSTRE • ORVIETO

glie aristocratiche che avevano chiesto l’intervento romano. Un aspetto preme sottolineare: si contrappongono spesso Velzna e Volsinii, ma si tratta della stessa comunità che ha condiviso la storia narrata. Volsinii non è che la traduzione in latino di Velzna, come, per fare qualche esempio contemporaneo e soltanto per intenderci: Paris e Parigi, London e Londra. Con la romanizzazione, il latino s’impose e nella denominazione si affermò Volsinii, di cui resta traccia evidente nel nome dell’attuale Bolsena. Visitando la mostra insieme al Museo Etrusco «Claudio Faina» – il biglietto è unico – si comprende bene che l’artigianato artistico cittadino visse una stagione di vivacità notevole nei decenni finali del IV secolo a.C. e in quelli iniziali del III secolo a.C. e quindi proprio a ridosso degli avvenimenti riassunti.

PRESENZE ILLUSTRI Si può segnalare la realizzazione di tre tombe dipinte: la Golini I, dal cognome dello scopritore Domenico Golini, appartenuta alla famiglia aristocratica dei Leinie, la Golini II e la tomba della gens degli Hescanas. Inoltre attive risultano le officine dei ceramisti e, in proposito, va rammentata almeno la bottega da cui usciroIn basso: restituzione grafica e foto dei blocchi sui quali corre un’iscrizione che ricorda la conquista di Volsinii da parte del console Marco Fulvio Flacco, da Roma, area sacra di Sant’Omobono.

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no i vasi del Gruppo di Vanth. Da segnalare – per questi decenni – anche due pregevoli sarcofagi, rinvenuti rispettivamente in località Pietra Campana e Torre San Severo. Lungo il percorso espositivo, per testimoniare l’alta qualità formale dell’artigianato artistico locale, o, almeno, la raffinatezza dei committenti, si può osservare una testa rinvenuta dall’ingegnere Riccardo Mancini e confluita a Roma nella raccolta di Giovanni Barracco (oggi Museo di scultura antica e inserito nel circuito dei Musei Capitolini), scelta come immagine guida dell’esposizione. Nel catalogo della collezione la si dice proveniente da una necropoli di Orvieto. È stato ipotizzato anche che fosse da riferire alla decorazione scultorea di una porta urbica. La sua eccezionalità risiede nell’iconografia, negli elementi antiquariali e nella peculiare cifra stilistica.Tra i suoi capelli, Anna Maria Rossetti, ha riconosciuto uno dei simboli dionisiaci piú comuni: la corona di edera. L’individuazione di un elemento tanto qualificante dell’ambito dionisiaco, coincide pienamente con la proposta di Giovanni Colonna, secondo il quale la figura femminile può identificarsi con una Menade (forse Arianna, per Rossetti). La scultura è databile agli inizi del III secolo a.C. L’altra opera di richiamo è il donario fatto realizzare dal console Marco Fulvio Flacco dopo la conquista della città e analizzato da Monica Ceci nel catalogo. Esso venne ritrovato nel 1961 nell’area sacra di Sant’Omobono, a Roma, sotto il pavimento a lastre di tufo messo in opera dopo l’incendio del 213 a.C. I ventisei frammenti riferibili al monumento erano stati depositati attorno al basamento di un altro donario di forma circolare, anch’esso obliterato dalla stessa pavimentazione a lastre. Nove dei frammenti rinvenuti avevano dimensioni e lavorazione simili e recavano nella parte superiore tracce di perni per

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

Testa femminile identificata con una Menade (forse Arianna), da una necropoli di Orvieto. Inizi del III sec. a.C. Roma, Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco.

il fissaggio di piccole statue. Sei di essi presentavano lettere iscritte. Mario Torelli, che li ha studiati a fondo, ha ritenuto che i frammenti facciano parte di due donari gemini e rettilinei, recanti la medesima iscrizione, nella quale il console af-

ferma di averli dedicati per la conquista della città etrusca di Velzna (Volsinii, in lingua latina). Essi si trovavano di fronte ai templi gemelli di Fortuna e Mater Matuta e celebravano il trionfo del dedicante. C’è un insegnamento che si ritroa r c h e o 61


MOSTRE • ORVIETO

tufaceo che fungeva da muraglia naturale e in grado di consentire una resistenza lunga in caso di assedio; terreni fertili all’intorno. Un peso notevole sembra avere avuto anche la memoria in grado – sul medio e lungo termine – di tramandare il valore di un luogo, dopo che la cultura lo abbia caricato di significati simbolici per una comunità e per un popolo. Infatti, quando secoli dopo, una parte significativa degli abitanti di Volsinii decisero di abbandonare i pendii delle alture a ridosso del lago di Bolsena, per trasferirsi di nuovo sulla rupe orvietana al fine di sentirsi piú protetti in un mondo divenuto di nuovo insicuro, scelsero significativamente di chiamare l’insediamento Urbs Vetus (da cui Orvieto), la città vecchia. Diversi esempi si potrebbero trovare nella storia antica e non solo: Velzna/Orvieto è tra questi. PER SAPERNE DI PIÚ In alto: Roma, area sacra di Sant’Omobono. Rilievo del donario di forma circolare intorno al cui basamento furono rinvenuti i blocchi con l’iscrizione di Marco Fulvio Flacco (vedi anche la foto a p. 60).

va nelle linee progettuali della mostra: la forza delle armi riesce a prevalere, ma non è cosí forte da cancellare le scelte alla base di un insediamento quando si rivelano appropriate. Nel caso di Velzna/ 62 a r c h e o

Orvieto, la felice posizione geografica che la colloca su un asse privilegiato per raggiungere Roma; la vicinanza di un fiume, il Paglia, che si getta nel Tevere; un pianoro ampio posto su un masso

Giuseppe M. Della Fina (a cura di), Volsinio capto. 265-264 a.C. Catalogo della mostra (Orvieto, Museo Etrusco «Claudio Faina», 7 settembre-8 dicembre 2024), con contributi scientifici di Claudio Parisi Presicce, Monica Ceci, Francesca de Caprariis, Anna Maria Rossetti e del curatore, Palombi Editori, Roma

DOVE E QUANDO «Volsinio capto. 265-264 a.C.» Orvieto, Museo Etrusco «Claudio Faina» fino all’8 dicembre Orario tutti i giorni, 10,00-17,00 Info tel. 0763 341511 o 341216; e-mail: info@museofaina.it, biglietteria@museofaina.it; https://museofaina.it



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MUSEI • GRECIA

UNA NUOVA CASA PER I TESORI DELLA

CALCIDICA

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A destra: l’edificio che ospita il Museo Archeologico di Polygyros, capoluogo della Calcidica. In basso, sulle due pagine: statue esposte nella sezione «Epoche storiche» del museo, dal monumento funerario di Stratoni. In primo piano, la figura del tipo della Grande Herakleiotissa (vedi anche la foto a p. 72).

LA PENISOLA PROTESA, CON LE SUE «TRE DITA», NELL’EGEO SETTENTRIONALE RACCHIUDE UNA STORIA LUNGA E NOBILE. OGGI I SUOI FASTI SONO RACCONTATI DAL SUGGESTIVO PERCORSO ESPOSITIVO DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI POLYGYROS di Dimitra Aktseli

C

ircondato dal verde dei pini, il Museo Archeologico di Polygyros è l’unica raccolta di antichità della Calcidica, provincia di cui la città è capoluogo. È stato inaugurato per la prima volta nel 1971 e, da allora, scavi regolari e di salvataggio hanno portato alla luce reperti archeologici importanti e talvolta unici, che hanno reso necessari la ristrutturazione e l’ampliamento dell’edificio originario, ispirati ai moderni principi museologici e finalizzati anche all’esposizione della Collezione Lambropoulos. Quest’ultima, infatti, ha arricchito la dotazione del museo grazie a una donazione, subordinata alla sua esposizione in una sala appositamente dedicata.

Questi interventi sono stati completati nel 2016 come parte del programma Quadro Strategico Nazionale di Riferimento (QSN) 2007-2013 e sono stati seguiti dal riallestimento della raccolta, la cui prima fase è stata portata a termine nel 2022 (QSN 2017-2020). Il percorso di visita si apre con un video introduttivo, disponibile presso la reception, nel quale sfilano immagini di paesaggi, persone, antichità e siti archeologici in tutte le stagioni dell’anno, accompagnate da suoni della natura. L’esposizione si articola in quattro sezioni tematiche. Nella prima, «Il luogo e la storia», vengono illustrate la natura, la geologia e le caratteristiche peculiari della penisola calcidica, nonché a r c h e o 67


MUSEI • GRECIA

le attività umane che si sono succeNigrit Nig r ta rit a Kav Kav Ka avala ala a la a dute nel tempo, le personalità importanti che sono passate da qui Macedonia nell’antichità, ma anche i ricercatori moderni. La ricca selezione dei Asprovalt Asp alta Golfo Gol f La Lag L a o di Ko orro oro r n neia nei La Lag ago Volv ag lvi lv reperti è integrata da applicazioni Strimonico Sal Sa a oni on nicco co o multimediali interattive dedicate Olympiada (Stagira) alla storia, ai siti archeologici, alle fonti scritte, alla ricerca e al celebre Arnea Arn ea ea Str Str St tra rato aton at ni filosofo Aristotele, originario di StaPa Pal alleoc a eo eo oc chor hori ori gira. Si dà conto della presenza di Calcidica siti preistorici e della prima età del Akanthos Polygyros Ferro, di colonie, santuari e necroPy Pyr P yr yrg gad ga ad adiki ikia a Our O urano u anoupo oupo up pollii po Ne ea e aK Ka ali lik iik krat ra ra attia ia poli, di eventi e persone che hanno eraki er akin nii Olinthos Ger Ammouliani P k Psa kou ko oudia dia a segnato la storia del territorio Flogit Flo git gita ita it Agios s Kar K arie a ies Niiik Nik N kiti iitti ti dall’età del Bronzo all’epoca romaM am amas as Nea ea Mo M uda udaniu niu iua iu Orm Or O mos Pa Panagias Daf affnii Met etamo amorfo rfossi ssi na, nonché dei principali protagoVou V Vo ourv o rvo vou uro ou Potidea Mon M onte o te Golfo nisti della ricerca archeologica. Atth At hos s Termaico A os Afit Afi Sani Accompagnati da disegni ricosrutSarrtii Kallithea Ka assan san nd dri ria tivi, vi sono testi di Erodoto e TuciKe elifo i s P iich Pol hron rono Siv virri dide legati alla Calcidica, che forniSykia Fo ourk ka Pef P Pe efkoc k hori scono informazioni piú dirette e Mende Possidi Toroni Pal Pa Pal a iiou ouri attraenti. La stessa sezione tematica Agia Agi a P Para araske ske k vi i include una proiezione 3D, in cui il visitatore segue il progresso di uno scavo, dalla localizzazione, stratigrafia, scoperta, prime e successive immagini dei reperti durante la conservazione, il disegno, lo studio e la In alto: cartina della Calcidica nella ca la grotta di Petralona, nella quale pubblicazione, fino alla loro esposi- quale sono evidenziate le posizioni di fu trovato il fossile umano – un tezione o conservazione. schio –, che, a oggi, è la piú antica Polygyros e dei principali siti e centri testimonianza di questo tipo in tuturbani citati nel testo. ta la Grecia. Reperti provenienti da In basso: due particolari LE PRIME PRESENZE insediamenti neolitici, per lo piú La seconda sezione, «Le società dell’allestimento della sezione «Il utensili, sono accompagnati da testi preistoriche», è dedicata a insedia- luogo e la storia». A sinistra, la che descrivono le condizioni di vita, menti e sepolcreti che sono prova sottosezione sulla geologia e le le occupazioni, le abitudini e l’alidella piú antica frequentazione del- attività produttive; a destra, le fonti mentazione di quelle antiche cola penisola calcidica, tra i quali spic- scritte e la storia degli studi.

68 a r c h e o


munità. Di particolare rilievo sono, per questa fase, le informazioni restituite dagli scavi condotti a Olinto, dove sembra attestata la presenza di edifici con fondamenta in pietra e pareti in mattoni. Per l’età del Bronzo l’attenzione si concentra sul tumulo (toumba) di Agios Mamas a Nea Olynthos. Gli scavi hanno portato alla luce resti di 18 fasi di occupazione, in un periodo compreso fra il 2075 e il 1100 a.C. Le indagini hanno permesso di recuperare utensili da cucina e grandi vasi per lo stoccaggio delle derrate, nei quali sono stati trovati resti di grano, orzo, lenticchie, veccia e lino; alcuni frammenti ceramici indicano inoltre l’esistenza di contatti e scambi con la Grecia meridionale, i Balcani e l’Europa centrale. Molto ricco è anche il repertorio dei materiali provenienti dagli insediamenti di Torone, Polychrono e Kriaritsi: si possono vedere vasi e strumenti di vario tipo – asce, utensili per affilare pietre –, mentre

frammenti di ceramica micenea importata confermano i contatti con la Grecia meridionale. Molto interessanti sono le testimonianze dalle necropoli di Agios Mamas, Nea Skione e Kriaritsi, tutte databili all’età del Bronzo Antico. A Kriaritsi, il sepolcreto piú completo e impressionante, e a Nea Skione, i resti cremati dei defunti venivano posti in urne funerarie, che venivano si-

stemate verticalmente oppure orizzontalmente all’interno di piccoli recinti in pietra. Questi ultimi erano coperti da accumuli di pietre che formavano piccoli tumuli.

SI ENTRA NELLA STORIA La terza sezione, «Le epoche storiche», è la piú ampia del museo e la seconda fase del suo allestimento è tuttora in corso: un intervento che

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

Nuove tecnologie Immagini relative ai pannelli e alle installazioni che documentano lo scavo condotto nella necropoli di Acanto, indagata estensivamente dall’eforato della Calcidica. Il contesto è stato fatto oggetto di un progetto sperimentale che, con l’ausilio del 3D e della multimedialità, integra visivamente le informazioni fornite dai testi.

a r c h e o 69


MUSEI • GRECIA Sulle due pagine: un particolare dell’allestimento della sezione dedicata alle culture preistoriche. In basso, in questa pagina: materiali restituiti dallo scavo del tumulo di Agios Mamas, Nea Olynthos.

mira a presentare, con criteri piú moderni, siti dell’età del Ferro, colonie e città importanti – come Mende, Potidea, Olinto e Stagira –, nonché i ricchi cimiteri e i santuari della Calcidica. Tra il XII e l’XI secolo a.C., nel corso della loro prima ondata colonizzatrice, i Greci, tra cui gli Eubei, si stabilirono sul Golfo Termaico e nella Calcidica. Nell’VIII secolo a.C., la seconda colonizzazione portò una nuova ondata di coloni greci, guidati dagli Eubei, che misero mano a molte nuove fondazioni. Altre città sorsero per iniziativa di coloni originari dell’isola di Andros e di Corinto. Molti di questi centri sono stati identificati con città o villaggi moderni, mentre di altri si conserva solo il nome e la loro posizione effettiva deve ancora essere indagata.

UN VINO DI SUCCESSO Tra le città piú importanti della Calcidica c’era Mende (l’attuale Kalandra), fondata da coloni eretri, che divenne un fiorente centro commerciale, situato strategicamente sulle rotte commerciali marittime e ideale per l’esportazione di metalli, legname, vino e olio. Il celebre vino «di Mende» veniva commerciato in tutto il Mediterraneo e fino al Mar Nero e la città si affermò anche come uno dei centri di produzione della ceramica «calcidica», per lo piú grandi vasi decorati con ricchi motivi floreali, geometrici e lineari, cosí come figure animali come uccelli acquatici, uno dei quali ha ispirato il logo del Museo Archeologico di Polygyros. Fondata da coloni corinzi nel 600 a.C., Potidea svolse un ruolo importante negli eventi storici della penisola calcidica. Resti architetto70 a r c h e o


nici di notevole consistenza testimoniano la presenza di grandi edifici pubblici e tombe. Nel museo sono esposte le stele funerarie che commemorano i coloni ateniesi giunti da Atene nei primi anni della Guerra del Peloponneso (430429 a.C.), quando Potidea fu assediata e trasformata in una potente base ateniese. Le stele riportano il nome e il patronimico del defunto e il demo di appartenenza. L’antica Olinto, città che in epoca classica fu la piú importante, ricca e prospera, venne presa e distrutta da Filippo II nel 348 a.C., e alla sua storia è riservata una parte rilevante dell’esposizione. Gli scavi condotti nell’area urbana, organizzata secon-

do un piano ippodameo con un sistema centrale di approvvigionamento idrico e drenaggio, hanno portato alla luce resti significativi di case e botteghe, oltre a restituire una mole considerevole di reperti che forniscono un quadro della vita quotidiana e delle attività degli abitanti: vasi in argilla, eccellenti prodotti di botteghe locali e attiche, figurine in terracotta di varie forme e figure, stampi in argilla, utensili, ma anche stele sulle quali sono incisi i testi di atti di vendita (Onai). Un repertorio dunque assai variegato, arricchito dai materiali recuperati nelle necropoli della città. Materiali analoghi provengono anche da Stagira, patria del grande fi-

losofo Aristotele, fondata nel 655 a.C. dai coloni di Andro e i cui resti sono stati localizzati nei pressi del moderno villaggio di Olympiada.

TOMBE CON VISTA MARE Ampio spazio è dedicato ai ricchi corredi funerari rinvenuti nelle necropoli di Acanto, colonia fondata anch’essa da un gruppo proveniente dall’isola di Andro. Spicca, in particolare, il sepolcreto che si estendeva su una superficie di circa 6 ettari nell’area costiera, vicino all’attuale Ierissos, che fu utilizzato ininterrottamente dall’VIII-VII secolo a.C. fino all’epoca romana. Scavi sistematici e di salvataggio hanno portato alla luce migliaia di tombe, dena r c h e o 71


MUSEI • GRECIA

samente disposte su due o anche tre livelli, che hanno permesso di recuperare stele, centinaia di vasi e figurine in argilla, e magnifiche oreficerie. Tra gli oggetti piú spettacolari figurano i sarcofagi in terracotta (del tipo detto clazomenio, poiché attestato soprattutto a Clazomene, in Asia Minore) decorati con motivi dipinti, lineari, floreali. Un altro ricco cimitero fu scavato ad Aphytis, l’attuale Athytos, nella penisola di Cassandra. Oltre alle figurine in terracotta, prodotte localmente, si possono ammirare pregevoli vasi in ceramica attica, opera dei piú famosi artisti dell’antichità. La sezione delle «Epoche storiche» documenta anche i santuari della Calcidica, con un’ampia scelta di materiali che da essi provengono: figurine in terracotta e vasi in ceramica di importazione – dalla Ionia, da Chio, dalle Cicladi e dall’Attica – databili tra il VII e il V secolo 72 a r c h e o

a.C., sono stati rinvenuti in un piccolo santuario, probabilmente dedicato ad Artemide, scoperto a Sane, nella penisola di Pallene (Cassandra); sono poi esposti vasi e frammenti con iscrizioni votive che riportano il nome di Poseidone, recuperati nel santuario del dio del mare di Possidi (Cassandra), dove sono stati trovati quattro edifici templari di diverse fasi, il piú antico dei quali risale al XII secolo a.C. ed è, a oggi, uno dei primi edifici di culto attestati in Grecia.

TERRECOTTE ARCHITETTONICHE Nella stessa penisola di Cassandra è venuto alla luce un santuario dedicato a Dioniso e Ammone Zeus, dal quale provengono elementi architettonici in terracotta. Di grande impatto sono poi i frammenti di tegole e antefisse con decorazioni dipinte e, soprattutto, le tre statue in

terracotta che rappresentano figure di Nike alate e che in origine ornavano gli angoli del frontone del tempio arcaico, probabilmente dedicato ad Apollo, a Sane, vicino al moderno villaggio di Nea Roda, nella penisola di Athos. Qui sono anche riuniti i materiali di epoca romana, fra i quali spiccano i materiali provenienti da un monumento funerario a due camere scoperto a Stratoni. Le statue in marmo, figure drappeggiate, una figura femminile del tipo della Grande Herakleiotissa, la base iscritta e le lapidi sono accompagnate da un ritratto maschile che consente di datare l’intero insieme al periodo giulio-claudio. La stele funeraria piú antica raffigura una scena di banchetto funebre, un convito in onore del defunto al quale egli stesso partecipa. Con ogni probabilità, il defunto è identificabile con la figura maschile


A destra: statuetta di Artemide, da una villa romana nel territorio di Cassandra. Nella pagina accanto: sculture provenienti dal monumento funerario di Stratoni. In basso: meridiana in marmo, da una fattoria romana a Polychrono.

reclinata al centro, tra due figure femminili sedute e dietro un tavolo coperto di piatti. Tre figure di proporzioni piú piccole, schiavi e ancelle, un cavallo che indica lo status sociale elevato del defunto e due farfalle che rappresentano le anime dei trapassati completano la scena.

L’INNO A ISIDE Alcuni dei monumenti funerari iscritti dell’epoca romana e degli oggetti dello stesso periodo provengono da ville di Cassandra, la città fondata dal re Cassandro sulla penisola di Pallene, nella stessa zona in cui si trovava Potidea. La nuova città, popolata da nativi di Potidea e altri provenienti dalle città circostanti, divenne una delle piú potenti del regno. L’opera piú importante è una stele sulla quale è riportato il testo di un inno alla dea egiziana Iside, nel quale vengono enumerati i benefici che ella apporta all’umaa r c h e o 73


MUSEI • GRECIA Qui sotto: vasi in ceramica smaltata di produzione bizantina. In basso: un particolare dell’allestimento dei materiali della Collezione Lambropoulos, composta da oltre 1000 reperti ed esposta nella sezione conclusiva del museo. Nella foto, vasi di importazione, di produzione attica e corinzia, e di produzione locale.

nità. Da una ricca residenza privata provengono una statuetta in marmo di Artemide e una tavoletta in rilievo raffigurante Eracle. Notevole è anche una meridiana in marmo proveniente da una fattoria romana a Polychrono. Scolpita sulla superficie conica della piastra, presenta tre linee curve che indicano l’equinozio e i solstizi d’estate e d’inverno. Undici linee che si inter-

secano con quelle curve dividono la superficie in dodici parti, corrispondenti alle ore del giorno. Il foro sulla superficie superiore conteneva un puntatore di bronzo la cui ombra cadeva sulla faccia concava della meridiana. Merita qui d’essere segnalata anche una lastra di granito utilizzata per misurare i volumi. Simili manufatti in pietra, montati su lastre di supporto verticali, venivano utilizzati dagli ispettori dei mercati per verificare la capacità delle misure usate dai commercianti per misurare i loro prodotti (solidi e liquidi).

LASCITI PREZIOSI Il percorso si chiude con la sezione dedicata alle «Collezioni e Donazioni», che ha nella Collezione Lambropoulos l’elemento di maggior richiamo. Quest’ultima comprende piú di mille oggetti, che, secondo il suo primo proprietario, provengono principalmente dalla penisola calcidica. La maggior parte

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In alto: un particolare dell’allestimento della sezione dedicata alle collezioni con, al centro, la kylix sulla quale sono dipinti due grandi occhi apotropaici. A sinistra: busti femminili in terracotta, con ogni probabilità utilizzati come offerte votive.

dei reperti viene datata ai periodi arcaico e classico, e include pregevoli esempi di ceramica attica, corinzia e locale, importanti pezzi di armamenti e attrezzature da guerra, spettacolari gioielli in oro, argento e bronzo, figurine in terracotta e busti di argilla, nonché oggetti risalenti alla preistoria e all’età bizantina. In una grande vetrina sono esposti i vasi a figure nere e rosse provenienti da officine locali, attiche e corinzie, mentre oggetti della stessa categoria o con temi simili sono raggruppati insieme: piccoli vasi per profumi, recipienti con vernice nera per uso quotidiano, vasi che mostrano scene con figure mitologiche, atleti, iconografie dionisiache e conviviali. Un settore di questa vetrina è riservato a vasi provenienti da officine locali della Calcidica, la ceramica detta «calcidica», che è ampiamente rappresentata in questa raccolta, con numerosi esempi ben conservati. Questa classe di manua r c h e o 75


MUSEI • GRECIA

fatti combina elementi provenienti da Eolia, Samo, Chio e le Cicladi, oltre a una tradizione precedente della Grecia settentrionale. Solitamente di grandi dimensioni, i vasi sono decorati con motivi geometrici, floreali e lineari, nonché soggetti figurativi come uccelli acquatici e teste femminili. La loro datazione è compresa tra la fine del VI e l’inizio del IV secolo a.C. Di notevole pregio sono i vasi a figure nere e rosse, prodotti tra la metà del VI e la metà del IV secolo a.C. Provengono sia dall’Attica, sia da officine locali calcidiche, come quella di Olinto, che tra le altre co-

se produceva imitazioni della ceramica attica. La loro decorazione è spesso imperniata su temi e figure mitologiche, ma presenta anche impressionanti motivi floreali.

OCCHI MISTERIOSI Due grandi occhi apotropaici su una coppa attica a figure nere della fine del VI secolo a.C. incorniciano i busti di Apollo e Dioniso; una pelike a figure rosse, probabilmente da Olinto, raffigura quattro divinità, e un’altra pelike a figure rosse, di circa un secolo piú tarda, mostra l’anodos (la risalita) della dea Afrodite dalla terra con due satiri intor-

no a lei, probabilmente come parte di un dramma satiresco. Vasi e recipienti in bronzo, principalmente per uso simposiaco o cerimoniale, sono esposti insieme ad armi in bronzo e ferro del periodo classico; vi sono esemplari ben conservati di elmi in bronzo del tipo corinzio (fine VI secolo a.C.), una spada in ferro, due esempi di sauroter (l’estremità posteriore della lancia che fungeva da contrappeso e poteva essere conficcata nel terreno o poteva anche essere utilizzata come arma di riserva), punte di lancia e di freccia in ferro, oltre a proiettili per fionda. Nella stessa sezione si posso-

Nella pagina accanto: una selezione dei monumenti funerari di epoca romana esposti nel museo. In basso: un altro rilievo facente parte dell’apparato ornamentale del monumento funerario di Stratoni.

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no vedere alcuni strigili, gli oggetti utilizzati dagli atleti per pulire il sudore, la polvere e l’olio residuo dalla pelle dopo gli allenamenti, nonché un battente in bronzo decorato con una testa di leone. L’altra metà della vetrina espone una raccolta di figurine in argilla, principalmente di animali associati alla vita quotidiana come piccioni, galli, cani o tartarughe. Si tratta, probabilmente, di giocattoli per i bambini, poiché sono ritrovamenti frequenti sia nei cimiteri che negli insediamenti, ma venivano usati anche come ex voto nei santuari. Nel gruppo di questi oggetti spicca una bambola con arti mobili risalente agli inizi del V secolo a.C. A essere utilizzati come ex voto nei santuari pubblici e nei culti domestici erano anche i busti femminili in terracotta. Si tratta di una categoria ben definita della produzione coroplastica, che fiorí dal periodo arcaico fino all’epoca ellenistica avanzata. La maschera di un volto ovale con grandi occhi e una coro-

na di capelli è l’esempio piú antico (VI-inizi V secolo a.C.) e piú comune. Agli inizi del V secolo a.C. il busto si trasforma in un ritratto della figura fino all’altezza della vita, in molteplici pose, ed è caratterizzato dalla rigidità, mentre durante la seconda metà del IV secolo a.C. le figure assumono una maggiore plasticità.

UN TRIONFO DI COLORI Nella teca dedicata agli ornamenti sono riuniti diademi, collane, pendenti, spille, orecchini, braccialetti e anelli realizzati in oro, argento, bronzo, vetro, ambra e pietra, esposti insieme a cofanetti in terracotta per gioielli, piccoli vasi in vetro per profumi e dischi in bronzo da specchi. Molto vivace e colorata è anche la vetrina che espone la ceramica smaltata bizantina, nella quale si possono vedere ciotole, piatti e tazze con decorazioni incise consistenti in motivi lineari e floreali, cosí come figure animali. Qui sono esposti anche gioielli del-

lo stesso periodo: braccialetti in bronzo e vetro, orecchini e anelli in bronzo che rappresentano i tipi piú comuni di quell’epoca. L’allestimento del Museo Archeologico di Polygyros dev’essere ancora ultimato, ma già adesso la raccolta è in grado di offrire ai visitatori un panorama ampio e sistematico della storia e dell’archeologia del territorio, con materiali che, come si è detto, spaziano dalla preistoria all’epoca classica. Reperti che concorrono a mostrare un quadro esauriente della presenza umana nella Calcidica e sono anche testimonianza del rilievo assunto dalla ricerca archeologica in questa regione. DOVE E QUANDO Museo Archeologico di Polygyros Orario tutti i giorni, escluso il martedí, 8,30-15,30 Info e-mail: efachagor@culture.gr; https://archaeologicalmuseums.gr; www.visit-halkidiki.gr; www.efachagor.gr a r c h e o 77


MUSEI • RAVENNA

Un particolare dell’allestimento della sezione nella quale viene illustrata la storia della basilica di S. Severo e del suo complesso monastico.

VIVERE E PREGARE IN UNA CAPITALE DELL’IMPERO

78 a r c h e o


L’ALLESTIMENTO DI CLASSIS RAVENNA-MUSEO DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO SI È ARRICCHITO DI DUE NUOVE SEZIONI, DEDICATE ALLA PRATICA DEL CULTO E AI MODI DELL’ABITARE. SI COMPLETA COSÍ LA RICOSTRUZIONE DELLE VICENDE DELL’ANTICA CITTÀ ADRIATICA, DEL SUO PORTO E DI ALTRI CENTRI GRAVITANTI NELLA SUA ORBITA a cura della Redazione a r c h e o 79


MUSEI • RAVENNA

C

on le due nuove sezioni inaugurate poco piú di un anno fa, Classis RavennaMuseo della Città e del Territorio ha completato il suo progetto espositivo che, accanto alla «linea del tempo», prevedeva approfondimenti tematici dedicati all’architettura civile («Abitare a Ravenna») e a quella religiosa («Pregare a Ravenna») con materiali esposti per la prima volta al pubblico. Entrambe accolgono mosaici importanti anche del territorio (Faenza), per cui il Museo tiene fede alla sua impostazione di essere il museo sia della città che del territorio e di raccontarne le storie, spesso intrecciate e complementari. Il mosaico antico acquista inoltre quella centralità espositiva che ancora mancava e che doveva esserci non per assecondare luoghi comuni e facili approcci di tipo estetico, ma per la straordinaria importanza, culturale e

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storica che questa espressione artistica ebbe per la città. I due nuovi temi dell’allestimento consentono di ripercorrere da un lato lo sviluppo e l’evoluzione del modo di abitare, dalla casa di età repubblicana al palazzo di età imperiale; e di recuperare dall’altro una importante novità storica relativa alle basiliche che erano molto ravvicinate tra loro con la funzione assai precoce di controllo del territorio circostante che precede quella dei monasteri medievali come risulta molto chiaramente per la basilica di S. Severo (vedi box a p. 79). Giuseppe Sassatelli, Presidente della Fondazione RavennAntica Oltre 150 metri quadrati di mosaici inediti per il pubblico, suddivisi in due differenti spazi, che veicolano significati profondi, non solo per i singoli, ma anche per le comunità

che li animano e li rendono vivi. Le esposizioni permanenti inaugurate nel settembre 2023 si focalizzano su urbanistica residenziale e luoghi di culto, quotidianità e spiritualità: il patrimonio materiale conservato ed esposto al museo, costituito dai nuovi materiali archeologici e dai mosaici, dà accesso a un immenso patrimonio fatto di nuove conoscenze sulla vita privata e pubblica della comunità ravennate all’epoca di Ravenna Capitale. A caratterizzare questi due nuovi


spazi del museo anche un allestimento fortemente coinvolgente, dove il visitatore potrà sentirsi parte integrante della storia che gli viene raccontata. Questo ampliamento permette al Classis Ravenna di rilanciarsi fortemente come museo del territorio: i reperti archeologici e i mosaici esposti provengono infatti non solo da alcuni dei piú celebri scavi del Ravennate, come quello della basilica di A destra, in alto: plastico ricostruttivo del complesso monastico di S. Severo, che si sviluppò intorno al chiostro addossato alla basilica nella quale erano state traslate le spoglie del vescovo a cui la chiesa fu intitolata. In basso, sulle due pagine: particolare di uno dei mosaici policromi esposti nella sezione «Pregare a Ravenna». Nella pagina accanto, in alto: l’atrio di Classis Ravenna-Museo della Città e del Territorio.

PER LA MAGGIOR GLORIA DEL VESCOVO SEVERO In un’area precedentemente occupata da una villa romana del suburbio di Classe, viene costruito un mausoleo, un piccolo edificio con abside, che, nel V secolo d.C., accoglie il corpo del vescovo Severo e attorno al quale gli arcivescovi di Ravenna, verso la fine del VI secolo, costruirono una grande basilica a tre navate nella quale furono traslate le spoglie di san Severo, simile per dimensioni e livello artistico alla vicina basilica di S. Apollinare in Classe. A differenza del vicino porto di Classe, in forte decadenza già nel corso del VII secolo, il complesso di S. Severo sopravvive e nell’XI secolo diventa la sede di un importante monastero, articolato attorno a un grande chiostro addossato alla basilica. Gli scavi piú recenti hanno messo in luce diverse strutture del monastero (sala capitolare, refettorio, cucine) e diversi materiali che ne documentano la vita quotidiana (boccali e varie suppellettili ceramiche), a conferma di una importante notizia della tradizione storica secondo la quale l’imperatore Ottone nel 967, durante un suo viaggio in Italia, volendosi fermare a Ravenna non si stabilí nel palazzo imperiale di città, sicuramente già fatiscente, ma nel monastero di S. Severo. La storia cosí lunga e interessante di questo complesso, che oggi non si vede piú ma che è interamente ricostruibile sulla base della documentazione archeologica, legittima il progetto di farne la seconda stazione del Parco, dopo quella dell’Antico Porto già realizzata, progetto che è nella volontà e negli auspici sia della città che della Fondazione RavennAntica.

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MUSEI • RAVENNA

DIDATTICA ESPERIENZIALE TRA ARTE, MOSAICO E ARCHEOLOGIA I Servizi Educativi di RavennAntica, nati nel 2004, guidano le scuole alla scoperta del ricco patrimonio archeologico, artistico e storico oggi gestito dalla Fondazione Parco Archeologico di ClasseRavennAntica. Si propongono numerose attività, consolidate negli anni anche attraverso la proficua collaborazione con la scuola. La vasta esperienza professionale e la specifica formazione degli educatori museali ne sono il tratto distintivo. L’intento è quello di avvicinare il pubblico scolastico,

ma anche quello degli adulti, al patrimonio archeologico, artistico e storico attraverso una mediazione attiva e partecipata e un’offerta formativa articolata. Le attività proposte si svolgono presso appositi centri didattici e siti di interesse artistico-archeologico. Ogni sede propone specifiche attività. Visite animate, laboratori e progetti speciali compongono un’offerta rivolta alla scuola dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di 1° e 2° grado, che toccano diversi argomenti e

S. Severo a Classe, e da collezioni già conosciute in città, come la Domus dei Tappeti di Pietra, ma anche da altri siti, come il mosaico dalla Domus di via Dogana a Faenza. Una connessione che testimonia la volontà della Fondazione RavennAnti-

ca di raccontare, tramite il Classis, una storia che va oltre i confini della città e abbraccia tutta la comunità partecipe dei fasti dell’epoca. Le nuove sezioni permanenti arricchiscono inoltre il circuito culturale e turistico del Parco Archeologico

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discipline, in particolare il mosaico e l’archeologia anche integrando la progettazione della scuola. Tutti i laboratori sono volti a sviluppare nei bambini l’autonomia e il senso critico, lavorando sulla partecipazione attiva e la stimolazione continua della creatività. Le proposte della Fondazione in questo ambito sono svolte da educatrici museali specializzate, mediante l’utilizzo di materiali preparati appositamente e messi a disposizione dei partecipanti. Questa attività ha inoltre l’obiettivo piú generale di una educazione al patrimonio culturale nei suoi risvolti storici e identitari. Per consultare le nuove proposte per l’anno scolastico 2024/2025: www.ravennantica.it

di Classe, che oltre al museo comprende la grande basilica di S. Apollinare in Classe, straordinario esempio dell’arte paleocristiana, dichiarata patrimonio UNESCO dal 1996, inserita nel panorama complessivo delle diverse altre basiliche disseminate in un territorio molto ristretto (S. Severo, Ca’Bianca). Il circuito comprende anche il sito archeologico a cielo aperto dell’Antico Porto, uno degli scali portuali piú importanti del mondo romano e bizantino. Il territorio e la sua storia sono cosí al centro degli itinerari turistici di questa zona, praticabili a piedi o in bicicletta e volti a Sulle due pagine: immagini delle attività organizzate a beneficio del pubblico dei piú piccoli, che da sempre costituiscono uno dei settori di attività della Fondazione RavennAntica e che l’ampliamento del percorso espositivo ha permesso di arricchire ulteriormente.

far scoprire le bellezze del paesaggio, spaziando dall’archeologia alla natura, passando ovviamente dai mosaici, simbolo caratteristico e distintivo di Ravenna.

DIDATTICA E ACCESSIBILITÀ Con l’inaugurazione delle nuove sezioni, inoltre, ha preso il via una fase di nuove iniziative, rivolte a grandi e piccini, che animeranno il museo nei prossimi anni. Proseguono anche i percorsi di inclusione e accessibilità intrapresi con il progetto «Ravenna per mano», iniziato nel 2018, in particolare per quel che riguarda la creazione di visite guidate e laboratori inclusivi. Fulcro della proposta sono i simboli e i mosaici, presenti all’interno del Classis, i quali permettono un approccio per immagini che supera le tradizionali nozioni erudite e genera un coinvolgimento e una partecipazione volti a superare le barriere sensoriali e cognitive di un apprendimento tradizionale. Grazie a questi nuovi approfondimenti, che completano il percorso espositivo del Museo, il Classis si connota come spettacolare portale di ingresso alla città di Ravenna, tappa fondamentale per illustrare la narrazione storica del territorio, nonchè punto di partenza fondamentale per far comprendere appieno ai turisti e ai visitatori tutti gli altri siti museali e archeologici presenti in città. Le nuove sezioni e l’ampliamento del percorso espositivo del Museo hanno inoltre consentito di rafforzare e ampliare l’offerta didattica (vedi box in queste pagine). DOVE E QUANDO Classis Ravenna-Museo della Città e del Territorio Classe, Ravenna, via Classense 29 Orario tutti i giorni, 10,00-17,00 Info tel. 0544 473717; www.classisravenna.it a r c h e o 83


SPECIALE • SARDEGNA

LA SCOPERTA DELLA

CIVILTÀ NURAGICA Veduta del complesso cultuale di Santa Vittoria di Serri, indagato nel primo trentennio del Novecento da Antonio Taramelli.

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Alcuni dei siti archeologici piú noti dell’età nuragica sono stati scoperti tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento dello scorso millennio. Le nuove acquisizioni dell’archeologia moderna hanno poi fortemente ridimensionato le interpretazioni degli archeologi dell’epoca, ma quelle scoperte ancora oggi restano fondamentali per la conoscenza della civiltà nuragica. Ripercorrere alcune di quelle ricerche, che devono essere reinterpretate alla luce delle attuali conoscenze, ci proietta in un contesto storico segnato dalla costruzione dello Stato unitario e delle sue istituzioni, ma anche da eventi bellici, vivacità culturali, tensioni ideali che si ripercuotono su una Sardegna lontana fisicamente e diversa culturalmente dal «Continente», che inizia a conoscere l’isola anche tramite l’archeologia. Questo intende raccontare la mostra di oltre 300 reperti allestita a Barumini, presso il Centro Giovanni Lilliu, che propone al visitatore importanti reperti nuragici in genere non esposti al pubblico, oltre ad alcuni inediti documenti d’archivio di Gianfranca Salis

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13

Nuraghe Santa Barbara

Nuraghe Santu Antine 15 Sa Mandra Manna 14

SPECIALE • SARDEGNA

T

ra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento l’archeologia è una disciplina ancora in formazione, che risente fortemente del gusto antiquario dell’epoca e del fascino dell’oggetto di pregio, bello esteticamente e preferibilmente integro, che viene acquistato da pochi e abbienti collezionisti privati e solo raramente da istituzioni museali per finalità di pubblica fruizione. A partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, in Sardegna suscitano particolare clamore alcuni rinvenimenti occasionali di complessi di oggetti in metallo, quali quelli per esempio di Forraxi Nioi a Nuragus, Monte Sa Idda di Decimoputzu, Chilivani di Ozieri (vedi box alle pp. 100-103), che vengono prevalente-

16

Sulle due pagine: i principali siti archeologici della Sardegna. In evidenza (da 1 a 17) quelli coinvolti nel Progetto Nur_Way, che include alcuni siti rappresentati in mostra. In basso: Antonio Taramelli (1868-1939) durante un sopralluogo.

Villaggio nuragico Su Muru Mannu

santuario Siti e monumenti17 Villaggio di Abini 1

Area archeologica di Janna ‘e Pruna

2

Area archeologica di Monte Prama

Area archeologica di Santa Cristina 4 Area archeologica di Tamuli 3

5

Necropoli Filigosa

Necropoli Sant’Andrea Priu 7 Nuraghe Fronte Mola 6

Nuraghe Loelle 9 Nuraghe Losa 8

10

Nuraghe Majori

Nuraghe Nolza 12 Nuraghe San Marco 11

Nuraghe Villaggio nuragico protostorico Villaggio preistorico Pozzo sacro Grotta funeraria preistorica Grotta funeraria protostorica Grotta d’abitazione preistorica e protostorica Tempio a cella protostorico (a «megaron») Tempio preistorico Menhir, betilo e stele Dolmen e tomba megalitica nuragica e preistorica

13

Nuraghe Santa Barbara Nuraghe Santu Antine 15 Sa Mandra Manna

Tomba dei giganti

14

Ipogeo funerario preistorico

16

Villaggio nuragico Su Muru Mannu

Recinto nuragico

17

Villaggio santuario di Abini

Santuario protostorico

Nuraghe Villaggio nuragico protostorico Villaggio preistorico Pozzo sacro Grotta funeraria

mente interpretati dagli studiosi come preistorica ripostigli nascosti dalle popolazioni in Grotta funeraria protostorica di eventi militari o comunque occasione d’abitazione di Grotta partenze improvvise degli abitati. Per preistorica e protostorica le Tempio comunità locali sono tesori in grado di a cella arricchire chi li trova, ma anche oggetti protostorico (a «megaron») incomprensibili Tempio preistorico e ammantati di mistero, Menhir, betilo e stele che generano leggende e storie di demoe tomba niDolmen e spiriti adatte ad alimentare una vamegalitica nuragica riegata tradizione popolare in bilico tra e preistorica cristianesimo Tomba dei giganti e superstizione. Nel settembre Ipogeo funerario del 1865, a Teti, piccolissipreistorico mo paese nel cuore della Barbagia, un Santuario protostorico giovane, che aveva visto in sogno il luogo nuragico diRecinto S’Ascusorgiu (il tesoro nascosto nella lingua locale), conduce i suoi concittadini a scavare in località «Sa badde ‘e sa domo» o «de idda», una piccola vallecola solcata da un ruscello affluente del Taloro, che viene descritta come «un’aspra forra coperta da lecci e olivastri, isolata e difficile da raggiungere». La notizia degli imponenti rinvenimenti di bronzi attirano cercatori di tesori e 86 a r c h e o


Bocche di Bonifa cio Maddalena Cala Villa Marina

Lu Brandali S. Teresa di Gallura

Li Mizzani Palau Li Muri

Asinara

Li Lolghi

Porto Torres Monte d’Accoddi

Camposanto Olmedo

Oridda Senori

Sa Turricola Muros

Palmavera Anghelu Ruju

Grotta Verde

Capo Caccia Alghero Sant’Imbenia Sa Ucca e Su Tintiriolu Mara

10

Grotta dell’Elefante Castelsardo

Sassari

Arzachena Albucciu

Casanili Luogosanto

G olfo dell’Asinara

Punta Falcone

Caprera

Tempio Pausania

Olbia

Monte di Deu Calangianus

Monte e S’Ape

Predio Canopoli Perfugas

Abealzu Osilo

15

Grotta Inferno Muros

Burghidu Ozieri

S. Antioco Bisarcio San Michele Ozieri Ozieri Mandra Antine Thiesi Sa Coveccada Istalai 14 Mores Nule Su Coveccu Bultei

7

Riu Mulinu Bonorva Mura Cariasas Bonorva

Pozzo Milis

6

Sos Furrighesos Anela

Sos Nurattolos Alà dei Sardi Iselle Budduso

8 Maone Benetutti

Nuraghe Pitzinnu Posada

Capo Comino 1

Su Tempiesu Orune

Orosei

Noddule Biristeddi Nuoro Molia Motorra Nuoro Illorai Serra Orrios Oliena Orolio Sas Concas Cala Gonone Gonagosula Silanus Nuraddeo Macomer 5 Oniferi Dorgali Oliena Suni Istevene S’Altare de 13 Grotta del Bue Marino Mamoiada 4 Ponte Sa Logula Sedda Sos Serrugiu Dualchi Sarule Carros Cuglieri Golfo S. Michele Gorthene Oliena Iloi Elighe Onna Fonni Orgosolo Sedilo Oragiana di Orosei S. Lussurgiu Cuglieri S’ena Sa Vacca 17 Bidistili S’Omu e S’Orcu Lugherras Fonni Urzulei S’angrone Olzai Fanne Massa 9 Paulilatino Cuglieri S.Pietro Golgo Losa Abbasanta Fittas Baunei 3 Abbasanta Campu Maiore Pedras Ovodda Serra Is Araus Busachi Sa Carcaredda S. Vito Milis S’Urachi Villagrande S. Barbara S. Vero Milis Villanova Truschedu Pitzu e 11 Ruinas Sceri Arbatax Pranu 2 Arzana Ilbono Genna Corte Belvi Cuccuru Arrius Ardasai Laconi Perdalonga Cabras Oristano Seui Genna Seleni Tortoli Arrele 16 Lanusei Laconi Fenosu Aiodda G olfo S. Antinu Palmas d’Arborea Motrox ‘e Bois Serbissi Nurallao Genoni Osini Usellus di Orist a no Roja Cannas Cuccureddi Uras Esterzili Is Paras Coni Isili Aleri 12 Nuragus Monte Arci Tertenia Marceddi S. Vittoria S’ Omu S’Orcu Terralba Serri Su Siddi Orrubiu Nastasi Nuraxi Barumini Cuccarada Orroli Tertenia Barumini Mogoro Su Molinu Su Pranu Orroli Villafranca Saurecci Funtana Coberta Genna Maria Guspini Ballao Villanova Forru Pranu Muteddu Genna Prunas Is Pirois Pardu e Jossu Guspini Sa Turriga Goni Monti Villaputzu Sanluri Mannu Serrenti Senorbi S. Cosimo Sa Corona Gonnosfanadiga Pranu Sanguini Villagreca S. Nicolò Gerrei Corongiu Capo Pecora Pimentel Perda Fitta Sa Grutta ‘e Ianas Su Mannau Serramanna San Vito Fluminimaggiore Matzanni M. Olladiri Sebiola Asoru Vallermosa Monastir Serdiana San Vito S. Gemiliano D’Omu S’Orcu Buoncammino Sestu Domusnovas Su Cungiau Cuccuru Craboni de Marcu Iglesias Maracalagonis Decimoputzu Seruci Tani Monte Claro Gonnesa Is Concias Diana Quartucciu Quartu Su Moiu Su Carropu Cagliari Narcao Capo S. Elia Carbonia Montessu Isola di Golfo S’Arriorgiu Santadi S. Pietro Antigori Santadi di Cagliari Capo Carbonara Sarroch Istmo Domu S’Orcu Sarroch

Mar Tirreno

Isola di S. Antioco

Cannai

S. Anna Arresi

Mar

Tirreno

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SPECIALE • SARDEGNA

In alto: un bambino impiegato come operaio sugli scavi di Santa Vittoria di Serri. A destra: un documento con le paghe degli operai. La giornata veniva ricompensata con 1,70 Lire, una cifra considerevole per l’epoca.

collezionisti (tra questi ultimi l’ingegner Leone Gouin organizza scavi approssimativi, che verranno duramente criticati da due importanti studiosi dell’epoca, Luigi Pigorini ed Ettore Pais), che arrecarono al sito danni irrimediabili. In un sopralluogo eseguito nel 1878, Filippo Vivanet, Commissario delle antichità per il Regno d’Italia, lamenta le conseguenze degli sterri e recupera un imponente gruppo di spade votive. A fronte dei danni e della dispersione dei reperti archeologici, un fenomeno ben noto anche fuori dall’isola, il neocostituito Stato italiano, impegnato nella costruzione di un’identità e di una cultura nazionali, inizia a definire una normativa di tutela severa che salvaguardi il patrimonio e ad attivare sul territorio dei presidi di controllo e di ricerca. È 88 a r c h e o


Qui sotto: documento attestante il pagamento di un carro a buoi per il trasporto delle attrezzature necessarie per lo scavo. In basso: gli scavi in corso a Santa Vittoria di Serri sotto la neve.

il momento della creazione degli Uffici periferici della Direzione Generale Antichità e Belle Arti (istituita già nel 1875 all’interno del Ministero dell’Istruzione), uffici che saranno i primi nuclei delle Soprintendenze specialistiche di settore. In Sardegna, l’ufficio ha sede a Cagliari e inizia la sua attività di censimento dei siti archeologici dell’isola e di recupero di dati e reperti che vengono pubblicati su riviste nazionali e portati all’attenzione degli studiosi piú importanti dell’epoca. Per svolgere i suoi compiti, il costituendo ufficio di tutela archeologica cagliaritano chiede la collaborazione delle istituzioni e delle amministrazioni locali.

UNA VISIONE MODERNA Protagonista di queste prime pioneristiche attività è Antonio Taramelli (1868-1939), il quale, insieme ad Alberto Lamarmora, Giovanni Spa(segue a p. 95)

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SPECIALE • SARDEGNA

In alto: la chiesetta di Santa Maria delle Vittorie di Serri al tempo degli scavi di Antonio Taramelli (in secondo piano nella foto) e cosí come si presenta oggi (nella pagina accanto, in alto). Qui sopra: una foto d’epoca degli scavi nel complesso di Santa Vittoria di Serri. 90 a r c h e o


A sinistra e in basso: altre foto d’epoca degli scavi nel complesso di Santa Vittoria di Serri. Si notano elementi in pietra muniti di fini decorazioni scolpite.

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SPECIALE • SARDEGNA

Un’altra immagine del santuario di Santa Vittoria di Serri.

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UNA MADRE ANTICHISSIMA Bronzetto nuragico raffigurante una madre con il figlio in grembo, dal santuario di Santa Vittoria di Serri. Età del Bronzo Finale-prima età del Ferro.

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SPECIALE • SARDEGNA Bronzetto nuragico raffigurante un offerente che indossa una veste di pellame, dal santuario di Santa Vittoria di Serri. Età del Bronzo Finale-prima età del Ferro. Nella pagina accanto: reperti provenienti dal santuario di Santa Vittoria di Serri: 1. vago in faïence; 2. applique decorata a cerchielli; 3. elemento conico in osso; 4. frammento di tripode; 5. alamaro in osso; 6. alamaro in bronzo, finemente decorato; 7. frammento di tripode.

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no, Filippo Vivanet, Filippo Nissardi, Ettore Pais e tanti altri, si appassiona alla Sardegna e invita gli studiosi a visitarne le ricchezze archeologiche che immagina come attrattive per un turismo culturale. In quest’ottica, diventa membro fondatore del comitato locale del Touring Club Italiano, collabora alla stesura della prima guida dedicata all’isola, sostiene la fondazione della Pro Sardinia e successivamente della sezione sarda dell’Ente Nazionale Italiano del Turismo.

SI MOLTIPLICANO LE RICERCHE Questa frenetica attività, che anticipa in modo impressionante l’idea attualissima che l’archeologia abbia un ruolo nello sviluppo economico del territorio, si associa al grande impulso dato alle indagini di scavo dalla Soprintendenza, soprattutto a partire dagli anni Venti del Novecento, dopo la fine della prima guerra mondiale. Nel 1920, Antonio Taramelli, della Regia Soprintendenza del Museo e degli Scavi di Antichità della Sardegna, scrive

5

6

7

2 1

3

4

Qui sotto e in basso, a destra: frammenti di ambra grezza.

in una lettera indirizzata a tutti le autorità dell’isola: «Cessata la grande bufera della guerra, finita in luminosa vittoria per valore di soldati e virtú di popolo, occorre riprendere senza indugio il lavoro nelle arti proficue della pace. Lo studio delle memorie e dei monumenti è fra le piú nobili di queste arti, e da esso proviene gloria ed onore al paese che lo coltiva e lo venera. Perciò questa Soprintendenza, conscia del suo alto compito e della costante cooperazione morale di tutta la nobile regione sarda, si rivolge in modo amichevole alle autorità locali perché vogliano secondarla in tutte le iniziative dirette a meglio conoscere, illustrare tutelare a termini di legge e per dovere di patriottismo, tutti i monumenti e le memorie della nostra terra». Nella missiva chiede informazioni soprattutto sugli edifici sacri, che secondo lui sono «in gran parte collegati con le fontane perenni o salutari, venerate dalla gente primitiva dell’isola (...) Tali fontane sono note ai pastori e alla gente di campagna che spesso collegano ad esse delle credenze di miracoli e di salute». In questi siti vengono spesso in luce «oggetti preziosi per la storia, e che andranno dispersi per avidità e per ignoranza.Tali fatti, vergognosi per un paese civile, debbono cessare» e promette scavi che potranno «accrescere le nostre conoscenze e l’importanza archeologica e turistica del Comune». L’interesse scientifico per gli edifici di culto si concretizza nello scavo degli importanti complessi architettonici di Santa Vittoria di Serri (vedi foto in apertura, alle pp. 84/85) e di Abini di Teti (vedi foto a p. 96), indagini incoraggiate e finanziate dal Ministero centrale, che dimostra di avere chiaro non solo il nesso tra tutela e ricerca, ma ana r c h e o 95


SPECIALE • SARDEGNA

che l’importanza della ricostruzione delle culture locali allora definite «preromane», e questo nonostante il mito della Roma imperiale sia dominante in quel momento storico perché posto dalla politica alla base dell’identità nazionale.

96 a r c h e o

L’organizzazione dello scavo era molto rudimentale e prevedeva il recupero sul posto di operai giornalieri talora anche bambini, buoi per il trasporto degli attrezzi e l’acquisto di attrezzature a opera del podestà o del direttore della Soprintendenza, il quale, in

Una veduta dell’area santuariale di Abini di Teti.


A destra: statuetta in bronzo dal carattere votivo, dal santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri.

Qui sopra e a destra: pugnali da Abini di Teti. Il secondo si presenta ancora inserito nella impiombatura.

una Sardegna interna spesso poco servita da strade e ferrovie, impiegava giorni per raggiungere i siti e doveva pernottare ospite di qualche notabile del posto. Le indagini segnano l’inizio di un’archeologia moderna, finalizzata alla ricostruzione storica. A Teti, lo scavo delle capanne nel La borgata nuragica di S’Urbale (pubblicato dallo stesso Taramelli in Notizie degli scavi del 1931) è accompagnato da documenti fotografici e rilievi che aiutano nella comprensione della descrizione e dalle interpretazioni sull’uso domestico delle capanne e sull’esistenza di attività fusorie. Gli oggetti (alari, fornelli fittili a ferro di cavallo, ciotole e ciotoloni, lucerne, doli, falcetti, macine, pesi da telaio), le forme degli spazi (nicchie, ripostigli delimitati da lastre ortostatiche, piccole vasche di trachite, focolari), i reperti organici (meticolosamente prelevati e avvolti in fogli di giornale dell’epoca arrivati direttamente da Cagliari) vengono utilizzati per ricostruire la vita quotidiana della comunità in tutti i suoi aspetti, dall’economia alle abitudini alimentari. Gli scavi recenti (anni Ottanta del Novecento) hanno confermato e ampliato molto le nostre conoscenze di S’Urbale e della fase di vita del Bronzo Finale.

NOMI SUGGESTIVI A Serri, il vasto santuario di Santa Vittoria (o meglio di Santa Maria delle Vittorie a cui è intitolata la chiesetta; vedi foto a p. 91, in alto) deve ad Antonio Taramelli, che lo indagò in modo estensivo nel corso del primo trentennio del Novecento, i suggestivi nomi relativi ai singoli edifici che lo compongono. Frutto delle interpretazioni dell’epoca, le denominazioni sono entrate nella letteratura scientifica: tempio a pozzo, curia, recinto del sedile, tempio ipetrale, capanna del sacerdote, via sacra, recinto delle feste, fonderia, capanna delle riunioni, cucina, dimora del capo, recinto degli altari, recinto della mensa. Le nuove ricerche hanno appurato che molte di quelle definizioni non sono corrette (per esempio la capanna del capo è, in realtà, un tempio) e che il sito ha avuto una lunga frequentazione, dall’età del Bronzo fino all’età storica, ma la lettura

del santuario come «federale» capace di attrarre le comunità di un vasto areale (come nella magistrale descrizione di Giovanni Lilliu) rimane ancora valida. Lo straordinario complesso di bronzi figurati e gli altri oggetti in metallo (bottoni, ciste miniaturistiche, pugnali, fibule, spilloni, utensili, navicelle, grappe di piombo decorate) rinvenuti nel sito definiscono un contesto cultuale in cui sono attivi i processi dedicatori e di offerta tipici della civiltà nuragica, dove oltre agli strumenti vengono dedicati gli ornamenti personali. Unitamente agli altri segni del sacro cosí evidenti nel santuario (tra cui si segnalano i modelli di nuraghe finemente scolpiti e gli elementi architettonici decorati), gli oggetti contribuiscono a rappresentare la religiosità complessa propria della civiltà nuragica, una (segue a p. 102) a r c h e o 97


3600 a.C.

SPECIALE • SARDEGNA 6000 a.C.

10 000 a.C.

TAVOLA CRONOLOGICA mesolitico

eneolitico

età

neolitico

antico

recente

finale

inferiore

medio

cultura e civiltà

sub - ozieri su carroppu

ceramica impressa

«cardiale»

microliti in ossidiana

elementi significativi della cultura materiale

medio

grotta verde

filiestru

ceramica impressa

ceramica non decorata

«strumentale» e « cardiale »

ceramica ingubbiata in rosso a cordoni plastici anelloni litici

bonu ighinu

ceramica impressa e graffita strumenti in selce e ossidiana strumenti in osso , vasi in pietra

san ciriaco

ozieri

rare decorazioni di tradizione «bonu ighinu »

ceramica impressa , incisa e ingubbiata rossa

vasi a orlo estroflesso

vasi in pietra

primi strumenti in ossidiana (?)

filigosa

decorazioni rare

ceramica dipinta in rosso

abealzu

vaso

vaso a

«pluriangolare» fiasco con bicchiere carenato

collo allungato

vaso a fiasco

strumenti in selce e ossidiana

vasi carenati

bicchiere allungato , vaso conico , bugne singole assenza di o in coppia , vasi carenati forate o no

strumenti in osso

oggetti metallici

rara decorazione graffita , impressa a punti oblunghi

oggetti metallici

vaso biconico

decorazione incisa e dipinta

(a bande rosse)

crogioli fittili armi in rame ornamenti d ’ argento e rame vasi miniaturistici

arte mobiliare e immobiliare (pittura, scultura e incisioni)

anse fittili antropomorfe

figurine in pietra

figurine in pietra , ceramica , osso

anse fittili zoomorfe

motivi scolpiti , incisi , dipinti su parete di domus de janas

motivi zoomorfi impressi su ceramica

motivi scolpiti , incisi e dipinti in domus de janas , motivi dipinti in ripari sotto roccia , motivi incisi in grotta e ripari sotto roccia

motivi antropomorfi incisi su ceramica

grotta (?)

motivi geometrici incisi in domus de janas e ripari sotto roccia

statue - menhir

religiosi

tempio su terrazza

riparo , grotta , villaggio all ’ a perto

grotta

grotta

riparo , riparo , grotta , villaggio grotta , all ’ aperto in materiale villaggio all ’ a - deperibile o in muratura perto

villaggio all ’ aperto grotta naturale (?) riparo sotto roccia

capanne circolari civili

capanne tipo serra linta

muro di difesa di villaggio

riparo (?)

grotta naturale (?)

grotta , grotticella artificiale

fossa terragna grotta naturale , domus de janas (grotticella artificiale ) domus miste

funerari

monumenti

villaggi sotto roccia

tombe a circolo con struttura in muratura tombe a circolo con cista

98 a r c h e o

dolmen

sepoltura primaria

sepoltura secondaria anfratto fossa terragna (?) domus de janas riutilizzate o ristrutturate o scavate ex novo allée couverte tombe a circolo


superiore

finale

monte claro

campaniforme

ceramica a solcature , a incisione , a stralucido , dipinta a nastri rosso - ocra

materiali litici

antico

oggetti in rame e piombo

vaso a campana , tripode , tetrapode

medio

bonnanaro

ansa a gomito ; ceramiche inornate

decorazione a rotella dentata

recente

510 a.C.

950 a.C.

1800 a.C.

2200 a.C.

età del bronzo

eneolitico

età del ferro

finale

età nuragica

tegami ceramiche a nervature armi e utensili in bronzo

ceramiche tipo « tamuli »

olle a orlo ingrossato

ceramica pregeometrica

ceramica geometrica

ceramiche a nervature

ceramica micenea

forme ceramiche specializzate

askoi , brocche piriformi

armi e utensili di bronzo

ambra e bronzi d ’ importazione tirrenica

bronzi d ’ importazione orientale (?)

importazioni fenicie

ceramica a pettine

brassard , bottoni , armi

lingotti e armi di tipo egeo armi e utensili di bronzo

betili aniconici

sculture architettoniche

modelli litici e bronzei di nuraghe

statuaria lapidea bronzi figurati modelli litici e bronzei di nuraghe

pozzi sacri

villaggio di capanne rettangolari con zoccolo in muratura e vani multipli

villaggi villaggio di capanne di capanne (pali e frasche e / o muratura )

villaggio di capanne grotta naturale

villaggio con capanne circolari

pozzi sacri

templi a megaron

villaggio santuario

templi a cella circolare

grotte d ’ uso sacro

isolati a corte centrale

villaggio con capanne a settori

capanne rettangolari absidate

nuraghe a corridoio , a tholos , semplice e complesso

muraglia su altura muro di difesa di villaggio

grotta naturale domus de janas realizzate ex novo riutilizzo di domus de janas dolmen allée couverte fossa terragna deposizione entro vaso cista litica

cista litica

riutilizzo di dolmen e di domus de janas grotta naturale

grotta naturale domus de janas ex novo o riutilizzata cista litica

tomba di giganti con « stele », con fronte a filari e tecnica poligonale o isodoma

tomba di giganti con facciata a filari e tecnica isodoma

tomba monosoma a fossa e a pozzetto tafone tomba di giganti

allée couverte tomba di giganti scolpita nella roccia allée couverte scolpita nella roccia

a r c h e o 99


SPECIALE • SARDEGNA

LA «MATRIARCA» IN PREGHIERA In Notizie Scavi del 1913, Antonio Taramelli racconta di come un certo Giuseppe Trudu Cocco, durante lavori agricoli, avesse rinvenuto un pozzo da cui estrasse una statuetta femminile «preromana». Colpito dalla figurina dai lunghi cappelli, che definisce «megera ammaliatrice», l’archeologo ricollega il personaggio al racconto di Solino, secondo il quale in Sardegna «v’erano donne ammaliatrici, con due pupille per occhio, che appunto per questo dovevano avere tanta efficacia e fascino». Nell’analisi che in seguito fece Giovanni Lilliu la statuetta, avvolta in una tunica e coperta da un lungo mantello, ritrae «una sacerdotessa, o meglio una signora dell’aristocrazia tribale», e l’abbigliamento,

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impreziosito dalla decorazione con una striscia orizzontale da cui pendono corte bande verticali regolari, è il segno distintivo del rango. Priva delle mani, la figurina ha oggi vari confronti e ripropone un’iconografia di orante/offerente diffusa nella bronzistica nuragica, caratterizzata da una mano alzata nel segno del saluto e dall’altra protesa con un’offerta. Il pozzo nuragico di Coni (Nuragus), straordinario esempio di architettura dell’acqua, è realizzato in blocchi regolari perfettamente sagomati nella faccia a vista in modo da accompagnare l’andamento planimetrico dell’edificio e presenta la scala di accesso alla camera sotterranea in cui doveva avvenire la captazione dell’acqua, secondo uno schema ricorrente in tutta la Sardegna. A breve distanza dal pozzo sorge il poderoso nuraghe di Santu Millanu, che svetta con la sua torre centrale intorno alla quale si dispongono 4 torri laterali e un cortile di accesso.


A sinistra: il nuraghe di Santu Millanu. Nella pagina accanto: il bronzetto di offerente/orante dal pozzo nuragico di Coni (a destra).

UN SITO PERDUTO Nel 1882, Filippo Nissardi dà notizia di un rinvenimento avvenuto anni prima a Nuragus, in località Forraxi Nioi. Il materiale venne trovato all’interno di un vaso seminterrato all’interno di un edificio circolare a gradoni, interpretato come fonderia. Alla luce delle attuali conoscenze sull’architettura nuragica, la struttura gradonata potrebbe essere piú correttamente interpretata come un edificio assembleare e l’accumulo di metallo come una riserva di ricchezza della comunità, connessa con il potere politico e forse con un ambito cultuale e/o di lavorazione del metallo. Il sito non è piú rinvenibile nel

terreno, ma i materiali, interi e frammentari, sono ancora oggi fondamentali nello studio della bronzistica nuragica. I reperti, datati tra l’XI e la fine dell’VIII secolo a. C., consistono in pugnali, punte e puntali di lancia, asce e doppie asce, seghe, navicelle, ma anche in oggetti di ornamento personale quali fibule, spilloni e un originale rasoio bitagliente, a lungo rimasto senza confronti in Sardegna fino al rinvenimento di oggetti similari nel nuraghe Barru di Guasila. Manufatti da Forraxi Nioi. Dall’alto, in senso orario: ascia a occhielli laterali; punta di lancia con immanicatura a cannone; martello da cesello utilizzato per la lavorazione del metallo; manico di pugnale (o specchio) con decorazione a treccia e raffigurazione di volatile.

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SPECIALE • SARDEGNA

SULLE VIE DELLA TRANSUMANZA Il ripostiglio di Monte Sa Idda di Decimoputzu venne rinvenuto casualmente nel 1914 da Francesco Frau e Sebastiano Pranteddu, due pastori di Desulo, un piccolo paese del Gennargentu. Antonio Taramelli riuscí a recuperare i reperti, che erano stati trovati all’interno di un recipiente di terracotta o dispersi nei dintorni, e a pubblicarli nel 1921. I bronzi di varia natura, interi e frammentari, contenuti, annoverano spade, pugnali, asce (piatte, a spuntoni laterali, con occhielli, con immanicatura a cannone), spilloni, punte e puntali di lancia, falcetti, panelle di rame. Gli studi attuali hanno rilevato (soprattutto nelle asce e nelle spade che rientrano nella classe delle spade «a lingua da presa») influssi iberici, anche rielaborati localmente. Il tema delle relazioni con la penisola iberica è ritornato di grande attualità dopo il ritrovamento in Spagna di frammenti di ceramica nuragica (piú di una settantina) e di alcuni manufatti in bronzo ricollegabili alla Sardegna, che confermano un quadro di contatti culturali tra queste due parti del Mediterraneo. Inoltre, indagini eseguite presso il

Sulle due pagine: materiali dal ripostiglio di Monte Sa Idda di Decimoputzu. A destra, frammenti di spade; nella pagina accanto, in senso orario, asce a occhielli laterali e a margini rialzati, spada del tipo «Monte Sa Idda», asce a occhielli laterali.

Rutherford Appleton Laboratory del Regno Unito con il metodo dell’attivazione neutronica su esemplari di Monte Sa Idda attualmente esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari hanno evidenziato che due spade erano state sottoposte a lavorazione a freddo dopo la loro estrazione

religiosità che si sviluppa a partire dal culto dell’acqua e che assume anche altre sfumature che solo in parte riusciamo a cogliere. Gli edifici a vocazione assembleare (come per esempio la curia o capanna delle riunioni) indiziano la gestione nel santuario di un potere politico, che si giustifica anche con la ricchezza del luogo, rappresentata dalla consistente presenza di metallo. Negli stessi anni, Taramelli riprese anche le ricerche ad Abini a Teti «paesetto sconosciuto, invisibile tra alte montagne», come lo definí Ranuccio Bianchi A destra e nella pagina accanto, in basso: un’ascia doppia e un’ascia a margini rialzati, dal ripostiglio di Chilivani di Ozieri. 102 a r c h e o

dallo stampo fusorio, e per questo avevano una maggiore robustezza e potevano essere usate come arma di offesa. Una spada priva della lavorazione post fusione è risultata inadatta a un uso pratico. Queste analisi evidenziano che il ripostiglio di Monte Sa Idda aveva spade sia da offesa che votive o da parata.

IL RIPOSTIGLIO DI CHILIVANI-OZIERI Segnalato da Taramelli nel 1922, il ripostiglio di Chilivani di Ozieri è composto da 86 manufatti in bronzo che annoverano asce a margini

rialzati, doppie asce a tagli paralleli o convergenti, punte di lancia con immanicatura a cannone, puntali di lancia, scalpelli e un «collare» e due


Bandinelli quando fu trascinato da Taramelli in sopralluogo agli scavi. Oggi sappiamo che Abini è un’area santuariale che si sviluppa intorno a una struttura di captazione dell’acqua e che presenta architetture tipiche dei santuari nuragici (recinto, rotonde con bacile, basi per offerte). La destinazione culturale giustifica lo straordinario complesso di materiali che annovera bronzi figurati, pugnali, stiletti, bottoni, scalpelli, punte e puntali di lancia, spade, asce, panelle di rame, pezzi di piombo e ferro.

IL CORONAMENTO DI UN SOGNO Le descrizioni dei primi rinvenimenti raccontano di «piedistalli» in pietra in cui erano infissi gli oggetti votivi e delle spade che «si trovarono riunite in fascio mediante una fettuccia metallica». Il restauro delle 105 spade esposte in mostra ha consentito di individuare segni palesi di un’asportazione intenzionale dalla base votiva in cui dovevano essere fissate con il piombo. Venivano fissate all’interno dei fori tramite colate di piombo che in alcuni casi sono ancora conservate. Alcune spade recano i segni di una asportazione intenzionale e violenta dalla base, segno che furono strappate dalla base votiva e riposte per la conservazione. Oggi Santa Vittoria e Abini sono visitabili e gestiti da società che offrono un servizio di visite guidate. Quel sogno di sviluppo turistico che Antonio Taramelli coltivava nei primi anni del Novecento sembra essersi almeno in parte avverato.

daghe. Le 49 asce a margini rialzati, tutte pertinenti allo stesso tipo, sono l’elemento maggiormente rappresentato del ripostiglio. Attualmente i materiali sono conservati tra Ozieri, Sassari e Cagliari. Non si conoscono il luogo esatto e il contesto di rinvenimento, ma anche questi oggetti dovevano essere riposti all’interno di un vaso di

terracotta, secondo una modalità di accumulo consueta in ambito nuragico.

La mostra «Sardegna nuragica. Scavi e scoperte tra Ottocento e Novecento» è stata organizzata, su progetto scientifico della scrivente, dalla SABAP per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna e dalla Fondazione BaruminiSistema cultura. DOVE E QUANDO «Sardegna nuragica. Scavi e scoperte tra Ottocento e Novecento» Barumini (SU), Centro Giovanni Lilliu Orario tutti i giorni, 10,00-18,30 Info tel. 070 9361041; www.fondazionebarumini.it a r c h e o 103


TERRA, ACQUA, FUOCO,VENTO Luciano Frazzoni

UNA RIVOLUZIONE A COLORI SUL FINIRE DEL MILLENNIO MEDIEVALE, L’AVVENTO DI NUOVE TECNICHE PERMETTE DI REALIZZARE CERAMICHE LUCIDE E BRILLANTI: VASI INVETRIATI E SMALTATI RISCUOTONO GRANDE SUCCESSO E SI TRASFORMANO IN DECORI PER LE FACCIATE E I CAMPANILI DELLE CHIESE

T

ra la fine del XII e i primi decenni del secolo successivo, si assiste in Italia alla nascita di nuove produzioni ceramiche, destinate a caratterizzare tutto il Basso Medioevo, fino agli inizi del Rinascimento. Si tratta delle ceramiche invetriate su ingobbio e delle ceramiche smaltate, ricoperte da un rivestimento a base di stagno. Queste due produzioni prevedono la doppia cottura dei manufatti, un accorgimento tecnico che prima era quasi del tutto sconosciuto in Italia, a eccezione di alcune aree, come la Sicilia e la Puglia. Le due tecniche hanno origine in altrettante aree culturalmente ben distinte del bacino del Mediterraneo: la prima è infatti presente nelle zone orientali di influenza bizantina, la seconda in quella occidentale (Tunisia, Marocco, Spagna, Sicilia occidentale) di influenza araba. Se prima della fine del XII secolo ceramiche ingobbiate e smaltate erano importate da queste due

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macroaree, come testimoniano i bacini che ornano le facciate di alcune chiese in diversi centri urbani, a partire dalla fine del XII e soprattutto dagli inizi del XIII secolo, anche in Italia si cominciano a produrre ceramiche cosí rivestite, che danno origine a produzioni

Catini in maiolica policroma di produzione tunisina. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo. In alto, dalla chiesa di S. Pietro a Grado (primo quarto dell’XI secolo); qui sopra, dalla chiesa di S. Michele degli Scalzi (fine del XII-inizi del XIII sec.).


distinte per caratteristiche, forme e decori secondo i loro centri di produzione. Le ceramiche ingobbiate e invetriate venivano realizzate rivestendo il biscotto, ossia il manufatto sottoposto a una prima cottura, con uno strato di argilla molto depurata e diluita, di colore bianco (definita ingobbio) e successivamente con una vetrina trasparente a base di piombo.

IL VERDE, IL BRUNO E POI ANCHE IL BLU Spesso, inoltre, le ceramiche venivano dipinte e decorate tramite motivi graffiti, in cui si utilizzavano il verde, ottenuto dal rame, e il bruno ottenuto dal manganese. La tecnica dell’ingobbio e della vetrina piombifera approda in Italia alla fine del XII secolo. Nello stesso momento cronologico, dall’area islamica occidentale, viene introdotta quella dello smalto stannifero. Le ceramiche smaltate, o maioliche, prevedevano invece che il biscotto fosse rivestito da uno smalto a base di ossido di stagno, su cui il ceramografo realizzava poi le decorazioni a pennello con verde ramina e bruno manganese. A questa bicromia si aggiunge, intorno alla metà del XIV secolo, anche il blu, ottenuto dal cobalto. Un elemento cronologico importante per lo studio delle ceramiche rivestite, prima importate e poi prodotte in Italia, è fornito, come si è detto, dai bacini inseriti nelle facciate e nei campanili delle chiese romaniche di varie zone d’Italia (e sporadicamente anche in Grecia, Francia, Spagna). A partire dagli anni dopo il Mille si instaura infatti la moda

di abbellire questi edifici inserendovi grandi ciotole e catini chiamati appunto «bacini». Il fenomeno assume proporzioni notevoli a Pisa, dove si contano quasi 2000 bacini ceramici murati tra il 1000 e il 1400. A differenza di quanto avviene nei contesti di scavo, le ceramiche murate nelle chiese si presentano pressoché integre, e inoltre rappresentano pezzi di particolare pregio, di elevato valore economico. I bacini delle chiese del versante tirrenico sono costituiti da ceramiche di tipo islamico, prodotte in Nord Africa, Spagna e Sicilia, mentre quelle del versante adriatico e della pianura padana sono prevalentemente di produzione bizantina, anche in ragione dei commerci di Venezia; si trovano infatti anche ceramiche bizantine graffite acquistate a Costantinopoli o in Grecia. Successivamente, vengono inserite Scodella in ceramica ingobbiata e graffita policroma, da Malamocco. Manifatura veneziana, fine del XIV-primi decenni del XV sec.

nelle facciate degli edifici le ceramiche di produzione italica.

UN PRIMATO VENETO Le prime produzioni in Italia di ceramiche ingobbiate, monocrome, dipinte o graffite, sono da localizzare a Venezia o comunque nell’area veneta, come confermano anche le analisi condotte sulle argille, almeno a partire dall’ultimo venticinquennio del XIII secolo (non è ancora accertata una produzione nella prima metà del secolo). Questa produzione, definita tipo San Bartolo dagli esemplari sulla facciata della chiesa omonima presso Ferrara, che si rifà in parte a quella bizantina di Costantinopoli (detta tipo Zeuxippos), comprende catini carenati, ciotole e scodelle, con piede ad anello. Presenta tre diverse tipologie: ingobbiate monocrome (in giallo-marrone e verde), dipinte sotto vetrina con pennellate in verde, e ceramiche graffite. Le decorazioni, graffite con uno strumento a punta, consistono in motivi geometrici (denti di lupo, archetti, riquadri), colorati in verde ramina e giallo ferraccia. Una caratteristica comune a ceramiche tipologicamente diverse (invetriate giallomarroni o verdi, invetriate dipinte, graffite policrome) dell’area nord-orientale italiana è la presenza di una decorazione a rotellatura (detta Roulette Ware) sull’esterno delle forme carenate, elemento che riconduce tutte queste ceramiche ingobbiate alla produzione veneziana, come conferma uno scarto di fornace a biscotto dalla città, ora alla Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro.

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Repliche dei catini in maiolica policroma inseriti nella muratura esterna della chiesa di S. Piero a Grado, a Pisa. I manufatti originali sono conservati nel Museo Nazionale di San Matteo della stessa Pisa. Altro centro produttivo di ceramica ingobbiata è Savona, dove si sviluppa una produzione a partire dalla seconda metà-fine del XII-inizi del XIII secolo, la cosiddetta «graffita arcaica tirrenica», con caratteristiche diverse da quella di produzione veneta, anche se entrambe sembrano derivare dalle precedenti produzioni bizantine importate in Italia dall’area medioorientale e da quella siropalestinese. Le forme comprendono scodelle, piatti, ciotole, catini e bacini emisferici, decorati con motivi geometrici e vegetali graffiti colorati in giallo ferraccia e verde ramina; il boccale compare solo nel tardo XIII secolo. Tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, si sviluppano nell’area padana alcune produzioni abbastanza omogenee, ben differenziate dai tipi tirrenici; si

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tratta delle graffite arcaiche padane, che hanno centri di produzione in Emilia-Romagna, in Veneto e in Friuli. Prevalgono le forme aperte costituite da catini tronco-conici e ciotole emisferiche, con piede a disco nelle produzioni emiliano-romagnole, e ad anello in quelle venete, mentre piú rari sono i boccali. I motivi decorativi sono sempre di tipo geometrico, floreale, zoomorfo, ma non mancano anche ritratti e figure umane, sia maschili che femminili.

DA PUGLIA E CAMPANIA In Italia meridionale, la Puglia vede tra XII e XIII secolo alcuni centri di produzione di ceramiche ingobbiate monocrome e dipinte, mentre la tecnica del graffito è da collocare molto piú tardi, nel tardo XVI secolo. Tali ceramiche, insieme alle protomaioliche, sostituiranno

a partire da questo momento le ceramiche importate dall’area medio orientale e da quella bizantina. Una produzione invetriata pugliese, collocabile nel corso del XIII secolo, ed esportata in vari centri della costa adriatica, è la cosiddetta «RMR» (rosso, manganese, ramina), caratterizzata cioè da decori in rosso, bruno e verde. Tra la fine del XII e i primi tre quarti del XIII secolo, viene prodotta in Campania una ceramica invetriata, la «spiral ware», costituita prevalentemente da ciotole, decorate da tre o quattro spirali in verde e bruno su vetrina in genere incolore o gialla. Tale produzione, realizzata con tecniche in questo caso mutuate dal mondo islamico, viene largamente esportata in tutta la costa tirrenica e nel Nord Africa. (1 – continua)



L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Francesca Ceci

IL POTERE DELL’IMMAGINE PRENDE LE MOSSE DALL’OSSERVAZIONE DI UNA MEDAGLIA PONTIFICIA LA RILETTURA «NUMISMATICA» DELLE TEORIE FORMULATE DA ABY WARBURG

«Z

um Bild, das Wort», «All’immagine, la parola»: in questa frase lo storico della cultura figurativa Aby Warburg (1866-1929), figlio di una ricca famiglia ebraica di banchieri di Amburgo, sintetizza il suo innovativo metodo di indagine sulla storia dell’arte antica e moderna, fondato sulla potenza intuitiva delle immagini e della loro capacità di travalicare i tempi e le culture. Partendo dalla tradizione classica – ma non solo – egli elabora una «mappa» delle raffigurazioni costanti che ricorrono nell’Occidente, dove modelli e parole, simboli e miti si rincorrono

In alto: una tavola dell’incompiuto Atlante Mnemosyne di Aby Warburg. In basso: oktassarion in bronzo emesso al tempo dell’imperatore Gallieno in occasione del terzo neocorato di Sardis (Lidia). 253-260 a.C.

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e si confrontano, evidenziando come la cultura antica abbia influenzato senza soluzione di continuità l’immaginario dei secoli a venire. L’idea di Warburg si distacca dalle metodologie d’indagine tradizionali della storia dell’arte, intervenendo sulla «memoria collettiva», spesso inconscia, dell’uomo, nella quale ricorrono, piú o meno trasformate, forme e figure divenute parte integrante del nostro comune patrimonio culturale. L’opera piú celebre di Warburg è l’incompiuto Atlante Mnemosyne,


composto da 971 immagini, per lo piú a soggetto artistico – comprese le monete antiche, i giornali e la pubblicità –, disposte su grandi pannelli neri, oggi conservati al The Warburg Institute a Londra. Il nome omaggia la dea del ricordare, Memnosine, la quale, unitasi con Zeus, diede alla luce le Muse. Con la loro disparata serie di raffigurazioni che dal mondo antico giungono a quello contemporaneo, le tavole di Warburg tracciano una rete di iconografie ricorrenti, una sorta di mappa (definita engramma) delle costanti figurative insite nel mondo occidentale, che possono dar luogo alle piú diverse associazioni di idee e richiami: le immagini, insomma, hanno una loro propria memoria, che oltrepassa il corso dei secoli.

IL PREMIO PER LA GARA Questa premessa è stata ispirata in chi scrive dall’osservazione di una medaglia seicentesca di papa Innocenzo XI, che ha riportato alla mente i tipi di una serie di monete provinciali coniate in molte città dell’impero romano a partire da Settimio Severo sino a tutto il III secolo d.C., con legenda in greco. Si tratta di emissioni battute in occasione degli agoni, ovvero degli eventi pubblici basati su gare e giochi a premi. Gli agoni piú celebri erano quelli religiosi, basti pensare ai giochi Olimpici dedicati allo Zeus di Olimpia, ma potevano svolgersi anche per festeggiare monarchi e imperatori, ricorrenze o scampati pericoli delle città, cosí come in occasioni private, come le celebrazioni funebri. Insieme alle gare atletiche, vi erano quelle a tema teatrale e poetico, sempre prevedendo un vincitore. Quest’ultimo, oltre a divenire una gloria per la sua città o il suo

primo arconte, in occasione della terza competizione delle Neokorie». La Neokoria è un titolo onorifico che veniva conferito dopo una competizione tra città, soprattutto quelle del settore orientale dell’impero, in occasione dell’erezione e della cura di templi dedicati all’imperatore.

UNA SANTA ALLEANZA

Medaglia creata da Giovanni Hamerani per Innocenzo XI e dedicata all’alleanza contro i Turchi tra Austria, Stato della Chiesa, Polonia e Repubblica di Venezia, rappresentati dai rispettivi copricapi. 1684. gruppo di appartenenza, riceveva premi consistenti in corone di varia foggia, oggetti pregiati e simbolici, denaro o beni di consumo (come l’olio) e onori che potevano giungere sino all’erezione di una statua. Sulle monete a cui si è accennato, sono proprio i premi a essere protagonisti. Per esempio, su alcune monete a nome di Gallieno emesse a Sardis (Lidia), al dritto figura il busto dell’imperatore, mentre al rovescio compare un tavolinetto a quattro zampe sul quale poggiano tre premi a forma di coppa, dai quali fuoriesce una palma e che li fa rassomigliare a una mela. La legenda corre intorno alla moneta e sotto il tavolino, che la incornicia come se fosse una tabella, e ricorda i magistrati responsabili dell’emissione, la cui traduzione cosí suona: «(emessa) sotto l’asiarca Domizio Rufo, figlio, due volte asiarca, e di Kratistos, il

Tornando all’associazione di idee, questa moneta può ricordare, dal punto di vista della composizione dell’immagine, una serie di medaglie in argento e bronzo creata dal medaglista pontificio Giovanni Hamerani per celebrare la Lega Santa del 5 marzo 1684 voluta da Innocenzo XI in funzione anti-ottomana, con l’alleanza tra Austria, Stato Pontificio, Polonia e Repubblica di Venezia. Hamerani ideò un’originale soluzione compositiva, composta da un’ara iscritta che poggia su un prato; sopra vi sono, a rappresentarli, i copricapi dei membri dell’Alleanza: Leopoldo d’Austria, Innocenzo XI, Jan III Sobieski e il doge Marco Antonio Giustinian. Il tutto sormontato dai raggi irradiati dalla colomba dello Spirito Santo. La legenda, tradotta, suona «Legaci con un patto e ti serviremo», mentre sull’altare si legge AD 1684. Nulla unisce i due esemplari qui presentati, ma la loro composizione formale può leggersi come una warburiana Nachleben, una «sopravvienza» dell’immagine nella memoria di chi le ha guardate.

PER SAPERNE DI PIÚ Engramma. La tradizione classica nella memoria occidentale, on line su www.engramma.it/eOS/ The Warburg Institute, on line su https://warburg.sas.ac.uk

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I LIBRI DI ARCHEO

Luigi Spina

FIGURE ROSSE La pittura vascolare al Museo Ridola di Matera testi di Annamaria Mauro, Claude Pouzadoux, Adriana Sciacovelli, Luigi Spina, 5 Continents Editions, Milano, 176 pp., 165 ill. col. 45,00 euro ISBN 979-12-5460-029-0 www. fivecontinentseditions.com

«Un vaso a figure rosse è un mondo primigenio di conoscenze. Su di esso si sono stratificati gesti, espressioni. Voci lontane che si sono incise, col fuoco, sulla materia argillosa»: sono alcune delle riflessioni di Luigi Spina che accompagnano la pubblicazione del progetto dedicato appunto ai vasi a figure rosse del Museo Nazionale «Domenico Ridola» di Matera e della Collezione Rizzon. Riflessioni di cui le immagini riunite nel volume rappresentano la traduzione visiva: ancora una volta, infatti, le fotografie di Spina, tecnicamente In alto: particolare della decorazione di un cratere a campana del Pittore di Tarporley. 390-380 a.C. Si riconoscono un satiro e una menade.

impeccabili, si impongono all’attenzione soprattutto per la capacità di rendere vivi gli oggetti entrati nel mirino dell’apparecchio utilizzato per le riprese. Si rinnova cosí un’emozione già in passato provata, per esempio, di fronte ai ritratti scultorei della Centrale Montemartini di Roma o al virtuosismo di chi realizzò la Tazza Farnese, e che, in questo caso, anima la folla dei personaggi che sfilano sulle pareti dei vasi. Il repertorio delle scene, come di consueto per questa tipologia di manufatti, comprende, A sinistra: le due facce di un’anfora panatenaica attribuita all’officina del Pittore di Copenaghen 4223. 340-320 a.C.

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A sinistra: la decorazione di una hydria del Pittore di Baltimora. 325-320 a.C. All’interno di un naiskos (edificio funerario) siede la defunta, che regge un parasole. In basso, a sinistra: le due facce di un lebes gamikos del Pittore di Ruvo. 370-360 a.C. In basso, a destra: le due facce di una pelike del Pittore di Varrese. 355-345 a.C.

fra gli altri, episodi del mito, rappesentazioni di cerimonie, cortei dionisiaci, dei cui protagonisti, grazie alle fotografie di Luigi Spina si ha quasi l’impressione di sentire le «voci lontane». Sensazioni alle quali si aggiunge l’opportunità di cogliere ogni particolare delle composizioni realizzate dai pittori, la cui maestria emerge

prorompente. Il Racconto per immagini è preceduto, oltre che dal testo del suo artefice, dai contributi di Annamaria Mauro e Claude Pouzadoux, grazie ai quali si ha modo di conoscere le vicende che hanno portato alla formazione delle raccolte materane e di entrare idealmente all’interno dei laboratori nei quali operavano i vasai e i

pittori. Notazioni, queste ultime, che risultano di particolare interesse, in quanto l’illustrazione delle soluzioni adottate dai ceramografi viene sviluppata nel costante confronto con le potenzialità offerte dalla ripresa fotografica. Nelle pagine finali trovano quindi spazio le schede di catalogo – curate da Annamaria

Mauro e Adriana Sciacovelli –, le cui descrizioni, sebbene sintetiche, regalano un’identità alle figure di volta in volta ritratte e illustrano il significato dei «quadri» che impreziosiscono i vasi. Da segnalare, infine, che l’opera viene proposta in versione bilingue, italiano e inglese. Stefano Mammini a r c h e o 111


Alessandro Guidi

ROMA PREISTORICA I luoghi dell’archeologia, Carocci editore, Roma, 130 pp., ill. b/n 13,00 euro ISBN 978-88-290-2650-0 www.carocci.it

Accostare il nome di Roma alla preistoria può forse apparire sorprendente, dal momento che il passato piú antico della città viene tradizionalmente associato all’epoca dei re e poi degli imperatori. In realtà, la frequentazione dell’area oggi occupata dalla capitale e dal suo suburbio ebbe inizio ben prima di quelle vicende e, come racconta Alessandro Guidi, la ricerca archeologica – soprattutto negli anni piú recenti – ne ha fornito puntuali e molteplici conferme. Come scrive l’autore, seguire il viaggio ideale che il libro propone richiede «un grande sforzo di immaginazione», proprio perché la Roma che oggi conosciamo è l’esito 112 a r c h e o

di una stratificazione plurimillenaria, che ha nascosto, quando non distrutto, le tracce delle presenze piú antiche. Basti pensare, fra i molti possibili esempi, ai resti di Elephas antiquus venuti alla luce, negli anni Trenta del Novecento – durante la realizzazione di via dell’Impero (l’odierna via dei Fori Imperiali), che provarono come l’area poi occupata dai grandi complessi forensi avesse avuto, centinaia di migliaia d’anni prima, un aspetto decisamente diverso. Fossili di questo genere sono stati invece salvati nei giacimenti pleistocenici di Casal de’ Pazzi e della Polledrara di Cecanibbio, che, musealizzati, sono tappe imperdibili per chiunque voglia partire alla ricerca delle tracce della Roma preistorica. Un itinerario che, come Guidi stesso suggerisce, può svilupparsi attraverso le molte collezioni museali cittadine – ben undici – in cui sono conservati materiali di età preistorica e protostorica. Oltre a una rassegna dei contesti e dei reperti piú importanti, la trattazione ripercorre anche il dibattito scientifico alimentato dalla scoperta di siti antichi e antichissimi e, in questo ambito, appare interessante rilevare, per esempio, come nemmeno la preistoria fosse sfuggita, durante il ventennio fascista, a strumentalizzazioni e

riletture dettate da motivi propagandistici e di celebrazione delle origini nazionali. Distorsioni che, in tempi piú recenti, non sono mancate anche in produzioni cinematografiche e televisive che hanno dipinto un quadro dei primi abitanti del territorio romano assai poco fedele a quanto l’archeologia ha rivelato, ricostruito in una versione splatter, dominata da sesso e violenza. Roma preistorica può, insomma, essere l’occasione per guardare con occhi nuovi alla città dei Cesari e la lettura, non sempre scorrevole per via dei numerosi riferimenti bibliografici, risulta di sicuro interesse anche per i non addetti ai lavori. S. M. Giuseppe Nocca

CASEUS La caseificazione in epoca romana Arbor Sapientiae Editore, Roma, 170 pp., ill. col. e b/n 65,00 euro ISBN 979-12-81427-49-5 www.arborsapientiae.com

Giuseppe Nocca aggiunge un nuovo tassello alla ricostruzione dell’enogastronomia antica, affrontando il tema dell’economia pastorale. Il titolo scelto per il volume non deve dunque trarre in inganno, perché, in realtà, scorrendone i vari capitoli, c’è molto di piú della sola, pur importante, attività di caseificazione. Sull’allevamento del bestiame, infatti, in

questo caso degli ovini, si è formato un vero e proprio mondo ed è appunto questo universo che l’autore ha scelto di descrivere. La sua indagine si concentra nell’ambito dell’età romana, dall’epoca repubblicana sino alla fine di quella imperiale: un arco dunque vasto, nel quale le tecniche produttive hanno fatto registrare considerevoli evoluzioni e, di pari passo, si è fatta piú ricca e composita la sovrastruttura dei riti, delle credenze, delle leggi legate all’attività pastorale. L’opera è suddivisa in sette capitoli principali e si apre con una rassegna di alcune delle fonti piú ricche di notizie sull’argomento, per poi passare all’approfondimento dei metodi di lavorazione e trasformazione del latte. C’è quindi spazio per gli aspetti giuridici e, infine, per un’ampia rassegna delle manifestazioni religiose legate al pastoralismo. S. M.






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