VIAGGIO IN IRAN
VIAGGIO FRA I TESORI DELL’ANTICA PERSIA
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IRAN
N°15 Ottobre 2016 Rivista Bimestrale
ARCHEO MONOGRAFIE
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MONOGRAFIE
€ 7,90
IRAN
VIAGGIO FRA I TESORI DELL’ANTICA PERSIA di Massimo Vidale e Andreas M. Steiner
6
38
56
88
IL TERRITORIO 6
Questa terra di Persia
LE ORIGINI 38
Elam, Urartu e l’avvento dei Persiani
I GRANDI IMPERI 56
Achemenidi, Seleucidi, Parti e Sasanidi
PERSEPOLI 88
Un giorno a Persepoli
ITINERARI 106
Viaggio in Persia
106
QUESTA TERRA DI PERSIA
Yazd. Veduta dell’altopiano su cui è situata una dakhma, o torre del silenzio, edificio religioso dello zoroastrismo, deputato all’uso funerario.
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«Questa terra di Persia è grande e
ampia, divisa in molti regni e province, come Gillan, Corasan, Shirman, e molti altri aventi diverse Città, Cittadine e Castelli. Ogni provincia ha i suoi re, o Sultani, che obbediscono tutti al Grande Sophie (il sultano di Istanbul, n.d.T.). I nomi delle principali Città sono i seguenti: Teuereis (Tabriz), Casbin (Qazvin), Keshan (Kashan), Yesse (Yezd), Meskit (Meshed), Heirin (Herat), Ordowill (Ardabil), Shamachie (Shemakha), Arrash (Arash) (…) In gran parte il paese, verso il Mare [Caspio], è pianeggiante e ricco di pascoli, ma nell’altopiano è pieno di montagne e aspro. A Sud confina con l’Arabia e l’Oceano orientale, a Nord con il Caspio e le terre di Tartaria. A Est con le provice dell’India, a Ovest con la Caldea, Siria e le altre terre Turche
»
(da Early voyages and travels to Russia and Persia by Anthony Jenkinson and other Englishmen, 1886)
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Monte Ararat
Mar Caspio
Azerbaigian Tabriz
TURCHIA
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Lago di Urmia
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Lago di Namak
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Tall-i Malyan (Anshan) Borazjan Badar-e Bushehr
Golfo Persico
ARABIA | IRAN | 8 |
Tarut
Persepoli Shiraz
Bishapur Firuzabad
T U R K M E N I S TA N Bojnurd Gondab-e Qabus
«L’Iran, nella sua prima
Shah Tepe Yarim Tepe Shahrud Tepe Hissar
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Tayyebat
incarnazione come Persia, ha creato il primo impero mondiale, ha creato figure titaniche come Ciro, Dario e Serse, ed è una delle grandi sorgenti della cultura mondiale
»
(Stephen Kinzer, giornalista e saggista statunitense)
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Stretto di Hormuz
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IL TERRITORIO
I
ran («La Terra degli Arya», cioè «dei nobili») è un’idea di ordine e civiltà, prima ancora che essere il nome di una grande nazione e una precisa realtà geografica. È un’idea che, storicamente, prende gradualmente forma a partire dai primordi del I millennio a.C., con l’ingresso nell’attuale altopiano iranico di tribú guerriere provenienti dalle steppe dell’Asia Centrale. Sembra poi maturare rapidamente ai tempi dei potentati dei Medi e della loro irruzione negli scenari medio-orientali con la conquista della capitale assira Ninive, nel 612 a.C., e trionfare alla metà del VI secolo a.C., con la fondazione dell’impero da parte di Kurush, «Il pastore» (naturalmente delle genti del mondo intero), da noi conosciuto con il nome di Ciro. L’impero persiano cosí fondato prese il nome dalla terra e dalle tribú del Fars o Persia (Parsa), nelle regioni sud-occidentali dell’altopiano iranico, che avevano dato i natali a Ciro e al suo antenato Achemene. Cosí Dario I (522-486 a.C.), il sovrano che mosse gli eserciti asiatici contro le coste dell’Attica, chiamò se stesso, nelle iscrizioni ufficiali «Il Persiano, figlio di Persiani, Ariano della tribú Ariana».
Un solo sovrano per tutto il mondo Da allora, quello di Persia fu l’unico sovrano che i Greci chiamarono o megalos basileus, il Gran Re, come se fosse stato l’unico reggente del mondo intero: un’ammissione singolare per una cultura profondamente etnocentrica e poco disposta a celebrare la grandezza altrui, se non attraverso i filtri delle proprie costruzioni ideologiche. E «Gran Re» il sovrano achemenide rimase per una enorme popolazione insediata tra l’Anatolia, l’Asia Centrale, la Penisola Arabica, il Subcontinente Indiano e la Mesopotamia, che ne celebravano i fasti delle corti monarchiche, la magnificenza di palazzi e città, il tenore di vita della nobiltà e del clero, e una ricchezza culturale, linguistica e artistica senza precedenti.
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«Non accumulate il grano in attesa
che il prezzo salga quando la gente è affamata… Chi semina il terreno con cura e diligenza acquista molto piú merito religioso di quanto ne potrebbe avere ripetendo diecimila preghiere
»
(Zarathustra)
Azerbaigian, Iran. Una panoramica dei terreni coltivati che si stendono ai piedi dei rilievi montuosi della regione.
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IL TERRITORIO
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Regione di Qom, Iran. Veduta del lago Namak (Daryacheh-ye Namak), un bacino salato situato circa 100 km a est della città di Qom.
Iran è invece un nome moderno (ufficialmente adottato dalla nazione solo nel 1935) e deriva da quello di Eranshahr, usato dai primi sovrani della dinastia che regnò dal III al VII secolo d.C., quella dei Sasanidi. Costoro furono gli ultimi a interpretare la sacrale centralità dell’enorme impero sovranazionale, che per lungo tempo contese il primato politico, commerciale e militare a Roma e Bisanzio e, all’altro capo del mondo, alle corti cinesi. Nel 642 d.C., quando l’ultimo, giovanissimo sovrano sasanide fu rovesciato dalla travolgente avanzata delle armate arabe, i signori dell’Eranshahr abbracciarono senza esitazione il monoteismo radicale delle tribú beduine, ma, dopo mille e trecento anni di successioni dinastiche, non potevano condividerne le semplici regole politiche. Nel mondo dei nomadi il potere veniva affidato al successore da un consiglio tribale dominato dagli anziani capi delle famiglie; e, anche in considerazione del fatto che il Profeta Maometto, morto nel 632 d.C., non aveva avuto figli maschi, gli immediati successori furono scelti tra i piú prestigiosi dei suoi compagni di dottrina e conquiste.
Una stagione turbolenta Nella fase di incertezze e contese che seguirono alla morte di Maometto, le élite dell’Eranshahr si schierarono subito dalla parte, o nel partito, di quanti sostenevano il diritto al trono di Ali, nipote del Profeta da parte della figlia Fatima, e di suo figlio Hussein. Entrambi, padre e figlio, furono ben presto assassinati negli aspri scontri settari per il potere che ebbero luogo nelle pianure dell’attuale Iraq centro-meridionale, ma la frattura che ne seguí ebbe un effetto irrimediabile e perenne sull’intero mondo islamico. Sotto la dinastia dei califfi omayyadi di Damasco, e poi sotto quella degli abbasidi di Baghdad, le élite militari e commerciali al potere tentarono a lungo di integrare pienamente l’Iran in un immenso impero di cultura essenzialmente araba, ma senza successo. La fede sciita nell’Iran si distinse per
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la mistica del martirio e la legittimazione etica della rivolta contro l’arbitrio e la crudeltà del potere, come per la fede messianica negli Imam, le guide religiose carismatiche e salvatrici dell’umanità intera. Aderendo al partito (Shia) di Ali e della sua famiglia, il mondo Iranico diede consapevolmente vita a uno scisma religioso e socio-politico minoritario, che, pur venerando il Profeta e il Corano, e mantenendo la lingua araba come veicolo di conversione e dominio culturale, incrinò per sempre l’identificazione, prima totale ed esclusiva, tra la nazione Araba e la nuova dilagante religione universale. L’adesione globale alla Shia permise all’antico Iran di conservare non pochi tratti delle tradizioni precedenti; di non trasformarsi in una remota periferia del nuovo impero arabo di Damasco, quindi di sopravvivere a catastrofi
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epocali, come il primo impatto dell’aggressione mongola del 1219-1221 capitanata da Gengis Khan e dai suoi figli, e di rinascere in forme nuove. Del nuovo mondo che cosí nacque scrisse Marco Polo (1254-1324), il commerciante veneziano che, insieme al padre Nicolò, viaggiava verso est. I due veneziani attraversarono la Persia, divisa in otto regni: Casvin, Curdistan, Lor, Sulistan, Isfaan, Serazi, Soncara e Turocain, annotando che in Persia vivevano splendidi cavalli e asini, e giungendo infine a Balc (l’odierna Balkh, in Afghanistan), la porta dei grandi deserti centroasiatici e le aride vie della Cina, dove il cibo e l’acqua erano scarsissimi e il viaggiatore rischia di smarrirsi a causa di allucinazioni e spiriti maligni ingannevoli. Nei secoli XVI e XVII, la fioritura della dinastia dei Safavidi nella scienza, nella letteratura e
Sulle due pagine l’imponente massiccio vulcanico del Monte Ararat. Situata all’estremità orientale della Turchia, prossima al confine con Iran e Armenia, la montagna porta con sé un’eco biblica; nella Genesi è scritto: «Nel settimo mese, il diciassette del mese, l’arca si posò sui monti dell’Ararat» (Gen. 8,4). A destra Sirjan. Una veduta panoramica della regione.
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IL TERRITORIO
nelle arti, e l’ininterrotta prosperità economica del regno attirarono l’attenzione di scienziati, artisti, commercianti e diplomatici europei.
Oltre i limiti degli antichi imperi Tutto ciò permise all’Iran di traghettare le proprie genti e la propria cultura oltre i limiti tradizionali degli antichi imperi, continuando a essere parte del nuovo mondo globalizzato creato dall’Islam, senza rinunciare alla propria gloriosa centralità. Gli effetti dello scisma religioso, tuttavia, sono ancora attivi e in
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drammatica evidenza nelle congiunture degli attuali conflitti medio-orientali. Viaggiare oggi in Iran significa imparare quanto possibile delle sue antiche culture e di queste complesse vicende. Significa anche assistere agli effetti di un’ennesima trasformazione: quella di una nazione giovane in quanto rinnovata da una rivoluzione quasi impensabile, e che grazie all’alleanza tra il clero, l’esercito e la popolazione di una enorme megalopoli come Teheran, sta cercando di superare arcaici principi dinastici con le forme di una inedita
I resti della parte antica del villaggio di Kharanaq, nella regione di Yazd. L’abitato, oggi abbandonato, era stato costruito interamente in adobe (argilla cruda).
«democrazia teocratica» e con essa affrontare difficili transizioni verso la modernità. Le radici di questo affascinante e controverso processo, inutile a dirsi, affondano nelle caratteristiche geografiche e climatiche, come nell’enorme patrimonio culturale e archeologico di una terra immensa. L’altopiano iranico si trova, come direbbero i geografi, nell’estensione meridionale della
zona temperata settentrionale, ed è compreso tra 25 e 40 gradi di latitudine e 44 e 64 gradi di longitudine. Per comprenderne la storia è indispensabile parlare di due cose: di montagne e d’acqua. Le catene montuose dell’altopiano, coronate dalla gigantesca vetta del monte Demavend, all’estremità orientale dei monti Elburz (5670 m) sono create da titaniche forze di subduzione – cioè dalla
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IL TERRITORIO
I nomadi Il fenomeno del nomadismo, spesso osteggiato e generalmemte misconosciuto dall’odierno mondo urbano e in via di industrializzazione, è tuttora parte integrante del quadro sociale delle società vicino- e medio-orientali, tra cui l’Iran. Nel Paese, il nomadismo è basato sulla transumanza di grandi greggi di pecore e capre, con l’aiuto essenziale di cani, cammelli e cavalli. Rappresentanti di un modo di vivere dalle radici antichissime – poiché in un territorio cosí arido l’agricoltura cade periodicamente vittima di catastrofiche siccità, e l’allevamento fornisce una immediata, anche se parziale, via di salvezza – le tribú nomadi in Iran sono oggi circa 500, e 100 sono le unioni o confederazioni tribali piú estese. In passato, le maggiori confederazioni nomadiche erano vere e proprie nazioni mobili, guidate da capi autoritari e influenti, con i quali i regni delle piane agricole dovettero spesso scendere a patti. Nella storia del Vicino Oriente, la transizione tra il III e il II millennio a.C. segnò una forte regressione del mondo agricolo e delle sue città-stato, e una corrispondente scalata al potere di potenti tribú nomadiche, tra le quali si annoverano i membri della confederazione «elamita», che posero fine ai giorni dello Stato della III dinastia di Ur (2000 a.C. circa) e la successiva fondazione, a Babilonia, della casata di Hammurabi (1750 a.C. circa). Ancora sino a pochi decenni fa, le tribú nomadi dell’Iran seguivano i loro itinerari secolari, sospinte dagli stessi fattori climatici e ambientali, senza curarsi troppo delle frontiere nazionali; e sostenute da precisi accordi e alleanze politiche tra i capi degli allevatori e le strutture di governo locale delle terre
Alcuni nomadi farsi sul greto di un ruscello.
interessate. I nomadi di oggi, naturalmente, incontrano difficoltà e condizionamenti, a causa della crescente complessità del quadro geopolitico dei Paesi medio-orientali, della privatizzazione di terreni e dei relativi diritti di accesso, e delle tensioni con le
Qui sopra un gruppo di nomadi Bakhtiari durante uno spostamento.
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comunità sedentarie, che crescono di pari passo con le crisi economiche e il peggioramento ambientale. Ogni confederazione tribale è caratterizzata da una rigida gerarchia, suddivisa in sotto-unioni, a loro volta separate in singoli gruppi tribali, composti da vaste e influenti famiglie estese. Importanti capi tribali fanno oggi parte del Parlamento della Repubblica Islamica dell’Iran, dove curano gli interessi delle proprie genti. Anche se i nomadi seguono un ordinamento patriarcale (gli uomini guidano le tribú e giudicano in caso di conflitti), le donne sono tenute in alta considerazione, per il loro importante ruolo nella realizzazione di prodotti artigianali (tra cui spiccano i tappeti e i kilim, ma anche oggetti in pelle e argento) che esse stesse vendono sui mercati. Il latte viene consumato fresco, oppure sotto forma di yoghurt e burro; parte del latte viene trasformato in forme di formaggio secco, indeperibile e facile da trasformare in zuppe e bevande.
In Iran si distinguono due tipi di nomadismo: quello detto «delle pianure» e quello «montano». Il primo segue lunghe direttrici continentali, da nord a sud e da ovest a est. Nel secondo, piú comune, per via delle caratteristiche geografiche del Paese, i nomadi migrano dalle vallate alle montagne e viceversa, con un ritmo all’incirca semestrale, seguendo la fioritura delle zone di pascolo. Per le grandi migrazioni stagionali (da marzo a maggio e poi a novembre), tutti i beni, incluse le tende, vengono caricati su animali da soma, quali asini, muli, cavalli e cammelli. Le migrazioni, che possono durare anche fino a tre mesi, si svolgono secondo un rigido ordine prestabilito. Alcuni gruppi sono bi-locali, occupano cioè sistematicamente alcuni centri o zone di accampamento d’estate, e altri d’inverno. Nelle terre da pascolo estive e invernali, insieme alle tradizionali tende famigliari costruite di pelle di capra, hanno fatto la loro comparsa le prime case fisse.
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continua spinta della massa continentale dell’India contro il fondo del margine meridionale dell’Eurasia – che, a loro volta, sono la causa di frequenti, disastrosi terremoti, e della frammentazione della geografia culturale del Paese, in un mosaico di entità distinte, spesso separate da torride distese desertiche. Sono le creste montuose, infatti, a dettare i percorsi delle carovane, i confini politici e la logica secolare di alleanze e conquiste.
I pro e i contro di un paradosso Dalle linee di faglia causate da tale spinta continentale, oltre ai sismi, si originano sorgenti di acqua dolce di origine fossile, ed è questo paradosso geografico – la compresenza di instabilità sismica e acque dolci nelle stesse aree geografiche – che spiega l’estrema fragilità della vita civile nell’altopiano. In altre parole, la stessa geologia che permette la crescita di grandi città e vasti poli demografici è una costante minaccia alla loro conservazione. Quanto all’acqua, condizione ultima e necessaria non solo della sopravvivenza individuale, ma anche della vita civile in toto, in Iran essa rimane un bene endemicamente scarso. I pochi fiumi maggiori (come il Murghab a nord-est, l’Hilmand a est, l’Halil e il Bampur a sud e a sud-est) scorrono ai margini, e non all’interno dell’altopiano. Sbarrati dalle creste montuose, questi corsi d’acqua sfociano in
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bacini interni senza sbocco, dopo aver perso buona parte della propria portata per l’evaporazione. Si creano cosí pozze salmastre e vaste croste di sale, che spiccano, bianche e amare, sul nero della fanghiglia. La piovosità – 250 mm all’anno – è un terzo di quella media del pianeta; in gran parte dell’altopiano, lo stesso valore medio è inferiore ai 150 mm. Per esempio, a Isfahan, la media è di 126 mm, a Kerman 203 mm, a Yazd 67 mm, e lungo i margini dei grandi deserti interni può limitarsi a 15 mm di pioggia all’anno. In molte regioni piove soltanto in inverno e agli inizi della primavera, ma fonti d’acqua e corsi stagionali sgorgano ai piedi delle catene montuose principali nei caldi mesi primaverili, dopo lo scioglimento delle nevi. Catturate da sbarramenti e piccole dighe, distribuite da canalizzazioni in superficie e sotterranee, queste acque davano e danno vita a oasi e giardini, a volte trasformati in ambienti incantevoli, che esprimevano il concetto, tutto iranico, di «paradisi» che risuonano del sommesso, continuo gorgoglio di fontane e canalette, innestati come floride gemme in terre invivibili. In Iran, quindi, la vita è resa fragile e preziosa dall’aridità e dal nulla dei deserti. Oasi, città e regni di varia entità si susseguivano lungo percorsi di centinaia di chilometri, come perle di una collana scomposta tra valli e vastità torride e vuote, materializzando il concetto di
Isola di Qeshm, una delle maggiori del Golfo Persico, nello Stretto di Hormuz. Una veduta della Valle di Setareha (o delle Stelle Cadute).
«Re dei re» (Shahinshah) tradizionalmente legato al trono di Persia. Anche per questo, nelle immense distese dell’altopiano, l’autorità reale, con il potere degli eserciti, era garanzia dell’unico ordine possibile. Nell’immaginario collettivo, era il Re dei re a proteggere i deboli dall’arbitrio dei potenti, le greggi dagli artigli delle belve, le case dagli assalti dei nomadi, l’acqua dall’evaporazione. La stessa autorità garantiva la sopravvivenza di tutti, grazie alle oasi che fornivano frutta e datteri, la carne e la lana di pecore, capre e cammelli, come la sicurezza delle piste carovaniere che si snodavano lentamente da Cina, Asia Centrale e India alle coste del Mediterraneo. Lo sviluppo dell’agricoltura irrigua, in Mesopotamia come in Asia Centrale, risale ad almeno 9000 anni fa. Il villaggio preistorico di Tepe Pardis (tardo VI millennio a.C.), nelle piane a sud di Teheran, era rifornito di acqua dolce da un canale artificiale; canalizzazioni a terrazze artificiali per le coltivazioni furono costruite nel VI millennio a.C. nel bacino di Shah MaranDolatabad, nell’Iran sud-orientale. Se, come molti sostengono, ogni tecnologia ha un suo stile, l’antica idraulica del mondo iranico era improntata al principio di favorire con la massima cura lo scorrimento continuo dei flussi in vasti reticoli di distribuzione, senza intrappolarli a lungo in dighe e bacini di vasta portata, limitando quindi le perdite per
evaporazione e impregnazione con il sale del terreno. Lungo gli stessi reticoli, flussi e canali erano integrati da cisterne per l’acqua piovana, pozzi e piccoli sbarramenti locali. Il tutto era regolato da codici di proprietà e comportamento la cui formulazione originaria deve risalire ai primordi dell’agricoltura.
Irrigazione e imperi Non vi sono dubbi sulla capacità dei grandi imperi iranici di progettare e mettere in atto vasti e ambiziosi progetti idraulici. Non fu certo con improvvisate nozioni che l’esercito di Serse, intorno al 480 a.C., scavò un ampio canale artificiale per tagliare la penisola del Monte Athos (Grecia settentrionale) e consentire un passaggio piú agevole e sicuro alle navi della flotta. Recenti ricerche a Pasargade e Persepoli hanno messo in luce complessi sistemi di canalizzazione, dighe e acquedotti ben costruiti, lunghi fino a 50 km, che riversavano nei giardini e negli orti reali le acque dei monti circostanti. L’antica città achemenide di Zranka (oggi Dahan-e Ghulaman), nel Sistan, all’estremo confine orientale dell’altopiano, sorse sull’intersezione di due canali artificiali, mentre in Uzbekistan, nell’oasi di Ellik kala, ricerche russe hanno rivelato che, tra il VI e il IV secolo a.C. (nella stessa età achemenide), vi fu un’impennata nello scavo dei canali agricoli. L’intensificazione delle opere idrauliche proprio
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IL TERRITORIO
nelle regioni piú remote dell’impero (dall’Asia Centrale al Sistan, alla Mesopotamia e nel Sud dell’Egitto, dove, nell’oasi di Kharga, non distante da Assuan, fu scavata una estesa rete di canali sotterranei) suggerisce che canali e campi, piuttosto che alle comunità locali, fossero destinati all’alimentazione delle guarnigioni di frontiera che agivano in prima linea contro le minacce esterne.
L’avvento degli Arsacidi Nei secoli della dominazione della dinastia arsacide, cioè dell’impero partico (I-III secolo d.C.) la burocrazia imperiale sembra aver continuato la costruzione di canali e acquedotti,
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riscuotendo al contempo tasse e tributi dalle locali comunità. Si investirono risorse nella manutenzione del «Canale del Re», un ampio corso artificiale che in Mesopotamia connetteva le acque navigabili del Tigri a quelle dell’Eufrate; e sembra, data l’importanza della cavalleria imperiale nell’esercito del tempo, che vaste zone agricole fossero state ben irrigate per essere seminate a foraggio, con il duplice risultato di nutrire gli animali e ruotare sistematicamente lo sfruttamento del suolo, limitandone l’impoverimento. È però nella successiva età sasanide (III-VII secolo d.C.) che, che nel cuore dell’Iran, fiorí una vasta civiltà idraulica, che univa per la prima volta in
Regione del Fars, Iran. Veduta del lago naturale antistante i resti del palazzo di Ardashir I a Firuzabad.
modo sistematico i territori rurali alle grandi città. Quando Shapur I fondò Firuzabad (250 d.C. circa) vi costruí non solo canali e dighe, pozzi, cisterne, ponti e grandi ponti-dighe a piú arcate, mulini ad acqua, ma anche impianti termali forse ispirati a quelli romani di Siria.
Celle frigorifere ante litteram Allo sfruttamento diretto dell’acqua si accompagnava un’accorta tecnologia di refrigerazione basata sulla cattura del vento: tipiche dell’Iran tradizionale, infatti, sono monumentali ghiacciaie, grandi ambienti ipogei dotati di scale interne in pietra e di apposite bocche per la cattura di venti freddi stagionali,
che garantivano la conservazione del ghiaccio anche nei mesi caldi. Sembra plausibile che l’invenzione di simili sofisticati impianti risalga almeno alla tarda età storica, quando il controllo statale e burocratico sull’acqua e sulle materie prime a essa legate si era fatto capillare. Le fonti storiche di età sasanide sottolineano che alcune grandi opere idrauliche furono messe in opera dal lavoro forzato di migliaia di prigionieri romani ridotti in schiavitú; i raid militari di frontiera effettuati dall’esercito erano quindi sostenuti da straordinari sforzi agrari e idraulici, ma gli «investimenti» pagavano, almeno in termini di forza lavoro, il che generava un «circolo virtuoso» che
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IL TERRITORIO
rafforzava la stessa frontiera imperiale. Fieri del proprio ruolo religioso di portatori e garanti di pioggia, i sovrani sasanidi promossero il culto di Anahita – antica dea iranica dell’acqua e della fertilità – e svilupparono la definizione di un complicato sistema legale che regolava diritti di accesso e distribuzione delle acque. L’intera storia dell’antico Iran indica la persistenza dell’idea della sacralità dell’acqua, ben evidente nello sfondo religioso zoroastriano come negli insegnamenti del Corano. L’Iran è alto, in media, 1300 m slm ed è circondato, su tutti i lati, da alte montagne. La catena dei monti Elburz, è dominata, a est,
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dal monte Demavend, un immenso cono azzurro, coronato dalla neve, una delle montagne sacre delle antiche religioni iraniche. Verso ovest, i monti Elburz, separano l’altopiano vero e proprio dalle fertili sponde del Mar Caspio, una zona climatica umida subtropicale – per chi viaggia dai contorti affioramenti degli Elburz verso nord, quasi un immenso inghiottitoio verde smeraldo, ricco di cascatelle e torrenti – un tempo coperta da dense foreste popolate da leopardi e tigri. All’estremo nord-est, le creste del Kopet Dag separano l’altopiano dalle immense distese delle steppe centro-asiatiche, i regni dei cavalieri sciti che sempre rappresentarono un
Dasht-i Lut (il Deserto di Polvere). Considerato uno dei luoghi piú aridi del pianeta è anche il piú torrido: rilevazioni satellitari effettuate tra il 2003 e il 2010 hanno fatto registrare la piú alta temperatura della superficie terrestre a oggi mai misurata, pari a 70,7 °C.
nemico ostile e quasi invincibile per le armate imperiali del Sud.
Punte di freccia e scaglie di armature Ancora oggi, viaggiando in Turkmenistan meridionale lungo il canale del Kara-Kum – costruito dai progettisti sovietici per divergere le acque dell’Amu Darya nei campi di cotone del Sud –, a distanze regolari di 1 o 2 km, ci si imbatte, all’orizzonte nelle sagome delle fortificazioni in mattone crudo che formavano il limes persiano contro le incursioni dei nomadi; e quando ci si arrampica sulle mura, non è raro ritrovare le tipiche frecce scitiche a sezione triangolare, o scaglie di armature persiane.
Verso nord-ovest, l’altopiano si perde nella catena del Caucaso, un complicato crogiolo di popoli, culture e lingue diverse. A ovest e a sud, i monti Zagros separano, con un vero e proprio labirinto di valli interne, cime e sentieri noti solo ai pastori nomadi, il cuore del Paese dalle piane della Mesopotamia e dalle sponde del Golfo Persico. Le cime degli Zagros sfumano negli interminabili rilievi orientali dei monti interni del Fars, quindi dalle cime della regione di Kerman e del Baluchistan. Qui, a est, l’altopiano sprofonda nei due enormi deserti iranici, il Dasht-i Kavir (il Deserto di Sale) e il Dasht-i Lut (il Deserto di Polvere): due sconfinate distese di argilla grigia screziate di
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IL TERRITORIO
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Kangavar. La scalinata monumentale del tempio della dea Anahita, una delle divinità principali della religione iranica. II-III sec. d.C.
sale e gesso, circondate da remoti rilievi innevati e punteggiate da palmeti verde scuro. A sud-est, la via è sbarrata dalle valli interne, strette, calde e umide, del Baluchistan meridionale, che corrono in direzione est-ovest verso il confine pakistano e la regione del Kech-Makran. Nell’estremo Nord-Est, infine, si aprono i rilievi del Khorassan, che sconfinano in territorio afghano e tagiko per cedere il passo, nuovamente, ai deserti e alle steppe dell’Asia Centrale.
Scavi d’emergenza La composizione etnica dell’Iran è altrettanto varia. Già dagli inizi deI I millennio a.C. le prime comunità protostoriche (di lingua iranica o meno) erano formate da numerosi e diversi gruppi etnici. L’archeologia, sino a ora, ha rivelato poco di queste prime componenti iraniche. Recenti ricerche nelle regioni nordoccidentali dell’altopiano hanno localizzato e a volte scavato – complice anche l’urgenza di salvare il salvabile in intere valli destinate all’allagamento per la costruzione di dighe idroelettriche – fortezze e altre costruzioni monumentali dell’età dei Medi (VIII-VII secolo a.C.), gli antesignani, ma anche le vittime, del potere achemenide, già protagonisti, con gli ultimi re di Babilonia, della cattura di Ninive. Antiche lingue iraniche erano parlate, nel I millennio a.C., lungo il versante centro-asiatico da popolazioni scitiche, e dai Cimmeri, dai Sarmati e dagli Alani. Gli Osseti odierni, nelle valli del Caucaso, sono considerati discendenti degli Alani, e intensamente studiati come testimonianza vivente di remote tradizioni iraniche. Altre arcaiche lingue iraniche erano il sogdiano, parlato in antico nella regione di Samarcanda (Uzbekistan), o sopravvivono in aree marginali del Tagikistan o del Pamir. Oggi, una stratigrafia etnica e storica di tre millenni si riflette anche nella suddivisione della Repubblica Islamica dell’Iran in province, il cui nome fa riferimento a quelli delle popolazioni che le abitano: per esempio, Luristan, Azerbaigian, Kurdistan, Khorassan, Kerman, Sistan-Baluchistan. Il miglior modo per
rendersene conto è seguire la distribuzione delle lingue parlate nell’odierno Iran: la maggioranza della popolazione parla il persiano moderno o farsi (appartenente al ceppo delle lingue indo-iraniche), e si considera, a torto o a ragione, discendente diretta degli Arya. La lingua delle popolazioni delle province di Gilan e di Mazandaran, a sud della sponda meridionale del Caspio, è considerata un dialetto a sé, ma parte della famiglia dei dialetti persiani. Un altro importante gruppo etnico, relativamente numeroso e le cui origini forse risalgono al tempo dei Medi (VIII-VI secolo a.C.), è quello dei Curdi, già menzionati come popolo dagli storiografi di Alessandro Magno. Meno di un terzo dei Curdi vive oggi in Iran, tra gli Zagros settentrionali, e le province del Kurdistan e dell’Azerbaigian occidentale. Il curdo è un’altra lingua indo-iranica diversa dal farsi, di antichissima tradizione e con una propria letteratura. Al ceppo indo-iranico appartengono anche le lingue dei Lur e dei Bakhtiari: entrambi sono gruppi di pastori nomadi o seminomadi. Mentre i primi sono considerati in parte arabi e in parte persiani, e vivono nella provincia del Luristan, i secondi sono un insieme di tribú nomadi indipendenti delle valli piú remote delle province del Chaharmahal e del Khuzistan. Nomadi di remota tradizione sono anche i Qashqai, che si muovono lungo le valli del Fars, e parlano una lingua turca. I Beluci, anch’essi un tempo allevatori nomadi, vivono nell’Iran sud-orientale, ai confini con il Pakistan e l’Afghanistan, dove sono considerati di recente immigrazione; oggi la loro occupazione tipica è nei ranghi militari. Di ceppo indo-iranico sono anche il pashtu e il dari, parlate presso i confini con il Baluchistan Pakistano. Il piú piccolo gruppo etnico di lingua indo-iranica sono i Tagiki, della provincia del Khorassan. La Persia è stata da sempre oggetto di invasioni e immigrazione da parte di genti di origine turkmena: il gruppo piú consistente è quello degli Azeri, popolazione stanziale della provincia dell’Azerbaigian, mentre le altre genti turkmene sono comunità nomadi, discendenti
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di antichi pastori, cavalieri e razziatori. Altre minoranze importanti sono gli Armeni cristiani, che parlano il farsi e anche l’armeno – un’altra lingua di ceppo indoeuropeo, e una scrittura dalla lunga e gloriosa tradizione –, nonché gli Ebrei. Tutti questi gruppi sono parte integrante della moderna società iraniana; mentre le popolazioni che parlano farsi sono in generale sciite, le minoranze etniche musulmane dell’altopiano professano, di regola e all’opposto, la tradizionale fede sunnita.
Le religioni Se la vita sedentaria e civile resa possibile dall’allevamento degli animali e dall’agricoltura ebbe inizio, almeno nelle regioni occidentali degli Zagros, nel corso dell’VIII millennio a.C., non abbiamo alcuna idea della cultura delle antichissime società che ne furono protagoniste. Piú precisamente, ne ignoriamo le origini, la lingua e il credo religioso. Le piú antiche testimonianze in materia di religione potrebbero celarsi, sulla base delle conoscenze attuali, nei livelli inferiori di Susa (V millennio a.C.), dove sono stati dissepolti i resti di una piattaforma monumentale (detta Haute terrasse) in mattone crudo che forse sosteneva due o tre costruzioni di tipo templare, conservate solo in tracce minime: potrebbe trattarsi della piú antica ziggurat (torre a gradoni) a tutt’oggi nota nel Vicino Oriente antico. Davanti alla piattaforma sorgeva una seconda costruzione, a pianta rettangolare, circondata da migliaia di sepolture. I sigilli dell’epoca mostrano un «signore degli animali» in posizione araldica tra serpi e altre creature; mentre da strati databili dal Neolitico in poi (VIII-V millennio a.C.) provengono numerose statuette in argilla cruda, in genere effigi di bovini e di donne fortemente stilizzate, che potrebbero riferirsi a idee e culti della fertilità e sembrano similmente figurare in altri complessi neolitici della stessa macro-regione. Poco traspare dalle eleganti ceramiche del tempo, se non un acuto senso della geometria, un’attenzione pervasiva per gli animali (soprattutto le grandi capre selvatiche di alta
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montagna) e per l’inserimento di figure umane fortemente stilizzate in un universo di idee astratte e ripetitive. Se oscure restano le identità delle dee e degli dèi dei periodi piú antichi, possiamo chiederci se quella della ziggurat, come sostengono alcuni studiosi, sia effettivamente un’idea che i sovrani e il clero mesopotamici mutuarono dai loro vicini d’Oriente. In effetti, mentre i templi di Sumer, tra il IV e il III millennio a.C., crescevano gradualmente in altezza su terrazze irregolari, create dalla distruzione e dai successivi rifacimenti di impianti costruttivi piú antichi, sigilli a cilindro e impronte trovati in Khuzistan e databili forse al tardo IV millennio a.C. sembrano mostrare grandi edifici a gradoni con facciate monumentali articolate in semipilastri e nicchie, che potrebbero essere stati progettati in modo unitario. I resti di due edifici simili della prima metà del III millennio a.C. (grandi «piramidi» in mattone crudo con piani sovrapposti, scalinate d’accesso e facciate composite) sono stati scoperti a Mundigak in Afghanistan e a Tureng Tepe presso Damghan, nell’Iran nord-orientale; e si daterebbero ben prima della grande ziggurat costruita nel XXI secolo a.C. dal re Ur-Nammak in onore del dio Nanna (Suen) di Ur, all’estremo sud della Terra tra i Due Fiumi. Un terzo grande edificio su piattaforma in mattoni crudi, decorato con immagini in argilla cruda di figure umane e animali, dipinte a colori vivaci, è forse stato sfiorato da trincee scavate a Konar Sandal presso Jiroft. Per il III millennio a.C., le iconografie di possibile soggetto religioso si fanno piú comuni, soprattutto grazie alle recenti scoperte di Jiroft e a quelle effettuate nei palazzi e nelle tombe della Margiana. Nel primo caso, abbiamo immagini di esseri mitologici, per metà uomo e per metà bestia (leone o toro o scorpione) impegnati in scontri e lotte, e muscolari eroi cornuti, mentre nei sigilli si susseguono coppie di divinità a banchetto, e strani personaggi che recano sul capo elaborati simboli animali. Dalla Margiana giungono invece figure di dee, a volte alate, sedute su
A destra la dea Anahita in un particolare del rilievo rappresentante l’investitura di Narsete, sulla facciata di una delle tombe rupestri degli Achemenidi a Naqsh-i Rustam. V sec. a.C.
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Sulle due pagine un tipico paesaggio dell’altopiano iranico, dai colori grigio azzurri, solcato da corsi d’acqua asciutti per la maggior parte dell’anno. Nella pagina accanto, in basso orecchino in oro con l’immagine di una divinità tra due stambecchi. Epoca achemenide, VI-V sec. a.C. Parigi, Museo del Louvre.
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draghi o leoni, e figure maschili con teste e artigli d’aquila che combattono contro serpi, oppure «demoni» cornuti con serpenti che fuoriescono dalle spalle. Il patrimonio di idee, credenze e storie che generavano queste immagini è forse perduto per sempre, ma ne intuiamo la formidabile complessità. Dalla regione dell’Elam, (l’estremo lembo sud-occidentale dell’altopiano, e le sottostanti pianure del Khuzistan) rarissime iscrizioni ci hanno lasciato i nomi di importanti esseri divini, invocati a proteggere i membri delle case reali e documenti legali: si chiamavano Pinikir, Napirisha, Humban, Hutran, Inshushinak («Signore di Susa»), ma le loro personalità e i loro attributi rimangono sfumati nell’ombra della storia. Alcuni di essi, tuttavia, sopravvissero nelle età seguenti e il loro accostamento a divinità sumero-accadiche e babilonesi ne rivela almeno alcuni tratti in comune.
Il guerriero, il sacerdote e l’agricoltore È possibile che nel ricco patrimonio di immagini lasciateci dalla Media e Tarda età del Bronzo in Iran si nascondano allusioni e principi che partecipavano a piú vaste concezioni cosmiche, religiose e sociali. Per esempio, il grande storico delle religioni e delle mitologie Geoges Dumézil (1898-1986) riconosceva nell’immenso, e purtroppo in larga misura disperso, repertorio dei cosiddetti Bronzi del Luristan (II millennio a.C.) figure che rappresentavano le tre fondamentali dimensioni sociali delle culture di lingua indoeuropea, quelle del guerriero, del sacerdote e dell’agricoltore; mentre in altre immagini si riconoscevano le immagini del re, dei gemelli – altre importanti figure soprannaturali delle mitologie indo-europee – e di altre entità cosmiche, tra le quali forse Zurvan, un arcaico Dio del Tempo infinito. Il significato della parola Mithra, il nome del dio del sole, altra grande divinità del pantheon dell’antico Iran, è quello di «contratto». Mithra (italianizzato in Mitra),
Dualismo etico Come ha scritto l’iranista Gherardo Gnoli, il tratto piú tipico e originale del pensiero di Zarathustra è una sorta di «dualismo etico». Ahura Mazda è infatti il padre di entrambi i gemelli: il Santo, del Bene, e il Malefico, della Menzogna. Ne deriva un «monoteismo dualistico» in cui il potere divino è limitato dalla presenza costante del male, su un piano metafisico prima che contingente, e richiede, a maggior ragione, la collaborazione dei giusti. «I due Spiriti primordiali, che sono gemelli, mi sono stati rivelati come dotati di propria autonoma volontà. I loro due modi di pensare, di parlare e di agire sono rispettivamente il migliore e il cattivo. E tra questi due poli i giusti sanno distinguere correttamente, non i malvagi. Allora, il fatto che questi due Spiriti si confrontano, determina, all’inizio, la vita e la non vita, in modo che, alla fine, l’Esistenza Pessima appartenga ai seguaci della Menzogna, ma al seguace della Verità appartenga l’Ottimo Pensiero» (dalle Gatha di Zarathustra).
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infatti, personaggio divino di antica origine indoeuropea, era patrono dei contratti, dei giuramenti e, in genere, della verità, tutte istanze e dimensioni associate alla luce solare e a ciò che è aperto e palese, e opposte all’oscurità di sotterfugi e inganni. Mitra proteggeva i guerrieri che agivano secondo giustizia e verità, e dopo la morte li conduceva nel mondo ultraterreno. Successivamente, nella visione dei seguaci di Zarathustra, Mitra sosteneva Ahura Mazda nella sua incessante lotta contro il Male. Nelle iconografie di età ellenistico-romana, Mitra squarcia la gola di un toro primordiale, dal cui sangue nacque nuova vita – un ricordo di antiche leggende e metafore, profondamente radicate in tempi protostorici, quando le nuvole erano tori muggenti e gli eroi combattevano mostri celesti che rubavano e nascondevano le piogge. Mitra è infatti anche il dio della pioggia, della vegetazione e della fertilità in genere. Secondo la tradizione, nasce in una grotta il 25 dicembre: grotte, caverne, rocce e fiumi sono a lui sacri e il suo culto si svolgeva sempre all’interno di grotte naturali o in altri luoghi sotterranei (catacombe).
La fortuna di Mitra e Anahita La fortuna di questa divinità fuori dalle sue terre d’origine è un fenomeno complicato. Già intorno al 1400 a.C. il nome di Mitra compare in liste di divinità di origine indoeuropea (Varuna, cioè Urano, Indra e i gemelli Nasatya, Castore e Pollluce dei Greci) chiamate a garanzia e suggello di trattati e documenti legali nelle tavolette cuneiformi dei Mitanni. Successivamente il suo culto sembra attestato a partire dal periodo achemenide (VI-IV secolo a.C.), quindi si diffonde dalla Persia a tutto il Vicino Oriente, per giungere fino in Grecia e, in seguito, in Italia. Da qui i Romani lo diffusero, in quanto dio dei guerrieri, nelle province imperiali dell’Europa centrale e occidentale. La sua grande popolarità nei ranghi dell’esercito imperiale romano era dovuta anche al fatto che i gradi iniziatici del culto di Mitra corrispondevano agli
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Zarathustra, il tempo e la patria Molti concordano sull’ipotesi che un riformatore e predicatore di nome Spitama Zarathustra sia effettivamente nato e vissuto nelle regioni nord-orientali dell’altopiano iranico. Gli scenari della predicazione narrano infatti di pianure bagnate da corsi d’acqua senza sbocchi al mare e di laghi, le cui sponde erano percorse da buoi e cammelli, forse nel bacino del Sistan (Iran orientale), nelle piane della Battriana, nell’attuale Afghanistan settentrionale, o nelle valli dell’Arachosia (l’hinterland montuoso dello stesso Paese). Zarathustra considerava se stesso uno zaotar, cioè un uomo di fede. Le vicende della vita del profeta si svolgono in piccoli potentati locali, retti da signori simili a khan, arroccati in castelli; narrano di influenti, spesso riottose caste sacerdotali, e di casate di orgogliosi guerrieri dediti a guerre e a razzie di bestiame. Se guardiamo all’archeologia, tutto ciò condurrebbe agli sviluppi sociali della prima metà del II millennio a.C., dopo la grande crisi economica, politica e forse
climatica che aveva causato l’abbandono delle grandi città della Media età del Bronzo (2000 a.C. circa). Anche i linguisti, sulla base dell’arcaicità del nucleo originale dei testi sacri, propendono per la medesima datazione. Tuttavia, simili condizioni socio-politiche persistettero anche nei secoli successivi, e non è da escludere l’opinione di chi, piú tradizionalmente, colloca la vita terrena di Zarathustra intorno a quel VI secolo a.C. che, in Occidente, è stato definito «il tempo assiale», durante il quale forse convissero, anche se in parti del pianeta diverse, grandi pensatori e riformatori etico-religiosi come Pitagora, il Buddha Shakyamuni e lo stesso Socrate. Infatti, secondo le fonti tradizionali e l’attuale Chiesa zoroastriana, Zarathustra sarebbe vissuto 258 anni prima di Alessandro, quindi tra il 628 e il 551 a.C. Anche per il famoso iranista Gherardo Gnoli «Le teorie piú attendibili sono quelle che collocano Zoroastro nella prima metà del I millennio a.C. tra il VII e il VI secolo a.C. o tra il X e il IX secolo a.C.».
Del resto il geografo Eudosso di Cnido, allievo di Platone, retrodatava la dottrina etica insegnata da «Zoroastres» a 6000 anni prima della sua epoca (data intrisa di simbolismi cosmologici, piú che di informazione storica). Certo è che al culmine del potere achemenide, e in particolare dal regno di Dario I in poi, il credo zoroastriano era saldamente radicato presso le élite imperiali. Nell’Alcibiade Maggiore, un dialogo platonico considerato in genere spurio, leggiamo che presso i Persiani «a quattordici anni il ragazzo è affidato ai pedagoghi reali: essi vengono scelti tra i quattro Persiani, nel fiore dell’età, considerati migliori, per sapienza, giustizia, temperanza, coraggio. Di questi, il primo gli insegna la magia di Zoroastro, figlio di Oromasdo (ossia il culto degli dèi) e l’arte di regnare». Ateshgah, Isfahan. Il «Tempio del fuoco». In questi imponenti edifici a pianta cruciforme venivano custoditi i fuochi sacri dei riti zoroastriani. III sec. d.C.
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Regione di Takab, Azerbaigian, Iran. Veduta aerea del cosiddetto Trono di Salomone (Takht-i Sulaiman). Uno dei luoghi piú sacri dell’Iran pre-islamico, custodisce uno dei tre fuochi sacri dello zoroastrismo. L’insediamento fu saccheggiato nel VII sec. da Eraclio I (575-641 d.C.).
avanzamenti di carriera nell’esercito; per almeno tre secoli il mitraismo rappresentò un temibile e prestigioso concorrente alla crescente influenza del cristianesimo. Quando quest’ultimo divenne la religione ufficiale dell’impero romano, sui luoghi di culto sotterranei del dio di origine persiana sorsero le prime chiese. Mentre in Europa vi sono ancora oggi numerosi resti dei «mitrei», i luoghi di culto sotterraneo del dio, la Persia ne è oggi totalmente priva. Una delle principali divintà femminili del pantheon antico-iranico era la dea Anahita. Descritta come una giovane donna dall’aspetto bello e forte, aveva raccolto su di sé anche alcuni aspetti delle antiche divinità babilonesi, ancora venerate in Persia nel V secolo a.C. Con Ishtar, infatti, Anahita convidiveva la natura di dea dell’amore, della fertilità e della guerra. Santuari a lei dedicati e risalenti al periodo partico (II-III secolo d.C.) sono ancora conservati a Kangavar (nel Kermanshah), e templi di età sasanide si trovano a Bishapur e Istakhr. La grande dea è inoltre raffigurata su sculture rupestri, risalenti anch’esse al periodo sasanide, dove garantisce la vita, l’autorità e la legittimità del trono degli imperatori dell’Iran. Su questo sfondo – tanto articolato, frammentato e soprattutto mal conosciuto –, si staglia l’unica religione che, almeno a partire dal tempo della dinastia achemenide e senza interruzione, viene ancora oggi praticata in Iran, seppure da una esigua minoranza della popolazione di lingua persiana: quella fondata dal profeta Zarathustra (e che i Greci chiamarono Zoroastro, dal quale viene il nome di «zoroastrismo»). A differenza di quanto avvenne nelle culture della Grecia, della Mesopotamia e dell’Egitto, quelle dell’antico Iran non svilupparono mai una tradizione storiografica scritta. Sembra che gli Achemenidi, per esempio, pur usando tavolette scritte per l’amministrazione dei palazzi e delle corti, avessero una concezione quasi magico-sacrale della scrittura: le iscrizioni reali, infatti, sono pressoché invisibili sulle pareti dei complessi palatini, oppure scolpite in
cavità quasi inaccessibili di rupi remote, o ancora celate in ciste di marmo sepolte in profondità nelle fondamenta delle costruzioni. Le iscrizioni avevano un valore monumentale in se stesse, piuttosto che acquistarlo con la lettura. La storia locale era invece trasmessa dalle case dominanti in forma orale, tramite l’opera e la memoria di bardi e cantastorie.
Un profilo sfuggente Per questo motivo, la biografia di Zarathustra è quanto mai incerta. Un primo profilo del profeta viene infatti offerto dal capitolo VII di un testo del IX secolo chiamato Denkard (Opera della religione). La prima narrazione completa, seppur leggendaria, risale solo al XIII secolo d.C.: è lo Zarathusht-nama, in lingua persiana. Di famiglia nobile, Zarathustra era un sacerdote che predicava il suo nuovo credo in un Paese arcaico, dominato da caste clericali, depositarie di una religiosità ormai vuota e molto formale (i malvagi karapan, «i mormoratori», e gli usig, «i sacrificatori»). Per questi sacerdoti, l’universo era permeato da forze e demoni violenti, con i quali solo essi potevano trattare, facendo ricorso a cruenti sacrifici di animali. Ahura Mazda, il Dio unico, il Signore Saggio, impersonava il principio del bene e della luce, contro il male e l’oscurità. Ahura Mazda aveva incontrato Zarathustra quando quest’ultimo aveva compiuto 30 anni. Mentre si bagnava nelle acque del fiume Daitya (Amu Darya), il giovane vide la figura soprannaturale e luminosa di un essere angelico chiamato Vohu Manah (Buon Pensiero) che lo rapí in cielo portandolo al cospetto di Dio. Questi affidò a Zarathustra un progetto di rivelazione salvifica, incarnato nel sacro libro degli zoroastriani: l’Avesta, di cui solo un quarto è sopravvissuto. Il resto è andato perduto, drammaticamente distrutto in seguito alle invasioni di Macedoni, Arabi e Mongoli. Una parte dell’Avesta contiene, sotto forma di cinque Ghata o raccolte di inni sacri, le parole stesse di Zarathustra: sono la parte piú antica del testo sacro, scritta in una lingua arcaica chiamata «antico Avestico», che presenta
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forti affinità con il sanscrito del Rgveda, la parte piú antica dei testi sacri dell’induismo. Un’altra sezione dell’Avesta descrive il pantheon persiano primordiale, con i miti divini e il racconto della creazione. Ispirato dal Dio unico, Zarathustra condannò la vecchia religione come falsa, e i sacrifici cruenti e le formule imaparate a memoria dai sacerdoti tradizionali come ingannevoli. Per il profeta, i suoi dèi, Daeva, non erano altro che demoni, seguaci dello spirito del male, Angra Mainyu. Secondo Zarathustra si doveva venerare soltanto Ahura Mazda (da cui deriva «mazdeismo», l’altra espressione usata per indicare la religione fondata da Zarathustra) e lottare costantemente contro le tentazioni e le opere subdole di Angra Mainyu. Perseguitato dalle vecchie caste sacerdotali («In quale paese
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fuggire? Dove potrò trovare protezione? Sono stato cacciato dalla mia famiglia e dal mio clan: il villaggio e i capi malvagi del mio paese non mi sono favorevoli. Come posso esaudire Ahura Mazda?»), Zarathustra abbandonò la sua patria trovando protezione presso Vistaspa, un principe di Battriana. All’età di 77 anni, il profeta fu ucciso a tradimento da un sacerdote nemico e volò in cielo.
Gli «adoratori del fuoco» Per gli zoroastriani, il seme di Zarathustra è oggi custodito nelle acque di un lago chiamato Kansaoya, di controversa localizzazione; e quando le armate del bene, alla fine del mondo, si schiereranno contro quelle del male, una vergine si bagnerà nelle sue acque e genererà cosí i Salvatori (saosyant) che infine
Regione di Takab, Azerbaigian, Iran. Ancora una veduta panoramica del Trono di Salomone (Takht-i Sulaiman). L’insediamento, fortificato, era costruito intorno all’orlo di un cratere vulcanico. Nel luglio 2003 il sito è stato iscritto dall’UNESCO nella lista dei patrimoni dell’umanità.
rinnoveranno l’universo. I quattro elementi (fuoco, terra, acqua e aria) sono considerati sacri dalla religione zoroastriana e i fedeli hanno il compito di proteggerli dall’impurità. Il fuoco, in quanto simbolo della luce e della purezza, svolge un ruolo importante nelle attività cultuali sin dall’età achemenide, tanto che gli zoroastriani sono anche chiamati «adoratori del fuoco». Lo stesso particolarissimo culto dei defunti della religione zoroastriana è da ricondurre all’esigenza di tenere lontana l’impurità dai quattro elementi sacri: poiché ogni cadavere è considerato impuro, esso non può essere seppellito nella terra o nell’acqua, né può essere bruciato. In periodo preislamico il sovrano, ma forse anche gli alti notabili, venivano sepolti in sarcofagi di pietra scolpiti
nella roccia in posizione elevata e decorati all’esterno, in modo che il decadimento corporeo non contaminasse né l’acqua, né il terreno. A partire dal periodo islamico i corpi dei defunti, dopo un lungo trattamento cultuale, venivano esposti in cima alle cosiddette «torri del silenzio», situate lontane dai centri abitati, alla mercé degli avvoltoi, che ne mangiavano le carni. Una volta prive di ogni residuo di tessuto molle, le ossa venivano poi raccolte, pulite e riposte in apposite cavità scolpite nella roccia. Tale forma di sepoltura è stata in uso nell’Iran fino al periodo contemporaneo. Solo dagli anni Settanta del XX secolo l’esposizione dei cadaveri è stata proibita per motivi igienici e, oggi, gli zoroastriani seppelliscono i propri morti, come tutte le altre comunità religiose, nei cimiteri.
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Tavola raffigurante l’imballaggio e il carico su carri di capitelli recuperati nel corso delle prime missioni francesi a Susa, da À Suse, Journal des fouilles, 1884-1886, resoconto degli scavi di Jane Dieulafoy, Parigi, 1888.
I PRIMORDI
Elam, Urartu e l’avvento dei Persiani
LE ORIGINI
L
a preistoria dell’altopiano iranico viene tradizionalmente suddivisa dagli studiosi in quattro fasi principali: Epipaleolitico e Mesolitico (12 000- 9000 a.C. circa), Neolitico (9000-5200 a.C. circa), Calcolitico (5200-3000 a.C.) e, infine, età del Bronzo (3000-1250 a.C. circa). L’età del Ferro si colloca, convenzionalmente ma con proposte cronologiche diverse, tra il XII e il VII secolo a.C., anche se lo sviluppo della metallotecnica del ferro si riconosce pienamente, negli strati archeologici, dopo il X secolo a.C. Come in vaste regioni dei Balcani, del Vicino Oriente, dell’Anatolia, dell’Asia Centrale e del Pakistan, la colmatura, il livellamento e la continua ricostruzione delle abitazioni in mattone crudo sugli stessi perimetri architettonici creava cumuli di rovine.
Le prime comunità sedentarie Il processo, ripetutosi per secoli e secoli in uno stesso luogo, creava vere e proprie colline artificiali, composte da strati sovrapposti, ancora oggi ben visibili. In persiano queste colline artificiali sono chiamate tepe (in arabo tell e in turco hüyük). Gli insediamenti stabili piú antichi in Iran sono di questo tipo, e sorsero lungo le interminabili valli degli Zagros. L’agricoltura e l’addomesticamento di bestiame sono attestati sin dal X-IX millennio a.C. Un recente scavo condotto negli Zagros meridionali, nel sito di In basso il tell di Susa, la città-stato capitale della civiltà elamitica, le cui strutture monumentali risalgono alla metà del IV mill. a.C.
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La scoperta del primo strato della città di Susa, cuore della civiltà elamita, in una foto d’epoca (febbraio 1958), che mostra gli scavi condotti dalla spedizione archeologica francese in Iran.
LE ORIGINI
Sheik-e Abad, a piú di 1500 m slm, ha dimostrato che il passo fondamentale, almeno in questa regione, consistette nel rinchiudere gli animali – pecore e capre – in recinti prossimi alle abitazioni, forse al semplice scopo di disporre dello sterco come combustibile, in un ambiente già ampiamente modificato dal disboscamento (9500 a.C. circa). Gli insediamenti di questi primi agricoltori, come migliaia di altri, erano semplici edifici in murature di argilla, con canne e stuoie, formati da una o due stanze; sempre a Sheik-e Abad, una stanza conformata a «T» conteneva i crani e le corna di due stambecchi, che in origine potevano essere stati appesi alla parete. Era forse una sorta di sacello? Nei millenni successivi, la vita sedentaria e le economie agricole produttive continuarono a svilupparsi senza evidenti soluzioni di continuità dagli Zagros alle pianure centrali dell’altopiano, fino alle valli interne del Baluchistan settentrionale, nell’attuale territorio pakistano. Insieme agli sviluppi agricoli, le tecnologie del mattone crudo, dello scavo dei canali, della fabbricazione e della cottura della ceramica, e la distribuzione e lo scambio a lunga distanza di materie pregiate (conchiglie, rame, ossidiana, turchese) stavano creando un mondo sempre piú diversificato. Le ceramiche cominciarono a coprirsi di intricati disegni ed elaborati messaggi grafici.
Crani di stambecchi e beni di pregio Lungo la pedemontana del Kopet Dag, il confine settentrionale del mondo iranico, nel Turkmenistan meridionale, tra le case neolitiche sorgevano edifici piú grandi degli altri, con le pareti affrescate, che forse appartenevano a capi-clan. Nel sito di Tepe Zaghe, non lontano da Teheran, un edificio che conteneva crani di stambecchi e con pareti dipinte era circondato da decine di sepolture, alcune delle quali dotate di migliaia di perline (collane, cinture, bracciali) in materiali di pregio. Perla in agata con un’iscrizione di dedica di Ibbi-Sin, il re di Ur sconfitto dagli Elamiti nel tardo III mill. a.C. Parigi, Museo del Louvre.
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Corsi e ricorsi della scrittura Gli scavi degli anni Settanta del Novecento nell’Acropoli di Susa hanno permesso di ricostruire l’evoluzione dei sistemi amministrativi e delle tecnologie di conto. Come in Mesopotamia, le informazioni venivano inizialmente registrate con gettoni d’argilla, che indicavano sia numeri, sia gli oggetti delle transazioni. I gettoni furono quindi inseriti in bullae (sfere di argilla cave), sulle quali si ne imprimevano le forme, mentre le impronte dei sigilli a cilindro esprimevano l’identità delle persone o delle agenzie interessate. Le bullae furono quindi rimpiazzate da piú semplici tavolette rettangolari. Ben presto venne meno l’uso dei gettoni, sostituiti da segni incisi che replicavano a due dimensioni le forme dei gettoni stessi, numeri e segni astratti a indicare, forse, le istituzioni coinvolte nelle transazioni. Nacquero cosí, sulla soglia del 3000 a.C., uno o piú sistemi di scrittura del tutto autonomi da quelli mesopotamici, convenzionalmente, e forse erroneamente, chiamati «proto-elamici». Le scritture «proto-elamiche» – semipittografiche, composte da simboli numerici e raffigurazioni di animali e di oggetti – furono usate per tre o quattro secoli da Susa al Sistan, presso l’attuale confine afghano (siti di Tepe Sialk, Godin Tepe, Tepe Yahya, Shahad, Tepe Sofalin, Shahr-i Sokhta), soprattutto per gestire le locali attività agricole e zootecniche. Le tavolette, in larga misura, si comprendono, ma non si sa quale lingua esse registrassero. Queste scritture per qualche ragione divennero obsolete e scomparvero intorno al 2900 a.C. e, per almeno sette o otto secoli, l’altopiano iranico, apparentemente, non ebbe piú bisogno di registrazioni scritte. Una nuova scrittura, detta «Elamita Lineare», fu inventata negli ultimi due secoli del III millennio a.C., presso le corti dei re di Awan; ma la sua discendenza dalle scritture «proto-elamiche» è tutt’altro che certa. Dopo la caduta delle case di Awan e Shimashki, anche l’Elamita Lineare fu presto dimenticata.
Nel Sud-Ovest del Paese, nella pianura del Khuzistan, ai confini meridionali dell’odierno Iraq, si verificarono le condizioni per un’evoluzione culturale molto diversa e particolare. Tra il V e il IV millennio a.C., in contemporanea con gli sviluppi nella Mesopotamia meridionale, si assiste al sorgere di una prima cultura pre-urbana. Alla fine del III millennio a.C., questa cultura venne chiamata, in Mesopotamia, «Elam», e indicata con segni cuneiformi che significavano «Paese Alto». Centro della futura civiltà fiorita nell’Iran
In alto, a sinistra grande vaso in terracotta dipinta con decorazioni geometriche, da Tepe Giyan. Metà-fine del III mill. a.C. Berlino Staatliche Museen. In alto, a destra vasi in terracotta dipinta, databili alla metà del IV mill. a.C. Parigi, Museo del Louvre. A destra vaso in terracotta con decorazioni animalistiche, da Tepe Sialk. X-VIII sec. a.C. Parigi, Museo del Louvre.
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LE ORIGINI
Tutte le terre dell’Est Filologi e archeologi stanno cercando di ricostruire pazientemente nomi e posizioni delle molte nazioni che i testi cuneiformi menzionano dagli Zagros in poi. Dilmun era certamente la costa settentrionale della Penisola Arabica, dal Kuwait agli attuali Emirati; Magan corrispondeva alla Penisola Omanita; Meluhha alle coste del Baluchistan e della valle
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dell’Indo. Marhashi era molto probabilmente il nome con il quale veniva indicata la civiltà dell’Halil Rud, recentemente scoperta nei siti circostanti la cittadina di Jiroft. Altri Paesi, come Pashime, Awan, Shimashki, Huhnuri, Zabshali, Serihum, Tukrish sono di localizzazione piú incerta e controversa, e della loro storia si sa ancora pochissimo.
sud-occidentale fu la città-stato di Susa (Shush), che già nel V millennio a.C. occupava una superficie pari a 15-18 ettari, e poteva ospitare sino a 10 000 abitanti. Vi fu costruita una terrazza monumentale in argilla di ben 80 x 80 m, alta 10 m, che sosteneva, forse, alcuni templi; davanti sorgeva una seconda piattaforma monumentale, circondata da migliaia di sepolture che contenevano ceramiche di eccezionale qualità. Elemento ricorrente della decorazione vascolare è uno stambecco straordinariamente elegante, munito di lunghe corna falcate che si curvano su tutto il corpo dell’animale,
circondato da intricati simboli geometrici. Intorno al 3500 a.C. Susa si estendeva per 25 ettari. L’aumentata produzione di beni e l’intensificarsi dei commerci, accompagnati dall’incremento della popolazione, ponevano nuovi problemi di organizzazione amministrativa. Poiché in Mesopotamia i primordi della scrittura sono sostanzialmente sconosciuti, Susa è l’unico sito in cui i passi evolutivi di questa svolta epocale (3500-2900
a.C. circa) sono stati riconosciuti nel minimo dettaglio (vedi box a p. 42). Il successivo periodo (2900-1900 a.C.), corrisponde alle feroci lotte che impegnano gli Stati dell’Iran sud-occidentale e degli Zagros per piú di un millennio con i re della Mesopotamia a scopo di razzia (un motivo ricorrente delle politiche del III millennio a.C.) e per il controllo dei traffici commerciali. Durante il III millennio a.C., Susa fu spesso I monti Zagros, la catena montuosa piú estesa dell’Iran, che si estende dal Kurdistan allo stretto di Hormuz.
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Choga Zanbil. La monumentale ziggurat di Dur-Untash, centro di rappresentanza del potere regale elamita.
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legata a un altro importante centro di potere, Anshan, nel Fars, non distante dalla futura Persepoli; le due città furono i poli oscillanti di un’identità nazionale che gli abitanti della Mesopotamia chiamavano «Elam», ed espressa da flessibili confederazioni tribali unite dalle convenienze immediate del momento e dalla frequentazione comune di importanti luoghi di culto piú che da un’organizzazione stale unificata.
Una lunga supremazia Negli ultimi due secoli dello stesso millennio, due potenti dinastie «elamite», chiamate rispettivamente Awan e Shimashki, riuscirono a matenere una prolungata supremazia e a conquistare, anche se temporaneamente, vasti territori e grandi città delle pianure mesopotamiche. Questo apogeo fu probabilmente influenzato dalla contemporanea espansione verso sud degli interessi dei grandi centri della civiltà dell’Oxus, come Gonur in Margiana. In questi secoli fu scritta una storia intricata di aggressioni, rapine e distruzioni, che vedono a
piú riprese le case reali mesopotamiche nel ruolo di aggressori e, piú raramente, in quello di vittime di tragiche conquiste, rappresaglie e distruzioni totali. I re accadici Sargon, Rimush, Manistushu, in particolare, si diedero a continue aggressioni e rapine nei confronti delle popolazioni dell’altopiano e di quelle delle coste del Golfo Persico; dal re Shahr-kali-sharri in poi, mentre l’impero di disgregava, la corte di Akkad cercò di allearsi con le nazioni del Sud-Est iranico, per contrastare la minaccia degli immediati vicini del proprio confine orientale. Le fonti per la ricostruzione di questi eventi, e della perduta geografia politica dell’Iran antico (vedi box a p. 44) sono molto sporadiche, e spesso limitate alle poche iscrizioni reali, intrise di propaganda e tutt’altro che parziali. Durante il periodo detto Medio Elamico (1900-1100 a.C.), lo Stato creato dalle mutevoli confederazioni del Sud-Ovest dell’altopiano si rivelò come uno dei piú stabili e autorevoli del tempo, proprio mentre la Mesopotamia continuava a vacillare sotto i colpi delle lotte intestine tra le sue città. L’Elam continuò a
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CAPITOLO
confrontarsi con i regni mesopotamici, in particolare con Babilonia. Dal XVI secolo a.C. in poi, i Cassiti, una casa regale proveniente dall’hinterland degli Zagros, che parlavano una lingua non semitica e non indoeuropea, salirono al trono di Babilonia. Intorno al 1250 a.C., il re elamita Untash-Napirisha fondò una nuova capitale e un grandioso centro di culto, Dur-Untash, l’odierna Choga Zanbil. Domina l’imponente centro politico e religioso una grande ziggurat (piramide a gradoni) a cinte concentriche, circondata da numerosi edifici minori, templari e palaziali. Intorno al 1175, un altro re, Shutruk-Nahunte I, devastò e saccheggiò la regione di Babilonia. Le prede di guerra, tra cui il famoso blocco di diorite con il codice legale di Hammurabi (rinvenuto dagli archeologi Francesi a Susa e oggi esposto al Museo del Louvre), vennero dal re riunite in un giardino di un tempio di Susa, (segue a p. 54) A destra tavoletta con cinque fasce di segni, da Konar Sandal. Il sistema di scrittura delle tavolette, del tutto sconosciuto, è formato da linee, triangoli, cerchi, rettangoli e semilune. Reperti come questo, databili al III mill. a.C., suggeriscono una diffusione della scrittura anche oltre la Mesopotamia.
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Le clamorose scoperte di Jiroft A Konar Sandal, circa 25 km a sud dell’odierna cittadina di Jiroft, scavi recenti hanno messo in luce i resti di ricchissime tombe devastate nel 2001 da un anno o piú di scavi clandestini. I resti delle sepolture sono rappresentati da ceramiche infrante, frammenti di vasi e altri manufatti in bronzo ossidati e contorti dalla corrosione, schegge di ossa umane. Sulle stesse superfici si sono trovati, a decine, i frammenti di preziosi vasi scolpiti in clorite verde-nerastra, alcuni dei quali ancora
intarsiati con tessere in turchese, madreperla e calcare rosso, e centinaia di perline in oro, turchese, lapislazzuli e agata. Sotto il livello della necropoli del III millennio a.C., sono venuti in luce strati di abitazione risalenti al IV e alla fine del V millennio a.C., a riprova dell’antichità e del carattere del tutto autonomo dell’evoluzione sociale della regione. Gli scavi aperti sull’abitato, invece, hanno messo in luce i resti di due costruzioni palaziali, una sovrapposta
all’altra, sorte su piattaforme monumentali; la piú antica aveva un ingresso monumentale fiancheggiato da una torre a pianta circolare, oltre il quale si apriva una stanza-archivio con centinaia di impronte di sigillo, a stampo e a cilindro. Su una parete vicina figurava ad altorilievo l’immagine in argilla cruda di un personaggio con le braccia serrate al petto, dipinta in rosso, nero e giallo. Piú oltre, nello stesso centro urbano, sono stati scoperti quartieri artigianali adibiti alla produzione del rame e delle perline; e tavolette in terracotta con una scrittura di tipo sconosciuto, che stanno ancora rappresentando un difficile enigma per il mondo scientifico.
In alto la pianura della valle del fiume Halil (Halil Rud). A destra statua acefala in argilla cruda, che emerge da un sacello di Konar Sandal Sud. In basso, al centro vaso in clorite con l’immagine di un avvoltoio barbuto, da Jiroft . 2400 a.C. circa. In basso, a sinistra «borsa» in clorite con un’aquila che afferra due serpenti, da Jiroft. 2400 a.C. circa.
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LE ORIGINI
Gli ori di Ziwiyeh Il sito di Ziwiyeh, una delle numerose colline artificiali che costellano il Nord-Ovest dell’Iran, in territorio curdo, divenne famoso per il ritrovamento di un favoloso tesoro oggi conservato, in parte, al Museo Nazionale di Teheran (l’ex Museo Iran Bastan, «Museo dell’antico Iran»). Altri reperti di Ziwiyeh si trovano nei musei di New York, Cincinnati e Filadelfia e in varie collezioni private. Il tesoro fu trovato da scavatori clandestini nel 1947. Era composto da una grande quantità di preziosissimi manufatti, tra cui centinaia di
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ornamenti, vasi, placche e pettorali in oro, intarsi d’avorio, fibule d’oro e d’argento. Sembra che tutti gli oggetti fossero contenuti all’interno di un grande sarcofago in bronzo a forma di bacino, sul cui bordo erano raffigurati tributari, funzionari e guerrieri di costume assiro. I reperti furono datati tra il IX e il VII secolo a.C. A chi, in origine, apparteneva il tesoro? Forse a un ricco signore locale, che lo aveva seppellito per difendere i preziosi in un periodo tumultuoso, segnato dal conflitto tra Medi e Sciti, o forse a una favolosa sepoltura reale.
In questa pagina due manufatti in oro appartenenti al tesoro di Ziwiyeh. IX-VII sec. a.C. Teheran, Museo Nazionale. Sulla lamina (in alto), lavorata a sbalzo, sono raffigurate scene di lotta fra eroi e leoni; il pettorale lunato presenta una decorazione su due fasce con animali e figure divine convergenti verso l’Albero della Vita. Nella pagina accanto, in alto bicchiere in bronzo decorato, dal Luristan. X-IX sec. a.C. Berlino, Staatliche Museen. Nella pagina accanto, in basso morso di cavallo in bronzo con figure di stambecchi, dal Luristan. VIII-VII sec. a.C. Berlino, Staatliche Museen.
I bronzi del Luristan Nella seconda metà del XIX secolo comparve sul mercato antiquario una serie di straordinari reperti bronzei. Si tratta di un’ingente quantità di armi, spilloni, recipienti, insegne e finimenti per carri e cavalli, ornamenti, spesso realizzati con la tecnica a cera persa. Questi oggetti erano decorati con figure animali e immagini composite di natura fantastica, ibridi tra uomo e bestie, mostri e geni. Le decorazioni rivelano una forte influenza dell’arte assira, ma anche influssi scitici e, in genere, dell’arte delle popolazioni nomadi dell’Asia Centrale, il tutto re-interpretato e ricombinato in inedite forme, spesso rigidamente simmetriche. Ancora oggi, i Bronzi del Luristan sono ricercati da antiquari e collezionisti, e l’incertezza sui contesti di provenienza ne complica l’interpretazione archeologica. Successive ricognizioni e scavi, e lo studio dell’enorme numero di oggetti rivelarono che essi venivano da vaste necropoli, in larga misura distrutte da scavi illegali, saccheggiate a cielo aperto.
Parte dei bronzi erano stati depredati dalle necropoli nei pressi della città di Harsin, l’antica Shapur Khast dei Sasanidi, situata nel Luristan settentrionale (Iran nord-occidentale); poiché le necropoli non sembravano parte di vasti insediamenti sedentari, furono considerate come appartenenti a importanti tribú nomadiche. La loro produzione nella regione poteva essere datata tra il IX e il VII secolo a.C., cioè all’età della piena diffusione delle tribú di lingua iranica nelle vallate dell’altopiano.
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LE ORIGINI
Quel magnifico catino... Hasanlu è uno dei molti siti archeologici che si trovano all’altezza della costa occidentale del lago Urmia. In antico, era una possente città fortificata abitata da una popolazione di cavalieri, probabilmente di lingua indo-iranica, che lí si erano insediati dopo essere giunti dalle steppe del Nord. La città era stata presa d’assalto, conquistata e incendiata da un gruppo di spietati assalitori. Le stalle del palazzo reale, rovinate nelle fiamme, custodivano ancora gli scheletri degli sfortunati cavalli del signore. In un
recesso del complesso palaziale furono trovati gli scheletri di alcuni soldati, forse assalitori stranieri, uno dei quali stringeva ancora nelle braccia un oggetto preziosissimo: un vaso in oro con straordinarie decorazioni a sbalzo. Secondo gli archeologi, i razziatori erano caduti, da diversi metri di altezza, da un soppalco ligneo, fatto crollare dalle fiamme da loro stessi appiccate, finendo in un vortice di fumo, scintille e travi carbonizzate. Per puro caso, dunque, il celebre vaso è giunto sino a noi.
Il regno di Urartu A partire dal IX secolo a.C. si sviluppa, tra i confini nord-occidentali dell’altopiano e le montagne dell’Armenia, lo Stato di Urartu, già menzionato per la prima volta in un’iscrizione fatta incidere nel XIII secolo a.C. dal re assiro Salmanassar I (1273-1244 a.C.). Il re urarteo Sardur I (840-825 a.C. circa) fonda a Tushpa, sulla riva orientale del lago Van, la sua residenza. Gli Urartei sono le
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vittime di sanguinose campagne da parte di Salmanassar III (858-824 a.C.). Nel 714 a.C., Urartu soccombe alle truppe assire di Sargon II che conquista la capitale Tushpa e distrugge Musasir, il santuario nazionale degli Urartei. La loro terra, grazie alla posizione arroccata nelle montagne, non venne però mai conquistata interamente e in modo continuo dagli
Oggi conservato al Museo Nazionale di Teheran, il manufatto pesa quasi 1 kg e ha un diametro di 20 cm circa. La decorazione, su due registri, mostra divinità che incedono su carri verso una figura ammantata, forse un dio o un re. Il primo carro è trainato da un toro che, dalla bocca, emette un getto liquido, il tradizionale veicolo del dio delle tempeste del Vicino Oriente antico. Dèi alati, divinità trasportate da arieti, muli e leoni; una divinità femminile che si leva in volo sul dorso di
un’aquila; un arciere; una donna che porge un infante a una figura seduta con un mantello in mano (forse la rappresentazione di un sacrifico cruento?); un mostro a tre teste; un pugile che, munito di guantoni, attacca un personaggio seduto sorretto da un leone: sono alcune delle scene riprodotte su questo straordinario oggetto, forse prodotto verso la fine del IX secolo a.C. (ma potrebbe essere anche assai piú antico) e raffigurante un misterioso mondo mitologico.
A destra vaso in oro decorato su due registri con scene mitologiche di difficile interpretazione, da Hasanlu. IX sec. a.C. circa. Teheran, Museo Nazionale.
Assiri, e cosí il regno poté sopravvivere in condizioni di relativa indipendenza fino ai primi decenni del VI secolo a.C., quando dovette cedere all’alleanza tra i Medi e gli Sciti. Degli Urartei si sa che erano grandi allevatori di cavalli e coltivatori della vite (a oggi, le prime testimonianze di produzione «industriale» del vino sono attestate sotto le vette del Caucaso, nell’attuale Georgia). La loro divinità suprema, Khaldi, era un dio della guerra e del gregge.
Nell’iconografia religiosa appaiono tori, leoni e un albero sacro, presso il quale si svolgevano le attività cultuali. I templi urartei erano edifici quadrati, simili a torri, un modello ripreso in età achemenide, fino a divenire un elemento ricorrente nell’architettura sacra persiana. Nell’Iran nord-occidentale sono piú di un centinaio i siti della civiltà urartea, tra cui il castello fortificato di Bastam.
Nella pagina accanto pettorale in lega d’oro e argento, da Toprakkale. Civiltà di Urartu, VII sec. a.C. Berlino, Staatliche Museen. Qui sotto grifone di bronzo e oro, da Toprakkale. Civiltà di Urartu, VIII-VII sec. a.C. Berlino, Staatliche Museen.
LE ORIGINI
che potremmo definire come il «piú antico museo del mondo». Nel 1100 il re babilonese Nabucodonosor I conquistò e distrusse Susa; nel VII secolo a.C. è il sovrano assiro Assurbanipal a definire il re degli Elamiti, Te-Umman, come il suo peggior nemico. Nel 659 a.C. l’esercito elamita fu sconfitto, Te-Umman decapitato (l’episodio è rappresentato su un famosissimo rilievo di epoca tardo-assira conservato al British Museum) e la città di Susa distrutta, con le sue ziggurat e i suoi palazzi in fiamme. È l’inizio della fine del glorioso regno di Elam. Dalla distruzione di Susa in poi, i nuovi protagonisti della storia iranica furono i Medi e i Persiani.
Vaso in forma di toro, da Marlik. XII-X sec. a.C. Parigi, Museo del Louvre.
I primi gruppi di lingua iranica Mentre, nel corso del III millennio a.C., le popolazioni della Mesopotamia e della Siria emergono dalla preistoria, le grandi città della Media età del Bronzo (seconda metà dello stesso millennio), come quelle dell’India protostorica, furono rapidamente abbandonate dopo la soglia del 2000 a.C., e la vita sedentaria rifluí, in molte regioni, in sistemi sparsi di oasi fortificate. Le ragioni di questa crisi generalizzata sono state cercate in radicali
I Medi Le tribú indo-iraniche dei Medi sono menzionate per la prima volta nelle iscrizioni del re assiro Salmanassar III, risalenti al IX secolo a.C. La loro terra si estendeva dai monti Zagros verso Oriente, fino all’attuale regione di Kermanshah, lungo una delle maggiori rotte commerciali che dalla Mesopotamia conducevano in Afghanistan. La capitale dei Medi, Ecbatana, è verosimilmente ancora nascosta sotto la città moderna di Hamadan. Quello dei Medi è il primo, vero regno iranico, ma la sua storia ci è pervenuta solo da fonti estranee e spesso avverse ai suoi artefici.
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Costantemente minacciati dagli Urartei e dagli Assiri, alla morte di Sargon II (721-705 a.C.), i Medi si riunirono e diedero vita a una confederazione, cosí come avevano fatto in precedenza le tribú elamite. Dopo un periodo trascorso sotto l’influenza dei potentati tribali scitici, lo Stato dei Medi si rafforzò considerevolmente, tanto da poter affrontare il potente nemico assiro: nel 614 a.C. conquistarono la città di Assur, e due anni piú tardi, forti della momentanea alleanza con i Babilonesi, rasero al suolo la città reale di Ninive, distruggendo definitivamente l’impero assiro.
In basso vaso in oro sbalzato con figure di tori alati, da Marlik. XII-VII sec. a.C. Teheran, Museo Nazionale.
cambiamenti del sistema rurale (adozione generale di nuove specie animali e vegetali, tra cui il cammello e il cavallo, il riso, il miglio e la palma da dattero), insieme a un generale peggioramento climatico. Vaste regioni dell’Eurasia meridionale si fecero aride e deserte, e frequentate da campi nomadi. Gli archeologi ne riconoscono le tracce nei resti di villaggi di capanne seminterrate, dove si usavano ceramiche grezze, fatte a mano, e comandavano guerrieri ben armati, che combattevano su carri. Si tratta, forse, delle prime tribú di lingua iranica (che gli addetti ai lavori definiscono «indo-iraniche» o «indo-arie» o, piú semplicemente, «protoiraniche») a penetrare nell’altopiano iranico. Queste nuove genti dovettero attendere l’inizio dell’età del Ferro (1250-750 a.C.) per emergere alla
cronaca della storia, tramandataci, perlopiú, dai loro vicini assiri. Da queste fonti apprendiamo che, verso il 1250 a.C., tribú straniere di cavalieri nomadi, provenienti dalle regioni a nord del Kopet Dag e dalle coste del Mar Caspio, stavano migrando verso sud.
Nuove genti e gruppi di potere Nelle già menzionate cronache del re assiro Salmanassar III si narra del popolo dei Parsa (Persiani), insediatisi a meridione del lago Urmia (nelle provincie dell’Azerbaigian nell’odierno Iran nord-occidentale), e dei Medi, migrati nella zona di Ecbatana. Ma mentre questi ultimi si insediano nella zona e vi fondano il loro regno (vedi box a p. 54), i Persiani proseguono la migrazione verso il nucleo geografico e storico dell’antico Elam e poi, ancora, verso sud-est, lungo la catena dello Zagros, per insediarsi stabilmente nella regione che ancora oggi ricorda il loro nome, il Fars. L’archeologia testimonia che, con l’avvento di queste nuove popolazioni e gruppi di potere, si trasforma l’intera vita sociale, religiosa e culturale dell’altopiano iranico: i centri preesistenti vengono cinti di mura difensive, i morti sono seppelliti non piú sotto i pavimenti delle case ma in cimiteri costruiti fuori dagli abitati. Nelle tombe delle élite si depongono importanti e ricchi corredi funerari, con ceramiche (recipienti e statue di animali, ma talvolta anche figure femminili), armi, finimenti di cavalli, arnesi e recipienti in bronzo e ferro, gioielli in argento e oro. L’artigianato riflette importanti influenze dell’arte assira, ricombinandole con gli stili animalistici delle steppe centro-asiatiche. Tra gli elementi decorativi, modellati in ceramica o incisi nel metallo, spiccano gli animali, naturalistici o mitologici (il toro alato), in assetto araldico e scene di scontro, e il suggestivo tema dell’albero sacro. Quest’ultimo appare in un magnifico bicchiere in oro lavorato a sbalzo rinvenuto nella necropoli di Marlik (provincia di Gilan, sulla costa sud-occidentale del Mar Caspio), datata ai primi del I millennio a.C.
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Pasargade. La tomba di Ciro II il Grande (590 a.C.-529 a.C.), eretta nella cittĂ che fu la prima residenza reale degli Achemenidi.
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MILLE ANNI DI IMPERO
Achemenidi, Seleucidi, Parti e Sasanidi
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I GRANDI IMPERI
L
a prima grande dinastia della Persia, quella degli Achemenidi, trae il suo nome da quello del fondatore, Achemene (dal greco Achaimenes, dal persiano Hakhamanish) il quale, nella regione del Parsumash, a est della piana di Susa, unificò, intorno al 700 a.C., alcune locali tribú iraniche in un piccolo regno. Il figlio e successore, Tespi (675-640 a.C. circa) allargò il suo dominio alla città di Anshan e all’intera regione di Parsa, l’odierno Fars. Alla morte di Tespi, il suo regno fu diviso tra i due figli Ariaramne (640-590 a.C.) nominato «Gran re, re dei re, re del Paese di Parsa» e Ciro I (640-600 a.C.), re del Parsumash. Di Ariaramne testimonia il primo documento achemenide giunto fino a noi: una tavoletta d’oro rinvenuta a Ecbatana (Hamadan), che reca, incisa in segni cuneiformi che riproducono la lingua antico-persiana, la seguente frase attribuita al re: «Questo Paese dei Persiani che io possiedo, fornito di bei cavalli e di uomini buoni, mi è stato donato da Ahura Mazda. Io sono il re di questo Paese». Sono questi i primi passi di una vicenda che, nel corso del VI secolo a.C., portò la dinastia persiana a costruire un impero di dimensioni straordinarie, che si estendeva dall’Egitto all’Indo e che divenne un modello per tutte le successive dinastie iraniche. Il figlio di Ciro I, Cambise I (600-559 a.C. circa), sposò la figlia dell’ultimo re della Media, Astiage. Dalla loro unione nacque Ciro II (559-530 a.C.), principe di Anshan, in seguito denominato il Grande, che stabilí la propria capitale a Pasargade. Nel 550 a.C. vinse in battaglia le truppe comandate dal nonno Astiage, soggiogando il regno medo e trasferendo la sua residenza nell’ex capitale meda, Ecbatana.
Alla conquista di Babilonia Inizia ora una serie di fortunate imprese militari che vede protagonista l’armata meda e persiana riunita e guidata da Ciro il Grande. Ben presto l’esercito varca i monti Zagros e attraversa la Mesopotamia settentrionale per raggiungere l’Asia Minore, dove affronta Creso, re della Lidia. Nel 547 a.C. il regno lidio, con la
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capitale Sardis, celebrata per le sue ricchezze, è conquistato. A oriente Ciro si spinge fino alla frontiera con l’India, a occidente conquista Babilonia, la Siria e la Palestina. Dopo la presa di Babilonia (da allora in poi, Ciro porterà anche il titolo di «re di Babilonia») libera il popolo degli Ebrei dalla prigionia e contribuisce a finanziare la ricostruzione del loro Tempio a Gerusalemme. Il re esibisce un atteggiamento di tolleranza verso le popolazioni sottomesse, rispettandone le credenze religiose e facendo ricostruire i templi delle divinità nazionali. Massima espressione architettonica del regno di Ciro è Pasargade (forse «il campo dei Persiani»), enorme sito di vasti spazi e imponenti edifici incompiuti, dove egli costruisce la prima residenza reale achemenide e dove verrà seppellito, dopo essere caduto nelle piane dell’attuale Turkmenistan, combattendo contro gli arcieri massageti della regina Tomiri. Cambise II (530-522 a.C.), figlio e successore di Ciro, intraprende una campagna contro l’Egitto e sconfigge l’armata del faraone Psammetico III nel delta del Nilo. Durante la lunga assenza di Cambise, proclamato faraone d’Egitto, il potere, nella madrepatria, viene conteso da una serie di usurpatori. Uno di essi si era identificato come Bardiya (traslitterato dai Greci come Smerdis), figlio di Cambise, e legittimo erede al trono. In qualche anno di conflitto, costellato di colpi di scena, Dario I, proveniente da un ramo laterale della famiglia, insediato in Battriana, riesce a eliminare gli usurpatori (tra cui un certo Gaumata che, con l’aiuto della casta sacerdotale dei Maghi, aveva instaurato un regno di terrore). Le vicende dell’ascesa al
Nella pagina accanto parte terminale di un bastone con cilindro in oro e impugnatura a forma di teste leonine in lapislazzuli. L’oggetto proviene dal tesoro dell’Oxus.
trono di Dario I e della vittoria sugli usurpatori sono riportate nel grande rilievo accompagnato da un’iscrizione trilingue (antico persiano, elamita, babilonese) che Dario fece incidere nella roccia della sacra montagna di Bisitun. L’iscrizione occupa un posto speciale nell’archeologia del Vicino Oriente, perché da essa Henry Rawlinson (1810-1895), un impiegato della East India Company, sviluppò la decifrazione dei caratteri cuneiformi.
Un re in nome di Ahura Mazda
Periodo achemenide, 700-330 a.C. Londra, British Museum. In alto lamina aurea a testa leonina, da Amarlu, Gilan, Iran settentrionale. VI a.C.
Dopo l’improvvisa morte di Cambise, la crisi dinastica si risolve con la salita al trono di Dario I «il Grande». Figlio di un nobile al seguito di Cambise, Dario sposa Atossa, figlia di Ciro il Grande. Il suo regno porta gli Achemenidi a uno splendore mai piú raggiunto. A Dario si attribuisce una generale e profonda riorganizzazione dell’impero, coordinato e consolidato dalla sistematizzazione delle entrate fiscali e dagli investimenti miltari. Spostando la capitale da Pasargade a Persepoli, Dario chiama nel cuore del suo Stato artigiani e artisti da ogni parte del mondo. La pace sociale fa fiorire l’economia e le arti, il regno si espande a vera potenza mondiale. A oriente gli Achemenidi raggiungono la Valle dell’Indo, a nord sconfiggono gli Sciti, a occidente giungono fino alla costa mediterranea dell’Asia Minore, a sud inglobano Libya ed Etiopia. Tra le imprese piú impressionanti vi è la costruzione di un canale che collega il delta del Nilo con il Mar Rosso (una sorta di Suez ante
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I GRANDI IMPERI
La grande iscrizione di Bisitun La roccia di Bisitun, che si trova a poca distanza dalla città di Kermanshah, raccoglie diverse e importanti incisioni e sculture rupestri. Ma, su tutte, troneggia, a un’altezza di 66 m e direttamente sopra una sorgente, il rilievo con l’iscrizione che celebra le imprese di Dario il Grande. La raffigurazione, lunga piú di 5 m
e alta circa 3, mostra il sovrano achemenide mentre domina una serie di re sconfitti e legati, con il piede posato su Gaumata, malvagio usurpatore del trono reale. Per ultima, dato che l’immagine copre parte delle iscrizioni, fu scolpita la figura di Skunka, re degli Sciti «dal cappello lungo», che
litteram), assicurando cosí il passaggio delle navi dal Mar Rosso al Mediterraneo. Sul piano religioso, Dario il Grande, forse anche a causa delle sue origini orientali, sostiene la fede zoroastriana e inneggia ad Ahura Mazda: la grande iscrizione da lui fatta incidere sulla sua tomba a Naqsh-i Rustam recita: «Un grande dio è Ahura Mazda che ha creato le acque, che ha creato questa terra, e ha creato gli uomini (...), che ha creato Dario, re, re unico di numerosi re». Nel 490 a.C. la sconfitta di Maratona impedisce la conquista della Grecia,
evidentemente, quando gli scalpellini erano all’opera, ancora resisteva a Dario I nel Nord. Nell’iscrizione Dario enumera le 23 terre in suo possesso e ricorda di aver combattuto ben 19 battaglie prima di riuscire a sconfiggere il suo oppositore. Sovrasta tutto il rilievo l’immagine del disco solare alato di Ahura Mazda, il faravahar.
che si rivela il vero e fatale limite occidentale dell’impero e segna, al contempo, la fine della grandiosa parabola di Dario il Grande, che muore cinque anni piú tardi.
Un mosaico di genti diverse L’impero achemenide aveva raggiunto un’estensione enorme ed era abitato da un gran numero di popoli diversi; la sua stabilità interna era garantita da un’amministrazione severa e da infrastrutture ben funzionanti. (segue a p. 64)
In alto il rilievo sulla roccia di Bisitun, rappresentante i re sconfitti al cospetto di Dario. Sotto e intorno è la grande iscrizione trilingue (in elamico, antico persiano e neobabilonese), che ricorda le vicende della sua ascesa al trono. In basso i resti monumentali della residenza reale di Ciro il Grande a Pasargade. VI sec. a.C.
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Naqsh-i Rustam. Uno scorcio delle monumentali tombe rupestri degli Achemenidi: a sinistra quella di Serse I (486-465 a.C.), a destra quella di Dario I (521-485 a.C.).
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Con Dario il Grande, l’intero territorio era suddiviso in 20 unità amministrative, chiamate «satrapie». Il luogotenente, o satrapo, era direttamente nominato dal «Re dei re». Il controllo della sicurezza del regno era affidato all’esercito, il cui cuore era rappresentato dalla «Guardia degli Immortali», un corpo speciale composto da 10 000 soldati persiani e medi. Una rete stradale collegava le satrapie tra loro, facilitando il flusso di informazioni, gli scambi commerciali e lo spostamento delle truppe. Le cosiddette «strade reali», piú larghe e comode di quelle commerciali, collegavano le residenze di Ecbatana, Pasargade, Persepoli, Susa, Babilonia e Sardis in Asia Minore. Dell’impero achemenide ci sono note città e villaggi, stazioni di posta, fortificazioni e, naturalmente, diversi palazzi reali; meno noti sono i villaggi rurali del tempo. Sono circa 400 i
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nomi di località riportate sulle migliaia di tavolette amministrative rinvenute negli archivi reali di Persepoli. Grazie a essi si sono potute ricostruire le 22 stazioni che, a distanza di 24 km l’una dall’altra, scandivano il percorso della strada che univa Susa a Persepoli.
Nei palazzi reali Le caratteristiche dell’architettura monumentale dell’età achemenide rientrano in buona parte nei canoni della tradizione vicinoorientale. I palazzi di Pasargade, costruiti sotto Ciro il Grande, e quelli di Susa e Persepoli, voluti da Dario il Grande, sono ispirati alle grandi architetture assire e babilonesi, nonché a quelle dell’antica Ecbatana, di Susa in età elamica, e dell’urartea Bastam. Tutti i palazzi reali achemenidi erano basati su uno schema ripetitivo. Al centro del complesso sorgeva
In alto particolare dei rilievi della tomba di Dario I a Naqsh-i Rustam. A destra Naqsh-i Rustam. Il cosiddetto Tempio del Fuoco di Dario I.
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un’ampia sala delle udienze (denominata apadana in persiano antico), dalla pianta quadrata e sorretta da una serie di file di alte colonne in pietra con capitelli zoomorfi riccamente decorati. All’apadana conducevano scalinate monumentali le cui rampe erano ornate con rilievi finissimi. Alle spalle degli edifici pubblici si trovavano le abitazioni private, l’harem, i forzieri e gli uffici del re e dei suoi familiari, collegate fra loro da porte monumentali. Le mura di tutti gli edifici, in mattone crudo, erano rivestite con lastre di pietra decorate a rilievo.
A Susa, costruita secondo la tradizione elamitababilonese in mattoni e non in pietra, il rivestimento dei muri fu sostituito con lastre d’argilla smaltata e mosaici di mattonelle smaltate policrome; in parte, questi capolavori sono oggi visibili nelle sale della sezione orientale del Museo del Louvre. Scavi effettuati a Persepoli da una missione italo-iraniana (diretta da Pierfrancesco Callieri) stanno portando in luce i resti di una imponente costruzione decorata con simili accorgimenti. Un tratto tipico dell’architettura monumentale achemenide erano, inoltre, le necropoli dei
Nella pagina accanto elemento architettonico decorativo in terracotta, rappresentante una testa di toro, da Susa. VI sec. a.C. Parigi, Museo del Louvre. In basso Susa, palazzo di Dario. I resti dell’apadana (sala delle udienze).
regnanti, erette nell’immediata vicinanza delle loro residenze. Ne sono un esempio sia le vere e proprie architetture funerarie, quali la tomba di Ciro a Pasargade, sia le grandi camere con facciata cruciforme scavate nella roccia e decorate con una falsa facciata architettonica scolpita, quali le tombe rupestri di Persepoli o del vicino sito funerario di Naqsh-i Rustam.
Le meraviglie dell’arte orafa Come racconta Erodoto, nel V secolo a.C. i soldati achemenidi, sconfitti nella battaglia di Platea del 479 a.C., furono trovati pieni di
recipienti in metalli pregiati e di gioielli – bracciali e collari – in oro e argento. Oggi, la grande maestria degli orafi di età achemenide è confermata dai numerosi ritrovamenti archeologici che possiamo ammirare nei principali musei del mondo, in Iran e nell’Occidente. Un esempio particolare è il cosiddetto «Tesoro dell’Oxus», rinvenuto sulla riva del fiume Amu Darya (l’antico Oxus) in Asia Centrale (vedi box alle pp. 72-73). Nell’arte achemenide continuano a confluire, dando luogo a uno stile proprio e (segue a p. 70)
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Particolare del fregio in smalto policromo su mattoni dal palazzo di Dario I a Susa, con processione di arcieri. V sec. a.C. Parigi, Museo del Louvre.
Scene di vita quotidiana Tanto siamo informati sugli edifici dei dinasti achemenidi, quanto poco sappiamo, invece, dell’edilizia civile, delle case in cui vivevano i semplici cittadini. Sinora, infatti, gli scavi degli archeologi si sono concentrati solo sulle grandi costruzioni dei potenti. Possiamo in ogni caso farci un’idea delle abitazioni prendendo a esempio quelle rinvenute a Babilonia, poiché è plausibile che quelle persiane fossero assai simili. Sappiamo, inoltre, che la misura dei mattoni in argilla usati dai Persiani era identica a quella dei mattoni babilonesi, e cioè 33 x 33 x 12 cm di altezza. Le case persiane erano costituite, verosimilmente, da un massimo due ambienti (un modulo ancora oggi comune nel Vicino e Medio Oriente) e, come tuttora si riscontra nell’architettura civile persiana, erano munite di una veranda sorretta da colonne (in legno?), versioni modeste e domestiche degli atri colonnati delle grandi sale ipostile di Persepoli. Le dimore piú ricche erano composte da vari ambienti, articolati intorno a una corte interna e senza finestre sull’esterno. Rare erano le abitazioni a piú piani. Le case urbane erano tutte munite di un bagno e di un gabinetto, generalmente posti in un angolo. Un semplice forno, composto da due banchine di mattoni giustapposti, fungeva da cucina. Alimenti base della popolazione comune erano l’orzo e il grano, che potevano essere mescolati con frutta, latte di capra e di pecora, consumati in minestra o trasformati in farina e poi cotti. La carne era un alimento privilegiato e appariva sulla mensa della gente comune al massimo in occasione delle festività. Nell’antica Persia il vino aveva un ruolo di grande importanza e, per parte della popolazione, era d’uso quotidiano. E i Greci ne attribuivano ai Persiani un consumo piú che abbondante. Significativamente, la piú antica raffigurazione di un Persiano su un vaso attico mostra un uomo in stato di ebbrezza. Uno strumento tipico con il quale essi bevevano il vino è il rhyton, un recipiente a protome animale (forse, in origine, semplicemente un corno o l’osso del cranio di un animale) realizzato in terracotta e in argento. Sembra che il rhyton sia un’invenzione dei Persiani, sebbene si sia poi affermato come uno degli strumenti preferiti anche dai Greci per i loror banchetti: splendidi e preziosissimi, gli esemplari a oggi noti raffigurano teste di arieti, leoni, tori e stambecchi.
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«Una delle fantasie della mia vita è
stata quella di poter tornare indietro nel tempo con una telecamera, e filmare la campagna di Alessandro che raggiungeva l’India attraversando la Persia (Oliver Stone, regista)
»
inconfondibile, elementi artistici delle numerose civiltà con cui quella persiana venne a contatto: quella iraniana dei territori elamiti, di Babilonia, dell’Assiria, ma anche quella della Grecia classica e, in particolare, quella delle popolazioni nomadi delle steppe settentrionali. Queste creative contaminazioni erano senza dubbio alimentate dalla continua pratica dell’offerta di doni al re dalle diverse satrapie dell’impero, come dal continuo flusso di abilissimi artigiani dei diversi Paesi da un cantiere e un laboratorio reale all’altro.
Gli anni della fine Con Serse I (486-465 a.C.), figlio e successore di Dario, proseguono le guerre contro la Grecia, che però si concludono con la sconfitta persiana. Durante i successivi regni di Artaserse I (465-424 a.C.) e di Dario II (423-404 a.C.), il grande e potente impero A sinistra rhyton (corno per bere) in oro con terminazione a protome di leone alato, dall’Hamadan, Iran occidentale. V sec. a.C.
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è costretto alla pace con la Grecia, perde l’Egitto e accusa crescenti divisioni interne, anche a causa degli intrighi di corte. Negli anni seguenti, sotto i regni di Artaserse II (404-359 a.C.) e Artaserse III (359-338 a.C.), si verificarono rivolte contro la dinastia achemenide nelle satrapie sul Mediterraneo e in Asia Minore. Artaserse III riesce a sedare la ribellione in Fenicia e a riconquistare l’Egitto, ma muore avvelenato nel 338. Lo scettro passa a Dario III (353-331 a.C.), un parente lontano degli Achemenidi. Ma una nuova era, inaugurata dalle conquiste di Alessandro il Grande, è ormai alle porte: tra il 333 e il 331, le battaglie di
In alto ornamento aureo circolare con due leoni, dal Kurdistan, Iran occidentale. V sec. a.C. Realizzato in lamina e lavorato a sbalzo, presenta sul retro, cavo, sei anelli per l’applicazione, verosimilmente su indumenti. Lo stile figurativo adottato è noto come «articolazione zoomorfa».
Gaugamela e di Isso spianano al principe macedone la via verso Babilonia e Susa. Seguono le distruzioni di Persepoli e la conquista delle due residenze imperiali di Pasargade in Persia e di Ecbatana in Media. Sono gli ultimi attimi di vita del grande impero dei discendenti di Achemene. La conquista era stata preparata bene, e non solo dal punto di vista militare, ma anche da quello ideologico: agli occhi dei Greci, Alessandro era il vendicatore degli attacchi e delle profanazioni a suo tempo subiti a opera dei soldati di Serse; ai Persiani stessi, Alessandro si presentò nelle vesti di un vero (segue a p. 75)
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Il tesoro dell’Oxus Tre bracciali, un collare, sette tra recipienti e lamine d’oro con ornamenti lavorati a sbalzo e a punzone, una statuetta a tutto tondo: sono i preziosi reperti in oro ritrovati casualmente nel 1877 sulle sponde dell’Oxus, l’odierno Amu Darya, in una località nei pressi del sito di Takht-i Kobad, sulla riva nord del fiume, una regione che, in epoca achemenide, faceva parte della satrapia di Batris-Sugda, Battriana-Sogdiana. La storia moderna del tesoro, oggi uno dei vanti del British Museum, è avventurosa. Esso venne infatti acquistato da tre commercianti musulmani i quali, nel corso di un viaggio verso l’India, furono aggrediti e derubati da predoni afghani. Grazie a un capitano dell’esercito britannico, F.C. Burton, i tre furono liberati e gli oggetti recuperati. I commercianti vendettero al capitano un bracciale, portarono il resto del tesoro in Pakistan e cedettero anche quello. Piú tardi, alcuni reperti furono riacquistati da archeologi e collezionisti inglesi, tra cui Sir Alexander In basso modellino di carro trainato da quattro cavalli, con un re e il suo auriga, dal tesoro dell’Oxus. Oro, V-IV sec. a.C. Londra, British Museum.
Cunningham, allora direttore dell’Archaeological Survey (Servizio archeologico) in India. Sulla composizione originaria del tesoro, sulla data della sua fabbricazione, nonché sulle ragioni e sul periodo del suo interramento si sa ben poco. Dal punto di vista stilistico, i reperti sono legati all’arte achemenide e sono il frutto di una tradizione orafa che risale alla Mesopotamia del III millennio a.C. Alcuni degli oggetti poi – una placca in oro martellato, una lamina e un bracciale – testimoniano i prolungati contatti, bellicosi e pacifici, che i Persiani ebbero con il mondo dei nomadi delle steppe settentrionali: gli oggetti raffigurano esseri mostruosi, composizioni di animali diversi associati a In alto particolare dell’ansa di vaso in argento a forma di capra, dal tesoro dell’Oxus. V-IV sec. a.C. Londra, British Museum.
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elementi vegetali, caratteristici della cosiddetta «arte animalistica» (o arte scitica). Elaborando uno stile unico e inconfondibile e di cui i tre oggetti dell’Oxus rappresentano un esempio straordinario, quest’arte risente, tuttavia, anche della grande arte della Mesopotamia del III millennio a.C., dove le raffigurazioni dei cosiddetti «esseri misti», creature nate dalla combinazione di parti umani e diverse parti animali (si pensi ai colossali leoni e tori alati con testa umana degli Assiri, o a quella creatura in parte rettile, in parte uccello e in parte leone che decorava la Babilonia al tempo di Nabucodonosor).
A destra statuetta in argento raffigurante un re, dal tesoro dell’Oxus. V-IV sec. a.C. Londra, British Museum. A sinistra, in alto bracciale in oro terminante in due capre alate, dal tesoro dell’Oxus. V-IV sec. a.C. Londra, British Museum. A sinistra, in basso collare in oro con teste di capra alle estremità. V-IV sec. a.C. Londra, British Museum.
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Il segreto di Aristotele Nel Medioevo, tra il XIII e il XV secolo, conobbe una certa popolarità un’opera intitolata Segreto dei Segreti, copiata in diversi luoghi e diverse lingue. Conteneva consigli dati da Aristotele al suo allievo Alessandro, in materia di igiene personale, politica, strategia
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militare, e uno scambio di missive tra i due. In una lettera – secondo un manoscritto arabo della fine del X secolo d.C. – Alessandro cosí si rivolge al suo precettore: «Ho trovato nella terra di Persia uomini di grande saggezza e acuta comprensione, con ambizioni di governo. Ho deciso, quindi, di
metterli tutti a morte, Cosa ne pensi al proposito?». Aristotele rispose: «Non serve mettere a morte gli uomini che hai sconfitto; perché la loro terra, per legge di natura, ne produrrà una nuova generazione simile alla prima. Il carattere di questi uomini è determinato dalla natura
e proprio monarca, adeguandosi perfettamente alla figura del re, cosí fondamentale per la civiltà persiana. Il Macedone divenne cosí l’erede «legittimo» del grande impero persiano, e riconosciuto come tale da tutti i principali popoli dell’Oriente, inclusi gli stessi Persiani. Le città di Babilonia e Susa si arresero senza opporre resistenza e, pertanto, non subirono alcuna distruzione. Diversa fu la sorte di Persepoli: la grande capitale, orgoglio degli Achemenidi, fu saccheggiata e data alle fiamme, forse, come specularono gli scrittori greci, per vendicare le devastazioni compiute dai Persiani, in particolare sull’Acropoli di Atene.
Un progetto visionario Tuttavia, il sacco di Persepoli è l’unico episodio del genere noto nella storia delle conquiste di Alessandro. La straordinaria strategia messa in atto dal Macedone, infatti, prevedeva sempre la comunicazione e la riappacificazione con le genti sottomesse, politica che non abbandonò mai nel corso delle sue spedizioni che lo portarono, di vittoria in vittoria, fino alle frontiere dell’India, a combattere contro gli elefanti del re Poro. Al visionario progetto di unificare l’Occidente e
dell’aria del paese, e dall’acqua che bevono. La strategia migliore è accettarli come sono, di conciliarli con le tue idee e di conquistarli attraverso la gentilezza». Secondo il Segreto dei Segreti, Alessandro seguí il consiglio di Aristotele e fu cosí che i Persiani divennero i suoi seguaci piú fidati.
In alto particolare del sarcofago di Alessandro Magno raffigurante una battaglia tra Greci e Persiani, da Sidone. IV sec. a.C. Istanbul, Museo Archeologico. A destra ancora un particolare del sarcofago, con Alessandro a cavallo.
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Una città greca alla frontiera con l’Oriente Ai Khanum, importante città ellenistica situata nella regione della Bactria, alla confluenza dell’Oxus (l’Amu Darya) con il Kokcha (oggi nel Nord dell’Afghanistan), fu scoperta e scavata prima da archeologi francesi (dal 1964 al 1978) e poi da missioni internazionali (inglesi e francesi, americane e giapponesi). Negli scavi che si sono protratti per una quindicina d’anni in questo straordinario sito all’estrema frontiera orientale dei regni greco-asiatici, sono venuti in luce numerosi edifici monumentali: il palazzo, il ginnasio, il teatro, diversi santuari e i bastioni. Ai Khanum venne fondata
verso la fine del IV secolo a.C., abbandonata intorno al 145 a.C. (in seguito alle invasioni dei nomadi delle steppe) e mai piú occupata: circostanze ideali per gli archeologi, che trovarono l’antica città greca quasi integra. Ma la fortuna di Ai Khanum ha ben presto cambiato segno: la guerra civile che lacera l’Afghanistan ha lasciato mano libera agli scavatori clandestini, che hanno letteralmente distrutto l’insediamento. Alcune fotografie riprese da un archeologo giapponese mostrano la superficie di Ai Khanum sfigurata da infiniti sterri e trincee scavati dai tombaroli.
In alto Hamadan. Due iscrizioni achemenidi sul monte Alvand, a sinistra quella di Dario I (521-485 a.C.), a destra quella di Serse I (485-465 a.C.). In basso medaglione in bronzo e oro raffigurante Cibele con corona turrita su un carro trainato da due leoni, sotto il sole, la luna e una stella, da Ai Khanum (Afghanistan). 200 a.C. Parigi, Musée Guimet.
l’Oriente si ispiravano anche i numerosi matrimoni misti, oculatamente pianificati, che si ebbero a Susa tra ufficiali dell’esercito macedone e le figlie dei nobili persiani. Dopo la morte di Alessandro il Grande, nel 323 a.C. (il condottiero aveva appena 33 anni), il suo regno enorme ed effimero divenne, per vari decenni, oggetto di aspra contesa tra i cosiddetti «diadochi» («successori» in greco). Verso il 312 a.C., primeggiò il generale greco Seleuco, il quale, sposando una principessa persiana, diede vita alla dinastia grecopersiana dei Seleucidi (323-250 a.C.). Sulla riva orientale del fiume Tigri, nei pressi dell’odierna Baghdad (in Iraq) Seleuco I Nikator (305-281 a.C.), fece costruire una nuova capitale, Seleucia.
Influenze reciproche Durante il regno di Seleuco e dei suoi successori continuò la «grecizzazione» del Vicino Oriente e dell’Asia Media, già prefigurata dal sogno di Alessandro. Tuttavia, nonostante il notevole afflusso di immigrati che dalla Grecia si riversarono nelle terre d’Oriente, il processo di ellenizzazione riguardò soprattutto le terre
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piú vicine all’Europa, e molto meno l’altopiano iranico, dove era ancora viva una forte tradizione culturale locale. Si verificò, anzi, il fenomeno contrario: fu, infatti, la stessa antica cultura persiana a influenzare i nuovi arrivati, grazie anche all’attrattiva che i culti orientali esercitavano sui Greci. I sapienti greci, inoltre, portarono in Europa le conoscenze nel campo della matematica e dell’astronomia che, nei secoli dell’impero achemenide, in Persia avevano raggiunto uno sviluppo e una diffusione di particolare rilievo.
In alto Hamadan. Il leone di pietra «Sang-i Shir», forse voluto da Alessandro Magno, in memoria del generale Efestione. In basso disco decorativo di una bardatura da cavallo, con figura di Dioniso. I sec. a.C.-I sec.d.C.
In età seleucide, la Persia era un fermento di genti, lingue e religioni diverse; città come Susa, Ecbatana e Battra (la capitale – oggi Balkh in territorio afghano – della Battriana, il limite piú orientale del mondo ellenistico, ai confini con l’Asia Centrale) erano vere e proprie metropoli cosmopolite. Curiosamente, le testimonianze dell’arte di età seleucide –
L’Europa iranizzata Oltre alle conoscenze scientifiche e a prodotti di lusso quali pietre preziose, cani di razza, splendidi tappeti (la cui tradizione si è conservata nei millenni fino a oggi), in età seleucide la Persia esporta anche un gran numero di specie coltivate e animali che, cosí, per la prima volta fanno la loro apparizione nell’Europa mediterranea, e in particolare in Italia. Tra di esse, come ricorda l’iranista Roman Ghirshman, figurano il cotone, il limone, il melone e il seme del sesamo, ma anche l’anitra e il bue asiatico.
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oggetti e monumenti – oggi conosciute non sono molte: qualche tempio dalla pianta greca, frammenti di statue che dimostrano tratti né propriamente greci, né persiani. Due monumenti scolpiti in pietra, seppure mal conservati, si possono ancora ammirare in altrettante città della Persia occidentale. A Hamadan, si trova il Sang-i Shir, il «Leone di Pietra», forse un monumento funebre fatto scolpire da Alessandro in onore di Efestione, il piú amato dei suoi generali, che morí proprio a Ecbatana: in origine, era posto su un’altura da cui si dominava la città, sul sito di una necropoli partica. Nella rocca di Bisitun, invece, sotto la celebre iscrizione di Dario il Grande, è stato scoperto l’altorilievo di un Ercole sdraiato su una pelle di leone. L’opera, fortemente danneggiata, risale II secolo a.C.
Dalle steppe dell’Asia Centrale Verso la metà del III secolo a.C. in Battriana una dinastia locale dichiara la propria indipendenza dai Seleucidi e, negli stessi anni, cresce la pressione dei cavalieri nomadi provenienti dalle steppe centro-asiatiche. Nella regione del Khorasan si insediano i Parti che, in meno di un secolo, diventano i nuovi signori della Persia.
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Sotto la guida del loro capostipite Arsace (250248 a.C. circa), inizia la lenta conquista dell’altopiano iranico e, con l’ascesa al trono di Mitridate I (171-138 a.C.), lo Stato partico assume dimensioni che ricalcano in buona parte quelle dell’impero di Ciro e Dario. Ma chi erano i Parti e da dove nasce la gloriosa dinastia degli Arsacidi? Cavalieri e guerrieri, essi facevano in origine parte delle tribú nomadi, complessivamente denominati «Sciti» (o Saka), che abitavano le terre tra il Mar Caspio e il lago d’Aral. «Parti» (che, secondo alcuni studiosi, significa «cavaliere» in antico iranico) era il nome con cui le genti sedentarie chiamavano, in genere, i popoli che, a periodi, facevano irruzione nell’altopiano. I Parti, invece, preferivano definirsi «Ashkanian» (persiano per Arsacidi), cioè discendenti di Arsace. Anche l’ascesa dei Parti fu una storia di guerra e di conquiste. Nel 154 a.C. Mitridate occupò la Media e gran parte dell’Iran orientale, e in seguito le province seleucidi di Babilonia e di Assur. E proprio in Mesopotamia, molto a ovest del loro territorio d’origine, di fronte a Seleucia, sulla sponda opposta del Tigri, i Parti fondarono la loro capitale, Ctesifonte. I dinasti partici si vedevano come i legittimi successori
In alto Firuzabad. Una veduta del palazzo di Ardashir (Artaserse). III sec. d.C. Nella pagina accanto, in basso Hatra, Iraq. Una veduta delle rovine della grande città partica, i cui monumenti testimoniano in maniera eccezionale la diffusione della civiltà iranica ai confini del limes romano. Nel 2015, alcune strutture del sito sono state danneggiate da militanti del sedicente Stato Islamico.
dei re achemenidi, assumendone il titolo imperiale di «Re dei re». Sotto Mitridate II (123-88 a.C.), il grande regno raggiunse un periodo di stabilità politica ed economica: i commerci fiorirono lungo la via carovaniera che, resa sicura, collegava il Mediterraneo alla Cina, passando per Ecbatana e attraversando le terre centroasiatiche (un percorso che in seguito divenne famoso come «Via della Seta»).
Un terribile giorno di primavera Un ostacolo all’espansione dei Parti sembrava essere posto dai Romani, i quali, stanziatisi lungo le rive dell’Eufrate siriano, cercavano di stabilire il proprio dominio sulla Mesopotamia. Nella primavera del 53 a.C. si combatte a Carre, nella Mesopotamia settentrionale, una battaglia che per Roma ebbe un esito rovinoso. Lo storico greco Plutarco narra di 20 000 soldati romani caduti e di 10 000 prigionieri. Qualche decennio piú tardi l’imperatore Augusto e il sovrano partico Fraate IV stipularono un accordo di pace. Il corso dell’Eufrate segnò la frontiera tra i due imperi,
Una società cosmopolita L’impero partico, sebbene non avesse la stessa estensione di quello achemenide, era comunque un grande regno polietnico e multiculturale, in cui fiorivano tradizioni culturali, lingue e sistemi di scrittura tra i piú diversi. Numerosissime erano le lingue che vi si parlavano, dal medio persiano al partico, dal sogdiano al battriano, all’armeno, al greco, all’aramaico e al babilonese. Inoltre, anche se i re arsacidi e l’élite sociale erano di religione zoroastriana, erano tollerati e addirittura promossi culti diversi. Di particolare favore godevano gli Ebrei, i quali, dopo il fallimento delle rivolte antiromane in Palestina, avevano rieletto i loro antichi luoghi nella Terra dei Due Fiumi come sede per impiantarvi nuovi centri del sapere giudaico.
A destra Hamadan. La cosiddetta Tomba di Esther e Mordechai. XIII sec.
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ma le guerre tra Roma e i Parti continuarono ancora a lungo: dopo una interminabile serie di sconfitte durata piú di due secoli, furono i Romani, sotto l’imperatore Marco Aurelio, ad avere la meglio sui Parti, che dovettero cedere l’Armenia e abbandonare la Siria. Poche sono le città costruite dai Parti che conosciamo: in Mesopotamia fondarono la già citata Ctesifonte e Hatra, nella pedemontana del Turkmenistan fortificarono e abbellirono la capitale Nysa, una delle loro sedi ancestrali. Tra le città sull’altopiano iranico vi è la leggendaria Ecatompilo, la «città delle 100 porte», forse identificabile con il sito di Shahr-i Qumis; e lo straordinario complesso di Takht-i Sulaiman (il «Trono di Salomone») che, benché abitato sin dall’età achemenide, deve i suoi primi edifici monumentali proprio a questo periodo.
Grandiose volte aperte sul cortile Le città partiche erano fortificate da mura di cinta e seguivano un impianto circolare incentrato su santuari e i palazzi imperiali costruiti in mattoni e, tutt’intorno, gli edifici pubblici e le residenze dei nobili e poi del resto della popolazione. I palazzi partici erano lussuosamente abbelliti da stucchi e sculture, e affreschi ornavano i muri delle residenze. Nella sala del banchetto di Nysa, in Turkmenistan, gli archeologi hanno trovato una serie di eccezionali rytha (corni potori) in avorio, finemente incisi con scene del mito di Eracle, che al momento della distruzione erano appesi alle pareti. Nell’architettura civile, durante il periodo partico, si affermò la casa detta «a iwan»: era una sala articolata in tre parti, con un lato aperto su un cortile, il corpo centrale generalmente piú largo, e il tutto ricoperto con ampie volte a botte. Il modulo, presente nel palazzo partico di Assur, a Hatra e a Firuzabad, ebbe ampia diffusione in età sasanide e ancora oggi è un elemento tipico dell’architettura ufficiale e religiosa della Persia. Il giudizio sull’arte del periodo partico è controverso. Alcuni studiosi negano radicalmente l’esistenza di una specifica arte partica, vedendovi soltanto forme ibride tra
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l’arte nomade, antico-orientale e ellenisticoseleucide. Tratto comune a tutte le raffigurazioni scultoree, a tutto tondo e a rilievo, è una certa rigidità e la quasi frontalità di molte figure, che secondo alcuni prefigura i modi dell’arte tardoantica. Nell’antica regione dell’Elymais, a nord del Fars, vi sono importanti rilievi rupestri, tra cui quelli di Tang-i Sarvak, in cui sono raffigurati i vanti delle corti regali: l’investitura, scene di caccia, e cortei di notabili locali che tributano gli onori al re. Tra le sculture a tutto tondo di epoca partica è famosa la statua bronzea di un principe partico rinvenuta a Shami (nei monti Zagros), e oggi conservata al Museo Nazionale di Teheran.
Sasan, il gran sacerdote Nel santuario dedicato alla dea Anahita nella città di Istakhr, a poca distanza da Persepoli, svolgeva il suo compito di fratadara («guardiano del sacro fuoco») il sacerdote Sasan, che diede nome a una nuova e gloriosa era della storia iraniana, quella, appunto, della dinastia dei Sasanidi (224-642 d.C.). Secondo la leggenda, Sasan era un discendente dell’ultimo re achemenide, Dario III, un assunto funzionale alla rivendicazione, da parte dei Sasanidi, di tutto il territorio che, un tempo, era appartenuto all’antico impero achemenide. Ma riepiloghiamo, rapidamente, i principali avvenimenti storici di questa grande stagione che, per oltre quattrocento anni, segnò un nuovo apogeo della civiltà iraniana: nel 224 un nipote di Sasan, Ardashir I (224-241 d.C.), sconfigge Artaban, re dei Parti, conquista le sue terre e fonda la terza dinastia del millennio imperiale iranico, quella dei Sasanidi. Come durante tutta l’epoca partica, la frontiera occidentale con il mondo romano costituisce una continua fonte di conflitto. Alla morte di Ardashir I, suo figlio Shapur (241-272 d.C.) conquista Hatra (in Mesopotamia) e Dura Europos (in Siria). Sono ben tre gli imperatori romani sconfitti da Shapur I: Gordiano III Taq-i Bustan, Iran. Rilievo rupestre raffigurante l’investitura del re sasanide Ardashir II, da parte degli dèi Ahura Mazda e Mitra. IV sec.d.C.
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muore in battaglia, anche Filippo l’Arabo soccombe in armi e Valeriano viene addirittura fatto prigioniero presso Edessa, nella Mesopotamia settentrionale. Tutte le vittorie di Shapur contro Roma sono immortalate nei rilievi rupestri di Naqsh-i Rustam e Bishapur, dove il visitatore occidentale affronta l’insolita rappresentazione dell’inchino di Roma al
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Piatto in argento dorato raffigurante un re, probabilmente Shapur II, a caccia di cervi. Epoca sasanide, III sec. d.C. Londra, British Museum.
trionfo dei «barbari». Sotto i successori di Shapur l’impero attraversa un lungo periodo di debolezza, dovuto a lotte interne e alla pressione da parte delle popolazioni nomadi (uno dei re era il leggendario Bahram V, detto Gur, il «cacciatore», di cui ancora oggi si raccontano le prodezze venatorie e amatorie). Durante il regno di Cosroe I Anushirwan, «di
animo immortale» (531-578 d.C.), l’impero riacquista la sua potenza politica e militare. Sul fronte interno Cosroe sconfigge una ribellione guidata da un capo di nome Mazdak, unita nella richiesta di piú diritti per i poveri e nuove riforme sociali; ma mette in atto una riforma delle tasse, al fine di avere una giustizia piú equa. La sua attenzione verso i bisogni della sua gente gli fa
Coppa in argento rappresentante un re, forse Ardashir I, con tre leoni uccisi. Epoca sasanide, III sec. d.C. Londra, British Museum.
guadagnare il soprannome di adel, «il giusto». Ma anche sul fronte esterno Cosroe raggiunge una stabilità e un’estensione notevoli per il suo regno: stringe la pace con Bisanzio ed estende il dominio fino alle sponde dell’Arabia meridionale, controllando cosí le vie commerciali che attraversano il Mar Rosso, tra Bisanzio, l’India e l’Estremo Oriente.
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Zoroastro e gli altri Sotto i Sasanidi, lo zoroastrismo venne dichiarato religione di Stato e furono codificati i sacri libri dell’Avesta. Furono eretti numerosi templi del fuoco di cui ancora si riconoscono i resti sparsi nel Paese (i piú importanti complessi sacri dedicati al fuoco si trovano a Takht-i Sulaiman e a Kunar Siah). Tipico elemento architettonico per il culto del fuoco sacro è lo chahar taq, un edificio quadrato con un ambiente centrale sormontato da una cupola e i quattro lati aperti da ampi archi. Nonostante l’istituzionalizzazione dello zoroastrismo, nei secoli del dominio sasanide erano però tollerate anche altre comunità religiose, tra cui manichei e mazdei, Ebrei e cristiani, che potevano vivere e, spesso, anche fiorire in pace.
In alto Tappeh-i Mil, Iran. Una veduta del tempio del Fuoco. III-IV sec. d.C. A destra piatto in argento sbalzato, parzialmente dorato, con scena di caccia equestre al leone, da Sari, Manzadaran, Iran settentrionale. IV sec. d.C. Nella pagina accanto particolare della decorazione del piatto, in cui si può apprezzare la superba raffinatezza della lavorazione.
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Cosroe II Parviz, «il trionfante» (591-628 d.C.) è l’ultimo grande re dell’impero sasanide. Egli annette la Siria, la Palestina, l’Egitto. Da Gerusalemme, cosí vuole la leggenda, egli porta la croce di Cristo a Ctesifonte e, da lí, a Takht-i Sulaiman, il piú importante santuario del fuoco dei re sasanidi.
La diffusione di un nuovo credo Durante il regno autoritario di Cosroe II, in tutto il Vicino Oriente si diffonde la religione proclamata dal profeta Maometto. L’ultimo sovrano sasanide, Yadzigird III (632-652 d.C.), non riesce piú a contenere l’avanzata delle truppe arabo-musulmane, alle quali soccombe nelle battaglie di Qadesiyeh e Nehavand (642). La popolazione abbandona ben presto la religione di Stato zoroastriana, apparentemente irrigidita in gerarchie e formalismo, ormai lontana dalle popolazioni dell’altopiano, per abbracciare il nuovo credo. Con Yadzigird III ha cosí fine la gloriosa epopea del millenario impero dell’antico Iran. Piú che dei Parti, loro immediati predecessori, i Sasanidi si consideravano gli eredi degli Achemenidi, e non solo sul piano politico. Anche nelle arti essi crearono opere di gran
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Nel segno dell’Islam Con la vittoria degli Arabi sui Sasanidi, la Persia viene integrata nell’immenso ambito della cultura arabo-musulmana. La continuità storica dell’antico Iran si interrompe per sempre e si registrano mutamenti fondamentali, non solo in ambito religioso: cambiano i modi di vita, le strutture sociali e perfino i sistemi di computo del tempo. Dopo una iniziale diffusione dell’ortodossia islamica, nel 744 d.C. scoppia a Merv (nell’odierno Turkmenistan) la prima grande rivolta sciita. Dall’inizio dell’VIII secolo si susseguono varie dinastie islamiche locali (Samanidi, Taheridi, Saffaridi, Buidi e Gaznavidi) e alla metà del XII secolo il Paese è invaso dai Selgiuchidi, popolo centro-asiatico di lingua turca, convertitosi al credo islamico, che unifica l’Iran sotto il suo dominio. Isfahan, Iran. Una veduta della Moschea dell’Imam, fatta costruire dallo Shah Abbas I (1557-1629) all’inzio del XVII sec.
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Nel 1090 nasce la setta degli Assassini, fanatici religiosi guidati da Hasan-e Sabbah. La setta si sviluppa in una vera e propria dinastia locale e, per 160 anni, dà filo da torcere ai dinasti selgiuchidi. Durante il loro regno di terrore, gli Assassini uccidono migliaia di persone, tra religiosi, uomini di Stato e intellettuali. Insieme ai Selgiuchidi essi soccombono ai Mongoli, che invadono il Paese alla metà del Duecento. Il loro avvento è segnato da migliaia di morti e da distruzioni terribili: intere città sono saccheggiate e bruciate, tra cui anche Nishapur, sede di una biblioteca famosa in tutto il mondo. Nel 1381, Timur-e Lang (Tamerlano) guida l’invasione dei Turco-Mongoli, segnata da violenze e distruzioni pari se non peggiori dei loro predecessori. I Timuridi
regnano fino alla morte del loro capostipite, nel 1405. Con la dinastia iranico-nazionalista dei Safavidi (1501-1732) i Mongoli vengono definitivamente espulsi dal Paese. La Shia è dichiarata religione ufficiale di Stato. Sotto Shah Abbas I «il Grande» (1588-1629) fioriscono le arti e il commercio. Nel XIX secolo l’Iran diventa parte strategica e nodo cruciale degli interessi delle potenze coloniali. Nel 1905, un’insurrezione popolare porta alla creazione del Parlamento e della Costituzione. Reza Shah, della effimera dinastia dei Pahlavi (1924-1979) tenta una profonda secolarizzazione dello Stato. Nel 1978 scoppia la Rivoluzione Islamica, che nel sangue caccia i Pahlavi dal Paese. Nel 1979, un referendum decide per l’instaurazione di una repubblica islamica.
lunga piú importanti e monumentali di quelle dei periodi immediatamente precedenti. Come presso gli Achemenidi, l’arte sasanide era, soprattutto, un’arte di corte. I re erano i grandi costruttori di città: tra i rari esempi di città sasanidi a oggi scavate spicca la grandiosa Ardashir Khureh («la gloria di Ardashir», ribattezzata Gur nel Medioevo), presso Firuzabad, fondata da Ardashir I. I palazzi imperiali erano sontuosamente decorati con stucchi e mosaici; a Susa e a Tepe Hisar sono stati anche rinvenuti frammenti di decorazione parietale dipinta. L’apporto fondamentale dei Sasanidi all’architettura è rappresentato dalla cupola su pianta quadrata di cui conosciamo l’influenza esercitata sulle successive forme bizantine. La combinazione di spazi coperti a cupola con gli ambienti «a iwan», tipici dell’epoca sasanide, divennero infine il modello della moschea iranica.
La gloria celebrata nella pietra Se la scultura a tutto tondo è quasi assente, sono numerosi i rilievi rupestri (straordinari quelli di Taq-i Bustan) che raffigurano la glorificazione dei re. I Sasanidi, inoltre, erano straordinariamente abili nella lavorazione dell’argento: i famosi piatti, le coppe e le caraffe in argento e argento dorato celebrano i fasti e le attività di corte dei signori dell’epoca, compresa la caccia. Il vetro veniva usato sia nelle decorazioni architettoniche (come vetro colorato) sia per realizzare preziosi vasellami. Rari esemplari di stoffe sasanidi sono stati rinvenuti nel Caucaso, in Asia e in Egitto. Sigilli e monete in argento e (raramente) in oro completano il quadro della produzione sasanide. Complessivamente, quella sasanide si presenta come un’arte eclettica ma stilisticamente coerente, che raccoglie cioè elementi greco-orientali, parti, dell’Asia Centrale e anche romani. Tali elementi appaiono fusi al punto da creare un’arte propriamente «nazionale» che, a sua volta, si diffuse ed esercitò una sua profonda influenza sia in Europa, sia nell’Estremo Oriente.
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UN GIORNO A PERSEPOLI
I resti di Persepoli (a nord dell’odierna Shiraz), la città piú importante dell’antica Persia.
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ario il Grande aveva già raggiunto l’apogeo del potere quando decise di fondare la sua residenza a Parsa, nota con il nome che gli diedero i Greci: Persepolis, la città dei Persiani. Accanto alle antiche residenze della dinastia achemenide – quali Susa, Ecbatana, Pasargade e Babilonia –, egli fece costruire una nuova città cerimoniale, che ospitava i regnanti durante le grandi feste nazionali e religiose. Ed è un dato curioso che nessuna menzione venga fatta di Persepoli e dei suoi grandiosi monumenti nei documenti scritti al di fuori della Persia, quando la stessa cittadella cerimoniale offre piú di una testimonianza degli intensi contatti, pacifici e non, che il suo fondatore ebbe con le altre popolazioni del mondo di allora. Il 21 marzo, in occasione della festa di capodanno (now ruz), che segnava anche l’inizio della primavera, tutte le popolazioni del vastissimo regno di Dario inviavano i loro rappresentanti a Persepoli, per tributare gli onori al «Re dei re». La grandiosa cittadella fu conquistata e saccheggiata dalle truppe di Alessandro il Macedone nel 330 a.C. e dopo il terribile incendio con il quale gli invasori coronarono la loro opera di distruzione, il complesso cerimoniale non venne mai piú ricostruito.
Un’opera colossale Alle pendici del Kuh-e Rahmat, la «montagna del perdono», Dario fece costruire un enorme terrapieno, largo circa 300 m e lungo 455. La terrazza si erge sulla pianura a un’altezza di quasi 15 m; la struttura era circondata da mura possenti, ora scomparse. Dominato dalle scure rupi retrostanti, il complesso regale si palesa quasi improvvisamente agli occhi del visitatore. La costruzione della sola piattaforma, realizzata con grandi blocchi di pietra calcarea, era di un impegno tale da far prevedere che i lavori sarebbero durati a lungo. Alla piattaforma si accede oggi attraverso una scalinata a doppia rampa e con i gradini tagliati Persepoli. Un’immagine dell’imponente Porta delle Nazioni. La città venne fondata nel 518 a.C. da Dario I.
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«sono l’immortale,
il Signore Eterno, Colui che ha gettato il seme del Mondo
»
(Firdusi – 920-1020 –, poeta nazionale persiano autore dello Shahname, il Libro Persiano dei Re)
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in blocchi di pietra, costruita in seguito da Serse I, figlio di Dario. Alla fine della scalinata si incontrano le rovine della grande Porta delle Nazioni (o Porta di tutti i Popoli), anch’essa voluta da Serse. In origine era un’ampia porta monumentale, un unico ambiente di forma quadrata con panchine in pietra lungo le mura interne. Quattro possenti colonne sorreggevano il soffitto per un’altezza di 16,5 m. Gigantesche immagini di tori proteggevano l’accesso per chi veniva dalla scalinata e, ancora oggi, l’uscita sul lato opposto, a est, è affiancata da due colossali sculture ispirate a lamassu assiri, raffiguranti creature guardiane fantastiche, con il corpo a forma di tori alati e le teste umane. Una terza apertura, a sud, conduceva verso il principale monumento di Persepoli, l’Apadana, il grande palazzo delle udienze dei re achemenidi, fulcro delle cerimonie ufficiali. Sappiamo per certo che la sua costruzione venne iniziata sotto Dario e completata da Serse: lo testimoniano quattro straordinari documenti di fondazione che furono murati nei due angoli opposti (nord-occidentale e sudorientale) dell’edificio. I documenti, due lastre d’argento e due lamine d’oro di 33 x 33 cm, a imitazione dei comuni mattoni d’argilla, erano
state prima accuratamente rinchiuse in apposite teche di pietra. Oggi si possono ammirare nel Museo Nazionale di Teheran.
La sala delle udienze L’Apadana era un’ampia sala quadrata di 75 m per lato. L’interno era scandito da sei file di sei colonne, alte 20 m e con capitelli a forma di grifoni, leoni e tori. Agli angoli si ergevano quattro torri quadrate e sui tre lati nord, est e ovest correvano portici colonnati sorretti da dodici colonne. Il lato sud si apriva su alcuni ambienti dietro i quali si trovavano le residenze private di Dario e Serse. La copertura, oggi scomparsa, doveva essere interamente in legno, forse di cedro, trasportato qui dalle terre del Libano. Sui lati nord e est si snodano le scalinate monumentali attraverso le quali si raggiungeva la sala delle udienze. Si tratta, in entrambi i casi, di una doppia rampa: una, piú interna, i cui scalini si trovano in corrispondenza delle torri, e una esterna, situata al centro di quella interna. Tutte le facciate esterne delle rampe sono fittamente decorate con sculture a rilievo. Vale la pena soffermarsi su questa straordinaria decorazione, senza confronti nel mondo antico, per farsi un’idea del «messaggio ideologico»
Le rovine dell’Apadana e del Palazzo di Dario emergono dietro la monumentale scalinata, decorata sul fianco con incisioni a bassorilievo.
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Particolare della decorazione a bassorilievo della scalinata dell’Apadana, raffigurante un leone che azzanna un toro.
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affidato al monumento e, per estensione, all’intera Persepoli: sulla facciata interna della scalinata est (la meglio conservata delle due e, in sé, una delle piú straordinarie opere d’arte di età achemenide giunte fino a noi) è raffigurato, in corrispondenza di ogni singolo gradino, un soldato della «Guardia degli Immortali», il celebre corpo speciale per la sicurezza del re. Sulle facciate esterne delle scalinate, invece, sono raffigurati, con grande dettaglio e precisione, i delegati delle diverse nazioni vassalle dell’impero, che camminano in processione, per presentare il loro tributo al Re dei re. La figurazione è di straordinaria importanza storica, poiché permette di identificare con grandissima precisione – grazie alle vesti e agli stessi tratti fisici, nonché ai doni portati –- i rappresentanti dei diversi popoli condotti al cospetto del sovrano, uno a uno, da un dignitario persiano o medo. Si vedono cosí sfilare Medi, Elamiti, Egiziani, Battriani, Armeni, Babilonesi, Assiri, Ioni, Sciti, Lidi, Indiani, Etiopi, Traci, Arabi, tutti con le mani colme di doni: portano armi e vasellame pregiato, stoffe e gioielli, pelli di animali e animali vivi, tra cui asini, cammelli, leoni, tori e cavalli. Sono, in tutto, le 23 delegazioni delle 28 nazioni diverse che facevano parte dell’impero achemenide.
Il leone all’attacco del toro Al centro della scalinata compare la figura alata di Ahura Mazda sopra il disco solare e, su entrambi i lati delle due scalinate, appare la scena, riprodotta specularmente, del leone che attacca un toro: quest’ultima viene variamente interpretata come simbolo della supremazia del potere regale o del bene che travolge il male, oppure del ciclico rinnovamento delle stagioni. Il senso di grandiosità e potenza che emana da queste rappresentazioni è, ancora oggi, immediatamente percepibile da chiunque. Accanto all’Apadana, in corrispondenza della torre sud-occidentale, si trova il Palazzo di Dario, completato dal figlio Serse e con aggiunte apportatevi da Artaserse III. L’edificio residenziale del grande re è costruito su un (segue a p. 99)
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Persepoli com’era... La riscoperta di Persepoli da parte degli Occidentali comincia nel 1621, quando il nobile romano Pietro della Valle inviò a un amico un saggio di scrittura cuneiforme copiata da una struttura dell’antica città. I primi scavi ebbero inizio nel 1931, grazie all’Oriental Institute di Chicago. La ricostruzione che presentiamo mette in evidenza la struttura piatta dei tetti, realizzata con travature in legno di cedro, tipica dell’architettura palaziale achemenide.
Legenda 1. Porta delle Nazioni; 2. Fortificazione nord; 3. Apadana; 4. Palazzo di Dario; 5. Palazzo H; 6. Palazzo di Serse; 7. Palazzo G; 8. Tripylon; 9. Harem; 10. Tesoro; 11. Sala delle 100 Colonne; 12. Sala delle 32 Colonne; 13. Porta non finita; 14. Piazza d’Armi; 15. Tomba di Artaserse III.
Turkmenistan
12
Teheran
IRAN Iraq Kuwait Arabia Saudita
Afghanistan
Mar Caspio
15
11 13
14
Persepoli
Golfo Persico
3 2
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1
Sala delle 100 colonne
Tripylon, Portico settentrionale
Piazza d’Armi
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9 8 9 7
6 Porta delle Nazioni e Apadana
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podio alto 2,50 m circa, a cui si accede attraverso un’ampia scalinata. La facciata è decorata con la raffigurazione a rilievo dei soldati della «Guardia degli Immortali» armati di lance, mentre lungo le scalinate sono rappresentati membri della servitú regale che portano vivande nell’atto di salire e scendere le scale. Al centro dell’edificio troviamo una sala rettangolare il cui soffitto era retto da 12 colonne. Ancora molto ben conservati e visibili sono i pilastri e le cornici di porte e finestre della sala, interamente scolpite nella pietra secondo uno stile che ricorda i monumenti egiziani. Le decorazioni a rilievo dell’edificio ci permettono di conoscere, fin nei particolari, lo svolgersi della vita quotidiana dei regnanti: sulle porte figurano rilievi che ritraggono Dario accompagnato da servitori che lo proteggono dal sole con un ombrello e che scacciano le mosche. Altri rilievi sui pilastri delle porte ritraggono il re in lotta con un animale fantastico. Procedendo dalla sala delle colonne,
In queste pagine ricostruzioni virtuali ipotetiche dell’aspetto originario di alcune architetture di Persepoli: in alto, il Tesoro; nella pagina accanto, la Porta delle Nazioni.
in direzione nord, si accede alle stanze private del re. Sui pilastri delle porte sono raffigurati oggetti che ne accompagnavano la vita quotidiana: recipienti per unguenti e incenso, una serva che reca un asciugamano.
Il Palazzo di Serse Immediatamente a sud-est della residenza di Dario troviamo il Palazzo di Serse, piú grande del precedente e composto da una serie di ambienti, in parte ricostruiti. Anche qui il perno di tutto l’edificio era una grande sala centrale, quadrata e ipostila, sostenuta cioè da colonne, in numero di 36, sul cui fronte era un atrio, a sua volta sorretto da 12 colonne. A essa si accede attraversando un enorme cortile. Sul lato opposto della sala ipostila (quello nord) si trova un ambiente di cui si sono conservati solo pochi resti: esso è stato in parte ricostruito ed è comunemente ritenuto il santuario del palazzo, dedicato al culto del fuoco. Le decorazioni a rilievo, similmente a quelle del
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palazzo di Dario, mostrano il re e i suoi servitori. A sud della sala segue una serie di numerosi ambienti di dimensioni minori, il cosiddetto Harem, ritenuta la parte in cui vivevano le donne del re. Il percorso prosegue, in direzione est, attraverso le abitazioni dei funzionari, una parte del palazzo che era forse riservata agli alti dignitari, ed è oggi in parte adibita a Museo di Persepoli.
Ritorniamo allo spazio antistante la grande scalinata est dell’Apadana attraversando un curioso monumento, denominato Tripylon (Triplo portale), un edificio al cui centro si trova una sala quadrata (forse la sala in cui il re teneva consiglio con ministri e addetti militari), sorretta da quattro colonne, munita, appunto, di tre portali: il portale sud conduceva alle stanze private del palazzo, quello est ad altri edifici pubblici, quello nord al cortile a forma di «L» posto davanti all’Apadana. Anche il Tripylon è ricoperto da rilievi che mostrano il re in compagnia dei suoi servitori, le Guardie degli Immortali, dignitari persiani e medi. Uscendo dal Tripylon verso il cortile
Le gradinate di accesso al palazzo di Dario I, la cui costruzione, da lui stesso avviata, fu portata a termine dal figlio, Serse. VI-V sec. a.C. I rilievi mostrano i signori di 23 delle 28 nazioni comprese nell’impero achemenide che si recano in processione dal sovrano, portando doni e tributi.
antistante l’Apadana e attraversandolo in direzione nord, lasciando sulla nostra sinistra la grande scalinata est che conduce alla grande sala delle udienze, si giunge a un muro oltre il quale corre, da est a ovest, la cosiddetta Strada dell’Esercito che, a est, arriva a una piazza definita, a sud, dai resti della Porta Incompleta, un edificio, come rivela il nome, che, quando Persepoli venne conquistata, non era ancora ultimato. Forse di struttura simile alla Porta delle Nazioni, ma piú grande, esso serviva come sede del maresciallo di corte, tra i cui compiti vi era quello di annunciare i visitatori al re. Procedendo verso sud, dalla Porta Incompleta si giunge a quello che, forse, era
il piú grandioso di tutti i magnifici monumenti di Persepoli: la Sala delle 100 Colonne, l’immensa sala ipostila che ospitava il trono di Serse I.
100 colonne per una sala Preceduta da un atrio colonnato, la sala, anch’essa dalla pianta quadrata, era il piú grande edificio di tutta Persepoli – 70 x 70 m circa –, e le dieci file di colonne (di cui, sfortunatamente, si sono conservate le sole basi) sorreggevano un immenso soffitto di 4600 mq. Alla grande sala del trono di Serse si accedeva varcando due ampli portali, che tuttora si aprono nella parete nord dell’edificio, interrotta anche da finestre.
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Tutti gli accessi sono decorati con rilievi che mostrano il re seduto sul trono sotto un baldacchino, circondato da incensieri profumati, mentre gli attendenti si schermano il respiro, per non contaminare con il proprio alito la purezza del sovrano; oppure in lotta contro feroci leoni o creature mitologiche. Sul lato est della Sala delle 100 Colonne si aprono alcuni ambienti interpretati come cucine e, piú a nord, un’altra sala ipostila, forse da interpretare come «sala da pranzo» dei numerosi funzionari del re.
Il tesoro degli Achemenidi
Particolare del rilievo sulla facciata interna della scalinata orientale dell’Apadana, i soldati della «Guardia degli Immortali», il corpo speciale addetto alla sicurezza del sovrano.
Nell’angolo sud-orientale di Persepoli, alle spalle della Sala delle 100 Colonne, incontriamo altre sale ipostile, tra cui una con 100 colonne e un’altra con 99: sono le Sale del Tesoro degli Achemenidi. La destinazione degli edifici è confermata dal ritrovamento di tavolette con la contabilità relativa ai salari da corrispondere agli operai impegnati nella costruzione del Tesoro. Le fonti raccontano che, nel 330 a.C., quando Persepoli venne messa a ferro e fuoco dall’esercito di Alessandro Magno, le ricchezze conservate nel Tesoro erano immense e, per portarle via, i conquistatori dovettero ricorrere – cosí narra Plutarco, ma forse esagerava – a 5000 cammelli e a 10 000 coppie di muli. E, nonostante l’incendio e i millenni trascorsi, quando iniziarono gli scavi archeologici in questa parte della città, i ritrovamenti di manufatti in metallo prezioso (statuette, recipienti, ecc.) erano notevolmente piú numerosi qui che negli altri settori dei complessi palaziali di Persepoli. Il percorso attraverso la «gloria di Dario» si può concludere con la visita di tre monumenti posti fuori della terrazza di Persepoli: la grande cisterna, costituita da un pozzo di quasi 5 mq scavato per una profondità di 26 m (la struttura garantiva un’abbondante riserva di acqua piovana, capace di alimentare tutto il palazzo e anche gli insediamenti esterni) e due tombe rupestri, quella del re Artaserse II e quella, incompiuta, di Artaserse III.
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Tre imperi per mille anni 4000-2400 a.C. Potenti dinastie di lingua e religione sconosciuta fondano in diverse regioni dell’altopiano iranico le prime civiltà urbane, monopolizzando redditizi commerci e inventando metallurgia e scrittura, in parallelo a quanto avveniva in Mesopotamia.
(XVIII secolo a.C.) viene rubata e portata come bottino nella capitale elamita di Susa. 1800-600 a.C. circa In questo arco di tempo gli storici collocano, tra accesi contrasti, la vita e la rivelazione del profeta Zarathustra, che chiama gli uomini a prendere parte attiva in un cosmico scontro tra il bene e il male a fianco del dio supremo Ahura Mazda, elaborando i concetti dell’inferno e del paradiso, del libero arbitrio, della resurrezione dopo la morte, del giudizio finale, e la fede nell’esistenza degli angeli, che possono aver profondamente influenzato le successive religioni monoteiste.
2400-1800 a.C. circa Nella porzione sud-ovest dell’altopiano, sorgono città e imponenti ziggurat (torri sacre a gradoni). La Mesopotamia viene invasa ripetutamente e i suoi centri sottoposti a saccheggio. Nel XII secolo a.C. la stele sulla quale è iscritto il codice di norme emanato dal re babilonese Hammurabi
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1000 a.C. circa Tribú nomadiche che parlano lingue indoeuropee penetrano nell’altopiano iranico dai confini settentrionali e divengono importanti potenze regionali. 600-550 a.C. circa Nel graduale declino dei regni elamiti, i Medi, una confederazione tribale di questo gruppo, conquista una effimera supremazia, alleandosi con i Babilonesi. Sono presto sopraffatti e sostituiti dai Persiani, i loro vicini della regione di Parsa (l’attuale Fars). 539 a.C. Il persiano Ciro II, «Il Pastore», prende Babilonia e
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Impero dei Medi (549 a.C.) Regno di Lidia (546 a.C.)
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224-641 d.C. I Sassanidi fondano il terzo e ultimo grande impero iranico. Lo zoroastrismo e il culto del fuoco sacro divengono religione e chiesa ufficiale dello Stato, e i sovrani realizzano grandiosi progetti edilizi. L’impero viene gradualmente indebolito da secoli di sanguinose guerre con Bisanzio.
I Persiani all’avvento di Ciro (558 a.C.)
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Regno di Babilonia (539 a.C.) Massima estensione dell’Impero achemenide (550-330 a.C.)
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247 a.C.-227 d.C. Dalla roccaforte di Nisa, i Parti conquistano la Mesopotamia, la parte nord dell’altopiano iranico e importanti territori ancora piú orientali. Per quattro secoli un «secondo impero iranico» contende il dominio dei commerci internazionali a Roma (verso ovest) e agli stati cinesi (verso est), impedendo un contatto diretto tra le due superpotenze euroasiatiche.
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539-330 a.C. «Con il favore di Ahura Mazda» – come recitano le iscrizioni regali – i re persiani della dinastia achemenide dominano gran parte del mondo conosciuto, dalle coste dell’Asia Minore a ovest sino alle valli dell’Hindukush (l’antico Gandhara, alle porte dell’India) verso est. I re di ogni terra pagano tributo e prestano alleanza politica e militare in cambio della sicurezza e dell’autorità carismatica emanata dal «Gran Re». 330-129 a.C. Alessandro e il suo esercito rovesciano inesorabilmente le armate imperiali persiane. I Macedoni e i loro alleati giungono rapidamente fino al confine orientale e cancellano in pochi anni di vittorie, razzie e rivolte il primo impero universale della storia umana. Dalle rovine dell’impero persiano sorge il potere della dinastia seleucide (da Seleuco, uno dei generali e compagni di Alessandro), gradualmente esautorata, a sua volta, dalla nascente fortuna dei Parti.
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Lago dell’Oxo (Lago d’Aral)
mostra la sua clemenza rispettando i culti locali e liberando gli Ebrei dalla prigionia.
Territori conquistati da Ciro il Grande (558-528 a.C.)
Pattala
Conquiste di Cambise (530-522 a.C.) Conquiste di Dario (522-486 a.C.) Strade reali dell’impero persiano
Oceano Indiano
Battaglie dei Persiani
IX
Numero d’ordine delle satrapie secondo Erodoto e loro probabili confini
641 d.C. Le armate arabe, sull’onda della predicazione di Maometto, travolgono le truppe dell’ultimo imperatore sassanide, ma al crollo dell’antico Iran, che si verificherà poco dopo la morte del Profeta, si accompagna un drammatico scisma religioso e dinastico. L’Iran riconosce la legittima discendenza del califfato di Ali, marito di Fatima, unica figlia di Maometto e a Hussein, suo nipote. La loro sconfitta e il loro martirio nel sud della Mesopotamia separa la confessione sciita (letteralmente «quelli del partito») dall’ortodossia islamica (i sunniti). Esuli zoroastriani emigrano con il fuoco sacro nell’India occidentale, fondando una comunità religiosa ancor oggi nota col nome di «Parsi».
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VIAGGIO IN PERSIA | IRAN | 106 |
Teheran.Panoramica della cittĂ ripresa dalla cima della Torre Milad.
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ITINERARI
L’
Iran è una terra vastissima che, oltre a una straordinaria e affascinante varietà di paesaggi, raccoglie centinaia di migliaia di siti archeologici, solo in minima parte segnalati, esplorati e valorizzati. Un patrimonio enorme, tutelato dal Ministero per la Cultura e l’Orientamento Islamico dell’Iran e dall’Istituto per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale. Molti siti, tra cui tutti quelli piú importanti (quali Persepoli, Susa o Bishapur), sono ben custoditi dal personale addetto agli scavi. Nelle pagine che seguono, proponiamo dunque sei itinerari distribuiti nelle principali zone del Paese, che offrono una introduzione ragionevole a quanti vogliano esplorare le testimonianze antiche di questa terra straordinaria.
Teheran e dintorni Con piú di 20 milioni di abitanti, Teheran è un enorme agglomerato di edifici moderni: la sosta nella città si impone, innanzitutto, per la visita al Museo Archeologico Nazionale (l’ex Iran Bastan Museum), tappa imprescindibile per chi voglia intraprendere un viaggio proficuo attraverso le antichità iraniche. Le gallerie dedicate alla preistoria espongono strumenti litici di età paleolitica, quindi materiali preistorici da Tepe Sarab, Tepe Sialk, da diversi tepe delle pianure di Teheran, da Tepe Hissar, Shahr-i Sokhta, Shahdad e altri siti. Due vetrine presentano una selezione degli spettacolari reperti in clorite incisa trovati a Jiroft. Seguono le testimonianze dell’arte achemenide, con alcuni magnifici bassorilievi da Persepoli, le tavolette di fondazione in oro e argento rinvenute sull’Apadana, gioielli, affreschi e bronzi da Susa, Pasargade e Persepoli. Imponente è la statua di Dario I in stile egizio, priva di parte del torso e della testa, che in origine era alta piú di 3,5 m. Il museo custodisce poi i piú celebri capolavori dell’arte seleucide e di quella sasanide. Vi è infine la cosiddetta Sala del Tesoro che espone bronzi, gioielli aurei e i celebri vasi d’oro di Marlik (IX secolo a.C.), Hasanlu (VIII secolo a.C.) e Ziwiyeh (VII secolo a.C.). Una decina di chilometri a sud di Teheran si trova
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L’arido paesaggio del Dasht-i Lut, il Deserto di Polvere.
Iran: istruzioni per l’uso Per viaggiare in Iran alla scoperta dei suoi siti archeologici conviene concordare preventivamente mezzo, itinerario e costi con uno dei molti tour operator attivi a Teheran, in genere competenti e professionali. L’ideale è organizzarsi in gruppi di cinque o sei persone e muoversi in minibus. Dall’Italia si raggiunge facilmente Teheran con meno di cinque ore di volo e il visto per 15 giorni si può ottenere direttamente all’arrivo. Alle donne è richiesto di coprire i capelli con un velo – si tratta di una importante prescrizione religiosa, e non di un capriccio della moda – e di indossare abiti larghi e non eccessivamente vistosi. Dal moderno Aeroporto Imam Khomeini al centro della città ci vogliono 40 minuti di viaggio (se non ci sono problemi
di traffico). Lungo il tragitto si scorgerà il mausoleo, ultramoderno, ma suggestivo, dello stesso Khomeini. La megalopoli di Teheran sorge a 1900 m sul livello del mare, ed è costantemente coperta da una spessa nuvola di smog causato dalle automobili, per cui le persone anziane e quante hanno difficoltà respiratorie dovranno essere piuttosto caute. Teheran nord non offre particolari attrattive, ma vedere la città dai piedi della montagna, dall’alto, con i grattacieli e la sua enorme estensione è un’esperienza. Da vedere, ovviamente, il Museo archeologico Nazionale, il Reza Abbasi Museum, quello del Vetro e delle Ceramiche, realizzato in un delizioso palazzetto del primo Novecento, e il palazzo del Golistan. Nella zona sud di Teheran vi sono il bazaar, diversi ristoranti tradizionali e dei parchi piacevoli. La cucina tradizionale iraniana è ricca, varia e molto
saporita, almeno nei centri principali. Quando si viaggia lungo le ottime strade del Paese, invece, se ci si ferma nei motel a lato della strada frequentati dai camionisti, si vive solitamente di pane, riso, carne arrosto e pollo. Cibo buono, ma per chi non ama la carne potrebbero esserci difficoltà. Gli Iraniani nutrono una grande curiosità nei confronti dell’Europa, sono altrettanto ospitali ed estremamente gentili. Darsi la precedenza nel passare una porta può tramutarsi in una trattativa prolungata. Tuttavia, appena si mettono al volante, le medesime persone possono facilmente trasformarsi in autisti molto aggressivi. Attraversare le strade a Teheran può essere pericoloso, e, se non ci sono le utilissime passerelle sopraelevate, conviene aggregarsi a un gruppo di attraversatori locali, seguendoli passo passo, senza esitazione alcuna.
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ITINERARI
la cittadina di Ray, luogo di nascita di Harun al-Rashid, il sultano delle Mille e una notte. Dell’antica città non rimane molto, ma nei suoi pressi sorgono importanti colline di interesse archeologico, come quella di Cheshmeh Ali, abitata dal VI millennio a.C. Oltre a Ray, nei dintorni della capitale vi sono numerosi resti archeologici, città e fortezze di periodi diversi, che possono essere visitati nell’arco di un giorno. Tra questi non va persa Qazvin, la città fondata da Shapur I, in cui sopravvivono una madrasa (scuola coranica) e una moschea del Venerdí di periodo selgiuchide (1000-1218).
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Veduta di Susa. In primo piano, lo Chateau de Suse, costruito dall’archeologo Jacques de Morgan alla fine del XIX sec. come base per la missione francese e oggi sede del Museo. Sulla destra, la caratteristica sagoma a cono della tomba del profeta Daniele (XII sec.).
Il viaggio in macchina in direzione delle sponde del Mar Caspio può essere compiuto in una giornata. Risulterà affascinante per chi ama i paesaggi geologici e la geografia, mentre l’affaccio al mare potrà essere deludente (le spiagge sono quasi completamente celate da costruzioni moderne). Lungo la costa meridionale del Mar Caspio, il vero Nord del Paese in direzione del Turkmenistan (da sempre terra di frontiera verso l’Asia Centrale), si sussegue una serie di importanti siti archeologici dell’età del Bronzo, «tepe» famosi come Shah Tepe, Tureng Tepe, Yarim Tepe e la
In basso la ziggurat di Choga Zanbil (Khuzistan). 1250 a.C.
formato da una città bassa e da un’acropoli. Gli scavi hanno riportato in luce due grandi fortezze sovrapposte, la piú antica verosimilmente distrutta dagli Urartei. Da Hasanlu proviene il famoso vaso in oro conservato al Museo di Teheran (vedi, nel secondo capitolo, il box alle pp. 52-53). Una trentina di chilometri a nord di Takab, ai confini sud-orientali dell’Azerbaigian, in una località remota raggiungibile solo con un mezzo proprio, si trova Takht-i Sulaiman (il «Trono di Salomone»), la grande fortezza databile al III secolo d.C., difesa da 38 torri e munita di un’entrata monumentale. Il circuito murario oggi visibile è dovuto a un restauro effettuato in età mongola. A rendere unico il sito è il fatto
collina di Marlik, in cui fu portato alla luce, agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, un complesso di 53 tombe dotate di altari sacrificali e appartenute a re, guerrieri e dignitari, talvolta sepolti con donne e cavalli. Dalla necropoli, usata dal 1200 all’880 a.C., fu estratto un grandissimo numero di oggetti preziosi in bronzo, argento e oro.
Azerbaigian e Kurdistan Nell’estrema punta nord-occidentale, nella regione dell’Azerbaigian, a circa 5 km dal centro di Mohammad Yar, si trova Hasanlu, sito
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ITINERARI
che la fortezza protegge un lago dalle limpide e profonde acque azzurre: il bacino è circondato da un porticato di età sasanide che, a sua volta, include uno straordinario Tempio del Fuoco. Non molto lontano da Takht-i Sulaiman si trova il sito di Ziwiyeh, una delle piú famose tra le numerosissime colline artificiali che costellano il territorio curdo per essere stato il luogo di ritrovamento dei famosi ori (vedi, nel secondo capitolo, il box a p. 50). Dalle sponde del Caspio e dalla città di Qazvin, viaggiando in direzione sud-ovest, si raggiunge Hamadan, nome moderno dell’antica Ecbatana, capitale di Medi e Achemenidi.
Nella pagina accanto Qom. La cupola del mausoleo di Fatima, sorella dell’ottavo imam ‘Ali ibn Musa ar-Rida, uno dei piú importanti luoghi sacri dell’Islam sciita.
visitare Taq-i Bustan (la «grotta di Bustan»), famosa per i rilievi rupestri dei re sasanidi.
Della sua gloria passata resta oggi ben poco. Vale la pena di visitare la tomba-santuario molto venerata da pellegrini ebrei perché, secondo la tradizione, contiene le spoglie di Esther, moglie di Serse, che organizzò il primo grande esodo della sua gente in Persia. A soli venti minuti da Kermanshah si giunge alla rocca di Bisitun, giustamente celebre per i già citati rilievi rupestri di varie epoche anticoiraniche (vedi, nel terzo capitolo, il box alle pp. 60-61). A Bisitun, inoltre, sono stati scavati i resti di una fortezza dei Medi, un insediamento fortificato partico e un ponte di età sasanide. Poco lontano da Bisitun, infine, vale la pena di
In alto veduta dell’imponente ziggurat di Tepe Sialk (Kashan). IV mill. a.C. Il sito presenta tracce di insediamento che risalgono al VII-VI mill. a.C.
grandioso sito di Choga Zanbil, a circa 320 km di distanza, celebre per la sua ziggurat, costruita intorno al 1250 a.C.: è una delle piú grandi e meglio conservate dell’intera Asia, con cinque torri concentriche e sovrapposte, costruite in mattoni crudi (che ora sopravvivono per un’altezza massima di 25 m, ma in origine raggiungevano i 52, e i 104 di lato). 116 km a nord dell’odierna Ahwaz sorgono le grandiose rovine di Susa. Sul sito oggi dominano gli imponenti resti del palazzo di Dario I, che si estendeva per una lunghezza di 250 m, con un enorme Apadana (o Sala delle Udienze), abbellito da 74 colonne scanalate e coronate da
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Nel Khuzistan: da Choga Zanbil a Susa Molti siti archeologici del Khuzistan, teatro del sanguinoso ultimo conflitto tra Iran e Iraq, possono essere visitati percorrendo la strada principale che collega Ahwaz ad Andimeshk e Dezful. Haft Tepe (letteralmente, «i Sette Colli») è una delle molte colline artificiali che, anche qui, costellano il territorio: vi sono stati scavati i resti di una ziggurat (torre-santuario a gradoni di tipo mesopotamico) e di un palazzo databili al 1500-1300 a.C. Allo stesso periodo appartiene il
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ITINERARI
In alto Yazd. Veduta del centro cittadino, su cui svetta l’imponente sagoma della Moschea del Venerdí, i cui minareti sono i piú alti di tutto l’Iran. XIV sec. Sulle due pagine Yazd. Veduta della collina delle Torri del Silenzio, ripresa dall’interno di un antico edificio in disuso nei dintorni.
gigantesche teste bovine, alte piú di 20 m. Un’altra grande sala ipostila (colonnata) è stata scoperta fuori dall’acropoli, sulla sponda del fiume Shaur. Il Museo degli Scavi, a lato dell’edificio della Missione Francese, offre una selezione dei manufatti che riassumono la storia della città. Le pianure che circondano Susa sono costellate di centinaia di siti preistorici e protostorici, che documentano quasi 10 000 anni di civiltà, come Choga Mish e altri. Gli appassionati potranno recarvisi e trovare le colline e le vecchie trincee di scavo ritagliate dall’erosione; ma attenzione a non mettere in tasca i frammenti ceramici nei quali è facile imbattersi: sono manufatti archeologici appartenenti alla Repubblica Islamica dell’Iran e, anche se abbandonati, ne è naturalmente proibita la sottrazione.
Gli altipiani centrali Il cuore dell’Iran è percorso dalla strada che costeggia a sud il grande Deserto di Sale, congiungendo Teheran a Qom, Kashan, Yazd, Kerman e Zahedan. Qom è uno dei centri religiosi piú importanti dell’Iran, con il
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ITINERARI
grande santuario di Fatima Ma’sumeh, di età safavide (XVI-XVIII secolo). A 100 km di distanza è Kashan, sulla via che da Qom porta a Kerman. Da qui, secondo una leggenda, sarebbero partiti i re magi per raggiungere Betlemme. La città si distingue anche per la fiorente produzione artigianale delle ceramiche. Nei pressi sorge il sito archeologico di Tepe Sialk, oggi una collina fortemente erosa ma che ha restituito testimonianze archeologiche che vanno dal V al I millennio a.C. Capita
Yazd. Il cortile interno della moschea del Venerdí.
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spesso di leggere che Tepe Sialk ospitava una ziggurat antichissima, ma secondo gli specialisti si tratta invece di una grande piattaforma costruita in età achemenide. Lungo la strada, in direzione di Kerman, incontriamo Yazd, l’antica Khatah, situata a 1200 m di altitudine. Sin dall’epoca sasanide la città era uno dei piú prestigiosi centri zoroastriani. Sui profili dei monti che la circondano si vedono svettare molte «torri del (segue a p. 121)
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L’antico Iran al museo Non stupisce che il piú importante museo archeologico, in un Paese ancora fortemente centralizato come l’Iran, sia il Museo Nazionale dell’Iran a Teheran (l’ex Iran Bastan Museum) che presenta reperti di tutte le civiltà antiche. Ancora a Teheran va segnalato il Reza Abbasi Museum che, oltre a codici, miniature e ceramiche islamiche, espone straordinari ori achemenidi. A Isfahan si segnalano i palazzi-museo di Chehel Sotoun, Ali Qapu Hasht Behesht, per l’arte e l’architettura safavide. Notevoli collezioni archeologiche sono esposte nei Musei degli Scavi di Persepoli e di Susa, nonché a Kashan, nel Museo Nazionale del Giardino di Fin. Da non perdere, se si decide di spingersi fino a Jiroft, i Musei archeologici di Kerman e della stessa cittadina di Jiroft, dove sono in mostra centinaia degli straordinari reperti in clorite incisa e intarsiata del III millennio a.C. che hanno rivelato l’esistenza, meno di vent’anni fa, della straordinaria civiltà dell’Halil Rud. Numerosi sono poi i musei europei e statunitensi che espongono straordinarie collezioni archeologiche dell’antica Persia: segnaliamo il British Museum di Londra (Tesoro dell’Oxus e oreficeria achemenide), il Museo del Louvre di Parigi, il Museo Reale di Arte e Storia di Bruxelles (arte e oreficeria sasanide), il Vorderasiatisches Museum di Berlino (bronzi del Luristan, Urartu), il Metropolitan Museum di New York.
Isfahan. La facciata della moschea dello sceicco Lotfollah, sulla piazza di Naqsh-e Jahan.
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A sinistra il bazaar di Kerman. A destra Kerman. L’interno del castello di Rayen, interamente costruito in adobe (mattoni crudi).
silenzio». Anche la Moschea del Venerdí della città (XIV secolo) venne costruita sul luogo di un antico Tempio del Fuoco. Abbandonando il percorso che da Yazd si inoltra verso Kerman, girando invece verso sud-est, si devia verso Isfahan, raggiungibile anche seguendo la strada nord-sud che collega Teheran a Shiraz. Con le sue cupole turchesi, la grande piazza, i suoi giardini e i suoi bazaar, Isfahan regala ricordi indimenticabili: piú di ogni altra città iraniana, evoca nel viaggiatore i miti e l’immaginario dell’antica Persia. Di fondazione achemenide prima e partica poi, la città come si presenta oggi è dovuta in gran parte a ricostruzioni avvenute in epoca safavide (tra la fine del XV e gli inizi del XVIII secolo), quando Isfahan fu capitale imperiale. Uno dei suoi edifici piú gloriosi è la Moschea dell’Imam, costruita per volere di Shah Abbas I e ultimata nel 1638. Sulla città svettano minareti selgiuchidi decorati da delicati intarsi policromi, cupole di altre moschee, portali monumentali,
tombe, palazzi e giardini di incantevole bellezza. Ritornando sulla direttrice che porta a sud-est si arriva a Kerman, città costruita a ben 1800 m di altezza, ai margini del Dasht-i Lut (Deserto di Polvere). Qui sorge uno degli esempi piú celebri di architettura selgiuchide dell’XI secolo, il mausoleo di Gonbad-i Jabaliyeh, a pianta ottagonale. Da non perdere è il vecchio bazaar, che risuona dei colpi di martello dei calderai. Nel bazaar di Kerman si trova un hammam (bagno) musealizzato, ancora abbellito da splendide mattonelle invetriate con disegni tradizionali. Nel Museo di Kerman si trovano molti reperti provenienti dai sequestri effettuati a Jiroft, e materiali preistorici da Shahdad (III millennio a.C.) e da altri siti vicini. Gli appassionati di preistoria, ma anche quanti amano i deserti inviolati, potranno facilmente raggiungere da Kerman, con circa 3 ore di macchina, l’oasi di Shahdad, ai margini del Dasht-i Lut, una delle zone piú inospitali del pianeta. La visita al vasto sito archeologico
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Nella fortezza dei datteri A circa 150 km in direzione sud-est di Kerman si trova Bam, centro famoso per i suoi agrumeti, i deliziosi datteri e per l’eccezionale città medievale, circondata da una cinta muraria in mattone crudo, tuttora ben conservata. Le mura, munite di una fitta serie di bastioni quadrangolari e da complesse porte, proteggono la città medievale, sopravvissuta tal quale nell’ombra delle sue strette vie e dei bazaar, per un’estensione di circa 6 km di diametro. Al centro, in posizione rialzata, si ergevano l’Arg-i Bam, la celebre cittadella con le sue fortificazioni, il quartiere
militare e quello degli artigiani. Bam fu fondata sotto i re sasanidi, ma venne poi continuamente ingrandita e restaurata sino ai tempi della dinastia safavide. La visita a Bam oggi lascia un senso di tristezza, dato il suo stato di quasi totale distruzione dopo il disastroso terremoto, che ha causato migliaia di vittime, avvenuto il 26 dicembre 2003. Oggi, la cittadella devastata sta lentamente risorgendo nelle sue antiche forme grazie all’ingente sforzo di diverse organizzazioni iraniane e internazionali, nelle forme quasi immutabili del suo mattone crudo.
La cittadella fortificata di Bam, in una foto scattata prima dei crolli causati dal terremoto del 2003. Le strutture sono attualmente in restauro.
della città (III millennio a.C.) è consigliata solo con una guida archeologica esperta; altrimenti potrebbe rivelarsi una delusione.
Nel Fars, culla dei Persiani La provincia del Fars, regione nella parte sudoccidentale dell’altopiano iranico, fu la terra d’origine dei Persiani. Per raggiungere Shiraz, la capitale provinciale, da Teheran si devono calcolare due giorni di macchina (con tappa a Isfahan), altrimenti si deve optare per l’aereo. Città bellissima, con monumenti, mausolei e moschee di origine medievale ma, perlopiú, restaurati e abbelliti in epoca safavide e successiva, Shiraz rappresenta soprattutto una sosta che precede la visita a Persepoli (per la cui descrizione, vedi il capitolo alle pp. 88-105), Pasargade e Naqsh-i Rustam. Nel 546 a.C., Ciro stabilí a Pasargade la prima capitale achemenide. Oggi è un grande sito scavato solo in minima parte. Il visitatore che vi si aggira in macchina avverte una sensazione di silenziosa grandiosità. Gli archeologi hanno identificato la cittadella, alcuni edifici residenziali reali tra cui l’Apadana, altri interpretati come templi e altari, e un recinto sacro eretto su una terrazza monumentale. Molti edifici rimasero evidentemente non finiti, probabilmente a causa dell’improvvisa morte di Cambise e della scelta di Dario I di spostare la sua reggia a Persepoli. Da non mancare è la celebre edicola megalitica della tomba di Ciro, una struttura con tetto a spiovente eretta in
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splendido isolamento su una serie di scalini che ricordano, in scala ridotta, le ziggurat mesopotamiche. Oggi Ciro è ricordato dagli Iraniani come un sovrano tollerante e benevolo, antesignano del rispetto per le minoranze, e la sua tomba è oggetto di una sorta di reverenziale culto moderno. Ritornando verso Persepoli si tocca il sito di Ishtakr, antica capitale della provincia prima della conquista araba e sede di un importante Tempio del Fuoco. La strada prosegue verso Naqsh-i Rustam, spettacolare necropoli
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reale degli Achemenidi. Quattro grandi tombe cruciformi appaiono scavate nel fianco della montagna, come grandi aquile con le ali spiegate: un’iscrizione identifica quella di Dario il Grande, mentre le altre sono attribuite a Dario II, ad Artaserse I e a Serse. Sulla facciata campeggiano le immagini dei sovrani in adorazione del fuoco di Ahura Mazda. Davanti alle tombe e ai sottostanti rilievi sasanidi si erge una misteriosa tomba, forse un tempio funerario achemenide destinato al culto reale.
Shiraz. Uno scorcio del tradizionale mercato dei tappeti nel Vakil Bazaar. Fondato nell’XI sec., il bazaar è oggi una delle principali attrazioni turistiche della città.
Il viaggiatore audace e informato potrà viaggiare da Shiraz verso Tall-i Malyan, identificata su basi epigrafiche come la sede dell’antica Anshan, patria di Ciro e secondo polo, con Susa, del successivo mondo elamico. Il sito non è valorizzato, né approntato per visite turistiche, ma la sua importanza può giustificare l’investimento del viaggio. Se da Shiraz si procede verso ovest si arriva, dopo poco piú di 100 km, a Bishapur, città imperiale sasanide costruita da Shapur nel 266 d.C. Il grande centro urbano è scavato solo
parzialmente: è stata messa in luce una serie di edifici sontuosi comprendenti una struttura palaziale dotata di una Sala delle Udienze a pianta cruciforme, di altre sale con splendidi mosaici policromi e pitture murali, di una residenza privata dell’imperatore e di un tempio a pianta quadrata, un santuario del fuoco o, forse, dedicato ad Anahita. La regione tra Bishapur e il Golfo Persico è costellata di siti sasanidi, ma anche di epoca preistorica e islamica. Muovendo da Shiraz verso il Sud, si giunge a Firuzabad, il nome
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ITINERARI
dato nel X secolo alla città di Gur che, a sua volta, è la contrazione di Ardashir Hurrah, ovvero «la gloria di Ardashir». Il sito conserva i resti di un palazzo fortificato costruito da Ardashir e vi compaiono quelli che sono stati considerati i piú antichi esempi di cupole nell’architettura persiana. A sud sorgeva la cittadella: un insediamento a pianta circolare di 2 km di diametro, protetto da argine e fossato, con quattro porte unite da due assi ortogonali che dividevano la città in quattro quadranti. Al centro sorgeva una torre a pianta quadrata, in origine alta 30 m, sulla quale, sembra, ardesse un fuoco sacro.
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Sistan e Khorassan Ancora oggi, viaggiare nel Sistan-Baluchistan, la provincia ai limiti sud-orientali dell’Iran, richiede l’uso di mezzi propri e può essere scomodo e a volte pericoloso, data la vicinanza della frontiera afghana. Prima di progettare viaggi in quest’area, è opportuno informarsi presso l’Ambasciata Italiana a Teheran e presso le autorità archeologiche iraniane. I primi centri abitati del bacino del Sistan risalgono alla fine del IV millennio a.C., come hanno rivelato gli scavi del centro urbano di Shahr-i Sokhta, vera capitale protostorica della regione. Oggi i grandi laghi creati dal delta
Sulle due pagine Pasargade. Una panoramica dell’antica città, con, in primo piano, l’edificio a guardia dell’ingresso.
A destra Pasargade. La tomba di Ciro II il Grande (590 a.C.-529 a.C.)
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ITINERARI
A destra Naqsh-iRustam. Veduta d’insieme delle tombe degli Achemenidi. A sinistra, quella di Serse I (486-465 a.C.); a destra, quella di Dario I (521-485 a.C.) In basso Naqsh-iRustam. Particolare del rilievo raffigurante l’investitura di Ardashir I (224/226-241 d.C.).
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dell’Hilmand sono asciutti, e la regione, almeno dal punto di vista ambientale, è ben diversa dal passato. Sigillata sotto spessi strati di sale e grazie all’estrema aridità, Shahr-i Sokhta ha restituito eccezionali materiali organici, come insetti, semi, oggetti in legno, cesti e tessuti. Visitando il sito, si vedono grandi costruzioni in mattone crudo della fine del III millennio a.C. e la straordinaria necropoli dell’antica città. Situata circa 60 km piú a nord, Dahan-i Gulaman (La Porta degli Schiavi) era un importante centro achemenide, dove sono stati portati in luce edifici pubblici e privati, tra cui un grande Tempio del Fuoco scavato in passato da una Missione Archeologica Italiana dell’IsMEO.
Il Museo Archeologico di Zahedan è una meta curiosa: ha sede in una costruzione moderna a forma di ziggurat e raccoglie alcuni dei manufatti piú affascinanti recuperati a Shahr-i Sokhta e in altri siti della provincia. Da Teheran si può raggiungere il distretto montuoso del Khorassan viaggiando lungo il margine settentrionale del Deserto di Sale, via Damghan. A soli 6 km da questa città sorge il sito protostorico di Tepe Hissar, dove sono state portate in luce 1600 sepolture della fine del III millennio a.C., oltre a un raffinato palazzo sasanide datato al VI secolo d.C. Procedendo per circa 400 km in direzione est si raggiunge Nishapur, la Niv Shapur (il «Buon Voto di
Nella pagina accanto Naqsh-i Rustam. Particolare del rilievo che raffigura l’investitura di Ardashir I (224/226-241 d.C.). Sulle due pagine Mashad. Una veduta del centro cittadino con l’ingresso della moschea dell’imam Reza.
Shapur») di età sasanide, situata nel cuore dell’altopiano. Sede di una delle piú importanti miniere di turchese al mondo, Nishapur riserva un punto di interesse in piú, almeno per chi ama le pietre preziose. Da qui, percorrendo poco piú di 100 km, costellati da caravanserragli, mausolei e santuari di età medievale e safavide, si raggiunge Mashad («la città dei martiri»), la città santa che ospita un gran numero di edifici religiosi. Vi morí Harun-al Rashid e qui è sepolto Reza, l’ottavo imam sciita. Il mausoleo di Reza, morto nell’817, è stato nei secoli ripetutamente danneggiato ma anche ricostruito. La parte oggi visibile risale al XIV secolo.
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MONOGRAFIE
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