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SPECIALE CM DEL PANETTONE 2021

Maestro dei maestri di “Panettone” L’intervista al maestro Iginio Massari A cura di David Camponovo Iginio Massari ha partecipato all’11a edizione del Master Chef in Italia e a certo punto, nel 1975, ha deciso di vendere la sua attività, ma al momento della firma dell’atto notarile è intervenuta la moglie convincendolo di non mollare.

Vedere l’azienda che funziona è una grande soddisfazione, anche se continua ad andare con una volontà diversa dalla mia, perché io non ho mai ricorso il denaro, ma il piacere del lavoro. Ma sono contento che miei figli adesso rincorrano il successo. Come “allenatore” ho fatto vincere 8 mondiali, di cui la prima Coppa del Mondo nel 1997 e la seconda nel 2015. Qui mi avevano chiamato perché da 18 anni l’Italia non vinceva più e se poi abbiamo vinto si vede che all’allenatore ha un peso determinante. Come tale non impongo il mio modo di fare, ma sfrutto le capacità, spingo al massimo per quello che sa già fare bene l’”atleta”.

Iginio Massari con David Camponovo, durante il Campionato del mondo svoltosi a Lugano Quali sono gli ingredienti necessari per arrivare alla notorietà nel suo campo? Competenza, conoscenza, non improvvisare e poi avere una persona come mia moglie, che comunque sa stare in mezzo alla gente perché la qualità nasce nel negozio. Dal laboratorio escono cose buone, ma se nel negozio ci sono persone indisposte, non sorridenti, si subiranno critiche negative. Bisogna saper trattare con le persone, la disponibilità di andare verso l’altro e molto importante!

Ad una Coppa del Mondo, dopo la selezione, giungono in finale 22 nazioni. Per vincerla ci vogliono più elementi, ma il “peso” dell’allenatore è importante perché porta il partecipante ad esibire le sue grandi abilità e (ridendo) avere una grande fortuna che altri concorrenti non hanno e puoi ci vuole più cervello che mani. Per vincere il campionato mondiale non devi fare solo cose belle ma devi avere anche la velocità dell’esecuzione, perché il tempo è determinante per finire il lavoro. Da anni lei ha un legame affettivo con la Svizzera... Il mio primo viaggio in Svizzera l’ho fatto a 14 anni, come emigrante. Sono arrivato con i genitori. Il primo contatto è stato con Briga, lì c’era il centro di smistamento

degli immigrati italiani. Per poter lavorare in Svizzera i miei genitori dovevano avere un contratto di lavoro, un contratto ‘affitto, dimostrare di essere autosufficienti, dovevano fare una visita medica lì sul posto, che veniva fatta in gruppo, senza nessuna “intimità” e “protezione dei dati”, perché se avevi qualche malattia ti mandavano indietro. Erano altri tempi! Quando sono venuto la guerra era finita da 9 anni e mi sono meravigliato che non c’erano le fosse delle bombe, ma questo era normale, perché la Svizzera non ha subito la guerra. Siamo arrivati con un treno a carbone e affacciandomi sempre dal finestrino ero tutto sporco di fuliggine è sono stato stupito della differenza dal primo treno che ho preso in Svizzera per andare a Malleray, nel canton Giura, che era elettrico, pulito, ordinato e silenzioso, perché la Svizzera era così vicina all’Italia ma era così avanti, e poi, naturalmente, sono stato affascinato dalle montagne - meravigliose ed infinite. Quando ho incontrato il proprietario dove sono andato a lavorare, un certo signor Dorio, ho conosciuto suo figlio con la sua fidanzata, che si chiamava Lis. Lei aveva tacchi alti ed era molto magra, io, siccome ero più piccolo, la vedeva bella e slanciata e la mia fantasia correva... Poi ho iniziato a praticare uno sport tipicamente svizzero, la lotta svizzera, che ha regole molto precise, come anche l’abbigliamento. A 14 anni avevo tanta energia e forza.


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