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SERGIO PELLISIER
from Calcio2000 n.241
by TC&C SRL
EROI PER UN GIORNO Sergio Pellisier
di Sergio Stanco
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Sergio Pellissier ha dato l’addio al calcio dopo 22 anni di onoratissima carriera, di cui 19 spesi nel Chievo. Un’altra bandiera che ha smesso di sventolare.
Abbiamo però ancora tempo per uno splendido “rewind”.
STANDING OVATION
èil 13 maggio, a San Siro si gioca un adesso San Siro sa da che parte schierarsi. Il Inter-Chievo valido quasi solo per gli giovane Vignato avrà altre occasioni per farsi almanacchi, come si diceva un temammirare, apprezzare ed applaudire, adesso po. Dopo una partenza lanciata, i nela scena è tutta per Pellissier: il pubblico si razzurri si sono un po’ sgonfiati, finendo per alza in piedi al suo ingresso in campo e gli accontentarsi di una qualificazione in Chamriserva un tributo da brividi. In tanti anni di pions League messa in discussione solo nelcarriera, non abbiamo assistito spesso ad un le ultime giornate, ma solo per un pizzico di applauso di San Siro così bello, spontaneo presunzione e superficialità. Il Chievo, invece, e sentito, ad un avversario. Sergio si guarda affossato dalla penalizzazione, ha lottato finintorno, quasi un po’ stranito, sorpreso, intiché ha potuto, fino a quando la matematica midito. Come a dire: “Ma davvero state facendava un barlume di speranza, salvo poi perdo questo per me? Non ci credo”. Invece sì, dere energie fisiche e nervose, arrendendosi più di 55mila tifosi nerazzurri in piedi per una nel finale. Quel Chievo, oltre alla Serie A, sta bandiera. Poco importa che fosse quella del perdendo un altro pezzo di storia: qualche Chievo, l’importante è che sventolasse ancogiorno prima, infatti, il suo Capitano Sergio ra forte per un po’. “ È stato uno dei momenPellissier ha annunti più emozionanti della ciato l’addio al calcio in “Gli applausi dei tifosi mia carriera – ammette una conferenza stampa emozionante. Dopo 19 anni di lunga militaninteristi a San Siro mi hanno fatto grandissimo Sergio Pellissier ai nostri microfoni – È stato strano per me, perché za in gialloblu, i tifosi piacere, significa che mi considero un giocaclivensi non vedranno più quel furetto maglia qualcosa di buono l’ho tore normale e di solito i giocatori normali non numero 31 scorrazzare fatto in carriera” godono di questo tratper il campo, segnare tamento (sorride, n.d.r.). come una tassa ed esultare come un ossesMa è stato ovviamente bellissimo, significa so. Ma Sergio Pellissier è, è stato e sarà molche comunque qualcosa di buono in tanti anni to di più, per tutti. E lo dimostra proprio l’80’ l’ho fatto”. Molto più di qualcosa, aggiungiaminuto di quella partita, che in quel momento mo noi: nel 1997 esordio in B col Torino, nel prende una piega del tutto diversa e, pur nel 2002 quello in Serie A col Chievo, maglia con piccolo di quel gesto, a suo modo entra nella la quale disputa 19 stagioni consecutive, arristoria: Di Carlo richiama il giovane Vignato, vando fino in Champions League e Naziona18 anni, ed inserisce proprio il Capitano, che le. Record di presenze con i clivensi e miglior di primavere ne ha 40. Quella sostituzione è marcatore in Serie A con la casacca gialloblu anche una sorta di ricambio generazionale, (112 gol). Basta? Di fatto lascia un pezzo di il simbolo del tempo che passa e del calcio storia non solo del Chievo, ma del nostro calmoderno che avanza. Sarà, ma almeno per cio: “La scelta è stata ponderata e ovviamen-
EROI PER UN GIORNO Sergio Pellisier
te soffertissima, ma ho ritenuto fosse quella migliore. D’altronde faccio solo questo da 22 anni e l’ho sempre fatto con grande passione. Fortunatamente ho avuto il tempo di prepararmi, di assorbire e digerire, se avessi smesso all’improvviso sarebbe stato più difficile. Forse, però, ancora non me ne rendo conto, probabilmente quest’estate quando non andrò in ritiro accuserò il colpo (sorride, n.d.r.)”. E allora questo non può non essere il momento dei bilanci, delle riflessioni, anche dei rimorsi. Sergio è un fiume in piena: “Il calcio mi lascia 22 anni di ricordi bellissimi, di momenti di gioia e anche di sofferenza, dalla quale però sono sempre uscito. Io lascio al calcio la mia voglia, la mia serietà, il mio spirito di sacrificio e spero che questo serva ai ragazzi di oggi, che non mi sembrano molto propensi a sacrificarsi. Non ho mai avuto dubbi al momento di lasciare, già sapevo che non avrei fatto l’allenatore: quello in cui i più giovani si sentono già arrivati perché hanno esordito in A, che non vogliono andare in prestito in C e magari se gli fai un’osservazione ti rispondono anche, non è più il mio calcio. Io mangiavo l’erba, anche la sabbia dei campi della Serie C di una volta, che non era la Lega Pro di oggi. Pur di arrivare in Serie A avrei fatto qualsiasi cosa e neanche mi sognavo di arrivare in Champions League o Nazionale perché, per quanto fossi umile, non pensavo di averne le qualità. Invece grazie al sacrificio ho raggiunto tutto questo. Ai giovani d’oggi lascio questo mio insegnamento, il mio esempio, perché possano farne tesoro. Se dovessi scegliere una foto simbolo della mia carriera, ad esempio, punterei su quella in cui ho alzato il trofeo di B nel 2008, perché è quella che mi rappresenta al meglio: dalla Champions League in B, scelgo di rimanere fedele al Chievo e da capitano lo riporto in A. Alzare quella coppa ha significato tantissimo per me e per il club. Poi, ovviamente, mi resta il rammarico di aver assaporato solo i preliminari di Champions League senza riuscire
Una vita al Chievo, sempre con grande professionalità e umiltà

a qualificarci alla fase a gironi, ma anche la gioia dell’esordio in Nazionale riuscendo ad andare in gol dopo soli 11’ da mio ingresso in campo (Italia-Irlanda del Nord, 6 giugno 2009, allenatore Lippi, n.d.r.). Quella è stata la ciliegina sulla torta della mia carriera. Sono emozioni che mi porterò sempre con me”. Al di là del sacrificio, però, Sergio Pellissier è stato anche un bomber di razza, ha punito tutti, anzi spesso si divertiva a colpire nei grandi appuntamenti. Una volta li chiamavano ammazza-grandi. Il “pistolero” Pellissier ha tutte le tacche sulla sua cintura, ma quando vedeva bianconero impazziva come un toro che vede il drappo rosso. E l’accostamento con il Toro non è casuale, vista la militanza nel settore giovanile granata: “Sì, alla Juve ho segnato anche una tripletta (5 aprile 2009, era la Juve di Ranieri, ma anche
di Buffon, Camoranesi, Marchisio, Del Piero…, n.d.r.), una serata indimenticabile. Ma proprio ad una gara contro la Juve è legato forse il mio rammarico più grande: era il 9 maggio 2011 e abbiamo pareggiato 2-2 a Torino. Sul finire, però, ho avuto un’occasione a tu per tu con Buffon, avrei potuto concludere a rete e fare gol, sarebbe stata probabilmente la prima vittoria nella storia del Chievo in trasferta contro i bianconeri. Invece ho deciso di fare l’assist ad Uribe e l’occasione è sfumata”. Ha avuto modo di rifarsi bomber Pellissier: “Ricordo con piacere tutti i miei gol, non riesco a distinguere tra belli e brutti, perché per me sono tutti belli (sorride, n.d.r.). Di solito li divido tra importanti e meno importanti: ovviamente sono rimasto molto legato al primo in A (al Parma nel 2002, n.d.r.), così come al centesimo nella mia carriera (contro il Novara dieci anni più tardi, n.d.r.). E, naturalmente, alla tripletta alla Juve, perché segnare tre gol ai bianconeri non è cosa di tutti i giorni”. L’ultimo proprio in questa disgraziata stagione (7 ottobre 2018: MilanChievo 3-1, n.d.r.), un gol che non è riuscito a scuotere i suoi compagni, ma che se non altro ha consentito a Pellissier di andare a segno per la diciassettesima stagione consecutiva: “Chiudere così è stata la delusione più brutta della mia carriera, non per la retrocessione in sé, ma per come è arrivata. Io dico sempre che si può perdere, ma non senza lottare. Le

Uno dei tanti gol di Pellissier, questo alla Juventus nel 2016
sconfitte così erano quelle che più di tutte mi facevano imbestialire: ricordo una nel derby, al martedì successivo arriviamo per la riunione tecnica e sbotto. Sono venuti giù i muri dello spogliatoio (sorride, n.d.r.): non posso concepire la superficialità, la presunzione, la mancanza di reazione. Lo spirito, la grinta, l’orgoglio, non possono mai mancare”. Ed è questo atteggiamento che ha fatto innamorare il pubblico del Chievo, ma non solo. Non sono gli anni di militanza ad eleggere una bandiera, ma è l’esempio in campo e fuori.
Ed è per questo che è particolarmente difficile gestire il momento dell’addio: “Io sono stato fortunato, perché ho la fortuna di aver giocato in una squadra il cui presidente è ancora un tifoso. Nelle piazze in cui il calcio è solo business, non sarebbe stato altrettanto facile. Se trattiamo questo sport solo come una questione economica, è normale ammainare le bandiere senza troppo riguardo. Qui non è stato così, avrei potuto continuare a giocare anche se non fossi stato in grado di camminare (sorride, n.d.r.). Sono stato io, però, a decidere di lasciare, perché non volevo rappresentare un peso in campo o una presenza ingombrante nello spogliatoio: tuttavia, il presidente Campedelli, con il quale ho sempre avuto un rapporto eccezionale, ha ritirato la mia maglia e mi ha proposto di rimanere in società come presidente operativo del club. Sono onorato della fiducia e spero di esserne all’altezza”. Il meritato lieto fine di una favola davvero meravigliosa. Standing ovation per voi.