Il fumetto supereroico

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Marco Arnaudo

Il fumetto supereroico Mito, etica e strategie narrative Prefazione di Marco Mancassola


I fumetti di supereroi degli ultimi decenni possono svolgere una loro funzione in una società spesso inquieta e disorientata come la nostra. Dietro lo schermo attraente dei colori chiassosi, delle anatomie spettacolari e delle potenti scene di azione, familiarizzano il pubblico con un modello ipotetico di società multiculturale, multietnica e multireligiosa, avversa alla rigidità di ogni fondamentalismo e capace di difendersi dai propri nemici senza divenire uguale a loro. (…) E il bello è che i fumetti di supereroi queste idee non le predicano: le mostrano, le raccontano, le fanno sentire come buone.


Marco Arnaudo (Cuneo 1976), laureato presso l’Università di Pisa in Storia della critica letteraria, ha svolto un perfezionamento in Letteratura italiana alla Scuola Normale Superiore di Pisa e un dottorato in Lingue e letterature romanze presso la Harvard University. Insegna alla Indiana University, Bloomington, dove tiene corsi di letteratura italiana (soprattutto del periodo barocco) e di cultura pop anglosassone (in particolare supereroi e letteratura gialla e di spionaggio). Interessato nelle sue ricerche al rapporto tra parola e immagine, ha pubblicato il volume Il trionfo di Vertunno: Illusioni ottiche e cultura letteraria nell’età della Controriforma (Lucca, 2008). È autore di saggi su Machiavelli, Bruno, Marino, Accetto, Tesauro, Manzoni, Dossi, sui fumetti italiani e americani, e sulle edizioni illustrate di Goldoni e Collodi.


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Marco Arnaudo

Il fumetto supereroico Mito, etica e strategie narrative

Prefazione di Marco Mancassola

Lapilli. Segni 19


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I edizione: gennaio 2010 Copyright © Tunué Srl Via Bramante 32 04100 Latina – Italy www.tunue.com info@tunue.com Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento riservati per tutti i Paesi.

ISBN-13 GS1 978-88-89613-70-2 Progetto grafico: Daniele Inchingoli Illustrazione di copertina: Iena Animation Studios S.r.l. (ienastudios.com) Grafica di copertina: Tunué © Tunué Stampa e legatura: Arti Grafiche Civerchia S.r.l. Via Pantanaccio 82/B 04100 Latina – Italy


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Indice

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Prefazione Una materia di fede di Marco Mancassola

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Introduzione

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I Miti e religioni I.1. Dal mito classico al supereroe I.2. Olimpo moderno I.3. Il potere dello sciamano I.4. Nuovi golem I.5. Il Vangelo secondo i supereroi I.5.1. La crocifissione di Peter Parker I.5.2. Superman nostro, che sei nei cieli I.5.3. Silver Surfer e i peccati del mondo I.6. Politeismo e multiculturalità

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II Etica e società II.1. Perché gli Stati Uniti II.1.1 Terra di (supereroi) migranti II.2. Fascisti, vigilantes e conservatori II.3. Usi della violenza

La serialità supereroica La selezione del materiale I criteri e i limiti del discorso Ringraziamenti


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II.4. Primo: non uccidere II.5. Il rimorso degli eroi II.6. Uccidere nei film II.7. Con o contro il governo II.8. Fantacronache del presente

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III Epica e Neobarocco III.1. Il modo epico e i supereroi III.1.1. Epica statunitense III.2. Il ritorno del Barocco III.2.1. Passaggio dalla totalitĂ al frammento III.2.2. Gusto della citazione III.2.3. Perdita del centro

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Conclusioni

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Riferimenti bibliografici Fumetti Opere saggistiche e di narrativa non a fumetti


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Prefazione Una materia di fede di Marco Mancassola*

«Perché i supereroi ti interessano tanto?» Ecco una domanda che mi sento a volte rivolgere. Mi interessano i supereroi come mi interessano molte altre persone, siano esse più o meno reali. Mi interessano per la loro risonanza e per ciò che rappresentano. Avevo diciott’anni quando vidi Elektra pugnalata durante un duello. L’episodio è un classico della letteratura a fumetti. Elektra, la controversa guerriera urbana, si trascina sanguinante lungo la strada come un animale ferito, fino a raggiungere la soglia di casa di Matt MurdockDaredevil, l’eroe con il quale in passato ha avuto una tormentata storia, e infine spira tra le sue braccia. La gente sul marciapiede assiste attonita. Un vento gelido spazza la città. Ricordo che chiusi il volume su cui avevo seguito la storia e restai con un nodo allo stomaco. Poche volte avevo letto qualcosa di tanto intenso e drammatico. Fu quella, credo, la volta in cui mi resi conto di amare i supereroi soprattutto quando essi si dimostrano mortali, sofferenti, carnosi e carnali. Allora, in primo luogo: amo i supereroi perché sono personaggi estremi, vertiginosi, drammaticamente romantici. Li amo perché il loro è un confronto eterno con la morte. Li amo perché da una certa epoca in poi, grazie al lavoro di autori innovativi come il celebre Frank Miller, i supe* Marco Mancassola (Vicenza, 1973) è uno scrittore italiano. Il suo romanzo giovanile Il mondo senza di me esce nel 2001, pubblicato dalla piccola casa editrice Pequod e, successivamente, nella collana Oscar Mondadori (2003). In seguito escono il romanzo Qualcuno ha mentito (Mondadori Strade Blu 2004), il saggio narrativo Last Love Parade: Storia della cultura dance, della musica elettronica e dei miei anni (Mondadori Strade Blu 2005, poi Oscar Mondadori 2006) e la coppia di racconti Il ventisettesimo anno: due racconti sul sopravvivere (Minimum Fax 2005). Nel 2007 ha scritto la sceneggiatura per il film di Andrea Adriatico All’amore assente. Nel novembre 2008 è uscito per Rizzoli Editore il romanzo La vita erotica dei superuomini. Collabora con diversi giornali, tra i quali il manifesto. A marzo 2010 uscirà in Francia per Gallimard Les Limbes.


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PREFAZIONE

reroi sono diventati personaggi sofferti, pieni di chiaroscuri, di dolore fisico e di rimpianto e desiderio, capaci di amare, urlare, sanguinare, capaci di morire. Poi, mi interessano i supereroi perché mi sento uno di loro. Certamente. E penso che la maggior parte delle persone dovrebbe sentirsi allo stesso modo. Abbiamo tutti un qualche dono più o meno esplicito, più o meno decisivo. I supereroi sono persone che hanno ricevuto un dono grandioso e terribile, straordinario, che si manifesta nel loro corpo e nei loro superpoteri. In confronto, il mio dono di scrittore appare senza dubbio assai più modesto. Eppure, le responsabilità che esso comporta mi sembrano a volte altrettanto schiaccianti. Ogni supereroe riceve un dono e insieme la responsabilità di non sprecarlo. Lo spreco di se stessi è il vero abisso incombente, l’orizzonte di morte che occhieggia di continuo. Per questo, la salvezza che il supereroe realizza è sempre anzitutto salvezza del proprio senso personale. Superman vola in alto e salva il mondo e in questo modo salva sé stesso dal vuoto di senso, dal pericolo che il potere ricevuto in dono possa andare sprecato, dalla voragine dell’insensatezza sempre aperta sotto i suoi piedi. Un Superman sfaccendato o incerto sull’uso da dare ai propri poteri, in quali abissi esistenziali cadrebbe? Il supereroe è anzitutto colui che nel labirinto contemporaneo delle scelte e delle opzioni sempre più confuse sa trovare, e rinnovare, la strada preziosa per non sprecare sé stesso. D’altro canto bisogna ammettere che il supereroe ha dei vantaggi. Il suo dono è grande, esplicito, riconoscibile, in un’epoca in cui il talento, ogni tipo di talento, sembra invece farsi ambiguo, sofisticabile, soggettivo, impossibile da definire e talvolta da dimostrare. Il dono del supereroe che vola o sposta pesi di tonnellate o allunga il proprio corpo per decine di metri resta un dono indubitabile, mentre i nostri miseri talenti sono del tutto opinabili, sfuggenti, soffocati dal caos circostante, riconoscibili o equivocabili a seconda delle contingenze della storia, della società, del gossip e della moda. Altro discorso è il dono storico che oggi tutti condividiamo. Mi riferisco al dono di vivere in un’epoca che espande le nostre capacità umane


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PREFAZIONE

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in un modo impensabile per i nostri predecessori. La tecnologia quotidiana ci permette velocità, connessione, accumulo di memoria, per non parlare della nostra possibilità di difenderci da un grande numero di malattie, di modificare il nostro corpo con strumenti chirurgici o addirittura di manipolare i nostri geni. Rispetto alla vita dei nostri bisnonni (o anche solo degli abitanti di zone meno ricche del mondo) siamo già in qualche modo superumani, esseri dotati di superpoteri. Ci troviamo insomma nel ruolo di supereroi, impegnati nella sfida di non sprecare un immenso sconvolgente dono. Ma si tratta di una sfida che non sappiamo ancora vincere. Ci teniamo il dono e ne abusiamo e non sappiamo bene a cosa serva. Per cosa ci impegniamo a diventare sempre più longevi, più sani e più attraenti? Per cosa ci alleniamo in palestre dotate di sofisticati macchinari? Per cosa ci conserviamo belli e liftati e abbronzati e vitaminizzati? Per cosa ampliamo a dismisura le memorie dei nostri computer? Per cosa ci prepariamo? In nome di cosa aumentiamo ossessivamente la nostra capacità di comunicare in ogni attimo, da ogni luogo? Nelle avventure di supereroi, la posta in gioco è invece ben chiara. Quasi sempre si tratta, niente meno, della salvezza del mondo e dell’intera realtà. Salvare sé stesso dall’assenza di senso e salvare il mondo dalla distruzione è per il supereroe la medesima cosa. In questo, il supereroe assume il carattere di una figura spirituale, quasi messianica, ovvero una figura in grado di distinguere, oltre ogni superficiale divisione, l’identità ultima di ogni salvezza: la propria e quella degli altri. Nessuno può pensare di salvarsi da solo. Nessuno può pensare il proprio destino separato da quello del mondo. La vicenda cristologica di colui che si realizza salvando il mondo, ovvero salvando l’intera umanità (la propria, di cui si compie il senso nonostante la morte fisica, e insieme quella di chiunque altro), diventa qui un riferimento prezioso. Il libro di Marco Arnaudo propone un’idea di supereroe come figura religiosa. Prosegue con un’idea di supereroe come figura epica e prosegue con altre forme di ‘risonanza’ che fanno del supereroe una figura archetipica e attualissima, antica e presente. I supereroi sono in fondo figure della mediazione. Come gli eroi classici erano un ponte tra umano e divino, i supereroi sono un ponte tra


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umano e illimitato, tra i nostri corpi ancora piccoli e le nostre grandiose (per quanto nebbiose) aspirazioni, tra ciò che in noi è modesto e ristretto e ciò che aspira a essere immenso, luminoso e migliore. Con tutti i rischi connessi. I supereroi contemporanei sono figure fragili e possenti, il cui ruolo e la cui ricerca entrano in crisi quando viene meno l’indispensabile elemento della fede: la fede in loro stessi, la fede nel mondo, la fede che il mondo ripone non solo in loro, ma nella possibilità stessa di essere salvato. Non esistono eroi se non esiste fede. È significativo che molte storie di supereroi ruotino intorno alla questione di chi crede in chi, chi crede in cosa. Elektra che si trascina morente fin sulla soglia di Darevevil sta compiendo a suo modo un atto di fede. Crede nell’amore di un uomo anche se sa che la propria vita è finita. Molti supereroi negli ultimi anni hanno sentito il soffio della morte, ma non è più la loro vita a contare. È piuttosto la loro indissolubile fede. I supereroi con la loro carne, i loro superpoteri e gli inquietanti rischi che ne derivano, con la loro supervita e la morte che sempre incombe, sono la nostra simbolica avanguardia. Compiono un cammino verso il meraviglioso che prima o poi dovrà essere il nostro. Affinché questo cammino sia possibile occorre fede nel meraviglioso, fede nella capacità degli altri di raggiungerlo e fede nella nostra capacità di raggiungerlo. Ci vuole fede. Ci vuole sempre fede. Mi interessano i supereroi perché sono figure capaci, molto più di altre, di evocare questo puro necessario imperativo. La salvezza è possibile solo dove esiste una fede nella salvezza. Semplice in fondo. Il mondo non è altro che una materia di fede.


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IL FUMETTO SUPEREROICO


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Introduzione

Da oltre settant’anni un genere fumettistico si aggira per l’editoria e per la cultura del nostro pianeta. È un genere che è stato più veloce di un proiettile nel diffondersi, più potente di una locomotiva nel colpire l’immaginario collettivo, e capace di superare in un singolo balzo i più remoti confini nazionali per raggiungere un enorme numero di lettori. Si tratta, ovviamente, del fumetto supereroico, inaugurato nel 1938 con la pubblicazione della prima storia di Superman (di Jerry Siegel e Joe Shuster) e destinato a una vita dal percorso frastagliato e ricco di trasformazioni, come si può vedere anche da una ricognizione molto veloce.1 Il grande e istantaneo successo di Superman spinse numerosi autori a lanciarsi nel nuovo genere e a creare una immensa quantità di supereroi2 impegnati in storie dai meccanismi narrativi molto semplici (quando non rozzi), destinate per lo più a un pubblico pre-adolescenziale e spesso ispirate alle inquietudini della Seconda guerra mondiale (coi nazisti per frequenti nemici). Negli anni Cinquanta il genere venne col1 Per approfondire sulla storia dei fumetti il lettore può servirsi degli ormai numerosi libri manualistici disponibili sull’argomento, che non sto a segnalare qui perché la lista sarebbe troppo imponente e dispersiva. Riguardo al nostro tema specifico, ci si può fare una buona idea dello sviluppo del genere supereroico vedendo Gerard Jones – Will Jacobs, The Comic Book Heroes, Roseville, Prima Publishing, 1997; Les Daniels, DC Comics: Sixty Years of the World’s Favorite Comic Book Heroes, Boston – New York, Bulfinch Press, 1995; Id., Marvel: Five Fabulous Decades of the World’s Greatest Comics, New York, Harry N. Abrams, 1991; Peter Sanderson, Classic Marvel Superheroes: The Story of Marvel’s Mightiest, New York, Barnes & Noble Books, 2005; Mike Benton, Superhero Comics of the Golden Age: The Illustrated History, Dallas, Taylor Publishing Company, 1992; Id., Superhero Comics of the Silver Age: The Illustrated History, Dallas, Taylor Publishing Company, 1991; Trina Robbins, The Great Women Superheroes, Northampton, Kitchen Sink Press, 1996; Angela Ndalianis, The Contemporary Comic Book Superheroes, London, Routledge, 2009. 2 Tra i quali figure destinate al lungo successo quali Batman (di Bob Kane e Bill Finger, 1939), Capitan America (di Joe Simon e Jack Kirby, 1941) e Wonder Woman (di William Moulton Marstone Harry G. Peter, 1941).


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INTRODUZIONE

pito da una crociata di psicologi ed educatori e, per difendersi dalle accuse di presunta immoralità, gli autori lo trasformarono in commedia fantastica, di assoluto disimpegno, scritta e disegnata però in maniera più raffinata e con frequenti trovate di deliziosa inventiva. Grazie alla casa editrice Marvel,3 dagli anni Sessanta il supereroe iniziò a rivolgersi ai giovani adulti, presentando trame e temi controversi che attiravano quegli stessi studenti che ascoltavano Bob Dylan e protestavano contro la guerra in Vietnam.4 La corrente «comica» pre-adolescenziale e quella «seria» giovane-adulta continuarono a convivere almeno fino agli anni Settanta, quando le restrizioni degli anni Cinquanta si fecero meno sentite e diventò dominante il trend del fumetto con temi più adulti e toni più drammatici, da thriller e in certi casi addirittura horror. Ciò era possibile anche perché tra gli anni Settanta e Ottanta il lettore, sempre più spesso adulto, si andava trasformando grossomodo in quello di adesso, ovvero non tanto o non solo un ragazzino in cerca di brividi escapisti ma un fan altamente specializzato, esigente e sempre più consapevole degli sviluppi delle serie e delle differenze stilistiche tra autori. 3 La casa editrice, fondata da Martin Goodman, inizia le pubblicazioni nell’ottobre 1939 col nome Timely Publications con la rivista Marvel Comics, che contiene, tra le altre, le prime storie di Namor the Sub-Mariner e della Torcia Umana originale. Nel 1941 Joe Simon e Jack Kirby creano per la Timely uno dei più celebri supereroi di tutti i tempi, Capitan America, e nello stesso tempo la casa editrice nomina come caporedattore la sua figura più importante, il giovanissimo Stan Lee. Nel 1951 Goodman ribattezza la casa editrice Atlas e inizia a rispondere alla crisi di vendite dei supereroi allargando le pubblicazioni a storie romantiche, western, horror e di spionaggio. A partire dal 1961, con il lancio dei Fantastici Quattro di Stan Lee e Jack Kirby, la casa editrice viene conosciuta come Marvel (il nome che conserva tuttora) e rinnova radicalmente il genere introducendo il concetto di supereroe con superproblemi, dunque personaggi meno ottimistici o semplicistici. Tra le creazioni più importanti della Marvel, oltre a quelle menzionate qui e in Nota 4, ricordo Thor (di Stan Lee e Jack Kirby, 1962), Iron Man (di Stan Lee, Larry Lieber e Don Heck, 1963), i Vendicatori (Avengers, di Stan Lee e Jack Kirby, 1963), Devil (Daredevil, di Stan Lee e Bill Everett, 1964), Silver Surfer (Stan Lee e Jack Kirby, 1966), Ghost Rider (di Roy Thomas, Gary Friedrich e Mike Ploog, 1972) e Wolverine (di Len Wein e John Romita Sr., 1974). 4 Abbiamo così i Fantastici Quattro (di Stan Lee e Jack Kirby, 1961), in cui la Cosa percepisce il proprio corpo superforte come mostruoso; l’Uomo Ragno (di Stan Lee e Steve Ditko, 1962), eroe involontariamente responsabile della morte dello zio; Hulk (di Stan Lee e Jack Kirby, 1962) e gli X-Men (di Stan Lee e Jack Kirby, 1963), eroi perseguitati dalle autorità e dalla popolazione civile. 5 La Image fu fondata nel 1992 da un gruppo di artisti scontenti delle loro precedenti collaborazioni con altre case editrici e desiderosi di mantenere il controllo creativo e il possesso dei diritti sui propri personaggi. Questi artisti, e alcune delle loro creazioni Image più celebri, sono Erik Larsen con Savage Dragon, Jim Lee con WildC.A.T.s, Rob Liefeld con Youngblood, Todd McFarlane con Spawn, Whilce Portacio con Wetworks, Marc Silvestri con Cyberforce e Jim Valentino con ShadowHawk.


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Negli anni Novanta il genere viene scosso da un gruppo di nuove case editrici indipendenti tra le quali spicca la Image,5 che inventa uno stile spettacolarmente violento e incentrato sull’esuberanza grafica, costringendo quelle che erano le case principali del settore, Marvel e DC,6 a rinnovarsi a loro volta (quest’ultima ad esempio sceglie di spingere il dramma a livelli inauditi, con l’uccisione di Superman e con Batman costretto sulla sedia a rotelle). Negli anni Duemila il fumetto supereroico muta ancora, in parte risollevandosi dagli estremi grafici e narrativi degli anni Novanta e in parte assumendo nuova visibilità grazie ai film di Hollywood. In una incarnazione o nell’altra, per un pubblico o per l’altro, la figura del supereroe ha saputo reinventarsi e rimanere con noi per oltre settant’anni, non solo entrando nella vita di vastissime masse di lettori ma anche, grazie alle trasposizioni televisive e cinematografiche, diventando patrimonio culturale comune di chi i fumetti originali non li ha letti. Un fenomeno del genere non poteva che attirare l’attenzione di numerosi studiosi, i quali, in una bibliografia ormai molto nutrita, hanno discusso il fumetto supereroico in termini antropologici, sociologici, pedagogici e semiologici. In tale panorama di studi occorre precisare qualcosa riguardo agli intenti del presente lavoro, che si occupa di discutere il rapporto del gene6 La casa editrice, fondata dal maggiore Malcolm Wheeler-Nicholson come National Allied Publication, debutta nel 1935 con la rivista New Fun, il primo albo interamente dedicato a storie inedite e quindi iniziatore del formato editoriale con cui il genere supereroico principalmente si identifica. Nel 1937 Wheeler-Nicholson pubblica la rivista Detective Comics, rinominando in tale occasione la casa editrice come Detective Comics, Inc., che dal 1940 apparirà abbreviato in «DC» nel logo sulle copertine prodotte. In Adventure Comics n. 1, del 1938, la DC inaugura il genere supereroico con la pubblicazione di Superman di Siegel e Shuster e sfrutta in seguito la popolarità del personaggio per creare supereroi quali Batman, Wonder Woman (cfr. Nota 2), Capitan Marvel (di C.C. Beck e Bill Parker, 1940) Lanterna Verde (Green Lantern, di Bill Finger e Martin Nodell, 1940), Flash (di Gardner Fox e Harry Lampert, 1940), lo Spettro (Spectre, di Jerry Siegel e Bernard Baily, 1940), Hawkman (di Gardner Fox, 1940), Aquaman (di Mort Weisinger e Paul Norris, 1941), Freccia Verde (Green Arrow, di Mort Weisinger e George Papp, 1941), il primo supergruppo, la Justice Society of America (di Gardner Fox e Sheldon Mayer, 1940) e l’importante supergruppo Justice League of America (di Gardner Fox, 1960). Nel 1956 il rilancio del personaggio Flash segna il riaccendersi dell’interesse verso i supereroi nel periodo ancora di crisi degli anni Cinquanta, al punto tale da far parlare di una nuova epoca, di una cosiddetta Silver Age del fumetto. Nel 1986 un altro giro di boa per l’intero genere si determina con la pubblicazione di The Dark Knight Returns di Frank Miller, Klaus Janson e Lynn Varley e con l’inizio della miniserie Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons. Queste due opere portano il discorso sull’etica del supereroe a tali livelli di complessità, e con risultati artistici tali, che costringono il grande pubblico e la critica a riconoscere che il genere supereroico possiede almeno in potenza la capacità di competere con i generi artistici più convalidati.


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re supereroico con miti, religioni, società, generi letterari e cornici epistemologiche, dunque con argomenti già indagati da altri e in forma così estesa e articolata che può stupire di trovarli tutti ammassati qui in un volume di dimensioni non grandi. Né l’idea è di proporre un «bignamino» in materia, una ricognizione di quanto tra gli studiosi «si sa» riguardo a cosa sta dietro e intorno al genere supereroico come fatto culturale. Piuttosto, intendo qui presentare un discorso costruito attraverso e a partire dagli argomenti menzionati qui sopra (e di frequente esplorati dagli studiosi) per evidenziare certe caratteristiche del fumetto supereroico come significative e convergenti verso una tesi unificatrice che ci dia una migliore comprensione della natura del fumetto supereroico e del suo possibile ruolo nella società di oggi (americana, ma non solo). Come nella migliore tradizione del cliffhanger, così caro ai fumetti, non anticipo adesso il contenuto di tale tesi e lascio al lettore di scoprirlo alla fine del volume; fin da adesso, però, è importante avvertire che, nonostante l’apparenza disparata delle tre sezioni che seguiranno, il libro non divaga riguardo alle intenzioni di fondo e si prefigge di esprimere qualcosa di più e di diverso rispetto alla successione delle sue parti.

La serialità supereroica L’analisi di un prodotto culturale deve rispettare le componenti storiche, formali e materiali del proprio oggetto. Come ogni forma espressiva il fumetto possiede modi di comunicare a sé propri, che occorre cogliere in quanto tali sia per rendere giustizia al lavoro degli autori sia per poter meglio apprezzarne le creazioni più originali e riuscite, o al limite per stroncare quelle scadenti a ragion veduta. In una definizione molto schematica, possiamo descrivere il fumetto come una forma espressiva e di racconto che dispone in sequenza diverse immagini fisse rese nella quasi totalità dei casi con le varie tecniche del disegno, di solito ma non necessariamente includendo parole scritte, per creare un’impressione di continuità temporale e movimento che consente di sviluppare una narrazione. Le componenti iconiche e narrative nel fumetto sono dunque assolutamente interdipendenti e non possono mai venire trascurate l’una a favore dell’altra.


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Il fumetto si manifesta attraverso (ma non si identifica con) vari generi, stili e forme di pubblicazione, queste ultime suddivisibili in narrazione autoconclusiva unica come un libro a fumetti conchiuso (un racconto one-shot o una strip umoristica con personaggi non più ripresi), una narrazione autoconclusiva seriale (come Dylan Dog, con uscite regolari e storie di un numero o due, quasi del tutto indipendenti e infatti spesso leggibili in ordine sparso) e una narrazione seriale continuata, in cui ogni uscita raccoglie le vicende raccontate in precedenza e prepara il terreno per l’uscita successiva, potenzialmente all’infinito (ad esempio nelle storie di supereroi, sia in albi che in strip quotidiane). Solo in quest’ultima forma di narrazione la conoscenza degli antefatti esterni all’opera che si sta leggendo diviene necessaria per l’apprezzamento dell’episodio presente, e i diversi segmenti narrativi non possono venire mutati di ordine senza creare gravi incongruenze di trama. In questo libro mi occupo esclusivamente di questa forma, non solo perché predominante nel genere supereroico, ma anche perché essa ha sviluppato presso le case editrici Marvel e DC delle possibilità espressive e dei risultati artistici a loro modo unici. Non c’è infatti, che si sappia, altro esempio di narrazione in cui una storia come quella di Superman, pubblicato dal 1938, per oltre settant’anni sia stata proseguita ininterrottamente e regolarmente, a ritmo così serrato e da così tante decine di autori, ognuno dei quali si è immesso nell’opera collettiva aggiungendo un proprio tassello. Anzi, le singole testate della casa editrice di Superman, la DC Comics, non sono a loro volta che singoli elementi di un grande multiverso collettivo, in cui i personaggi interagiscono continuamente tra di loro e gli eventi e la cronologia di una testata devono essere compatibili con quelli di tutte le altre sia presenti che passate. Detto semplicemente, se Superman a maggio si sposa, in giugno nessuna testata DC lo può rappresentare come scapolo. È anche noto che talvolta i lettori di oggi si stupiscono che Superman, di cui hanno appena letto l’ultimo numero e che sanno essere contrario all’omicidio, abbia invece ucciso durante la Seconda guerra mondiale; e la domanda, chiaramente, non sarebbe nemmeno immaginabile se il personaggio per come narrato nelle storie del XXI secolo non fosse percepito proprio come lo stesso di allora.


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È dunque lecito dire che la vera storia, l’opera ultima che si determina dall’intreccio su un medesimo piano finzionale delle biografie di tutti i personaggi, coincide con l’intero multiverso DC (o Marvel, i cui fumetti funzionano allo stesso modo). Se ciò è vero, siamo davvero di fronte a una narrazione collettiva sviluppatasi per decenni in quelle che ormai sono milioni di pagine, e che di conseguenza ha tracciato un certo percorso, affrontato certe sfide ed elaborato determinate risposte in maniera ignota ad ogni altra forma di narrazione moderna. Per questo trovo riduttivo (come pure alcuni fanno) discutere Batman o Superman come se si trattasse di Don Rodrigo o Marcovaldo, cioè espressioni di un intento narrativo conchiusosi in un’opera sola, o equiparare supereroi di tradizione più che cinquantennale coi protagonisti del romanzo a puntate ottocentesco, alla fine comunque ripulito e contenuto in un libro, o con gli eroi di serie filmiche e televisive come Rambo e Buffy, che continuano solo per un numero limitato di episodi. E se anche si girasse un nuovo film di Rambo, ciò non farebbe che spostare di poco in avanti l’epilogo, mentre per raggiungere un parallelo coi supereroi Marvel o DC occorrerebbe un serial di Rambo con decine di nuovi film collegati tra loro in un grande Rambo-verse e settimanalmente in uscita nelle sale per decenni. Quello che mi interessa è sottolineare che una storia protratta e ramificata così a lungo e potenzialmente all’infinito (sino a che i lettori continuano a finanziarla) rispetto a una narrazione più breve e conclusa non cambia soltanto in lunghezza, ma anche in struttura narrativa, in trattazione della materia, in ritmo di presentazione e scelta degli argomenti. Se dunque sono state molte le espressioni seriali soprattutto degli ultimi due secoli, in nessun altro caso la serialità ha potuto svilupparsi, crescere, conoscere le proprie forze, affrontare le proprie debolezze e mostrare in maniera trasparente i propri meccanismi come nel fumetto supereroico Marvel e DC. Di conseguenza nelle pagine che seguono metterò spesso l’accento su quanto l’intreccio tra genere supereroico e forma seriale abbia determinato certi effetti preclusi a forme diverse, generando alcuni privilegi che servono a controbilanciare certe limitazioni altrettanto specifiche.


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La selezione del materiale Questo approccio ha influenzato su due versanti la scelta del materiale. Intanto, la mossa più logica è stata di limitarsi ai supereroi della DC e della Marvel, che appunto sono riusciti a stabilire alcune specificità a tutt’oggi uniche, escludendo di conseguenza case editrici più recenti quali la Dark Horse7 e la Image, che ancora non hanno prodotto una paragonabile massa critica di storie. Per semplicità, dunque, da qui in avanti con la dicitura «fumetto supereroico» si intenderà esclusivamente quello della Marvel e della DC, e starà al lettore, se interessato, verificare come e se il discorso si applichi anche ai prodotti di altri editori. Allo stesso tempo ho limitato il più possibile i riferimenti a quei fumetti pur di marca Marvel o DC ma che sono indipendenti dalle testate supereroiche regolari, quali libri a fumetti autoconclusivi o anche intere serie parallele agli universi narrativi «canonici» e ininfluenti alla prosecuzione narrativa di questi. Effetto non secondario di questa scelta è stata l’esclusione quasi totale delle opere che di solito si considerano essere le punte di diamante dell’intero genere supereroico, quali Watchmen, The Dark Knight Returns, Marvels, Astro City, l’intera linea Vertigo ecc.8 Ciò si è rivelato vantaggioso per diverse ragioni: primo, perché queste sono le opere di cui già si è parlato di più e dunque minore era l’utilità di un ulteriore intervento sul tema; secondo, perché gli studi che si concentrano su queste prove «a lato» delle serie regolari spesso sembrano implicare (magari anche senza la volontà degli autori) il poco o nullo interesse critico del genere supereroico ufficiale, da cui appunto soltanto le prove «eccentriche», «devianti», «revisioniste» si riscatterebbero. È un po’ quel7 La casa editrice trae origine dall’iniziativa di Mike Richardson, che dal 1986 prese a pubblicare un’antologia di fumetti indipendenti dal titolo Dark Horse Presents. Specializzatasi in collane ispirate da film e telefilm, la Dark Horse si è interessata alla produzione di fumetti supereroici soprattutto negli anni Novanta con la linea Comics’ Greatest World. 8 Alan Moore – Dave Gibbons, Watchmen, New York, DC Comics, 1987; Frank Miller – Klaus Janson – Lynn Varley, The Dark Knight Returns, New York, DC Comics, 1986; Kurt Busiek – Alex Ross, Marvels, New York, Marvel Comics, 1995. La serie Astro City, creata da Kurt Busiek, è stata pubblicata a partire dal 1995 da Image Comics, indi da Homage e da DC/Wildstorm. La linea Vertigo, inaugurata dalla DC Comics nel 1993, presenta fumetti rivolti a tardo-adolescenti e adulti, con temi controversi e tecniche narrative spesso inusuali, quando non completamente sperimentali.


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lo che è accaduto con Maus9 nei confronti del graphic novel non supereroico, dove la fanfara eclatante che si è fatta intorno all’opera di Spiegelman non ha aumentato l’attenzione generale verso l’intero medium, ma al contrario ha creato l’impressione distorta che Maus sia l’unico capolavoro in un panorama altrimenti trascurabile – al punto che, tristemente, Maus è divenuto il fumetto-simbolo di coloro che non leggono i fumetti.10 Spero dunque che l’investigazione del mainstream, delle majors che pubblicano per il grande pubblico degli abituali lettori di fumetti, restituisca al fenomeno supereroico come genere narrativo la dignità che esso merita in virtù dell’efficacia e dell’inventività di molte sue espressioni, oltre che per il ruolo che (come vedremo) può trovarsi a svolgere nella società statunitense ma non solo, poiché la diffusione internazionale del genere dimostra che anche altre culture vi trovano motivo di interesse e possono dunque instaurarvi un dialogo. Né mi propongo di arrivare fino al paradosso che il mainstream sia di per sé migliore (termine su cui intanto occorrerebbe intendersi) di capolavori come Watchmen; piuttosto, mi accontento di indicare come anche nelle testate seriali di successo si possano rinvenire elementi di profondo interesse peraltro non presenti in espressioni fumettistiche più brevi e autoconclusive (anche se magari più «alte»). Il problema che queste prese di posizione vanno a instaurare, ovviamente, è quello di selezionare all’interno dell’immensa produzione Marvel e DC i materiali su cui impostare il discorso. Una conversazione col mio fumettaio di fiducia mi ha permesso di apprendere che la Marvel e la DC messe assieme pubblicano un numero di nuovi episodi supereroici che va dai 130 ai 150 al mese e, se si calcola che un episodio contiene in media 22 pagine, questo significa che un lettore dovrebbe Art Spiegelman, Maus: A Survivor’s Tale, New York, Pantheon Books, 1986 e 1991. Se ne lamenta anche Douglas Wolk nel suo Reading Comics: How Graphic Novels Work and What They Mean, Cambridge (MA), Da Capo Press, 2007, p. 342: «Per quelli che sono stati appassionati di fumetto per anni, è difficile non risentirsi un po’ con Maus per il fatto che per molte persone esso rappresenta la sola idea di che cosa sia il fumetto. In pratica è l’equivalente di quello che Bob Marley rappresenta per il reggae, cioè un esempio di per sé ottimo ma che troppo spesso viene preso per l’intero e risulta inadeguato come modello e punto di riferimento. […] Parte di ciò che fa male, ovviamente, sta nella percezione generale che Maus sia un unicum senza precedenti storici e che dunque chi apprezza Maus può ignorare tranquillamente il resto del medium, soprattutto visto che Spiegelman è più profondamente imbevuto dell’intera storia del fumetto di qualsiasi altro artista a parte Chris Ware». 9

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ipoteticamente leggere tra le 2860 e le 3300 pagine al mese solo per restare aggiornato con quanto accade nel mondo dei supereroi. E riguardo agli arretrati? Quanto è grande, in termini di pagine, l’universo narrativo costruito attraverso le singole testate delle due case editrici? Qui entriamo ancor di più nell’azzardo. Dai tardi anni Trenta ai primi del Duemila le vendite e il successo dei supereroi hanno attraversato enormi fluttuazioni, dalle cifre astronomiche dei primi anni Quaranta a quelle minime, da semi-morte del genere, nei Cinquanta. Per puro amore di semplificazione, per dare un’idea molto generale, immaginiamo che le fluttuazioni positive e quelle negative pressappoco si siano bilanciate, azzerandosi a vicenda. Se estendiamo uniformemente il ritmo di pubblicazione odierno per 12 mesi all’anno dal 1938 (pubblicazione di Superman e fulminante inizio della Golden Age del fumetto statunitense), arriviamo nel settembre 2009 tra 2.445.300 e 2.824.800 pagine. Il calcolo è oltremodo grossolano; anche così, è possibile annotare che l’estensione del macrotesto o metatesto del mondo supereroico delle majors costituisce un’opera immensa che nessuno ha mai letto per intero e che nessuno potrà mai umanamente leggere, nemmeno gli autori. Questa mole di pagine incoglibile nella sua interezza è il quadro di riferimento nel quale dobbiamo sempre inserire ogni nuova uscita di un fumetto supereroico Marvel o DC, e se davanti alla possibilità di una narrazione lunga milioni di pagine non si prova un senso di sopraffazione, di meraviglia reverenziale, si ignora quanto di unico questa forma espressiva abbia da offrire. D’altra parte, si capisce facilmente che decidere quali siano gli esempi più significativi è come cercare di prelevare un campione d’acqua da uno tsunami, e si comprende anche la tentazione di alcuni studiosi di schematizzare la questione e di descrivere la natura del genere supereroico o di un personaggio specifico limitandosi a poche e artisticamente acclamate storie autoconclusive (come The Dark Knight Returns per Batman). Comprendere razionalmente i motivi anche pratici che conducono a tale arbitraria delimitazione di campo non significa però necessariamente condonare, e infatti, a onor del vero, ritengo che occorra rifiutare ogni visione chiusa del fumetto supereroico come inadeguata e distorta.


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L’opzione di metodo opposta all’ultra-selettività, e anch’essa molto praticata, consiste nell’accumulare quanti più esempi possibili in uno studio che inevitabilmente risulterà essere un dizionario alfabetico o una storia cronologica del genere, e dunque uno strumento magari anche molto pregevole, ma incapace di isolare i meccanismi specifici del genere, le linee di tendenza, le costanti e le varianti.

I criteri e i limiti del discorso L’approccio di questo libro vuole essere intermedio a quelli appena visti, e si può esemplificare con la metafora della carta storica, che mostra le componenti essenziali del paesaggio nella misura in cui ciò consente di mettere in luce la dinamica degli eventi del passato, come per esempio in una carta che delinei lo svolgimento spaziale di alcune battaglie della Seconda guerra mondiale. Una tale rappresentazione seleziona preventivamente gli elementi su cui vuole concentrarsi secondo una sua logica propria, fondata su intenti specifici, e sarebbe ingenuo accusarla di sommarietà quando ciò che vi manchi sia stato omesso per una questione di chiarezza nei confronti di quanto invece si vuole mostrare. Allo stesso modo, in seguito alle mie esplorazioni di fumetti supereroici, ho creduto di poter individuare certi nodi fondamentali, certi punti che dovrebbero venire accentuati dal fondale per far risaltare lo sviluppo di determinate idee. Quando poi nel leggere gli esempi che ho scelto il lettore ne trovasse di altri ugualmente o maggiormente utili e si chiedesse perché non sono stati menzionati, ammetto candidamente che quando per motivi di spazio ho dovuto scegliere tra esempi che ritenevo di analoga importanza, è entrato in gioco un fattore di imperscrutabile gusto personale, ma limitato, lo ribadisco, alle gamme intercambiabili di opzioni. In altri casi, sarà chiaro che semplicemente non sono a conoscenza dell’esempio eccellente pensato dal lettore a confronto del mediocre mio. Riguardo a ciò non posso che rinviare ai calcoli numerici di cui sopra e annotare come lo studioso di supereroi non possa concedersi le certezze degli esperti di altri campi (ad esempio, degli studiosi di Shakespeare), a cui è consentito di leggere tutti i testi primari della loro materia prima di mettersi a scrivere.


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In altri casi il lettore penserà ad esempi che contraddicono direttamente quanto propongo. Anche questo è inevitabile, immancabile; anzi, dirò di più: di esempi del genere ne conosco molti anche io, ma se li ho trascurati non è per amor di tesi. Il fatto è che considerando la mole di materiale esaminabile, il numero di autori che vi hanno contribuito e i decenni in cui l’intero testo (o «metatesto») supereroico si è sviluppato, io sarei sospettoso piuttosto di chi affermasse di avere trovato la chiave interpretativa che funzionasse per ogni manifestazione del soggetto in esame. Quello che mi interessa è allora di evidenziare certe linee di tendenza principali entro, intorno e contro cui un notevole numero di autori si è mosso, e di discutere come ciò abbia influenzato l’identità del genere e il suo rapporto con la società e i lettori. Per tornare alla metafora della carta della Seconda guerra mondiale: si tratta di vedere dove andassero le colonne di soldati e dove avvenissero le battaglie campali; se poi qualche gruppetto isolato se ne corresse in direzione opposta, si arrendesse al nemico o si nascondesse tra i cespugli, ciò non vale ovviamente a contraddire il quadro totale degli eventi. Dell’esistenza di casi che contraddicono il mio discorso (ma che considero meno rilevanti) rimango comunque perfettamente consapevole, ed è soltanto per non appesantire il testo che eviterò di usare la formula «con le dovute eccezioni» ogni volta che affermo qualcosa di generale. Ma il lettore è avvertito: tutto ciò che segue va inteso «con le dovute eccezioni». Quanto alla bibliografia critica, ho scelto di concentrarmi su studi statunitensi per dare un ragguaglio che possa servire da strumento di ricerca al lettore italiano. Tutte le traduzioni dai film, dagli studi critici e dai fumetti citati sono mie. Il lettore noterà senza dubbio una forte concentrazione sui testi primari, fumettistici, e per converso un richiamo a fonti sociologiche, semiologiche e antropologiche relativamente limitato (o più limitato, oserei dire generalizzando moltissimo, della «media» degli studi interpretativi sul fumetto). Ciò si spiega col fatto che se questi ambiti disciplinari hanno indubbiamente contribuito in maniera cruciale alla nostra comprensione della cultura di massa e del fumetto anche supereroico, il presente studio vuole però limitare il rischio, sempre presente nel caso di studi interdisciplinari, di perdere di vista il proprio argomen-


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to d’indagine. In altre parole il discorso si avvarrà di strumenti mediati da altre discipline solo ed esclusivamente nella misura in cui ciò può servire ad approfondire la nostra materia, in modo tale che rimanga ben chiaro che si tratta sempre di uno studio di critica del fumetto applicata al genere supereroico, e non di uno studio di sociologia o semiologia che trae i propri esempi dal fumetto. Questo approccio non esclude peraltro la possibilità di accostamenti successivi, e semplicemente si limita a constatare che una critica fumettistica consapevole dei propri obiettivi deve evidenziare nel proprio oggetto di ricerca soprattutto quelle caratteristiche che non pertengono all’investigazione da parte di altre discipline, allo scopo di esprimere quelle specificità in un discorso attendibile che allora si potrà porgere alla comunità degli studiosi come strumento per esplorazioni da prospettive differenti. Ringraziamenti Al momento di congedare questo studio desidero ringraziare Giuseppe Gazzola, Paolo Di Tonno, Simona Micali e Marco Pellitteri per i preziosi suggerimenti di revisione alla prima versione del testo. Il libro è dedicato a tutti i miei studenti, in riconoscenza delle discussioni che mi hanno suggerito tante idee nuove e impedito di assopirmi sulle vecchie.


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I. Miti e religioni

I.1 Dal mito classico al supereroe Sin dalle proprie origini, il genere supereroico ha intrattenuto con miti e religioni una connessione talmente profonda che, parlando del genere tutto, Reynolds ha ritenuto di poterlo definire «una moderna mitologia».1 Gli dèi delle tradizioni nordiche come Thor e Loki sono parte integrante dell’universo supereroico, assieme ad apparizioni meno pronunciate ma significative di figure greche quali Ercole, Ares ed Eros, degli antichi dèi egizi (in genere come villains, i «cattivi»), degli spiriti della cultura nativo-americana e praticamente di ogni pantheon che la specie umana abbia elaborato. La motivazione di questi elementi, almeno all’inizio, poteva essere collegata a una questione abbastanza pedestre di copyright. Dopo che Siegel e Shuster pubblicarono la prima storia di Superman nel 1938, lo straordinario successo del personaggio condusse molti altri autori a produrre in pochissimo tempo una gran mole di fumetti con personaggi 1 Questo il sottotitolo di uno studio di Richard Reynolds, Superheroes: A Modern Mythology, Jackson, University of Mississippi Press, 1992 (cfr. soprattutto le pp. 53-60). Su supereroi, religione e mitologia cfr. Donald LoCicero, Superheroes and Gods: A Comparative Study from Babylonia to Batman, Jefferson, McFarland & Co., 2008; Greg Garrett, Holy Superheroes!: Exploring the Sacred in Comics, Graphic Novels, and Film, Louisville, Westminster John Knox Press, 2008; Chris Knowles, Our Gods Wear Spandex: The Secret History of Comic Books Heroes, San Francisco, Weiser Books, 2007; B. J. Oropeza (a cura di), The Gospel According to Superheroes: Religion and Pop Culture, New York, Peter Lang, 2005; C. J. Mackie, «Men of Darkness», in Wendy Haslem – Angela Ndalianis – Chris Mackie (a cura di), Super/Heroes from Hercules to Superman, Washington, D.C., New Academia Publishing, 2007, pp. 83-95; Jamie Egolf, «Dreaming Superman: Exploring the Action of the Superhero(ine) in Dreams, Myth, and Culture», ivi, pp. 139-51; Peter Coogan, «The Roots in Myth, Epic and Legend», in Id., Superhero: The Secret Origin of a Genre, Austin, Monkey Brain Books, 2006, pp. 116-25; Geoff Klock, How to Read Superhero Comics and Why, New York – London, Continuum, 2002, pp. 39 sgg.


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analoghi, dando origine al genere del supereroe in una furibonda corsa al successo e all’appropriazione di idee. Il problema nell’inventare nuovi supereroi era infatti di giustificare i loro poteri senza incorrere in denunce per aver plagiato Superman o gli eroi via via creati, e a questo riguardo l’antica mitologia rappresentava un inesauribile serbatoio di personaggi sovrumani e vicende avventurose di cui nessuno possedeva l’esclusiva. Ciò però spiega solo l’arrivo del mito tra i supereroi e non basta a rendere conto di come esso abbia potuto attecchirvi in misura senza eguali negli altri generi fantastici, incluso il fantasy. Difficilmente infatti gli eroi mitologici sarebbero rimasti una fonte costante per il fumetto supereroico se non ci fosse stata tra quelle antiche storie e queste nuove una qualche particolare affinità di tipo narrativo e simbolico. Il tratto comune più evidente sta nella forza e nelle abilità straordinarie che supereroi ed eroi mitologici condividono, mentre sul piano narrativo abbiamo la forte focalizzazione sul conflitto, sia individuale (duello) che collettivo (guerra) e l’insistenza su archetipi narrativi quali il viaggio o la prova. Tali somiglianze di formula, per quanto possano apparire superficiali, sono invece così forti che talvolta gli autori di fumetti supereroici possono ritornare a impiegare i modelli mitici senza neppure rendersene conto. Come spiega Dennis O’Neil discutendo alcune storie di Superman da lui scritte nei primi anni Settanta: Qualche giorno fa, giusto prima di iniziare a scrivere questi ricordi, mi è capitato tra le mani un riassunto dell’antica epopea mesopotamica di Gilgamesh e mi sono accorto, sbalordito, che si trattava della mia storia di Superman. Eppure, per quanto mi ricordi, non avevo mai letto Gilgamesh prima, né avevo mai studiato mitologia al liceo o all’università.2

Per entrare più nello specifico, si può vedere la classica descrizione di avventura eroica formulata dal mitologo Joseph Campbell, quella che egli definisce monomito classico e che presenta come trama basilare ricorrente nelle mitologie di tutto il mondo: 2 Dennis O’Neil, «The Man of Steel and Me», in Dennis Dooley – Gary Engle (a cura di), Superman at Fifty!: The Persistence of a Legend!, New York, Macmillan Publishing, 1988, pp. 46-58, p. 55.


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DAL MITO CLASSICO AL SUPEREROE

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l’eroe si avventura fuori dal mondo della quotidianità in una regione di portenti sovrannaturali: forze favolose vengono affrontate e una battaglia decisiva viene vinta: l’eroe ritorna dalla sua avventura misteriosa con il potere di concedere aiuti ai suoi simili.3

Se ci si basa su questa formula le affinità tra il genere supereroico e il mito classico appaiono davvero notevoli e, soprattutto, più notevoli di quelle tra il mito e qualsiasi altro genere contemporaneo di successo. Ogni volta che indossa maschera e costume e va su un altro pianeta o anche solo sulla cima dei grattacieli per sconfiggere dei supercriminali, il supereroe ripercorre simbolicamente il viaggio tradizionale dell’eroe mitico. Dopo avere abbandonato temporaneamente la comunità familiare agli altri personaggi e al lettore, al pari dell’eroe mitico il moderno supereroe vi ritorna a missione compiuta, quando l’identità comune (Clark Kent, Peter Parker) viene ripristinata e la comunità viene beneficata da una maggiore sicurezza (un criminale arrestato, una minaccia evitata) e/o dal recupero di un bene perduto (ricchezze rubate, persone rapite) e/o dall’apporto di nuova conoscenza (quando ad esempio l’eroe riporta dallo spazio una tecnologia aliena utile ai terrestri).4 Nel fare ciò il genere supereroico espande senza contraddirlo il modello mitico tradizionale, aggiungendovi come controparte una maggiore enfasi sulle vicende private dell’eroe quando egli si trova all’interno della comunità. A seconda di come queste componenti vengono dosate da diversi autori, il genere supereroico può così oscillare da una riproposta integrale del monomito classico, con l’eroe rappresentato quasi interamente in azione e fuori dalla società, fino al limite opposto di una soap-opera con incursioni solo occasionali nel mondo del portento.

3 Joseph Campbell, The Hero with a Thousands Faces, Novato (CA), New World Library, 2008, p. 23 (trad. it. L’eroe dai mille volti, Parma, Guanda, 2007). Cfr. anche Stephen Harper, «Supermyth!», in Glenn Yeffeth (a cura di), The Man from Krypton: A Closer Look at Superman, Dallas, Benbella Books, 2006, pp. 93-100. 4 Si veda un esempio recente in Kurt Busiek – Jesus Merino, Superman n. 673, aprile 2008, poi ristampato nel volume Shadows Linger, New York, DC Comics, 2009. Al termine della storia Superman porta sulla Terra i macchinari degli alieni che hanno cercato di invadere il pianeta. Si noti che nella storia tale nuova tecnologia viene chiamata boon (aiuto, sostegno) e boon era precisamente il termine impiegato da Campbell nel passaggio riportato per descrivere gli apporti positivi dell’eroe alla comunità.


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Addirittura, la forma seriale in cui il supereroe si manifesta sembra avvicinare ulteriormente il nostro genere all’universo del mito. Come ha scritto ancora Dennis O’Neil, la scrittura a più mani prodotta secondo i tempi incalzanti del mercato sembrerebbe una versione maniacalmente accelerata del processo folklorico. Come le fiabe e i miti, le storie di Superman sono iniziate da un autore ma ritoccate e alterate da molti altri, e a causa della necessità continua di produrre, di riempire quelle pagine, di rispettare quelle scadenze, di far uscire tutta quella roba, ciò che avrebbe richiesto generazioni nell’era preindustriale accade adesso nel giro di pochi anni.5

I.2. Olimpo moderno Se le analogie narrative e tematiche tra mito e supereroi dovevano facilitare il travaso dal primo ambito al secondo, non stupisce che, come abbiamo visto, fin dalle origini gli autori avessero trovato nel mito una ricca fonte di ispirazione per le loro storie. In questo processo il 1940 risulta essere un anno decisivo. A gennaio infatti appare Flash, il cui costume include piccole ali sull’elmo e sugli stivali e che in apertura di storia ci viene presentato come «la reincarnazione dell’alato Mercurio».6 Un mese dopo esce una storia in cui il giovane Billy Batson riceve da un mago il potere di trasformarsi in Capitan Marvel pronunciando la parola Shazam – che è acrostico per la saggezza di Salomone, la forza di Hercules (Ercole), la resistenza di Atlante, il potere di Zeus, il coraggio di Achille e la velocità di Mercurio.7 È un poutpourri di tradizioDennis O’Neil, op. cit., p. 51. Gardner Fox – Harry Lampert, in Flash Comics n. 1, gennaio 1940, ristampato in Golden Age Flash Archives n. 1, New York, DC Comics, 1999. Un precedente solo parziale si trova in Namor, the Sub-Mariner, del 1939, che possiede anche lui le alette ai piedi ma è creatura acquatica e non viene introdotto come discendente mitologico: cfr. Bill Everett, «The Sub-Mariner», in Motion Picture Funnies Weekly, aprile 1939, non distribuito, poi pubblicato in Marvel Comics n. 1, ottobre 1939, oggi disponibile nel volume The Golden Age of Marvel Comics, New York, Marvel Comics, 1997. Anche la pettinatura di Quicksilver, il mutante dotato di supervelocità dell’universo Marvel, ricorda la forma delle alette di Mercurio. 7 Bill Parker – C.C. Beck, Whiz Comics n. 2, febbraio 1940, ora in Shazam!: The Greatest Stories Ever Told, New York, DC Comics, 2008. Nel 1942 viene introdotto il personaggio comprimario di Mary Mar5 6


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Il dio Mercurio interviene nella Seconda guerra mondiale in una storia di Martin A. Bursten e Jack Kirby del 1940. © Pure Imagination

ni Doctor Fate, che esordisce a maggio, che ha appreso la magia di Atlantide, dell’Egitto e della Caldea e che combatte contro un nemico chiamato Wotan (nome germanico di Odino).8 Nell’agosto di quest’anno Martin A. Burstein e Jack Kirby pubblicano la storia «Mercury in the 20th Century», appunto ‘Mercurio nel XX secolo’, un titolo che potrebbe emblematizzare tutti i sincretismi tra supereroi e mitologia.9 Qui Mercurio, proprio il dio antico, viene inviato sulla Terra da Giove per contrastare i piani di conquista di Plutone, che ha assunto l’apparenza del dittatore Rudolph Hendler (diretto riferimento ad Adolf Hitler).10 vel, sorella di Billy, a cui la parola Shazam conferisce come poteri la grazia di Selene, la forza di Ippolita (Hyppolite), la destrezza di Arianna, la rapidità di Zefiro, la bellezza di Aurora e la saggezza di Minerva. Cfr. Otto Binder – Marc Swayze, Captain Marvel Adventures n. 18, dicembre 1942. 8 Gardner Fox – Howard Sherman, in More Fun Comics n. 55, maggio 1940, ora ristampato in The Golden Age Doctor Fate n. 1, New York, DC Comics, 2007. 9 Martin A. Bursten – Jack Kirby, «Mercury in the 20th Century», in Red Raven Comics n. 1, agosto 1940, adesso nel volume The Complete Jack Kirby n. 1, New York – Atlanta, Pure Imagination, 1997. 10 Jack Kirby ricicla le medesime idee di questa storia l’anno seguente, quando introduce un personaggio visivamente identico a Mercurio (stesse alette in testa e ai piedi), anche lui in lotta contro il cu-


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La nascita di Wonder Woman da una statua animata, secondo il modello di Pigmalione, 1942. © DC Comics

Fondamentale per il genere supereroico è poi quanto avviene tra fine 1941 e inizio 1942, quando lo psicologo William Moulton Marston introduce nel mondo dei supereroi il personaggio di Wonder Woman. Nella storia iniziale viene preliminarmente narrata la vicenda del popolo delle Amazzoni, che dopo una guerra con Ercole invidioso della loro eccellenza fisica e bellica si ritirarono su Paradise Island in isolamento dal «regno degli uomini».11 Ora però il capitano Steve Trevor è precipitato sull’isola mentre inseguiva col suo aereo una spia nazista, e dunque la tecnologia, la cronaca e la guerra hanno violato (fallicamente?) l’immobilità del mondo mitico. Diana, la figlia della regina Ippolita, viene scelta per riportare Trevor nel «regno degli uomini», e questo evento le fornisce l’occasione per giungere negli States e iniziare la sua carriera come Wonder Woman.

gino Plutone, ma chiamato «Hurricane [Uragano], figlio di Thor, dio del tuono, e ultimo discendente degli antichi immortali greci» (in Captain America Comics n. 1, marzo 1941, ristampato in Golden Age Captain America n. 1, New York, Marvel Comics, 2005). Questo Mercurio-parente-di-Thor era chiaramente un trucco per ripresentare il personaggio di un anno prima su una rivista diversa ed evitare problemi coi diritti, ma si direbbe che questa unione tra Thor e Mercurio sia rimasta in qualche modo cara a Kirby e possa spiegare l’elmo con le ali che l’autore attribuirà al suo Thor nel 1962 (in luogo del più prevedibile e «nordico» elmo con le corna). E non saranno allora alette di Mercurio anche quella sulla maschera di Capitan America, pubblicato per la prima volta nello stesso numero che ospita Hurricane? 11 William Moulton Marston – Harry G. Peter, All Star Comics n. 8, dicembre 1941 – gennaio 1942, ora in Wonder Woman Archives n. 1, New York, DC Comics, 1998, pp. 10-11.


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Nella didascalia all’inizio della seconda storia ci viene detto che Diana possiede la bellezza di Afrodite, la saggezza di Atena, l’agilità di Mercurio e la forza di Ercole (una intestazione che appare all’inizio delle storie di Wonder Woman fino addirittura agli Sessanta),12 mentre qualche mese dopo apprendiamo che Diana nacque da una statua modellata da Ippolita e da lei adorata come Pigmalione adorava Galatea, al punto che Afrodite, commossa, infuse vita alla piccola figura.13 Per quanto gli autori di Wonder Woman costruiscano uno scenario mitologico molto articolato, in queste prime storie tale retroterra rimane ancora abbastanza nell’ombra; una volta che esso abbia assolto la sua funzione di giustificare i poteri della protagonista, le narrazioni si concentrano spesso su vicende contemporanee, con battaglie contro scienziati pazzi e sabotatori nazisti. La presenza di tali radici culturali nel profilo del personaggio permette però in seguito di accentuare questa componente in maniera più o di meno marcata a seconda dei gusti degli autori e dei lettori. In un ciclo di storie iniziato nel dicembre 1968,14 gli autori per esempio decisero di rendere più realistica la loro protagonista, facendole perdere i propri superpoteri, vestendola alla moda invece che nel costume tradizionale e costringendola a imparare il karate per continuare a combattere il crimine. Dopo pochi mesi15 però il mito rientra nella serie in forma di una guerra mossa da Ares contro le Amazzoni, in soccorso delle quali arrivano niente meno che le Valchirie e le truppe del paladino Orlando, in uno degli esempi più tipici della permeabilità tra diverse tradizioni che caratterizza l’universo dei supereroi. In anni successivi la mitologia in Wonder Woman si presenta in particolare con un ciclo di storie dirette da George Pérez a partire dal 1987, in cui anzi Pérez cerca di attenersi alla sola tradizione greca evitando non solo Valchirie e paladini ma anche influenze romane. All’inizio del XXI secolo lo sceneggiatore Greg Rucka reimmerge di nuovo la supereroina nel suo mondo d’origine, in una serie di storie in cui tra l’altro Idd., Sensation Comics n. 1, gennaio 1942, ora in op. cit., p. 18. Idd., Wonder Woman n. 1, estate 1942, ora in Wonder Woman Archives, cit., p. 151. Denny O’Neil – Mike Sekowsky, Wonder Woman n. 179, dicembre 1968, ora nel volume Diana Prince: Wonder Woman n. 1, New York, DC Comics, 2008. 15 Idd., Wonder Woman n. 183, agosto 1969, ora in op. cit. 12 13

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Le truppe di Orlando si uniscono alle Amazzoni e alle Valchirie nella guerra contro Ares. © DC Comics

Wonder Woman si scontra con Medusa, si acceca per non essere trasformata in pietra e discende poi nell’Ade per cercare una cura che le faccia recuperare la vista. È peraltro in questa serie che l’ibridazione tra mito e contemporaneità trova uno dei suoi esempi più interessanti, quando Wonder Woman si scontra con Medusa al centro dello Yankee Stadium, nel Bronx, in diretta televisiva.16 Forse mai come in questa storia viene dimostrata la perfetta intercambiabilità tra le epoche storiche nell’universo supereroico, con una battaglia di personaggi antichi che viene a sostituire le contemporanee forme di intrattenimento sportivo, e coi combattenti armati di scudi, spade e asce che coincidono coi giocatori dotati di imbottiture, elmetti e mazze da baseball. Questa situazione sembra rendere più vera e tangibile una minaccia ulteriore di Medusa, ovvero che in caso di vittoria contro Wonder Woman ella guarderà di16 Greg Rucka – Drew Johnson, Wonder Woman, vol. 2, n. 210, novembre 2004, ristampato nella raccolta Eyes of the Gorgon, New York, DC Comics, 2005.


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OLIMPO MODERNO

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In uno straordinario incontro di classico e moderno, Wonder Woman decapita Medusa in mondovisione dal Yankee Stadium. © DC Comics

rettamente in camera, pietrificando i milioni di spettatori all’ascolto. A sorpresa, e tramite le potenzialità allegoriche del mito, l’episodio sviluppa così anche un discorso problematico sulla fascinazione per la violenza spettacolare che contribuisce al successo di molti media moderni. Non solo come lettori della storia ma anche come virtuali spettatori dell’incontro ripreso dalle telecamere siamo spinti a chiederci fino a che punto continueremmo a guardare. Fino a un attimo prima dello sguardo di Medusa? Ma arrivati fin lì, inebriati da quanto già visto, riusciremmo poi davvero a distogliere lo sguardo e a resistere alla tentazione di guardare quell’immagine davvero esclusiva e inedita di cui abbiamo sentito parlare e che costituisce il culmine dello spettacolo in corso? Questo esempio dimostra che l’inserto di figure mitologiche nel fumetto moderno non è obbligato ad essere solamente ornamentale o avventuroso, e che piuttosto esso può costruire messaggi complessi che ci toccano da vicino, riattualizzando l’antichità secondo un principio allegorico relativamente raro nel mondo moderno.


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I.3 Il potere dello sciamano Un altro tipo di tradizione che si fa sentire dietro le storie dei supereroi è quella dello sciamanesimo.17 Molte culture nel mondo hanno ospitato sin dalla più remota antichità figure di sciamano anche profondamente diverse tra di loro, ma che tutte hanno in comune alcuni tratti di base quali il potere di contattare degli spiriti aiutanti, l’abilità di viaggiare nel regno del sovrannaturale e la prerogativa di beneficare la popolazione sconfiggendo in battaglia gli spiriti malvagi.18 E già così è possibile rilevare un’affinità. Come gli sciamani e come gli eroi del mito secondo Campbell, anche i supereroi fuoriescono dalla grigia scorza della vita comune per combattere nel mondo del sovrannaturale a vantaggio degli umani;19 come per gli sciamani, poi, i poteri sovrumani scatenano nella comunità un doppio atteggiamento di rispetto e di timore verso il supereroe, il quale in teoria potrebbe usare le pro-

17 Cfr. Lucy Wright, «Shamans vs (Super)heroes», in Wendy Haslem – Angela Ndalianis – Chris Mackie, op. cit., pp. 127-37. 18 In certi casi infatti la guarigione operata dallo sciamano comprende una componente avventurosa affine a quella delle vicende dei supereroi più che a una storia medica. Ciò avviene quando la malattia sia determinata dal fatto che l’anima del paziente ha lasciato il corpo ed è imprigionata nel mondo degli spiriti, e quindi lo sciamano è costretto a recarsi in trance in quel piano di esistenza, sconfiggerne i guardiani e liberare l’anima del malato. Cfr. Joseph Campbell, The Masks of God: Primitive Mythology, New York, Viking Press, 1959, p. 261 (trad. it. Mitologia primitiva: Le maschere di Dio, Milano, Mondadori, 2000), Piers Vitebsky, Shamanism, Norman, University of Oklahoma Press, 2001, pp. 66-69 e 74-78 (trad. it. Gli sciamani, Torino, EDT, 1998) e in generale l’ampia trattazione in Mircea Eliade, Shamanism: Archaic Techniques of Ecstasy, London, Arkana, Penguin Books, 1988 (ed. or. Le chamanisme et les techniques archaïques de l’extase, Paris, Payot, 1968; trad. it. Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Roma, Edizioni Mediterranee, 1999). Il testo di Eliade, considerato un classico canonico per decenni, viene messo in discussione da Alice Beck Kehoe, Shamans and Religion: An Anthropological Exploration in Critical Thinking, Long Grove, Waveland Press, 2000, che segnalo per permettere al lettore un confronto indipendente. Per un discorso sul neo-sciamanesimo e sull’impatto della tradizione sciamanica nella cultura contemporanea cfr. Roger Walsh, The World of Shamanism: New Views of an Ancient Tradition, Woodbury, Llewellyn Publications, 2007. 19 Va comunque annotata una significativa differenza, ed è che lo sciamano viaggia nel mondo degli spiriti in stato di alterazione mentale, spesso indotta da apposite droghe. Questo tratto manca nei fumetti di supereroi, anche perché la rappresentazione di droghe (o l’uso di esse da parte degli eroi) è stata a lungo vietata dal Comics Code – un codice di autocondotta decretato dagli autori di fumetti negli anni Cinquanta per rassicurare i genitori dei lettori sulla moralità delle proprie creazioni. Sul Comics Code cfr. David Hajdu, The Ten-Cent Plague: The Great Comic-Book Scare and How It Changed America, New York, Farrar, Straus and Giroux, 2008 (in corso di pubblicazione in italiano come Maledetti fumetti! Come i comics hanno cambiato la società americana, Latina, Tunué, 2010); Amy Kyste Nyberg, Seal of Approval: The History of the Comics Code, Jackson, University of Mississippi Press, 1998.


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prie doti tanto per curare che per danneggiare gli altri20 (e pensiamo in parallelo alla persecuzione dei mutanti nell’universo Marvel o alla lunga campagna di demonizzazione che il quotidiano newyorkese fittizio Daily Bugle ha compiuto contro l’Uomo Ragno). Un legame ancora più stretto, che avvicina il supereroe allo sciamano più che all’eroe mitico, risiede nell’origine dei superpoteri. Come scrive Campbell, il sacerdote è il membro socialmente iniziato e cerimonialmente investito di un’organizzazione religiosa riconosciuta, nella quale egli riveste un certo ruolo e determinate funzioni in quanto occupante di una posizione che era stata di altri prima di lui. Lo sciamano, invece, è colui che ha acquisito un proprio potere in seguito a una crisi psicologica personale.21

Il potere sciamanico è infatti attribuito secondo schemi imprevedibili e privi di norme fisse, di solito in seguito a un’esperienza traumatica che ricorda simbolicamente un percorso di morte e rinascita. La tradizione ci tramanda esempi di sciamani che hanno acquisito i propri poteri in seguito a una grave malattia, all’essere stati colpiti da un fulmine o morsi da un serpente,22 proprio come molti personaggi si trasformano in supereroi in seguito ad esperienze profondamente drammatiche: l’esplosione di una bomba gamma per Hulk, un incidente con un camion che trasporta scorie radioattive per Daredevil, una ferita di guerra per Iron Man (il quale è costretto a costruirsi l’armatura per sopravvivere) e via dicendo. Billy Batson addirittura evoca un fulmine che lo colpisce ogni volta che si trasforma in Capitan Marvel, e se andiamo al primo supereroe vediamo che perfino Superman era sfuggito solo di poco all’esplosione del suo pianeta natale – e se questa non è un’esperienza quasi mortale… Lo shock scatenante e il successivo processo di iniziazione dello sciamano portano poi spesso a una modificazione fisica che può comprendere l’immissione di un amuleto all’interno del corpo, come nei casi in cui

20 21 22

J. Campbell, The Masks of God, cit., p. 249. Ivi, p. 231. M. Eliade, op. cit., pp. 3-32, soprattutto 19 e 28.


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gli intestini dell’iniziato si trasformano in cristalli di quarzo che possono poi venire proiettati verso gli altri per curare o per ferire.23 Tale metamorfosi segnala la transizione dello sciamano da umano a super-umano tramite l’attribuzione di un corpo speciale, «corazzato», proprio come accade nel genere supereroico quando a un personaggio accade di incorporare un elemento estraneo (lo scheletro del resistente metallo fittizio «adamantio» di Wolverine o la pelle metallica di Silver Surfer e Colosso come corrispettivo degli intestini di quarzo), o quando il personaggio acquisisce la capacità di proiettare energia verso gli altri (dai laser di Dazzler ai raggi ottici di Ciclope, le fiamme della Torcia Umana e così via). Ricordiamo inoltre che quando assume le sue funzioni propriamente taumaturgiche, lo sciamano indossa una maschera e un costume e/o si dipinge il corpo di simboli particolari, che servono sia a indicare sia a generare i poteri speciali, e ad esempio un costume ornato di piume rappresenta gli spiriti-uccello che presteranno allo sciamano il potere di volare.24 Per il semplice fatto di indossare un simile apparato visivo-simbolico, scrive Eliade, lo sciamano «trascende lo spazio profano e si prepara a entrare in contatto col mondo degli spiriti»,25 in quanto il costume trasforma chi lo indossa in un essere sovrannaturale, secondo la regola comune all’immaginario religioso che «si diventa quello che si mostra».26 Si consideri quanto letteralmente appare nei supereroi la connessione con le abilità animali e l’idea del costume che esprime e/o fornisce il potere sovrumano, e si vedrà subito che le affinità tra sciamani e supereroi sono evidenti. Ricordiamo l’Uomo Ragno e la Donna Ragno, Batman (‘Uomo Pipistrello’), Catwoman (‘Donna Gatto’), Pantera Nera, Wasp (‘Vespa’), Ant-Man (‘Uomo Formica’), Falcon, Hawkman e Hawkgirl (‘Uomo e Ragazza Falco’), l’Avvoltoio, Rhino (‘Rinoceronte’), Octopus (‘Polpo’), Scorpione, Armadillo, l’intera Squadra dei Serpenti, Beast (‘Bestia’), Wolverine (l’orso ghiottone canadese), Tigra, Tigre Bianca, i

23 J. Campbell, The Masks of God, cit., p. 255. Cfr. anche Id., The Hero with a Thousand Faces, cit., p. 149; M. Eliade, op. cit., pp. 46-48 e 57. 24 Ivi, pp. 156-60. Ma cfr. tutto il capitolo «Symbolism of the Shaman’s Costume and Drum», ivi, pp. 145-80. 25 Ivi, p. 147. 26 Ivi, p. 179.


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semi-pesci Marrina e Aquaman, il mostruoso uomo-ratto Vermin, Snowbird (‘Uccello della neve’, che si può trasformare in tutti gli animali artici), Animal Man (che può copiare le caratteristiche di ogni animale); e l’elenco potrebbe continuare con infiniti altri eroi e criminali che mediano letteralmente o simbolicamente i propri poteri dal mondo animale.27 Insomma, nessun altro genere si avvicina così tanto a riprodurre il mondo delle forze sciamaniche, in cui esseri umani misteriosamente eletti incanalano poteri animali ora benigni e ora malvagi contendendosi in una lotta senza fine il destino della popolazione comune. Questo parallelo con gli sciamani sembra poi fornire la migliore spiegazione per quella presenza di maschere e costumi che è assolutamente essenziale e specifica del genere supereroico e che solo all’apparenza viene spiegata in termini pratici nelle storie. La motivazione che spesso gli autori presentano è che il costume serve a proteggere l’identità degli eroi e a prevenire possibili vendette dei criminali contro la famiglia e gli amici dei protagonisti. Se le cose si riducessero a questo, però, SpiderMan potrebbe indossare una maschera da papero o da Pulcinella e la sua identità resterebbe celata altrettanto bene. Ancora più problematico è poi il fatto che l’identità di molti eroi è perfettamente pubblica. Fin dagli anni Sessanta tutti gli abitanti dell’universo Marvel sanno che il leader dei Fantastici Quattro è Reed Richards e la sua compagna è Sue Storm; ciò nonostante, quando i due vanno in battaglia indossano comunque dei costumi di foggia speciale e assumono il ruolo di Mister Fantastic e della Donna Invisibile. Insomma, il segreto dell’identità appare a ben vedere più come una scusa a posteriori che come una spiegazione del perché sin dagli inizi gli autori hanno «sentito» che al genere supereroico necessitavano maschere, costumi e in generale la metamorfosi di un umano normale in un essere sovrannaturale dotato di qualificazioni visive emblematiche. Che serviva, insomma, attribuire all’eroe ottocentesco e di inizio secolo (da Montecristo a Flash Gordon) delle qualità e delle pratiche che sono le medesime della tradizione sciamanica. 27 Non deve stupire la compresenza in questa lista di eroi e criminali. La tradizione infatti comprende sia sciamani che impiegano gli spiriti animali per guarire, sia sciamani che si avvalgono dei medesimi poteri per perseguire scopi malvagi.


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Al che è del tutto naturale chiedersi se il ripescaggio di tale matrice culturale fosse davvero tra gli intenti di Stan Lee o di Siegel e Shuster. Una risposta positiva sarebbe azzardata e a ben vedere anche non necessaria, quando solo si consideri che l’intenzione di creare personaggi interessanti, potenti e misteriosi può da sola aver portato i nostri autori a muoversi per quelle medesime zone della psiche umana che in altre culture si sono invece tradotte per millenni nella figura del guaritore mistico. D’altra parte si può anche dare il caso di autori che nella figura del supereroe abbiano coscientemente registrato la presenza di componenti sciamaniche e abbiano scelto di tematizzarle esplicitamente nelle loro storie. Un esempio si trova già nell’aprile del 1941 con il debutto di Miss Fury, creata da Tarpe Mills. All’inizio della vicenda troviamo la ricca Marla Drake che per andare a una festa in maschera indossa una pelle di pantera che le era stata lasciata da uno zio e che originariamente era proprio il costume cerimoniale di uno sciamano africano.28 Sulla strada per il party Marla incappa in un evaso, lo cattura e da lì decide di iniziare a combattere il crimine come eroina mascherata. Marla/Miss Fury non ha veri e propri superpoteri, ma si avvale di armi speciali incorporate nel costume quali gli artigli e la coda (usata come frusta), e dimostra quell’eccellenza fisica che caratterizza Batman o Catwoman (la quale con Miss Fury sembra avere un debito enorme). Il collegamento simbolico tra le abilità della supereroina, l’energia della pantera e la funzione dello sciamano sembra dunque ben stabilito. In un ciclo di storie del 1973, Ghost Rider combatte contro due sciamani apache: Snake Dance, uno sciamano «classico» che sembra in grado di evocare spiriti animali e trasformarsi in serpente,29 e sua figlia Linda Littletrees, che abbandonata la riserva durante gli anni del college è stata costretta da una compagna a divenire satanista (!) e dunque ora mescola magia amerindia con sovrannaturale di origine cristiana.30 28 Vecchi episodi della serie, inclusa l’origine dell’eroina, oggi si leggono in Tarpe Mills, Miss Fury, New York, Pure Imagination Publishing, 2007. 29 Scrivo «sembra» perché dalla storia non risulta chiaro se questi incantesimi avvengano veramente o se si tratti di un inganno (magari dovuto a suggestione ipnotica) operato da Snake Dance. Anche questa ambiguità non è comunque estranea alla figura tradizionale dello sciamano, che alcuni vedono come autentico operatore del sovrannaturale e altri come abile prestigiatore imbroglione. 30 Gary Friedrich – Tom Sutton, Marvel Spotlight n. 8-11, febbraio – agosto 1973, ora nel volume Ghost Rider Essential n. 1, New York, Marvel Comics, 2005.


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A sinistra: Marla Drake comincia a combattere come Miss Fury quando viene attaccata mentre sta andando a una festa in maschera. © Pure Imagination A destra: Ghost Rider si scontra con Linda Littletrees, la figlia di uno sciamano Apache trasformatasi in seguace di Satana. © Marvel

Se i mistici della tradizione nativa americana sono qui rappresentati come villains, questo non avviene senza una fortissima componente di empatia. Le storie di questo ciclo, infatti, insistono continuamente sulle condizioni di miseria a cui la politica governativa ha ridotto i nativi, causando così la ribellione di Snake Dance, mentre la vicenda di Linda Littletrees rappresenta bene il pericolo di perdita o di corruzione delle proprie radici a cui viene esposto il nativo che entra nella civiltà dell’uomo bianco. Le storie finiscono così per mostrare il dilemma devastante della cultura nativa americana: o restare isolati e bloccati nel passato (come Snake Dance), o venire ammessi tra la maggioranza rischiando di perdere sé stessi o infine tramutarsi in un ibrido mostruoso. Più avanti, forse anche per effetto della canonizzazone dello sciamanesimo pop di Jim Morrison, cominciano ad apparire diversi eroi sciamanici. Nel 1975 la Marvel introduce White Tiger (Tigre Bianca), un eroe che ricava dei poteri in realtà ancora abbastanza generici da un


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Lo spirito del pipistrello appare al giovane Bruce Wayne in una riscrittura delle origini di Batman. © DC Comics

amuleto a forma di tigre,31 mentre nel 1978 la DC crea Vixen, un’eroina africana che possiede un amuleto che le consente di prendere in prestito poteri dagli spiriti animali.32 L’anno dopo il passo successivo è l’introduzione nell’universo Marvel di un personaggio dal nome di battaglia 31 Bill Mantlo – George Pérez – Jack Abel, «An Ending!», in The Deadly Hands of Kung Fu n. 19, dicembre 1975. 32 La prima storia di Vixen fu stampata nel 1978 in un grave momento di crisi per la DC Comics, all’interno della raccolta in tiratura ridotta Cancelled Comic Cavalcade (vol. 2), creata principalmente per stabilire il copyright sui personaggi. Per il vero inizio editoriale della carriera di Vixen, cfr. Gerry Conway – Bob Oksner, Action Comics n. 521, luglio 1981. Da pochissimo Vixen ha ricevuto gli onori di una propria miniserie, Return of the Lion nn. 1-5 (dicembre 2008 – aprile 2009) di G. Willow Wilson e Cafu, in cui l’eroina compie un viaggio iniziatico simile a quello degli sciamani tradizionali.


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di Shaman,33 un nativo nordamericano che dopo avere studiato chirurgia apprende dallo spirito del nonno le vie dello sciamanesimo e acquista poteri quali il controllo degli elementi e il contatto con gli spiriti (in una ottimistica integrazione tra culture che permette di superare il dilemma di Linda Littletrees).34 Seguono in rapida sequenza due personaggi Marvel di nome Talisman: il primo del 1982, che è uno sciamano aborigeno australiano, e l’altra del 1983, che è la figlia di Shaman e l’erede dei poteri del padre.35 In anni più recenti, poi, la tradizione sciamanica si è presentata non solo in forma localizzata in personaggi specifici, ma anche come influenza sui supereroi tradizionalmente «non sciamanici». Nella storia in cinque parti Shaman, del 1989-’90, Dennis O’Neil riscrive in chiave mistica le origini di Batman,36 che pure erano state riadattate realisticamente solo pochi anni prima nel famoso Batman: Year One di Frank Miller e David Mazzucchelli (1986-’87). La vicenda di O’Neil riprende da vicino gli eventi di Year One, aggiungendo però poco prima di essi un’avventura di Bruce Wayne che in Alaska rischia di morire assiderato, viene salvato da uno sciamano locale, e durante il rito curativo ha una visione di un misterioso dio-pipistrello. Lo stesso volto e la maschera sciamanica del suo curatore gli appariranno quando dopo la sua prima e disastrosa sortita come giustiziere sederà sanguinante nel suo studio meditando dubbiosamente sul futuro. Qui insomma non è solo un pipistrello che vola attraverso la finestra ma anche il ricordo di un’esperienza sciamanica a determinare la scelta dell’identità se33 Chris Claremont – John Byrne, Uncanny X-Men n. 120, aprile 1979, ora in Uncanny X-Men Omnibus n. 1, New York, Marvel Comics, 2006. 34 Colpisce anche il fatto che Shaman all’anagrafe si chiami Michael Twoyoungmen, ovvero ‘due giovani’, un cognome che rappresenta la sua doppia natura di scienziato medico e di mistico guaritore, di «canadese» e di «nativo», ma che potrebbe anche alludere a quella duplicità intrinseca (persona comune e speciale) che come abbiamo visto gli sciamani condividono con tutti i supereroi. 35 Rispettivamente introdotti in Mark Gruenwald et al., Contest of Champions n. 1, giugno 1982, poi in volume omonimo, New York, Marvel Comics, 1999; John Byrne, Alpha Flight, vol. 1, n. 5, dicembre 1983, ora in Alpha Flight Classic n. 1, New York, Marvel Comics, 2007. Si ricordi anche Gateway, uno sciamano australiano che in diverse storie degli X-Men aiuta gli eroi a viaggiare per il mondo usando i suoi poteri di teletrasporto. Il personaggio fu introdotto in Chris Claremont – Mark Silvestri, Uncanny X-Men n. 227, marzo 1988. 36 Dennis O’Neil – Edward Hannigan, Shaman, in Batman: Legends of the Dark Knight nn. 1-5, novembre 1989 – marzo 1990, poi ristampato nel volume Batman: Shaman, New York, DC Comics, 1998.


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greta di Batman, e anche in momenti successivi della storia le abilità di combattimento del personaggio e la sua capacità di sfuggire ai proiettili nemici vengono collegate piuttosto esplicitamente al potere sciamanico che gli deriverebbe dall’indossare la maschera di pipistrello.37 O’Neil ha insomma notato che tra il supereroe Batman e gli sciamani corrono le medesime affinità che ho descritto qui sopra – coi vari traumi della vita di Wayne (omicidio dei genitori, quasi-morte alla prima sortita) quali tappe dell’iniziazione sciamanica, e col costume animalesco come catalizzatore di potere. È bastato a quel punto aggiungere poche scene (il salvataggio in Alaska, la visione, un rito eseguito da Bruce stesso) per ricodificare il personaggio in una chiave inedita eppure familiare, compatibile con quanto prima sapevamo di lui. L’autore in questo modo si fa anche critico e interprete, poiché nell’aggiungere il proprio contributo allo statuto del personaggio evidenzia ciò che tale personaggio implicava in precedenza. Qualche anno dopo in The Kents, un prequel della serie di Superman, scopriamo che nel 1860 un antenato della famiglia terrestre di Clark Kent era entrato in possesso di una coperta sacra irochese con quello che noi riconosciamo essere il simbolo di Superman. Come spiega la mezzonativa Mary Glenowen, che poi diventerà la moglie di Nathaniel Kent, le cinque linee [i lati del simbolo] rappresentano ognuna delle cinque tribù della confederazione [irochese] […]; il simbolo all’interno è un serpente… uno degli animali della medicina. Rappresenta la guarigione e l’interezza. Deganawidah, il legislatore e profeta che aiutò a formare la confederazione irochese, parlò di un grande eroe che deve venire dal cielo per unire l’Est e l’Ovest in una sola nazione. Credo che questo sarà il suo segno.38

Ci viene insomma dato ad intendere che i poteri e i simboli di Superman siano i medesimi degli sciamani irochesi e che anzi proprio all’in37 In un punto, addirittura, Bruce Wayne con la maschera di Batman indosso esegue un rito di guarigione guidato da un vecchio sciamano. 38 John Ostrander – Tom Mandrake, The Kents n. 4, novembre 1997, poi ristampato nel volume The Kents, New York, DC Comics, 1999. Cfr. la lettura di Ivan Baio in Supereroi™. Araldica e simbologia dell’eroismo dai miti classici a Superman e The Authority, Latina, Tunué, 2006, pp. 76-80.


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Il simbolo di Superman viene presentato su una coperta sciamanica appartenuta per decenni alla famiglia Kent. Lo sciamanesimo, dunque, avrebbe ispirato in qualche misura la missione eroica di Superman. © DC Comics

terno di quella cultura fossero stati profetizzati l’arrivo di Superman da Krypton e la sua missione supereroica. Ricordiamo infine il personaggio Marvel di Ezekiel, un affarista che ha acquisito poteri simili a quelli di Peter Parker tramite un rituale mistico e con l’aiuto di uno sciamano peruviano.39 In una storia Ezekiel espone a Peter un’inedita versione del noto episodio del ragno radioattivo, spiegando che forse i poteri di Spider-Man derivano dallo spirito totemico del ragno piuttosto che dalla radioattività: 39 J. Michael Straczynski – John Romita Jr., Amazing Spider-Man n. 507, luglio 2004, ora nella raccolta The Book of Ezekiel, New York, Marvel Comics, 2004.


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MITI E RELIGIONI Chi e cosa tu sei colma la separazione tra il ragno e l’uomo. Ma non sei il primo. Ci sono poteri totemici che vanno indietro fino all’alba dei tempi. La loro presenza rimane in noi quasi come una memoria di specie. Chiedi a uno sciamano o a un sacerdote egiziano […]. Noi raccontiamo storie, indossiamo maschere, costruiamo statue e diciamo preghiere alla memoria. Alla memoria che un tempo, quando il mondo era giovane, grandi forze camminavano sulla Terra. Forze che colmavano la separazione tra gli umani e le altre specie.40

L’autore (J. Michael Straczynski) di nuovo ha letto i richiami sciamanici impliciti nella tradizione del personaggio e del genere, magari ricordandosi del passaggio di Eliade sui poteri derivanti dal morso del serpente. Tutto quello che occorreva, a quel punto, era accentuare quelle potenzialità per rendere davvero SpiderMan uno sciamano dello spirito del Ragno. Il discorso di Ezekiel costringe l’Uomo Ragno a considerare la possibilità che i suoi poteri derivino da uno spirito totemico. © Marvel

I.4 Nuovi golem Nonostante l’alta visibilità di figure mitologiche quali Wonder Woman o Thor, o l’apporto diretto e indiretto dello sciamanesimo, le tradi40 Idd., Amazing Spider-Man, vol. 2, n. 31, luglio 2001, ora nella raccolta Coming Home, New York, Marvel Comics, 2002.


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NUOVI GOLEM

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zioni che più in profondità hanno segnato lo sviluppo del genere supereroico sono senza dubbio quella ebraica e quella cristiana, e questo ovviamente per il peso di queste culture nella società americana e dunque tanto nel background degli autori quanto in quello dei lettori. Anzi, la medesima esistenza nell’universo supereroico di divinità pagane e di esseri dai poteri simil-divini richiede occasionalmente un disclaimer che rassicuri i lettori (e talvolta i loro genitori), i quali in buona parte apparterranno alle religioni monoteistiche dell’Occidente. Già in un episodio dei Fantastici Quattro del 1968, quando la Donna Invisibile descrive Silver Surfer come «all-powerful» («onnipotente»), viene corretta da un Osservatore (un alieno a sua volta dall’immenso potere) che spiega: «Onnipotente? C’è uno solo che merita questo nome! E la sua sola arma… è l’amore!».41 In una storia del 1974 Hellstorm giunge di fronte alla «matrice primordiale» su cui è modellato l’universo e, non sapendo se essa sia ciò che gli uomini chiamano Dio, gli viene risposto: «No! Come ogni altra cosa, è una sua creazione».42 Nel 1989 i Vendicatori della Costa Ovest si chiedono se la mutante Scarlet Witch sia in grado di creare dal nulla la vita, ma la maga Agatha Harkness nega risolutamente: «Quel potere appartiene a una sola forza in questo universo».43 In una più recente storia di Thor, il dio del tuono viene avvicinato da un bambino che dice: «Guarda mamma, è Thor! Lui dice di essere un dio, ma padre O’Toole dice che non è vero», al che Thor spiega pazientemente: Lontano da qui c’è una sede degli dèi, un regno di eterna meraviglia chiamato Asgard. È un luogo di grande maestà e bellezza, i cui abitanti lottano per vivere una vita utile e giusta. Però questo non è il Paradiso, né la sede di colui il cui splendore fa sembrare minuscolo anche il nostro.44

Stan Lee – Jack Kirby, Fantastic Four, vol. 1, n. 72, marzo 1968. Cfr. J. Oropeza, op. cit., pp. 3-4. Steve Gerber – Jim Mooney, Marvel Spotlight: Son of Satan n. 17, settembre 1974, ora ristampato in Marvel Horror n. 1, New York, Marvel Comics, 2006. 43 John Byrne, Avengers West Coast n. 52, dicembre 1989, ristampato nel volume Avengers West Coast: Darker than Scarlet, New York, Marvel Comics, 2008. 44 Dan Jurgens – Eric Larsen – Klaus Janson, The Mighty Thor, vol. 2, n. 28, ottobre 2000, ora in Across All Worlds, New York, Marvel Comics, 2001. 41 42


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Insomma di tanto in tanto gli autori manifestano come il bisogno di prevenire possibili critiche religiose specificando che, per quanto straordinari i loro personaggi possano essere, esiste pur sempre un non troppo specificato Uno divino che li sovrasta tutti,45 che allude al monoteismo e in cui ogni fedele può vedere quello in cui crede. Per venire a parlare di religioni monoteistiche specifiche, Simcha Weinsten ha ricordato in un suo studio l’imponente numero di autori ebrei che hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo del genere supereroico.46 Non si può non ricordare Hellstorm, il figlio di Satana, è stupefatto davanti che erano ebrei Jerry Siegel e Joe alla misteriosa «matrice universale». © Marvel Shuster, i due creatori di Superman, e che dopo di loro dalla cultura ebraica sono giunte figure fondamentali quali Bob Kane e Bill Finger (creatori di Batman), Will Eisner

45 Lo stesso avviene alla DC, dove già nel 1940 Spectre riceve i suoi poteri direttamente da Dio, rappresentato come un semplice raggio di luce e chiamato genericamente «Voce». Cfr. Jerry Siegel – Bernard Baily, The Spectre n. 3, in More Fun Comics n. 54, aprile 1940, ora in Golden Age Spectre Archives n. 1, New York, DC Comics, 2003, p. 42. Pochi mesi dopo, Doctor Fate viaggia nel regno dei morti e si incontra in cima a una grande scala con un essere di pura luce chiamato genericamente «la saggezza che governa il mondo». Cfr. Gardner Fox – Howard Sherman, storia senza titolo in More Fun Comics n. 56, giugno 1940, ora ristampato in The Golden Age Doctor Fate, cit. 46 Cfr. Simcha Weinstein, Up, Up, and Oy Vey!: How Jewish History, Culture and Values Shaped the Comic Book Superhero, Baltimore, Leviathan Press, 2006, pp. 16-17. Su ebraismo e fumetti statunitensi cfr. per esempio Arie Kaplan, From Krakow to Krypton: Jews and Comic Books, Philadelphia, Jewish Publication Society, 2008; Paul Buhle (a cura di), Jews and American Comics: An Illustrated History of an American Art Form, New York, New Press, 2008; Danny Fingeroth, Disguised as Clark Kent: Jews, Comics, and the Creation of the Superhero, New York, Continuum, 2007; Estelle Strazdins, «Conqueror of Flood, Wielder of Fire: Noah the Hebrew Superhero», in Wendy Haslem – Angela Ndalianis – Chris Mackie, op. cit., pp. 275-87.


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(autore di The Spirit e instancabile sperimentatore del medium), Jack Kirby e Joe Simon (creatori di Capitan America), Stan Lee, reinventore dell’intero genere tramite la formula Marvel, e Chris Claremont, sceneggiatore che ha reso grande la serie degli X-Men.47 È dunque possibile non vedere un riflesso di questa tradizione sui testi del fumetto supereroico? Nel caso del Superman degli inizi, scritto e disegnato da Siegel e Shuster, i punti di contatto tra la cultura ebraica e gli elementi di base della serie sono numerosi e significativi.48 La forza sovrumana, che alla creazione di Superman quasi non aveva precedenti letterari moderni, poteva essere stata ispirata almeno in parte dal Sansone biblico, e il parallelo divenne più stretto quando negli anni Quaranta venne introdotta la kryptonite, che notoriamente conferisce a Superman un punto debole quale per Sansone è il taglio dei capelli. Un analogo ruolo nell’instaurarsi di poteri e limitazioni di Superman potrebbe attribuirsi anche alla folklorica figura del golem, il fortissimo gigante di argilla che si ricorda soprattutto nella leggenda collegata a Jehuda Löw, il rabbino di Praga che nel sedicesimo secolo ne avrebbe costruito uno per difendere gli ebrei dalle persecuzioni.49 Al pari di Superman il golem possiede forza sovrumana e si prodiga per la salvezza degli altri, e al pari di Superman possiede un punto debole che consente di distruggerlo, semplicemente cancellando la scrittura magica che reca sulla fronte o in bocca (a seconda delle tradizioni).

47 Specifichiamo che in ogni caso l’appartenenza degli autori a un determinato gruppo etnico e religioso di per sé non garantisce affatto che quel background vada poi effettivamente a riflettersi nei prodotti artistici di quegli autori. Se sembra impossibile che il retroterra culturale di autori centrali come quelli qui sopra non abbia influito in qualche modo sullo sviluppo del genere supereroico, in certi casi può benissimo essere che un autore ebreo abbia scritto storie senza alcuna componente ebraica, vuoi per compiacere un pubblico a maggioranza cristiano come quello degli Stati Uniti, vuoi perché l’autore stesso si potrebbe essere allontanato dalla cultura di origine e il prodotto creativo potrebbe risentire di tale presa di distanza. 48 Vi si allude ironicamente in Superman II, quando dei turisti vedono l’eroe che salva un ragazzino dalle cascate del Niagara e commentano, nella versione originale del film: «What a nice man! Of course he is Jewish!» (‘Che brava persona! È chiaro che è ebreo!’) – in, Superman II, di Richard Lester (e Richard Donner, non accred.), 127’, USA 1980. 49 Michael Chabon è stato uno dei tanti che hanno ricollegato la figura del supereroe a quella del golem; in particolare Chabon l’ha fatto nel suo romanzo The Amazing Adventures of Kavalier & Clay, New York, Picador, 2001 (trad. it. Le fantastiche avventure di Kavalier and Clay, Milano, Rizzoli, 2003).


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Notiamo poi che come i kryptoniani all’inizio della vicenda di Superman sono minacciati di estinzione dalla fine del loro pianeta, così gli ebrei nel libro dell’Esodo devono confrontarsi con l’ordine del faraone di far annegare tutti i figli maschi, e come la madre di Mosè salva il figlio infante affidandolo alle acque del Nilo in una cesta, così i genitori di Kal-El salvano il loro bambino ponendolo in una piccola astronave diretta verso il pianeta Terra.50 L’origine kryptoniana di Superman ricorda insomma la vicenda di Mosè in maniera tanto precisa da far apparire probabile che, consciamente o meno, agli autori sia derivato almeno un qualche spunto dalla loro cultura ebraica. Lo stesso nome originale di Superman, Kal-El, include il suffisso «El» che in ebraico significa Dio (abbreviazione di Elohim) e che appare nei nomi di figure bibliche quali Daniele, Samuele o gli angeli Gabriele e Michele.51 E soprattutto Michele, che nella tradizione ebraica è il grande guerriero che si oppone a Satana, pare un precedente molto appropriato per un salvatore che viene da Krypton per combattere i mali della Terra52 e che dunque aggiornava la tradizione antica in un periodo, quello di fine anni Trenta, in cui la situazione di incertezza e persecuzione degli ebrei in Europa poteva ben ispirare a Siegel e Shuster dei sogni compensatori di un nuovo angelo protettore. La presenza di simili radici ebraiche e la loro «attivabilità» nelle storie di Superman è stata peraltro ben mostrata in un ciclo di tre numeri di Superman, Man of Steel (nn. 80-82, estate 1998), in cui gli autori commemorano i sessanta anni del personaggio proiettandolo in un certo senso alle proprie origini, in una specie di passato alternativo in cui egli si trova a difendere gli ebrei perseguitati nella Polonia occupata da Hitler. A un certo punto Superman si unisce in incognito agli ebrei del ghetto, dove assiste agli orrori nazisti e viene a conoscere due ragazzini del luogo, Moishe e Baruch, i quali costituiscono un esplicito omaggio a Siegel e Shuster. I due infatti, per aiutarsi a sopportare la durezza del50 Cfr. S. Weinstein, op. cit., p. 26; Les Daniels, Superman: The Complete History, New York, Chronicle Books, 1998, p. 19. Sulla diffusione del mito dell’eroe esiliato in una cesta affidata alle acque, cfr. J. Campbell, The Hero with a Thousand Faces, cit., pp. 276-7. 51 Cfr. S. Weinstein, op. cit., p. 27. 52 Ibidem.


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I giovani Moishe e Baruch creano fumetti supereroici per aiutarsi a sopportare le avversità della persecuzione antisemita. © DC Comics

la realtà, hanno creato un personaggio eroico di cui Moishe scrive le storie e Baruch traccia i disegni.53 Il «nostro angelo», lo chiama Moishe esponendo il concetto a Superman stesso. Il nonno di Baruch è un po’ stupito: «Un angelo così muscoloso? E cos’è quella cosa sul suo petto?». «È il suo simbolo magico – risponde Moishe riferendosi all’emblema sul costume del personaggio – e lui è forte, e può combattere carri armati e pistole, e… ci salverà», al che il nonno replica che a lui 53

Louise Simonson – Jon Bogdanove, Man of Steel n. 81, luglio 1998.


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l’eroe in questione sembra più un golem che un angelo. Si esprime così con estrema chiarezza l’idea che la figura di Superman come la vediamo nel 1998 e come fu concepita nel 1938 è compatibile con gli angeli e i golem ebraici, e può legittimamente venire intesa anche come loro derivazione.54 Ciò detto, sarebbe legittimo affermare che Superman è ebreo o che il personaggio di Superman rappresenta in senso generale una figura ebraica? Direi sì e no, in quanto Superman, al pari di qualsiasi supereroe di successo, mostra una forte compresenza di iconicità ed Superman viene scambiato per un angelo inviato sulla elasticità,55 dovuta: (1) all’imTerra a proteggere una devota cristiana. © DC Comics piego di forti segnali visivi e narrativi quali maschera,56 simbolo, costume, gadgets e abilità speciali, tutti fattori che consentono di variare lo statuto del personaggio mantenendo comunque un’identità riconoscibile e ben collegata alle sue precedenti incarnazioni; (2) alla se54 Qualcosa del genere accade anche in un altro episodio celebratorio, Superman n. 400 (ottobre 1984), in cui si trovano varie storie sull’eredità e la leggenda del personaggio nei secoli futuri, e dove si vede che un giorno Superman sarà ricordato come una sorta di figura religiosa in una celebrazione che ricorda molto la Pasqua ebraica (sull’argomento cfr. S. Weinstein, op. cit., p. 20). Qui insomma il cerchio si chiude: se il Superman originale derivava almeno in parte dalla tradizione ebraica, qui invece è l’ebraismo del futuro a venire influenzato da Superman! 55 Paul Simpson – Helen Rodiss – Michaela Bushell (a cura di), The Rough Guide to Superheroes, London, Haymarket Customer Publishing, 2004, p. 5. 56 Ciò si applica anche se questo fattore nel caso specifico di Superman risulta meno importante, in quanto notoriamente la sua immagine supereroica comporta la perdita di un attributo dell’identità civile piuttosto che l’aggiunta di una maschera. La famosa perdita degli occhiali (assieme allo scompigliarsi del ciuffo) costituisce comunque il segnale iconico riconoscibile e prevedibile che qui ci interessa sottolineare. Peraltro il fatto che Clark Kent indossi occhiali che a Superman non servono aveva fatto scri-


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rialità, che nel corso di mesi o di anni permette di alterare gradualmente ma anche profondamente dei personaggi la cui vicenda viene scritta e riscritta da molti autori diversi, ognuno dei quali può avere impresso al personaggio una diversa interpretazione religiosa e culturale. Per esempio la discesa di Superman in Terra, che può senz’altro essere intesa come trasfigurazione della storia di Mosè, con pochi aggiustamenti può divenire altrettanto bene una rinarrazione della venuta di Gesù (come vedremo più avanti in questo Capitolo). E dove Baruch e Moishe vedevano Superman come angelo ebraico, in una recente storia scritta da Kurt Busiek abbiamo una fedele cristiana che prega e invoca Superman credendolo il proprio angelo guardiano.57 Lo stesso accade con Wonder Woman, che se negli Quaranta prese vita da una statua di pietra, sul modello di Pigmalione, in una rinarrazione degli anni Ottanta nasce invece da una figurina di creta modellata da Ippolita e poi animata da una misteriosa scintilla che discende dal cielo, assumendo così precise connotazioni dalla Genesi biblica.58 Non si tratta dunque di vedere quale lettura sia «giusta» o «sbagliata», ma di prendere atto che le vicende di Superman o di Wonder Woman si prestano altrettanto bene a diverse opzioni, che possiedono un potenziale narrativo polivalente, di cui diversi autori possono scegliere di esplicitare aspetti diversi nelle loro storie. Insomma sarebbe assurdo mettersi a litigare per decidere se Superman (tutto Superman, intrinsecamente) sia un golem ebreo, un redentore cristiano o uno sciamano irochese; piuttosto, occorre riconoscere che l’attivazione narrativa di vere a Jules Feiffer già negli anni Sessanta che l’identità vera di Superman sarebbe quella aliena, e che Clark Kent sarebbe la maschera, il volto fittizio (cfr. The Great Comic Book Heroes, New York, Bonanza Books, 1965, pp. 18-19, poi di recente citato – o meglio plagiato – da Quentin Tarantino nel film Kill Bill, Vol. 2). Detto di passaggio personalmente dissento da questa lettura, che interpreta Superman nella prospettiva in cui lo vede Lex Luthor, ovvero come alieno travestito da umano. Questa visione ignora il fatto che Kal-El sia stato adottato da esseri umani e sia cresciuto con valori terrestri, e che se i suoi poteri derivano dall’origine extraterrestre (e «non sono» in Clark Kent), l’etica e la psicologia di Superman sono invece quelle interiorizzate dal giovane Clark Kent negli anni precedenti all’adozione del costume e del titolo supereroico. In altre parole, Superman è quello che è perché in lui permane sempre qualcosa di Clark Kent. 57 Kurt Busiek – Fabian Nicieza, Superman n. 659, febbraio 2007, ora nel volume Superman: Redemption, New York, DC Comics, 2007. 58 Greg Potter – George Pérez, Wonder Woman, vol. 2, n. 1, febbraio 1987, ora nella raccolta Gods and Mortals, New York, DC Comics, 2004, p. 33.


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Nella rinarrazione delle origini di Wonder Woman negli anni Ottanta l’eroina viene modellata con della terra e animata da una misteriosa scintilla celeste. © DC Comics

certi tratti di base determina una figura ora di questo e ora di quel tipo, e che il processo folklorico accelerato di cui parlava O’Neil ha generato dei Supermen ora ebrei, ora cristiani, ora sciamanici. Anzi, siccome quanto a verità del soggetto rappresentato tutte le storie di un certo universo narrativo vanno considerate come aventi esattamente il medesimo grado di realtà59 (indipendentemente dalla loro diversa qualità o fortuna), basta una storia in cui Superman indichi lo sciamanesimo, una in cui rappresenti Mosè e una in cui rappresenti Gesù, perché l’eroe non 59 Ci si riferisce ovviamente a storie in cui manchino indicazioni in senso opposto, ovvero di storie che non siano indicate come esterne al «canone» dell’universo narrativo – come nel caso delle parodie, di plagio od omaggio operato da case editrici non autorizzate, oppure dei What If e degli Elseworlds, storie dichiaratamente alternative alla continuity (cosa sarebbe successo se Peter Parker non fosse diventato Spider-Man? E se Bruce Wayne fosse vissuto nel Medioevo?). Si perdoni dunque la tautologia, ma a scanso di equivoci preferisco specificare che hanno il medesimo grado di realtà solo le storie che non sono escluse a priori dall’universo narrativo «standard» in questione. In altre parole non occorre fare nulla di specifico per includere una nuova storia Marvel di Spider-Man nella vicenda pluridecennale


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Lo scudo di Capitan America, di forma rotonda sin quasi dalle origini del personaggio, ricorda lo scudo di Davide e serve a combattere gli antisemiti (i nazisti). 1941. © Marvel

possa più venire legittimamente descritto nei termini di nessuna di queste tre fonti da sola, ma debba venire concepito come ibridazione paritaria di tutte quante. Per tornare al nostro argomento principale, notiamo che oltre a Superman sono diversi i casi in cui tracce della cultura ebraica possono essere intese più o meno consapevolmente alla base di personaggi del mondo supereroico. Come ha segnalato ancora Weinsten, i simboli e il costume di Capitan America (creato nel 1941 dagli ebrei Simon e Kirby)60 possiedono una doppia valenza che li connette tanto alla cultura americana (esplicitamente) che a quella ebraica (implicitamente). L’arma di Capitan America a partire dal secondo numero della sua rivista è del personaggio; in assenza di indicazioni diverse, il lettore dà per inteso che ogni nuova uscita si aggiunga al continuum narrativo precedente, e in base a ciò (e a quanto sa di quel continuum) costruisce la propria interpretazione degli eventi narrati e modifica la propria percezione dell’intera continuity. 60 Il semitismo degli autori di Capitan America e la sua difesa degli ebrei implicita nella battaglia contro i nazisti portarono addirittura a minacce di morte da parte dei simpatizzanti americani di Hitler. Nei primi anni Quaranta poteva infatti accadere di sentire davanti alla sede della Timely (poi Marvel) voci inferocite che gridavano «Morte agli ebrei!». Cfr. Joe Simon – Jim Simon, The Comic Book Makers, Lebanon, Vanguard Productions, 2003, p. 45.


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uno scudo rotondo con al centro una stella a cinque punte,61 il che senza dubbio rinvia alla bandiera americana e all’idea di difesa e protezione, ma, allo stesso tempo, può richiamare anche il simbolo della civiltà e della religiosità ebraica, il Maghen David, giustappunto lo «scudo di Davide» caratterizzato dalla figura della stella (sebbene a sei punte). Ugualmente, annota Weinstein, la «A» sulla maschera di Capitan America si può vedere non solo come iniziale di «America» ma anche come rimando all’aleph, prima lettera della parola che va scritta sulla fronte di un golem per attivarlo. Il collegamento risulta interessante perché a ben vedere è proprio quando Capitan America indossa la maschera, ponendosi dunque la A-aleph sulla fronte, che egli da semplice civile «si attiva» come supereroe e difensore della comunità.62 Il tema della persecuzione degli ebrei fa poi da sottotesto a molte storie degli X-Men e in generale dei mutanti Marvel. In tale universo fittizio i personaggi che acquisiscono i loro poteri tramite tecnologia o incidenti vari sono noti come «mutati» e vengono spesso ammirati e celebrati come eroi (come i Fantastici Quattro), mentre quelli che sviluppano abilità speciali attraverso una mutazione genetica sono chiamati «mutanti», vengono sentiti come «diversi» e sono spesso oggetto di discriminazione e ostilità da parte dell’opinione pubblica.63 Nel periodo di origine degli X-Men, tra le tensioni sociali degli anni Sessanta e la crescente visibilità e autocoscienza delle minoranze vessate, la differenza tra umani e mutanti sembra essere stata instaurata soprattutto

61 Cfr. Joe Simon – Jack Kirby, Captain America Comics n. 2, aprile 1941, ristampato in Captain America Comics, cit. 62 S. Weinstein, op. cit., pp. 50-51. Questi paralleli visivo-simbolici possono venire rafforzati quando si pensi che la scelta dei simboli patriottici e la loro collocazione sul costume di Capitan America avrebbero potuto essere effettuate in infinite maniere diverse e senza la doppia valenza notata qui sopra. Basti pensare a Shield, supereroe di un anno precedente a Capitan America e dotato dei simboli della bandiera sul petto dell’armatura, o a Wonder Woman, coeva di Capitan America, che veste le stelle della bandiera sul gonnellino (originariamente; più tardi pantaloncino), porta l’aquila americana sul petto, e come strumento di difesa ha bracciali invece di uno scudo. 63 La differenza può sembrare speciosa: perché l’uomo medio dell’universo Marvel dovrebbe avere fiducia in Iron Man, che può emettere raggi di energia dalla propria armatura, e avere paura di Ciclope, che ha ricevuto dalla natura un potere praticamente identico (i raggi ottici)? Ma, ahimè, di tale speciosa divisione vale la pena parlare in quanto essa sta alla base della mentalità discriminatoria, secondo la quale il problema non è l’esistenza o la natura del potere –fisico, bellico, politico, economico ecc. – ma il timore che sia «il diverso» ad usarlo.


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Magneto, un sopravvissuto dell’Olocausto, cattura in Sud America i criminali nazisti sfuggiti a Norimberga. La sua scelta di consegnarli alle autorità invece di ucciderli dimostra un desiderio di giustizia, non di vendetta. © Marvel

per cavalcare gli umori del momento e ammiccare indistintamente al tema del «diverso» come perseguitato; ma in seguito, con l’evolversi della serie, gli autori hanno cominciato a vedere in questo elemento discriminatorio la possibilità di connettere in maniera più specifica le vicende dei personaggi con l’antisemitismo e con la tragedia dell’Olocausto.


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In questo senso va letta la graduale trasformazione dell’arcicriminale Magneto. Leader dei mutanti malvagi, all’inizio descritto come semplice megalomane e generico oppositore dell’oppressione dei mutanti, Magneto viene in seguito ridefinito come un ebreo sopravvissuto di Auschwitz64 il cui piano di dominazione dell’umanità diventa un modo per prevenire un nuovo olocausto (di mutanti) e per combattere il rimorso di non aver potuto intervenire durante gli sterminii nazisti (dato che i suoi poteri non si erano ancora manifestati). Importante in tal senso la storia I, Magneto (1978), dove il potentissimo mutante si reca in Sud America per dare la caccia ai criminali nazisti sfuggiti a Norimberga.65 Ci viene fatto capire che qui Magneto agisce da agente della giustizia e non da vendicatore personale, visto che a un certo punto, anche se gli sarebbe facile uccidere un criminale che ha causato tanta sofferenza al suo popolo, Magneto si limita a catturarlo per mandarlo al processo in Israele. In seguito Magneto ha però uno scontro con misteriosi agenti occidentali, che uccidono la sua compagna e lo accusano di avere catturato nazisti utili ai loro servizi segreti, intimandogli per il futuro di agire in maniera più «politica» e di catturare soltanto criminali che lavorano per l’Unione Sovietica (erano gli anni della Guerra fredda). È a questo punto che Magneto esplode in una crisi di violenza, uccide gli agenti e giura di divenire il nuovo dominatore di un’umanità miope e corrotta. A chi poi sostenesse grossolanamente che il personaggio di Magneto descrive gli ebrei come villains assetati di potere, questa storia permette di rispondere che l’esperienza dell’Olocausto e la cultura ebraica del personaggio avevano trasformato Magneto in un idealista desideroso di giustizia, ma non in un criminale. A fare questo ci hanno pensato invece le frange più spietate dei servizi segreti. 64 Questo elemento, fondamentale per la versione moderna del personaggio, viene presentato all’inizio del film X-Men di Bryan Singer (2000). Cfr. le storie di Chris Claremont – John Bolton, «A Fire in the Sky», in Classic X-Men n. 19, marzo 1988, ristampato in Magneto n. 0, The Twisting of a Soul, New York, Marvel Comics, 1993, e Ralph Macchio – John Byrne, «That I Be Bound in a Nutshell», in X-Factor Annual n. 4, 1989, pp. 31-41. Cfr. anche i saggi di Marie-Catherine Caillava, «Magneto the Jew», in Len Wein – Leah Wilson (a cura di), The Unauthorized X-Men, Dallas, BenBella Books, 2005, pp. 99109, e di Cheryl Alexander Malcolm, «Witness, Trauma, and Remembrance: Holocaust Representation and X-Men Comics», in Samantha Baskind – Ranen Omer-Sherman (a cura di), The Jewish Graphic Novel: Critical Approaches, New Brunswick – London, Rutgers University Press, 2008, pp. 144-60. 65 Chris Claremont – John Bolton, «I, Magneto», in Classic X-Men n. 12, agosto 1987, ristampato in Magneto n. 0, cit.


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La Cosa in una delle sue prime apparizioni, quando sembrava un colosso di argilla animata. © Marvel

Un altro notevole esempio di ebraizzazione per retroactive continuity si ha nella riscrittura di Ben Grimm (La Cosa dei Fantastici Quattro) come ebreo in una storia del 2002 dal titolo «Remembrance of Things Past».66 Peraltro va detto subito che se c’è un supereroe che sembra proprio un golem, questi è senz’altro Ben Grimm, vera e propria massa di roccia vivente che anzi nella sua prima incarnazione grafica, quando appariva fatto a bozzi mal definiti, possedeva ancora più precisamente l’aspetto dell’antico gigante d’argilla.67

66 Karl Kesel – Stuart Immonen, Fantastic Four, vol. 3, n. 56, agosto 2002. «Remembrance of Things Past» è il titolo con cui si conosce negli Stati Uniti Alla ricerca del tempo perduto di Proust, e include un grazioso gioco di parole su «things» (‘Ricordo delle Cose – dei Ben Grimm – passate’). 67 Il parallelo viene esplicitato in Bill Mantlo – Bob Brown, Marvel Two-In-One n. 11, settembre 1975, in cui la Cosa viene ritratta in combattimento con un vero e proprio golem resuscitato dalle pagine di alcuni Strange Tales (Len Wein – John Buscema et al., Strange Tales n. 174 e 176-177, giugno – dicembre 1974). E pochi anni fa, in una storia che è il sequel di «Remembrance of Things Past», la Cosa si è scontrata con un golem che era rimasto a lungo sepolto sottoterra e ha provato una curiosa connessione tra la propria «mostruosità» e quella del gigante d’argilla. Cfr. Roberto Aguirre-Sacasa – Valentine De Landro, Marvel Knights 4 n. 22, settembre 2005, ristampato nel volume Marvel Knights 4: Impossible Things Happen Every Day, New York, Marvel Comics, 2006. Batman si scontra con un golem classico (e cerca di cancellargli la «e» dalla fronte) in Peter Milligan – Jim Aparo, Detective Comics nn. 631-632, luglio 1991; Superman ha affrontato un golem cosmico in Kurt Busiek et al., Superman n. 675, giugno 2008, poi ristampato nel volume Shadows Linger, cit.


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La Cosa ritrova una connessione con le proprie radici ebraiche recitando una preghiera per Sheckerberg. © Marvel

La storia «Remembrance of Things Past» procede su due piani temporali paralleli: uno nel presente, in cui Ben ritorna a visitare la strada in cui era cresciuto e si trova a difendere dal racket l’ebreo Sheckerberg, titolare di un’agenzia di prestito su pegno; l’altro nel passato, in cui vediamo il giovane Ben bazzicare con un gruppo di teppisti locali e derubare proprio Sheckerberg del suo oggetto più caro: un ciondolo con la stella di Davide. Verso fine storia Ben sconfigge i criminali che tormentano l’anziano, ma questi rimane ferito nello scontro e giace al suolo, forse in punto di morte, davanti all’eroe. La stessa superforza che permette alla Cosa di sconfiggere i nemici è adesso un ostacolo che gli impedisce di praticare un massaggio cardiaco senza uccidere Sheckerberg, e dove la materia fallisce l’ultima speranza diviene la fede, una fede che riemerge in Ben come preghiera dalle parole quasi dimenticate (con un «uhm» di incertezza nel bel mezzo della recitazione). Effetto di questa preghiera o caso fortunato, Sheckerberg si riprende e ingaggia con Ben un dialogo in cui i due discutono dell’ebraismo del-


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l’eroe, cioè di un elemento che, ci viene detto adesso, è sempre stato presente nel mondo dei Fantastici Quattro ma che di fatto non si era mai visto nelle storie pubblicate nei decenni precedenti. «In tutti questi anni i giornali non hanno mai menzionato il fatto che sei ebreo – commenta infatti Sheckerberg – Pensavo che forse te ne vergognassi un po’». «Nah – risponde la Cosa – Ho pensato che ci sono già abbastanza guai in questo mondo anche senza che la gente pensi che tutti gli ebrei sono dei mostri come me». La riscrittura di Ben Grimm viene dunque amalgamata in maniera coerente e intelligente con la storia editoriale della testata, fornendo una ragione plausibile per la mancata menzione di un elemento così importante. Ciò è rinforzato dal fatto che Ben ci viene qui descritto come ebreo a lungo non praticante, che nell’abbandonare la vecchia strada e divenire un eroe famoso si è lasciato alle spalle la propria cultura di origine, al pari di molti ebrei che la pressione sociale ha spinto a cambiare nome nel tentativo di venire più facilmente accettati. Ciò non solo aggiunge profondità al personaggio ma rende anche l’ebraizzazione di Ben Grimm «a prova di fan», consentendole di resistere agli scrutinii degli appassionati che, come è loro diritto, amano testare la compatibilità di ogni sviluppo seriale con le sue precedenti formulazioni. Il fan che trovasse nei Fantastici Quattro dei decenni precedenti episodi in cui Ben Grimm trasgredisce i divieti del sabato o si ingozza di carne di maiale non andrebbe a contraddire quanto detto in «Remembrance of Things Past», ma al contrario rinforzerebbe l’idea dell’ebreo che si era perso, che aveva abbandonato le proprie radici. Nel finale della storia Ben cerca di restituire a Sheckerberg la stella di Davide che gli aveva rubato, ma questi gli consiglia di tenerla e Ben la ripone in uno scomparto della cintura. In questo modo, la riconciliazione di Ben con l’ebraismo viene abilmente coniugata alle esigenze della forma seriale. Quella stella di Davide che Ben porterà addosso senza che essa sia visibile, quella fede che avrà in sé ma che non espliciterà necessariamente in pratiche religiose, di certo apparterranno all’identità del personaggio; ciò nonostante, restando come dietro le scene, esse non andranno a limitare i possibili eventi futuri della serie. In altre parole, anche se i marziani attaccano la Terra di sabato, Ben Grimm potrà essere in prima linea.


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I.5 Il Vangelo secondo i supereroi Se l’ebraismo ha lasciato un segno importante nel genere supereroico, altrettanto ampio e pervasivo è stato l’analogo apporto del cristianesimo, che pure, essendo la religione in cui la maggior parte dei lettori si riconosce, presenta anche specifici problemi di rappresentazione. Non credo siano molti oggi i devoti di culti olimpici o norreni che si potrebbero ritenere offesi da una rappresentazione fumettistica di Ercole o di Thor, mentre lo stesso non si può dire del lettore medio che vedesse entrare in azione come supereroi Gesù, la Madonna o i santi. Si badi che se l’idea di Gesù supereroe appare inaccettabile, ciò deriva da un divieto puramente culturale e non da caratteristiche intrinseche al genere supereroico o alla materia evangelica, come dimostrano proprio i rari casi in cui questo divieto viene rotto. Così nel film canadese Jesus Christ Vampire Hunter (Gesù Cristo cacciatore di vampiri, di Lee Demarbre, 85’, Canada 2001), Gesù ritorna sulla Terra per combattere mostri e scienziati pazzi, assolvendo così pienamente la funzione del supereroe.68 Quando Gesù per esempio viene attaccato da una folla di vampiri, non avendo acqua a portata di mano benedice una birra e la usa contro i nemici; più avanti, Gesù si sdoppia per combattere due nemici allo stesso tempo, e al cattivo che gli chiede come ciò sia possibile risponde: «Io sono ovunque». E verso il finale del film, inevitabilmente, Gesù fa risorgere un morto. Se, al di là dell’apparenza bizzarra, indaghiamo il funzionamento narrativo di questi esempi, notiamo che il film non fa che proiettare sul piano avventuroso e fantastico dei tratti propri di una certa tradizione religiosa, compiendo per il cristianesimo quanto la Marvel e la DC operano di consuetudine con i pantheon pagani. Peraltro i medesimi poteri attribuiti a Gesù nel film sono rappresentati con assoluta naturalezza anche negli universi supereroici delle majors fumettistiche – basti pensare al fatto che il mutante Gambit può trasformare in armi degli oggetti comuni caricandoli di energia (similmente al caso della birra benedetta); 68 Cfr. anche Ultrachrist! di Kerry Douglas Dye, 92’, Usa 2003, altro film indipendente che dipinge Gesù come supereroe (con tanto di costume) in azione nel mondo contemporaneo.


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Jamie Madrox, l’Uomo Multiplo, può creare copie di sé stesso, mentre Solomon Grundy della DC e la setta ninja La Mano della Marvel possiedono i mezzi per far risorgere i morti. A mancare in questi fumetti, dunque, è soltanto la connessione dei superpoteri col sacro cristiano.69 Il cristianesimo di conseguenza nei supereroi c’è e non c’è; vi si accenna in modo ambiguo come nei casi citati dell’Osservatore o di Thor, che rendono omaggio a un Uno divino molto vago, cosicché chi vuole cercarvi il Dio cristiano ve lo trova, ma il discorso non viene poi sviluppato in maniera chiara e organica. Si mantiene insomma una certa negabilità plausibile, come quando un governo autorizza una determinata operazione solo se, in caso di fallimento, sia possibile negare ogni connessione con essa. Tranne nel caso di eroi appartenenti a credi minoritari negli Stati Uniti quali il cattolicesimo e l’islamismo, i quali vengono chiaramente indicati proprio per riconoscere dignità alle minoranze che essi rappresentano,70 le convenzioni religiose della stragrande maggioranza dei supereroi sono lasciate di proposito nel vago. Si ha l’impressione che quasi tutti gli eroi appartengano a qualche confessione protestante non praticata o praticata solo fuori scena, magari andando in chiesa tra una sequenza narrativa e l’altra. Nei rari casi in cui si vedono i supereroi davanti a un sacerdote è di solito per i matrimoni e i funerali, occasioni troppo interessanti drammaticamente per obliterarle dal mondo della narrazione, e per di più non compromettenti, dato che andare al funerale o al matrimonio di un amico in un certo edificio sacro non significa automaticamente condividerne la religione. Poco numerosi e di scarso successo editoriale sono poi stati i tentativi di immettere del sovrannaturale troppo esplicitamente cristiano nel 69 Al massimo si arriva a una rappresentazione non dichiarata e non compromettente delle massime figure cristiane. In una vecchia storia Ghost Rider viene salvato dalle grinfie di Satana da uno sconosciuto in abiti moderni ma che ricorda vagamente il Gesù dell’iconografia tradizionale. Quando Ghost Rider domanda allo sconosciuto come si chiami, questi risponde soltanto: «sono… un amico» (Tony Isabella – Jim Mooney, Ghost Rider n. 9, dicembre 1974, ora in Ghost Rider Essential, cit.). In un’anomala storia Spider-Man incontra Dio, rappresentato come un senzatetto e mai chiamato per nome (al punto che non scommetterei sulla sua identità). Cfr. Roberto Aguirre-Sacasa – Clayton Crain, Sensational Spider-Man n. 40, agosto 2007, poi ristampato in Back in Black, 2, New York, Marvel Comics, 2007. 70 Pensiamo ai cattolici Daredevil e Nightcrawler (che curiosamente hanno entrambi connotazioni demoniache, il primo nel nome e nel costume, il secondo nell’aspetto fisico), o alla mutante Dust dei New X-Men, raro esempio di personaggio musulmano descritto come supereroe e non come criminale.


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mondo dei supereroi, e questo perché il lettore puntiglioso in materia di fede potrebbe risentirsene, mentre al contrario il lettore cristiano un po’ più disinvolto preferirà venire catechizzato in chiesa o in occasioni sacre piuttosto che durante la fruizione di film e fumetti. Non stupisce dunque che sia durata solo pochi numeri la serie Illuminator della Marvel, con un protagonista che riceve i poteri direttamente da Dio («like a nuke from Heaven», ‘come una bomba atomica dal Paradiso’) e si comporta da autentico «hero who keeps the faith» (‘eroe che mantiene la fede’).71 Quanto all’universo DC va citato il personaggio secondario dell’angelo Zauriel,72 introdotto da Grant Morrison soprattutto perché gli editori avevano negato all’autore l’impiego del personaggio di Hawkman, l’Uomo Falco, spingendo così Morrison a guardare agli angeli più come a semplici figure umane con le ali (dunque buoni sosia dell’interdetto Hawkman)73 che per questioni di fede o teologia. In una intervista Morrison spiega che a quel punto la cosa migliore da fare con l’angelo Zauriel era di trasformarlo in un Thor della DC,74 con la tradizione ebraico-cristiana a sostituzione di quella nordica. La promessa venne mantenuta e infatti Zauriel apparve al centro di battaglie fra Terra e Cielo75 svolte alla medesima maniera di numerose storie simili con protagonisti di miti pagani – come ad esempio l’invasione delle Amazzoni sulla Terra nella miniserie DC Amazons Attack. Tale sviluppo rivela un ulteriore problema connesso all’immissione della religione dominante all’interno del mondo paganeggiante dei supereroi, ovvero la perdita della condizione privilegiata del cristianesimo rispetto alle altre tradizioni. Messi alla prova con le convenzioni narrative del genere supere71 Glenn Herdling – Craig Brasfield, Illuminator nn. 1-3, febbraio – giugno 1993. Le frasi riportate sopra sono gli slogan che appaiono sulla quarta di copertina dei numeri 1 e 2, rispettivamente. 72 Sul rapporto tra angeli e supereroi, cfr. Lisa Beaven, «Someone to Watch over Me: The Guardian Angel as Superhero in Seicento Rome», in W. Haslem – A. Ndalianis – C. Mackie, op. cit., pp. 251-61. 73 Forse Morrison non fu il primo a vedere questa analogia. Nel 1961 Gardner Fox e Joe Kubert rilanciavano il personaggio di Hawkman dopo un decennio di oblio (cfr. Hawkman Essential n. 1, New York, DC Comics, 2007) e due anni dopo, nel 1963, Stan Lee e Jack Kirby presentavano tra le fila dei loro XMen anche Angel, un essere umano con ali d’uccello, corrispettivo dal nome religioso dell’Uomo Falco della DC (The X-Men Omnibus n. 1, New York, Marvel Comics, 2009). 74 L’intervista si può leggere in Madwomb.com/madwomb/web/npo/community/ archive_grantmorri son2.html. 75 Grant Morrison – Howard Porter, JLA n. 6, giugno 1997, ristampato in JLA: American Dreams, New York, DC Comics, 1998; Mark Millar – Ariel Olivetti, JLA: Paradise Lost nn. 1-3, gennaio – marzo 1998.


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roico, gli angeli non si distinguono poi tanto dalle chiassose divinità scandinave o dalle attraenti Amazzoni: anzi, nel primo caso rischiano di perderci come meno divertenti, nel secondo come meno sexy. Diverso il discorso per le rappresentazioni di dèmoni provenienti dalla tradizione cristiana, i quali possono fornire un ricco arsenale di supercriminali con cui far scontrare i nostri eroi, a patto, comunque, di operare anche qui con un certo tatto. Nell’universo Marvel per esempio esiste una creatura potentissima che abita sottoterra, ama tentare i mortali e si chiama Mefisto, ma che i manuali ufficiali della casa editrice specificano non essere il diavolo della tradizione cristiana. Questa la posizione ufficiale della Marvel su Mefisto, pubblicata nel 2005: È il signore di una dimensione infuocata che egli chiama Inferno o Ade, sebbene non si tratti né dell’Inferno biblico né dell’Ade greco di Plutone. […] Mefisto ama impersonare il Satana biblico. Traendo potere dalle anime dei dannati, spesso stipula dei patti ingannevoli con i viventi. Mefisto è particolarmente interessato alle anime delle creature estremamente potenti o eccezionalmente pure.76

Mefisto insomma può anche sembrare il diavolo cristiano, ma non lo è; può chiamare Inferno la sua casa, se così gli pare, ma questa rimane solo la sua opinione. Insomma, il lettore che non si preoccupa di queste cose legge nei fumetti Marvel la storia di un Mefisto che, ammettiamolo, è proprio quel diavolo, mentre al lettore o censore preoccupato si ricorda che quello in realtà non è altro che un sosia. La stessa guida del 2005 spiega che l’universo Marvel contiene diverse entità extra-dimensionali simili a Mefisto, e che questi e molti altri dèmoni hanno sfruttato la convinzione umana che ci sia un solo signore del male, Satana, ognuno di loro affermando di essere quel 76 AA.VV., Marvel One-Shot: Horror, ottobre 2005, ristampato in Legion of Monsters, New York, Marvel Comics, 2007. Quasi identica era una formulazione ufficiale precedente, del 1983: «Mefisto è un demone extradimensionale, di natura e origini sconosciute. È il signore di una dimensione infuocata che egli chiama Inferno e ha diversi dèmoni minori al suo servizio. Nel suo regno risiedono anche i corpi astrali di alcuni esseri umani deceduti, intrappolati in corpi di dèmoni» – in AA.VV., The Official Handbook of the Marvel Universe n. 7, luglio 1983, ora ristampato in un volume dallo stesso titolo, Marvel, New York, 2006.


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Satana e chiamando Inferno il proprio reame. Numerosi e spesso inidentificabili Satana e Diavoli hanno affrontato l’umanità nel corso dei secoli. [corsivo mio]77

Grazie a questo gioco di specchi condotto da infiniti dèmoni in camuffa gli autori si ritrovano nella condizione di poter rappresentare tutte le potenze infernali che vogliono, avendo accortamente reso impossibile il dimostrare che questo o quel Satana sia quello «ufficiale» della religione cristiana perfino quando questi sembra apparire in prima persona (come in molte storie di Ghost Rider).78 O meglio, si costruisce l’impressione che quello vero non compaia mai, che esso resti celato a un livello ancora più basso e malvagio dei suoi vari sosia in una specie di rispecchiamento di quel cielo in cui, sopra al buonissimo Thor, ci deve essere comunque un’entità a lui superiore. E se questi accorgimenti degli autori di fumetti appaiono terribilmente forzosi, ciò dimostra soltanto che la questione di fondo è piuttosto seria e che in un modo o nell’altro va affrontata. Ancora diversa è poi la questione per le simbologie cristiane, soprattutto cristologiche, che possono venire immesse nei fumetti di supereroi. Per la maggior parte dei lettori credenti certe affinità tra mondo dei supereroi e tradizione cristiana vengono infatti a determinare un senso di familiarità, di riconoscimento, e se queste affinità vengono espresse tramite simbologie non banali nel tessuto visivo e narrativo delle storie, è possibile evitare il tono della predica pedante e attirare invece il lettore nel piacevole gioco della decifrazione di un codice a lui noto. Si veda a titolo di esempio la copertina del celebre romanzo a fumetti di Jim Starlin The Death of Captain Marvel (La morte di Capitan Marvel),79 dove l’eroe galattico, che morirà di cancro nel corso della storia, giace tra le braccia della Morte in una posa che riprende innegabilmente la Pietà di Michelangelo. La connessione tra il destino del supereroe e il sacrificio di Gesù è qui sancita dal fatto che Capital Marvel prende letAa.Vv., Marvel One-Shot: Horror, cit., voce «Hellstorm». Daniel Way – Javier Saltares – Max Texeira, Ghost Rider nn. 1-5, luglio – novembre 2006, ora nel volume Vicious Cycle, New York, Marvel Comics, 2007. Proprio Ghost Rider anzi si avventura più di altre testate nella rappresentazione del sovrannaturale cristiano (o, se si accetta il gioco visto sopra, dei sosia del sovrannaturale cristiano). 79 Jim Starlin, The Death of Captain Marvel, New York, Marvel Comics, 1994. 77 78


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Il corpo morto di Capitan Marvel rimanda inequivocabilmente al Gesù della Pietà di Michelangelo. © Marvel

teralmente il posto del Cristo morto in un richiamo culturale noto a tutti. Allo stesso tempo il riconoscimento della fonte visiva e la costruzione del messaggio vengono lasciati (e non imposti) al lettore, il quale anzi è libero di scegliere fin dove spingersi – cioè se solo fino al richiamo artistico, come artificio grafico-compositivo e ammiccamento postmoderno, o se fino alle implicazioni religiose che il soggetto della Pietà presenta. Il richiamo al capolavoro michelangiolesco, con la sua statica e corposa monumentalità qui accentuata da un’inchiostratura pesante, crea poi un significativo contrasto con le figure degli eroi sullo sfondo, come colte in un disordinato tentativo di salvataggio, sospese in un vuoto indefinito e lontano, e più bidimensionali, irreali, anche visivamente qualificate come impotenti rispetto a un fato ineluttabile e «granitico». L’illustrazione dunque non solo traduce Capitan Marvel in Gesù morto,


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ma descrive anche quella morte come evento necessario voluto su un piano irraggiungibile agli esseri umani, come realtà più assoluta di quanto avviene nell’ambito caotico e transeunte della vita terrena. I.5.1. La crocifissione di Peter Parker Sulla scorta dell’intuizione di Starlin, è possibile poi rinvenire significative implicazioni cristiane anche nella figura del supereroe in generale. La paradossale doppia natura di Gesù, umano e divino al contempo, uguale a tutti gli altri eppure unico e speciale, sembra rispondere in qualche maniera all’idea della doppia identità del supereroe che talvolta si mescola tra la gente del mondo e talaltra si rivela «trasfigurato» dal costume e pronto a compiere «miracoli» per salvare la comunità. Il supereroe poi, nella più scarna formulazione possibile, è una persona dai poteri eccezionali che volontariamente si sacrifica (danneggiando la propria vita privata, rischiando l’uccisione e a volte morendo) per usare questi poteri al servizio degli altri e del bene comune. In tal senso sono degni di nota i segnali di tipo cristologico rilevabili nel film Spider-Man 2 (di Sam Raimi, 127’, USA 2004). L’intero film sviluppa una riflessione sul concetto di scelta etica introducendo l’idea che sia possibile per Peter Parker rinunciare ai propri superpoteri e dunque all’identità di Uomo Ragno. Il protagonista non si trova dunque più costretto ad agire a causa di un incidente imprevisto e non cercato con un ragno modificato geneticamente (nel fumetto originario il ragno era radioattivo), ma può scegliere tra rimanere un supereroe e battersi per il bene comune (secondo il criterio che da un grande potere derivano grandi responsabilità), o divenire un giovane come tutti gli altri, in grado di frequentare l’università e uscire con Mary Jane. Nel decidere di abbracciare la via eroica, Peter Parker sacrifica coscientemente una buona parte di quella privata e raggiunge così una maggiore maturità. Imprese quali sconfiggere i criminali rimarranno le stesse che nel fumetto o nel primo film della serie, ma assumeranno un diverso significato in quanto frutto di una decisione volontaria e dunque solo ora pienamente etica. Se non c’è possibilità di scelta, infatti, a rigor di logica non si potrebbe neppure parlare di etica, e così come non c’è «bontà» nella slot machine che


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La simbolica crocifissione del supereroe sulla locomotiva di una metropolitana in Spider-Man 2. © Columbia Pictures

mi fa vincere o nel semaforo che mi lascia passare, così un personaggio che fosse assolutamente obbligato all’eroismo non sarebbe in fondo davvero eroico. Ed essendo punto cruciale della dottrina cristiana che Gesù si sia sacrificato volontariamente per redimere l’umanità (altrimenti, di nuovo, non si potrebbe parlare di sacrificio), è proprio in Spider-Man 2 che la tematizzazione del processo di scelta sembra instaurare tra il supereroe e Gesù un parallelo più forte che altrove, come emblematizzato con perspicuità nella scena della metropolitana. Il Dottor Octopus, per distrarre l’Uomo Ragno durante una battaglia, distrugge i freni di un treno metropolitano lanciato in corsa verso il capolinea. Davanti a tale situazione l’Uomo Ragno antepone la propria funzione di protettore a quella di giustiziere, e lascia scappare Octopus per concentrarsi su come salvare i passeggeri del treno. L’Uomo Ragno balza davanti al primo vagone e prova a fermare il convoglio puntando i piedi al suolo e confidando nella propria superforza. Nessun risultato, se non quello di infortunarsi al ginocchio. L’Uomo Ragno lancia allora diversi getti di ragnatela ai due lati del treno, cercando di ancorarsi agli edifici circostanti. Nel ciò fare egli allarga necessariamente le braccia e va ad assumere la posizione del Cristo crocifisso, con gli strappi sul costume dovuti alla battaglia con Octopus che sembrano divenire adesso un rimando all’evangelica ferita al costato.80 80 Ricordo anche l’immagine di Clark Kent legato in posa da crocifissione a un palo per spaventapasseri in una scena dell’episodio pilota del telefilm Smallville (2001) e nel manifesto promozionale della serie. Cfr. Gustav Peebles, «God, Communism, and the WB», in Glenn Yeffeth, op. cit., pp. 77-92.


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La «deposizione» del supereroe. Spider-Man 2, © Columbia Pictures

L’espediente della ragnatela funziona e la corsa rallenta, ma tra il treno che spinge in avanti e le ragnatele che trattengono Spider-Man la tensione sul corpo dell’eroe è immensa. Il costume si lacera, dando l’impressione di vedere dilaniarsi anche il corpo al suo interno; il volto di Tobey Maguire è distorto dal dolore e dallo sforzo, e ora appare chiaro che gli sceneggiatori gli hanno fatto togliere la maschera prima di questo passaggio proprio per mostrare bene il tormento della situazione. Per l’Uomo Ragno salvare i passeggeri non è più questione di intelligenza, agilità o abilità in combattimento, ma si tratta soltanto di sopportare e soffrire mantenendo la speranza (la fede?) che questo terribile dolore non sia vano (l’Uomo Ragno non sa se l’azione porterà davvero a fermare il treno in tempo). Si noti che se l’Uomo Ragno scegliesse di preferire il bene proprio a quello altrui potrebbe interrompere lo strazio in qualsiasi momento: gli basterebbe infatti lasciar andare le ragnatele da un lato per essere semplicemente sbalzato dall’altro, abbandonando al disastro certo il treno coi suoi passeggeri. Il parallelo con la crocifissione di Gesù non è qui dunque un banale fatto visivo ma una metafora profonda e ben congegnata, in cui gli elementi e il significato della vicenda evangelica vengono trasfusi con grande efficacia nel medium cinematografico e nella cultura supereroica. Come per maggiore enfasi, o forse per continuità tematica e tonale, il richiamo alla crocifissione prosegue brevemente anche al termine della sequenza. L’Uomo Ragno è riuscito a fermare il treno, ovviamente al-


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La «resurrezione» del supereroe. Spider-Man 2. © Columbia Pictures

l’ultimo istante, ed è svenuto per lo sforzo e il sollievo; per evitare che cada, due passeggeri lo sorreggono dall’interno, mimando visivamente una delle tante rappresentazioni della deposizione così comuni nella tradizione pittorica. Il corpo viene portato all’interno dell’affollato vagone e fatto passare sopra le teste dei passeggeri. La motivazione narrativa è pratica, in quanto bisogna muovere Spider-Man dove lo si possa adagiare al suolo, ma la ripresa effettuata dall’alto sottolinea la posizione di nuovo a braccia aperte a croce di Maguire, creando l’immagine simbolica di un Cristo risorto che plana in volo su di un’umanità salvata e riconoscente al proprio salvatore.81 I.5.2 Superman nostro, che sei nei cieli Come accennato in precedenza, i punti in comune tra la cultura cristiana e quella ebraica consentono agli autori di ricodificare le profonde matrici ebraiche del fumetto supereroico, facendo talvolta di Superman, che era forse nato come Mosè o come golem, anche un angelo cristiano o addirittura una sorta di cripto-Gesù.82 Il semplice fatto che Superman 81 Quando infatti Octopus torna all’attacco i passeggeri del treno cercano di difendere Spider-Man e vengono brutalmente sconfitti senza sforzo alcuno. Di certo loro lo sapevano fin all’inizio di non avere speranze contro il supercriminale, ma ciò nonostante hanno scelto la fedeltà verso chi li aveva salvati. 82 Su Superman come metafora cristica cfr. in particolare Stephen Skelton, The Gospel According to the World’s Greatest Superhero, Eugene, Harvest House Publishing, 2006 e Ken Schenck, «Superman: A Popular Messiah», in B. J. Oropeza, op. cit., pp. 33-48.


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Il processo di Zod e dei suoi complici, dove Zod (al centro) tenta Jor-El (a sinistra) invitandolo a unirsi alla sua ribellione. Superman: The Movie, © Warner Bros.

discenda sulla Terra come un infante che diventerà protettore e salvatore dell’umanità basta e avanza a incoraggiare una lettura o rilettura del personaggio in chiave cristologica, in un’operazione su cui hanno insistito fino al didascalismo il regista e gli sceneggiatori di Superman: The Movie (di Richard Donner, 143’, USA 1978). Già nelle sequenze iniziali del film la rappresentazione dei kryptoniani in abiti splendenti di luce attribuisce loro l’aspetto di angeli o comunque di entità simil-divine, sovraumane, di modo che la successiva venuta di Superman sulla Terra appaia simbolicamente come una discesa dal Paradiso. Sempre in questo inizio scopriamo che a Jor-El, padre del futuro Superman, è stato affidato l’ingrato compito di giudicare tre criminali (ovviamente vestiti di nero), il cui leader, il ribelle Zod, tenta Jor-El promettendogli potere immenso se solo si unirà alla loro sedizione contro il governo del pianeta. Vedendo che questi non cede, Zod gli grida minaccioso che verrà un giorno in cui Jor-El dovrà inchinarsi davanti a lui, per poi venire scagliato, un secondo dopo, nell’oscura e misteriosa Zona Fantasma. Secondo una simbologia del tutto trasparente e un intenso lavoro di compressione semantica, Jor-El viene dunque a incarnare allo stesso tempo sia Dio che Gesù: il primo, quando relega il ribelle Zod-Satana nella Zona Fantasma-Inferno; il secondo, quando resiste a una proposta che non può non richiamare la terza tentazione di Gesù nel deserto: «Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissi-


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L’ologramma luminoso di Jor-El sembra una rappresentazione simbolica del Dio cristiano. Superman: The Movie, © Warner Bros.

mo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai”» (Matteo 4, 8-9).83 Tra l’altro la medesima simbologia si ripresenta immutata al termine di Superman II (1980), in cui Zod crede che Superman abbia perso i suoi poteri e costringe l’eroe a inginocchiarsi davanti a lui, pensando di attuare almeno sul figlio la minaccia che aveva rivolta al padre. I ruoli di Jor-El/Dio e Kal-El/Cristo si definiscono chiaramente una volta che il bambino arriva sulla Terra. Quando i Kent trovano il piccolo piovuto dal cielo, Martha confessa: «In tutti questi anni, anche se siamo stati felici, quanto ho pregato e pregato il buon Signore perché ci volesse mandare un bambino», trasformandosi così in Maria che riceve il figlio direttamente da Dio e qualificando al contempo Kal-El come Gesù.84 Più sfortunato è Jonathan Kent, padre adottivo di Kal-El, che nel film muore abbastanza presto d’infarto85 per lasciare posto alla relazione privilegiata tra Superman-Gesù e l’ologramma di Jor-El, luminoso e immateriale padre celeste che istruisce Superman sulla sua missione tra i mortali. E sono insegnamenti i cui contenuti messianici non richiedono particolare commento: Cfr. S. Skelton, op. cit., pp. 47-48. Ivi, pp. 55-56. Di nuovo con un notevole parallelo evangelico, dato che non si hanno notizie di Giuseppe successive a quando Gesù ha dodici anni, e sembra dunque ragionevole credere che egli sia morto quando il figlio adottivo era ancora piuttosto giovane (come annotato ibid.). 83 84 85


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Vivi come uno di loro [mortali], Kal-El, per scoprire dove c’è bisogno della tua forza e del tuo potere […]. Il tuo essere è sia tuo che separato da te [ecco ancora la doppia natura umana/divina], ma sono stato io a causare la tua presenza sulla Terra e devo dunque condividere la responsabilità per le tue azioni. I terrestri possono essere un grande popolo, Kal-El, e desiderano esserlo. Mancano soltanto della luce che mostri loro la strada. Soprattutto per questa ragione, per la loro capacità di compiere il bene, ti ho mandato a loro – mio unico figlio.86

Si aggiunga poi il fatto che Superman in questo film inizia la sua missione all’età di trent’anni87 come Gesù, o che Luthor qui abita sottoterra come Satana, il che non ha riscontro nella serie a fumetti; si aggiunga pure che alla fine del film Superman fa risorgere Lois Lane (Lazzaro?), e si comprende come ogni elemento narrativo di rilievo nel film sia stato pianificato per costruire un’immagine coerente di Superman come figura cristologica. Tra l’altro non è che sia occorso faticare molto: è bastato aggiungere una frase qui e una breve scena là per fare forza sulla tipica malleabilità dei personaggi seriali e ottenere una reinvenzione efficace e senza strappi. E a parte le abnormi differenze materiali (budget, produzione, distribuzione), le differenze di concetto tra Superman: The Movie e un film all’apparenza antitetico come Jesus Christ Vampire Hunter sono in realtà irrisorie: la più grande, se non l’unica, è che i produttori di Superman non hanno chiamato Gesù il loro protagonista e, così facendo, sono stati liberi di mettere Gesù in calzamaglia e mantello – con l’immensa approvazione del grande pubblico pagante.88 86 L’idea di Superman come mandato dal cielo per una missione di salvezza dell’umanità è ben presente anche nel recente film Superman Returns (di Bryan Singer, 154’, USA 2006), in cui Superman ridiscende sulla Terra dopo un lungo periodo di assenza, in quello che è veramente un secondo avvento. La simbologia messianica è bene espressa nel manifesto originale del film, con Superman sospeso in volo sulla Terra, il mantello che si gonfia come simulando ali di angelo, la posa e l’espressione facciale in assorta contemplazione (dei mali del mondo, si direbbe). 87 Cfr. K. Schenk, op. cit., pp. 33 e 44 n. 1 – dove si annota che Superman entra per la prima volta nella Fortezza della Solitudine a diciotto anni e lì viene istruito dal padre per dodici anni prima di vestire la cappa dell’eroe. 88 Nei fumetti, il parallelo tra Superman e Gesù ha raggiunto il suo punto più evidente nel 1992-’93, con la saga che ha visto la morte e resurrezione dell’eroe. Il fatto che i personaggi vengano reimmessi nel mondo della narrazione dopo essere morti è quasi un topos del genere supereroico, ma questo di rado prevede un autentico ritorno dalla morte: più spesso si scopre che il personaggio non era morto davvero, oppure che solo il corpo era morto mentre la sua psiche viene trasferita a un altro corpo (magari di clone),


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Un altro notevole simbolo cristiano si è aggiunto alla tradizione di Superman secondo un processo piuttosto comune nei supereroi, per cui certi elementi grafici e narrativi apparsi per caso durante il processo di evoluzione di un certo personaggio si stabilizzano nella serie perché (consciamente o meno) accettati come «giusti» dagli autori. Mi pare sia questo il caso di una implicazione oggi leggibile in molte rappresentazioni del simbolo sul petto di Superman. Nelle prime storie del personaggio lo stemma con la «S» non possedeva un aspetto ben definito e di episodio in episodio variava di forma e colore. Nella sua prima apparizione era un triangolo Nel mezzo dell’azione, come in questa immagidove Superman salva degli innocenti dal crolgiallo con una «S» gialla; di segui- ne lo di un palazzo, il simbolo sul costume diventa to, e senza continuità, si presenta in un cuore fiammeggiante. Geoff Johns et al., Infiforma di pentagono/diamante, di nite Crisis, 2006, © DC Comics scudo araldico coi bordi inferiori curvi, e con «S» e bordi ora rossi e ora gialli. Ci fosse dietro trascuratezza da parte degli autori o al contrario desiderio di sperimentare alla ricerca di una soluzione definitiva, in ogni caso col passare del tempo il simbolo si stabilizza in quello che conosciamo oggi: il pentagono che rappresenta un diamante (simbolo di forza e costanza), con al centro una «S» rossa che ricorda un serpente (simbolo di prudenza) e che è dotata di grande dinamismo grafico, come una molla pronta a scattare, perfetta dunque per esprimere la straordinaria energia del personaggio.89 oppure gli eroi tornano indietro nel tempo o alterano il tessuto della realtà in maniera tale che il defunto di fatto non sia mai morto, e via dicendo. Il cadavere di Superman invece viene letteralmente rigenerato dai macchinari alieni della Fortezza della Solitudine. Cfr. Dan Jurgens et al., The Death of Superman, New York, DC Comics, 1993; Louise Simonson et al., The Return of Superman, New York, DC Comics, 1993. 89 Cfr. I. Baio, op. cit., pp. 76-80.


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A queste simbologie notate in varie sedi se ne può aggiungere almeno una ulteriore: quella del cuore. È vero che lo stemma di per sé ha forma semplicemente pentagonale, ma quando Superman solleva le braccia per volare o per combattere (cioè proprio quando più propriamente agisce da supereroe) il lato superiore del simbolo si piega nel mezzo, delineando così la forma stilizzata del cuore umano. Considerando che i colori di questa figura sono quelli tradizionalmente associati al fuoco, non mi pare azzardato affermare che lo stemma oggigiorno proprio di Superman oscilli tra il diamante (con i significati appena detti) e il simbolo eminentemente cattolico del Sacro Cuore di Gesù, che in inglese viene infatti chiamato anche Flaming Heart, cuore fiammeggiante.90 Dato che il Sacro Cuore rappresenta l’amore di Gesù per l’umanità, sembra poi particolarmente appropriato che esso si manifesti soprattutto nei momenti in cui Superman è all’azione, e in cui insomma egli vive più intensamente la sua missione di autosacrificio al servizio degli esseri umani.91 I.5.3 Silver Surfer e i peccati del mondo L’ultimo eroe dalle implicazioni cristologiche di cui non si può non parlare è Silver Surfer. Questi fu ideato nel 1966 da Stan Lee e Jack Kirby per una storia in tre parti che prevedeva lo scontro tra i Fantastici Quattro e l’entità Galactus, un essere cosmico praticamente onnipotente che si sostenta consumando l’energia dei pianeti, e che alla sua prima apparizione si sta preparando a distruggere la Terra.92 Kirby aveva pensato di aggiungere alla storia un araldo per Galactus e aveva presentato

90 Si noti che anche il simbolo della stella sul petto di Capitan Marvel, qualora sia messo in connessione con altri segnali cristiani come accade sulla copertina di The Death of Captain Marvel, può assumere il significato di cuore fiammeggiante. 91 Nei supereroi il lettore cattolico può vedere anche la versione moderna di altre figure tradizionali che ricevono poteri miracolosi quali il volo o l’invulnerabilità: i santi. Il paragone non paia irrispettoso, dato che gli stessi religiosi lo hanno notato. Il padre verbita Lawrence G. Lovasik ha per esempio composto una serie di libretti per bambini sulle vite dei santi, dal titolo Book of Saints: “Super-Heroes of God” (New York, Catholic Book Publishing, 1985), e se per attirare i giovani lettori all’agiografia ha scelto i supereroi piuttosto che altri elementi familiari all’infanzia, questo significa che tra santi e supereroi egli ha trovato delle affinità significative e non imbarazzanti. 92 Stan Lee – Jack Kirby, Fantastic Four, vol. 1, n. 48-50, marzo – maggio 1966, ora raccolti in Fantastic Four Omnibus, n. 2, New York, Marvel Comics, 2007.


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a Lee il disegno di un misterioso surfista d’argento; Lee fu colpito dal suo aspetto nobile e spirituale, da «apostolo spaziale […] di purezza biblica», come scrisse in seguito,93 e chiaramente decise di sviluppare quel potenziale per fare di Silver Surfer un po’ il Cristo della Marvel. Tale ruolo già si può leggere dietro l’originaria trilogia di Galactus. Qui Surfer giunge sulla Terra per conto di Galactus, ma conosciute grazie ad Alicia Masters le qualità del genere umano decide coraggiosamente di ribellarsi al suo padrone, ricevendone come punizione di essere imprigionato sulla Terra. Insomma, anche se in maniera un po’ vaga e riadattata per le esigenze narrative della vicenda, l’idea è che Silver Surfer operi da mediatore tra gli esseri umani e una divinità distruttrice che può essere placata soltanto tramite il sacrificio del mediatore stesso – il quale assolve allora il ruolo del Cristo nel passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento. Con Silver Surfer, poi, la doppia natura umana e divina di Gesù si riflette profondamente in una figura in cui appaiono inestricabilmente fuse la componente fisionomica umana, evidenziata dalla nudità del personaggio,94 e quella spirituale-divina, resa tramite la luminosa pelle d’argento. La natura cristologica di Silver Surfer viene maggiormente evidenziata quando nel 1968 egli diventa protagonista di una propria testata su testi di Stan Lee e disegni di John Buscema. In apertura del primo numero vediamo una capsula spaziale precipitare in fiamme nell’atmosfera (come un amaro richiamo per contrasto alla prigionia terrestre del protagonista) e Silver Surfer precipitarsi a salvare lo sfortunato pilota.95 Dopo averlo soccorso Silver Surfer lo conduce a una portaerei americana dove possa ricevere cure mediche, ma l’esercito, sospettoso della misteriosa apparizione, manda due aerei da guerra ad attaccare l’alieno. Pochi secondi dopo il surfista d’argento sorvola Mosca e Pechino, ma 93 Stan Lee, Son of Origins of Marvel Comics, New York, Simon & Schuster, 1997, p. 230. Il brano è riportato e discusso in B. J. Oropeza, «The God-Man Rivisited: Christology Through the Blank Eyes of the Silver Surfer», in Id., op. cit., pp. 155-69 e p. 154. 94 Silver Surfer è completamente nudo nelle storie originali della trilogia di Galactus e nelle incarnazioni recenti, mentre indossa una specie di costume da bagno (del medesimo colore argentato del corpo) nella serie a lui dedicata a partire dal 1968. 95 Stan Lee – John Buscema, Silver Surfer n. 1, luglio 1968, ora in Silver Surfer Omnibus n. 1, New York, Marvel Comics, 2007.


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anche qui viene accolto a colpi di missili. Queste scene introducono subito quello che sarà un tema fondamentale delle storie successive, ovvero l’odio e la paura degli umani verso il loro stesso benefattore, qui Silver Surfer, i cui interventi di soccorso dell’umanità appaiono dunque di abnegazione e sacrificio assoluti. Lo stesso avviene quando ci viene raccontato il passato di Silver Surfer, di nuovo incentrato sull’idea chiave del sacrificio. Apprendiamo che Norrin Radd (questo il nome originale di Surfer) proviene dall’evolutissimo e utopico pianeta Zenn-la, e che quando Galactus minacciò di consumare quel mondo egli decise di abbandonare la propria libertà (e la donna amata) offrendosi di servire come araldo per Galactus in cambio della salvezza del pianeta. Galactus accetta la proposta e fornisce a Norrin la copertura argentea che lo protegge dai rigori dello spazio, con il «potere cosmico» che gli permette di alterare la materia. Nella tradizione dei supereroi, in cui spesso i personaggi acquisiscono i loro superpoteri per nascita (X-Men), tramite tecnologia (Iron Man) o incontrollabili incidenti (Spider-Man, Daredevil), Silver Surfer spicca in quanto le sue doti speciali sono frutto di una libera scelta di rinuncia di sé e di tutto ciò che la sua vita era stata. Ritorna così modulato in chiave diversa il tema cristologico dell’individuo che si sacrifica per la salvezza di un mondo e che soffre per salvare anche quelli che lo odiano. Nel secondo episodio della serie assistiamo ad altri brevi atti di ostilità umana contro Silver Surfer e ad una nuova grande prova per l’eroe. Quando la razza aliena Badoon attacca la Terra, Silver Surfer non esita un attimo a difenderla, contrastando a colpi di potere cosmico i razzi e i mostri degli invasori; piccolo problema, tutto ciò che è Badoon è invisibile all’occhio umano, per cui gli spettatori della battaglia da terra percepiscono soltanto grandi esplosioni e Silver Surfer che si agita tra di esse, e finiscono così per credere che sia proprio l’eroe ad avere attaccato il pianeta!96 Ed ecco dunque che il premio per avere salvato il pianeta è una volta di più una scarica di missili da parte dell’esercito… Poche storie di seguito, un discendente del famoso dottor Frankenstein crea un sosia di Silver Surfer e, quando questo sosia attacca un villaggio euro96

Idd., Silver Surfer n. 2, ottobre 1968, ora in Silver Surfer Omnibus, cit.


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Mefisto, offeso dalla purezza morale di Silver Surfer, cerca di corromperlo tentandolo con enormi ricchezze. © Marvel

peo, ovviamente tutti credono che il responsabile sia sempre il nostro eroe. A fine episodio, dopo essere quasi morto nella battaglia contro la sua copia malvagia, Silver Surfer medita sospeso a grande altezza sulla Terra: «com’è strano… che io abbia rischiato così tanto… per salvare coloro che mi odiano di più…».97 Insomma, a leggere queste storie di Silver Surfer dei tardi anni Sessanta viene davvero in mente il discorso della montagna: «Beati i pacificatori, perché saranno chiamati figli di Dio! Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli!» (Matteo 5, 9-10). E il richiamo evangelico appare tanto più giustificato 97

Idd., Silver Surfer n. 7, agosto 1969, ora in Silver Surfer Omnibus, cit.


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Il «marchio di Norrin» ispira pace interiore in coloro che lo hanno ricevuto dal surfista morente. © Marvel

se si nota che in una di queste storie il nemico è niente meno che Mefisto, offeso dalla bontà e purezza d’animo di Silver Surfer e preoccupato per i mutamenti positivi che egli potrebbe portare sulla Terra qualora gli umani cessassero di perseguitarlo.98 Mefisto porta dunque il surfista all’Inferno e lo mette di fronte a tre tentazioni: immense ricchezze, donne bellissime e un impero galattico di cui egli potrebbe essere re – se solo, ovviamente, decidesse di accettare Mefisto come suo signore. Al prevedibile rifiuto da parte di Silver Surfer segue una battaglia coi mostri infernali scatenati da Mefisto per vendetta. Insomma la matrice evangelica c’è, e fortissima, ma ben calibrata con elementi avventurosi e se98

Idd., Silver Surfer n. 3, dicembre 1968, ora in Silver Surfer Omnibus, cit.


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quenze d’azione più propriamente supereroici, che permettono alla serie di sfuggire al rigido didattismo.99 I toni messianici che informano la figura di Silver Surfer raggiungono la loro vetta massima nella miniserie Requiem (2007), che come il titolo fa supporre ci racconta la morte dell’eroe.100 Come era accaduto per Capitan Marvel, anche Silver Surfer termina i suoi giorni non in una pirotecnica battaglia contro le forze del male ma a causa di una lenta e inesorabile malattia, che gli offre occasione di riflessione intimistica e meditazione sul senso della propria esperienza. Ritornato su Zenn-la per trascorrervi gli ultimi momenti, il moribondo Silver Surfer diviene oggetto di un vero proprio pellegrinaggio che assume le forme di un rito religioso. Gli zennlaniani vogliono vedere l’eroe che si era sacrificato per il loro pianeta, vogliono ringraziarlo e lasciarsene ispirare, e coloro che si recano da Silver Surfer ricevono, come in una specie di eucarestia, quello che si chiamerà «il marchio di Norrin», una piccola chiazza di luce nel palmo della mano che nei momenti difficili istillerà loro un poco della mitezza e della compassione del surfista d’argento. La saga di Norrin Radd raggiunge insomma una conclusione sia narrativa che simbolica, descrivendo l’esito più naturale della venuta di ogni profeta e redentore, ovvero la condivisione del messaggio, lo sviluppo di un’idea in culto e la sostituzione dell’individuo con una vasta comunità di fedeli. Quelli visti qui sopra sono casi in cui la presenza di un supereroe messianico sembra formulare un messaggio piuttosto univoco di speranza nella redenzione ultima del genere umano – redenzione che Mefisto negli anni Sessanta temeva come possibile e che Silver Surfer a inizio Duemila effettivamente realizza su Zenn-la. Si danno però anche casi interessanti in cui i medesimi materiali di partenza vengono interpretati in modo diverso da altri scrittori, allo scopo di tracciare allegorie religiose di diverso orientamento. L’esempio da fare è la miniserie di Silver Surfer

99 Nella storia speciale Judgement Day Mefisto fa un’offerta che non si può rifiutare: se Silver Surfer gli darà la sua anima, in cambio Mefisto gli permetterà di salvare milioni di persone che altrimenti verrebbero uccise da Galactus. E pur di proteggere gli altri Silver Surfer va oltre il tipico rischio dell’avventura supereroica (venire ucciso) per scegliere volontariamente di condannarsi alle pene infernali. Cfr. Idd., Silver Surfer: Judgement Day, New York, Marvel Comics, 1988. 100 Ora in J. Michael Straczynski – Esad Ribic, Requiem, New York, Marvel Comics, 2008.


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In Thy Name (Nel tuo nome),101 pubblicata pochi mesi dopo la morte dell’eroe in Requiem ma tecnicamente accaduta in precedenza. Qui Silver Surfer viene a contatto con due diverse culture spaziali: gli Ama, aristocratici e longilinei estimatori della ragione che hanno creato una società in apparenza perfetta, e i Brekk, al contrario brutti, tozzi, poveri, impulsivi e devotissimi a una religione basata sull’attesa del secondo avvento di un misterioso messaggero celeste. Nel cui ruolo, manco a dirlo, i Brekk riconosceranno ovviamente Silver Surfer. Attenzione però; c’è dietro l’inganno. In realtà gli Ama, che intendono muovere guerra ai Brekk ma vogliono apparire come gli aggrediti, hanno organizzato gli eventi in maniera tale da far apparire Silver Surfer come il sospirato messia dei Brekk, sperando che ciò infonderà loro tanta speranza da spingerli a dichiarare guerra. A questo scopo, una volta instaurato il culto di Silver Surfer, gli Ama cercano di provocare una reazione violenta nei Brekk rapendo il loro creduto messia e crocifiggendolo (!), con tanto di tavola da surf galattica posta in cima alla croce dove secondo il Vangelo stava l’iscrizione «Questi è il re dei Giudei». Alla fine, scoperti tutti i retroscena, Silver Surfer costringe con la minaccia i capi delle due culture a incontrarsi e a cercare una riconciliazione, ma questi arrivano all’unico accordo di salvare le apparenze dichiarandosi guerra allo stesso preciso momento, accusandosi poi a vicenda davanti ai rispettivi popoli. La storia termina amaramente con Silver Surfer che dal lontano dello spazio contempla le esplosioni del conflitto che non ha potuto scongiurare. Gli elementi tradizionali del Silver Surfer messianico ci sono insomma tutti, ma qualcosa si è guastato, il meccanismo non funziona più. La purezza e l’etica incrollabile dell’eroe vengono adesso manipolate da manovre politiche molto più diaboliche delle inefficaci tentazioni di Mefisto; i simboli cristologici sono privati di qualsiasi valore intrinseco e anzi strumentalizzati per scopi di morte ed oppressione; il sacrificio avviene, con tanto di crocifissione, ma serve a ingannare e non a liberare. Forse ancora più significativo è il fatto che Silver Surfer, che il lettore esperto di supereroi conosce bene come figura redentrice, qui non 101 Simon Spurrier – Tan Eng Huat, In Thy Name nn. 1-4, gennaio – aprile 2008, ristampata in volume con lo stesso titolo, New York, Marvel Comics, 2008.


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I Brekk liberano Silver Surfer crocifisso dagli Ama. © Marvel

riesce a redimere o a salvare un bel nulla, né come messia né come diplomatico. In Thy Name presenta insomma una visione della religione e della devozione molto più cinica e pessimista del pure poco precedente Requiem. I due testi anzi si fanno quasi da complemento reciproco, col primo che mostra il potenziale salvifico di una fede pacificamente condivisa, e il secondo che presenta i rischi derivanti dalle interferenze tra politica e religione, con quest’ultima che diviene freddo strumento di controllo delle masse. L’immissione di questa prospettiva cupa su un personaggio così tradizionalmente stabile e a suo modo rassicurante è forse un minuscolo segno dei tempi all’uscita di In Thy Name, di un primo 2008 segnato ovunque negli Stati Uniti dalla pesante crisi economica, dallo scoramento morale per l’interminabile guerra in Iraq e per la latitanza di Bin Laden, e da


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Starseed morente fa provare ai mostri Marvel la salvezza che avrebbe potuto concedere se essi non si fossero lasciati dominare dai propri istinti. © Marvel

una frustrazione verso l’amministrazione Bush che ormai coinvolgeva l’intero paese, compresi molti repubblicani. Insomma, forse Requiem descriveva le cose come il pubblico le avrebbe volute, mentre In Thy Name si concentrava spietatamente su come esse apparivano al momento. Per analogia di contenuti, non posso non menzionare una sgangherata storia di Legion of Monsters del 1976, davvero di nessuna rilevanza artistica, ma che curiosamente è stata ristampata per ben due volte nel 2007,102 quindi nello stesso periodo e clima di In Thy Name. La storia 102 Bill Mantlo – Frank Robbins, «There’s a Mountain on Sunset Boulevard», Marvel Premier n. 28, febbraio 1976, ora ristampato in Ghost Rider Team-Up, New York, Marvel Comics, 2007, e Legion of Monsters, cit.


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racconta della discesa in Terra di Starseed, una creatura sovrumana dalla pelle completamente dorata (richiamo palese alla figura argentea di Silver Surfer) che, sfortuna vuole, al momento del suo arrivo trova ad incontrarlo solamente alcune tra le creature più inquietanti dell’universo Marvel: il Lupo Mannaro, Morbius il vampiro vivente, Man-Thing (in Italia l’Uomo-Cosa, un mostro di fanghiglia vivente) e lo spirito della vendetta Ghost Rider. Starseed non si preoccupa della stranezza di questo comitato di accoglienza e racconta la propria storia di ultimo rappresentante di un’antica razza che dopo millenni di viaggio per lo spazio ha acquisito una superiore conoscenza e civiltà. Ma, come dicevamo, la sorte ha tramato contro Starseed e le sue intenzioni di condividere i propri doni con gli umani. Man-Thing, Morbius e il Lupo Mannaro non riescono a dominare i loro istinti feroci e attaccano l’alieno praticamente senza motivo; Ghost Rider cerca di fermarli, ma gli assalti dei mostri sono troppo anche per lui, e ben presto Starseed viene sopraffatto. Giacendo al suolo morente, il mancato messia dice: «Questa non è la mia casa; ora lo capisco. Questo è un luogo di dolore… di imperfezione… lo avrei potuto rendere diverso… avrei potuto darvi la speranza!». Con le sue ultime energie Starseed dimostra ai quattro terrestri come avrebbe potuto curarli dalla loro condizione imperfetta, reintegrandoli a completa umanità; ma le forze gli mancano, e i quattro protagonisti ritornano a essere gli sfortunati (ma anche irresponsabili) mostri che erano. Insomma, come con In Thy Name l’arrivo di un messia non è automaticamente motivo di salvezza. La storia esplora piuttosto l’inquietante ipotesi che la corruzione dell’umanità sia talmente «mostruosa» che, anche qualora giungesse dai cieli un redentore, probabilmente non lo riconosceremmo o accetteremmo come tale, finendo per distruggerlo non in un sacrificio necessario ma in un semplice e inescusabile sacrilegio. Insomma anche all’interno della simbologia cristiana, che nel genere supereroico sembra attiva soprattutto allo scopo di compiacere il lettore, possono essere costruiti dei messaggi piuttosto ambigui, non consolanti, che ci invitano a desistere dal facile escapismo di chi vorrebbe lasciare all’eroe-messia il compito di risolvere tutti i conflitti. La questione si può vedere come allegoria laica (gli esseri umani devono salvarsi da soli) e ammonimento politico (diffidate di chi promette felicità in


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cambio di completa devozione), ma anche discorso pienamente religioso, con l’intento di ricordare che non basta che il messia arrivi, ma occorre anche che noi siamo pronti ad accoglierlo, che noi siamo un popolo che si meriti un messia.

I.6 Politeismo e multiculturalità Abbiamo visto che dietro alle decisioni che hanno portato alla formazione dei pantheon supereroici della Marvel e della DC si trovavano in primo luogo due motivazioni di tipo editoriale: (1) creare richiami simbolicamente elaborati ma indiretti a religioni ampiamente praticate oggigiorno, per evitare di offendere gli appartenenti a quella religione o di far sentire esclusi gli altri; (2) nutrire la sempre bisognosa macchina delle pubblicazioni con idee inedite e interessanti, un compito per il quale le mitologie tradizionali si rivelavano splendido bacino di risorse narrative a cui attingere. Gli intenti alla base di questa formula possono essere spiegati in termini esclusivamente commerciali, rispettivamente vendere fumetti a tutti e vendere fumetti a lungo; ciò nonostante, il risultato di queste strategie su decenni di stratificazione seriale e di contributi dagli autori più diversi non è rimasto senza effetti espressivi specifici e ha anzi determinato la formazione di un universo narrativo dal profilo fortemente peculiare e forse non previsto agli inizi, caratterizzato da una compresenza di matrici culturali come nessun altro genere possiede e in cui infatti gli dèi nordici convivono con quelli mediterranei, le Valchirie coi paladini dell’epica medievale, gli sciamani coi golem, le Amazzoni con gli angeli e i diavoli. Si tratta cioè di un universo politeistico vivace e giocoso, immensamente inclusivo e dunque, inevitabilmente, non esente da paradossi. Per esempio, quando il dio Thor afferma esserci un Uno più grande e potente di lui, solo apparentemente ciò dovrebbe rassicurare i monoteisti più intransigenti. Perché si abbia cristianesimo o ebraismo assoluti non basta infatti che sia presente il Dio della Bibbia, ma occorre anche che egli sia l’unica divinità. L’operazione che compie Thor è dunque piuttosto di immettere quell’Uno tra i Molti, o meglio di innestare il Dio


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della tradizione ebraico-cristiana in un ampio e tollerante panorama di posizioni religiose alternative eppure qui miracolosamente compresenti. Magari queste figure mitiche e religiose non andranno sempre d’accordo l’una con l’altra, ma esse presentano il modello fantastico eppure ben definito di una realtà irriducibilmente multiculturale e multireligiosa, in cui tutte le credenze e tutti i punti di vista sul sovrannaturale possiedono la medesima dignità e verità. Non ha cioè senso, nell’universo Marvel, che un prete o un rabbino vadano a dire a Thor che non esiste; piuttosto, essi dovranno trovare le proprie strade per conviverci senza perdere la propria identità, e questo, giustappunto, è il concetto chiave di ogni multiculturalismo. Nel mondo dei supereroi questo porta a una completa separazione tra «stato» e «chiesa», secondo un laicismo pienamente rispettoso di ogni religione, un laicismo che anzi consente di proteggere la fede dalle distorsioni e strumentalizzazioni politiche (vedi In Thy Name) secondo quell’ammonimento che, come ogni buon cristiano sa, si trovava già nel Vangelo: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Matteo 22, 21). Questo parallelismo non oppositivo tra l’ambito religioso e quello civile consente agli eroi di contribuire al bene comune basandosi anche sulla propria fede (per cui ad esempio gli eroi cristiani saranno certi di stare guadagnandosi un posto in Paradiso), ma ciò soltanto nella misura in cui queste convinzioni esprimano valori condivisibili da ognuno e non vengano imposte con la coercizione agli altri.103 Con o senza la consapevolezza degli autori, dunque, la volontaria limitazione delle pratiche religiose alla sfera del privato ha impedito nel mondo dei supereroi la formazione di un punto di vista ufficiale da applicarsi a tutti i personaggi o comunque in base a cui giudicarli. Congruentemente con questi presupposti, nel mondo della Marvel e della DC le forme di proselitismo troppo aggressive vengono regolarmente qualificate come malvagie, sempre opera di criminali, come nel graphic novel X-Men: God Loves, Man Kills (Dio ama, l’uomo uccide), in cui il 103 Anche a livello di personaggi oltre che di mondo narrativo, l’indecidibilità tra diverse prospettive religiose rende poi i supereroi una perfetta base di partenza per il dialogo. Lo sciamano, il prete e il rabbino, in base a quanto detto sopra, devono ammettere che Superman incarni qualcosa in cui tutti loro si riconoscono, un punto di incontro che dimostra quanto essi abbiano in comune.


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Capitan America, invasato dalla devozione per la Dea, cerca di uccidere l’«infedele» Bestia. © Marvel

reverendo Stryker fomenta l’odio verso i mutanti invocando una sorta di crociata religiosa,104 o come nelle più recenti storie degli X-Men dove compare la Chiesa dell’Umanità, un gruppo terrorista a base cristiana che uccide i mutanti perché non sarebbero fatti «a immagine di Dio».105 104 Chris Claremont – Brent Anderson, X-Men: God Loves, Man Kills, New York, Marvel Comics, 1982, da allora continuamente ristampato. 105 Joe Casey – Chuck Austen, Uncanny X-Men nn. 395-399, luglio – novembre 2001, ora raccolti nel volume Uncanny X-Men: Poptopia, New York, Marvel Comics, 2001. Cfr. anche una storia dei Fantastici Quattro del 2005 in cui gli eroi cercano di difendere un alieno perseguitato come eretico dalla re-


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In questo il genere supereroico è un equal opportunity offender,106 in quanto si oppone con uguale determinazione ad ogni tipo di fondamentalismo violento, non importa se generato dall’abuso dell’islamismo, del cristianesimo o di qualche altro credo religioso o politico. L’esempio più adeguato con cui concludere questo capitolo, dunque, è forse il crossover della Marvel Infinity Crusade (Crociata dell’infinito), in cui un’entità chiamata la Dea fa letteralmente il lavaggio del cervello a un gruppo di supereroi dalle profonde convinzioni religiose (Daredevil) e/o morali (Capitan America), trasformandoli in invasati che la aiuteranno in un piano di estirpazione di tutto il male dall’universo – obiettivo che, essendo il male ovunque, la Dea pensa di ottenere attraverso la distruzione dell’universo medesimo. 107 In questa saga, i frequenti scontri tra eroi-fanatici ed eroi che cercano di fermare la grande crociata rende con estrema chiarezza quel messaggio di fondo che, in forma altrove più «diluita», soggiace agli interi universi Marvel e DC: cioè, che per quanto si sia stati eroici nel passato e si sia adesso convinti di star servendo una nobile causa, nel momento in cui ci si mette a chiamare «blasfemi», «infedeli» e «peccatori» quelli che la pensano diversamente, nel momento in cui si rifiuta ogni mediazione e ci si convince che la Divinità sia certamente ed esclusivamente dalla propria parte, si finisce senza scampo per diventare i peggiori dei villains.

pressiva cultura religiosa del suo pianeta – in J. Michael Straczynski – Mike McKone, Fantastic Four nn. 530-531, agosto – settembre 2005, ristampati in Fantastic Four by J. Michael Straczynski, New York, Marvel Comics, 2006. 106 Equal opportunity offender è espressione semischerzosa e ormai comune negli Stati Uniti. Si basa sul concetto di equal opportunity (in Italia ‘pari opportunità’) e indica qualcuno che critica e satireggia esponenti di posizioni anche molto diverse tra loro, «offendendo» così tutti in egual misura. 107 La storia si sviluppa a partire da Jim Starlin – Ron Lim, Infinity Crusade nn. 1-6, giugno – novembre 1993, ma include anche molteplici capitoli apparsi su testate diverse. L’intera saga può essere letta nella sua interezza nelle raccolte Infinity Crusade nn. 1-2, New York, Marvel Comics, 2008-2009.


Il fumetto supereroico

Mito, etica e strategie narrative

® Che cos’è il supereroe? È questa la domanda a cui risponde, con argomentazioni solide e innovative, Marco Arnaudo, docente e direttore del corso di laurea in Italianistica presso la Indiana University. Nei discorsi sulla cultura popolare molta attenzione è stata finora dedicata ai supereroi come genere leggero e d’evasione, ma poca ai significati letterari, simbolici, etici, epici, sociali e a volte perfino religiosi che figure come Superman, Batman, Flash, Wonder Woman, l’Uomo Ragno, Hulk, Thor, Iron Man, Capitan America e i loro colleghi rivestono per i lettori e anche nella società più generale. Cioè la società che magari non legge i fumetti di supereroi ma che i supereroi li conosce tramite i film, i mass media, il racconto collettivo. Attraverso un’arguta e accessibile analisi letteraria, l’autore svela i meccanismi della narrativa supereroica (una vera e propria epica contemporanea) e pone in risalto i principali riferimenti, fra le pagine dei fumetti, alla nascita e riscrittura dei miti antichi, alla sottolineatura delle leggi morali a cui tutti nella realtà siamo chiamati a rispondere, alla crisi della modernità e a molti dei grandi temi del mondo di oggi: salute, economia, terrorismo, moralità.

Copertina: Iena Animation Studios www.ienastudios.com

Euro 13,90


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