Schulz e i Peanuts di David Michaelis

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INDICE

Nota all’edizione italiana, di Marco Pellitteri

VII

Schulz e i Peanuts

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Ringraziamenti Introduzione

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PARTE PRIMA — NORD-OVEST

15 17 25 47 57

1 | Sparky 2 | Famiglia 3 | L’arte di fare la barba 4 | L’Est va a Ovest

PARTE SECONDA — FIGLIO DI DIO 5 | In incognito 6 | Tipi qualunque 7 | Spike e la sua banda 8 | Corso individuale 9 | Da solo

71 73 93 123 133 153

INTERLUDIO MILITARE: 1943-1945

171

PARTE TERZA — AL CUORE DELL’OVEST

199 201 225

10 | Rompere il ghiaccio 11 | Teste e corpi


12 | Fede 13 | Rossochiomate 14 | Saga

235 247 271

PARTE QUARTA — SEMPRE PIÙ A OVEST

285 287 311 333 365 395 413

15 | Verso le Montagne Rocciose 16 | Peanuts S.p.A. 17 | Il richiamo della California 18 | Coffee Lane 19 | Vangelo 20 | Il piccolo Snoopy cresce

PARTE QUINTA — ZENITH 21 | Un brav’uomo 22 | Arena 23 | Dolori 24 | Gioie

PARTE SESTA — UN IMPERO FORMATO DA UN SOL UOMO 25 | Povero piccolo 26 | A passo felpato 27 | La ricerca continua 28 | Missione compiuta

APPARATI Abbreviazioni Interviste dell’autore Note sulle fonti

453 455 473 533 553 569 571 593 607 629 639 639 641 642


INTRODUZIONE

QUANDO CHARLES SCHULZ è morto, ha lasciato dentro alle sue strisce cinquant’anni d’indizi sulla sua vita. Per un uomo ritenuto riservato com’era lui, aveva concesso un numero stupefacente d’interviste, ricolme di dettagli rivelatori e a volte connotate da sorprendente candore. Nella sua vita adulta erano state sue abitudini il porre domande puntute e spesso personali a chiunque incrociasse il suo cammino e la sottile ricerca di una comprensione dei misteri della vita ovunque andasse. Eppure non mostrava il minimo interesse per la comprensione di sĂŠ stesso e per le implicazioni della sua opera. Insisteva sul fatto che la sua serie a fumetti parlasse su di lui e per suo conto. Come molti artisti, Schulz sosteneva di poter essere conosciuto solo attraverso il suo lavoro. Nella quiete del suo studio di Santa Rosa, una piccola cittĂ nella California settentrionale, raccoglieva OH PHPRULH SL SULYDWH H JOL DQHGGRWL SL SHUVRQDOL ULFRGLÂżFDQGROL quotidianamente in quattro (e in seguito tre) vignette a fumetti disegnate con cura. ÂŤUna vignettaÂť, aveva imparato in un corso per corrispondenza negli anni Quaranta, è precisamente un disegno che mostra un pensiero sotto un’altra formaÂť. Tutte le volte che poteva, offriva ai suoi lettori qualcosa di sĂŠ: ÂŤChi legge le mie strisce ogni giorno mi conoscerĂ di certo; saprĂ con esattezza chi sonoÂť. QuelOL FKH OR FRQRVFHYDQR SHU GDYYHUR DYHYDQR FDSLWR FKH HUD ŠGLIÂżFLOH da conoscere, arduo da capireÂť e, come un suo amico ha ammesso, ÂŤnon voleva diventare troppo intimo con nessunoÂť. Un altro amico a cui i suoi modi erano ben noti ha detto: ÂŤgli piaceva pensare di sĂŠ di essere un uomo semplice, ma non era semplice: era enigmatico e


complessoÂť. Si portava appresso un’aria di mistero, un bisogno di riservatezza. La parola piĂš spesso usata per descriverlo, dopo ÂŤtimidoÂť e ÂŤumileÂť, era ÂŤcomplicatoÂť. PARTE DEL MITO di Schulz risiede in quella che era la sua totale autoVXIÂżFLHQ]D 3HU TXDVL FLQTXDQWÂśDQQL VHFRQGR OD OHJJHQGD HUD VWDWR ÂŤil solo essere umano di tutti i tempi che abbia scritto, disegnato, inchiostrato o calligrafato la striscia a fumetti dei PeanutsÂť. Aveva disegnato ogni singola striscia delle totali 17.897 e tutte senza l’aiuto di assistenti. Ancora piĂš importante, non aveva ripreso idee da altri; ogni singola storiella dei Peanuts era sua e solo sua, un piccolo fascio di luce gettato sul mondo, che allo stesso tempo rendeva possibile al fumettista rimanere separato da quello stesso mondo. Per fare quello che faceva aveva bisogno di rimanere da solo, padrone esclusivo del VXR PRGHVWR PD EHQ GHÂżQLWR XQLYHUVR 8QD SHUVRQD SL HTXLOLEUDWD e capace di delegare non avrebbe mai potuto creare il sempre sofferente ma inaffondabile Charlie Brown; l’arcigna, spesso spinosa Lucy; LO ÂżORVRÂżFR /LQXV OÂśLQGRPLWD 3LSHULWD 3DWW\ LO PRQRPDQLDFR GL %HHthoven, Schroeder; e il grandioso, egocentrico bracco Snoopy. ÂŤUna persona normale non ci sarebbe riuscitaÂť, s’è detto di lui. Eppure continuava a ripetere a tutti di essere ÂŤnient’altro che una persona qualsiasiÂť, ÂŤsolo un normalissimo tizio del MidwestÂť, ben poco differente dal ÂŤgiovanotto qualunqueÂť che era cresciuto a St. 3DXO ÂżJOLR XQLFR GL XQ EDUELHUH UHWWR H GHGLWR DO ODYRUR H GL XQD madre a volte distaccata ma in realtĂ sempre dolce e amorevole. La sua ambizione, diceva spesso, era ÂŤpiacere alle persone, come mio SDGUHÂŞ 3HUÂżQR TXDQGR GLYHQQH LO GLVHJQDWRUH GL IXPHWWL SL SDJDWR al mondo ebbe a dire: ÂŤHo avuto un enorme successo? Lo pensate GDYYHUR"ÂŞ 7RUQDYD VHPSUH D HVVHUH LO ÂżJOLR GHO EDUELHUH LO UDJD]]R all’angolo fra la Selby e la Snelling. Ai suoi milioni di lettori appassionati il creatore dei Peanuts appariva come un amichevole conoscente di quartiere: egli stesso ci scherzava su dicendo di sembrare un droghiere. Il nome Schulz deULYD GD XQ WHUPLQH WHGHVFR FKH VLJQLÂżFD ŠVLQGDFR GHO YLOODJJLRÂŞ H in effetti egli si era fatto sovrintendente di quello che il giornalista Walter Cronkite opportunamente chiamò ÂŤun villaggio a fumettiÂť, in grado di esser letto in tutto il mondo. Fu presentato al suo pubblico come ÂŤun amico del mondo, caloroso, con cui ci si trova a proprio agio, familiare e facile da amareÂť. Ovunque le persone sentivano di essere cresciute con lui, di essere state curate da lui durante l’infan10

SCHULZ E I PEANUTS


zia, consolate nell’adolescenza, rasserenate nell’età adulta. Perfetti sconosciuti lo consideravano uno di famiglia. Tuttavia all’apice della fama Schulz si vide rivolgere la domanda, «Si sente disponibile a mostrarsi al mondo intero?», solo per rispondere, contraddicendosi, «Sì, ma non voglio che loro mi vedano». «È QUASI COME SE Charles Schulz fosse morto con un segreto custodito in sé», ha suggerito a suo tempo un giornalista sulle colonne di un quotidiano. Aveva lasciato che il suo pubblico sapesse moltissimo su GL OXL H SHU¿QR VXL Peanuts. A parte il suo aver riconosciuto che Snoopy era stato modellato su Spike, il cane selvaticamente indipendente della sua infanzia, egli lasciò deliberatamente senza risposta qualsiasi domanda circa il fatto che Charlie Brown e Lucy, con le loro rispettive ansie e spigolosità, potessero essere stati basati su modelli reali, negando qualsiasi parallelismo fra le relazioni tra i suoi personaggi e quelle della sua vita privata, alludendo a volte a delusioni personali e imbarazzi nei quali era caduto nel passato, o semplicemente aggirando qualsiasi tentativo d’analogia asserendo che tutti i personaggi erano ripresi da sé stesso: «Sono tutti lati del mio carattere», ebbe a dire. «Se state per creare personaggi a fumetti potete crearli solo a partire dalla vostra personalità. Non potete davvero creare granché osservando gli altri. Non c’è in verità molto da osservare»: un’affermazione sorprendente, da parte di qualcuno in perenne osservazione e dallo sguardo arguto. Disegnare fumetti può essere un’attività intensamente personale ed espressiva. Schulz aveva bisogno di sapere che stava raggiungendo il lettore con la propria voce – quasi come se il suo mezzo di comunicazione fosse stato la radio – perché voleva che il suo pubblico VL LGHQWL¿FDVVH QRQ FRQ OXL PD FRO VXR FDUDWWHUH &RO SDVVDUH GHO WHPpo e con l’espansione del successo dei Peanuts dal consenso iniziale prima diffuso solo tra pochi intenditori – insomma dalla popolarità SUHVVR JUXSSL GL OHWWRUL GL IRUPD]LRQH XQLYHUVLWDULD ± ¿QR DO GH¿QLtivo raggiungimento di un successo universale e trasversale, Schulz cominciò a essere sempre più guardingo circa il fatto che i lettori decifrassero quanto di sé veniva costantemente riversato nelle sue strisce settimanali. Laddove egli inizialmente aveva ritenuto importante il fatto che i lettori pensassero che egli fosse Charlie Brown, nel 1972 cominciò a rispondere, alla classica domanda ricorrente «Charlie Brown è davvero il suo alter-ego?», dicendo, con un sogghigno, «Non proprio, però è una fantasia interessante». INTRODUZIONE

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Dieci anni dopo, la scrittrice Laurie Colwin gli chiese se qualcuno FKH DYHVVH VHJXLWR OD VWULVFLD ÂżQ GDJOL HVRUGL SRWHVVH ŠVFULYHUH XQD YHUD H SURSULD ELRJUDÂżDÂŞ GHOOÂśXRPR 6FKXO] HJOL ULVSRVH FRQ YRFH SDcata: ÂŤCredo di sĂŹ. Ma dovrebbe far sfoggio di tanta immaginazione, suppongoÂť. Un saggista ebbe a salutare la notizia del suo ritiro dall’attivitĂ di fumettista con un’altra affermazione: ÂŤNon possiamo pensaUH DG DOFXQ DOWUR DPHULFDQR SL PHULWHYROH GL XQD ULFHUFD ELRJUDÂżFD in vero e proprio stile “Rosebudâ€?. Ma Schulz, da sempre un maestro della narrativa in (quattro) vignette, ci ha giĂ fornito tutte le tessereÂť.1

E INFATTI LE COSE stavano proprio cosĂŹ: nel 1941, Quarto potere era stato proiettato a St. Paul, al cinema Park Theatre, e un elettrizzato Sparky2 Schulz ne riconobbe immediatamente la grandezza. Negli DQQL HVVR VDUHEEH GLYHQXWR XQD SLFFROD RVVHVVLRQH LO VXR ÂżOP SUHIHrito. Schulz rivide la pellicola piĂš e piĂš volte, forse quaranta: la stoULD GL XQ XRPR SRWHQWH H ULVHUYDWR ÂżJOLR XQLFR GL JHQLWRUL SRFR DIIHzionati, mandato via dalla sua umile casetta nella nevosa prateria e gettato nel bel mezzo della vita metropolitana, dove, allevato da un ricco banchiere, diventa una ricchissima ma solitaria autoritĂ , isolato nel suo immenso castello, Xanadu. Come l’eroe di Welles, Charles Foster Kane, che ÂŤottenne tutto quel che voleva, per poi perderloÂť, Charles Monroe Schulz avrebbe raggiunto un successo superiore a qualsiasi suo sogno d’infanzia, e tuttavia avrebbe sempre lottato per dare e ottenere amore. Per tutta la vita si sentĂŹ solo, e passò la maggior parte dei suoi cinquant’anni di vita adulta cercando di essere accudito e compreso. PerchĂŠ? Se sua madre non lo avesse lasciato suo malgrado quand’e] 1HO ÂżOP Quarto potere (Citizen Kane, di e con Orson Welles, 119’, USA 1941), citato poco sotto, il protagonista pronuncia in punto di morte – una scena mostrata all’inizio della pellicola – la parola ÂŤRosebudÂť, tradotta nell’adattamento italiano della pellicola come ‘Rosabella’. *UDQ SDUWH GHO ÂżOP FRQVLVWH QHOOD ULFHUFD GD SDUWH GL XQ JLRUQDOLVWD GHO PLVWHULRVR VLJQLÂżFDWR GHOOD SDUROD FKH DOOD ÂżQH YLHQH ULYHODWD DOOR VSHWWDWRUH q LO QRPH GHOOR VOLWWLQR GD QHYH FKH il piccolo Kane da bambino aveva amato come sublimazione dell’infanzia spensierata con i JHQLWRUL QHO QHYRVR 0LGZHVW GL ÂżQH 2WWRFHQWR 2 ] Sparky, il soprannome che Charles Schulz si portò dall’infanzia alla tomba, è traducibile come ‘scintillante’, ‘brillante’. 1

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ra ragazzo, sarebbe lo stesso scaturita in lui, e da dove, questa dolorosa sensazione che la cosa di cui più egli aveva bisogno gli era stata sottratta? Ogni volta che Schulz veniva sollecitato a parlare della sua vita, non cominciava mai dall’inizio. Mai dalla sua nascita, il 26 novembre 1922, o dai suoi primi anni, ma sempre dalla morte della madre, il 1° marzo 1943, dalla sua chiamata alle armi e dalla spietata rapidità di quegli eventi: in una sola, fatidica settimana, Dena Halverson Schulz moriva di lunedì, veniva sepolta di venerdì e sabato l’esercito VL SRUWDYD LO ¿JOLR FKLVVj GRYH La storia cominciava sempre con un giovanotto solitario. Un semplice ragazzo condotto chissà dove su di un treno che viaggiava lungo un binario che tagliava sferzante un paesaggio immerso nella neve.

INTRODUZIONE

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SPARKY

Probabilmente non ci rivedremo mai piÚ. —DENA HALVERSON SCHULZ

IL GRANDE TRENO MILITARE, quasi un chilometro di vagoni color verde oliva, si mosse fuori dalla stazione lanciandosi nella bufera. Quel giorno erano caduti sul Northwest pressappoco trenta centimetri di neve e ora, nel breve pomeriggio invernale, una bianca coltre ricopriva i tetti bombati del palazzo governativo di St. Paul e quello a SLUDPLGH GHOOD 7RUUH )RVKD\ OœHGL¿FLR SL DOWR GL 0LQQHDSROLV /D neve separava l’uno dall’altro i due centri urbani, le cosiddette Città Gemelle, rendendo la loro consueta distanza qualcosa di sfumato e non piÚ percepibile. Solo la ferrovia e le strade tracciavano linee nere ben nette a ricongiungerle, in mezzo a quell’abbondante strato di bianco a perdita d’occhio. Nello scompartimento a cui era stato assegnato, Sparky se ne stava sulle sue. Nessuno, del resto, lo conosceva ancora. All’appello il suo nome era stato pronunciato dopo Schaust e prima di Sciortino e, a parte il suo posto nel registro dei nomi della compagnia nella quale era stato inserito, sembrava non avere alcun legame con quegli uomini. Come ebbe a ricordare uno dei suoi compagni di scompartimento, non aveva mostrato alcun interesse nell’unirsi a una qualsiasi conversazione, nemmeno sulle condizioni del tempo. , ¿RFFKL GL QHYH FKH VYROD]]DYDQR IXRUL GDO ¿QHVWULQR FRQWULEXLYDQR semplicemente a confermargli l’idea di essere stato gettato in mez-

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E ora lei non sarebbe piĂš tornata, non sarebbe piĂš stata con lui mentre cresceva; eccolo lĂŹ, una specie di ÂŤcaso umanoÂť, un ragazzino in mezzo a uomini vestiti di marrone militare, molti dei quali, e forse anche lui stesso, non sarebbero piĂš tornati nĂŠ avrebbero avuto modo d’invecchiare, dal momento che si stavano dirigendo, attraverso un freddo pungente, verso qualche ignota destinazione dove sarebbero stati loro consegnati dei fucili e sarebbe stato loro insegnato a uccidere. ÂŤMi chiedo come abbia fatto a sopravvivereÂť, avrebbe detto anni dopo. Aveva sempre risolto i suoi problemi rinchiudendosi in sĂŠ stesso e disegnando. Per lui abbandonare la mano nel disegno con inchiostro di china e un pennino di penna di corvo era la panacea di quasi tutti i mali. Nel suo borsone aveva messo uno speciale taccuino da disegno e delle matite. Per il momento avrebbe potuto scarabocchiare o disegnare le sue istantanee di vita militare; era ancora allettato dall’idea che forse l’esercito avrebbe potuto dargli un incarico XIÂżFLDOH FRPH GLVHJQDWRUH 0D QRQ SRWHYD SL FURJLRODUVL QHOOÂśDPbizione. Il suo antico desiderio, quello di disegnare una striscia a fumetti per i quotidiani, emerso da quella parte di sĂŠ determinata a mostrare quanto fosse diverso e migliore rispetto ai suoi familiari, si era adesso spento, come qualsiasi altra cosa. Questo perchĂŠ, anche se fosse sopravvissuto alla guerra e fosse tornato a casa tutto d’un pezzo, con gambe, mani e tutto, sua madre non sarebbe piĂš stata lĂŹ SHU YHGHUH TXDQWR GRSRWXWWR VXR ÂżJOLR IRVVH LQ JDPED Tutto quello che egli poteva fare adesso era diventare un soldato. Guadagnando velocitĂ , il treno sembrò spazzar via quanto di St. 3DXO HUD ULPDVWR YLVLELOH GDO ÂżQHVWULQR /D 6HOE\ H OD 6QHOOLQJ OÂśLQcrocio della sua vita, scomparvero, inghiottite dalla neve.

SPARKY

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FAMIGLIA

Solo perché uno ha dei parenti QRQ VLJQL¿FD FKH GHEEDQR SLDFHUJOL —PEANUTS

I BARBIERI CHE APRIVANO un negozio nel Midwest di solito gli davano il proprio nome, ma Carl Schulz, quando aprì la sua saletta all’incrocio fra la Selby e la Snelling Avenue, non lo fece. Era la primavera del 1918, un anno dopo che gli Stati Uniti avevano dichiarato la Germania come loro nemico e che la recente mobilitazione della Commissione per la Pubblica Sicurezza aveva inviato agenti in borghese in tutti i bar e altri esercizi commerciali di St. Paul gestiti da tedeschi. Chiamare un nuovo negozio «Da Carl» o «Schulz» più che attirare nuovi clienti avrebbe probabilmente provocato un’azione di SHUTXLVL]LRQH H DFFHUWDPHQWL GD SDUWH GHO JRYHUQR 3HU¿QR PHPEUL di spicco dell’élite di Summit Avenue – i ricchi fabbricanti di strade ferrate, i produttori di birra, gli allevatori e venditori di carni, i costruttori di macchine agricole industriali – avevano preso ad adottaUH QRPL GDO VXRQR DQJORVDVVRQH QHOOD VSHUDQ]D GL VDOYDUH L ORUR ¿JOL «dall’astio associato a un nome tedesco». Carl era nato a Stendhal, nella Sassonia-Anhalt, nella Germania centro-settentrionale, nell’aprile del 1897, unico di quattro fratelli ad essere stato dato alla luce al di fuori degli Stati Uniti. Cresciuto nella fattoria di famiglia a Turtle Lake, Wisconsin, frequentò la scuola elementare tedesca della zona. I suoi genitori non impararo-

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tale controllo della sua mente e del suo corpo. Anche un bicchiere di vino era per lui troppo. Non doveva mai perdere il dominio su di sĂŠ. Pur nondimeno, era convinto che la famiglia di sua madre gli avesse instillato la maggior parte della sua identitĂ di americano di seconda generazione: ÂŤMi sono sempre considerato norvegese, non tedescoÂť. Quando, ogni domenica pomeriggio, tornavano alla sicurezza della città – terminata dunque l’ordalia della visita rituale, almeno per quella settimana – le strade di St. Paul erano sinistramente vuote H IUHGGH 6RWWR XQD OXFH VHPSUH SL ÂżHYROH JXLGDYDQR DIÂżDQFDQGR tetri marciapiedi e casette, dove nulla si muoveva nell’aria gelida, mentre giganteschi e cigolanti giacchioli che incombevano dalle grondaie crescevano grottescamente di dimensioni a mano a mano che il crepuscolo avanzava. Dopo una giornata con la famiglia di sua madre, quest’ultima indulgeva nell’abitudine degli Halverson d’inspirare aria nel pronunciare la parola ya. Pronunciare quella sillaba affermativa inspirando era il modo che il suo clan aveva per dichiarare e accettare che la vita era dura ma, piĂš o meno, che valeva la pena viverla. Mentre Carl posteggiava con padronanza l’auto sul marciapiede davanti casa, Dena ritirava le labbra, ricacciandosi nei polmoni tutto ciò che le dava tristezza e mestizia. E poi, dopo un lungo respiro, si illuminava di nuovo e sussurrava una frasetta affettuosa ripresa da una vecchia canzone: ÂŤDi nuovo a casa, Finnegan!Âť.6

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] ÂŤHome again, Finnegan!Âť, verso tratto da una canzone probabilmente inclusa in una commedia radiofonica cominciata sulla NBC nel 1935, Fibber McGee and Molly (1935-1959). SCHULZ E I PEANUTS



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