Quaderni di ricerche storiche
1째 quaderno 2004
Presentazione “ ...è stato detto che un Paese senza archivio è un paese senza storia, quindi senza civiltà: ridiventerà civile rinsanguandolo con documenti di vita..... Se non ci fossero stati, lungo i secoli che ci hanno preceduti, uomini assillati dalla ossessione di conservare tutto ciò che era capitato, per una ragione o per l’altra, in loro possesso, non potremmo, oggi, sulla base di quei reperti, ricostruire con estrema fedeltà il passato pur lontanissimo. É proprio da quei reperti, testimoni tangibili dell’andare del tempo, filo conduttore, tessuto connettivo di una civiltà, che gli studiosi, con la loro pazienza suffragata, sovente, dall’intuito, trovano la possibilità di ricucire i lembi delle differenti vicende in quell’unica tela che è la storia. Si mettono a confronto i carteggi, si risale alle ragioni che dettarono la necessità di alcune misure, si scoprono i risvolti, cioè, quello che veramente avvenne e non quello che si fece credere fosse avvenuto. Se non v’è cultura senza biblioteche, possiamo affermare con altrettanta sicurezza che non vi può essere argomentazione storica convincente, senza la consultazione degli archivi. Ed è appunto in queste carte, nella sconfinata documentazione della vita pubblica, della storia delle maggiori famiglie patrizie, e di avvenimenti di ogni specie, che si ricostruisce la storia della comunità, perché la memoria dell’opera di coloro che ci hanno preceduto sia tramandata a coloro che ci succederanno. “ In questa pubblicazione chi pensa di trovare un racconto o una storia rimarrà deluso. Quello che viene pubblicato è una raccolta di documenti ed immagini messi in un certo ordine cronologico per dare la possibilità a studenti, studiosi e a quanti vorranno approfondire la conoscenza della storia della nostra città, di avere le basi essenziali per iniziare una ricerca che, per nostra esperienza, non potrà mai dirsi conclusa, c'è sempre un documento o una notizia che ina-
spettatamente appare e che spesso sconvolge teorie o fatti interpretati fino allora in un certo modo. Ci auguriamo quindi che questo primo " quaderno di ricerche ", dedicato alle vicende legate alla fondazione della nostra città, in omaggio ai 65 anni di Pomezia, trovi il gradimento di chi avrà la voglia o la possibilità di consultarlo, anticipando che, per l'abbondanza del materiale già in nostro possesso, tra non breve verrà alla luce un secondo quaderno di ricerche e così via. Mario Bianchi
Pomezia, Aprile 2004
LE PALUDI PONTINE
Carta delle Paludi Pontine di Seuttero - 1660
Un evento storico legato strettamente alla fondazione di Pomezia è la bonifica della palude pontina. Il risultato positivo del bonificamento, ha dato vita a cinque giovani città (Littoria, Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia) che hanno riassunto in se stesse la storia di queste terre, storia che risale al 1200 A.C., allorché vede gli esuli di Troia incendiata, toccare le coste del litorale Pontino, dal Circeo fino a Lavinium (oggi Pratica di Mare) dando così origine a fatti storici frammisti a leggende, che è l'inizio della vita delle popolazioni di quella vasta zona in seguito definito come "Agro Romano-Pontino". Un primo riferimento su questa vasta zona compresa tra i Monti Lepini (o Volsci), il mar Tirreno ed i colli Albani, ce la fornisce lo storico greco Dionigi D'Alicarnasso (morto l' 8 A.C.), contemporaneo di Cesare Augusto Ottaviano ( primo imperatore romano) che nel suo 4° libro, definisce la zona la più vasta pianura del territorio pontino e littorale (Qui omnium camporum agro latino marique contiguo finitimorum maximi erant). Da quell'epoca la regione fu comunemente chiamata Palude Pontina (Pomptinae Paludes) perché essa era già tutta una distesa di terreni permanentemente paludosi. La celebrità della palude crebbe ancor più dopo che la sua estensione raggiunse ragguardevole consistenza (180 miglia quadrate pari a circa 240 kmq) e fu tanto importante che ne cantarono Virgilio Giovenale, Marziale, Orazio, Ovidio, Lucano, Silio Italico, nonché quasi tutti gli storici di Roma antica e dell'età moderna.
Etimologia del Nome Sull’etimologia del nome della celebre palude, molto si è discusso e varie sono le tesi degli esperti sull'origine del nome "Pontino, Pomptinum, Pontinum". Per taluni sembra derivare dall'antica Suessa Pometia, capitale del dominio Volsco. La collocazione geografica di questa città non è mai stata ben definita: Plinio la situò fra Circeo e Terracina; Kirker fra Circeo ed Astura; Cluverio fra Cori e Velletri ed Olstenio fra l'Agro Corano e l'Anziate. Si può in ogni caso ritenere che sia la palude che la stessa tribù "Pomptina" prendessero il nome della Suessa Pometia. Festo nel compendio "De Significatu Verborum" fà derivare il nome della città di Ponza, altra città Volsca, la cui esistenza però non è mai stata identificata se non con l'omonima isola. Resta in ultimo, la definizione latina "Pontus", mare, che si estende lungo tutto il litorale della regione in argomento e che forse, una volta, la ricopriva fino alle falde dei monti Lepini e dei Colli Albani. NOTIZIE STORICHE DEI LAVORI DI BONIFICAMENTO DELLA PALUDE Dai Volsci alla fine del dominio di Roma 404 A.C. Del primo lembo di palude, se così si può definire ci è data notizia storica nel 404 A.C. allorché Tito Livio, il più grande storico romano, nel 4° libro della sua grande opera "Annali", narra come il console Fabio Ambusto assaltò Terracina. Lo storico, infatti, racconta che il console Fabio, mentre fingeva di attaccare Terracina dalla parte bassa, quella paludosa, la faceva simultaneamente attaccare da quella alta (Anxur quae nunc Terracinae sunt, urbs prona in PALUDES, ab ea parte Fabius oppugnationem ostendit). 328 a.C. Con la caduta in mano romana dell'ultima roccaforte volsca, Priverno, la palude incominciò ad ingrandirsi perché i Volsci, decimati e sottomessi alla futura capitale del mondo, non ebbero più la possibilità di mantenere attivi i sistemi di drenaggio (realizzato con una rete di cunicoli rimasti celebri e forse insuperabili) per questo quei piccoli utili pantani denominati "Piscine", utili per la pesca ed altre coltivazioni, cominciarono ad ingrandirsi ed il sistema di drenaggio, non più efficiente, non poté far fronte alle piene dei fiumi e dei torrenti che straripando, invasero la pianura formando stagni e pantani che con il tempo imputridivano. E così la palude iniziò la sua corsa ad una estensione più vasta. Nel frattempo Roma si espandeva e portava le sue conquiste fino ai confini del mondo allora conosciuto, mentre le terre pontine si spopolavano, trascurate ed abbandonate dall'impero Romano, dopo aver versato sangue e fatiche per la loro conquista.
312 A.C. LA PRIMA BONIFICA La potenza Romana che andava estendendosi sentì la necessità di aprire una strada attraverso il suolo pontino: la Via Appia, la "lungarum viarum regina". Le opere riguardanti il riassetto e la selciatura della Via Appia, iniziate da Appio Claudio il cieco, nel 312 A.C. ,sebbene né la storia né la tradizione hanno tramandato un qualche accenno ad un eventuale bonificamento della zona palustre, tuttavia la logica induce a far ritenere che qualche lavoro venisse realizzato, se non altro per l'importanza della strada consolare, soggetta in alcuni punti, ad essere invasa dalle acque paludose. 204 a.C. Il console Marco Cornelio Cetego, che aveva il presidio della provincia pontina, ritenne cosa importante tutelare la viabilità della strada consolare e utilizzando le proprie legioni fece scavare un canale (in seguito chiamato Rio Martino) rasente la strada, in modo da poter evitare l'inondamento del selciato. Questa opera di bonifica doveva essere stata di notevole portata giacché sia Tito Livio, nella sua opera già citata di 142 libri "Rerum Romanarum ad urbe condita libri", nel libro 46° parla di tale impresa e ne fa accenno anche lo storico latino Lucio Anneo Giulio Floro che scrisse un'epitome in 4 libri dove riassume la storia di Roma da Romolo ad Augusto. Ma dalla guerra Cartaginese fino alla dittatura di Cesare, le terre pontine vivono il più completo abbandono. Ostruiti gli alvei dei fiumi dalle erbe palustri, dai tronchi degli alberi portati dalle piene, dalla melma, rotti gli argini, le acque traboccarono di nuovo impaludando nuovamente campi fertili, rendendo ancora una volta dissestata ed impraticabile la Via Appia, irrespirabile e malsana l'aria dei luoghi vicini. 162 a.C. Dopo un secolo e mezzo, la Via Appia era ridotta in condizioni miserevoli ed in più parti le acque della palude invadevano gli avvallamenti della strada consolare corrodendo e guastando la selciatura. 59 a.C. A Caio Giulio Cesare, nominato console, gli fu assegnata la sovrintendenza della Via Appia e per riparare i danni e rimuovere le cause, impegnò considerevoli somme del proprio patrimonio senza comunque riuscire a risanare la zona. La sua ascesa ad Imperatore non gli fece dimenticare gli sforzi e l'insuccesso nel bonificare la zona Pontina. Nel contempo le continue richieste per far cessare i danni e le ruberie sui naviganti, giacché la palude offriva luoghi e nascondigli in cui i ladri vi si ritiravano sicuri, Cesare, mosso dalle lagnanze degli abitanti della regione e rammentando di aver tentato inutilmente un precedente risanamento, concepì un gigantesco disegno per sottrarre dalla rovina le migliori campagne del Lazio. Il suo progetto prevedeva lo scavo di un canale da Ostia a Terracina, attraverso il territorio pontino, un grande canale per immettergli, oltre quelle della piana, le acque del Tevere. Ecco i particolari del progetto come si rilevano dalla "Storia Romana" del MOMMSEN ( lib.V - cap XI - pag 483): "Deviare tutto il corso inferiore del Tevere e invece di lasciarlo scorrere dall'odierno Ponte Molle, tra il campo Vaticano ed il campo di Marte, verso Ostia, dirigerlo attorno al campo Vaticano ed al Giannicolo in linea retta attraverso le Paludi Pontine nel golfo di Terracina. Mercè codesto piano gigantesco erano, d'un tratto, da un lato, moltiplica-
te le occasioni rese rarissime di fabbricare nella capitale in modo che, posto ora il campo Vaticano sulla sponda sinistra del Tevere, poteva sostituire il campo di Marte ed il vasto campo di Marte essere destinato a pubblici e privati edifizi; dall'altro venivano asciugate le Paludi Pontine ed in generale la spiaggia latina, e si procacciava alla capitale un porto di mare sicuro, già da tempo sospirato". Per tale progetto Cesare ottenne dal Senato l'analogo decreto, come ci riferisce Dione Cassio, senatore e pretore di Roma ( che scrisse in greco una storia romana lib. 54) "CAESAR ACCEPISSET UT POMPTINAS PALUDES INJECTO AGGERE COMPLANERET". Ma i pugnali dei congiurati repubblicani posero fine a quest’ardito progetto. Cicerone, mosso da sentimenti di scarsa amicizia verso Cesare, nella terza filippica, sminuisce e ridicolizza questo grandioso progetto di Cesare. Marco Antonio che, al fine di diventare l'arbitro della Repubblica dopo la morte di Cesare, si era atteggiato a vendicatore dell'ucciso dittatore, sapendo che il popolo desiderava il possesso dell'Agro Pontino, assegnò al proprio fratello Lucio Antonio, allora tribuno della plebe, l'incarico di proporre apposita legge per la divisione di quelle terre, come se fossero del tutto libere dalle acque stagnanti, o si potesse comunque recuperare da queste in pochissimi giorni, nonostante momenti così critici per la Repubblica. Salito all'impero Ottaviano Cesare Augusto (n. 63 A.C. m. 14 d.C.) nonostante avesse costatato le tristi condizioni in cui versavano quelle terre, nulla poté fare per redimere quella sfortunata regione, contrariamente a quanto affermano alcuni scrittori moderni, i quali, da un’erronea interpretazione di un passo d’Orazio, attribuiscono ad Augusto il merito di certi lavori compiuti per prosciugare l'Agro Pontino. 54 d.C. Anche sotto l'impero di Nerone continuò lo squallore dell'Agro Pontino, sebbene ne vagheggiasse il prosciugamento, avendo in animo di riannodarlo ad un'opera con la quale si proponeva non soltanto di recuperare dalle acque i terreni inondati, ma anche di provvedere all'incremento del commercio ed alla maggiore sicurezza della Capitale del mondo. Il suo disegno, infatti, più capriccioso che saggio, consisteva nello scavare un canale che partendo da Ostia sarebbe giunto per Terracina fino ad Averno ed al lago di Baia, ma l'esecuzione del progetto fu abbandonata forse per le difficoltà che presentava. 96 d.C. Nerva M. Cocceio, successo a Domiziano nel 96 d.C., ipotizzò la possibilità di ovviare ai gravi inconvenienti derivanti dall'inondamento della via Appia nel tratto non breve compreso tra il Foro d'Appio ed il Tempio di Ferronia, ma solo dopo due anni di saggio governo, la morte gli impedì di compiere l'opera alla quale aveva dato sollecito inizio. 102 d.C. Marco Ulpio Traiano, nel 98 d.C. successe al padre adottivo Nerva, e nel 101/102 d.C. condusse a termine i lavori iniziati dal suo predecessore nel tratto della Via Appia fra Triponzio e Foro Appio. Dopo le guerre contro i Daci ed i Parti, riprese i lavori, con l'intento di migliorare sempre più le condizioni della via Appia. I lavori, infatti, compresero non soltanto il ripristino della Via Appia, che fu alzata dal livello dei terreni circostanti e fatta lastricare per ben 19 miglia, ma compresero anche la costruzione di edifici e di un albergo lungo la strada consolare, oltre alla costruzione di ponti, uno dei quali, il ponte Maggiore, che ancora oggi viene attraversato dall'Appia. I successori di Traiano non provvidero più alle opere di manutenzione ed ancora una volta (sec. V) la palude sforzò e ruppe gli argini ingoiando oltre alla strada, gli edi-
fici. Tutti i territori Pontini riassunsero il misero aspetto della desolazione, ed i fiumi Astura, Ninfeo e Treppia contribuirono all'estensione della palude dall'Ufente all'Amaseno. Da Adriano ad Onorio nessuno più s’interessò dell'Agro Pontino.
IL MEDIOEVO E L'EVO MODERNO FINO AL 1600
Durante l'epoca dei barbari, Teodorico nel 490/493 d.C. (V sec.) volle restaurare l'opera di Cetego. Basilio Decio Cecina, nel 490 d.C. si offrì a re Teodorico di prosciugare la palude e di recuperarne i terreni a proprie spese, chiedendo in cambio la proprietà di tutti i terreni bonificati. L'opera di Cecina dovette rendere buoni risultati tanto che se ne ha documentazione nella celebre descrizione di Mesa, (antica stazione detta “ad medias” perché trovasi alla metà delle 19 miglia della via lastricata da Traiano) che attesta come le acque fossero state ricondotte al mare ed il terreno in gran parte prosciugato. L'efficacia di tali lavori si fece sentire per qualche tempo se, trenta anni dopo, Vitige accampò in questi terreni con le sue truppe e l'enorme numero dei suoi cavalli vi trovò ottimo pascolo. Anche lo storico Procopio, che nel 356 d.C. accompagnava Belisario, poté esprimere, nel “De Bello Gotico” la sua ammirazione per le perfette condizioni della Via Appia e per i verdi pascoli esistenti tra Foro Appio e Posta di Mesa. 500 -1200 d.C. Dal VI fino al XIII sec. non si hanno notizie certe di qualche intervento sulla terra bonificata. Si ha notizia che le calamità e devastazioni che seguirono dopo la morte del goto Teodorico, fecero sì che abbandonate le opere di manutenzione, i fiumi uscirono dai loro letti e rotti gli argini traboccarono nuovamente inondando le campagne, per cui l'acquitrino, i maleodoranti miasmi e la micidiale malaria ripresero il loro antico posto nella pianura pontina. Tutto il territorio verso il 730 divenne dominio della chiesa romana sotto Gregorio II (714-731). Papa Zaccaria (741-752 ) recuperò dai longobardi Norma e Ninfa località che insieme con altre città e luoghi furono occupate più volte dai prepotenti signorotti romani e dagli invasori. Primi fra tutti i feroci Saraceni che perversarono lungo tutto il litorale, da Civitavecchia a Terracina, mettendo in fuga le popolazioni che trovarono pace e rifugio sulle montagne. Tali circostanze favorirono l'abbandono della pianura e tutto divenne nuovamente desolazione. I diversi Papi alternatisi in quel periodo donarono o venderono le lagune o gli stagni ad uso di pesca finché insorsero discordie territoriali fra gli abitanti dei centri circostanti in particolar modo tra Sermoneta e Sezze; ed in particolare tra Priverno e Terracina (1233/1332). 1200 - 1492 d.C. Onorio III ( Cencio Savelli 1216-1227) decise di concedere il diritto ai frati del Monastero di Fossanova di sfruttare i terreni, fra cui i pascoli e selve di Piperno, che rientravano nella zona paludosa.
La decisione del Papa non trovò d'accordo i Pipernesi, i quali con "attentati alle bocche dei fiumi o sugli argini degli stessi cercavano di far invadere i territori dall'acqua". In questo periodo il governo mostrò completo disinteresse verso i territori Pontini nonostante l'espandersi delle paludi; gli stessi abitanti, che risiedevano nella zona, dovettero, a loro spese cercare di contenere l'avanzata delle acque per evitare che le continue inondazioni confondessero i confini delle rispettive proprietà. Eletto nel 1294 Bonifacio VIII ( Benedetto Caetani), dopo l'espulsione dei Goti dall'Italia, fu il primo Pontefice che si adoperò per la bonifica del terreno paludoso facente parte del ducato di Sermoneta, che acquistò dai nipoti Caetani, signori d’altri luoghi limitrofi, quali Frosinone e Velletri. Con un profondo canale raccolse le acque stagnanti che però dilagarono sul terreno di Sezze, accendendo in tal modo aspre contese che durarono fino al 1504, sotto il papa Giulio II ( Giuliano Della Rovere 1503-1513). Con il trasferimento della sede del papa ad Avignone (1309), ben 7 Papi si alternarono senza che alcuno provvedesse in qualche modo alle necessità della regione, e lo scisma iniziato nel 1378, contribuì ancor più al completo abbandono. Terminato nel 1417 lo scisma con l'elezione di Martino V alcuni storici gli attribuiscono ingiustamente meriti per alcuni interventi di bonifica che non hanno mai trovato seri riscontri. Eugenio IV (1431-1477), nel voler dare altra direzione al Ninfeo, ordinò alcuni lavori nella palude, lavori che non furono mai terminati. Anche NICOLÒ V (1447-1455) tentò di riprendere i lavori intrapresi dal predecessore, ma nessun risultato ebbe il bonificamento. CALLISTO III (Alfonso Borgia 1455-1458), convinse i Sezzesi a continuare la fossa iniziata sotto Eugenio IV, ma le contrarietà mosse dai Caietani non riuscirono a far completare detti lavori. A tale impresa non riuscirono né PIO II (1458), né PAOLO II (1464), SISTO IV (1471), che aveva cercato un accordo con i Caietani, per cui l'originale canale iniziato da Eugenio IV non superò mai la località "il Bastione" finché ALESSANDRO VI (1492) richiamò in vigore la bolla di Pio II sulla bonificazione Pontina. EVO MODERNO 1492- 1789 Con la nomina del papa LEONE X (1513-1521), della famiglia dei Medici, il discorso del disseccamento delle paludi riprese corpo. In un primo tempo stabilì che l'impresa sarebbe stata fatta a spese della camera apostolica, ma, cambiato parere, assegnò l'incarico con "motu proprio" il 14 dicembre del 1514, al fratello GIULIANO dè MEDICI, generale dell'esercito della Chiesa, che a proprie spese doveva provvedere al bonificamento in cambio della completa proprietà di tutte le terre che avesse reso coltivabili. I lavori subito iniziati trovarono ostacoli nelle popolazioni locali, che si opponevano alla cessione dei loro terreni, anche se paludosi, che fruttavano dei vantaggi derivanti dalla pesca, dalla caccia, e dal taglio del legname. Ciò era possibile in base allo “Ius Romano” che sanciva il diritto della popolazione locale di poter usufruire dei terreni paludosi divenuti proprietà demaniale. A nulla valsero le proteste delle popolazioni locali e così s’iniziò l'opera. A Giuliano dei Medici si associò nell'impresa Domenico De Juvenibus. I lavori furono diretti dal comasco Giovanni Scotti.
Pare che Leonardo da Vinci (1452-1519) non fosse del tutto estraneo al progetto. È sua una carta delle Paludi Pontine (conservata nella collezione Windsor), dove sono poste in evidenza due vie d'acqua: il Rio Martino, il "Gran Cavo" che da passo S. Donato portava le acque fino al Lago dei Monaci, e il Portatore o canale Giuliano. Proprio grazie allo scavo di quest'ultimo canale si ottenne che le acque stagnanti del fiume Ufente potessero proseguire fino al mare, a Badino, cosicché molte terre ritornarono al sole. Morto Giuliano nel 1516, il Papa concesse l'impresa al nipote Lorenzo de Medici duca di Urbino, ma aspre contese con la popolazione terracinese, fecero sì che dopo la morte di Leone X, i cittadini di Terracina, pentitisi di aver ceduto parte del territorio riemerso, chiusero le foci del Badino con naturale danno dei terreni già recuperati. Sotto PIO IV, gli Altemps, suoi nipoti, acquistarono tutte le terre coltivabili, mentre frate Felice Peretti religioso in Sezze, dichiarava pubblicamente che spettava a lui la coltivazione di tali campi e divenuto Papa nel 1585 col nome di SISTO V, impose un piano di bonificazione totale affidandone l'esecuzione con contratto del 28 marzo 1586, all'architetto Ascanio Fenizi di Urbino. Il Fenizi divise la palude in venti zone, distribuendole tra se ed altre persone, che si erano associate all'impresa. Non tenne conto, anzi trascurò il Rio Martino e si valse del fiume Antico, detto poi Sisto, regolandone il flusso, aumentandone la profondità ed aprendone lo sbocco non lontano dal Circeo, presso torre Olevola, e così le acque stagnanti nei terreni di Sezze e Priverno furono convogliare a mare. A sanzionare l'esito dell'impresa si ottenne un abbondante raccolto tanto da indurre il Papa Sisto V (11 ottobre 1589) a portarsi sul luogo dei lavori ove restò per oltre 15 giorni, visitando l'Agro Pontino. Tornò anche a Sezze ed ammirò dall'alto, seduto su un grosso masso, indicato poi come la "sedia del papa" o la "pietra di Sisto", le terre liberate dalle acque e messe a coltura. Dopo la morte di Papa Sisto (27 agosto 1590), avvenuta probabilmente per malaria, le opere di bonifica furono sospese. Le cause che determinarono in seguito l'inondamento dei terreni furono da imputare ad un errore progettuale del Fenizi, il quale scavò troppo profondamente il fiume Sisto fino al mare ma non per tutta la sua lunghezza e non pensò di potenziare ulteriormente gli argini troppo deboli per contenere le forze delle acque. A determinare l'insuccesso della bonifica di Sisto V, oltre agli errori tecnici del Fenizi, contribuirono in maniera decisiva i seguenti motivi: ... il restante degli argini è malcustodito e soffre continuo l'urto delle acque sparse che finisce d'atterrarli, e quindi sempre cresce, si dilata l'inondazione, e si peggiora ogni giorno la condizione giacche soffrendosi il trasporto della legna, fatto a nuoto dei fiumi, il fondo di questi viene alzato di 10 canne. ..... E quantunque il diametro dei fiumi sia largo fino ad 80 e più palmi, volta da tali passonate si vede ristretto a 12 palmi ed in alcuni siti affatto chiuso con acconci diversi, di modo tale che le acque sono necessitate a superate le ripe, a vagar per le laterali campagne ......" ( Arch Stato Roma Cam II busta I). Le comunità Pontine, desiderando recuperare i perduti diritti, ricorsero a Paolo V Borghese, che dette l'incarico di esaminare tale situazione ad una apposita congregazione di cardinali (1617), senza comunque risolvere il vero problema della bonificazione. Per l'ennesima volta, la mancanza di fondi sufficienti per il mantenimento delle opere fatte, permisero nuovamente alla palude di prender possesso dei terreni coltivati, risparmiando solo la parte a nord del fiume Sisto fino a Terracina.
Ad aggravare la rovina delle restanti zone, si aggiunsero le mai sopite rivalità campanilistiche e, soprattutto, le delittuose azioni dei pescatori che, preferendo una pescosa palude ai terreni coltivati, si diedero a rompere gli argini ed a deviare i canali. A tale disgrazia ed a completare l'opera, intervenne un colossale incendio, durato più di due mesi, provocato dal fuoco dato alle stoppie e propagatosi agli scopeti, ai canneti, ed al bosco ceduo litoraneo a causa del cosiddetto "bitume paludoso". Sotto URBANO VIII, nel 1637 una società di olandesi, abituati per necessità a lottare con le acque e con le inondazioni, chiese di adoperarsi per quest'opera di disseccamento. Urbano VIII credendo possibile tale iniziativa, revocò la concessione ad Ascanio Fenizi, autorizzò l'olandese Nicolò Cornelio de Witt, a riprendere i lavori di bonificazione, ma questi fu colto dalla morte prima di iniziare i lavori. La Camera Apostolica proclamò un editto sulle paludi Pontine per trovare ......"qualsivoglia persona, comunità, o collegio, tanto eclesiastico, quanto secolare, di qualsivoglia stato, grado e condizione" ... che proseguisse i lavori di bonifica". Concluso il papato di Urbano VII, e sfumati i tentativi per prosciugare i territori pontini, venne incoronato Pontefice Innocenzo X il quale, nel 1648, nominò come nuovo bonificatore Paolo Marucelli con la stessa concessione accordata a Cornelio de Witt. Era inoltre previsto il versamento di una cedole di 30.000 scudi che il Marucelli avrebbe dovuto pagare alla Camera Apostolica, ma per aver falsificato la ricevuta del versamento, la concessione gli venne subito revocata. La grande miseria ed il desolato squallore, accompagnati dall'altissimo tasso di mortalità, su un territorio che era stato ricco e fertile proprio alle porte della Città Eterna, attirarono l'attenzione di un altro grande Pontefice. PIO VI ( Giovanni Braschi 1775-1799) subito dopo la sua elezione al soglio pontificio si interessò alla proposta di bonificare la Palude Pontina sia per motivi economici (era infatti seriamente preoccupato di incrementare la produzione agricola per ottenere dei tributi; nel territorio delle paludi infatti, se ne traevano ben pochi) sia per motivi di prestigio che sarebbero derivati dal successo dell'impresa. Indisse il 28 maggio 1775 una riunione della Camera Apostolica sul problema incontrando però opposizioni soprattutto da chi non voleva gravare di "inutili" spese le casse pontificie. Le maggiori difficoltà furono sollevate dai proprietari dei terreni: benché la maggior parte dei lavori gravassero sulla Camera Apostolica questi dovevano partecipare alle spese come contribuenti classificati di primo o di secondo grado. Infatti la regione da bonificare venne divisa in due parti : il circondario interno (Terracina, Sezze, Sermoneta e Bassiano) cioè quel territorio che avrebbe ricevuto immediati vantaggi in quanto veniva sempre inondato e di conseguenza coltivato solo per brevi periodi (primo grado) ed il circondario "a giovamento mediato delle imprese" in cui il territorio era posto fuori dalla zona di bonifica, ma adiacente e che era solo episodicamente inondato (secondo grado). Pio VI si documentò sui tentativi fatti nel passato e notò che avevano tutti un carattere locale ed erano stati effettuati da privati. Capì i limiti di una bonifica per parti e stese un piano per un intervento globale su tutto il territorio Pontino. Più dei problemi tecnici Pio IV si rese conto che il vero ostacolo era costituito da proprietari delle terre; per non creare malcontenti, nominò un commissario legale con il compito di fare deporre ad ognuno di questi le proprie ragioni e di conciliare le molte liti e pretese con compensi economici. Gli accordi furono presi separatamente con ciascuna comunità e con ogni singolo proprietario; la palude era, infatti, per chi vi abitava o per chi se ne serviva nei periodi
non malarici, un'ottima fonte di guadagno. La malaria era quindi la causa principale dello spopolamento dei territori "... in quanto non infieriva solo sull'uomo uccidendolo o debilitandolo, ma con analoga, sebbene non identica specie parassitaria, gli animali utili". L'uomo doveva fuggire sui monti per mettere in salvo la vita e pochi restavano, nello squallore della campagna e nella solitudine delle lestre a guardia di pochi animali bradi e selvaggi. C'erano piccole superfici di terreno fertile e chi possedeva o dei pascoli od esercitava il taglio della legna o la caccia o utilizzava le peschiere, ne ricavava forti profitti, senza pagare tasse. Infatti benché molti Pontefici avessero riconosciuto alle comunità il diritto di prosciugare e quindi coltivare le zone paludose, non vollero quasi mai esercitare tale diritto, limitandosi all'esercizio dei diritti del pascolo, del legnatico e della pesca. Molte di queste attività ed in particolare le peschiere prima causa della formazione di paludi, erano abusive e chi possedeva terreni aveva tutto il vantaggio a renderli paludosi perché esenti da tasse. I vari proprietari terrieri tra i quali i conti Caetani, famiglia che da secoli dominava illegalmente i territori esercitando un potere privato superiore a quello pubblico, facevano in modo che i propri terreni fossero invasi dalle acque (solitamente dopo la mietitura) in questo modo veniva dichiarata la perdita accidentale del raccolto che determinava l'esecuzione del pagamento delle tasse. Inoltre i pescatori di frodo, i legnaioli, i mandriani ed i pecorai, pagavano ai proprietari terrieri un canone d'affitto e dovevano a questi una parte del pesce, della legna, degli animali che allevavano. Si deve quindi alle peschiere ed a chi ne abusava "... senza alcun diritto, il guasto sempre maggiore di quelle terre infelici". Per la realizzazione di queste la tecnica era la seguente: "si restringeva il letto dei fiumi con gettarvi quantità di breccia, e si toglievano anche le pietre dalla via Appia per lastricare il fondo della bocca delle peschiere". In questo modo il padrone delle terre rese palustri aveva una doppia entrata senza pagare alcuna tassa a Roma ed i pescatori avevano di che vivere. Il Papa forte nello jus romano riuscì ad espropriare temporaneamente le terre paludose ed a mandare sorveglianti alle bocche dei fiumi lungo gli argini dal momento in cui iniziarono i lavori di bonifica. Tale diritto sanciva che "(...) al sommerso fondo convertito in lago, o palude, apparterrà sempre al padrone se questi (...) sempre dimostrerà l'animo, che egli ha, di ritenere il dominio, e procurerà di deviare altrove le acque, e di asciugare il fondo. Se poi non fosse nulla di tutto ciò, e se parimenti tale fosse la quantità e la copia delle acque, che per lui non se ne potesse liberare il terreno (...) perderebbe la speranza di usufruire il fondo (...) e perderebbe il dominio". Usufruendo di questo diritto, Pio VI riuscì a riacquisire la proprietà di tutti i terreni paludosi Pontini e, per la prima volta, ci fu un tentativo di una bonifica totale. Fatti esaminare tutti gli scritti e progetti, degli autori antichi e moderni, sulle paludi e su i tentativi di prosciugarle, al fine di trarne gli indispensabili insegnamenti, egli chie-
se al cardinale Boncompagni, che era Legato all'Azienda delle acque nella provincia di Bologna, di mandargli il migliore degli idraulici. Questi fu il bolognese Gaetano Rappini, che, giunto a Roma, visitò unitamente a Ludovico Benelli le paludi, a seguito dell'incarico ricevuto dal Papa, per accertare le cause delle inondazioni, per studiarne i mezzi per il risanamento e calcolarne la spesa. Ad evitare che l'opera avrebbe avuto a soffrire delle controversie, che certamente si sarebbero accompagnata all'impresa, il Papa nominò quale commissario legale, l'avv. Giulio Sperandini, con facoltà altissima, inclusa quella di procedere anche contro ecclesiastici. Lo Sperandini ebbe associati, nell'espletamento del suo mandato, il notaio Gaspare Torriani, il geom. Angelo Sani ed il perito Benedetto Talani. Fu stabilito che fosse fatto carico ai possessori di terreni, direttamente o indirettamente interessati alla bonifica, di corrispondere un contributo proporzionato ai vantaggi che ne avrebbero tratto. La regione interessata alla bonifica fu divisa in "Circondario interno" ed in Circondario esterno", comprendenti il primo i territori di Terracina, Sezze, Priverno e Sermoneta, più direttamente interessati alla bonifica, aventi un’estensione di circa diciannovemila ettari, il secondo i terreni limitrofi ai primi, che, con il disciplinamento delle acque avrebbero risentito di notevoli, anche se indiretti, vantaggi. Il progetto per i lavori di bonificazione fu quello suggerito dallo stesso Pontefice al Rappini con lettera del 19 gennaio 1777, come si rileva dalla relazione che questi inviò al papa nel quale quantificò il problema delle paludi: queste occupavano un'area di 180.000 miglia quadrate, inoltre, con una relazione dettagliata, spiegò il perché delle acque stagnanti e come si fossero potuti prosciugare i terreni. Il primo grave motivo era costituito dalla mancanza di argini nei fiumi. " (...) Nascendo inoltre molta erba palustre nè fondi medesimi, si prendeva il ripiego di farla calpestare dai bufali, che li fanno correre non solo per soddisfare il loro istinto di abbeverarsi, ma anche perché si credeva che il calpestio equivalesse al taglio dell'erba e producesse lo sgombro felice delle acque, quando invece tutto ciò produceva un effetto contrario alzandosi il letto dei fiumi e perdendo l'acqua la sua velocità". Altra causa adotta dal Rampini, era la libertà illimitata di pescare nelle paludi, poiché "si attraversano i fiumi in molte parti con cannucchiate fortificate, lasciando solamente aperta una bocca larga come il sandalo di una scarpa, le acque restando ristrette e trattenute si alzavano e rompevano quei pochi avanzi di argini”. Identificate le cause, il Rampini espose il metodo con cui intendeva risanare le terre paludose. Il canale Linea Pio, scavato parallelamente alla via Appia doveva raccogliere tutte le acque ed essere reso navigabile fino a Terracina che sarebbe diventata il nuovo porto di Roma. Il Rappini chiese il parere di altri due ingegneri bolognesi, Baldini e Zanotti. Questi davanti al Pontefice ed alla Camera Apostolica tennero una relazione sul progetto riconoscendolo come il più idoneo: "Ha provvidamente santità Vostra immaginata con il qui presente Gaetano Rappini, una linea atta a togliere tutte affatto le difficoltà, per la quale ad universale bonificazione della palude, conducono per un solo alveo unite tutte le acque al mare, verrà a dare loro qualcosa che naturalmente si sarebbero presi da sè; il che forse sarebbe seguito a quest'ora, se l'arte non vi fosse opposta". I lavori iniziarono nell'autunno 1777, con la demolizione delle peschiere di Canso, Caposelce e di altre, causa non ultima dell'impaludamento ed ostacolo ai lavori. Fu ripulito, sgombrato dalle sterpaglie e dalle piante, il terreno lungo l'Appia, nel quale
doveva essere scavato il nuovo canale, che, in onore del Pontefice, venne chiamato Linea Pio.
Questo canale, navigabile per la lunghezza di circa ventuno chilometri, dalla località Macerie a Foro Appio, costeggia la Via Appia ed attraversa perciò la palude nel senso della lunghezza Parallelamente s’iniziò anche la costruzione di capanne per gli operai e la costruzione di forni del pane. Sono nominati i "ministri" della bonificazione con diversi incarichi: direttore abbiamo già detto, fu nominato il Rappini il quale doveva fare mensilmente un resoconto di tutto quello che avveniva nei lavori e per le decisioni di grande importanza non poteva operare se non dopo aver chiesta e ricevuta l'approvazione della Camera Apostolica. Il provveditore aveva il compito insieme al grasciere di sapere la quantità di pane che sarebbe stato necessario per il mantenimento settimanale degli operai, inoltre doveva controllare che ognuno facesse il proprio dovere e punire i rivoltosi. Il computista doveva tenere "regolare scrittura" di tutte le spese. Il cassiere consegnava e riceveva il denaro per le paghe e per le spese generali, l'esecutore, braccio destro del direttore, dava disposizioni per i lavori. Il magazziniere custodiva nei magazzini tutti gli strumenti che servivano alla bonifica, il dispensiere doveva fare la ricevuta al fornaio di tutto il pane che veniva mandato. I sovrastanti o caporali avevano l'incarico di tenere occupati gli operai e controllare le loro giornate di lavoro. L'escavazione e trasporto della terra era retribuito a cottimo. Con l'estate del 1778 si fermarono i lavori e gli operai del vicino regno di Napoli e quelli di Ferrara, Bologna e della Romagna assunti per i lavori si stabilirono sulle
vicine montagne. Il motivo era facilmente comprensibile, essendo la zona malarica, nei periodi estivi gli operai abbandonavano le terre paludose. Nell'autunno 1779, Linea Pio fu allungato di altri sei chilometri fino a Tor Tre Ponti; questo tratto prese il nome di Linea Morta. A Ponte Maggiore, il canale fu diviso in due rami: uno si univa al Portatore per scaricare le acque a Badino, l'altro proseguiva per Terracina, ove sboccava al mare. L'incapacità del Linea di mantenere tutte le acque si manifestò ben presto; fu necessario, pertanto, proseguire nei lavori per alleggerirlo. Si provvide a dividere le acque alte e basse, approntando due alvei diversi, indipendenti l'uno dall'altro. Le acque del Ninfa, del Teppia, del Fosso di Cisterna e d’altri corsi furono raccolte nel fiume Sisto, opportunamente ripristinato, e nel Canale delle Mole, scavato ex novo e tributario del Sisto, e per il Fiume delle Volte, nel quale il Sisto si scarica convogliate al mare. Le acque dell'Ufente, del Rio Brivalgo e dell'Amaseno furono convogliate, attraverso il Linea, nel Fiume Grosso o Portatore e, quindi, scaricate a mare nel porto di Badino. I lavori durarono circa vent'anni e, si dice, che solo nel 1780 vi si dedicassero circa 3.500 operai. Liberato l'Agro Pontino dalle acque, il Papa compì nell'aprile 1781 un secondo viaggio e nell'83 il Papa tornò a Terracina e nella prima giornata di udienze ascoltò le lamentele di quelli che reclamavano di essere stati privati dall'appalto sopra i terreni inclusi nel circondario e di essere stati gravati in un altro modo. Nel maggio del 1784 compì un nuovo viaggio e "visti molti lavori abbozzati e non terminati (...) ordinò che tutti si riunissero a terminare il canale di navigazione e con questo metodo si proseguissero i rimanenti ad uno ad uno con maggiore attività". Il rallentamento era dovuto anche agli interessi personali del Rappini. Lo stesso Papa ordinò allora che il contratto d'affitto al Rappini non venisse rinnovato e che i terreni fossero concessi a singoli contadini o gruppi di essi. Il Papa ritornò nella regione Pontina nella primavera del 1786 ed il geometra Angelo Sani gli mostrò i terreni coltivati e seminati; venne anche chiamato da Ferrara l'idrostatico T. Bonatti per controllare lo stato degli alvei dei fiumi. Nel maggio del 1787 il Papa fu di nuovo a Terracina, e in quell'occasione propose la costruzione in questa città di una abitazione per il Vescovo e per il suo vicario, un ospedale, delle pubbliche scuole, una biblioteca. Aveva anche in mente di costruire un acquedotto e di rendere salubre l'aria con piantagioni di limoni, melaranci e pini. Pio VI tornò a fare visita nei territori bonificati nella primavera del 1788 e da allora in poi andò quasi annualmente a controllare i lavori e quando questi furono terminati, a vigilare sul loro mantenimento.
Nella visita del 1791 il Papa decise di convertire le colonie in enfiteusi, ma con l'andare del tempo anche questo provvedimento venne sfruttato da pochi speculatori che, avvalendosi della loro posizione, riuscirono ad ottenere il possesso di vaste estensioni di terreno a danno dei piccoli coltivatori; gli enfiteuti dovevano pagare ogni anno alla Camera Apostolica il canone di tre scudi per trebbia di terreno coltivabile. Liberato l'Agro Pontino dalle acque, fu assicurato lo scolo dei terreni, che ricevevano l'acqua unicamente dalle piogge, con l'apertura di piccoli canali, denominati Fosse Miliari, appunto perchè scavate in direzione dei cippi e le colonnette, le pietre migliare, sulla Via Appia, alla distanza di un miglio l'una dall'altra. Ne furono aperte venti e fu fatto obbligo ai coltivatori dei terreni, per l'interesse della bonificazione, di mantenerle sempre sgombre e spurgate. Per la raccolta delle acque di queste fosse fu provveduto con la cosiddetta Fossa della Botte e con il Canale dello Schiazza. La prima, raccolte le acque dei terreni alla destra del Linea Pio, sfocia nel Portatore, e il secondo, ricevute quelle dei terreni di sinistra, si unisce allo stesso Linea. Sedicimila rubie, oltre ventinovemila ettari, furono così messi a coltura e, per la loro bonifica e il loro mantenimento, fino al 1861 la Camera Apostolica aveva sostenuto spese per circa quattordici milioni di lire, mentre una cifra assai vicina a questa era stata impiegata dal complesso degli enfiteuti per la messa in opera degli impianti agricoli e dell'allevamento. Un solo appunto può essere mosso a Papa Braschi: di non aver saputo assicurare un'equa ripartizione dei frutti della bonifica. Alla spartizione dei poderi intervennero con accanimento accaparratori e speculatori; i seicento assegnatari si ridussero a circa ottanta, mentre una larga fetta, oltre 7.000 ettari, veniva assegnata allo stesso Rappini (quasi 2.000 ettari), artefice della bonifica, ed ai Duchi Braschi-Onesti, nipoti del Papa. Le vicende politiche, in cui fu coinvolto lo Stato Pontificio verso la fine del secolo, determinarono la cessazione delle opere di bonifica. Dal 1792 al 1900 La situazione politica che si venne a determinare a partire dal 1798 nello Stato Pontificio e che con vicende alterne si protrasse fino al 1814 con ripetuti capovolgimenti di potere, determinò per quanto riguarda l'amministrazione pubblica un generale calo di interesse per il problema della bonifica. Nel 1809 l'Ing. Astolfi, allora direttore della bonifica, nel resoconto annuale alla Consulta straordinaria di Governo affermava che "la Bonificazione è rimasta imperfetta in quasi tutti i suoi fiumi e canali. Ho già dettagliato nelle mie "Memorie idrostatiche (...) tutti i lavori che sono necessari nella fossa della Botte, nel canale della Schiazza, nel fiume Sisto, nella Linea Pio, nel fiume Ufente, nel fiume Amaseno, e per l'inalveazione del Teppia (...). E siccome molti dei difetti rimasti tendono ad aumentarsi, e tutti rendono assai gravosa la spesa di manutenzione, così negli ultimi anni si era presa la saggia risoluzione di andare seguendo a poco a poco in ogni anno questi lavori di migliorazione, destinando una somma dai 3 ai 6000 scudi particolarmente per i medesimi, onde rendere stabile la bonificazione delle paludi e diminuire le spese di manutenzione (...). Altrimenti non si avrà che un'opera assai imperfetta, di gravosa manutenzione e sempre pronta a ritornare allo stato di palude". Nonostante la Bonifica non fosse terminata i terreni prosciugati dalle acque erano già stati ceduti in enfiteusi perpetua ad alcuni possidenti anche non del luogo.
I nuovi proprietari dovevano accollarsi le spese di costruzione dei canali di scolo e la manutenzione delle fosse miliari. I terreni che venivano consegnati in alcuni punti non erano ancora disseccati e necessitavano di grossi lavori per essere resi coltivabili. Infatti vi erano vaste zone a macchia, con legname di scadente qualità, aree ricoperte di detriti o di canne e sterpi. "Per renderli sgombri, spurgati e puliti da questo selvoso, che li faceva essere ingodibili ha bisognato che gli enfiteuti li abbian dicioccati da fondo e dissodati ..." Di più la superficie di tali terreni era irregolarrissima ed alzata dall'antico piano con l'opera dei secoli mediante il ricasco delle foglie e legnami fradici di maniera che per lo più palmi sotto la superficie erano composti di materia combustibile detta torba, facile ad incendiarsi ed in conseguenza a sbassarsi di superficie oltre di rimaner una terra bruciata e di pochissima bontà. Lo stato di questi terreni comportava delle spese di lavorazione di gran lunga superiori a quelle abituali e una manutenzione costante per evitare il ricrescere delle canne e dell'erba. Per questi motivi (manutenzione, costo di lavorazione) Pio VI aveva accordato numerosi privilegi agli enfiteuti: e cioè la privativa della tratta libera dei cereali, l'esenzione da diversi tributi, il diritto di panificazione e dello spaccio di vino. PIO VII, all'inizio del XIX secolo, 1800, cercò di avversare il latifondo, di vincolare il contadino alla terra, di migliorarne le condizioni di vita. Assurto al dominio dell'Europa, NAPOLEONE ravvisò la necessità di proseguire i lavori iniziati e condotti da Pio VI e, pertanto, nel 1810, nominò una commissione, composta dal barone De Prony, dal conte Fossombroni di Firenze, dai signori Ivard e Rigaud di Lilla e dall'ing. Desfougeres, con il compito di esaminare e di proporre tutto ciò che potesse contribuire al miglioramento dall'Agro Pontino. Fra questi studi, degna di pregio è l'opera del De Prony (description hidrographique et historique des Marais Pontins - Parigi 1818), dalla quale si rileva come fosse necessario, per riuscire nell'opera di prosciugamento, seguire due sistemi complementari tra loro: quello delle colmate, sostenuto soprattutto dal suo collega Fossombroni, per i terreni più depressi, e quello della canalizzazione già iniziato. La caduta di Napoleone fece si che l'opera rimanesse ancora una volta incompiuta. Il 23 ottobre 1821, Pio VII diede le norme per la costituzione del CONSORZIO DEI PROPRIETARI DELL'AGRO, ispirandosi ai concetti che già aveva previsto Pio VI NEL 1788, ma senza l'esito sperato. Sotto Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, nulla di notevole venne compiuto per la soluzione del grave problema della bonificazione in Agro Pontino. Ancora alla metà dell'Ottocento la zona si presenta agli occhi di Brockedon (un accompagnatore di Ruskin nel suo viaggio in Italia) nel modo seguente: "Gli abitanti che capita talora di incontrare in qualche stazione di posta han tutti un aspetto cadaverico, quanto mai patito e miserabile. Lenta l'acqua scorre nei canali, le malerbe crescono alte e rigogliose, centinaia di bufali sono al pascolo e miriadi di uccelli acquatici oscurano i pantani ove si posano. In questo deserto non si scorge quasi anima viva; di tanto in tanto sbucano alcuni figuri che, vestiti alla maniera dei briganti di Pinelli, spaventano a morte il viandante, finché non scopre che sono i gendarmi pontifici: gli sbirri". PIO IV, eletto pontefice nel 1846, con il decreto 18 giugno 1861, stabiliva la costituzione del Consorzio degli Enfiteuti e Proprietari per le opere di manutenzione della bonifica, che fino allora, erano rimaste a intero carico della Camera Apostolica e quindi della Stato Pontificio, ripartendo, con regolamento emanato il 16/7/1862, la
partecipazione pontificia al 25%, della Provincia di Roma e Frosinone al 15% degli utenti consorziati al 60%. Dal 1870 in poi, ben poco fu fatto, tanto piĂš che le varie leggi, promulgate nel frattempo dal Regno d'Italia, non ebbero poi pratica attuazione. Fu cosĂŹ per la legge BACCARINI (1882) per quella GENULA (1886) e per quella del 1889. In seguito si ebbero altre disposizioni di legge a favore della bonifica, erroneamente intesa soltanto come bonifica idraulica, provvedendo alla sistemazione dei canali e dei fiumi e all'escavazione di un nuovo canale, il DIVERSO-LINEA.
LLAAA B O N F C A O L N A N A BO ON NIIIF FIIIC CA AM MUUUSSSSSSO OL LIIIN NIIIA AN NA A Il 3 maggio 1917 fu sciolta con decreto luogotenenziale, l'Amministrazione del Consorzio Pontino e fu nominato commissario governativo Pier Luigi Serra. Nel 1918, l'ing. MARCHI del Genio Civile di Roma, studiò un progetto, per portare a termine i lavori di prosciugamento, basato sulla separazione delle acque alte da quelle basse. Egli divise la zona in due grandi comprensori: quello di PISCINARA sulla destra del fiume Sisto e quello PONTINO sulla sinistra. Punto fondamentale di questo progetto, oltre alla separazione delle acque, è l'aver previsto il prosciugamento meccanico dei terreni che non potevano scolare naturalmente. Il 10 febbraio 1918 fu costituito il CONSORZIO DI PISCINARA in conformità del Decreto del Prefetto di Roma, datato 21/12/1917. In seguito il Genio Civile di Roma risuddivise i perimetri di competenza dei due Consorzi, assegnando con D.M. n. 3434 del 17-7-1919, al CONSORZIO DELLA BONIFICAZIONE PONTINA la superficie di 27.000 ettari circa di terreno paludoso da bonificare. La bonifica idraulica fu affidata al Consorzio della Bonificazione Pontina, erede dell'istituzione pontificia, e al Consorzio della bonifica di Piscinara, sotto l'unica direzione dell'ing. NATALE L’on. Valentino Orsolini Cencelli PRAMPOLINI. con Vittorio Emanuele III Prampolini, una volta ottenuto lo stanziamento dei mezzi finanziari, predispose la progettazione dei lavori per la bonifica idraulica dei due comprensori, insistendo presso il governo perché provvedesse ad assicurare fin d'allora la valorizzazione delle opere di bonifica nella successiva fase di appoderamento delle terre sottratte al disordine idrico. Con la costituzione del Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, avvenuta con R.D. 129-1929 n. 1661, e con l'istituzione del Sottosegretario per la "Bonifica Integrale", lo Stato italiano dette l'avvio alle più grandi opere di bonifica di tutti i tempi e, fra queste, alla “redenzione dell'Agro Pontino”. L'attuazione di tali opere di "bonifica integrale" fu affidata, oltre ai citati due Consorzi, all'Opera Nazionale per i Combattenti. Il 14/2/1931 - IX il commissario del Governo dell'O.N.C., On. ORSOLINI CENCELLI conferisce con Mussolini per la prima volta sulle paludi pontine. Il 23/5/1931 - IX l’On. Cancelli richiede al collegio culturale l'attribuzione dei 18.000 ettari all'O.N.C,. Il 20/7/1931 avviene il parere favorevole del governo centrale e il 28/8/1931 la firma del decreto reale di attribuzione. Il 28 settembre 1931, il Decreto, fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e nel successivo 3 novembre 1931 si ultimò la consegna per la fase in possesso da parte dell' O.N.C. dei terreni. Il 10/11/1931 hanno inizio i lavori di disboscatura di quasi 8.000 ettari di terreno. Il 1°/12/1931 gara d’appalto lavori. Per mezzo di una serie di canali, fossati ed impianti idrovori, fu eseguita la raccolta delle acque, accelerando il loro movimento verso il mare e lasciando definitivamente libere le
terre (circa 44 mila ettari) ad ovest del Fiume Sisto. Il regime fascista poté comunque parlare di bonifica integrale perché, con i nuovi sistemi di separazione delle acque, anche le canalizzazioni di Papa Braschi subirono sostanziali modifiche, che rivoluzionarono il sistema sia pure già validamente operante nella regione. Nel comprensorio della Bonifica di Piscinara, si provvide innanzitutto all'allontanamento delle acque esterne grazie all'apertura di un grande canale, il Canale Mussolini (attuale Collettore delle Acque alte), lungo circa 40 chilometri. Per il prosciugamento dei terreni non serviti dal canale Mussolini furono costruite due reti distinte di canali facenti capo a due collettori principali: quello delle Acque medie e quello delle Acque basse. Mentre il primo convoglia le acque direttamente al mare, il secondo attraversa la duna quaternaria utilizzando il Rio Martino. Si adottarono particolari provvedimenti per la sistemazione dei laghi litoranei, colmandone le zone limitrofe ed approfondendoli opportunamente. Furono costruiti anche 6 impianti idrovori per prosciugare alcune zone. Nel comprensorio del Consorzio di Bonificazione Pontino il problema più grande che si pose fu quello del sollevamento meccanico delle acque di sgrondo: infatti su una superficie di 27.000 ettari costituenti il comprensorio, furono interessati dal sollevamento circa 15.000 ettari. Fu necessario costruire ben 15 impianti idrovori, tra i quali il più importante quello del Mazzocchio. In quest’impianto furono installate sette pompe ad elica, azionate ciascuna da motori da 510 cavalli, capaci di una portata di 5.000 litri/secondo. Per lo scolo dei terreni situati a quota più alta, furono scavati altri canali o sistemate L’acquaiolo canalizzazioni già esistenti, dando modo alle acque di defluire naturalmente. La sistemazione del fiume Amaseno Portatore costituì una delle opere più impegnative del Consorzio di Bonificazione Pontino. I lavori compresero l'allargamento generale dell'alveo, il rafforzamento delle arginature e la deviazione del corso del fiume per circa cinque chilometri allo scopo di portarlo ad attraversare terreni di maggior quota e di natura migliore. Con tali lavori, circa duemila ettari di terre soggette a cultura intensiva furono liberati dal pericolo costante di allagamenti per rottura o straripamento degli argini, essendo assicurato lo smaltimento a mare delle acque di deflusso. Alla manutenzione dei corsi d'acqua si provvide con moderne macchine diserbatrici ed escavatrici e, in località Ponte Maggiore, fu impiantata un'officina attrezzata per la costruzione di pezzi di ricambio. Il risanamento delle acque diede inizio allo sviluppo di un secondo programma avente lo scopo di eliminare la malaria della regione. La lunga associazione della zona con la malaria si rifletteva sulle abitudini degli abitanti poiché la zanzara "anofele", portatrice di malaria, non vola molto in alto per cui si sviluppò una regolare migrazione giornaliera tra le paludi ed i passi di Norma, Sermoneta, Bassiano, Sezze, Priverno e Fossanova. Inoltre, quei pastori e boscaioli, che rimanevano nella zona paludosa, non uscivano dalle loro "lestre" che nelle ore diurne, rinchiudendosi nel tardo pomeriggio o la sera quando l'anofele era più attiva, usando anche tenere dei maiali
dentro o vicino alle capanne per attrarre le zanzare, che preferivano il sangue di queste bestie a quello dell'uomo. Un altro presupposto per la bonifica fu la costruzione di una valida rete stradale di cui l'Agro Pontino era del tutto privo. Sentieri e viottoli erano gli unici assi di comunicazione tra la maggior parte delle proprietà terriere, esclusa la Via Appia dalla quale partivano, ad angolo retto, una serie di vie "migliare" parallele ai collettori della bonifica di Papa Braschi. Per impedire poi che la palude, una volta prosciugata, potesse divenire steppa, si decise di accompagnare allo sviluppo della canalizzazione e della rete stradale, anche un sistema pratico per l'irrigazione, che permettesse quindi l'uso intensivo della terra. Si ridussero i grandi poderi a piccole proprietà di circa 12/40 ettari, un terzo dei quali doveva essere irrigato ed il restante tenuto a colture foraggiere ed a grano. Ciascuno dei 3.000 poderi, costituiti con l'esproprio delle circa 12 proprietà fondiarie, doveva condurre non più di 20/40 capi di bestiame, ma fu ritenuto utile commisurare, sia la grandezza del podere che il numero dei capi, in modo proporzionale alla consistenza del nucleo familiare, cosicché mediamente la grandezza del podere restò sui 17 ettari. All'ente della Bonificazione Pontina, all'ente della Bonificazione di Littoria ma soprattutto all'Opera Nazionale per i Combattenti fu delegata l'azione per lo sviluppo agrario dell'intero territorio. Si dovettero progettare nuovi assestamenti contrattuali in accordo con la speciale natura della bonifica e l'ambiente dei coloni veneti, emiliani, romagnoli, friulani, marchigiani, e, in seguito, anche italiani profughi dalla Jugoslavia, dalla Romania e dalle terre d'Africa, immesse nei poderi. Furono create e fondate 13 borgate rurali, cinque città (Littoria, Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia) con il preciso scopo di accentrare la popolazione, costretta in un certo senso a vivere disseminata sull'intero territorio, ma solo i servizi necessari alla vita comunitaria. Ciascun centro fu dotato di chiese, scuole, ambulatori, medici, negozi, centri culturali di regime, uffici postali, posti di polizia, oltre al palazzo podestarile per le città principali, con poche abitazioni destinate agli addetti a questi servizi, e la quasi proibizione d’espansione topografica soprattutto per impedire l'inurbamento dei nuovi coloni, e la riproduzione in quei luoghi dello spopolamento delle campagne. Nella zona riguardante il territorio di Pomezia, la bonifica idraulica si riferì ai terreni della proprietà Sforza-Cesarini che comprendeva la fascia costiera dalla zona di Campo Ascolano fino ad Anzio, in particolar modo la zona di Martin Pescatore ( che assume tale nome dalla presenza di notevole quantità di uccelli di questa specie). Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, la maggior parte delle opere ritenute indispensabili, al risanamento ed alla valorizzazione dell'Agro Pontino, erano state tradotte in realtà.
Erano stati costruiti 800 km. di strade di grande comunicazione oltre a 500 km. di vie interpoderali e comunali, 2.400 ponti, 500 km. di canali di scolo, 205 km. di canali irrigui, 15.000 km. di "scoline" e 18 impianti idrovori. In questi 20 anni furono lavorate 28 milioni di giornate, con una spesa complessiva che, includendo il costo di fondazione dei centri urbani, superò i 35 miliardi di lire. Gli effetti di tutto questo lavoro furono distrutti, in gran parte, nei nove mesi che andarono dal settembre 1943 al maggio 1944.
LLAAA G GUUUEEERRRRRRAAA La furia distruttrice della guerra ed il sabotaggio dei soldati in ritirata, fece si che vennero spaccati gli argini per allagare la zona depressa asportando le apparecchiature e le pompe degli impianti idrovori, consentendo in tal modo il riformarsi della paludi.
IILLL D O P O G U E R R A DO OP PO OG GU UE ER RR RA A All'indomani dell'armistizio i due Consorzi e l'O.N.C. si trovarono a dover affrontare difficoltĂ gravissime per la ricostruzione e l'opera di completamento della bonifica, che furono rese possibili, in primo tempo al finanziamento E.R.P. (Piano di Ricostruzione Economica Europea) e, in seguito, dagli stanziamenti predisposti dallo stato attraverso la Cassa per il Mezzogiorno.
MAPPA BONIFICA DELL’AGRO PONTINO
Il pescatore di rane
Nel novembre del 1937, l’O.N.C. bandì un concorso pubblico per l’ultimo centro rurale della Bonifica Pontina che venne giudicato nel febbraio 1938 con un rinvio ad un concorso di II grado. Il verdetto definitivo avvenne nell’aprile del 1938.
E. CARACCIOLO PROGETTO PER IL PIANO REGOLATORE DEL CENTRO COMUNALE DI POMEZIA DA COSTRUIRSI NELLA BONIFICA DI LITTORIA Dalla relazione esplicativa PALERMO – SCUOLA TIP. BOCCONE DEL POVERO 1938 - XVI
Premesse Dei 12.000 abitanti del Comune di Pomezia 9.000 saranno ospitati nelle case coloniche sparse nella campagna ed avranno, come centri normali delle loro attività pratiche e sociali, piccoli nuclei edilizi (borghi) attrezzati per le più immediate necessità della vita. Solo in via eccezionale i 9.000 affluiranno al capoluogo. Questo consta di due nuclei di opere: uno da costruire subito, consistente nei servizi pubblici in funzione dei 3.000 abitanti, previsti agglomerati; l’altro formato dalle effettive abitazioni dei 3.000 da costruire in un secondo tempo. Pomezia assumerà quindi immediatamente il carattere di un nucleo di opere pubbliche in funzione di opere di bonifica ed edilizie squisitamente regionali ed in formazione. In un secondo tempo tale funzione sarà integrata da quella locale, se ed in quanto i 3.000 verranno a risiedere nel capoluogo. Solo questa ultima funzione sarà strettamente materiale, la prima, per la attrezzatura esaminata, è prevalentemente spirituale. Il legame: podere - borghi - capoluogo di comune rimane definito e si estende ancora al capoluogo di Provincia, alla Capitale. Si tratta di nuclei a funzione prevalentemente non
circoscritta ; ma gerarchicamente ordinata. Il capoluogo della Provincia e quello del Comune non si contrappongono alle abitazioni prevalentemente campagnole generando quell'antagonismo campagna-città che è il sintomo più acuto del fenomeno dello urbanesimo; ma armonicamente si inseriscono in un tutto organico, gerarchicamente composto che va dalla casa isolata alla capitale dell'Impero. Ne risulta una necessaria compenetrazione campagna-città, che, aggiungendosi al carattere regionale e spirituale del nuovo centro, ne suggerisce l'insieme murale. A volte la estrinsecazione delle accennate funzioni spirituali richiede speciali mezzi materiali, come quando tutti gli abitanti del Comune confluiscono nel capoluogo, sì che questo, pur con tutte le economie possibili, deve poter assumere una funzione rappresentativa che può assurgere ad interesse nazionale ed imperiale. Ci si riaccosta , in qualche modo, al tipo dei santuari ellenici e dei centri religiosi preromani, non nuclei urbani di grande estensione; ma centri di altissima funzione sociale. Tale riaccostamento ci suggerisce quindi d' abbandonare lo schema urbano rnediovaleggiante a nucleo circoscritto e chiuso, dove, in tre piazze distinte, si esplicano le diverse funzioni urbane; religiosa, comunale e commerciale, quasi indicando tre fattori distinti e spesso avversi , schema che porta alla mescolanza di edifici aulici con edifici di ordinario sfruttamento, e ci riaccosta invece ad un’altra concezione per la quale gli edifici rappresentativi, Chiesa, Fascio e Comune, devono trovarsi spiritualmente uniti fra di loro, ma separati dagli altri edifici, sia pubblici che privati , più strettamente utilitarii. Essi dovranno prospettare in un Foro, centro ideale del Comune, direttamente connesso con la campagna, nel quale devono potersi riunire i 12.000. Separati da tale spazio aulico, ma connessi con gli edifici già detti, saranno ubicati i minori centri utilitari. 1) Sistemazione dei traffico. Il traffico dalla stazione di S. Colomba ( S. Palomba) e da Roma passa a margine del centro urbano. Si è modificato il tracciato della strada attuale in modo che risulti più diretto il percorso verso Littoria che quello verso Pratica di Mare che si inserisce invece come una diramazione. Il centro urbano è separato dalla strada di grande comunicazione mediante spazii a verde di sufficiente profondità. Una strada di 20 m. di sezione si stacca dalla Roma-Littoria, nel senso dei paralleli, e proviene al nucleo delle piazze principali; un'altra di m. 15 nel senso dei meridiani, porta specialmente il traffico da Littoria verso il centro comunale. L'incrocio ad angolo retto delle due principali arterie suggerisce la tessitura viaria sostanzialmente rettangolare ma snodantesi in varii andamenti, onde adattare le vie alla altimetria ed alle direttrici del traffico. Delle radiali mettono in comunicazione la campagna nei diversi sensi, in modo da collegare più direttamente il capoluogo con i borghi eventualmente erigendi. 2) Condizioni igieniche. Le abitazioni si trovano prevalentemente dirette con la maggior dimensione nel senso meridiano. Le strade sono defilate rispetto all'azione dei venti dominanti. 3) Le abitazioni. Oltre un esiguo numero di abitazioni ad appartamenti di tipo semi - intensivo , sono stati previsti tipi edilizi a schiera, abbinati o isolati , riaccostantesi allo ideale della casa, consi-
derato come nucleo edilizio a sè stante, generalmente suddiviso in due piani. Tutte le abitazioni previste sono a non più di due piani e sono inserite in lotti di dimensioni variabili intorno ai seguenti valori mq. 300, 400, 1500 ; ne risulta che il rapporto medio fra la superficie coperta per ciascun lotto e la superficie del lotto stesso è di circa ¼ mentre la superficie totale a disposizione per ciascun abitante è di circa mq. 100. 4) Funzione regionale e locale. La Chiesa, il Fascio, la Casa Comunale prospettano su uno spazio libero che in parte si concatena con la rete viaria venendone quasi a fare parte in una piazza idealmente deli1 mitata dalla Torre Campanaria e dallo Arengario , mentre in parte viene a formare l'ampio sacrato della chiesa. Tale spazio libero è sopraelevato, a seconda della pendenza del terreno, rispetto alle strade circostanti cui si raccorda mediante rampe e scalinate mentre ne è separato mediamente un loggiato rustico. In esso converrà la folla dei 12000 quando sarà chiamata a funzione politica. I porticati praticabili e le logge permettono la più ampia suddivisione e sistemazione delle folle verso l'Arengario. La grande Torre Campanaria segna il centro non solo del Capoluogo; ma del Comune intero. Alla chiesa, su i margini di un ampio spazio a verde, si collega la casa canonica; mentre vicina sorge la scuola, in mezzo al verde, ove ricadono gli impianti sportivi che con la scuola stessa si riallacciano. Anche il Fascio è posto al margine di tale zona a verde, in modo che la O. N. D. e la M. V. N. possano usufruire anche essi degli impianti sportivi. La sede del Partito domina l’O.N.B., mentre da un altro lato si affaccia sul centro agricolo. L'abitante della campagna giunge alla stazione delle autolinee. Questa è posta quasi alla estremità interna della strada di accesso, già descritta, diretta nel senso est-ovest, in sito che fa parte di un complesso spazio libero mediante il quale la campagna si incunea sino il cuore del centro urbano. La stazione di autolinee si trova così in diretto contatto col Municipio, col centro agricolo, su cui sorgono la 0. N. C. e il Fascio e col mercato. Il centro di vita strettamente paesana (caffè, trattoria, cinema, locanda, posta, magazzini) si trova in una larga strada, dall'ampio marciapiede alberato, parallela alla piazza aulica, ma da questa separata dal podio e dal portico rustico. 5) Opere del primo gruppo. La casa del Fascio ed il Palazzo Comunale formano un unico complesso edilizio, che chiude l'angolo nord- ovest della piazza aulica, pur permettendo il transito mediante sottopassaggi per veicoli e pedoni. L'insieme dei due edifici, con le relative torri, imposte dal bando, conchiude uno spazio che mentre si stacca dall'annesso sacrato della chiesa, segna più che una piazza politica quasi un più intimo cortile di servizio ai due edifici pubblici. La casa del Fascio contiene a pianterreno la se della M. V. N. (verso la piazza aulica) la O. N. D. (verso il centro agricolo) le associazioni combattentistiche (all'angolo fra le due piazze). Tutti questi ambienti sono in intimo contatto con gli spazii a verde retrostanti. Al primo piano si trova la sede del Fascio, i sindacati ed il salone delle riunioni, che serve a tutti i diversi uffici. Il Palazzo Municipale contiene al pianterreno l'ambulatorio medico (verso il centro agricolo), l'ufficio imposte, (in diretta comunicazione con la stazione autolinee), uffici dei vigili, magazzini. Al primo piano si accede mediante una scala esterna. Esso contiene ufficio 1
ARENGARIO : sede comunale nelle città dell’Italia settentrionale durante il Medio Evo.
podestarile, segreteria, ufficio amministrativo, anagrafe, ufficio tecnico. L'ufficio anagrafe è collocato in contatto col pubblico in una galleria che si innesta alla loggia fra iI Fascio e la Casa Comunale. Un ampio porticato rustico collega il complesso edilizio Fascio-Comune, alla chiesa, al campanile, alla casa del parroco, alla scuola. Questa, a norma dcl bando, è composta dal raggruppamento della Casa Balilla, Asilo d'infanzia, Scuola Elementare. La capacità necessaria per questa ultima è stata calcolata supponendo che la popolazione scolastica raggiunga il 15 % della popolazione agglomerata. Le dieci aule che sono risultate necessarie sono tutte disposte a pianterreno. A pianterreno sono anche disposte le due aule dell'asilo e la sala di ricreazione. La casa Balilla consta di un'ampia palestra coperta , servizi igienici con docce, sala di lettura e annessi. Le tre parti del complesso edilizio sono fornite separatamente dei necessari locali complementari; usufruiscono tutti della palestra coperta della Casa Balilla. L'ubicazione nel cuore di un grande spazio a verde mentre isola completamente l’edificio permette l'ampio sfruttamento dei campi da giuoco , palestre scoperte , campi sperimentali. L'adozione del piano unico e la sistemazione antistante alle aule permette di trasferire rapidamente la scolaresca e le suppellettili all'aperto. La chiesa può contenere 200 persone sedute, è fornita di un solo altare. Annessa la sacrestia e la canonica. La caserma dei RR. CC. è posta nella grande strada di accesso da ovest, fuori del cuore cittadino e prospiciente, dalla parte posteriore, sul mercato. Al pianterreno sono gli uffici, la mensa e le celle di sicurezza. Al primo piano la camerata per 10 militi e 4 sottufficiali e l'alloggio per il Maresciallo. La sede per la O. N. C. domina la piazza agricola, consta al pianterreno di una serie di magazzini, al primo piano di uffici, al secondo piano rientrato di alloggi per il personale dirigente; altri alloggi sono situati in un blocco edilizio laterale. Degli edifici sopra elencati il bando di concorso richiedeva la progettazione e quindi sono stati descritti brevemente ma analiticamente. Dei seguenti edifici non era richiesta la progettazione, si è quindi pensato solo alla loro ubicazione in funzione urbanistica ed edilizia, prevedendo opportune spaziature volumetriche. Così la trattoria con caffè e bar, la locanda, il cinematografo, i fabbricati di abitazione a carattere semi intensivo, i negozi sono previsti sulla strada, dall'ampio marciapiede alberato, che si trova a meridione del centro aulico separato da questo dal portico rustico e da un podio. Come abbiamo detto tale complesso edilizio forma il centro paesano. Esso è chiuso da una quinta-fondale formata dal palazzo delle RR. PP. La stazione delle autolinee, di testa per il traffico esterno e centro di smistamento per l'interno, è servita da una autorimessa e stazione rifornimenti; presso la strada di accesso 2 da ovest è collocata la officina del carradore e maniscalco. Il cimitero , opportunamente distanziato, trova la sua ubicazione a sud-est del centro urbano. 6) Le opere del secondo gruppo. Constano essenzialmente in edifici di abitazione, le cui caratteristiche sono state enumerate ai num. 2, 3 e in alcuni impianti pubblici non previsti al num. 5 7) Strutture.
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CARRADORE : Artigiano costruttore e riparatore di carri e barrocci.
Murature in elevazione di tufo, medianti di mattoni, solai in cemento armato e forati di cotto, tetti a spioventi inclinati con ossatura portante in listelli di castagno e tegole alla romana. Infissi in legno. Tutti i prospetti sono previsti a intonaco rustico, eccettuati le torri del Fascio (Arengario) e del Comune, in travertino. Ne risulta il massimo impiego di materiali locali. 8) Architettura. Le forme sono spontaneamente sorte dal logico impiego dei materiali locali e sono sottolineate dal caratteristico ritmo cromatico. 9) Spazii a verde e attrezzatura sportiva. Gli spazi a verde, incuneantesi ampiamente sino al cuore cittadino, sono delle vere e proprie propaggini della campagna. Quelli disposti lungo l'arteria di ingresso nel senso est-ovest sono destinati a contenere le fiere, mentre quelli nel settore nord-est conterranno i campi delle feste, dei giuochi e l'attrezzatura sportiva. Abbiamo visto come questi ultimi siano direttamente concatenati con il Fascio, il F.G.C., la sede della M. V. N. della O. N. D., ON. B. e con la scuola. Tali spazi a verde aprono ampia veduta dal cuore cittadino verso i Colli di Roma. File d'alberi costituiscono fasce d'ombre nei due sensi principali e nei luoghi di sosta. 10) Dati riassuntivi ed economici: Superficie totale del centro urbano = AT= 30 ha. Superficie rete stradale = AS = 6 ha. Superficie a verde = AV = 5 ha. Ne risulta : 1
1
=AS / AT = /5 ; = AV / AT = /6 1
Il primo rapporto risulta materialmente inferiore a quello teorico medio (AS/AT = /3) e ciò è dovuto in parte allo speciale carattere del centro urbano ed alla necessaria larghezza di lottizzazione, mentre in parte è dovuto agli stretti criterii di economia impostaci, che ci ha fatto ridurre la rete stradale allo stretto necessario. Facciamo anche osservare che, onde portare al massimo tale economia, le strade principali non sono fornite di marciapiedi sopraelevati ma da strisce pedonali sterrate. Il secondo rapporto, viceversa sembrerebbe superiore a quello comunemente ammesso in via teorica. Si pensi però che nella dizione spazii a verde abbiamo compreso gli impianti sportivi, gli spazii liberi scolastici, il campo delle fiere e delle feste. Si pensi altresì che tali spazi a verde sono delle vere e proprie compenetrazioni della campagna, o prati. Superficie totale degli isolati = AT- AS = Ai = 19 ha. Rapporto fra area coperta in un isolato ed area totale dell'isolato stesso, come dal paragrafo 3, ¼ Superficie coperta = AC = ¼ Ai = 2 4,8 ha. Numero medio dei piani ; n. = 2 Superficie abitabile coperta , complessiva Aa = n Ac= 9,6 ha Superficie lorda, media, prevista per ambiente L = mq. 30 Altezza media per piano = m. 3,70 Numero totale medio degli ambienti = M = Aa/N = 3.200 Cubatura totale C = As x 3.70 = mc. 350.000
Conoscendo che il numero totale degli abitanti previsti è N = 3.000 si hanno i seguenti rapporti t/N = 100 mq/ab. ; Av/N = 20 mq/ab M/N = 1,7 ambienti per ab. = C/W = 129 mc. per ab. Il rapporto ci conferma quanto è stato detto al paragrafo 3 e risulta pienamente conforme ai presupposti teorici relativi ai centri urbani dei caratteri del nostro. Il rapporto =20 mq. per ab. risulta, naturalmente, superiore a quello comunemente ammesso. Valgono anche qui le osservazioni fatte precedentemente a proposito degli spazi a verde. Il rapporto 1,7 ambienti per abitante, fa vedere come siano esaudite le richieste della igiene, che vuole la esistenza di un vano per abitante. (La eccedenza di 0,7 è data dal fatto che nelle nostre cifre sono conglobati gli edifici pubblici). Il rapporto conferma questo fatto. Le analisi delle singole opere ed i preventivi eseguiti in base alle tariffe inviate dallo Ente banditore hanno dato i seguenti risultati medii. L. Costo della costruzione di 1 mc. Di fabbrica, vuoto per pieno Costo della sistemazione delle strade cd impianti pubblici (fognatura, acquedotto, rete di distribuzione di energia) riferito al mq. Di L. strada Costo della sistemazione degli spazii a verde, campi sportivi , pra- L. ti,ecc. al mq. Ne risultano, per i due lotti di opere, il seguente preventivo di spesa :
75,
Strade ed impianti pubblici 50.000 mq. a L.100 L. Costruzioni 350.000 l'le. a L.75 L. Sistemazione spazii a verde, campi sportivi ecc. 60.000 mq. a L L. 30 L. Imprevisti Costo complessivo del centro Urbano L.
5.000.000, 26.000.000, 1.800.000,
100, 30,
2.200.000, 35.000.000,
Ne risulta un costo medio per ab. di L. 12.000, circa Il che attesta la buona economia con la quale l'opera è stata progettata. Il preventivo, ridotto alle opere del primo gruppo, dà i seguenti valori: Strade ed impianti pubblici mq. 20.000 a L. Costruzioni mc. 128.000 a L.75 Sistemazione spazii a verde ed imprevisti Totale costo opere del primo gruppo
100.
L 2.000.000 L. 9.600.000 L. 400.000 L.12.000.000
Come era richiesto nel bando di concorso. Palermo, 16-1-1938 - XVI. Sulle riviste «Urbanistica» n° 4 del 1938 a firma F . Melis e «Architettura» dello stesso periodo, con firma di Plinio Marconi, vennero pubblicati articoli redazionali sul bando di concorso per la realizzazione di Pomezia.
L’identicità degli argomenti riportati sulle due riviste, ci ha indotti a trascrivere di seguito, un collage dei due testi che diano in tal modo la più ampia delucidazione sull'argomento. Il bando era redatto non molto diversamente da quello del concorso di Aprilia. In questo caso peraltro il comprensorio nel cui ambito doveva fissarsi il perimetro dell'abitato era assai più ristretto; ed è meglio, giacché si ricorda che nella prova precedente non poche difficoltà di giudizio erano derivate dall'incertezza degli elementi idonei a determinare la scelta dell'ubicazione della borgata. Le condizioni di viabilità esterna di Pomezia non sono molto dissimili da quelle di Aprilia: anche in questo caso era prescritto che l'abitato dovesse sorgere in corrispondenza o in prossimità dell’incrocio di un'arteria pressoché normale al litorale tirreno, proveniente da Roma e adducente a Pratica di Mare, incrociante la Laurentina: e di un'arteria pressoché ad essa normale, la stessa Mediana non ancora costruita che passa presso Aprilia, la quale, correndo parallelamente al litorale, è destinata ad offrire a Pomezia il collegamento, da un lato con Littoria e dall'altro con l'autostrada Roma-Ostia, presso Acilia e di qui con l 'Aurelia. Di tali due arterie, veri assi principali di viabilità ordinaria attraverso il territorio del nuovo Comune, i progettisti potevano proporre, in prossimità della borgata, leggere varianti in confronto ai tracciati fissati nei documenti di concorso. La popolazione, in base alla quale si doveva proporzionare il Piano Regolatore di Pomezia, era di 12.000 abitanti per tutto il territorio comunale, di cui 3.000 raggruppati nel centro principale. Era precisato che il Piano dovesse corrispondere alle tipiche necessità del capoluogo di un Comune essenzialmente rurale, il cui territorio, ad esclusione degli esistenti boschi cedui di alto fusto, sarà man mano ridotto a coltura agraria con l'appoderamento di tutti i terreni esuberanti ai bisogni della conveniente utilizzazione degli esistenti nuclei di fabbricati rurali.
Progetto per il PIANO REGOLATORE DI POMEZIA La borgata doveva essere concepita in modo tale da consentire due fasi di attuazione: una immediata ed un'altra successiva, in guisa che fin dall'inizio si potesse assicurare al complesso organicità e completezza urbanistiche e architettoniche. Per ciascuna fase erano additati i gruppi di edifici da progettare, e cioè: Primo gruppo a) Casa comunale comprendente anche l'ambulatorio medico; b) Casa del Fascio comprendente anche i locali per la Milizia, il Dopolavoro, i Sindacati e le Associazioni Combattentistiche, con una sala di riunione, di uso comune; c) Casa del Balilla, Asilo d'infanzia e Scuola Elementare, raggruppati e coordinati in modo da semplificare e rendere piu economici i servizi e dar luogo ad agevole uso comune della palestra e del cortile dei giuochi, peraltro senza privarli della necessaria autonomia; d) Chiesa con campanile ed abitazione parrocchiale; e) Caserma dei RR. Carabinieri; f) Sede locale dell'Opera Nazionale per i Combattenti (uffici, alloggi del personale, magazzini cereali, deposito macchine) proporzionata ad un complesso di 360 poderi a mezzadria dell'estensione media di 24 ettari.
g) Edificio postale (con ufficio postale e telegrafico e due alloggi per impiegati) ed annesso centralino telefonico; h) Fabbricati di abitazione, con venti alloggi - in parte di carattere popolare - e dieci negozi vari; i) Trattoria con caffè e bar e qualche stanza per alloggio di forestieri; k) Cinematografo; l) Piccola stazione per autolinee; m) Campo della fiera del bestiame; n) Campo dei giuochi; o) Piazza delle erbe; p) Cimitero; q) Strade e piazze adeguate; r) Acquedotto con serbatoio, fognatura bianca, fognatura nera, impianti elettrici . Secondo gruppo s) Mattatoio; t) Abitazioni di vario carattere, negozi, strade, piazze e pubblici servizi ulteriormente occorrenti a rendere il paese adeguato ad una popolazione agglomerata di 3000 abitanti. Il bando indicava infine, in rapporto all'orientamento delle strade e dei fabbricati, la direzione Sud-Ovest dei venti dominanti. La Commissione di giudizio risultò composta da : S.E. il Presidente dell'Opera Nazionale per i Combattenti, On.le di Crollalanza; dal Segretario Generale dell'Opera, Vicepresidente; dal Presidente della Prima sezione del Consiglio Superiore LL.PP., Ing. De Simone; da S. E. l'arch. Piacentini per l'Istituto Nazionale d'Urbanistica; dall'arch. Aschieri per il Sindacato architetti; dall'Ing. Tadolini per il Sindacato Ingegneri; nonché da vari funzionari dell'Opera Nazionale per i Combattenti. Poiché al primo grado nessuno dei dieci progetti presentati rispose, secondo la Commissione giudicatrice, alle finalità espresse dal bando di concorso, essendosi tuttavia riscontrati particolari meriti nei tre progetti presentati dai gruppi: architetti Giorgio Calza Bini e Roberto Nicolini; ingegneri Vincenzo Civico, Ettore Granelli, Dagoberto Ortensi, architetto Giulio Roisecco; architetti Concezio Petrucci, Mario Tufaroli e ingegneri Emanuele Filiberto Paolini e Riccardo Silenzi; la Commissione chiamo ad una gara di secondo grado assegnando, a titolo di rimborso spese, una indennità di L. 8000 a ciascuno dei tre progetti predetti. Nel concorso di II grado vennero ammessi gli autori dei tre progetti e riportò la vittoria definitiva il progetto Petrucci - Tufaroli - Paolini - Silenzi, che già aveva vinto il concorso di Aprilia ed a cui è dovuto il progetto definitivo della bella cittadina pontina. 1 - PROGETTO VINCITORE
PETRUCCI-TUFAROLI-PAOLINI-SILENZI Al primo progetto Petrucci, Tufaroli, Paolini e Silenzi erano state mosse, dalla Commissione giudicatrice, alcune osservazioni che citiamo integralmente: « Il piano corrisponde bene nei riguardi dello sfruttamento panoramico e dell'orientamento e disposizione degli edifici di abitazione. Nei riguardi del nucleo centrale si osserva una artificiosità nella composizione e nei raggruppamenti dei vari edifici, soprattutto nella ubicazione di quelli più affollati (scuola, associazioni giovanili, cinematografo) disposti lungo la strada fondamentale; ciò che rende poco frequentata la piazza principale, la quale è fin troppo aperta ed esposta. La Chiesa, sia venendo da Littoria che da Roma, si presenta dalla parte dell'abside, invece che dalla parte della facciata principale». «Dal lato architettonico, mentre il carattere rurale è bene inteso (specialmente nei due edifici principali e soprattutto nella Chiesa) risulta eccessivo e poco rispondente ad un centro cittadino per quanto rurale negli altri edifici. Si ravvisa inutile lo scalone della piazza principale discendente verso la campagna». Tenendo conto di tali osservazioni i progettisti hanno portato nel loro secondo progetto alcune modifiche che migliorano sensibilmente il loro primo studio. Tali modifiche consistono: 1° Nello spostamento del nucleo centrale verso oves t, in modo che la strada di penetrazione da Roma, pur seguendo il tracciato del primo progetto, raggiunga la piazza lambendo il lato di levante (belvedere) così che la Chiesa si presenta di fronte a chi viene da Roma o da Littoria. Risulta inoltre eliminata la baionetta che tale strada faceva nel primo progetto prima di raggiungere la piazza, e viene notevolmente ridotto l'eccessivo dislivello tra la piazza e il giardino sottostante, per cui sono eliminate le costose scale di accesso al giardino e risulta più economica la costruzione dei due fabbricati che inquadrano, dalla piazza, il panorama dei Colli Albani. 2° Nel prolungamento della strada fondamentale oltr e la piazza, in modo da consentire un più facile accesso da Littoria e dalla strada di appoderamento. Il prolungamento è in asse con il tronco proveniente da Roma e ha richiesto un lieve spostamento del Palazzet-
to Comunale verso ponente, così che la torre civica, diversamente da quanto si è fatto a Sabaudia, a Pontinia e ad Aprilia, rimane sul lato della strada e non in asse con questa. 3° Nella chiusura della piazza verso ponente con un corpo di fabbrica destinato a sede dell'ufficio postale, collegato al palazzetto Comunale da un portico. In questo largo sbocca la strada di spina del quartiere di ponente, che costituisce il collegamento diretto con la Mediana e con Pratica di Mare. La piazza, un poco più grande di quella d'Aprilia, è rimasta fondamentalmente identica a quella del primo progetto, ma è più raccolta e soprattutto, nella sua nuova concezione, ha permesso di eliminare tutti quegli slarghi e piazzette che disordinano oziosamente la planimetria del centro. Giustamente i progettisti hanno pensato che, in un così piccolo centro rurale, il concetto puramente teorico di più piazze (centro civile, religioso, educativo-sportivo ecc.) non è conveniente e assai meglio risponda in concetto della piazza unica, che veramente rappresenti il cuore del paese. Questa e le altre poche modifiche di alcuni edifici consentono infine di organizzare il primo nucleo di costruzioni, previsto nella spesa di dodici milioni, in modo più completo e raccolto. La superficie urbana del centro Comunale di Pomezia è stata calcolata nel modo seguente: Abitanti 3.000 quindi a vani 3.000 (1 ab. per vano). Superficie media del vano mq. 30; superficie coperta, con una media di due piani: Rapporto fra la superficie coperta la superficie destinata per orti e giardini privati = 1 : 3,3; superficie orti giardini privati mq. 148.500; superficie totale degli isolati: mq. 45.000 + mq. 148.500 = mq. 193.500 Calcolando la superficie dei lotti corrispondenti al 60% della superficie totale dell'abitato, comprendendo nel rimanente 40%, le piazze, le strade e i giardini pubblici, l'area totale dell'abitato risulta di mq 322.200 (ettari 32 circa) ossia una densità di 100 abitanti ogni ettaro circa. Con ciò l'addensamento generale degli abitanti nella borgata è di 3.000 ab. : 32 Ha = 93 ab.Ha circa, densità ottima, dato che il tipo di edificazione prevista; se mai piuttosto notevole, tenuto conto che, nelle condizioni attuali, in Italia, anche città di una certa grandezza non la superano. La rete stradale è orientata, in prevalenza, secondo due direzioni costituenti un sistema ortogonale che ruotato verso ovest di circa 15° W r ispetto ai punti cardinali principali. Tale disposizione del sistema stradale è stata accuratamente studiata tenendo specialmente conto della durata dell'isolazione nelle varie stagioni, così che tutti i fabbricati allineati lungo tali strade hanno prospetti soleggiati per alcune ore del giorno, come risulta dal diagramma disegnato sulla planimetria generale. In questo diagramma è facile notare come la migliore disposizione dei fabbricati sia lungo le strade in direzione nord-sud, che hanno nel piano maggior sviluppo e ne determinar la forma complessiva. Rispetto al vento dominante, proveniente da sud-ovest, tutta la rete stradale è bene defilata.
Ubicato e stabilito l'orientamento principale del centro Comunale come è stato detto, il piano regolatore si sviluppa ai lati delle due grandi strade di penetrazione che conducono alla piazza. Maggior sviluppo si ha ad ovest della strada che proviene dalla via della Petronella (immediata comunicazione verso Roma) e che, dopo aver attraversato la piazza, conduce all'appoderamento ed alla Mediana, innestandosi con un allargamento, alla strada progettata a sud di Pomezia. Ad est e a sud il piano è delimitato dall'andamento stesso del terreno, che scende rapidamente formando una ampia valle, sulla quale si affacciano la piazza del Comune e tutto l'allineamento delle abitazioni disposto su ampia curva. Dal ciglio di detta valle, lungo la quale trovasi la strada di penetrazione da Roma, si apre il panorama della campagna romana e dei colli. Disposto secondo il miglior orientamento è stato ubicato il campo dei giochi, prevedendo l'eventuale costruzione di tribune. Un ampio piazzale alberato è stato disposto alla periferia per la fiera e per le feste. La sezione delle due strade che costituiscono l'ossatura principale della rete urbana è di m. 16. Le altre strade di lottizzazione hanno sezioni differenti a secondo del loro sviluppo e in dipendenza dei tipi di fabbricati che vi prospettano: quelle di maggior importanza hanno sezione di ml. 10 compresi i marciapiedi, le altre sezioni di ml. 7 senza marciapiedi, ma con scoline laterali, e arretramento dei fili di fabbricazione di almeno ml. 4 per parte. Lungo le strade di lottizzazione sono previste case a schiera con giardino di prospetto e orto posteriore. Sono ancora previste, sul lato ad est della strada di penetrazione da Roma, e nella parte sud del piano, casette abbinate con ampio orto giardino. Detto tipo e stato anche adottato in considerazione dei dislivelli del terreno. Le caratteristiche costruttive seguono, come spirito e come scelta di materiali, i criteri collaudati nel precedente esperimento di Aprilia. Eliminate giustamente le gabbie in cemento armato e le grandi aperture con piattabanda armata, le strutture verticali sono tutte in muratura mista di pietra di tufo con cordoli di mattoni, le fondazioni continue a sacco, i solai del tipo misto in cemento armato e laterizi, le coperture a tetto con tegole e canali alla romana. Le strutture a volte sono state previste soltanto per la copertura dei portici: la loro adozione per i solai sul pianterreno avrebbe richiesto un notevole aumento nello spessore delle murature ed una maggiore altezza di piano con conseguente maggior spesa complessiva. I materiali di parametro sono il tufo, l'intonaco lavorato, la pietra « sperone », il mattone e il travertino. Gli esterni sono semplici, ben composti e intonati all'ambiente. L'esperimento di Aprilia appare proseguito e migliorato nel senso di una maggiore aderenza al tema nello studio delle piante.
Il piano è indubbiamente buono, felicissimo come disposizione sul terreno, chiaro e ordinato: secondo noi anche migliore di quello di Aprilia. 2° PROGETTO : CALZA BINI – NICOLINI Il progetto Calza Bini-Nicolini ripropone, con qualche concessione, la caratteristica forma lineare del progetto presentato al concorso del piano regolatore di Aprilia e da noi già allora commentato con evidente simpatia. Nella loro relazione al concorso di primo grado i progettisti notano acutamente: «Data la richiesta del bando di concorso di progettare un piano per 3000 abitanti, viene spontaneo di chiedersi di qual genere saranno gli abitanti accentrati in detta città: non contadini i quali hanno il fondo sufficientemente esteso da lavorare ed hanno la loro casa colonica con i rispettivi poderi; non operai che l'industrie non sono previste né adatte alla zona, né altro genere di abitanti all'infuori di qualche impiegato, artigiano o bracciante potrà trovare mezzi di lavoro e di sostentamento tali da richiedere così un eccessivo sviluppo a quello che nello spirito era del bando è indicato come «grosso borgo rurale». È solo quindi quel complesso di servizi pubblici, assistenziali e sociali necessari alla vita e all'accentramento amministrativo di un vasto comprensorio di poderi, i cui abitanti vivranno più o meno sparsi ed avranno modo di ridursi solo in determinati giorni e in determinate ore nel centro cittadino. Perciò la sproporzione degli edifici richiesti per il primo nucleo, quasi esclusivamente pubblico, e quelli dello sviluppo ipotetico appare evidentissima nei precedenti casi dei piani regolatori. 3° PROGETTO : GRANELLI-ORTENSI-ROLSECCO Il progetto Civico, Granelli, Ortensi e Roisecco è un buon progetto urbanistico, condotto con indubbia capacità, ma, poco aderente al terreno, trascura le risorse dell'ambiente e si presenta come uno studio un poco astratto e svogliato. Corretto negli schemi, viarii e nelle lottizzazioni, presenta una piazza centrale a schema di L in cui l'artificio è appena mascherato, anche se nella seconda edizione si noti qualche miglioramento. L'architettura non ha carattere unitario.
Da lodare il quadrato delle arterie alberate create intorno agli edifici del primo gruppo che dà una certa elasticità al piano d'ingrandimento e ne facilita la saldatura avvenire. L'orientamento e lo schema del piano urbanistico è simile a quello del progetto premiato, ma il suo sviluppo ha perduto la felice forma allungata del primo e si dilata in senso est ovest. Da un pro memoria dell’Opera Nazionale Combattenti del maggio 1935, inviata al Capo del Governo, così riporta: Nel discorso per la fondazione di Pontinia, V.E. ha annunciato che il 27 Ottobre XIII sarà fondata Ausonia e un anno dopo Aprilia. Non risalta dagli atti dell'Opera che questi nuovi centri Comunali debbano sorgere in Agro Pontino - dove Littoria, Sabaudia e Pontinia si ritengono sufficienti, per molti anni ancora, all'assestamento amministrativo del territorio riconquistato all' agricoltura. Risulta, invece, che nel dicembre 1932-X, nel riferire a V. E. circa un possibile estendi0 mento dell'azione dell'Opera in Agro Romano e precisamente nel 5 Circondario, delimitato in azzurro nell'unita carta, l'On. Cencelli proponeva fra l'altro la costruzione di due centri comunali, segnati in rosa nella carta stessa, in località Campo di Carne e in prossimità di Pratica di Mare. Si fa presente in proposito che un intervento immediato dell'opera in Agro Romano sarà possibile soltanto in quei terreni i cui proprietari siano dal Ministero di Agricoltura dichiarati inadempienti alle notifiche per la trasformazione fondiaria ad essi fatte in precedenza. Pertanto, ove sia in massima confermato da V.E. che Ausonia ed Aprilia dovranno sorgere in Agro Romano e quanto è possibile vicine alle località suindicate, l'Opera chiederà al Ministero dell’ Agricoltura la segnalazione dei terreni ove potrà subito intervenire e conseguentemente avanzerà a V.E. proposte definitive circa l’ubicazione dei detti centri comunali. Ne deriva quindi che fino alla data della lettera, risalente al maggio 1935 nessun impegno per la costruzione di Pomezia era stato preso.
DECRETO ISTITUTIVO E ATTI PARLAMENTARI
Vittorio Emanuele III Per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia Imperatore d’Etiopia Veduto l’art.3, n.2 della legge 31 gennaio 1926 – IV, numero 100
Ritenuta la necessità urgente ed assoluta di provvedere alla costituzione di un nuovo Comune con denominazione Pomezia; Udito il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro Segretario di Stato per gli Affari dell’Interno;
Abbiamo decretato e decretiamo: Articolo unico E’ costituito il Comune di Pomezia, la cui circoscrizione comprende la parte del territorio del Governatorato di Roma delimitata in conformità della pianta planimetrica annessa al presente decreto e vidimata, d’ordine nostro, dal Ministro proponente;
Non si farà luogo a riparti patrimoniali e conguagli di attività e passività fra il nuovo Comune di Pomezia ed il Governatorato di Roma. Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Capo del Governo Ministro per l’Interno, è autorizzato alla presentazione del relativo disegno di legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 3 giugno 1938 – Anno XVI Vittorio Emanuele
Mussolini
ONOREVOLI CAMERATI ! – L’estensione delle grandiose opere di bonifica e di colonizzazione agraria, compiute dall’Opera Nazionale Combattenti nell’Agro Pontino, alla zona adiacente dell’Agro Romano, che è compresa, ad ovest del fiume Astura, fra il mare Tirreno ed i Colli Albani fino alla Reale Tenuta di Castel Porziano, ha reso necessario di costruire in tale zona, accanto al comune di Aprilia, sorto nell’Anno XIV, quello di Pomezia. All’uopo, attesa l’urgenza, è stato emanato il Regio decreto-legge 3 giugno 1938-XVI, numero 935, che ha assegnato al nuovo comune un territorio di ettari 15.980, capace di accogliere, quando tutte le opere edilizie e di trasformazione dei terreni saranno ultimate, una popolazione rurale di circa 5.000 abitanti. A capoluogo di Pomezia è stato prescelto il centro urbano in costruzione a nord-est dello storico castello di Pratica di Mare. Premessi tali chiarimenti, sottopongo al vostro esame, per la conversione in legge, il Regio decretolegge 3 giugno 1938-XVI, n. 935. ONOREVOLI CAMERATI ! – La bonifica di quelle che furono le Paludi Pontine si è svolta con ritmo velocissimo e cronometrico e a mano a mano che la terra riguadagnata alla palude si popolava di case, il Regime ha voluto, per ordine del suo Capo, che sorgessero quelle città che più di ogni altra cosa hanno colpito l’immaginazione dei popoli e che hanno dimostrato al mondo la realtà costruttiva del Fascismo. E’, la redenzione delle Pontine, uno di quei fatti che rimangono impressi nella storia e testimoniano la volontà possente di un popolo che in un determinato ciclo della sua vita si afferma vittorioso contro ogni ostacolo ed anche contro quelli della natura. Dopo Littoria, 18 dicembre dell’anno X; Sabaudia, 15 aprile XII; Pontinia, 18 dicembre XIII; Aprilia, 22 aprile XVI, Pomezia sorge fuori dei margini della palude, alle porte dell’Urbe, ai piedi di Albano, l’Alba Longa dei popoli primi di questo Latium vetus, e riallaccia così la tradizione antica del nome, alle energie nuove dell’Italia Imperiale del Fascismo. Pomezia, narrano gli storici romani, che fosse una città delle Pontine, ricca di mezzi e di popolazione, ma nulla più del ricordo è giunto a noi. E Mussolini che ama legare la nuova vita, che ha impresso al Paese, alle antiche tradizioni roma-
ne e italiche, ha voluto che rivivesse nel nome un nuovo centro di vita feconda, su una terra che da due millenni era deserta. E cosi, mentre si popola questa ultima zona tra il Tevere e le Pontine, e l’Opera Combattenti attua con metodicità ed energia il suo piano di colonizzazione, con il Regio decreto-legge in esame di cui la vostra Commissione vi propone la conversione in legge, si è delimitato il territorio di questo quinto Comune che avrà una superficie di ettari 15.980. Su questo territorio vivrà una popolazione eminentemente rurale, prevista in 5.000 abitanti, ma che si ha ragione di ritenere potrà in breve aumentare notevolmente. E cosi, in quelle zone ove la gente più che conoscere il verbo vivere, coniugava solo quello morire, in quei luoghi che avevano una triste risonanza nei nomi di Ardea e di Pratica, risuoneranno voci giulive, che nel canto della giovinezza eterna di questa nostra Italia benediranno il Regime e il nostro grande Capo che desiderò che Roma fosse celebrata non per il deserto che la circondava, ma per le terre feconde che la circondano e l’esaltano con le opere pulsanti di vita. ORSOLINI CENCELLI, relatore.
L’ATTO DI NASCITA Il 3 giugno 1938 con Regio Decreto Legge n° 935, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 156 del 12 luglio 1938 Vittorio Emanuele III, Re d’Italia - Imperatore d’Etiopia decretava la costituzione del Comune di Pomezia. La cerimonia della posa della prima pietra doveva avvenire il Sabato 23 aprile, ma con una comunicazione inviata a tutte le autorità dell’8 Aprile 1938 il Primo Ministro Mussolini stabilì che la cerimonia della fondazione doveva essere posticipata al lunedi 25 aprile 1938. Probabilmente la data venne volutamente fatta coincidere con il 25 aprile del 1936, giorno in cui venne fondata Aprilia, città che come abbiamo visto precedentemente ( v. lett. delll’O.N.C. del maggio 1935) unitamente ad Ausonia ( poi Pomezia), non rientrava nei programmi di costruzione dei nuovi centri nell’Agro Pontino, ma che su consiglio della stessa O.N.C. vennero programmate. Il 25 aprile inoltre era un appuntamento fissato dallo stesso Mussolini ad Aprilia, che al termine dell’inaugurazione della città disse “ Arrivederci a Pomezia “ . LA CERIMONIA UFFICIALE Nello spazio tracciato per la costruzione della Torre Municipale , venne concentrata la cerimonia. Un blocco di marmo scavato all’interno con incisa la data del 25 aprile era pronto per accogliere una custodia di zinco che avrebbe tra non poco accolto all’interno la pergamena e alcune monete. Alle sedici, dopo una giornata piena di sole, giunge il Capo del Governo SI COMPIE IL RITO Allora, mentre un silenzio austero e raccolto cede il posto alle acclamazioni, il Duce esamina la bella pergamena, che racchiude, insieme ad alcune monete, in una custodia di zinco, mentre il Prelato benedice il masso con il rito della fede e pronunzia un breve e fervido discorso. Ora Mussolini depone la pergamena, chiusa nel suo astuccio, nel cavo del marmo, la mura con pochi colpi di calce, vibrati con la cazzuola, e poco dopo il masso discende con un lento cigolio di carrucole nello scavo già pronto. Scoppiano di nuovo gli applausi della moltitudine, fra cui sono, su di un torpedone, gli studenti giapponesi in questi giorni ospiti dell'Urbe, verso i quali il Duce si volge con cordiale sorriso.
Pomezia è fondata; sulle alte antenne salgono e si gonfiano al vento del mare le bandiere d'Italia ed il vessillo oro e nero del Fascio di combattimento. Dall'alto del podio - verdeggiante di lauro ed adorno di frutta - il Duce che ha a fianco l'on. Di Crollalanza ed il Ministro Segretario del P.N.F. e le altre autorità, guarda a sinistra, oltre i due grandi Fasci Littori, costruiti anch'essi con lauri, con le scuri d'argento che sporgono dalla massa verde cupa, guarda verso due grandi iscrizioni bianche sormontanti due frecce che indicano nelle opposte direzioni Roma e Littoria. Qui passerà la nuova strada pulsante di traffici nel cuore dell'Agro redento: ed ecco che su tale direttrice una fila di mine detonano festosamente e dirompendo la terra, indica l'inizio dei lavori per la costruzione della grande arteria. Si levano di nuovo gli applausi della moltitudine; è un'acclamazione appassionata all'indirizzo del Fondatore dell'Impero, il quale dall'alto del podio, ammira ……… colma di natività e di creazione; guarda al di là del cerchio del verde che circonda la zona, quasi a ricercare, verso i Colli Albani, verso il mare ed il Circeo, i limiti della imperitura opera di bonifica ormai pressoché compiuta. Il Duce risponde quindi romanamente al saluto della folla e poi fa cenno di voler parlare. Di nuovo il grande silenzio incombe sulla moltitudine e la voce del Capo si diffonde ai quattro angoli della grande radura, a sottolineare, con la sua parola precisa ed inequivocabile, l'alto significato della fondazione, da cui quest'oggi il quinto centro pontino. Nuove grandi festose acclamazioni salutano la fine del breve discorso di Mussolini, che rimane a lungo sul podio ad ascoltare il canto Pucciniano " Inno a Roma" che si leva dalle masse, ad ammirare la moltitudine festante, ad udire ancora i cori pieni di una musicalità semplice ed agreste che rappresentano la indimenticabile sinfonia di questa giornata festante. Così in questo clima di fecondazione rurale consacrato dalla primavera romana, Pomezia quest'oggi è nata.
Arnaldo Geraldini.
Foto riprese dai quotidiani dell’epoca
La licitazione N. 7725 di Prot. OGGETTO INVITO A LICITAZIONE E’ indetta una licitazione privata ad offerta segreta per l’appalto dei lavori di Costruzione del Centro Comunale di Pomezia 1° lotto ( Casa Comunale – Scuola – Asilo – Sede GIL) L'importo complessivo dell'appalto è previstio nella somma di Lire duemilionicentocinquantamila soggetto a ribasso percentuale. Codesta Ditta è invitata alla licitazione, per prendere parte alla quale dovrà far pervenire entro il termine appresso indicato: 1 ) il certificato penale generale del concorrente, di data non anteriore a quattro mesi a quella fissata per la licitazione, rilasciato dalla competente autorità e debitamente legalizzato. I concorrenti che abbiano in corso lavori per conto di questo Istituto sono esonerati dal presentare detto documento. 2) una dichiarazione in carta libera, con cui codesta Ditta attesti di aver preso cognizione delle condizioni locali e di tutte le Circostanze generali e particolari che possono avere influito sulla determinazione dei prezzi e dei patti contrattuali e che possono anche influire sull'esecuzione dell'opera e di aver giudicato i prezzi medesimi nel loro complesso rimuneratori e tali da
consentire il ribasso che sarà per offrire: prezzi che rimarranno invariabili e non suscettibili di aumento per qualsiasi causa, anche di forza maggiore; 3) una dichiarazione in carta libera con cui codesta Ditta attesti di aver preso visione di tutti gli atti della gara: capitolato generale d'appaltio, disegni, schema di contratto, elenco dei prezzi, ecc. 4) un certificato di iscrizione all'Unione Provinciale Fascista dell'industria; 5) un Certificato di iscrizione negli Elenchi tenuti dal Consiglio Provinciale delle Corporazioni di data non anteriore di due mesi a quella della licitazione, dal quale risulti la persona fisica che ha la piena e legale rappresentanza della Ditta; 6) una ricevuta comprovante l'avvenuto deposito presso il Tesoriere di questo Istituto – Monte dei Paschi di Siena - Sede di Roma - della somma di Lire 110.000 (lire centodiecimila ) in contanti a titolo di cauzione provvisoria ; il versamento potrà essere effettuato anche presso altro Istituto Bancario che sia corrispondente del Tesoriere predetto o presso qualunque Filiale del Credito Italiano. Le ricevute del deposito suddetto dovranno essere intestate esclusivamente alle persone fisiche che avranno versato gli importi relativi per abilitare le Ditte concorrenti a partecipare alla licitazione. La causale del versamento e l'indicazione delle Ditte dovranno pure essere precisate nelle ricevute. Nel caso che il deposito venga effettuato da un Istituto di Credito le ricevute potranno essere intestate all'Istituto depositante senza precisazione della persona fisica che ha compiuto il versamento relativo, ma con le altre indicazioni sopra prescritte. I depositi riguardanti le Ditte non rimaste aggiudicatarie verranno restituite dopo l'approvazione dell'esito della licitazione esclusivamente alle persone fisiche o agli Istituti di Credito che avranno versato gli importi relativi e le quietanze delle medesime persone o Istituti rilasciate all'atto del rimborso dovranno intendersi liberatore sia per quest'Opera che per il suo Tesoriere, senza eccezione alcuna e con pieno esonero degli stessi da ogni responsabilità al riguardo. Si avverte infine che le ricevute eventualmente rilasciate dal Tesoriere Sotto forme diverse o comunque con intestazioni ed indicazioni imprecise o diverse da quelle prescritte non saranno ritenute valide. 7) Se codesta Ditta è costituita in Società Anonima od in Accomandita per Azioni, potrà concorrere all'appalto come tale e, oltre ai documenti anzidetti, dovrà presentare : lo Statuto Sociale ; un Certificato della Cancelleria del Tribunale competente, di data non anteriore di due mesi a quella della licitazione, da cui risulti che la Società non si trova in stato di fallimento; la designazione della persona a cui la Società intende affidare la Direzione
tecnica dei lavori e i Certificati di penalità ed idoneità di tale persona, rilasciati e redatti nel modo stabilito dall'art. 2 del Capitolato Generale vigente per gli appalti dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici; un Documento da cui risulti il conferimento ad un suo rappresentante di tutte le facoltà necessarie per concorrere alla gara ed adempiere a tutti gli incombenti necessari per ottenere l'aggiudicazione dell'appalto. Se codesta Ditta è costituita in Consorzio di Cooperative, oltre ai documenti anzidetti (nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6), dovrà inoltre presentare lo Statuto Sociale, l'estratto autentico dell'ultimo bilancio annuale il Certificato d'iscrizione nel Registrii Prefettizio; il Certificato d'iscrizione all'Ente Nazionale della Cooperazione; la designazione della persona a cui il Consorzio intende affidare la direzione tecnica dei lavori ed i Certificati di penalità ed idoneità di tale persona rilasciati e redatti nel modo sopra indicato per le Società; un Documento da cui risulti il conferimento ad un suo rappresentante di tutte le facoltà necessarie per concorrere alla gara e adempiere a tutti gli incombenti necessari per ottenere l'aggiudicazione dell'appalto. 8) L’offerta in Carta libera, contenente l’indicazione del ribasso percentuale così in cifre come in lettere, chiusa in busta, sigillata con timbri di ceralacca (con sigillo privato), sulla quale sarà scritto: “ Offerta per l’appalto dei lavori del 1° lotto Centro Comunale di Pomezia I lavori saranno appaltati a corpo a misura e pertanto il ribasso percentuale predetto deve intendersi da applicare a tutti i prezzi fissati nello schema del contratto relativo. Le offerte, corredate da tutti i documenti sopra indicati e racchiuse in doppia busta di cui quella interna contenente la sola offerta sigillata ed annotata come innanzi è detto, dovranno essere inviate esclusivamente per posta e pervenire alla Sede di questo Istituto in Roma, Via Ulpiano,11, entro le ore diciannove dei giorno precedente a quello stabilito per l'apertura delle offerte stesse.
Si preavvisa che le offerte non corredate di tutti i documenti prescritti o pervenute posteriormente al termine sopra indicato non saranno ammesse alla licitazione. Le offerte saranno aperte il giorno 9 aprile 1938 XVI alle ore 11 nella Sede di questo Istituto in Roma, Via Ulpiano,11, p. 2, alla presenza dei soli
legali rappreseritanti delle Ditte concorrenti. Qualora il numero delle offerte sia inferiore a quattro, il Presidente della gara potrà non procedere alla loro apertura e alla aggiudicazione dell'appalto. Aperte le offerte si formerà una graduatoria di esse. Le dieci imprese che avranno presentato i ribassi maggiori saranno ammesse a fare seduta stante una nuova offerta a miglioramento di quella più vantaggiosa per l'Amministrazione.
Qualora il numero dei concorrenti non sia superiore a dieci, saranno ammessi a presentare l'offerta di miglioramento solo i primi cinque della graduatoria. Le imprese che abbiano eventualmente presentato offerte uguali all'ultima delle dieci o delle cinque come precedentemente detto, saranno ugualmente ammesse all'offerta di miglioramenti. Non potranno peraltro essere invitate a presentare offerta di miglioramento le imprese concorrenti che non saranno legalmente rappresentate alla gara. L 'appalto sarà aggiudicato al concorrente che avrà offerto il maggior ribasso. In Caso di ribassi uguali la preferenza sarà determinata dalla sorte.
L'aggiudicazione non sarà definitiva e quindi impegnativa per questa Opera, se non dopo l'approvazione da parte del Presidente dell'Opera stessa, il quale avrà la facoltà di non approvare, a suo insindacalile giudizio, l'aggiudicazione provvisoria fatta dal Presidente della gara senza che le ditte concorrenti possano perciò avanzare pretesa alcuna per nessun titolo. La Ditta che risulterà definitivamente aggiudicataria dell'appalto dovrà prestarsi alla stipulazione del contratto entro il termine che verrà prefisso con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, provvedendo entro lo stesso termine al deposito della cauzione definitiva, prevista nello schema di contratto. Scaduto detto termine, se la Ditta aggiudicataria, senza giustificati motivi, da valutarsi a giudizio insindacabile di questo Istituto, non avrà ottemperato all'invito rivoltole, verrà dichiarata decaduta dal diritto di aggiudicazione dell'appalto, ed in conseguenza perderà irrevocabilmente la somma depositata come cauzione provvisoria. Lo schema di contratto in base a cui saranno appaltati i lavori, i disegni descrittivi delle opere, e tutti gli altri documenti relativi all'appalto medesimo, sono visibili presso l’Ispettorato Agro Pontino - Littoria nell'ordinario orario d'ufficio. Si gradirà un cenno di ricevuta della presente. IL PRESIDENTE (CROLLALANZA)
Licitazione per l’appalto dei lavori di costruzione del Centro Comunale di Pomezia – 1° lotto – Casa Comunale – Scuola – Asilo – Sede GIL – Importo dei lavori a base d’asta L. 2.150.000. Apertura delle offerte: 9 aprile 1938-XVI
Imprese che si propone di invitare:
1 ) Impresa Antonio Carena & figli – Genova – Via XX Settembre n.42 2 ) Soc.An.G. Vianini & C. – Roma – Via in Arcione n. 71 3 ) Soc.An. Tudini & Talenti – Roma – Piazza in Lucina n.4 4 ) Ing. A. Mottura & Zaccheo – Milano – Via Victor Hugo n.2 5 ) Impresa Provera C. Carrassi & C. - Roma – Via Flaminia n.54 6 ) Impresa Elia Federici – Roma – Corso Vittorio Emanuele n.24 7 ) Soc. An. Ferrobeton – Roma – Via Catania n.9 8 ) Soc.An. Vitali Domenico & C. – Roma – Piazza Barberini n.52 9 ) Saverio Parisi – Roma – Via San Martino della Battaglia n.4 10) Pipeo Adolfo – Roma – Via Rubicone n.8 11) Impresa Dioguardi Giuseppe di Nicola – Bari – Via del Levante 13 12) Solari Francesco Saverio fu G.Battista – Roma – Corso Vittorio Emanuele n.326 13) Garbarini-Sciaccalunga-Mezzacane – Roma – Via Vittorio Veneto 89 14) Figli di Pietro Castelli – Roma – Via della Purificazione n.32 15) Cidonio Ageo di Pietro – Roma – Via del Giardino Teodoli n.76 16) Alessandri Amedeo – Roma – Via Alessandro Cialdi n.1 17) F.lli Muciaccia – Bari – Via Cardassi n.64 18) Grà Enrico e Giulio fu Luigi – Roma – Via Mangili n.22 19) Arganini Ing. Olindo – Roma – Via Quattro Fontane n.19 Vaselli Romoli IL DIRETTORE DEL SERVIZIO AMMINISTRATIVO
CASA COMUNALE
DESCRIZIONE Questo stabile consta di una torre con serbatoio per l’acqua della capacità di mc. 200 ed un sottostante portico e di un corpo di fabbricato a due piani con gli uffici del comune. Al piano terreno sono gli uffici più direttamente a contatto con il pubblico e l’ambulatorio medico con cinque vani separati. Al piano superiore sono gli uffici Podestarili in n° di 6 vani, l’Ufficio Tecnico, le sale delle adunanze e la terrazza. L’edificio è costruito con muratura ordinaria di tufo e liste di mattoni. La copertura del piano rialzato è in muratura in cemento armato misto con laterizi, la copertura del piano superiore a tetto con tegole e coppi alla romana e sottostante soffitto con rete metallica. Il portico è coperto a volte in foglio. I prospetti sono rivestiti in blocchetti di tufo, le mostre delle finestre, del portone e le cornici di coronamento in travertino. Gli infissi interni sono in abete e compensato; quelli esterni in larice e castagno. Il portone è foderato di rovere. Le scale sono rivestite di pietra di travertino;
I pavimenti sono in marmette di graniglia, meno le sale delle adunanze.
Palazzo delle Poste Sede O.N.C. Trattoria e Locanda Cinema Stazione Autolinee Case Abitazione
Lato posteriore del palazzo delle Poste
Tavola progetto Trattoria e Locanda
Case per uso abitazione
Via Roma con gli scavi fondamenta case abitazione
Via Virgilio con gli scavi fondamenta case abitazione
Panoramica : si vede il lato posteriore delle Poste e il bianco caseggiato delle scuole
Veduta dalla torre sullo sfondo i Castelli Romani
Tavola sezioni stradali
Tavola fognatura bianca e tracciato collettore
Tavola impianto illuminazione elettrica
Tavola progetto impianto elettrico
Fronte-Sezione-Pianta Cappella Cimitero
Il mercatino delle verdure
Cartolina che il notaio Aurelio Cinque, segretario comunale, inviò alla famiglia con l’indicazione della sede comunale provvisoria a Pratica di Mare
1938 LE PRIME DELIBERE DEL COMUNE DI POMEZIA approvate dalla Giunta Provinciale Amministrativa Commissario Prefettizio Dott. AURELIO LEONE Segretario Provvisorio Paolo MARZIANO
Sede Provvisoria di Pratica di Mare
DATA
Delibera n°
05-10-1938
01
Oggetto
Costituzione del Comune di Pomezia
05-10-1938
02
Planimetria del Comune di Pomezia
05-10-1938
03
Nomina provvisoria De Giorgio Dott. Agostino fu Giuseppe Medico Condotto con funzioni di Uff. Sanitario con assegno mensile lordo di £ 770 oltre £ 110 lorde mensili di indennità per funzioni di Ufficiale Sanitario. Salva all’Amministrazione la facoltà di licenziamento in qualsiasi momento senza bisogno di deliberazione motivata.
05-10-1938
04
Applicato di Segreteria sig. Maida Guido fu Agazio
05-10-1938
05
Applicato Protocollo/Archivio Francesco
05-10-1938
06
Guardia Urbana con funzioni di Capo Guardia sig. Marrone Michele di Andrea
05-10-1938
07
Messo notificatore Simeoni Tommaso fu Salvatore
05-10-1938
08
Incaricato alla pulizia della frazione di Pratica di Mare e della sede degli Uffici Municipali sig.ra Navisse Rosalia che fino ad oggi ha disimpegnato tale incarico per conto del Governatorato.
05-10-1938
09
Manutenzione, custodia, e scavo tombe al cimitero di Pratica di Mare sig.ra Filzi Maria ved. La Bella che fino ad oggi ha disimpegnato tale incarico per conto del Governatorato.
05-10-1938
10
Tariffe imposte consumo e diritti accessori.
05-10-1938
11
Regolamento speciale per la riscossione dell’imposta di consumo sui materiali per costruzioni edilizie.
05-10-1938
12
Tassa occupazione spazi e aree pubbliche Tariffa unica:
sig.
Pirro
a) Occupazione temporanea al giorno ed al mq £ 0,50 b) di notevole durata: mensili £ 5,00 annuali £ 25,00 05-10-1938
13
05-10-1938
14
Tariffa diritti di Mattazione. Regolamento Mattatoio - Annullata - vedi
n° 29 05-10-1938
15
Capitolato d’oneri per l’appalto della riscossione imposte di consumo, diritti accessori, diritti mattazione e tassa occupazione spazi ed aree pubbliche ( Visto per la esecutività sentito il Consiglio di Prefettura salvi i provvedimenti sul contratto - per il Prefetto La riccia Roma 18/11/1938 XVII N° 66810 Div. I
05-10-1938
16
Conferimento a trattativa privata appalto riscossione imp. consumo diritti di mattazione e tassa occupazione spazi e aree pubbliche conferita alla Ditta Ferdinando Buonaccorsi fino al 31/12/40 con l’aggio del 20/ mille
13-10-1938
17
Nomina provvisoria Levatrice Giovagnoni Anna £ 400 lorde mensili più mezzo di trasporto che fornirà l’Amministrazione.
13-10-1938
18
Nomina provvisoria dell’Applicato Rotti Silvano di Pietro.
13-10-1938
19
Nomina provvisoria del Commesso Comunale Olita Antonio fu Saverio
13-10-1938
20
Nomina incaricato del Servizio Trasporto Ammalati con autolettiga in casi di urgenza sig. Olita Antonio fu Saverio.
13-10-1938
21
Nomina incaricato servizio di Vigile Sanitario sig. Olita Antonio fu Saverio.
13-10-1938
22
Nomina della maestra e bidella dell’Asilo Infantile della frazione di Ardea di cui nel passato provvedeva il Governatorato di Roma sig.na Beatrice Isgrò di Francesco abilitata all’insegnamento £ 350 mensile lordo sig.ra Attenni Clia bidella £ 140 mensile lordo più indennità mensile di £ 25 per lavatura strofinacci e trasporto acqua nella sede dell’asilo.
13-10-1938
23
Nomina del Veterinario Interino dott. Mario Vuoli £ 550 mensili lorde oltre indennità di cavalcatura £ 150.
22-10-1938
24
NOMINATO Segretario Comunale il Cav. Cinque Dott. Aurelio Riepilogo incombenze sig. Olita Antonio
22-10-1938
25
Approvazione Bilancio Preventivo periodo 1 ottobre 1938/ 31- 12- 1938 che si pareggia in E. e in U. nella somma complessiva di £ 97.150
22-10-1938
26
Considerato che nella frazione di Ardea la mattazione si pratica all’aperto: 1 ) Si prende in affitto dal sig. Chiaraluce Andrea i locali per la durata di 2 anni a £ 150 mensili; 2 ) Spesa attrezzatura locali £ 4.445,70; 3 ) imputare la spesa sull’art.50 del bilancio.
22-10-1938
27
Considerato che nella frazione di Pratica di Mare la mattazione si pratica all’aperto: 1 ) un locale che l’amministrazione di Casa Borghese cede in fitto per £ 120 mensili per la durata di 1 anno rinnovabile di 6 mesi in 6 mesi; 2 ) Spese attrezzatura £ 3248,50 3 ) imputare nel cap. art.49
22-10-1938
28
Considerato che la Prefettura ha fatto obbligo al Comune di fornire alloggio alla levatrice interina data la eseguità dello stipendio, Casa Borghese trasforma due locali contigui adibiti a deposito di grano a £ 75 mensili.
12-11-1938
29
Regolamento per il mattatoio
12-11-1938
30
Provvedimenti per il funzionamento dell’ambulatorio medico chirurgico in Ardea in promiscuità dei locali della Delegazione Governatoriale.
12-11-1938
31
- Indennità e rimborso spese per servizi sanitari prestati in assenza del titolare dal Dott. Barisano Domenico £ 368,70 - Fornitura lettere di legno intestazione COMUNE da Centi Luigi £ 100; - Fornitura 2 biciclette per gli agenti da Trippa Enrico £ 670; - Fornitura timbri per uffici da Stabilimento Timbrografico Bossi £ 140; - Rimborso spese benzina auto Commissario a Marziano Paolo £ 150; - a Gatti Riccardo - automobile occorsa al Commissario £ 130.
25-11-1938
32
Nomina Guardia Rurale sig. Ilario Porcelli fu Luigi ex appuntato dell’Arma dei Reali Carabinieri dal 1-11-1938 con £ 5.460 annue oltre l’indennità di cavalcatura di £ 150 mensili con l’obbligo di assumere e mantenere a suo carico il cavallo necessario al disimpegno del servizio.
25-11-1938
33
Tariffe imposta bestiame per l’anno agrario 38/39
25-11-1938
34
Elenco dei poveri agli effetti assistenza sanitaria
Omissis elenco di 34 poveri
02-12-1938
35
Nomina del Cappellano del Cimitero e parroco Don Francesco Martella anche di suonare la campana delle scuole di Ardea per £ 360 annue a £ 60 per bimestre.
36
Omissis
09-12-1938
37
Acquisto autombulanza offerte ditta Lancia - Fiat - Bianchi di commissionare alla Soc. Anonima Edoardo Bianchi un’autoambulanza montata su chassì Ambrosiano S.C. 10 identica a quelle date in dotazione alla C.R.I. al prezzo di £ 37.400 oltre la tassa di scambio in ragione del 4% e il trasporto da Milano a Roma in £ 700.
09-12-1938
38
Il Dott. Musumeci Castelli Tino e Di Giorgio Agostino sono nominati in v. provvisoria per i servizi di Condotta rispettivamente di Pratica di Mare e di Ardea con decorrenza 10-11-38 per il 1° e 5-10-38 per il 2°
09-12-1938
39
Liquidazione indennità alla levatrice interina
09-12-1938
40
Premi di natalità da corrispondere in occasione della festa della Madre e del Fanciullo: 25 premi da £ 25 cad. per le madri più bisognose; 30 premi da £ 30 cad alle famiglie numerose sotto forma di buoni alimentari.
09-12-1938
41
Dimissioni dal 10-XII della levatrice ostetrica Giovagnoni Anna. Nomina di Buldorini Riccarda.
09-12-1938
42
Spazzino per la frazione di Ardea sig. Tovaglieri Pietro con £ 360 mensili.
21-12-1938
43
Contributi per:
£ 1.000 £ 800 £ 500
Befana Fascista; G.I.L. per il fascio.
21-12-1938
44
Dimissioni veterinario dott. Mario Vuoli Nomina del Dott. Boccabella Angelo.
21-12-1938
45
Regolamento servizio economato. Annullata vedi del. n° 15 del 1939
21-12-1938
46
Assestamento stanziamenti (storni)
21-12-1938
47
Nomina Economo: Applicato Pizzo Francesco
21-12-1938
48
Nomina 2° Guardia Polizia Municipale sig. De Franceschi Melchiorre di Rinaldo nato e residente attualmente a Nettuno.
21-12-1938
49
Nomina dell’Ufficio Comunale di Censimento e degli Ufficiali di Censimento ...... istituire l’Ufficio Comunale di Censimento ( per censimento Industriale e Commerciale) L’Ufficio è composto da: dal Segretario dott. Aurelio Cinque e sig. Pizzo Francesco; Ufficiali di censimento: Marrone Michele; Porcelli Ilario ;Olito Antonio
Il Dott. Agostino De Giorgio
Il disegno dello stemma Comunale pubblicato sui giornali dell’epoca
Il Gonfalone del Comune nel giorno della fondazione
Revoca della delibera n° 100 del 7 ottobre 1939 effettuata nel 1945 con l’indicazione di rettifiche da apportare sullo stemma e gonfalone
Di quel giorno, il 29 ottobre 1939, - anno XVIII E.F. - , oltre al filmato dell'Istituto Luce, l'agenzia giornalistica Stefani diramò alcune " veline" con la cronaca della giornata. Tali " veline " vennero poi riprese dai vari giornali e pubblicate. Ecco la trascrizione integrale:
POMEZIA 29 = Pomezia - che é oggi, il più giovane Comune d'Italia; e qui si conclude la battaglia contro la "palude mortifera" per dieci anni tenacemente condotta e superbamente vinta - sorge, con la sua nitida e chiara struttura, non molto distante da Pratica di Mare, presso la strada della Petronella che, da Pratica, conduce alla via Laurentina e, quindi, a Roma. Pomezia è, da poche ore, consacrata, dal Duce, alla storia e alla virtù italica. Una meta ancora è raggiunta. Ma essa non è se non una tappa splendente che il Regime segna lungo il cammino che continua. Il Duce era, alle 14,30, sulla via Anziatina, dove è il bivio "Fontana di Papa" presso la stazione di Cecchina. Lo attendevano il Presidente dell'Opera Nazionale Combattenti, Di Crollalanza, il Segretario del Partito, il Ministro per la Cultura Popolare, il Capo di Stato Maggiore della Milizia, S.E. Russo, i sottosegretari Buffarini Guidi e Tassinari, il Prefetto e il Federale di Roma. Il sole si fa spazio fra le nuvole, sin qui addensate con scrosci frequenti di pioggia. Subito, una breve colonna di macchine si forma e si avvia per Ardea; e sosta di lì a poco, ai margini della Provincia di Littoria ove si schiera, in armi, il battaglione di Camicie Nere "Littoria" cui stanno dl fronte le formazioni della G.I.L. e i rurali. E' questo, il primo sa1uto dell'Agro "pontino e romano" compiutamente redento. Vigorosi, rigidi, austeri i reparti della Milizia; non meno saldi e virili i giovani del Littorio; meravigliosi, per l'impeto della dedizione schietta e immediata, i rurali. Le salve dei cannoncini da campo, manovrati da Giovani Fascisti scandono il clamore e l'applauso. Il Duce passa, in piedi sull'automobile scoperta, tra lo schieramento delle Milizie e il folto del popolo. Il fervore della manifestazione lo circonda e lo insegue poi, per lunga strada, quando egli riprende la corsa per Ardea.
Il terreno, per tutt'intorno., è aspro, forte, ondulato: dossi, pianori, piccole valli seminate di macchie rudi, o del tutto calvi, o già raggiunti dall'aratro. E' Ardea, una gentile frazione del Comune di Pomezia. La piazzetta è dominata dalla Casa del Fascio, cui di fronte stanno, in compattissima adunata, le formazioni giovanili, le organizzazioni del Partito e i contadini: tutti insieme, per dire al Duce, con la medesima voce (solamente l'impeto può celare la commozione, che tuttavia s'indovina nella luce degli occhi) la riconoscenza di chi poco aveva ed ora ha tutto da una terra che era meno che nulla e, ora, tutto può dare. Tra il popolo é una schiera di famiglie numerose: e tra le madri e i bimbi il Duce si ferma brevemente. Allora, il cerchio appassionato della manifestazione si fa più vicino; che ciascuno vorrebbe ascoltare le parole buone che egli dice; essere "guardato" dal suo occhio. Il clamore non scema; e si fa più intenso quando il Duce appare alla folla dal balcone della Casa del Fascio. Egli saluta romanamente; rimane, per alcuni attimi, con lo sguardo fermo sulla massa dei rurali e dei giovani a lui protesa; poi, ottenuto l'alto consenso, il Podestà di Pomezia annunzia che il Duce lascia 25.000 lire perché siano distribuite alle famiglie numerose e dispone, anche, l'immediata costruzione dell'edificio scolastico e dell'Asilo infantile il ripristino della Chiesa e la rimessa in valore della zona archeologica; e, inoltre, ordina la costruzione di altri trenta alloggi. I rurali manifestano la loro gratitudine martellando il nome caro più che ogni cosa, e scuotendo alti i vessilli e gli arnesi del lavoro e levando le braccia nella invocazione ardentissima. La sosta in Ardea si conclude con la benedizione dell'area sulla quale sorgerà l'asilo infantile e con la visita che il Duce compie in una delle case coloniche che stanno per essere abitate. La colonna delle macchine, ripresa la corsa, va per il territorio di Pomezia: si alterna il color giallo e il rosso delle case coloniche; la terra, di già smossa, va di mano in mano mutando, in solco, la sua arida nuda radice; il sibilo dei trattori saluta il Duce che passa. Il corteo si arresta in un podere non molto distante dal Comune. Un duplice rito si compie: l'immissione di due famiglie coloniche nell'appoderamento e l'inizio della semina del grano. Una rete di filo spinato include la zona di terreno ove il Duce, a tratti energici di badile, salda la radice di un melo. Vicino è un campo arato: il Duce vi getta il primo seme. Una manciata sola, un gesto solo: ma ampio, generoso, sicuro. I chicchi dorati hanno, nel sole, un rapido balenio. Applaudono, intorno, i rurali, e seguono poi il Duce, come in corteo, quando egli entra nelle due case coloniche affidate a due fami glie di Forlì, scelte tra le più numerose. Già la casa vive; e nella cucina è pronta - secondo il costume di Romagna - la "piè" che il Duce gradisce e assaggia. Anche il rito dell'immissione delle famiglie coloniche nell'appoderamento, è compiuto.
Il Duce risale in vettura, passa tra il clamore dei rurali di Romagna, e si avvia verso Pomezia, che é raggiunta alle ore 15. Il bel viale che conduce alla piazza è fiancheggiato dai militi della CXX Legione che il Duce, disceso dalla vettura, passa in rivista, con il suo energico celere passo. Poi, è la catena ininterrotta dei clamori e delle acclamazioni sino alla Casa del Fascio, cui innanzi è eretto il palco per il Duce. Fanno cerchio intorno, membri del Governo, alte gerarchie del partito e delle Forze Armate, personalità e autorità; e si ammassano, di fronte, i rurali. Innanzi allo schieramento è il gonfalone del Comune, è sono i gagliardetti del Fascio di Combattimento, del Fascio femminile e della sezione della G.E.L.A. Tutto è predisposto per la consacrazione del nuovo Comune. Ad un cenno del Duce, la formidabile acclamazione si spegne: il Vescovo (suffraganeo) Monsignor Guglielmo Grassi imparte la benedizione e pronuncia, poi, un discorso che i rurali frequentemente interrompono con l'applauso. L'alto prelato dice di essere molto lusingato di rappresentare in Pomezia il suo Eminentissimo Cardinale Vescovo in circostanze così propizie per ammirare ancora una volta una delle opere più grandiose del genio del Duce e della sua tenacia. Egli premette che sarà brevissimo; ma non può tuttavia non riandare con il pensiero alle origini di ogni progresso umano. Quando Iddio creò Adamo, lo collocò -secondo la scrittura- in un paradiso di letizie perché lo lavorasse e custodisse: poi, gli diede una compagna e li benedisse dicendo: "crescete e moltiplicatevi e riempite la terra ! Due leggi ugualmente costruttive: la legge del lavoro e quella della prolificazione. Queste leggi conoscendo, il Duce ne hai fatto il vangelo della nuova Italia; e ad esse si deve se, può essere oggi benedetto un nuovo Comune, sul Lido ove approdava un giorno l'eroe troiano e vi fondava "Lanuvium" ( !!!! Lavinium), la cellula primordiale della potenza e dell'Impero di Roma. E Monsignor Grassi ha così concluso: "La storia ricorre sotto nuove forma e noi abbiamo il diritto di trarne auspicio di nuove ascensioni e di fortune sempre più gloriose della nostra Patria. Oggi, Eccellenza si parla troppo di distruzione nel mondo. Voi tirate dritto per la vostra via. Non potrà mancarvi la benedizione di Dio".
Un applauso ancora saluta le parole del prelato. Poi ottenuto il consenso del Duce, il Presidente dell'Opera Nazionale Combattenti legge la sua relazione: DUCE! Con la inaugurazione di Pomezia, che tempi e nei modi da Voi fissati, la battaglia per la redenzione dell'Agro pontino - romano, sbocca vittoriosamente al suo epilogo. La ciclopica impresa, nella quale invano si cimentarono Imperatori e Papi, e che Voi impostaste con romana concezione, ispirata ad alte finalità politiche, igieniche ed economiche, si conchiude, in poco meno di un decennio: fu infatti solo il 23 novembre del 1929 che Voi, visitando l'Agro pontino, imprimeste ai lavori idraulici, affidati ai Consorzi di bonifica, il ritmo decisivo, assicurandone gli adeguati finanziamenti, mentre é solo del 28 agosto 1931 il decreto reale che attribuiva all'Opera Nazionale per i Combattenti i primi 18.000 ettari di terreni da trasformare, e del 10 novembre 1931, cioè di otto anni fa, l'effettivo inizio di tali lavori. Le tappe della grande battaglia che, nel Vostro nome e sotto la Vostra guida, si é combattuta in questi anni dai Consorzi di bonifica e dall'0pera Combattenti, sorretti dagli organi del Partito, affiancati dalle Università Agrarie e dai più volenterosi proprietari - fra i quali si distinsero in modo particolare il Principe Caetani ed il Duca Sforza Cesarini- con la valida collaborazione del Commissariato per le Migrazioni e la Colonizzazione, della Milizia Forestale e delle autorità sanitarie, ha impegnato un esercito di lavoratori, per un complesso di circa 30 milioni di giornate lavorative, senza tener conto dell'opera, non meno importante e superba, della massa dei coloni, gli uni e gli altri inquadrati da una schiera valorosissima di ingegneri, di tecnici agrari e di sanitari, che hanno dimostrato brillanti doti di competenza, spirito altissimo di dovere e tenacia di propositi. Le varie tappe raggiunte, a tempo di primato, e nelle quali Voi foste sempre presente a consacrarne le vittorie e ad indicare i successivi obiettivi meritano di essere ricordate: il 30 giugno 1932 fu fondata Littoria che venne inaugurata, con i primi appoderamenti, il 18 dicembre 1932; il 5 agosto 1933 fu trebbiato il primo grano dell'Agro e fondato Sabaudia, che venne inaugurata il 15 aprile 1934, il 18 dicembre del 1934 fu costituita la Provincia di Littoria; il 19 dicembre dello stesso anno fu fondata Pontinia; il 27 giugno 1935 fu aperto all'esercizio il primo impianto di irrigazione; il 18 dicembre 1935, giornata della fede, in pieno assedio economico, fu inaugurata Pontinia, il 25 aprile 1936, perdurando l'assedio economico, fu fondata con il solco romano Aprilia; il 19 agosto 1936 fu firmato il nuovo Patto colonico; il 29 ottobre 1937 fu inaugurata Aprilia; infine il 25 Aprile del 1938 fu fondata Pomezia. Possiamo oggi, dunque, Duce, così corno Voi preannunciaste nel discorso di Aprilia, affermare, con legittimo orgoglio di italiani e di fascisti, che la battaglia, tentata invano durante venti secoli, è vinta, nel segno del Littorio e vinta in momenti in cui l'Italia, da Voi elevata alla dignità ed alla potenza dell'Impero, è intenta più che mai al suo lavoro fecondo, tesa come un arco di acciaio verso la conquista di una nuova e più luminosa civiltà, ispirata ad una più alta giustizia sociale.
E' di questi giorni, infatti, l'inizio dì una più grande e nobile battaglia civile, con l'assalto da Voi ordinato al latifondo siciliano; è di oggi la partenza di altre migliaia di fanti rurali per la' colonizzazione della Libia; é di ieri l'avvenuta inaugurazione, da parte dell'Opera Combattenti, del primo appoderamento del Tavoliere di Puglia, vasto cinque volte l'Agro Pontino; e' di domani l'inaugurazione, da parte della stessa Opera Combattenti, del primo appoderamento di un' altra importante bonifica sulle rive del Volturno. Ormai, Duce, la bonifica integrale, di cui l'Agro Pontino è la prima più brillante e più tipica realizzazione, è fermento di operosità, è ansia di vita nuova, è consapevolezza di tutto il popolo italiano, e schiude, in ogni lembo della Penisola, con il potenziamento della nostra economia agricola, con il raggiungimento dei fini autarchici, un avvenire migliore per le masse lavoratrici. La cerimonia odierna, dunque, non può e non vuole essere la inaugurazione di una città, anche se bella, luminosa e dì nobile fattura, tipicamente italiana, come questa, ma l'esaltazione di un'impresa grandiosa, studiata ed ammirata dai tecnici di tutto il mondo, che da sola basta a dare un'altissima patente di nobiltà al Regime. Oggi l'Agro Pontino non è più una landa boschiva e melmosa, una palude pestilenziale, stagnante, pigra e sonnolenta, nella sterilità, ove per duemila inni si era svolta, come una maledizione di Dio, una vita primitiva, alimentata da pochi pastori e bufalari, largamente falciati dalla malaria e dalla morte, addetti al pascolo di rade mandrie di bestiame brado, ma un luminoso e produttivo territorio agricolo, prosciugato, disboscato, regimato nei corsi d'acqua e nei laghi, intersecato da una fittissima rete stradale e da una non meno fitta e promettente rete di frangiventi, costellato da migliaia di case coloniche, che fanno corona a cinque città ed a 18 borgate, sorte linde, civettuole e confortevoli come centri, di vita civile in una nuova Provincia. Oggi l'Agro pontino è un nuovo potente fattore dell'economia nazionale, operoso di lavoro agricolo e di iniziative industriali; oggi, dove si imprecava o si malediceva la vita, ove si soffriva e si moriva inesorabilmente sì lavora e si produce, in un ambiente di sanità fisica e di agiatezza economica. La grandiosa opera di bonifica integrale può essere sintetizzata nei seguenti dati più significativi: Complessivamente i Consorzi di bonifica hanno costruito 500 chilometri di canali principali o secondari, serviti da 18 impianti idrovori, e 1780 chilometri di collettori terziari, a cui vanno aggiunti 15.600 chilometri di collettori e scoline eseguiti dall'Opera Combattenti. Sono stati inoltre costruiti complessivamente circa 1.400 chilometri di strade, per 800 chilometri dai consorzi, per 487 dall'Opera e per il rimanente dalle Università Agrarie e dai privati. La superficie appoderata ha già raggiunto il complesso di 65.496 ettari con la costruzione di circa 4.000 case coloniche, delle quali circa 3.000 dall'Opera Combattenti. Complessivamente fra i Consorzi e l'Opera, per i lavori idraulici o stradali, per la costruzione di città, di borgate e di case coloniche, per la trasformazione fondiaria,
per l'acquisto dei terreni, per la costituzione delle scorte meccaniche e dell'ingente patrimonio bovino, sono stati assunti impegni finanziari, al lordo dei contributi statali, che si aggireranno attorno a un miliardo ed 800 milioni.. Grazie alle opere eseguite ed all'azione assidua degli organi Sanitari, la malaria, flagello delle paludi pontine, è stata completamente debellata. Difatti la curva registrata dagli uffici competenti è scesa a zero per i casi primitivi e si avvia decisamente allo zero per quelli recidivi. Nel campo agrario poche cifre danno il panorama dei confortanti progressi conseguiti: La sola Opera Combattenti, nei terreni da essa trasformati, ammontanti a circa 55 mila ettari- sui ,quali per il costante sviluppo delle colture foraggiere, che investono già 20 mila ettari, vivono 30 mila capi bovini - ha prodotto nell'anno XVII, in un anno sfavorevole per le condizioni stagionali, 184.000 quintali di cereali e 220 mila quintali di bietole da zucchero di senza tener conto dei prodotti minori. E' stato dato anche grande incremento ad alcune colture autartiche, come il sorgo zuccherino ed il cotone, tanto che per quest'ultimo prodotto, si ha per l'annata in corso, una previsione oramai molto attendibile di 4.500 quintali. La superficie agrario forestale dell'Agro Pontino, che prima della bonifica era costituita per l'80% da terreni sodi e per il 20% da seminativi, oggi nelle zone appoderate, è seminata al cento per cento. Per proteggere le colture dai venti che imperversano nella regione ed assicurare la legna da ardere ai coloni, l'Opera Combattenti, indipendentemente dalla benemerita attività della Milizia Forestale, ha iniziato da qualche anno la piantagione di una fitta rete di frangiventi. Finora sono state messe a dimora circa 700 mila piante. E' stato anche sviluppato l'impianto di vigneti consociati o specializzati, per le necessità domestiche delle colonie, datandosi a tutt'oggi di tali impianti ben 1750 poderi. In pieno sviluppo è anche la irrigazione, destinata a potenziare la produttività dei terreni e l'industria zootecnica, che deve diventare sempre più uno dei maggiori fattori di reddito poderale. A tale scopo si è iniziato, fin dallo scorso anno, l'ampliamento delle stalle e la costruzione dei sili. Si è avuto infine cura, a scopi autarchici, di cominciare a costituire nelle varie aziende i greggi interpoderali di ovini, essendosi oramai dimostrato chiaramente che la pecora e la bonifica non sono in contrasto tra loro, se si sostituisce al pascolo sui prati naturali lo sfruttamento razionale di quelli artificiali. Duce, voi consacrate oggi l'epilogo vittorioso della bonifica integrale dell'Agro pontino -romano. Io vi assicuro, però, a nome di tutti i tecnici ed i coloni, che la vittoria conseguita non arresterà il nostro impegno, ne allenterà la nostra passione per il perfezionamento della grande impresa. Dai monti Lepini, Ausoni ed Albani al mare; dal promontorio del Circeo alla reale tenuta di Castelporziano, su una superficie di circa 140 mila ettari, in quelle che furono le pestilenziali paludi pontine e le desolate campagne laziali, vive oggi una
nuova popolazione di circa 60 mila persone, di origine bracciantile, proveniente dalle varie regioni d'Italia, trasformatasi in una massa di mezzadri che, dal 28 ottobre del 1940 è destinata ad elevarsi gradatamente a compagine di piccoli proprietari. Questa massa di lavoratori, sfollata dai centri urbani, è oggi legata saldamente alla terra, e su questa terra bonificata vive sana, operosa e prolifica -(solo dai coloni dell'Opera in questi anni sono nati 5.117 bambini) - in una condizione di agiatezza che diventerà fra non molto una situazione di prosperità. Essa, da Voi avviata ad una più alta giustizia sociale, benedicendo Voi e ringraziando la Divina Provvidenza, non ha che un'ambizione: quella di rendere sempre più feconda la terra che Voi le avete assegnata. I rurali dell'Agro pontino, però, se Voi un giorno lo comanderete, per la potenza dell'impero che Voi avete fondato e per la grandezza della Patria, che noi amiamo sopra ogni altra cosa, saranno sempre pronti a fare zaino in ispalla ed a cambiare la vanga con il fucile. La rassegna dell'opera gigantesca compiuta, è seguita con estrema attenzione dal Duce che fa cenni frequenti. di compiacimento. Si succedono, ora, sul palco,345 rurali: ad uno ad uno, dalla mano del Duce essi ricevono il premio di colonizzazione, - sono mille lire - dal Duce assegnato ai coloni più meritevoli del suo elogio. Passano, quasi militarmente: forti tutti e sani: vecchi combattenti, Camicia Nera ed elmetto; molti hanno il fregio rosso dello squadrismo. Anche questo rito è coronato dall'applauso della massa rurale. Il Duce lascia, ora, il palco, per visitare i maggiori edifici del Comune. Egli va, dapprima, alla Casa, del Fascio, e successivamente, alla 'Chiesa che innanzi a lui apre oggi i suoi portali, alle Poste e Telegrafi, alle scuole, all'asilo che è attiguo e, infine, al Comune. Sono costruzioni, tutte, di nitida e sobria architettura, eleganti e piene di luce, arredate secondo uno stile che si potrebbe chiamare "di lavoro". Il Duce é soddisfatto; e quando, dal podio rivestito di alloro ed eretto sulla terrazza che abbraccia la torre civica, eg1i appare alla moltitudine, la dimostrazione subito si riaccende possente e non si placa se non quando la voce alta di S.E. Starace ordina: "Camicie Nere; salutate, nel Duce, il Fondatore dell'Impero! " Un formidabile "A Noi" risponde all'ordine; e poi è ancora, il grido e il clamore interminabile e, poi, è il silenzio profondo. Il Duce parla: "L'Anno XVIII dell'Era Fascista, non potrebbe cominciare sotto auspici migliori.
Comincia, con la inaugurazione di Pomezia quinto Comune dell'Agro Pontino romano redento, oggi il più giovine comune D'Italia (acclamazioni). La battaglia contro la mortifera palude è durata dieci anni, ma noi oggi qui possiamo esaltare la nostra piena ed indiscutibile vittoria ( applausi prolungati). Vittoria sulle forze disordinate della natura, vittoria sulla inerzia dei vecchi governi che furono e non torneranno ( vibrantissimi applausi). Per questa vittoria abbiamo impegnato manipoli di ingegneri, falangi di tecnici, moltitudini di operai che hanno tracciato strade, scavato canali, costruito case per riporre la vita là dove regnava la morte (acclamazioni prolungate), Se il Regime Fascista nei suoi primi diciassette anni di vita non avesse al suo attivo altra opera che quella della bonifica delle paludi pontine, cio' basterebbe per raccomandarne la gloria e là potenza ai secoli che verranno (la folla dei rurali acclama al Duce con vibrantissimo entusiasmo). Ma il regime ha al suo attivo altri formidabili imprese ed è ben lungi dall'avere esaurito il suo ciclo (applausi altissimi) e soprattutto la forza indomabile della sua volontà (applausi). Camerati rurali! Mettevi subito al lavoro con quella intelligente tenacia che è un peculiare attributo della razza italiana, portate - nel vostro interesse ed in quello della Nazione - al massimo della fecondità la terra che attende la vostra fatica. Questi poderi che vi vengono consegnati dalla molto benemerita opera Nazionale Combattenti un giorno potranno essere vostri e dei vostri figli. Dipende soltanto da voi. " La moltitudine dei rurali accoglie la parola del Duce riassumendo, nell'immensità della sua invocazione, il grido devoto e riconoscente dei 60.000 rurali dell'Agro. Per minuti a minuti si protrae la manifestazione: e il Duce torna al podio cinque sei volte, sempre a lungo indugiandosi e con il volto sempre aperto alla soddisfatta chiarezza. Inaugurata, così, Pomezia, il Duce risale in automobile e mentre sempre alto echeggia l'impeto della voce acclamante e invocante si avvia verso l'ultima tappa l'appoderamento della tenuta Sforza-Cesarini, a Campo Iemini. Il Duce vi giunge poco prima delle 17, ricevuto dalla Duchessa Sforza Cesarini che ha, attorno, i famigliari. I rurali sono adunati su di un vasto prato, di fronte al podio ove il Duce subito sale chiamando vicina la Duchessa Sforza Cesarini. Lo accoglie l'applauso devoto ed ampio, che si intensifica quando egli, manovrando una chiave a volante., fa zampillare l'acqua di una nuova sorgente irrigua. … Dopo essersi, così, reso conto dell'importanza dell'appoderamento, il Duce conclusa la sua sosta a Campo Iemini, con la visita alle stalle, e, quando si congeda, esprime alla Duchessa il suo compiacimento per l'importanza delle realizzazioni. Ancora l'applauso fervido dei rurali; poi, il Duce risale in automobile e, percorrendo la strada di Pontedecima - Castelporziano, alle ore 17,30 è di ritorno a Palazzo Venezia. ( Stefani )
Palazzo comunale e la fontana
Palazzo comunale Palazzo dell’INA
Sede dell’O.N.C.
La Chiesa e il palazzo delle Poste. In fondo al viale, sullo sfondo, la torre del castello di Prativa di Mare
L’Asilo infantile
L’inizio di via Virgilio e (sotto) l’inizio di via Roma
Palazzo della Posta
Panoramica della cittĂ
I nuclei famigliari di assegnatari, immessi nel territorio nel periodo 1938-39, furono circa 213, così suddivisi, in ordine di provenienza: Romagnoli Italo-iugoslavi Italo-rumeni Veneti Già residenti in loco Italo-francesi Abruzzesi
135 26 21 15 8 4 4
La popolazione immessa era costituita prevalentemente da contadini ( fatta eccezione per gli italo-rumeni e gli italo-iugoslavi, trattandosi di famiglie emigrate che esercitavano spesso all’estero professioni di piccolo commercio e piccolo artigianato ma non qualificati da una preparazione tecnica adeguata ad affrontare i problemi di una agricoltura spesso assai diversa da quella dei paesi di provenienza). L'importazione degli immigrati era dettata dalle condizioni difficili in cui si trovavano nel paese di origine, così che, al passato di miseria dell’Agro Pontino, corrisponde nei singoli immigrati un passato altrettanto duro e a volte drammatico.
Arrivo dei primi Coloni alla stazione di S. Palomba ( Foto LUCE)
Ai Coloni appena arrivati viene offerto un breve banchetto ( Foto LUCE)
La famiglia Casadei del podere 2851 prende possesso della casa
Mappa dell’appoderamento dei terreni di Pomezia
La famiglia Mazzotti prende possesso della casa al podere 2856
La casa della famiglia Versari
Roma 28 febbraio 1940 – XVIII Oggetto : Pomezia – condizioni dei coloni Risulta che un effettivo disagio colpisce alcune famiglia di coloni romagnoli immessi recentemente nei poderi dell'O.N.C., le quali, o per imprudenza o perché abituate male in precedenza, avendo superati i limiti delle anticipazioni del patto colonico, sono venute a trovarsi senza mezzi e quindi in condizioni penosissime. I capi di tali famiglie, talvolta facendosi accompagnare dai figliuoli scalzi e seminudi, si rivolgono per aiuti al Podestà, al Segretario del Fascio, i quali provvedono come possono. Tale situazione dal Commissario Prefettizio di Pomezia è stata prospettata al rappresentante dell' O.N.C. perché degli organi centrali dell'Ente vengano adottate adeguate misure assistenziali. In proposito ho già riferito con la lettera del 24 corrente N019588 – 1A.8. il caso riguardante tal Masoni Ino di Giuseppe che trovasi disoccupato ed in ordine al quale resto in attesa di disposizioni.
Di tale disagio è stata opportunamente edotta anche la R.Prefettura per quanto di sua competenza.
Roma 28 febbraio 1940 – XVIII IL PREFETTO DI ROMA APPUNTO PER IL DUCE OGGETTO :- POMEZIA – Situazione dei coloni. Ho percorso il vastissimo territorio del Comune di Pomezia ed ho preso personale contatto con i coloni che vi risiedono: un complesso, cioè, di oltre 1100 persone (raggruppate in circa 120 famiglie), di cui circa 840 provenienti dalla Provincia di Forlì. Purtroppo quanto Vi è stato riferito corrisponde a verità: quasi tutte le famiglie si dibattono tra privazioni e disagi ed in tutte le case predomina una penosa sensazione di miseria. Dovunque, infatti, si nota la mancanza di oggetti di arredamento, ed, in molte case, anche di letti; mentre da tutti si lamenta l’assoluta deficienza di oggetti di vestiario, di coperte, di scarpe e di biancheria. La mia visita è stata accolta con festosa fiducia ed ha dato luogo a commoventi manifestazioni di gratitudine per il DUCE. A tutti i Capi-famiglia ho personalmente consegnati piccoli sussidi, ed anche ai bambini che ho visitati in alcune scuole rurali. All'Ente Comunale di Assistenza ho fatto inviare un contributo straordinario di lire diecimila. Ma ciò è ben poca cosa : questa povera brava e buona gente, che non nasconde la propria gratitudine per il bene da Voi ricevuto, ha bisogno di essere ancora aiutata e confida soltanto nel Vostro grande cuore. Penso che con lire duecentomila si possa provvedere a tutte le necessità prospettate (acquisto di mobili, arredi domestici, letti, materassi, coperte, biancheria, vestiario, scarpe, ecc. ), e cioè con una spesa – in media – di circa lire 1700 a famiglia. La saggia erogazione della somma potrebbe essere affidata alle cure e responsabilità del Commissario Prefettizio del Comune. Roma, li 12 marzo 1940-XVIII
OPERA NAZIONALE COMBATTENTI OGGETTO:Mobilio coloni Azienda Agraria di Pomezia PROMEMORIA PER IL DUCE In merito alla segnalazione che alcuni coloni dipendenti dalla Azienda di Pomezia sono privi in genere del mobilio occorrente e in particolare dei letti in numero sufficiente ai componenti la famiglia, questo Ente si permette esporre che la fornitura del mobilio per i coloni non è di sua pertinenza per precisi accordi con sindacati i quali al riguardo hanno convenuto doversi osservare la norma generale che il proprietario non è tenuto a corrispondere i mobili per l'abitazione dei coloni. L'assunzione di un diverso criterio avrebbe accresciuto infatti il debito colonico che già nel primo anno di esercizio è sempre notevole. Invero tutti i coloni immessi nell'Agro Pontino esclusi quelli di Pomezia sono giunti con le loro masserizie e se hanno ritenuto colmare qualche lacuna lo hanno fatto avvalendosi di parte delle anticipazioni normali loro concesse. Siffatto principio in massima l'Opera ha ritenuto mantenere ferme anche per i coloni giunti di recente a Pomezia i quali, una parte perché provenienti dalle regioni sinistrate dalle alluvioni, altra parte perché proveniente dall'Estero non avevano tutto il mobilio necessario. Tale decisione che evitava la costituzione di un debito iniziale fu trovata giusta tanto dal Commissariato delle Migrazioni Interne, quanto dal Mistero degli Esteri per la rispettiva competenza i quali consentirono a provvedere le masserizie occorrenti ai detti coloni. Anche per altre 54 famiglie coloniche che giungeranno nella prossima settimana dall'estero il Ministero degli Esteri si è già incaricato di dotarli dei mobili occorrenti in ragione di L.850 per ogni famiglia. Ciò premesso per chiarire che niuna responsabilità ha l'Opera
al riguardo tuttavia faccio presente che l'Opera è intervenuta immediatamente nei casi di palesi e urgenti deficienze consegnando ai coloni brande e oggetti di casermaggio e concedendo loro sovvenzioni in misura superiore notevolmente alla quota mensile, ad essi spettante sulla base dell'integrazione colonica; anticipazioni concesse in tale misura nella considerazione delle loro particolari condizioni e in vista delle spese straordinarie di attrezzatura alle quali avrebbero dovuto far fronte. Poiché nella segnalazione cui la presente si riferisce apparivano ancora forti deficienze di mobilio ho disposto un accurato esame della situazione di ogni famiglia colonica di Pomezia nei riguardi del mobilio in genere e in particolare dei letti, ed è risultato quanto appresso: Attualmente nell'Azienda di Pomezia si trovano 140 famiglie coloniche provenienti: un primo gruppo di 39 dalla provincia di Forlì; un secondo gruppo pure dalla provincia di Forlì formato da 29 famiglie, ed un terzo gruppo di forlivesi composto di 22 famiglie. Le rimanenti per raggiungere il predetto numero di 140 sono formate da 45 famiglie rimpatriate dall'estero (19 dalla Francia e 26 dalla Jugoslavia) e da 5 famiglie del comune di Ardea. Alcuni di detti coloni, e precisamente il primo nucleo giunto dalla provincia di Forlì, all'arrivo disponeva di sufficienti masserizie per essere state loro fornite dai Sindacati della provincia di provenienza. Per gli ultimi due nuclei arrivati dalla provincia di Forlì, i quali erano meno forniti dei precedenti, ha provveduto, una volta rilevate le deficienze, al totale o parziale ammobiliamento delle rispettive case, il Commissariato per le Migrazioni fornendo complessivamente 100 letti, 20 armadi, 21 madie, 18 tavoli grandi, 19 piccoli e 140 sedie. Dei coloni rimpatriati dall'estero, alcuni hanno portato le loro masserizie, tuttavia però non sufficienti alle rispettive esigenze, e molti di essi sono giunti invece completamente sprovvisti. Fu all'atto dell'arrivo, immediatamente provveduto a dotarli del minimo indispensabile di brande complete; e ciò ad iniziativa dell’ Opera la quale prelevò le brande, le coperte, la biancheria necessaria dai magazzini degli alloggiamenti operai, mentre il Ministero degli Esteri che si assunse l'onere della fornitura di tutto il mobilio, consegnò poco dopo il loro arrivo, 400 letti, 100 brande, il tutto completo di materassi, lenzuola e coperte, 54 armadi, 54 madie, 54 ta-
voli piccoli, 54 tavoli grandi, 20 tavoli tipo colonia, 532 sedie. Dopo tali provvedimenti alcuni coloni fecero presente che mancavano ancora di qualche letto e quest'opera provvide a far loro distribuire altre brande o consegnò dei buoni atti al prelevamento delle brande stesse presso i magazzini alloggiamenti operai, buoni dei quali neppure tutti sono stati usufruiti. Per quanto si riferisce ai tre nominativi di coloni segnalati a titolo di esempio, si precisa quanto segue: - colono Blasi Nunzio - 12 componenti, dispone di tre letti matrimoniali (6 posti) e di sei brande. E' da notare che tra i ragazzi ne ha uno al disotto dei 5 anni. Non risulta quindi corrispondente a verità, che tale famiglia disponga di soli 5 letti. - colono Tonelli Guglielmo - 9 componenti, dispone di un letto matrimoniale (2 posti) e di 7 brande, e non di soli tre letti come era stato segnalato. - colono Bastian Leopoldo - ha la famiglia composta da 9 persone e non 11, e dispone invece di ben 11 letti, cioè 2 in più dell’attuale fabbisogno. Poiché è risultato che in rapporto al numero dei componenti è opportuna una ulteriore distribuzione di 52 letti, quest’opera ha provveduto di urgenza all'ordinazione di 52 brande con rete metallica, fornite di materasso, cuscino, coperte e 1enzuola, di cui una parte già consegnata ai coloni e ciò malgrado, che come si è esposto innanzi, la fornitura del mobilio non possa considerarsi a suo carico e altri Enti se ne siano assunto l’onere.
Roma, li 17 aprile 1940-XVIII Caro Sebastiani, Come ti è noto il DUCE nello scorso mese di marzo si degnò di elargire £ 200.000 per le urgenti necessità delle famiglie bisognose di Pomezia. Per la migliore erogazione della somma ho ritenuto opportuno di costituire sul posto una Commissione di cui fanno parte: Il Commissario Prefettizio del Comune; Il Segretario Politico del Fascio del Capoluogo; La segreteria del Fascio Femminile; i due medici condotti di Pomezia e di Ardea; i Comandanti delle stazioni dei CC.RR. di Pomezia e di Ardea. La commissione, presa in esame la situazione di tutte le famiglie dei coloni, ha formulato concrete proposte che – in riassunto – ti comunico nell’allegato foglio per tua notizia e per eventuali osservazioni e modifiche.