Giornali della fondazione di Pomezia

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Con lo scopo di documentare la storia della nostra città, in queste pagine sono state raccolte alcune testate di giornali che riportavano la notizia della fondazione e dell’inaugurazione di Pomezia. Ma trattandosi di una documentazione riportata sulla stampa nazionale, ci sembra opportuno indicare anche il modo in cui le notizie venivano riferite. ” Veline” oggi un termine usato in televisione per indicare il ruolo svolto da giovani ragazze che si esibiscono in brevissime apparizioni come brevi parentesi fra un argomento e l’altro. Ma durante il periodo fascista con il termine «velina» si indicavano gli ordini, le richieste e i suggerimenti che gruppi o uomini di potere indirizzavano ai mezzi dell’informazione per influenzarne scelte e atteggiamenti. E «velinaro» é l’epiteto offensivo rivolto ai giornalisti accusati di essere gli esecutori o gli interpreti di tali interventi interessati. Sulla rivista ”Panorama” del 28 luglio 1984, Paolo Murialdi ha pubblicato un interessante articolo su questo argomento che in parte riportiamo: La grande stagione delle «veline» fu in particolare il periodo che va dai primi anni trenta al 25 luglio 1943. Gli ordini, le direttive, le imbeccate dati quotidianamente ai giornali, all’Agenzia ufficiale (la Stefani) e ai giornali radio vennero chiamati veline perché da un certo momento in poi erano diventati così tanti che al Minculpop ( Ministero Cultura Popolare che aveva sede in via Veneto nel Palazzo Balestra) anche su richiesta dei giornalisti incaricati di riceverli, si preferì batterli a macchina e distribuire le copie. Il nome viene, quindi, dalla carta velina. Soppressa definitivamente la libertà di stampa nel 1926, messi in riga i giornali e quasi tutti i giornalisti, Mussolini, che era un giornalista di notevole talento ma propenso alla censura, aveva cominciato a fare una cosa che gli piaceva molto: il direttore unico di tutti i giornali della Penisola e delle Colonie. Come ci ha detto Gherardo Casini, direttore generale della stampa italiana al Minculpop dal 1936 al 1941, era lui in persona che vietava, ordinava, «sensibilizzava» o «minimizzava», per dirla con due verbi allora in voga nel linguaggio politico-burocratico del ministero. Tutte le mattine, Mussolini scorreva un mucchio di giornali tirando freghi con la matita rossa e blu. Poi ascoltava i rapporti del capo della polizia e del sottosegretario agli Interni. Infine, alle 12, riceveva il ministro della Cultura popolare al quale dettava gli ordini da diramare ai giornali. Ma oltre alle veline, c’erano i comunicati inviati all’Agenzia Stefani che i giornali dovevano pubblicare. Nel 1933 Mussolini affida l’Ufficio stampa al genero, Galeazzo Ciano, con l’incarico di trasformarlo in un Sottosegretariato per la stampa e la propaganda. Come ha scritto lo storico Renzo De Felice, con l’avvento di Ciano « si istituzionalizzano le veline».E frequenti diventano i rapporti che il sottosegretario e poi ministro della Stampa e propaganda tiene ai direttori dei principali giornali o ai loro qualificati rappresentanti. Nel 1937 il ministero cambia etichetta in quella più ambiziosa di «Cultura popolare», immediatamente ridotta, nel giro degli addetti ai lavori, a «Minculpop». A Ciano, su quella poltrona, succederanno Dino Alfieri, Alessandro Pavolini e Gaetano Polverelli. Gli scopi di fondo affidati alla stampa sono elementari. Li ha consigliati Mussolini in un discorso ai giornalisti tenuto nel 1933: «Tutti i giornali devono essere un blocco solo, dalla prima all’ultima pagina, dall’articolo di fondo all’avviso economico. Servire la Causa, far conoscere ciò che è utile, valorizzare ciò che è sano, buono, bello ed eroico. Ignorare il resto; seppellirlo nel buio dell’indifferenza assoluta». Le veline erano il mezzo più tempestivo per guidare i giornali sugli obiettivi edificanti e per questo le veline, persino in


tempo di guerra, riguardano gli argomenti più disparati e non soltanto la politica interna e internazionale: riguardano il culti del Duce, l’attività culturale, la cronaca nera, lo sport, la moda femminile, il cinema. Una raccolta completa degli ordini alla stampa non esiste. I destinatari dovevano distruggere quei fogli. Per fortuna, non tutti l’hanno fatto. Una documentazione abbastanza ampia si trova nell’archivio del Minculpop ora arricchito dall’archivio personale del presidente dell’Agenzia Stefani, Manlìo Morgagni, la cui devozione a Mussolini era tale da spingerlo a togliersi la vita quando il 25 luglio 1943 il Duce fu destituito e arrestato su voto del Gran Consiglio. Ecco un campionario di veline dal quale anche i molti che non hanno conosciuto la stampa del regime fascista possono farsi un’idea di come erano i giornali persino nei campi meno legati alla politica. Il culto del Duce. La costruzione del mito era cominciata presto. Prima di tutto, arrivato ai cinquant’anni, Mussolini non vuole più sentir parlare, né in famiglia né sui giornali, della propria età. Nel 1933, al momento dei 50, esce questa velina: «Non fare cenno al compleanno del Duce». Sei anni dopo il Minculpop sarà costretto a ricordare che «il Duce non gradisce in alcun modo che la stampa si occupi del suo compleanno». Nello stesso anno troviamo un raro caso di intervento contro gli eccessi del culto: «Non occuparsi più dell’iniziativa di erigere sull’Etna un busto del Duce». Nelle sue frequenti visite a città e contrade d’Italia, Mussolini non disdegna talvolta di partecipare a delle feste popolari. Ma, subito dopo, come dimostrano queste due note di servizio del 1937 e del 1938, si comunicava: «Rivedere le corrispondenze dalla Sicilia perché non si deve pubblicare che il Duce ha ballato». «Non fare assolutamente cenno del balletto a cui ha partecipato il Duce a Belluno». Invece, nel 1938 i giornali sono obbligati a «notare come il Duce non fosse affatto stanco dopo quattro ore di trebbiatrice», «Dire che il Duce è stato chiamato dieci volte al balcone»; «Assoluto divieto di abbinare altri nomi alle acclamazioni all’indirizzo del Duce»; «Rilevare l’ammirazione e interesse del pubblico per il fatto che il Duce vestiva la divisa di Primo Maresciallo dell’Impero»; «È stata ,sequestrata L’Illustrazione italiana per una brutta fotografia del Duce». Opposto il senso della velina che riguarda Gino Bartali subito dopo la sua vittoria nel Giro di Francia del 1938: « I giornali si occupino di Gino Bartali esclusivamente come sportivo, senza inutili resoconti delle sue giornate di libero cittadino». Bartali ricorda benissimo i motivi per cui questi resoconti vennero definiti «inutili». Lui era iscritto all’Azione cattolica e non alla Gioventù italiana del Littorio. E proprio in occasione del Tour, un radiocronista lo aveva avvertito che, se voleva evirare rischi personali, doveva dichiarare di aver vinto per l’Italia e per il Duce e non per la gioventù cattolica come era solito fare. La cronaca nera. La riduzione o la cancellazione della cronaca nera è un chiodo fisso di Mussolini. Il giro di vite si accentua nel 1932: «Cronaca nera e quella giudiziaria riferentesi a delitti deve essere contenuta in ristretti limiti, con titolo a due colonne». Un anno dopo: «Trenta righe al massimo per ogni fatto di cronaca nera e giudiziaria. Titoli non vistosi e su una colonna». In piena guerra il Minculpop interviene ancora: «Si ricorda che i furti fanno parte della cronaca nera che deve essere limitatissima» ; «Ricordare che le notizie relative ai suicidi sono abolite da un pezzo sui nostri giornali e che non debbono riaffiorare neppure in forma velata». Le donne e la moda. Le veline su questi temi sono più frequenti di quanto si possa immaginare. Per il Duce la donna non poteva essere che una sposa esemplare e una madre prolifica. Le donne magre lo mandavano in bestia come dimostrano queste veline dei primi anni Trenta: « Evitate la riproduzione di donne serpenti che rappresentano la negazione della vera donna, la cui funzione è di procreare figli sani. Scrivere articoli contro la moda della silhouette». «Tornare sulla questione della donna-crisi cercando di arginare,


quanto è più possibile, la tendenza che porta le donne a dimagrire per seguire mode esotiche, rendendole sterili e malate. Le donne-crisi sono tipici prodotti delle decadenti società occidentali». «D’ora innanzi la pubblicazione di fotografie di donne magre porterà senz’altro al sequestro. Dare incarico a letterati di scrivere novelle o bozzetti o trafiletti prendendo in giro le donne magre». Anche durante la guerra la moda non viene trascurata e le veline seguono le esigenze belliche. Al divieto di fare propaganda a favore dei pantaloni delle donne in bicicletta corrisponde il divieto di pubblicare trafiletti e di fare campagne contro le donne senza calze. Il 5 maggio 1943 viene diramata questa velina: «Nei figurini di moda femminile le gonne vanno leggermente allungate oltre il ginocchio» Varie veline sono dirette contro autori e attori ebrei. Una, del 1941, è collettiva: « È fatto assoluto divieto di pubblicare fotografie, articoli e notizie riguardanti i seguenti attori stranieri: Charlie Chaplin, Erich von Stroheim, Bette Davis, Douglas Fairbanks jr. Myrna Loy, Fred Astaire e la casa cinematografica Metro Goldwyn Mayer». Anche Greta Garbo viene cancellata perché «non è soltanto antibolscevica ma anche antitotalitaria». Le restrizioni alimentari. Il Minculpop durante la guerra si dedica particolarmente al «fronte interno» perché sulle notizie belliche c’è già una doppia, censura militare e politica. Molte preoccupazioni destano le reazioni della gente alla crescente penuria dei generi di prima necessità. Tanto che gli interventi sono ispirati a un certo senso della misura. Nel 1940 «A nessuno venga in mente di raccontare che, in fondo, il burro fa male alla salute e che l’olio è indigesto. Dire invece che si tratta di sacrifici sopportati molto severamente»; «Astenersi dall’illustrare la bontà del pane con la nuova miscela, anche dal punto di vista medicosanitario» ; «Non toccare l’argomento delle cosiddette code davanti ai negozi». Di veline, ne circolano anche oggi per insidiare o corrompere i mezzi dell’informazione. Ma non va dimenticata la possibilità di respingere le veline. Come scrisse Benjamin Constant quasi due secoli fa; «con la libertà di stampa c’è qualche volta disordine, ma senza libertà di stampa c’è la servitù e con la servitù c’è anche il disordine perché il potere illimitato diventa cieco». Paolo Murialdi


Poiché la lettura degli articoli è resa impossibile dal formato delle riproduzioni dei giornali che di seguito riproduciamo, parlando di ”veline” abbiamo trascritto gli articoli di alcune testate e il comunicato che l’Agenzia Stefani inviò a tutti i giornali in occasione dell’inaugurazione di Pomezia e che la maggior parte della stampa riportò quasi integralmente, con l’aggiunta, in alcuni casi, di brevi commenti degli articolisti. Mario Bianchi


GIORNALE D’ITALIA del 26 aprile 1938


IL DUCE HA FONDATO POMEZIA La posa della prima pietra - L’inizio dei lavori della grande litoranea tra l’Aurelia e l’Appia. Ritorno alla vita Il Duce ha fondato oggi il nuovo comune di Pomezia. Con sobria cerimonia ha murato, nella campagna aperta già verdeggiante, la pietra fondamentale di quella che sarà la torre municipale del comune. Questa è un’altra tappa dell’avanzata nella guerra, senza soste, ”che preferiamo”. Non rievochiamo la storia oscura del passato per ricercare nel nuovo centro abitato che si prepara le tracce dell’antica Pomezia, città dei Volsci, vissuta già con alquanto splendore e poi scomparsa sotto il flutto delle acque stagnanti. E’ dell’avvenire che questo nuovo comune, costruito dal Fascismo, vive e s’illumina. Il 29 ottobre 1939 esso sarà già inaugurato e abitato. Quando tutte le necessarie opere edilizie saranno compiute, esso diverrà il centro di 5000 abitanti. La campagna a torno, già malarica e disertata, popolata da pigri armenti e dalle colonne dei cavalli bradi, sarà restituita al lavoro produttivo, coltivata e aggiunta a quella che dà al popolo italiano il suo pane quotidiano. Questa è la grande epopea con la sua robusta poesia rurale, che si svolge dall’inizio del tempo fascista per volontà mussoliniana e non ha avuto mai soste, neppure nel tempo della conquista etiopica. Con la bonifica e la colonizzazione del territorio di Pomezia, disteso in un cerchio di 15.980 ettari che saranno presto appoderati e ripartiti fra le famiglie coloniche raccolte dall’Opera Nazionale Combattenti, si crea la saldatura produttiva fra l’Agro Pontino e l’Agro Romano. La saldatura si iniziò già con la fondazione di Aprilia, che è sul margine dei due Agri. Ma il nuovo comune è già al centro dell’Agro Romano: lontano appena 25 chilometri da Roma. La terra si bonifica per il lavoro. La Capitale si risana per estendersi libera verso i limiti dei 2 milioni di abitanti. Ricordiamo il discorso del Duce detto il 25 aprile dell’anno XIV in occasione della fondazione di Aprilia e annunciante la fondazione di Pomezia per il 25 aprile 1938: ” Solo allora la nostra opera potrà dirsi compiuta e una nuova vittoria si aggiungerà alle altre che il popolo italiano in questi anni ha fermamente voluto e pienamente meritato”. Le tappe di questa opera gigantesca e prodigiosa, già tentata e fallita ai tempi dell’antica Roma e di quella dei Papi, si sono seguite rapide e regolari secondo un piano deciso di azione che non ammetteva ritardi. Alla prima fondazione di Littoria, oggi già piccola città, che è del giugno 1932, sono seguite quelle di Sabaudia nell’agosto 1933, di Pontinia nel dicembre 1934, e di Aprilia nell’aprile 1936. Questo è il gioioso ritorno alla vita dove erano la solitudine e la morte. Si inizia un nuovo ciclo di colonizzazione dell’Agro Romano. Il Fascismo ha già spinto avanti l’opera già troppo lenta dei passati regimi. Dai 30


milioni di mutui e dai più poco che tre milioni di premi dati dallo Stato fino al 1922 per lo sviluppo agricolo dell’Agro Romano era già salito, nel giugno del 1934 a 725 milioni di mutui e 28 milioni di premi. L’agricoltura è qui chiamata più che mai a rinnovarsi e progredire. L’Agro romano è la base agricola di Roma. Il rapido crescere della città deve essere accompagnato da un rapido crescere di tutte le possibilità dei suoi immediati rifornimenti. La nuova città industriale, auspicata da Mussolini, che sorge a Roma ed eleva la sua potenza economica, ha bisogno di una florida terra circostante che la rifornisce di grano e latte, di carne e verdure. Questa armonia di sviluppi economici fra città e campagna, mai conosciuta nei passati decenni per Roma, comincia a divenire una realtà. E’ solo essa che, mentre assicura l’equilibrio economico, e sociale fra le popolazioni, garantisce anche il buon mercato della vita cittadina. Pomezia risorta significa l’agricoltura produttiva dell’Agro avvicinata per una nuova strada a Roma. VIRGINIO GAYDA IL QUINTO COMUNE E’ nata oggi Pomezia quinto centro dell’Agro redento. Il grande blocco di marmo è pronto, solido e squadrato, a scendere nella terra umida e feconda, la pergamena augurale è vicina al suo astuccio e alla sua custodia di zinco per essere murata, insieme alle monete dell’Era Fascista, nel vano del masso, l’antenna su cui si leverà la bandiera d’Italia a gonfiarsi del vento del prossimo mare si rizza contro il cielo sereno, le mine che dardegeranno di scoppi il tracciato della nuova strada attendono di essere brillate. C’è nell’aria di questa campagna aperta, insieme al palpito delle antiche leggende, un fremito di natività pieno di auspici. L’ATTO DI NASCITA L’atto di nascita di Pomezia è già da sabato stato stillato nel decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri; la bella pergamena ornata di fasci, di spighe e di attrezzi da lavoro riassume per la storia dei secoli lo spirito di questa giornata: Il tempo trascorre, le stagioni si avvicendano, gli appuntamenti dati dal Duce sono rispettati con cronometrica puntualità. Disse Mussolini alla inaugurazione di Aprilia ” Arrivederci a Pomezia ” e ne annunciò la posa della prima pietra per il 25 aprile dell’Anno XVI e il compimento per il primo giorno dell’anno XVIII. Le date, come sempre, sono osservate scrupolosamente: è il 25 aprile, fra poche ore Mussolini giungerà a far scendere la pietra nella terra ferace, dopo che il vicario generale del Vescovo di Albano e di Ostia avrà benedetto il masso di travertino; fra le acclamazioni delle forti e aduste masse rurali convenute dal mattino, con bandiere e labari, sul luogo della fondazione, Pomezia sarà da oggi una realtà e domani, nel suo perimetro, già cominceranno a sorgere la Chiesa, il palazzo Podestarile, la Casa del Fascio, l’edificio postale, ai limiti di un vasto rettangolo che, secondo il piano regolatore, formerà il cuore del nuovo Comune, le cui masse edilizie, i cui portici, le cui strade


fiancheggiate da case sobrie, e la Caserma dei Carabinieri e la sede dell’Azienda Agraria dell’Opera Nazionale Combattenti, e la Scuola e i locali della G.I.L. avranno il composto carattere e la luminosa armonia degli antichi comuni italici e la nobile fisionomia che distingue gli altri centri dell’Agro redento. Ma se fra breve, con la consueta rapidità fascista, qui dove è ancora campagna aperta, fra il Circeo e i colli Albani e il mare, tutto muterà fisionomia per cedere il posto al nascente Comune che Pomezia rappresenterà, a meno di 30 km. Da Roma, il punto di unione, l’ideal raccordo fra Agro Pontino e Agro Romano e i 16 mila ettari della sua superficie territoriale e i suoi 5000 abitanti costituiranno l’armonica continuità di una rinascita agraria formidabile, di una bonifica quale mai nessuno prima d’ora, né imperatori né papi, riuscì a realizzare, ci sarà oggi, accanto alla posa della prima pietra e al tracciamento del perimetro del nuovo Comune, un altro atto di vita: la nascita della nuova strada, la via Littoria, che dal lido di Roma allaccerà attraverso 50 hm. Di Agro il litorale Ostiense a Pomezia, Aprilia, Littoria, avviandosi pressoché rettilineo verso il Circeo, con 9 metri di larghezza di massicciata e metri 1,50 di banchine laterali, ad unire il nord d’Italia, cioè la Litoranea all’Aurelia all’Appia, ” Regina viarum ”, che s’avventa verso il mezzogiorno, a costituire, insomma, nel cuore dei due agri redenti, una novissima corrente di traffici che da settentrione a sud lascerà fuori Roma, dando alla spiaggia lambita dal Tirreno una sconosciuta vitalità. DALLA LEGGENDA ALLA STORIA Ecco perché nella nascita di Pomezia, cui faranno corona nei loro pittoreschi costumi le popolazioni rurali che eseguiranno cori e danze, c’è qualcosa di più della semplice fondazione di un comune nuovo; c’è la risurrezione di una plaga che restò per secoli tagliata fuori dalla vita dell’Urbe, dalle correnti del traffico, dal fervore fecondo della fatica agricola, e che oggi, per volontà del Duce, vede schiudere novelli orizzonti di benessere, di progresso, di civiltà. Ad una ad una, con una costanza e con tenacia, s’adempiono le promesse, si sviluppano i programmi, si completano le opere: se si pensa al non lontano 30 giugno dell’anno X, in cui fu fondata Littoria, s’arriva al compimento della bonifica pontina con la realizzazione di Pomezia, attraverso altrettante date che sono come tappe di un preciso cammino: 5 agosto dell’XI anno in cui si fonda Sabaudia, 19 dicembre del XIII fondazione di Pontinia, 25 aprile del XVI fondazione di Aprilia. E ad ogni atto creativo sempre il Duce è presente e da le direttive per il futuro lavoro, e ad ogni tappa l’Opera Nazionale Combattenti, cui fu affidato il formidabile compito, si presenta come ad un rapporto con una somma imponente di realizzazioni, di canalizzazioni compiute per disciplinare le acque, di case coloniche costruite, di appoderamenti perfetti, di raccolti fecondi. Nasce oggi Pomezia fra il Circeo e i colli Albani, vivificata dal respiro del mare, là dove i lontani miti circondano la terra di straordinarie leggende. Se Enea, dopo il suo travagliato peregrinare, approdò qui a fondare Lavinia, e da questa terra i progenitori di Roma, come Virgilio canta, mossero alla fondazione della più grande civiltà che il mondo ricordi, in questa terra dunque è la culla più viva d’Italia, madre delle genti.


E il nome del Comune che nasce, nome che dice abbondanza e ricchezza della terra, sembra l’adempimento di un’antica promessa. Godiamoci le leggende che sono belle perché le circonda l’alone dell’immortale poesia; ma dalla vibrante realtà della terra che rinasce a dar pane agli Italiani, prendiamo oggi i più veri e sicuri auspici. Ammiriamo la leggenda, ma facciamo la storia. GIUNGE IL DUCE Sono ormai le 16. Un sole sfolgorante, che domina con la sua luce radiosa l’Agro, dà alla fondazione di Pomezia un carattere più festosamente primaverile, che costituisce il privilegio più ambito di queste giornate memorabili per la storia della redenzione pontina. Lungo la via Laurentina, che è la strada di accesso al territorio del nuovo Comune, le prime bandiere che pavesano la tenuta di Monte di Leva e i grandi trattori agricoli di questa bonifica, nere macchie allineate come buone sentinelle, danno il primo saluto al Duce che giunge a Pomezia, cioè nella zona dove il nuovo centro nasce. Mussolini, che veste l’uniforme fascista, è salutato al suo arrivo da una acclamazione ardente e formidabile. Una moltitudine di almeno 20 mila persone si è raccolta ad attenderlo, formando un possente quadrato intorno alla pietra che fra poco discenderà nella terra, intorno al podio adorno di festoni di lauro e di mortella, decorato con grandi cesti di frutti dai colori violenti, di quei frutti che sono l’espressione e il simbolo fecondo del nuovo Comune. Questa moltitudine festosa ed agreste che da alcune ore sosta sotto il gran sole di aprile è composta di gruppi di donne nei pittoreschi costumi dei paesi pontini ed albani, di masse compatte di camicie nere, giunte da Roma con le rappresentanze di tutti i gruppi rionali e i Gagliardetti, dei fascisti dei vari centri pontini e dei Castelli romani, delle formazioni della G.I.L., di reparti della Milizia e forti rurali, molti dei quali recano l’elmetto di combattenti, mentre alcuni indossano le uniformi di legionari dell’Africa e di Spagna. Il quadro è perfetto e stupendo, nella sua campestre semplicità. Perfetto per la disciplina e per la passione che animano la moltitudine, stupendo per la cornice mirabile formata dalla distesa dell’Agro, dal mare che si scorge in fondo alla pianura, dal gruppo di colli Albani appena impennacchiati di nubi, che dominano lo sfondo. Ecco, mentre l’acclamazione della moltitudine prorompe sempre più ardente, il Duce, che è stato ricevuto dall’on. Di Crollalanza presidente dell’Opera Nazionale dei Combattenti, ed è seguito dal Ministro Segretario del Partito, dal Ministro della Cultura Popolare, dal Ministro dell’Agricoltura, dal Ministro dell’Educazione Nazionale, dal Ministro dei Lavori Pubblici, dal Maresciallo d’Italia Graziani, dal sottosegretario alle Colonie, dal Presidente della Camera, dal Capo di Stato Maggiore della Milizia, dal Governatore di Roma, dal Prefetto, dal Federale, dal Vice Presidente dell’Associazione Mutilati, eccolo passare in rassegna i reparti d’onore della Milizia Forestale, che leva alti i pugnali, ed avanzare verso il padiglione dove è esposto in effigie il plastico di Pomezia, così come esso sarà, una volta compiuto, plastico che Mussolini esamina attentamente, insieme ai grafici e alle piante topografiche che compongono il tracciato della nuova via Littoria.


Ecco avanzare verso il podio, dove riceve più ardente che mai l’acclamazione della moltitudine, e scendere in mezzo al quadrato dove la pietra è in attesa del rito. SI COMPIE IL RITO Allora, mentre un silenzio austero e raccolto cede il posto alle acclamazioni, il Duce esamina la bella pergamena, che racchiude, insieme ad alcune monete, in una custodia di zinco, mentre il Prelato benedice il masso con il rito della fede e pronunzia un breve e fervido discorso. Ora Mussolini depone la pergamena, chiusa nel suo astuccio, nel cavo del marmo, la mura con pochi colpi di calce, vibrati con la cazzuola, e poco dopo il masso discende con un lento cigolio di carrucole nello scavo già pronto. Scoppiano di nuovo gli applausi della moltitudine, fra cui sono, su di un torpedone, gli studenti giapponesi in questi giorni ospiti dell’Urbe, verso i quali il Duce si volge con cordiale sorriso. Pomezia è fondata; sulle alte antenne salgono e si gonfiano al vento del mare le bandiere d’Italia ed il vessillo oro e nero del Fascio di combattimento. Dall’alto del podio - verdeggiante di lauro ed adorno di frutta - il Duce che ha a fianco l’on. Di Crollalanza ed il Ministro Segretario del P.N.F. e le altre autorità, guarda a sinistra, oltre i due grandi Fasci Littori, costruiti anch’essi con lauri, con le scuri d’argento che sporgono dalla massa verde cupa, guarda verso due grandi iscrizioni bianche sormontanti due frecce che indicano nelle opposte direzioni Roma e Littoria. Qui passerà la nuova strada pulsante di traffici nel cuore dell’Agro redento: ed ecco che su tale direttrice una fila di mine detonano festosamente e dirompendo la terra, indica l’inizio dei lavori per la costruzione della grande arteria. Si levano di nuovo gli applausi della moltitudine; è un’acclamazione appassionata all’indirizzo del Fondatore dell’Impero, il quale dall’alto del podio, ammira a lungo la scena, colma di natività e di creazione; guarda al di là del cerchio del verde che circonda la zona, quasi a ricercare, verso i Colli Albani, verso il mare ed il Circeo, i limiti della imperitura opera di bonifica ormai pressoché compiuta. Il Duce risponde quindi romanamente al saluto della folla e poi fa cenno di voler parlare. Di nuovo il grande silenzio incombe sulla moltitudine e la voce del Capo si diffonde ai quattro angoli della grande radura, a sottolineare, con la sua parola precisa ed inequivocabile, l’alto significato della fondazione, da cui quest’oggi il quinto centro pontino. Nuove grandi festose acclamazioni salutano la fine del breve discorso di Mussolini, che rimane a lungo sul podio ad ascoltare il canto Pucciniano ” Inno a Roma” che si leva dalle masse, ad ammirare la moltitudine festante, ad udire ancora i cori pieni di una musicalità semplice ed agreste che rappresentano la indimenticabile sinfonia di questa giornata festante. Così in questo clima di fecondazione rurale consacrato dalla primavera romana, Pomezia quest’oggi è nata. Arnaldo Geraldini.





Milano – MartedÏ 26 aprile 1938


MartedĂŹ 26 aprile 1938


Roma – Palazzo Sciarra MartedÏ 26 aprile 1938


Roma – Sabato 10 febbraio 1938



MercoledĂŹ 27 aprile 1938


MercoledĂŹ 27 aprile 1938


Napoli – MartedÏ 26 aprile 1938


Edizione del mattino – martedÏ 26 aprile 1938


IL RESTO DEL CARLINO – 26 aprile 1938


V Edizione – Marted’ 26 – Mercoledì 27 aprile 1938


Firenze – 26 aprile 1938


Roma – 26 aprile 1938


MercoledĂŹ 27 aprile 1938


Bologna – 26 aprile 1938


Milano – 26 aprile 1938


Vicenza – 26 aprile 1938


Cremona 26 aprile 1938


Cremona - 26 aprile 1938

REGIME FASCISTA - Cremona, martedì 26 aprile 1938 Nelle prime ore del pomeriggio abbiamo visto raccogliersi nel territorio di Pomezia, la folla che è solita radunarsi nei giorni delle celebrazioni più memorabili dell’Agro Pontino : le più alte Gerarchie del Regime, le autorità dei comuni della zona bonificata, le formazioni fasciste della provincia di Littoria, una moltitudine di contadini in Camicia Nera. Il rito augurale, oggi celebrato per la nascita di Pomezia, non poteva essere più solenne. Tutti gli agricoltori della terra pontina hanno salutato festosamente la nuovissima città che ricorda nel suo nome virile quello di un importante centro dei tempi dei Volsci; tutti gli Italiani vedono sorgere con orgoglio il quinto comune dell’Agro redento, nuova testimonianza della volontà, dell’operosità, della fede delle generazioni del Littorio. Terra sacra a Roma Pomezia sarà presto costruita nei pressi di Pratica di Mare a ventitre chilometri da Roma. La sua posizione topografica è particolarmente felice perché all’Urbe stessa verrà congiunta dalla via Petronella e dalla via Sorrentina (??? forse Laurentina), mentre la via Mediana, che è in costruzione l’unirà a Littoria e alla via Appia da una parte e alla bassa Valle del Tevere dall’altra. Sarà edificata secondo il progetto degli architetti Comezio (Concezio) Petrucci e Mario Tufarelli (Tufaroli) Luciano e degli ingegneri Filiberto Paolini e Riccardo Silenzi progetto riuscito vittorioso dal concorso appositamente bandito e di cui parlammo in altre occasioni. Le case di Pomezia guarderanno domani lo stesso terreno percorso in epoca remotissima dal figlio di Venere e di Anchise quando traccio il solco per fondare la prima città del nuovo popolo italico: Lavinia. A questa sponda approdò il profugo Enea e partirono di qui i suoi discendenti per fondare sulle rive del Tevere la Città Eterna, la Terra Sacra dove si compirono i primi fati di Roma. La cerimonia di oggi ha avuto quindi un profondo significato perché ha ricordato ancora una volta, a quanti vi hanno assistito, il vincolo ideale tra le antichissime memorie e le opere del nostro secolo degne queste di rappresentare nell’avvenire, la Roma Imperiale di Mussolini. I coloni che coltivano i verdi poderi che si staccano dalle pendici del Circeo e si distendono lungo il litorale tirreno, hanno atteso il Duce con ansia, l’hanno acclamato ai margini dei propri campi durante il percorso che conduce a Pomezia, non appena hanno riconosciuto la sua macchina. Sulla via Laurentina, strada di accesso al nuovo comune, le prime bandiere palesano le tenute di Monte di Leva. Troviamo perfettamente allineati anche i grandi trattori agricoli della bonifica. Una folla di almeno ventimila persone si è raccolta per aspettare il Capo del Governo formando un gremito quadrato intorno alla pietra che porta scolpita la data dell’avvenimento: 25 aprile XVI – Nascita di Pomezia. Le tribune dell’autorità e del pubblico sono adorne di bandiere, di festoni, di alloro, di mortella, di cestini di frutta, dai colori vivaci, ardenti che vogliono esprimere la sana fecondità dei terreni della regione bonificata.


Arrivederci a Pomezia Da Roma sono venute le rappresentanze dei gruppi rionali con i rispettivi gagliardetti delle sezioni fasciste dei vari centri Pontini e dei Castelli Romani. Dei legionari d’Africa e della Spagna. Il quadro è bellissimo e non manca la nota folcloristica: pittoreschi gruppi di donne in costume paesano, madri e fanciulle di Nettuno, Genzano, Cecchina con le gonne e i busti di un rosso violento, quelle di Littoria con gli abiti azzurri, le altre di Sezze Romano con i grembiuli artisticamente ricamati. Presta servizio d’ordine una compagnia della Milizia confinaria. Nell’attesa le musiche intonano gli inni; le donne cantano i ritornelli preferiti; dal petto di leva ansiosa l’invocazione: Duce! Ognuno rivela nello sguardo la gioia di questa giornata che nella fisionomia e nella sostanza è schiettamente rurale, esalta i motivi di una gigantesca fatica che fu affrontata dai nostri contadini. Il giorno dell’inaugurazione di Aprilia i rurali avevano stabilito un altro appuntamento, scrivendo a grandi lettere alle pareti delle case coloniche sparse sulle strade di Roma : “Arrivederci Pomezia”. La gente dell’Agro Pontino è stata sempre puntualissima, si può dire che ogni volta ha “spaccato il minuto”. Eccoci alla data segnata: 25 aprile: fondazione di Pomezia che- come disse il Duce nel suo discorso di Aprilia- verrà inaugurata il 28 ottobre 1939. Anche Pomezia, come Littoria, Sabaudia, Aprilia, Pontinia, nella sua impostazione urbanistica, nella espressione semplice delle sue case, dei suoi porticati costruirà un riuscito connubio tra la bella tradizione dell’aureo periodo dei comuni italiani e dell’architettura moderna, risulterà perciò armonicamente inquadrata nel paesaggio della campagna romana. I reduci delle trincee, del Veneto, della Romagna, della Lombardia, degli Abruzzi sono venuti a lavorare nel Lazio per rendere sempre più fertili i terreni dissodati, solcati, seminati attraverso le conquiste della miracolosa bonifica; hanno risposto con assoluta regolarità, con precisione militare alla consegna del Duce.

Elequentissime date La storia della bonifica pontina, che comprende un breve periodo, ricco di geniale iniziativa, di laboriosa ascesa, di sorprendente realizzazione, si riassume in poche eloquentissime date. Ricordarle in questa occasione significa ritemprarsi nella fierezza dei recenti successi conseguiti con passione e tenacia nell’aperta fiducia verso il domani. Il 30 giugno 1932 si gettano le basi di Littoria, il 18 dicembre 1933 la nuova città è un fatto compiuto. Il 5 agosto 1933 si fonda Sabaudia, che viene inaugurata il 15 aprile dell’anno successivo. Il Duce proclama la provincia Littoria il 19 dicembre 1934 e pone la prima pietra di Pontinia, che inaugura dopo un solo anno. Inaugurazione di Aprilia: il 29 ottobre 1937. Per tutte le opere di bonifica, di trasformazione fondiaria e di costruzione di città, si può calcolare che si sia impegnata finora una spesa di circa un miliardo e seicento milioni assicurando alle


masse operaie oltre 26 milioni di giornate lavorative. Con la nascita di Pomezia siamo alla conclusione dell’importante opera bonificatrice e colonizzatrice. La conquista rurale dell’Agro Pontino che ha costituito la logica, significativa premessa dell’espansione imperiale dell’Italia Fascista è una fulgida realtà. Alla superba realizzazione, che si inquadra nel piano della bonifica integrale, prevista dalla “Legge Mussolini”, contribuirono enti e privati i quali cooperarono l’azione dell’Opera Nazione Combattenti. Tutta la popolazione dell’Agro Pontino ha voluto esprimere ancora una volta al Duce, ispiratore, artefice la sua appassionata gratitudine. Pochi minuti prima dell’arrivo del Capo del Governo entra nella tribuna anche il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani che è acclamato con viva simpatia dalla folla. Tra le autorità che si sono fermate all’ingresso del campo per aspettare Mussolini, notiamo: il Presidente della Camera, S.E. Costanzo Ciano, i ministri Alfieri e Bottaio, il sottosegretario al Ministero dell’A.I. Teruzzi, il capo di S.M. della Milizia, gen. Russo, che appena giunto passa in rivista reparti delle Camice Nere, il Governatore dell’Urbe, Principe Colonna, il Presidente dell’Opera Nazionale Combattenti, Di Crollanza, il segretario federale Ippolito e molte altre personalità della Camera, del Senato del Partito. L’arrivo del Duce Mussolini giunge all’ora stabilità acclamato con voce unanime della moltitudine. A lui- che è accompagnato dal Segretario del Partito on. Starace e dal Ministro per l’Agricoltura on. Rossoni - l’on. Di Crollanza porge ufficialmente il saluto dell’Opera Nazionale Combattenti e di tutti i rurali dell’Agro. Il Duce passa in rivista la compagnia che presta servizio d’onore ed entra nella baracca dove sono esposti i grafici del progetto per la costruzione di Pomezia. Egli esamina, osserva, si compiace con l’on. Di Crollanza. La piazza di Pomezia, sormontata dalla torre del comune, avrà pianta rettangolare con prolungamento ad << L >>, in corrispondenza della via proveniente dalla strada di Littoria e sarà chiusa su tre lati: il quarto invece - inquadrato da edifici con portici - si aprirà verso il giardino pubblico e il panorama della campagna romana e dei Colli Albani. Nelle immediate adiacenze della piazza saranno ubicati, in modo da formare un nucleo edilizio compatto e di notevole importanza: il cinematografo, la caserma dei Reali Carabinieri, la sede dell’Azienda agricola, la sede dell’O.N.C., la Scuola, l’edificio della G.I.L., l’asilo e gli edifici di civile abitazione. Insieme con la costruzione di Pomezia l’O.N. Combattenti inizia i lavori per un denso appoderamento della zona affluita al nuovo centro rurale e che verrà a saldarsi con quello già appoderato di Aprilia. La strada Littoria di cui il Consorzio della Bonifica di Littoria dirige la costruzione sul tratto da Littoria alla via di Decimo, dovrà diventare una grande camionabile per il traffico interregionale che dal nodo di Roma procede verso Napoli e viceversa. Il tronco in esecuzione allaccerà Littoria ai nuovi centri di Aprilia e di Pomezia e quindi alla Via del Mare e quindi costituirà una grande arteria fondamentale e centrale per la nuova zona dell’Agro romano che viene posta sotto bonifica.


Il rito simbolico Il Duce, mentre la folla lo acclama con entusiasmo sempre più vivo, si avvicina al grosso cubo di travertino nel mezzo del quadrato in pietra destinato al rito. La cerimonia della fondazione incomincia. La moltitudine ora tace, segue attenta e commossa la austera consuetudine del sacro battesimo. Mussolini introduce la prescritta pergamena nel cavo della pietra insieme con un pugno di monete imperiali, impugna la cazzuola, chiude il foro con la calcina. La dicitura della pergamena è la seguente: << Oggi, 25 aprile - nell’Anno XVI dell’Era Fascista - regnando Vittorio Emanuele III - Benito Mussolini - Duce del Fascismo e Fondatore dell’Impero - consacra la ormai raggiunta conquista dell’Agro - che per sua volontà e ai suoi ordini nell’Opera Nazionale Combattenti ha ridonato - al fecondo lavoro - dal Circeo al Tevere - dal mare ai colli albani - ponendo la prima pietra della Città di Pomezia che nel nome augurale - promette alle forti generazioni dei suoi coloni - opulenza di raccolti - in una più alta giustizia sociale >>. Mons. Tovalusci, in rappresentanza del cardinale Granito Pignatelli di Belmonte, vescovo di Albano e Ostia, benedice la pietra che, ad un segno del Duce, scende nella nuda vergine terra mentre su due alti pennoni che la fiancheggiano sono innalzati il tricolore e la nera bandiera della Rivoluzione. Sul vicinissimo tracciato della strada, delimitato da due grandi frecce che indicano nell’opposta direzione Roma e Littoria, brillano le mine che iniziano così il lavoro di dissodamento e di costruzione della nuova vitalissima arteria di Pomezia. Si levano i gagliardetti, le musiche suonano << Giovinezza >>. Un grido viene ripetuto con incessante ritmo: Duce! Mussolini si avvia verso la tribuna dove un agricoltore gli offre un’arancia. Egli sorride, la prende, la sbuccia, la gusta, dice a quelli che gli stanno vicini che << la frutta della nostra terra è sempre la più saporita >>. Un contadino gli grida un augurio pieno di irresistibile sincerità:” Duce altri cento anni di buon appetito! “ Mussolini assiste qualche minuto dal parapetto della tribuna alla dimostrazione che continua a scuotere la moltitudine. Accenna di voler parlare, tutti sono in ascolto. La parola del Capo Egli dice: Per tutti i rurali Italiani - che sono alcune decine di milioni - e io mi vanto soprattutto di essere un rurale - dalle Alpi alla Libia, oggi è un giorno di festa. Si fonda il quinto comune dell’Agro Pontino e dell’Agro Romano, entrambi oramai redenti del vostro braccio e dalla nostra volontà. Una cerimonia come questa non tollera discorsi. I fatti sono sempre più eloquenti dei discorsi. Ricordate che il ferro - quello delle spade e quello degli aratri - vale e varrà sempre più delle parole. Le parole di Mussolini, interrotte dalle fervide acclamazioni della folla, sono coronate da una nuova irrompente tumultuosa dimostrazione. Moschetti agitati in alto, sventolio di bandiere, di gagliardetti, di fazzoletti giallo rosso e di lieto


frastuono delle voci: Duce, Duce, Duce! Gli studenti Giapponesi lanciano un <<evviva>> in italiano al Duce. Mussolini risponde con un saluto romano e col grido nipponico:- Bonsai! Il Capo scende dal palco, sorge il Maresciallo Graziani e si intrattiene qualche minuto cordialmente con il vittorioso Condottiero. Le donne che formano i gruppi folcloristici dei paesi laziali cantano, danzano sui prati accompagnate dal suono degli organetti. Il Duce si mescola in mezzo al popolo. Ognuno lo chiama, ognuno gli vuole essere vicino. Guarda con gioia le floride fanciulle dei nostri campi, fiori della nostra razza, che ballano la “tarantella” dei nostri nonni. Che snellezza, che armonia nei diversi movimenti! Il quadro è di una grazia avvincente suggestiva e sprigiona un particolare profumo agreste. Mussolini osserva ancora la bellissima danza intrecciata dalle donne in costume, si avvia all’uscita, accarezza i bimbi sulle braccia delle madri, si ferma nuovamente per ascoltare i canti guerrieri di un battaglione della Milizia confinaria che gli rende gli onori delle armi, quindi sale nella sua macchina per allontanarsi verso Roma. La moltitudine saluta ancora Mussolini che ha saputo resistere a questa terra, ieri maledetta, abbandonata per secoli: giovinezza, salute, lavoro. Da tutto l’Agro redento dai monti Lepini ai monti Ausoni, dai Colli laziali al mare, udiamo oggi, udremo domani, una voce unanime, la voce dell’amore e della riconoscenza: Duce! Ettore Zocaro



Precedentemente abbiamo parlato di “ veline” e di seguito riportiamo la “velina” trasmessa dall’Agenzia Stefani in occasione dell’inaugurazione di Pomezia. Pomezia - che é oggi, il più giovane Comune d’Italia; e qui si conclude la battaglia ” contro la palude mortifera” per dieci anni tenacemente condotta e superbamente vinta - sorge, con la sua nitida e chiara struttura, non molto distante da Pratica di Mare, presso la strada della Petronella che, da Pratica, conduce alla via Laurentina e, quindi, a Roma. Pomezia è, da poche ore, consacrata, dal Duce, alla storia e alla virtù italica. Una meta ancora è raggiunta. Ma essa non è se non una tappa splendente che il Regime segna lungo il cammino che continua. Il Duce era, alle 14,30, sulla via Anziatina, dove è il bivio ”Fontana di Papa” presso la stazione di Cecchina. Lo attendevano il Presidente dell’Opera Nazionale Combattenti, Di Crollalanza, il Segretario del Partito, il Ministro per la Cultura Popolare, il Capo di Stato Maggiore della Milizia, S.E. Russo, i sottosegretari Buffarini Guidi e Tassinari, il Prefetto e il Federale di Roma. Il sole si fa spazio fra le nuvole, sin qui addensate con scrosci frequenti di pioggia. Subito, una breve colonna di macchine si forma e si avvia per Ardea; e sosta di lì a poco, ai margini della Provincia di Littoria ove si schiera, in armi, il battaglione di ” Camicie Nere Littoria” cui stanno dl fronte le formazioni della G.I.L. e i rurali. E’ questo, il primo saluto dell’Agro ”pontino e romano” compiutamente redento. Vigorosi, rigidi, austeri i reparti della Milizia; non meno saldi e virili i giovani del Littorio; meravigliosi, per l’impeto della dedizione schietta e immediata, i rurali. Le salve dei cannoncini da campo, manovrati da Giovani Fascisti scandono il clamore e l’applauso. Il Duce passa, in piedi sull’automobile scoperta, tra lo schieramento delle Milizie e il folto del popolo. Il fervore della manifestazione lo circonda e lo insegue poi, per lunga strada, quando egli riprende la corsa per Ardea. Il terreno, per tutt’intorno, è aspro, forte, ondulato: dossi, pianori, piccole valli seminate di macchie rudi, o del tutto calvi, o già raggiunti dall’aratro. E’ Ardea, una gentile frazione del Comune di Pomezia. La piazzetta è dominata dalla Casa del Fascio, cui di fronte stanno, in compattissima adunata, le formazioni giovanili, le organizzazioni del Partito e i contadini: tutti insieme, per dire al Duce, con la medesima voce (solamente l’impeto può celare la commozione, che tuttavia s’indovina nella luce degli occhi) la riconoscenza di chi poco aveva ed ora ha tutto da una terra che era meno che nulla e, ora, tutto può dare. Tra il popolo é una schiera di famiglie numerose: e tra le madri e i bimbi il Duce si ferma brevemente. Allora, il cerchio appassionato della manifestazione si fa più vicino; che ciascuno vorrebbe ascoltare le parole buone che egli dice; essere ”guardato” dal suo occhio. Il clamore non scema; e si fa più intenso quando il Duce appare alla folla dal balcone della Casa del Fascio. Egli saluta romanamente; rimane, per alcuni attimi, con lo sguardo fermo sulla massa dei rurali e dei giovani a lui protesa; poi, ottenuto l’alto consenso, il Podestà di Pomezia annunzia che il Duce lascia 25.000 lire perché siano distribuite alle famiglie numerose e dispone, anche, l’immediata costruzione


dell’edificio scolastico e dell’Asilo infantile il ripristino della Chiesa e la rimessa in valore della zona archeologica; e, inoltre, ordina la costruzione di altri trenta alloggi. I rurali manifestano la loro gratitudine martellando il nome caro più che ogni cosa, e scotendo alti i vessilli e gli arnesi del lavoro e levando le braccia nella invocazione ardentissima. La sosta in Ardea si conclude con la benedizione dell’area sulla quale sorgerà l’asilo infantile e con la visita che il Duce compie in una delle case coloniche che stanno per essere abitate. La colonna delle macchine, ripresa la corsa, va per il territorio di Pomezia: si alterna il color giallo e il rosso delle case coloniche; la terra, di già smossa, va di mano in mano mutando, in solco, la sua arida nuda radice; il sibilo dei trattori saluta il Duce che passa. Il corteo si arresta in un podere non molto distante dal Comune. Un duplice rito si compie: l’immissione di due famiglie coloniche nell’appoderamento e l’inizio della semina del grano. Una rete di filo spinato include la zona di terreno ove il Duce, a tratti energici di badile, salda la radice di un melo. Vicino è un campo arato: il Duce vi getta il primo seme. Una manciata sola, un gesto solo: ma ampio, generoso, sicuro. I chicchi dorati hanno, nel sole, un rapido balenio. Applaudono, intorno, i rurali, e seguono poi il Duce, come in corteo, quando egli entra nelle due case coloniche affidate a due fami glie di Forlì, scelte tra le più numerose. Già la casa vive; e nella cucina è pronta - secondo il costume di Romagna - la ”piè” che il Duce gradisce e assaggia. Anche il rito dell’immissione delle famiglie coloniche nell’appoderamento, è compiuto. Il Duce risale in vettura, passa tra il clamore dei rurali di Romagna, e si avvia verso Pomezia, che é raggiunta alle ore 15. Il bel viale che conduce alla piazza è fiancheggiato dai militi della CXX Legione che il Duce, disceso dalla vettura, passa in rivista, con il suo energico celere passo. Poi, è la catena ininterrotta dei clamori e delle acclamazioni sino alla Casa del Fascio, cui innanzi è eretto il palco per il Duce. Fanno cerchio intorno, membri del Governo, alte gerarchie del partito e delle Forze Armate, personalità e autorità; e si ammassano, di fronte, i rurali. Innanzi allo schieramento è il gonfalone del Comune, è sono i gagliardetti del Fascio di Combattimento, del Fascio femminile e della sezione della G.E.L.A. Tutto è predisposto per la consacrazione del nuovo Comune. Ad un cenno del Duce, la formidabile acclamazione si spegne: il Vescovo (suffraganeo) Monsignor Guglielmo Grassi imparte la benedizione e pronuncia, poi, un discorso che i rurali frequentemente interrompono con l’applauso. L’alto prelato dice di essere molto lusingato di rappresentare in Pomezia il suo Eminentissimo Cardinale Vescovo in circostanze così propizie per ammirare ancora una volta una delle opere più grandiose del genio del Duce e della sua tenacia. Egli premette che sarà brevissimo; ma non può tuttavia non riandare con il pensiero alle origini di ogni progresso umano. Quando Iddio creò Adamo, lo collocò -secondo la scrittura- in un paradiso di letizie perché lo lavorasse e custodisse: poi, gli diede una compagna e li benedisse dicendo: ”crescete e moltiplicatevi e riempite la terra ! ” Due leggi ugualmente costruttive: la legge del lavoro e quella della prolificazione. Queste leggi


conoscendo, il Duce ne hai fatto il vangelo della nuova Italia; e ad esse si deve se, può essere oggi benedetto un nuovo Comune, sul Lido ove approdava un giorno l’eroe troiano e vi fondava ”Lanuvium” (1), la cellula primordiale della potenza e dell’Impero di Roma. E Monsignor Grassi ha così concluso: ”La storia ricorre sotto nuove forma e noi abbiamo il diritto di trarne auspicio di nuove ascensioni e di fortune sempre più gloriose della nostra Patria. Oggi, Eccellenza si parla troppo di distruzione nel mondo. Voi tirate dritto per la vostra via. Non potrà mancarvi la benedizione di Dio”. Un applauso ancora saluta le parole del prelato. Poi ottenuto il consenso del Duce, il Presidente dell’Opera Nazionale Combattenti legge la sua relazione: DUCE! Con la inaugurazione di Pomezia, che tempi e nei modi da Voi fissati, la battaglia per la redenzione dell’Agro pontino - romano, sbocca vittoriosamente al suo epilogo. La ciclopica impresa, nella quale invano si cimentarono Imperatori e Papi, e che Voi impostaste con romana concezione, ispirata ad alte finalità politiche, igieniche ed economiche, si conchiude, in poco meno di un decennio: fu infatti solo il 23 novembre del 1929 che Voi, visitando l’Agro pontino, imprimeste ai lavori idraulici, affidati ai Consorzi di bonifica, il ritmo decisivo, assicurandone gli adeguati finanziamenti, mentre é solo del 28 agosto 1931 il decreto reale che attribuiva all’Opera Nazionale per i Combattenti i primi 18.000 ettari di terreni da trasformare, e del 10 novembre 1931, cioè di otto anni fa, l’effettivo inizio di tali lavori. Le tappe della grande battaglia che, nel Vostro nome e sotto la Vostra guida, si é combattuta in questi anni dai Consorzi di bonifica e dall’0pera Combattenti, sorretti dagli organi del Partito, affiancati dalle Università Agrarie e dai più volenterosi proprietari - fra i quali si distinsero in modo particolare il Principe Caetani ed il Duca Sforza Cesarini - con la valida collaborazione del Commissariato per le Migrazioni e la Colonizzazione, della Milizia Forestale e delle autorità sanitarie, ha impegnato un esercito di lavoratori, per un complesso di circa 30 milioni di giornate lavorative, senza tener conto dell’opera, non meno importante e superba, della massa dei coloni, gli uni e gli altri inquadrati da una schiera valorosissima di ingegneri, di tecnici agrari e di sanitari, che hanno dimostrato brillanti doti di competenza, spirito altissimo di dovere e tenacia di propositi. Le varie tappe raggiunte, a tempo di primato, e nelle quali Voi foste sempre presente a consacrarne le vittorie e ad indicare i successivi obiettivi meritano di essere ricordate: il 30 giugno 1932 fu fondata Littoria che venne inaugurata, con i primi appoderamenti, il 18 dicembre 1932; il 5 agosto 1933 fu trebbiato il primo grano dell’Agro e fondato Sabaudia, che venne inaugurata il 15 aprile 1934, il 18 dicembre del 1934 fu costituita la Provincia di Littoria; il 19 dicembre dello stesso anno fu fondata Pontinia; il 27 giugno 1935 fu aperto all’esercizio il primo impianto 1

Errore commesso da molte persone che confondono il nome dell’antica LAVINIUM con Lanuvio che si trova dopo Genzano o Lavinio poco prima di Anzio


di irrigazione; il 18 dicembre 1935, giornata della fede, in pieno assedio economico, fu inaugurata Pontinia, il 25 aprile 1936, perdurando l’assedio economico, fu fondata con il solco romano Aprilia; il 19 agosto 1936 fu firmato il nuovo Patto colonico; il 29 ottobre 1937 fu inaugurata Aprilia; infine il 25 Aprile del 1938 fu fondata Pomezia. Possiamo oggi, dunque, Duce, così corno Voi preannunciaste nel discorso di Aprilia, affermare, con legittimo orgoglio di italiani e di fascisti, che la battaglia, tentata invano durante venti secoli, è vinta, nel segno del Littorio e vinta in momenti in cui l’Italia, da Voi elevata alla dignità ed alla potenza dell’Impero, è intenta più che mai al suo lavoro fecondo, tesa come un arco di acciaio verso la conquista di una nuova e più luminosa civiltà, ispirata ad una più alta giustizia sociale. E’ di questi giorni, infatti, l’inizio dì una più grande e nobile battaglia civile, con l’assalto da Voi ordinato al latifondo siciliano; è di oggi la partenza di altre migliaia di fanti rurali per la colonizzazione della Libia; é di ieri l’avvenuta inaugurazione, da parte dell’Opera Combattenti, del primo appoderamento del Tavoliere di Puglia, vasto cinque volte l’Agro Pontino; è di domani l’inaugurazione, da parte della stessa Opera Combattenti, del primo appoderamento di un’ altra importante bonifica sulle rive del Volturno. Ormai, Duce, la bonifica integrale, di cui l’Agro Pontino è la prima più brillante e più tipica realizzazione, è fermento di operosità, è ansia di vita nuova, è consapevolezza di tutto il popolo italiano, e schiude, in ogni lembo della Penisola, con il potenziamento della nostra economia agricola, con il raggiungimento dei fini autarchici, un avvenire migliore per le masse lavoratrici. La cerimonia odierna, dunque, non può e non vuole essere la inaugurazione di una città, anche se bella, luminosa e dì nobile fattura, tipicamente italiana, come questa, ma l’esaltazione di un’impresa grandiosa, studiata ed ammirata dai tecnici di tutto il mondo, che da sola basta a dare un’altissima patente di nobiltà al Regime. Oggi l’Agro Pontino non è più una landa boschiva e melmosa, una palude pestilenziale, stagnante, pigra e sonnolenta, nella sterilità, ove per duemila inni si era svolta, come una maledizione di Dio, una vita primitiva, alimentata da pochi pastori e bufalari, largamente falciati dalla malaria e dalla morte, addetti al pascolo di rade mandrie di bestiame brado, ma un luminoso e produttivo territorio agricolo, prosciugato, disboscato, regimato nei corsi d’acqua e nei laghi, intersecato da una fittissima rete stradale e da una non meno fitta e promettente rete di frangiventi, costellato da migliaia di case coloniche, che fanno corona a cinque città ed a 18 borgate, sorte linde, civettuole e confortevoli come centri, di vita civile in una nuova Provincia. Oggi l’Agro pontino è un nuovo potente fattore dell’economia nazionale, operoso di lavoro agricolo e di iniziative industriali; oggi, dove si imprecava o si malediceva la vita, ove si soffriva e si moriva inesorabilmente si lavora e si produce, in un ambiente di sanità fisica e di agiatezza economica. La grandiosa opera di bonifica integrale può essere sintetizzata nei seguenti dati più significativi: Complessivamente i Consorzi di bonifica hanno costruito 500 chilometri di canali principali o secondari, serviti da 18 impianti idrovori, e 1780 chilometri di collettori terziari, a cui vanno aggiunti 15.600 chilometri di collettori e scoline eseguiti


dall’Opera Combattenti. Sono stati inoltre costruiti complessivamente circa 1.400 chilometri di strade, per 800 chilometri dai consorzi, per 487 dall’Opera e per il rimanente dalle Università Agrarie e dai privati. La superficie appoderata ha già raggiunto il complesso di 65.496 ettari con la costruzione di circa 4.000 case coloniche, delle quali circa 3.000 dall’Opera Combattenti. Complessivamente fra i Consorzi e l’Opera, per i lavori idraulici o stradali, per la costruzione di città, di borgate e di case coloniche, per la trasformazione fondiaria, per l’acquisto dei terreni, per la costituzione delle scorte meccaniche e dell’ingente patrimonio bovino, sono stati assunti impegni finanziari, al lordo dei contributi statali, che si aggireranno attorno a un miliardo ed 800 milioni. Grazie alle opere eseguite ed all’azione assidua degli organi Sanitari, la malaria, flagello delle paludi pontine, è stata completamente debellata. Difatti la curva registrata dagli uffici competenti è scesa a zero per i casi primitivi e si avvia decisamente allo zero per quelli recidivi. Nel campo agrario poche cifre danno il panorama dei confortanti progressi conseguiti: La sola Opera Combattenti, nei terreni da essa trasformati, ammontanti a circa 55 mila ettari- sui ,quali per il costante sviluppo delle colture foraggiere, che investono già 20 mila ettari, vivono 30 mila capi bovini - ha prodotto nell’anno XVII, in un anno sfavorevole per le condizioni stagionali, 184.000 quintali di cereali e 220 mila quintali di bietole da zucchero di senza tener conto dei prodotti minori. E’ stato dato anche grande incremento ad alcune colture autartiche, come il sorgo zuccherino ed il cotone, tanto che per quest’ultimo prodotto, si ha per l’annata in corso, una previsione oramai molto attendibile di 4.500 quintali. La superficie agrario forestale dell’Agro Pontino, che prima della bonifica era costituita per l’80% da terreni sodi e per il 20% da seminativi, oggi nelle zone appoderate, è seminata al cento per cento. Per proteggere le colture dai venti che imperversano nella regione ed assicurare la legna da ardere ai coloni, l’Opera Combattenti, indipendentemente dalla benemerita attività della Milizia Forestale, ha iniziato da qualche anno la piantagione di una fitta rete di frangivento. Finora sono state messe a dimora circa 700 mila piante. E’ stato anche sviluppato l’impianto di vigneti consociati o specializzati, per le necessità domestiche delle colonie, datandosi a tutt’oggi di tali impianti ben 1750 poderi. In pieno sviluppo è anche la irrigazione, destinata a potenziare la produttività dei terreni e l’industria zootecnica, che deve diventare sempre più uno dei maggiori fattori di reddito poderale. A tale scopo si è iniziato, fin dallo scorso anno, l’ampliamento delle stalle e la costruzione dei sili. Si è avuto infine cura, a scopi autarchici, di cominciare a costituire nelle varie aziende i greggi interpoderali di ovini, essendosi oramai dimostrato chiaramente che la pecora e la bonifica non sono in contrasto tra loro, se si sostituisce al pascolo sui prati naturali lo sfruttamento razionale di quelli artificiali. Duce, voi consacrate oggi l’epilogo vittorioso della bonifica integrale dell’Agro pontino -romano. Io vi assicuro, però, a nome di tutti i tecnici ed i coloni, che la vittoria conseguita


non arresterà il nostro impegno, ne allenterà la nostra passione per il perfezionamento della grande impresa. Dai monti Lepini, Ausoni ed Albani al mare; dal promontorio del Circeo alla reale tenuta di Castelporziano, su una superficie di circa 140 mila ettari, in quelle che furono le pestilenziali paludi pontine e le desolate campagne laziali, vive oggi una nuova popolazione di circa 60 mila persone, di origine bracciantile, proveniente dalle varie regioni d’Italia, trasformatasi in una massa di mezzadri che, dal 28 ottobre del 1940 è destinata ad elevarsi gradatamente a compagine di piccoli proprietari. Questa massa di lavoratori, sfollata dai centri urbani, è oggi legata saldamente alla terra, e su questa terra bonificata vive sana, operosa e prolifica -(solo dai coloni dell’Opera in questi anni sono nati 5.117 bambini) - in una condizione di agiatezza che diventerà fra non molto una situazione di prosperità. Essa, da Voi avviata ad una più alta giustizia sociale, benedicendo Voi e ringraziando la Divina Provvidenza, non ha che un’ambizione: quella di rendere sempre più feconda la terra che Voi le avete assegnata. I rurali dell’Agro pontino, però, se Voi un giorno lo comanderete, per la potenza dell’impero che Voi avete fondato e per la grandezza della Patria, che noi amiamo sopra ogni altra cosa, saranno sempre pronti a fare zaino in ispalla ed a cambiare la vanga con il fucile. La rassegna dell’opera gigantesca compiuta, è seguita con estrema attenzione dal Duce che fa cenni frequenti di compiacimento. Si succedono, ora, sul palco, 345 rurali: ad uno ad uno, dalla mano del Duce essi ricevono il premio di colonizzazione, - sono mille lire - dal Duce assegnato ai coloni più meritevoli del suo elogio. Passano, quasi militarmente: forti tutti e sani: vecchi combattenti, Camicia Nera ed elmetto; molti hanno il fregio rosso dello squadrismo. Anche questo rito è coronato dall’applauso della massa rurale. Il Duce lascia, ora, il palco, per visitare i maggiori edifici del Comune. Egli va, dapprima, alla Casa, del Fascio, e successivamente, alla Chiesa che innanzi a lui apre oggi i suoi portali, alle Poste e Telegrafi, alle scuole, all’asilo che è attiguo e, infine, al Comune. Sono costruzioni, tutte, di nitida e sobria architettura, eleganti e piene di luce, arredate secondo uno stile che si potrebbe chiamare ”di lavoro”. Il Duce é soddisfatto; e quando, dal podio rivestito di alloro ed eretto sulla terrazza che abbraccia la torre civica, egli appare alla moltitudine, la dimostrazione subito si riaccende possente e non si placa se non quando la voce alta di S.E. Starace ordina: ”Camicie Nere; salutate, nel Duce, il Fondatore dell’Impero! ” Un formidabile ”A Noi” risponde all’ordine; e poi è ancora, il grido e il clamore interminabile e, poi, è il silenzio profondo. Il Duce parla: ”L’Anno XVIII dell’Era Fascista, non potrebbe cominciare sotto auspici migliori. Comincia, con la inaugurazione di Pomezia quinto Comune dell’Agro Pontino romano redento, oggi il più giovine comune D’Italia (acclamazioni).


La battaglia contro la mortifera palude è durata dieci anni, ma noi oggi qui possiamo esaltare la nostra piena ed indiscutibile vittoria ( applausi prolungati). Vittoria sulle forze disordinate della natura, vittoria sulla inerzia dei vecchi governi che furono e non torneranno ( vibrantissimi applausi). Per questa vittoria abbiamo impegnato manipoli di ingegneri, falangi di tecnici, moltitudini di operai che hanno tracciato strade, scavato canali, costruito case per riporre la vita là dove regnava la morte (acclamazioni prolungate), Se il Regime Fascista nei suoi primi diciassette anni di vita non avesse al suo attivo altra opera che quella della bonifica delle paludi pontine, ciò basterebbe per raccomandarne la gloria e la potenza ai secoli che verranno (la folla dei rurali acclama al Duce con vibrantissimo entusiasmo). Ma il regime ha al suo attivo altri formidabili imprese ed è ben lungi dall’avere esaurito il suo ciclo (applausi altissimi) e soprattutto la forza indomabile della sua volontà (applausi). Camerati rurali! Mettetevi subito al lavoro con quella intelligente tenacia che è un peculiare attributo della razza italiana, portate - nel vostro interesse ed in quello della Nazione - al massimo della fecondità la terra che attende la vostra fatica. Questi poderi che vi vengono consegnati dalla molto benemerita opera Nazionale Combattenti un giorno potranno essere vostri e dei vostri figli. Dipende soltanto da voi. ” La moltitudine dei rurali accoglie la parola del Duce riassumendo, nell’immensità della sua invocazione, il grido devoto e riconoscente dei 60.000 rurali dell’Agro. Per minuti a minuti si protrae la manifestazione: e il Duce torna al podio cinque sei volte, sempre a lungo indugiandosi e con il volto sempre aperto alla soddisfatta chiarezza. Inaugurata, così, Pomezia, il Duce risale in automobile e mentre sempre alto echeggia l’impeto della voce acclamante e invocante si avvia verso l’ultima tappa l’appoderamento della tenuta Sforza-Cesarini, a Campo Iemini. Il Duce vi giunge poco prima delle 17, ricevuto dalla Duchessa Sforza Cesarini che ha, attorno, i famigliari. I rurali sono adunati su di un vasto prato, di fronte al podio ove il Duce subito sale chiamando vicina la Duchessa Sforza Cesarini. Lo accoglie l’applauso devoto ed ampio, che si intensifica quando egli, manovrando una chiave a volante, fa zampillare l’acqua di una nuova sorgente irrigua. … Dopo essersi, così, reso conto dell’importanza dell’appoderamento, il Duce conclusa la sua sosta a Campo Iemini, con la visita alle stalle, e, quando si congeda, esprime alla Duchessa il suo compiacimento per l’importanza delle realizzazioni. Ancora l’applauso fervido dei rurali; poi, il Duce risale in automobile e, percorrendo la strada di Pontedecima - Castelporziano, alle ore 17,30 è di ritorno a Palazzo Venezia. ( Stefani )


Foto da “ L’Illustrazione Italiana” n° 44 del 29 ot tobre 1939


Milano – 5-11 novembre 1939 (disegno di A. Beltrame)


Il Giornale d’Italia – 28 ottobre 1939 – pag. 4


MartedĂŹ 31 ottobre 1939


Napoli – 31 ottobre 1939


copie di LunedĂŹ 30 e MartedĂŹ 31 ottobre 1939


Bologna – Lunedì 30 ottobre 1939


V enerdĂŹ 27 ottobre 1939


Roma – MartedÏ 31 ottobre 1939


Lunedì 30 – Martedì 31 ottobre 1939


29 ottobre 1939


Bologna – MartedÏ 31 ottobre 1939


LunedĂŹ 30 ottobre 1939


Milano – Domenica 29 ottobre 1939


Milano – Domenica 29 ottobre 1939



da “L’illustrazione Italiana n° 44

Il Mercato da “Il Giornale d’Italia” del 28-10-1939 da “Il Lavoro Fascista”



Da “Il Messaggero” del 26 ottobre 1939

da “Il Resto del Carlino” del 26 aprile 1938


da “Il Resto del Carlini” del 24 e 25 ottobre 1939

d a “Il Tevere “ 30-31 ottobre 1939


da “La Nazione” 27 ottobre 1939

da “La Tribuna” del 27 aprile 1938


da “Il Popolo di Roma “ del 30 ottobre 1939

da “ Il Regime Fascista “ del 26 aprile 1938


da “ Il Regime Fascista “ del 28 ottobre 1939

da Vedetta Fascista del 29 ottobre 1939


VOLO SU POMEZIA

ROMA, 28- Segnato con l’aratro il terreno, l’antico fondato della città saliva su un colle vicino, e di lì, immolate vittime degli dei, ai famigli e ai compagni l’opera compiuta, e, ancor più, l’opera da compiere entro i limiti tracciati. L’uomo moderno non sala in cima ad un colle, per ammirare le città fondate: anche perché non basta l’altezza di una modesta altura per cogliere in tutti gli elementi e in tutta la vastità le terre redente a nuova vita. L’uomo moderno sale su un aeroplano, e dal cielo guarda alle sue città. Si sono spostati i termini del rapporto: l’antica piccola città sorgente attorno ad un’ara è oggi il complesso di un’intera zona, edificata di case, bonificata nei terreni; l’altezza dell’umile colle si è moltiplicata nell’altezza toccata dal veicolo. Ma il risultato resta sempre lo stesso: una creatura nata, umanamente distesa là sotto gli occhi dell’uomo, il quale dominatore la osserva, dopo averla costruita, è pronto ad aprirlo a nuovi ritmi di vita. Abbiamo guardato a Pomezia dal cielo venendo da Roma. Volare in un cielo finemente azzurro di un limpido mattino significa aspirare, con l’aria, ventate di vissuta poesia. Ma levarsi nel cielo di Roma, e saettare sopra la campagna romana, diretti a Pomezia, è ancora molto di più. Si scorge luccicare qualche raro tetto di paglia di rustici <<procci>> - dove si allevano buoi e cavalli- e appare qualche <<buttero>>, presso file interrotte di antichi archi di acquedotto romano. Lo spirito non si abbandona a freddi ricordi di tempi passati, ma è magicamente immesso nella mitica vita che la antichità va continuando, fino ad oggi e per il futuro attraverso gli scarni, ma palpitanti resti di sé. Così volando sulla campagna romana io tendevo acuto lo sguardo a cercare, a trovare Pomezia l’antichissima. <<Suessa Pometia>>, colonia di Albalonga, conquistata dai romani nell’anno 503 avanti Cristo. Ho cercato, ma non l’ho scorta, naturalmente: perché già Plinio nelle sue Storie la elenca fra le città sparite senza lasciare traccia di sé. E poi l’aereoplano percorre in pochi minuti la breve distanza che separa l’Urbe da Pomezia: ben presto la nuova città si profila all’orizzonte, e trae lo spirito dalle fantasie a cui si è abbandonato. Né il risveglio è meno bello del sogno. I colli laziali hanno appiattito le loro ondulazioni, scendendo verso il mare. Nell’arco leggermente segnato da due linee terminali di colline giace Pomezia. Attrae per prima cosa la suddivisione regolare e ariosa dei terreni. Si pensa in un primo momento che le strade abbiano solo, una funzione divisoria dei campi e poderi. Ma presto i fili bianchi diventano strisce larghe, segnate da case che si affacciano sui margini, e, dopo incontri con altre strisce trasversali, convergono alla piazza del Comune, come arterie ad un cuore. Oltre 500 stanno i coloni sparsi sui 15.980 ettari del territorio. Le abitazioni sono state costruite presso i fondi da lavorare. Ma le strade collegano tutti i punti al centro di Pomezia: e così permettono e agevolano le comunicazioni interne, raccolgono e unificano la vita lavorativa e sociale, immettono il ritmo produttivo della zona nella corrente di traffici che dall’Agro Pontino, attraverso la campagna romana, giunge all’Urbe. L’aeroplano volteggia alto nel cielo


sopra Pomezia: e la posizione del nuovo borgo rurale appare in tutti i suoi elementi, nel quadro della zona di bonifica che da Roma si estende fino a Terracina. Ai piedi dei colli albani, a tre chilometri da Pratica di Mare, Pomezia è attraversata dalla strada Littoria, la nuova grande arteria sulla quale si svolgerà il traffico litoraneo che dal nord di Roma prosegue fino a Napoli attraverso Pomezia, Aprilia e Littoria. Scivoliamo in larghe volute; a poche decine di metri dal terreno viene istintivo esporre il volto fuori dalla carlinga: sono ventate violente sul viso, ma si gustano come uno spirare pacifico d’aria, in mezzo ad aperta campagna. Sotto, alberi, a macchie, in file, isolati, si levano con gran fronde. Il sole inonda il terreno; qualche attimo, si riverbera nei nostri occhi, impedendoci la vista. Ma subito torna a sciogliersi trasparente sui campi, sulle strade, sulle case. Le ombre nere proiettate dagli edifici ne marcano il rilievo. Torri, palazzi, case si levano puri nelle loro linee, si susseguono in ordine sparso. Sembra un plastico scolpito e dipinto con mirabile finezza; ed è invece il borgo finito in tutte le sue parti. Nereggiano gli archi dei porticati sulle facciate delle case coloniche. In essi si ripetono le linee degli antichi palazzi, rustici e forti, degli italici comuni. In questi edifici che raccoglieranno umili lavoratori della terra e campi di bestiame di costituite mandrie, la tecnica moderna non ha soprafatto confusamente i motivi tradizionali, ma questi a maggiormente chiarito in razionali linearità di forme. Le volute nel cielo si raccolgono in più limitata circonferenza. Siamo sopra la piazza di Pomezia. Ecco, sul lato che guarda ai vicini colli albani si aprono i giardini pubblici, e il panorama della campagna romana. Si distinguono il Municipio, la Chiesa, la Casa del Fascio; appaiono vari edifici: caffè, negozi, il cinematografo, la scuola, uffici, abitazioni. Le facciate sfumano in leggere tinte di pietra sperone e di travertino. Un’ultima voluta, quasi una carezza, e poi la macchina punta su Roma. Il ritorno sembra ancora più breve dell’andata. La fantasia ancora si abbandona ad una visione, tanto vicina, questa, alla realtà: una visione di uomini forti e poveri che lavorano con religioso fervore la terra ricondotta a nuova verginità. E famiglie numerose di bimbi, attorno focolari accesi, presso calde stalle e colmi fienili e traboccanti cantine…Bimbi e donne e uomini sono venuti da ogni provincia d’Italia, dall’Alpe, dal Po, dall’Appennino. La domenica- è aprile, e suona la campana sulla torre, e sono venute per la prima volta dopo secoli e secoli le rondini di oltre il mare- uomini, donne, bimbi convergono alla piazza, si parlano, amici, fondono in un nuovo accento gli accenti delle lontane, diverse regioni… Così la fantasia sorride ad un miracolo. Ma qui finisce. Un sobbalzo ci scuote nella carlinga; siamo a Roma. E non importa che la visione di lavoro e di pace sia svanita: a non molti chilometri di distanza essa è una realtà, oggi per i secoli. ESULINO SELLA


LE ALTRE CITTA DI FONDAZIONE

Il Messaggero del 19 dicembre 1935 e ( di lato) la pergamena di Fondazione di Pontina


Il Messaggero del 26 aprile 1936 e (di lato ) la pergamena di Aprilia nel giorno della Fondazione avvenuta il 25 aprile 1936


Il Messaggero dell’8 Agosto 1933

La pergamena della fondazione di Sabaudia


(sopra) Il Messaggero del 19 dicembre 1934 che annuncia la costituzione della Provincia di Littoria e (di lato) la pergamena di Littoria del giorno della Fondazione 30 giugno 1932


Realizzato in occasione del 65° anniversario inaugurazione di Pomezia 29 ottobre 2004

Ministero per i Beni e le Attività Culturali Biblioteca Nazionale Centrale Autorizzazione alla pubblicazione n° 27/2004 d’immagini tratte dalla raccolta quotidiani


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