i primi Pittori e Scultori di Pomezia

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Quaderni di ricerche storiche

3째 quaderno edito nel 2004


È morto a Roma il 3 febbraio 2003, all’ospedale San Pietro, lo scultore Venanzo Crocetti. La salma è stata esposta nella sala del Museo che lui stesso aveva creato e che porta il suo nome. Venanzo Crocetti nasce il 3 agosto del 1913 a Giulianova, in provincia di Teramo. L'attitudine all'arte si manifesta sin da bambino, a cinque anni disegna le pareti di casa con il carbone, si distingue alle elementari nel disegno, le sue ore libere le trascorre presso gli artigiani del paese. A soli dieci anni perde la madre, a undici perde una sorella più grande di un anno, a dodici muore anche il padre, mastro muratore, unico sostegno della famiglia, rimane solo con la sorella più piccola. Va a vivere coni la nonna, in una situazione drammatica dal punto di vista economico. Nel 1928, dopo aver trascorso anni difficili, sì trasferisce a Roma, vive da solo in una modesta pensione, in compenso si attenuano i disagi economici e anche quelli morali. A Roma la sua vita è dedicata tutta al lavoro e allo studio serale. Nel 1931, a 18 anni. espone in una mostra collettiva e partecipa al concorso nazionale dell'Accademia di San Luca. L'anno successivo vince il concorso di scultura dell’Accademia di San Luca, partecipa alla mostra d'Arte Sacra di Padova. Il nome di Crocetti comincia ad essere quotato, a 20 anni viene premiato alla Galleria Nazionale di Firenze e questo gli procura l'invito alla Biennale di Venezia del 1934. Conosce il pittore Ferruccio Ferrazzi, che aveva eseguito il mosaico della facciata della chiesa di Sabaudia, il quale apprezza il suo lavoro e lo aiuta. Nel 1935 conosce il collezionista Ottolenghi, che gli acquista diverse opere. Continua ad essere presente alle più importanti manifestazioni artistiche italiane. partecipa alla Mostra d’Arte Italiana di Parigi. Nel 1936 esegue la statua bronzea del San Michele Arcangelo, per la città di Aprilia appena fondata. Crocetti, nel 1939, su commissione di Petrucci ha realizzato l'altorilievo in pietra arenaria, sulla vita di San Benedetto collocato sulla facciata della Chiesa omonima di Pomezia e le quattro formelle in bronzo raffiguranti i Quattro Evangelisti del portale principale. Un'altra sua opera sempre su commissione di Petrucci è collocata sulla lunetta sopra il portone principale della chiesa di Segezia, scolpita in marmo statuario di Carrara, raffigurante la Madonna col Bambino, attorniato di angeli in bronzo. La carriera artistica di Crocetti va in crescendo, a soli 33 anni gli viene affidata la cattedra di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, rimasta vacante per la morte di Arturo Martini. Nel '56 si trasferisce a Firenze, dopo aver vinto il concorso per la cattedra di scultura all'Accademia. Nel 1966 porta o termine il lavoro durato alcuni anni per la porta di San Pietro, che viene inaugurata da Paolo VI. Ha lavorato molto per l'estero, soprattutto per il Giappone dove ha allestito molte mostre.

( da IL PONTINO APRILIA n° 8 – Agosto-settembre 1997 e dal Pontino Nuovo n°5 - marzo 2003)

Con lettera dell'8 maggio 1939 viene affidata a Crocetti l'esecuzione di: - Un fregio di pietra di Trani o di altra pietra da collocare sul portale della Chiesa di S. Benedetto; - 4 formelle in bronzo raffiguranti gli evangelisti da incastonare nel portale della Chiesa stessa. Le opere dovranno combaciare perfettamente con le cavità nelle quali dovranno essere montate. Le opere dovranno essere consegnate improrogabilmente entro il 10 ottobre 1939 e in caso di ritardo verrà applicata una penale di Lire 50 per ogni giorno impiegato in più.


Il compenso viene stabilito a forfait in Lire 38.000 ed il trasporto e la posa in opera dovrĂ essere fatto sotto la vostra responsabilitĂ e cura, e le relative spese saranno a carico dell'O.N.C. Le opere vennero consegnate il 20 ottobre 1939 con 10 giorni di ritardo, ma considerato il buon esito delle opere stesse non venne applicata nessuna penale. Con una lettera del 14 settembre 1940 si prende nota che allo scultore non erano state ancora rimborsate le spese di trasporto pari a lire 956,70.

Frontale della Chiesa di S. Benedetto

Le quattro formelle in bronzo del portale della Chiesa di S. Benedetto

Venanzo Crocetti - Corrispondenze per la realizzazione Fregio in pietra e 4 formelle in bronzo 08-05-1939 ONC Affidamento esecuzione opere 09-01-1940 ONC Consegna opere 14-09-1940 ONC Rimborso spese spedizioniere


Lo scultore Francesco Coccia ( Palestrina 1902 - Montana/Crans sur Sierre -Svizzera - 1981) fu l'esecutore dello stemma di Pomezia affiancato sui due lati da due aquile in posizione eretta collocato sul portale del palazzo comunale. Per tale opera gli venne assegnata la somma di 7.000 lire, ma l'ordine di esecuzione gli venne dato solo il 22 febbraio del 1939 per cui in una lettera lo scultore lamentava che i tempi di esecuzione stabiliti non potevano essere osservati in quanto per completare un'opera di circa 3 mt. x1,50 occorrevano almeno 4 mesi, tenuto conto che il contenuto araldico dello stemma non era ancora stato definito Da una corrispondenza sappiamo che le sculture vennero messe in posa il 15 agosto 1939.

Bozzetto dello Stemma

La scultura

DOCUMENTI

04-11-1938 31-01-1939 22-02-1939 24-02-1939 20-03-1939 08-04-1939 26-07-1939 01-09-1939 05-11-1939

Francesco Coccia - Stemma sovrapporta palazzo Comune F. Coccia DisponibilitĂ ad assumere l'incarico F. Coccia Invio bozzetto ONC Lettera di commissione F. Coccia Formulazione riserve per ritardo nell'incarico Concezio Petrucci Precisazioni su lett. Coccia del 24-02-39 ONC Sollecito per Consulta Araldica F. Coccia Dimostranze F.lli Montenovi Fattura imballo e trasporto opera F. Coccia Consegna lavori e richiesta saldo compenso


Corrado Corelli (Roma 1884 - 1968) inizia la sua formazione artistica già dall'infanzia mentre frequenta il convitto San Giuseppe de Merode, presso lo studio paterno del pittore Augusto Corelli e quindi, essendo l'orientamento artistico del Corelli volto alla scultura, fu allievo per l'approfondimento di tale disciplina, dello scultore Maccagnani. Nel contempo, la sua personalità irrequieta e poliedrica lo porta a svolgere molteplici attività sportive quali il nuoto ed il canottaggio sul Tevere, la caccia, passione che gli fa trascorrere lunghi periodi nelle paludi pontine ed il gioco del calcio appreso dai giovani allievi del seminario cattolico irlandese di Roma, gioco coltivato ed approfondito con gli amici del sodalizio sportivo "Virtus". Successivamente divenne socio giocatore - fondatore delle prima squadra di calcio denominata "Lazio", ricoprendo il ruolo di ala sinistra. Allorché nel 1915 inizia il conflitto mondiale, vi prende parte in qualità di capitano e per tutta la sua durata fu in zona di combattimento meritando varie decorazioni al valor militare. Alla fine della guerra torna a Roma e riprende la sua opera, collaborando, tra l'altro con l'artista G. Aristide Sartorio. Nella situazione incerta degli anni successivi alla guerra stessa, vede col fascismo la possibilità del ristabilimento di un certo ordine sociale ed è per questo che partecipa da squadrista. alla marcia su Roma del 1922. Ben presto però, si allontana dal partito fascista perché trova la sua politica in antitesi con gl'ideali di libertà e di uguaglianza per i quali aveva a suo tempo combattuto. Da citare, tra l'altro, la partecipazione al conflitto 1940-43, in qualità di tenente colonnello, prima sul fronte russo e poi comandante della censura militare a Firenze. Pure fra tanti doveri, estranei al suo lavoro artistico, ebbe modo di creare molteplici opere scultoree che personalmente realizzava nelle varie fasi: le forme in gesso, il ritocco delle cere, la preparazione alle fusioni (per quelle in bronzo si affidava a degli esperti fonditori romani quali gli Anselmi) sino alla finitura delle opere con il cesello. Nella seconda parte della sua vita si appassiona al lavoro in sbalzo su lastra di rame, dì argento e di oro, raggiungendo risultati di altissimo livello, tanto che intorno agli anni 50 fu invitato a lavorare per il gioielliere Bulgari. Fino al termine della sua vita si dedicò quasi esclusivamente all'arte dello sbalzo con opere per la sua clientela privata. Gran parte dei suoi lavori appartengono a collezioni private in Italia, in Francia, in Germania ed in Inghilterra. Opere che sì trovano tuttora in Roma: un bronzetto presso l'Accademia di San Luca; un busto in bronzo di alto ufficiale presso il museo dell'arma dei Carabinieri; un grande bassorilievo in travertino nel Ministero dei Lavori Pubblici. Emilia Corelli Ringraziamo la sig.ra Emilia Corelli, figlia dell'artista Corrado per il materiale fornitoci.


Allo scultore Corrado Corelli in data 21 gennaio 1939 venne affidato l'incarico per la realizzazione delle seguenti opere per la Chiesa Parrocchiale di S. Benedetto: - Fonte battesimale in marmo di forma ovoidale con una copertura in bronzo e sovrastato al vertice da un piccolo gruppo bronzeo raffigurante San Giovanni che battezza GesĂš. La cappella (la prima entrando sulla sinistra) veniva inoltre corredata di una balaustra anch'essa in marmo. L'ammontare di questa commissione venne stabilita in Lire 11.000. - 6 candelieri grandi; 4 piccoli; 2 lampade per olio Santo; 3 cornici per le carte gloriose; 1 crocifisso con Cristo modellato; 1 ciborio; 1 nicchia per l'olio Santo; 14 lampade per la Via Crucis. L'ammontare di questa seconda commissione fu stabilita in Lire 14.000. Il 7 ottobre 1939 Corrado Corelli con lettera scritta di proprio pugno chiede una proroga nella consegna degli oggetti sacri lamentando la difficoltĂ nel reperire i metalli necessari per le fusioni, considerate le ristrettezze del momento. Con una lettera del 7 giugno 1940 Corelli chiedeva il saldo delle sue fatture inviate otto mesi prima fatte transitare da un ufficio all'altro senza trovare una definizione. Sottolineava inoltre che al compenso stabilito si aggiungevano le spese da lui sostenute per il trasporto e riparazioni di altri oggetti eseguiti da altre persone. Questo sollecito dipendeva dal fatto che a breve sarebbe stato richiamato alle armi come Com. Colonnello Com. ( in questo modo si autenticava sotto la firma)

DOCUMENTI

21-01-1939 23-01-1939 07-10-1939 15-06-1940

Corrado Corelli - Arredi sacri per la Chiesa ONC Affidamento incarico C. Corelli Accettazione incarico C.Corelli Richiesta proroga per difficoltĂ nel reperire i metalli C.Corelli Sollecito liquidazione fattura


FERRUCCIO FERRAZZI (Roma 1891 - 1978) Dalla monografia " FERRUCCIO FERRAZZI di Carlo L. Ragghianti e Iacopo Recupero [ 1974 – ed. Officina – Roma ]

L'anno 1929 Ferrazzi veniva nominato docente di decorazione all'Accademia di Belle Arti di Roma. L'incarico l'impegnava ad occuparsi con continuità di questo campo dell'arte, abbandonato da tempo o ridotto quasi ad attività subalterna, se si esclude lo splendido fiorire della pittura murale messicana.

Il suo nuovo indirizzo di insegnamento si proponeva di sradicare la tendenza al gusto decorativo, di sapore liberty, ereditato nell'Accademia romana dagli esempi decarolisiani e sartoriani, per riportare la pittura murale alla dignità dell'antica tradizione, alle fonti primarie di questo fare, ritenuto per secoli «il più dolce e il più vago lavorare che sia », come lo definiva un teorico trecentesco. Si trattava, cioè, di ridare alla pittura una funzione narrativa o celebrativa, quale aveva avuto nei cicli murali del passato, ma le difficoltà non erano né poche né semplici. Intanto si poneva per prima quella pregiudiziale dei committenti: chi avrebbe dato spazio a tale tipo di decorazione in questo nostro tempo, in cui la pittura era divenuta privilegio di pochi eletti, prezioso ed ermetico linguaggio ormai inintelligibile ai più, mentre i tradizionali committenti stimavano di farne a meno, oppure ricorrevano a surrogati di pessimo gusto? Ma non erano questi ostacoli che potevano fermare l'entusiasmo del pittore, né tanto meno quelli d'ordine tecnico, superati con successo da un assiduo studio sui testi antichi : per Ferrazzi la nuova attività costituiva il naturale sbocco alla sua vocazione. Le grandi superfici esaltavano la sua fantasia e gli permettevano di operare con estrema libertà nel costruire le immagini senza costrizioni di sorta, in uno spazio che si espande quasi all'infinito. Da sempre, infatti, può dirsi fosse in lui viva tale esigenza, e lo mostrano certi dipinti precedenti, non più inclusi nel formato regolare. i quali possono appunto stimarsi premessa a questo suo desiderio di spazialità, oltre il confine stesso della cornice. Il tema consueto riflette il suo attaccamento alla genuinità e purezza della vita agreste, arricchita nel ricordo con i doni di un amore nostalgico, che gliene fa rivivere le esperienze più comuni come episodi di un racconto epico. Il mondo dei lavoratori della terra non è per l'artista un pretesto di pittura una evasione arcadica; egli sente di appartenervi ancora, come non se ne fosse mai compiutamente staccato - « Dalla mia origine familiare ho tratto il gusto per la terra », ricorda con orgoglio Ma la sua fama nel campo della pittura murale era consolidata e, nonostante l'atteggiamento di assoluta indipendenza, mostrato nei confronti di qualsiasi intervento potesse ostacolare la sua libertà d'artista, continuò a collaborare con alcuni architetti impegnati in opere pubbliche, portando a termine, tra il 1934 e il 1942, numerose opere di decorazione. Qualcuna è andata perduta, come l'encausto con l'Elegia terrestre (1940) della Sala comunale di Pomezia; altre restano in situ e rappresentano una mole di lavoro di eccezionale impegno, se si considera che il pittore contemporaneamente attendeva alla sua attività di cavalletto. Si tratta di composizioni di grande respiro che coprono vaste pareti in edifici pubblici di varie città: a Sabaudia, un mosaico con l’Annunciazione (1934) nella chiesa della cittadina; a Milano, nel Palazzo di Giustizia, due


encausti con la Clemenza di Traiano e Daniele nella fossa dei leoni (1939); a Roma, il mosaico esterno con la Nascita di Roma (1941) in Piazza Augusto Imperatore; a Padova, gli encausti della Sala Galileo nell'Università con La Scuola (1940-'42) e L’Aurora sulla rotazione delle terre (1941-'42). La varietà dei temi trattati trova nell'inventiva dell'artista soluzioni compositive di grande ricchezza, in cui sono presenti certe preferenze figurative che rievocano un suo particolare mondo di immagini. Singoli elementi, che il pittore introduce nelle composizioni, anche le più auliche, per ribadire che quanto narra fa parte di una umanità viva nella quale egli affonda salde radici. Così, a Pomezia, il tema del carrettiere, che costituiva l'elemento centrale della composizione, si ricollega ai tanti carrettieri della sua produzione i quali, prima di essere pittura, furono personaggi della sua esperienza cotidiana nell'Orto delle Sette Sale; Vi è in queste scelte figurative l'estrinsecazione di una precisa volontà di fare discorso piano e chiaro, così che tutti possano intendere e, in qualche modo, riconoscersi in quelle immagini che rimangono legate alla terra e all'uomo. Se, infatti, nella Elegia terrestre, la figura muliebre, posta al sommo del carro, non fosse stata scaldata da quel tanto di grazia contadina che la rendeva viva, sarebbe rimasta una citazione erudita, una « Abbondanza » classicheggiante, e non la compagna vera del giovane carrettiere, che con mano sicura domina l'irruenza dei due cavalli, avviandoli alla festa campestre. Altrove, nelle opere decorative di questo decennio, possono anche mancare talora precisi riferimenti a questo tipo di esperienza personale, ma quanto non viene mai meno è il senso di verità vibrante, che il pittore infonde nell'immagine, così che le figurazioni non si perdono nell'astrattezza del simbolo, ma narrano di accadimenti, nei quali agiscono uomini veri con tutta la carica della loro passionalità e forza vitale.

La pittura classica romana è stata per Ferrazzi fonte continua di studio, a Roma e a Pompei, specie per quanto riguarda la tecnica dell'encausto. « Mi rivolsi. attorno al trenta - ricorda l'artista in uno scritto pubblicato in occasione d'una sua mostra del dopoguerra (1947) - alla ricerca di una materia delicata e smagliante all'opposto dell'aspetto "calcinoso" degli affreschi ottocenteschi. Sul dipinto ancora umido dell'intonaco, distendevo il velo di una cera disciolta e liquida. da penetrare con la fiamma, e dopo averla lucidata con ferri, ottenevo la materia "simile a pietra", fissando il valore dei toni del colore bagnato. Era questo un lontano spunto da un antico mestiere ormai decaduto, all'uso dei cosiddetti "marmorini". Ma i frequenti colloqui con la


pittura di Pompei e nel Museo di Napoli ed in quello di Roma alle Terme... mi portarono alla convinzione di un diverso procedimento dell'affresco; cioè a una pittura che partendo da quella tecnica, si svolgesse con altro sistema anche su pitture mobili, in supporti di terracotta o di lavagna, e sulle tavole. A riprova della lunga elaborazione dei maestri greco-campani e romani. scoprii la variazione su di una figura nella mirabile opera della Villa dei Misteri, con tracce visibili sul rosso del fondo levigato, di una sostanza densa e come "lievitata", che vi era scorsa leggera, o simile a gocce rapprese colate dal pennello, eppure agile e liquida. Il disegno della figura appariva inciso con uno stilo sul fondo rosso di preparazione grassa, onde il segno risultava sottile e calcato, senza sgranature. Ritrovai anche in modo evidente, dove il dipinto parietale aveva subito dei guasti, un fitto strato d'imprimitura grassa stirato di fondo rosso o di altro colore che aveva fermato l'azione assorbente degli intonaci a più strati. La pittura figurativa restava come in "superficie", ma poi veniva lentamente assorbita nella preparazione. Infine, dopo le molte giornate o mesi di lavoro di quei maestri sulle vaste pareti come pietre, dove non appaiono tracce di sutura nell'intonaco, il tutto veniva "fuso" con la cera a fuoco, che faceva "sudare" la pittura dell'umidità sottostante, e vi penetrava tra l'imprimitura grassa e lievitata, con gli strati degli intonaci molto spessi da consentire una costante compattezza umida per molto tempo... Delle mie realizzazioni, o sconfitte, ho riempito 15 fitti quaderni. diario, e due rubriche di voci, oltre a fogli, a pezzi di supporti con le notazioni, macchie di colore, ghirigori di pennello, spatolature. ecc.: infinite prove "gestuali" di quelle sostanze composite, affinché la tecnica con la materia che la componevano venissero a far parte di uno stile ». UNA DISPERAZIONE Dalla lettura del quinto e settimo diario si sono potute quindi ricostruire le diverse fasi di realizzazione della pittura murale. Particolarmente accurate sono le note relative alla preparazione dell'intonaco: uno strato di arriccio, un secondo strato a graniglia e sabbia più fini, e un terzo strato più sottile a «polvere di marmo cristallino di Carrara» e calce. Non si trattava quindi di una preparazione propriamente ad affresco, ma di un procedimento non lontano da quello descritto da Vitruvio nel VII libro del De Architectura, soprattutto per lo strato superficiale a polvere di marmo, assente nella tecnica a fresco così come tramandata da Cennino Cennini. Sfortunatamente le indicazioni di Ferrazzi non vennero fedelmente eseguite e la scadente qualità dei materiali, nonché il probabile utilizzo di sabbia di mare e non di fiume, crearono non pochi problemi alla realizzazione dell'opera. Due settimane dopo la preparazione della parete destinata ad accogliere il Trionfo, nella Casa comunale di Pomezia, l'11 ottobre 1939 Ferrazzi iniziò ad abbozzare a carbone la composizione, stese una sorta di imprimitura a base di calce, caseina, ranno, colla, latte, essenza di trementina e compose i toni di base. Già pochi giorni dopo, iniziando a lavorare alla figura di Pomezia, si accorse che la pittura, asciugando, tendeva a scurire. Da quel momento non avrebbe più smesso di sperimentare solventi di diversa composizione e diversamente miscelati, al fine di venire a capo di questo inconveniente che lo afflisse per tutta la durata del lavoro e imputabile probabilmente a una scadente preparazione. La presenza di sabbia di mare e non di fiume e l'umidità influirono non poco sulla cromia della pittura: «Arrossa tutto e scurisce per le parti grasse a contatto dell'umido….. è una disperazione».


Dopo aver riscontrato le stesse difficoltà con la figura di Vertumno, Ferrazzi sperimentò l'alcol come diluente, ottenendo «uno schiarimento buono», ed è interessante come le sue intuizioni metodologiche siano sempre in linea con la ricerca di «rendere il timbro delle pitture antiche», «Voglio provare a dipingere domani con una soluzione di cera e mastice tenuti in fusione da stasera nell'alcool adoprando i colori ad acqua. Brunati disse che i Greci usavano l'alcool sulla calce». Ma i risultati non furono quelli sperati e il giorno dopo, 20 ottobre 1939, aggiunge: «Purtroppo questa parete non asciuga e la pittura si sgrana intaccandola, mentre che la stessa data su parete secca è fortissima. Sotto lo strato di 1/2 cm dove si sente la presenza della graniglia di marmo è solidissima. Dio mi protegga questo lavoro». Altri appunti mostrano come il dialogo a distanza con gli antichi passi attraverso l'osservazione della natura e non attraverso semplici tentativi di emulazione. Si veda per esempio il brano seguente che pone tra l'altro problemi interpretativi sulla metodologia descritta: la diluizione, di per sé non ottenibile senza un qualche emulsionante, di una vernice in acqua: «Della vernice d'Amar in emulsione con acqua, o trementina di Venezia con acqua. Ho notato come sugli alberi dei pini durante l'inverno l'acqua piovana discioglie la resina in una pasta bianchiccia. D'altra parte il pezzo che oggi ho dipinto della frutta del ragazzo e tutte le luci sulle gambe dei cavalli risultano luminose mentre che con altre vernici [...] scuriscono subito con grande disperazione di questa ripresa. Mentre la pennellata risulta con questo Amar bellissima fluida scorrevole e densa. Ne feci la prova nella figura della bambina di sinistra ancora oggi come un olio. Infatti le prove più vicine a Pompei sono quelle resinose senza quasi olio. Resistono al fuoco fortissimo. Certo che l'osservazione della resina dei pini con acqua distillata piovana deve essere la via di un solvente resinoso che torna al fuoco durissima e con la cera finale elastica ed impenetrabile». Le interruzioni che segnarono la realizzazione dell'opera - la prima dall'aprile all'ottobre del 1940, la seconda dal primo novembre 1940 al 2 novembre 1941 - testimoniano l'insoddisfazione dell'artista. Numerose infatti furono le riprese sulla pittura al fine di schiarirla e tentare di raggiungere l'effetto desiderato. Finalmente, il 2 novembre 1941 Ferrazzi annota: «Finito l'encausto di Pomezia ... Dio sia lodato della buona riuscita di questo lavoro". I brani riportati sono tratti da F. Ferrazzi: Diario V, settembre 1938 – aprile 1940 Diario VII, 29 aprile 1940 – 23 ottobre 1941

Nel 1939 viene affidato a Ferrazzi l'incarico di eseguire l'affresco nella sala consigliare di Pomezia dietro un compenso di Lire 25.000. Con lettera del 27 giugno del 39 Ferrazzi comunica di non poter terminare l'affresco nei termini per l'impegno che lo costringe all'E42. Il 14 giugno del 1941 il Commissario Leone lamentava che la sala del Consiglio non poteva essere utilizzata in quanto occupata da attrezzi e ponteggi necessari per il compimento dell'opera. Il 21 agosto del 1941 Ferrazzi assicura di concludere quanto prima l'affresco. Il 12 novembre del 1941 Ferrazzi comunica di aver terminato l'affresco.


FINALMENTE CHIARITO IL MISTERO DELL’ENCAUSTO

Da qualche tempo, nella nostra città, si parla dell’affresco "sparito" nella sala consigliare, che in questi giorni è in fase di restauro. Alcuni dichiaravano che la paternità di tale affresco era di Sironi, altri facevano altri nomi, identificando nell’autore un artista sconosciuto portato alle ribalte dal regime fascista. Quante imprecisioni e quante avventate dichiarazioni sono state fatte! Sembra giusto quindi chiarire tutti questi equivoci, se non altro per dare quelle giuste informazioni alla cittadinanza e specialmente ai giovani, che sempre più numerosi si affacciano al neo costituito Fondo Storico per conoscere fatti documentati e storia del nostro territorio. Innanzi tutto presentiamo l’autore, l’Accademico FERRUCCIO FERRAZZI, nominato nel 1929 docente di decorazione all’Accademia di Belle Arti di Roma. Nell’ottobre del 1938 l’Arch. Concezio Mariano Francesco Petrucci, che unitamente ai colleghi Mario Tufaroli e Riccardo Silenzi ebbero l’incarico di realizzare il piano regolatore vincitore del bando concorso, prese contatto con F.Ferrazzi per conoscere la sua disponibilità circa l’esecuzione di un affresco nella sala del Consiglio della costruenda città di Pomezia. L’Artista confermò la sua disponibilità accettando anche il compenso stabilito di L. 25.000, stessa cifra che gli fu assegnata per realizzare il mosaico della Chiesa di Sabaudia. L’esecuzione dell’opera subì molti rallentamenti, sia per gli impegni dell’Artista nella realizzazione di opere per l’E 42 ( Esposizione Universale 42 ) sia per difficoltà incontrate nella realizzazione dell’intonaco che avrebbe dovuto ospitare "L’ENCAUSTO" dell’artista. L’encausto, come molti sapranno, è una tecnica dove " il tutto veniva "fuso" con la cera a fuoco, che faceva "sudare" la pittura dell'umidità sottostante, e vi penetrava tra l'imprimitura grassa e lievitata, con gli strati degli intonaci molto spessi da consentire una costante compattezza umida per molto tempo" cosi spiega l’Artista in uno dei suoi diari. Ma per il giorno dell’inaugurazione l’opera era pressoché terminata, e venne definitivamente consegnata il 12 novembre del 1941 come da una Sua lettera inviata al Presidente dell’ONC Araldo di Crollalanza. Così l’encausto che l’autore intitolò " Il trionfo della terra " accantonando la precedente intitolazione come " Elegia Terrestre" tornò per qualche anno la sala delle adunanze finché la guerra, con tutte le sue illogiche realizzazioni, privò Pomezia della sua Torre, che venne minata e fatta saltare dalle truppe Tedesche in ritirata nel 1943. Lo scoppio naturalmente danneggiò anche il tetto della casa Comunale, e l’affresco subì dei danneggiamenti che l’autore, nei primi mesi del 1947, si offrì di restaurare. Nel frattempo il Genio Civile intervenne nel restauro dei danni causati dalla guerra, e l’amara sorpresa avvenne …… come riferisce l’Ingegnere Capo dell’ONC in un promemoria indirizzato al Servizio Affari Generali in data 9 maggio 1947 – prot. 15129 -che di seguito integralmente riportiamo: " Nella sala del Consiglio del Comune di Pomezia l'Opera, durante la costruzione della borgata, fece eseguire dall'insigne pittore Ferruccio Ferrazzi, allora Accademico d'Italia , un encausto allegorico della presa di possesso delle nuove terre bonificate, da parte di contadini immigrati. La pregevole opera d’arte, come in questi giorni ha verbalmente confermato l'Ing.Colombo, già Direttore dei lavori della borgata, non conteneva simboli od altre figurazioni che potessero farla considerare una esaltazione del cessato regime fascista; del quale del resto - secondo lo stesso Ing. Colombo - l'Autore non fu mai ammiratore. Ora, il pittore Ferrazzi, essendo venuto a conoscenza che, per danni bellici subiti dal tetto e dalle finestre del fabbricato, il suo lavoro era stato soggetto alle intemperie e ne aveva sofferto, venne ad offrirmi di curarne il restauro, senza compenso alcuno, solamente con le possibili agevolazioni nei riguardi del suo alloggio a Pomezia nel tempo strettamente necessario. Gli rispondevo che l'Opera non ha più alcuna ingerenza nel fabbricato in questione, avendolo da molti anni consegnato al Comune. Tuttavia, prese istruzioni dal Signor Direttore Generale, verbalmente disponevo che l'Ing. Di Muro, presente al colloquio, incaricasse il Geom. Giorgi, residente a Pomezia, di prendere i necessari accordi col Sindaco e di curare che il pittore Ferrazzi potesse alloggiare in locali dell'Opera, se disponibili.


Sennonché poco tempo di poi il Geom. Giorgi mi informava, e informava il pittore Ferrazzi, che l'encausto sebbene risultasse pochissimo danneggiato in dipendenza della guerra - è stato recentemente distrutto dall'Impresa che per conto del Genio Civile di Roma ha provveduto alla riparazione del fabbricato, col pretesto che fosse necessario demolire completamente il sottostante intonaco e rifarlo ex-novo. Il pittore Ferrazzi è venuto a manifestarmi il suo dolore per l'azione vandalica; che è da escludere sia stata suggerita, almeno in parte, da motivi politici, per la ricordata circostanza che l'opera d'arte non aveva alcun riferimento politico ed anche perché altre pitture nello stesso fabbricato, non prive invece di richiami al fascismo, per quanto ha riferito il Geom. Giorgi, sono tuttora intatte. Il Ferrazzi si propone di ricorrere alla Sovrintendenza alle Belle Arti per ottenere un'inchiesta e possibilmente la punizione del funzionario del Genio Civile che ha autorizzato, o non ha saputo impedire, lo scempio. Ma intanto gradirebbe che l’Opera, per il fatto di avere a suo tempo commissionato l'encausto, scrivesse al Sindaco di Pomezia per deplorare l'accaduto e lamentare che nemmeno il Sindaco stesso sia tempestivamente intervenuto a salvaguardare il patrimonio artistico dall'Opera dato in consegna al Comune. Ciò comunico per i provvedimenti di competenza; avvertendo che il Signor Direttore Generale consente in massima ad aderire alla preghiera del pittore Ferrazzi - al quale converrebbe inviare copia della lettera diretta al Sindaco - salvi ulteriori accertamenti, col debito riguardo , sul carattere dell'opera d'arte, di cui il Ferrazzi possiede riproduzioni fotografiche. "

Questi sono i fatti e crediamo che nessun provvedimento sia stato preso a riguardo. A noi rimane solo il rimpianto di non avere più il bellissimo affresco. MARIO BIANCHI

DOCUMENTI

17-07-1939 25-07-1939 07-11-1939 14-06-1941 12-08-1941 12-11-1941 25-11-1941 09-05-1941 24-05-1941

Ferruccio Ferrazzi - encausto " Trionfo della terra" O.N.C. Sollecito a Ferrazzi di terminare l'affresco Reale Accademia d'Italia Ferrazzi assicura compimento affresco Arch. Petrucci Liquidazione metà compenso a Ferrazzi Comune Pomezia Sollecito ultimazione affresco Ferrazzi Reale Accademia d'Italia Ferrazzi assicura ultimazione affresco Reale Accademia d'Italia Ferrazzi comunica di aver ultimato l'encausto Reale Accademia d'Italia Ferrazzi sollecita pagamento ONC Promemoria Distruzione dell'encausto di Ferrazzi ONC Distruzione dell'encausto di Ferrazzi


«S'e' fatto uno scrittore anche misurato, anche riposato e con larga comprensione delle sue responsabilità di critico - scriveva Antonio Baldini nella prefazione al libro di Oppo Mostri, figure e paesaggi (Torino, 1930) - e qualche volta si permette perfino il lusso di indossare la toga, con certi pluraloni di maestà che sembra proprio una statua del Palazzo di Giustizia; ma poi ogni tanto non gli pare vero di riprendere, per un momento, i vecchi atteggiamenti di «capotruppa della gente sgherra », e butta via la toga, scopre la fionda di Meo Patacca e rivien fuori il trasteverino, spettacolo che fa sempre un bellissimo vedere » Nelle quali parole è il migliore ritratto che si possa tentare di Cipriano Efisio Oppo, uomo e artista di impetuosi umori polemici, ma di cuore generoso, nato romano da padre sardo e madre veneziana il 2 luglio del 1891 e morto recentemente (1962), lasciando di sé largo rimpianto, soprattutto nei nostri artisti della generazione di mezzo, i quali, esordienti quando Oppo curava le massime esposizioni d'arte contemporanea in Italia, lo avevano conosciuto come spirito aperto anche ai movimenti più clamorosamente innovatori, quantunque a questi si accostasse con prudente riserbo, e comprensivo proprio delle personalità più spiccate e meno conformiste, cui volentieri dava l'appoggio della sua autorità, non senza rabbuffi ogni volta che gli paresse suo dovere di darne e con disinteresse pari al sostegno generosamente elargito. Le Quadriennali, alle quali sovrintese con intelligenza critica acuta e con equanimità rara, che gli consentiva di intendere e di apprezzare programmi artistici contrari alle sue convinzioni di pittore, rimangono le più belle e vivaci della storia dell'ente romano preposto alle massime rassegne nazionali dell'arte di oggi; e i premi, che in quegli anni toccarono ad Arturo Martini o a Giorgio Morandi, a Gino Severini o a Giacomo Manzù, attestano come le Quadriennali di Oppo, che così anche oggi si chiamano tra gli artisti, fossero ordinate con libertà assoluta e con chiarissima visione delle forze più vive dell'arte italiana. Il che, unito ai pregi dello scrittore d'arte, dotato di grande sensibilità e di una stesura prosastica coltivata e robusta, non è piccolo merito: lo provano le pagine del libro sopra citato, che contengono il fiore dei suoi interventi critici e che si rileggono anche oggi con autentico interesse, sia che parlino di Corot o di Goya, sia che si addentrino, sottilmente commosse, nella lettura della celeberrima Ballerina di quattordici anni di Degas, sulla quale Oppo scrisse forse il suo saggio migliore, sia infine che ritornino, con amore, sull'opera di Armando Spadini, vagheggiato come un maestro da seguire, come un correttivo lirico di ogni tentazione deformatrice, come il depositario di una carica sentimentale che risolve, nei termini propri della bella pittura, l'umanità affettuosa alla quale l'Oppo della Eugenia in grigio (Galleria Civica d'Arte Moderna di Torino) e di taluni paesaggi tendeva, dopo gli influssi giovanili, tra il 1910 e il 1914, di Matisse e dopo diversi incontri, fatti nel tempo, con Manet, con Dufy, ecc. Accennavamo or ora alla attenzione che Oppo portava ad ogni genere di avanguardie, pur restando a suo modo neotradizionale e fedele specialmente a questi due pittori nostri, nei quali credeva di cogliere il meglio della produzione moderna italiana: Spadini e Mancini. E difatti, sotto il dominante amore del realismo, si scopre la sua cultura lata, la sua elaborazione delle più aggiornate esperienze europee. Se « non salta il fosso », come argutamente osservava il Cecchi a proposito delle pitture con le quali Oppo partecipava in piena esplosione futuristica una Secessione Romana immediatamente precedente la prima guerra mondiale, è per intima persuasione che l'arte non debba esagerare da una certa misura e che le audacie formali, ancorché legittime perché sollecitate da un reale impulso espressionistico, debbano essere piuttosto contenute, ed apparire scaltritamente coperte, invece che denunciate con irrazionale abbandono. L'aspirazione alla calma e al nitore di visione lo tiene dunque - nella stessa curiosità sveglia per quanto accade intorno a lui, nel mondo inquieto della cultura - vincolato ad un sostanziale amore dell'antico, fino a tentarlo, nel 1920, a riprendere, nella stessa fattura rifinita e impreziosita, i modelli del nostro primo Ottocento. Di questa sua posizione di gusto, che costituisce altresì il limite di Oppo pittore, è documento ancor oggi da guardare con rispetto La casta Susanna, nella quale un'eco del Rubens e del Veronese risuona un po' affievolito dalla dichiarata, concettuale sottomissione alla pittura ottocentesca. Certamente saranno da preferirle dipinti meno impegnativi, d' estro più libero, di una presa meno mediata della realtà, epperò costruiti con maggiore energia plastica e coloristica; nondimeno La casta Susanna è rappresentativa di certi umori ricorrenti nella storia della nostra pittura contemporanea, tra gli alterni « richiami all'ordine » che il filo delle nostre esperienze registra; e accanto a ritorni di fiamma al Medioevo romanico e gotico o alla pittura pierfrancescana, o alla Villa dei Misteri, ha un suo posto e un suo perché anche la nostalgia di Oppo per un Rinascimento estremamente maturo, considerato come una difesa umanistica dei valori della vita.


All'attività di pittore, di critico, di organizzatore di esposizioni a Roma, a Venezia, all'Estero, unì quella, valentissima, di scenografo e di costumista, nella quale dimostrò di essere consapevole sia della concezione moderna dello spettacolo che delle innovazioni europee nel palcoscenico e nella regia; ma, da pittore qual era, continuò ovviamente a intendere la scena come un dipinto di grandi dimensioni, sostituendo all'impiego delle architetture reali la forza chiaroscurale in cui era palese l'esempio dell'arte di Sironi, e alta distribuzione di spazi realmente praticabili una spazialità pittorica, prolungando, potremmo dire, i canoni della grande scenografia barocca, cui richiese in prestito anche la balenante irruenza delle luci e la sontuosità degli apparati. Alcune scenografie e costumi ideati da Oppo per il teatro lirico, all'Opera di Roma o al Maggio Fiorentino, rimarranno nella storia del teatro come personali, libere elaborazioni di modelli del Sei e del Settecento, rappresentando, come fu notato intelligentemente, « la grande tradizione italiana attraverso l'indiretta reviviscenza di Bakst ».

Né possiamo sottrarci al dovere di citare la scena per la prima esecuzione della Donna serpente di Casella (Roma, 1932) immaginata come una immensa esedra di vetri, spartita da robuste travi verticali, su cui volta un tamburo parimenti spartito, mentre in basso, di là da tale architettura dipinta, si tende la città, bassa sotto lo spazio vuoto e sterminato del cielo.

Nella foto da sinistra: Moriakira Shimizu – addetto militare Ambasciata GiapponeFiglie del vice Presidente Accademia d’Italia Fornichi con il padre Sedute in basso la fihlia di Oppo Eugenia, la signora Shimizu, Isabella Oppo moglie di Efisio Alle spalle il figlio Ottavio accanto al padre Efisio Oppo

Troppo presto per dare un giudizio non impreciso sulla personalità ricca e complessa di un uomo che ebbe un peso rilevante per diversi anni nelle vicende artistiche del nostro Paese e che da ultimo, schivo e quasi sdegnoso, si era appartato volontariamente, non certo insensibile agli attestati di affettuosa stima che continuavano a pervenirgli, ma fermo nel proposito di non partecipare più al mondo dell'arte, specie là dove le manifestazioni assumevano un carattere di ufficialità, noi speriamo di non dispiacerGli chiudendo questo breve riassunto della sua vita e del suo lavoro, col ricordo della forza d'animo, degna di un antico eroe, con cui il caporale di fanteria Cipriano Efisio Oppo sopportò l'atroce mutilazione al viso nel 1915, al termine di una battaglia sul fronte dell'Isonzo. Dall'ospedale Gozzadini di Bologna, Oppo scriveva all'amico Antonio Baldini, cui lo avevano dato per morto, una lettera accompagnata da due disegnini illustranti la ferita e l'apparecchio, che poche righe dopo chiama « pasticcio », datone il cattivo esito (il disegno porta anche le indicazioni:« elastico », «alluminio» ) fattogli per mettere in ordine le varie parti fratturate. La lettera comincia così : « Carissimo, non sono morto, ma non sto neanche troppo bene ». FORTUNATO BELLONZI

Immagini inserite all'interno della pubblicazione di Fortunato Bellonzi Atti Accademia Nazionale di San Luca Roma


MCMLXII

BOLLETTINO D’ARTE n° 37-38 anno 1986 FABIO BENZI Materiali inediti dell’archivio di Cipriano Efisio Oppo In questo articolo si presenta una scelta piuttosto ampia della corrispondenza che è ancora conservata in uno degli archivi più importanti per la storia dell'arte italiana - soprattutto romana - tra le due guerre: quello del pittore Cipriano Efisio Oppo, critico tra i più acuti e onnipresenti dell'epoca, che anche in virtù della sua preminente posizione politica (fu deputato, segretario generale del Sindacato nazionale fascista delle Belle Arti, organizzatore delle Mostre Sindacali del Lazio e delle prime Quadriennali d'Arte, commissario generale dell'Esposizione Internazionale del '42 della quale divenne, a partire dal 1937, vice presidente), si trovò per più di vent'anni al centro delle questioni artistiche italiane. Quasi due anni fa pubblicai, in seno al catalogo su Gli artisti di villa Strohl-Fern, quattro cartoline (firmate da Broglio, de Chirico, Baldini, Bartoli, Francalancia) e una lettera di de Chirico, rintracciate presso la famiglia dell'Artista; proseguendo la ricerca, coadiuvato anche dall'attenta collaborazione della figlia Eugenia, è emersa un'altra notevole parte degli archivi di Oppo, quella che qui parzialmente sì pubblica.

Molte nuove prospettive si aprono alle indagini storiografiche, e alcuni di questi documenti hanno un valore di testimonianza "segreta" e insostituibile. Ciò che rimane, comunque, non è che poca cosa rispetto all'interezza del disperso archivio ufficiale, che durante la guerra fu trafugato dallo studio-abitazione di via Icilio, 8, come la stessa figlia dell'Artista riferisce; la quantità di notizie che avrebbe potuto fornire sarebbe stata probabilmente determinante per leggere il dipanarsi delle idee e dei rapporti artistici dell'epoca, al momento ancora conosciuti assai superficialmente. Cipriano Efisio Oppo fu, nella sua lunga carriera di critico e organizzatore artistico, un personaggio animato da una vivace passione polemica ma allo stesso tempo da una singolare ampiezza di vedute: ciò contribuì non poco a permettere che le vicende artistiche italiane, nonostante la presenza di un regime dittatoriale, godessero una libertà e una ricchezza di espressione mai frenate dal potere centrale se non episodicamente e, direi, marginalmente, almeno finché la guerra e le conseguenti difficoltà economiche, sociali e razziali diedero una effettiva battuta d'arresto alle ricerche artistiche italiane. Opposizioni dogmaticamente fasciste determinate a stroncare tanta varietà di espressioni sfuggenti a un controllo propagandistico, come quella del cremonese Farinacci, ebbero rilievo locale, e furono emarginate dalla stessa ufficialità ministeriale; espressione e anima della quale, va sottolineato, era il ministro Bottai, uomo dalle idee autonome e liberaliste, riferimento e capo della ''fronda " fascista, appartenente all'ala più moderata del partito e spesso in polemica con le sue scelte più radicalmente totalitarie. A distanza di anni, si può affermare che. complessivamente, quell'epoca fu, nel panorama artistico internazionale, una delle più interessanti e folta di personaggi di prima grandezza: da de Chirico a Martini, da Scipione a Sironi, da Capogrossi a Fontana, Carrà, Morandi, Mafai, ecc. Alcune ragioni mi sembrano, per certi aspetti, giustificare tanta vivacità pur nel clima politico fascista: se infatti, da una parte, il fascismo e lo stesso Mussolini guardavano le manifestazioni artistiche con un atteggiamento decisamente superficiale, considerandole '' ornamento " e " arredamento " di una civiltà italiana che in realtà percorreva ben altri binari, perseguiva ben diversi obiettivi, è pur vero che a questo atteggiamento corrispondeva la mancanza dì uno strato sociale dissidente, proletario ma soprattutto borghese, in grado di recepire qualsiasi messaggio progressista o eversivo elaborato attraverso l'immagine artistica (come invece accadeva, per esempio, in Germania); inoltre un grande "consenso ", o comunque un non dissenso, era ampiamente diffuso anche negli ambienti artistici. Non esistevano quindi i termini necessari per sollecitare un controllo coercitivo sulla produzione architettonica, letteraria, artistica. Per le stesse ragioni l'arte ufficiale, se pure operava delle scelte preferenziali, inglobava in sé ogni tendenza valida, come accadde in architettura con Piacentini, sostenitore del monumentalismo nazionalistico, che intelligentemente lasciò, nelle grandi progettazioni dì regime, larghi e significativi spazi agli esponenti del razionalismo. Così la delega a Oppo, o al fascista di fronda Bottai, della politica artistica del Ventennio, fu in realtà caratterizzata dalla singolare accettazione di ogni manifestazione stilistica, purché rientrasse sotto il criterio della qualità L'organo ufficiale che presiedeva alla gestione delle questioni artistiche era il Sindacato nazionale fascista delle Belle Arti, creatura di Oppo che ne era segretario generale (fig. 1); l'originalità e la novità di questo organismo risiedeva nel fatto che il consiglio direttivo e tutte le diramazioni organizzative erano composte quasi esclusivamente dagli stessi artisti: una sorta di sistema autogestito, che in virtù della sua essenza tutelava con attenzione e comprensione le esigenze dì una categoria per cui l'espressione personale era ragione stessa del


proprio lavoro. Lo stesso Oppo, nella minuta di un articolo della fine degli anni Venti, così sì esprime a questo proposito: " Bisogna che il Fascismo politico si metta in testa di rispettare gli artisti come una grande e nobile forza del Fascismo. E rispettare gli artisti significa ascoltare e seguire in materia d'arte i loro consigli (per fare un ponte non si segue ciecamente il parere degli ingegneri?)... Non si aspira ad esercitare un controllo estetico sopra tutti i lavori che lo Stato fascista commette agli architetti, ai pittori, agli scultori, ai disegnatori, agli sce9ografi, ai medaglisti, ai giardinieri, decoratori, ecc. i criteri di scelta... devono essere conseguenze logiche di una sola direttiva. Quella dei competenti. Soltanto cosi l’arte del nostro tempo potrà prendere rapidamente una fisionomia fascista (non diciamo stile, per carità)". ALCUNE OPERE DI CIPRIANO EFISIO OPPO

1925 - Autoritratto

Ritratto di Carrà – Forte dei Marmi 1927

LA FINE DEL GIGANTE Affresco realizzato nella sala Presidenziale della Casa Madre Assistenza Mutilati e Invalidi di Roma

Il 28 gennaio 1939 Efisio Oppo accetta l'incarico per l'esecuzione dell'affresco nella Chiesa di S. Benedetto. Il 15 giugno 1939 viene dato l'incarico definitivo stabilendo un compenso di Lire 25.000 aggiungendo la penalizzazione di Lire 50 per ogni giorno di ritardo nella consegna dell'opera. Il 27 settembre del 1939 viene autorizzato il pittore Ferretti Carlo, nato a Roma nel 1913, a coadiuvare Oppo nella realizzazione dell'affresco. In una lettera del 27 ottobre 1939 indirizzata all'amico Mario Broglio così descrive la sua giornata di lavoro:


" Alzatomi come sempre prestissimo, sono andato a rimettere le cose a posto nei cantieri dell'E42. Poi alle 8 in ufficio a Palazzo del Drago fino alle 14. Dopo aver mangiato un boccone alle 3 via in auto a Pomezia (27 chilometri) per lavorare fino a sera tardi con luce artificiale al mio affresco di S. Benedetto ( 7 metri per 5). Finalmente ora sono appena tornato da Pomezia con il lavoro interamente pronto per l'inaugurazione che avverrĂ domenica 29 ...."

Il meraviglioso affresco di San Benedetto nella nostra Chiesa di Pomezia

Bozzetti di Efisio Oppo disegnati per realizzare l’affresco della chiesa di San Benedetto


DOCUMENTI

19-03-1933 27-03-1933 25-01-1939 16-02-1940 16-02-1940 19-02-1940 26-01-1939 15-06-1939 27-09-1939 14-10-1939

Cipriano Efisio Oppo - Affresco Chiesa Parrocchiale C. E. Oppo Rinuncia esecuzione quadro per Min. Corporazioni Min. Corporazioni Commenti su rinuncia esecuzione quadro per Min. Corporazioni On. Tassinari Compiacimento per Mostra della Bonifica P.N.F.- E.Muti Mostre al Circo Massimo Governatorato Terza Quadriennale d'Arte Min. Educ. Nazionale Successo artistico Versi in onore di Oppo Oppo - C.Deputati Richiesta termine consegna bozzetto ONC Affidamento esecuzione affresco ONC Ferretti Carlo incaricato a collaborare con Oppo C. Petrucci Sollecito pagamento 1ÂŞ e 2ÂŞ rata ad Oppo


Poche sono le notizie bibliografiche su questo scultore e pittore. Come avvenne per gli altri artisti, anche a Federigo Papi venne offerto l'incarico di realizzare le 14 stazioni della Via Crucis nella Chiesa di S. Benedetto il 21 gennaio 1939 stabilendo un compenso di Lire 14.000. Sappiamo che abitava a Roma in Via Aldo Manuzio 62, come da lettera di accettazione dell'incarico del 14 febbraio 1939. Con lettera del 18 ottobre 1939 il Papi comunicava al Presidente dell'Opera che a causa della polvere sollevata dagli operai intenti all'ultimazione dei lavori della Chiesa, dei continui spostamenti da un affresco all'altro per permettere agli operai la pavimentazione dell'edificio le 14 stazioni della Via Crucis non potevano essere ultimate per la data dell'inaugurazione. Per accordi presi con l'Arch. Petrucci, al fine di rendere pressochĂŠ completa la Chiesa, si decise di realizzare le stazioni mancanti realizzando i dipinti su pannelli di compensato in modo da posizionarli nei vari spazi ancora incompleti, in modo tale da rendere, almeno visivamente, completata la Chiesa. La soluzione prospettata venne accettata, e l'artista in tutta tranquillitĂ potĂŠ terminare il suo lavoro dopo la cerimonia dell'inaugurazione. Per questo doppio lavoro gli venne riconosciuto un ulteriore compenso pari a Lire 4.000. Che fine abbiano fatto le tavole di compensato dipinte non si sa. Probabilmente le avrĂ ritirate lo stesso artista oppure saranno andate a finire negli sovrabbondanti magazzini dell'Opera.

Le 14 tavole dell'artista Federico Papi


DOCUMENTI

21-01-1939 14-02-1939 18-10-1940 21-10-1940 05-11-1940

Federigo Papi - Corrispondenze per la realizzazione della "Via Crucis" ONC Proposta affidamento realizzazione "Via Crucis" Federigo Papi Risposta esecuzione "Via Crucis" Federigo Papi Papi termina Via Crucis e chiede rimborso cartoni per l'inaugurazione ONC Dichiarazione direttore Servizi ONC Promemoria per il Presidente


Di questi due artisti non abbiamo molte notizie. Peppino (Giuseppe) Piccolo (Mascalucia 1903 - Pescara 1983) pittore e scenografo siciliano gli venne affidato (unitamente a Fegarotti) l'incarico di eseguire l'affresco della Sala delle Adunanze della casa del Fascio, probabilmente coadiuvato da Eugenio Fegarotti, di cui non abbiamo molte notizie. Anche quest'opera è andata perduta, probabilmente dopo il 1947 quando l'edificio era occupato dalle famiglie sfollate. L'affresco rappresentava con una sua interpretazione, la cerimonia della posa della prima pietra della città di Pomezia. Nella parte superiore era rappresentato il gruppo formato da Mussolini che attorniato da alcuni gerarchi ascoltava le parole dell'architetto Petrucci (a destra, di profilo) che presentava il plastico della nuova città . Riconoscibile alla destra del Duce Araldo di Crollalanza, presidente dell' O.N.C. Il compenso per tale opera venne stabilito in lire 25.000 da dividere fra i due artisti, come risulta dai documenti che potete esaminare di seguito. Le uniche immagini che abbiamo, sono una composizione di frammenti di foto.


Ferruccio Ferrazzi e Peppino Piccolo (Arch. di C.F.Carli)

DOCUMENTI Peppino Piccolo e Eugenio Fegarotti - Decorazioni Casa del Fascio 27-01-1939 P.Piccolo Accettazione condizioni marzo 1939 Piccolo-Fegarotti Descrizione bozzetti 12-05-1939 ONC Affidamento esecuzione opere 26-05-1939 ONC Pagamento acconto 13-11-1939 Piccolo-Fegarotti Maggiori oneri 13-11-1939 Piccolo-Fegarotti Inizio opere alla traduzione a fresco 22-11-1939 ONC Opere di maggiore superficie 24-11-1939 ONC Nulla osta per il compenso 23-12-1939 ONC Nulla osta maggiori spese 04-02-1940 ONC Invito a Petrucci rilasciare certificato di regolare esecuzione


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