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IN CAMMINO IN TRENTINO-ALTO ADIGE CON GIO
a cura di Giordana Detassis
Questa rubrica ha lo scopo di proporre nuovi itinerari trekking all’interno dell’Trentino Alto Adige unendo alle informazioni più tecniche della gita quali altitudine, lunghezza, dislivello, tipo di sentiero alcune informazioni sul territorio, storiche, gastronomiche etc. E’ realizzata in collaborazione con la pagina Facebook “In cammino in Trentino con Gio”
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L’ALTO ADIGE
Chiusa-Sabiona-Chiusa
Lunghezza circa 5 km
Dislivello 200 mt
Giro ad anello in parte su strada non trafficata, in parte su sentiero Interessante la visita al complesso monastico di Sabiona.
Bassa difficoltà, accessibile a tutti con qualche tratto ripido
Il monastero di Sabiona, in tedesco Kloster Säben, in ladino Jevun, è detta anche l’Acropoli del Tirolo perché sorge su un’alta rupe che sovrasta il borgo di Chiusa in Val d’Isarco, in Alto Adige.
Sabiona è il luogo più antico di pellegrinaggio dell’intero Tirolo e costituisce uno dei più antichi monumenti cristiani della regione e dell’arco alpino. È stata sede vescovile del Tirolo prima che questa fosse spostata verso l’anno 1000.
Il monastero può essere raggiunto solo a piedi partendo dal paese di Chiusa e percorrendo a piedi l’antica Via Crucis.
Sabiona è anche definita fortezza perché nel medioevo era anche un castello che resistette a molti attacchi.
Sulla rocca si può visitare l’antica cappella della Madonna, la chiesa conventuale, la chiesa della Santa Croce e la fontana commemorativa.
La chiesa della Santa Croce è stata per oltre quattrocento anni la sede della cattedra vescovile finché questa non fu spostata a Bressanone.
Nel 1535 un fulmine si abbatté sulla rupe di Sabiona, provocando un incendio che distrusse il Palazzo Vescovile.
Dopo all’incirca un secolo, il parroco e canonico di Chiusa, abile uomo d’affari, Matthias Jenner promosse l’iniziativa di fondare un monastero sulle rovine dell’antico palazzo nel punto più elevato della rupe. Non fu certo impresa facile, ma il complesso monastico con le sue mura difensive venne inaugurato il 18 novembre 1686. Per oltre trecento anni e fino al settembre 2021, il monastero è stato sede di una comunità di monache benedettine di clausura.
Il monastero ospitò inizialmente solo cinque monache provenienti dal monastero delle benedettine di monastero delle benedettine di Nonnberg, nei pressi di Salisburgo. La prima Badessa fu Madre Agnes von Ziller, che già nel 1687 poté accogliere nel convento 30 monache.
Nei secoli XVIII e XIX il cenobio conobbe varie occupazioni e subì anche la profanazione da parte degli invasori, che lo utilizzarono come fortezza difensiva. Superate le traversie storiche, il monastero tornò alla vita normale e le monache tornarono ad occuparlo. Fedeli alla loro regola, ora et labora, oltre ad aver dedicato la vita alla preghiera sono state sempre dedite al lavoro necessario per il loro mantenimento. Si sono dedicate alla cura delle vigne, a lavorare i campi, cucire e ricamare i paramenti sacri, accogliere ed ospitare i pellegrini.
La più antica chiesa della rupe di Sabiona, la cui sagrestia custodiva una fonte battesimale scavata nella roccia viva del IV secolo, si trovava dove ora troviamo la Cappella delle Grazie.
Molto suggestivo il crocefisso del XV secolo, posto sull’altare maggiore e opera del maestro scultore Leonhard da Bressanone. Tutte le altre sculture risalgono al XVII secolo. A difesa della rupe del monastero sorge un po’ più in basso anche la Torre del Capitano, chiamata anche castel Branzoll.
Il castello fu costruito attorno al 1250 dai Si- gnori di Sabiona e tra il 1465 e il 1671 fu sede del giudice responsabile del territorio del principato vescovile. Dopo un furioso incendio nel 1671 del castello rimasero solamente le rovine finché nel 1895 fu acquistato e ricostruito dal famoso appassionato di castelli - Dr. Otto Piper. I lavori furono ultimati da Karl Traut, commerciante di Innsbruck con il gusto per l’arte, che trasformò l’edificio in un centro culturale frequentato fino al 1929 da artisti, musicisti, scrittori e intellettuali.
Ora è abitazione privata.
ESPERIENZA DALL’ESTERO: LUNA TOMASI
Come ti chiami, quanti anni hai, dove sei originaria.
Sono Luna Tomasi, ho 25 anni e sono di Pergine Valsugana
Età primo soggiorno all’estero non per vacanza? Dove sei andato? Perché sei andato? Quanto tempo sei rimasto? Eri accompagnato? Da un amico o da un familiare? Dove alloggiavi? Da solo?
Il primo soggiorno all’estero che ho intrapreso è stato quello che viene comunemente chiamato quarto anno all’estero. Sono stata negli Stati Uniti d’America, precisamente in una cittadina di nome New Haven, che si trova a circa 90km di distanza verso ovest da St. Louis, in Missouri. Sono partita da sola ma non proprio, perché al momento della partenza eravamo un gruppo di ragazzi all’aeroporto e avevamo come guida l’agenzia cui avevamo fatto affidamento, dopodiché atterrati a New York ognuno di noi ha preso strade o volti diversi a seconda del posto a cui eravamo stati affidati. Il motivo principale che mi ha spinto a fare questa scelta è stata la curiosità nel vedere la quotidianità da un secondo punto di vista, infatti frequentando il liceo, la cosiddetta “high school”, ho potuto fare un’esperienza magnifica diventando parte integrante del luogo che mi ospitava. Sono stata molto fortunata a poter vivere in una meravigliosa famiglia ospitante con quattro figli, i quali mi hanno fatta sentire sempre a mio agio come se fossi la quinta sorella mancante, mi hanno fatto fare amicizia e sono cresciuta con loro per tutto l’anno.
Racconta la tua prima esperienza con la cucina autoctona
La prima esperienza avuta con la cucina del luogo è pressoché inesistente, perché il tipico cibo americano è il “junk food”, ossia tutta la categoria di cibo spazzatura che viene descritto in Italia. Gli americani usano fare colazione con caffè americano (che è semplicemente il caffè ma allungato con l’acqua) e qualche bagel, oppure latte e cereali quando si va di fretta (vale a dire tutti i giorni); qualche volta nel weekend si usa cuocere un paio di uova strapazzate con bacon. Ovviamente mi sono dovuta fare andare bene tutto il cibo e le abitudini culinarie diverse dalle nostre, e devo dire che alla fine non è stato poi così male. Gli americani mangiano tanta carne, soprattutto rossa, e non mangiano mai, e dico mai, la pasta vera e propria (potrebbero ingannare con i vari ristoranti “italiani” che si trovano, ma non è mai buona come quella che può fare la mamma o nonna a casa in Italia). Racconta un’esperienza divertente vissuta con le persone del posto Potrei stare qui ore a raccontare migliaia di aneddoti, anche perché un anno e soprattutto a quell’età è davvero tanto. Ricordo la mia famiglia che mi faceva sempre ridere, e non sto scherzando quando dico sempre. Ricordo loro che mi prendevano in giro per il mio accento italiano ma allo stesso tempo lo amavano, ricordo il docente di storia che mi faceva leggere ad alta voce i riassunti dal libro perché “non è da tutti i giorni avere in classe un accento così bello”, ricordo la mia paura/eccitazione la prima volta che mi hanno fatta volare in aria nel team delle cheerleader della scuola, ricordo la mensa scolastica con la scarsa qualità del cibo, ricordo la sensazione meravigliosa di appartenenza a un qualcosa, ricordo io che provo a fare del cibo italiano ma le materie prime scarseggiavano e quindi non è venuto così bene come pensavo, insomma ricordo molte cose, le maggiori delle quali sono positive. Perché sei tornato in Trentino? Hai in programma di ripartire? Cosa ti è man- cato di più?
Sono tornata a casa, in Trentino, per finire gli studi e diplomarmi, dopodiché ci sono rimasta durante tutto il mio periodo universitario ed è proprio durante questo periodo che più mi è mancato vivere fuori dall’Italia. Quello che manca di più agli spiriti liberi come tutti coloro che sognano sempre di viaggiare non è il fatto di “scappare” dalla solita routine o quotidianità, ma più quello che diventi e come maturi affrontando una determinata esperienza: non è tanto il luogo a rendere magico quindi il viaggio, ma è l’esperienza che si vive attraverso esso. Quello che più mi porto dentro nel vivere fuori dagli schemi è la netta sensazione di studiare, non in senso letterale del termine, ma più figurativo, perché ogni parola, ogni sensazione, ogni racconto, ogni strada e ogni viso che incontro porta con sé una quantità di nozioni uniche e diverse tra loro che tutto ciò che ho potuto fare e che faccio ancora oggi è, attraverso una curiosità innata, incasellare la maggior parte di esse dentro di me e utilizzarle a fin di bene in qualsiasi azione o ambito della vita, che va dal lavoro alla vita privata, dalla famiglia alle amicizie. Credo fermamente che ciò che ci rende unici siano le esperienze di vita e la frase che più mi rimbomba in testa a riguardo è questa: partire non per evadere, ma partire per ritrovare sempre un po’ più me stessa.
Ritornando al mio percorso di studi, durante il periodo universitario avrei voluto tanto accedere a qualche programma di studi all’estero come l’Erasmus ma purtroppo mentre frequentavo l’università, andando alle lezioni e dando esami, allo stesso momento lavoravo ed è quindi stato infattibile.
Ottenuta la laurea, però, si è presentata l’opportunità di trasferirmi all’estero, precisamente a Barcellona, in Spagna, e l’ho subito accolta. In questo momento mi trovo proprio nella capitale della Catalogna ed è passato esattamente un mese dal giorno del trasferimento. Mi sto trovando molto bene e devo dire che è molto diverso dalla mia prima esperienza di me diciassettenne: in America studiavo, andavo al liceo, stavo con una famiglia che mi sosteneva economicamente e mentalmente; mentre ora gli studi li ho terminati, vivo da sola con il mio ragazzo e sto entrando piano piano nel mondo del lavoro e degli adulti. Allo stesso tempo non mi mette paura tutto questo ma, anzi, mi fa sentire sempre più curiosa di quello che verrà dopo. Sempre alla scoperta di cose nuove.
Cosa hai portato di quei viaggi di cui non riesci più a far senza?
Probabilmente la risposta più azzeccata sarebbe “tutto”. Credo di poter affermare che inoltre all’esperienza di vita all’estero, anche parlando di viaggio/vacanza sento le stesse emozioni, perché appunto ogni volta che ho viaggiato ho cercato sempre di viverla come le persone del posto. Amo viaggiare e amo farlo soprattutto in luoghi dove vi è una cultura diversa dalla mia, questo perché per me conoscere popoli nuovi è un valore. Immergersi nelle usanze e nelle tradizioni degli altri paesi e vivere il viaggio come un “local” è quello che mi appassiona di più, sentirmi quindi parte integrante del posto, vivendo situazioni uniche nel suo genere. Questo per me è la vera essenza del viaggio. In questo modo, ogni volta, quando si ritorna a casa, ho nostalgia dei momenti e dei ricordi annessi a ciò che ho potuto conoscere e ho sempre storie da raccontare. Mantieni i contatti con le persone che hai conosciuto?
Certamente! Sono anche tornata in America facendo una sorpresa a tutti quanti ed è stata una gioia immensa. Per quello che si riesce cerco sempre di scrivere e sapere come stanno sia i miei “genitori” che i miei due fratelli e le mie due sorelle. Quando posso ci sentiamo e con tutti i social che ci sono oggi è impossibile non sapere cosa fanno e dove sono. Mi reputo tanto fortunata ad avere una seconda famiglia come quella che ho.
Racconta un aneddoto della cultura di un Paese che hai scoperto e che ti è piaciuto
Nonostante io mi trovi in Spagna da poco, durante la festa di San Valentino, sono venuta a conoscenza di una festività simile tipica della Catalogna: Sant Jordi, secondo la quale il giorno x di Aprile avviene uno scambio di fiori ma soprattutto di libri tra gli innamorati. Questa usanza si è oggi estesa anche al di fuori delle coppie e in molti luoghi della città vengono organizzate bancarelle dove si vendono rose e libri. Trovo questa usanza molto bella e interessante.
Racconta cosa ti è mancato della cultura trentina
Partendo dal presupposto che non sono una persona particolarmente legata alla cultura tradizionale (ammetto questo essere un difetto), ma sicuramente ciò che più manca vivendo all’estero è l’aria pulita che si riesce a respirare in Trentino, il paesaggio mozzafiato che si può ammirare ogni giorno gratis, e la calma e tranquillità che esso emana. Inoltre la mancanza della famiglia, anche se lieve, si sente maggiormente nei giorni di festa e la cultura culinaria della nonna (che non può non essere di rilievo).
ESPERIENZA DALL’ESTERO: ANDREA MANNA
Come ti chiami? Data di nascita?
Ciao! Sono Andrea Manna, nato il 23 Luglio 1992.
Età primo soggiorno all’estero non per vacanza? Dove sei andato? Perché sei andato? Quanto tempo sei rimasto? Eri accompagnato? Da un amico o da un familiare? Dove alloggiavi? Da solo Prima di quest’esperienza in Australia ho viaggiato solo per andare in vacanza, mai più di 2 settimane. Per cui questa è la prima volta che lascio casa, famiglia e amici per vivere in un altro posto. Sono partito da solo, a 29 anni, prenotando solo un ostello per le prime due settimane, per dopo trovare lavoro e una sistemazione più stabile. Il motivo principale che mi ha spinto a partire è stata l’insicurezza del futuro che provavo in Italia, soprattutto nel post covid, ma anche la voglia di scoprire posti nuovi e nuove culture/ punti di vista.
Racconta la tua prima esperienza con la cucina autoctona
Parlando di Australia, questo paese è l’emblema del multiculturalismo, per cui si può trovare un mix di tipi di cucina. Direi che non ci sono dei piatti si possano definire ‘Australiani’, ma quello che amo di questo è la cultura del caffè. Le prime volte che chiesi di avere un caffè/capuccino, sono stato assalito da mille domande da parte del barista, come ‘1 shot? 2 shots? Oat milk or skim Milk?
Capuccino, Latte ,Long black?’ Etc. E per loro la giusta schiuma è veramente essenziale!
Racconta un’esperienza divertente vissuta con le persone del posto Durante le prime settimane in Australia, ero a lavoro, in laboratorio, e ho visto questo ragazzo mangiare uno snack, era un pezzo di pane con questo tipo di marmellata spalmata sopra. Io chiesi cosa fosse, cosi me ne diede un cucchiaio da assaggiare. Si trattava di Vegemite, una sorta di concentrato fortissimo di Lievito di birra, verdure e spezie. Un pò come mangiare un cucchiaio di Wasabi puro. Ovviamente lo sputai, però qualche giorno dopo lo provai, in piccola quantità su un pezzo di pane caldo, con della marmellata, e ammetto che mi è piaciuto un sacco.
Hai in programma di tornare in Trentino? Cosa ti è manca di più?
Ho iniziato da poco il processo di sponsor, per poi arrivare alla cittadinanza australiana, per cui quest’anno non ho in mente di tornare per focalizzarmi sul mio sponsor e sulla nuova attività che sono stato incaricato di gestire, ovvero una pasticceria ad Airlie Beach, dove vivo attualmente, e verso giugno aprire un secondo punto vendita a Townsville, una città qua vicina. L’anno prossimo sicuramente tornerò per avere un mese di vacanza, però non penso di tornare a vivere in Italia.
Non passa giorno senza sentire la mancanza della mia famiglia, degli amici, del cibo italiano, direi che queste sono le cose che più mi mancano!
Cosa hai portato di quei viaggi di cui non riesci più a far senza?
Avendo viaggiato solo per vacanze, questa sensazione di lasciare casa e partire è tutta nuova per me. Più che qualcosa di materiale, ho imparato fin dall’inizio di questo viaggio a non avere pregiudizi.
In australia ci sono milioni di stranieri, ognuno con storie diverse, e ascoltare queste esperienze ti apre la mente in una maniera assurda.
Per cui direi che, per lasciare casa e vivere lontano per un periodo, bisogna armarsi di tanta curiosità, sotto molti aspetti.
Mantieni i contatti con le persone che hai conosciuto?
Sinceramente non ho conosciuto tante persone durante questo viaggio, perché mi son focalizzato più sul lavoro durante il primo anno, però sono ancora in contatto con alcune persone che ho conosciuto a Sydney, prima di spostarmi in Queensland, North Australia.
Soprattutto con una ragazza che abita a Sydney, chi sa, se son rose fioriranno! Racconta un aneddoto della cultura di un Paese che hai scoperto e che ti è piaciuto
Più che un aneddoto, direi che la cosa che più mi è piaciuta da quando sono arrivato in Australia, è il fatto di non essermi sentito come, quello che definiamo noi, un ‘immigrato’, ma sono stato trattato, soprattutto a lavoro, come un valore aggiunto per questo