KULT 1/2019

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WE ARE VISIONARIES

NO.1

CREATIVE WE ARE VISIONARIES

I CONTEST PER ESPRIMERSI

FASHION

LE UNIFORMI DELL’ESTATE

ART

OSSERVATORIO DI FONDAZIONE PRADA HANGAR BICOCCA PAC MILAN EXHIBITIONS

CLAUDIO ANTONIOLI RACCONTA IL SUCCESSO DI NEW GUARDS GROUP MUSIC

IL RITORNO DEL NEOMELODICO E I NUOVI PROTAGONIS TI

E€6–P€7 F, B, L € 7.5 – NL € 8.5 D, A € 9 – CH Chf 7.50 UK £ 6.5 – S Sek 75

LE NUOVE SFIDE DELLA FOTOGRAFIA. NE PARLIAMO CON NADINE WIETLISBACH DEL FOTOMUSEUM DI ZURIGO E IL DUO ARTISTICO DI DOUBLE TAKE

HYÈRES F E S T IVA L LA NUOVA STAGIONE DELL’AVANGUARDIA TRA MODA E FOTOGRAFIA

No. 1/ 2019

5€ Italia

Unique Media srl – Trimestrale 15/04/2019 marzo/aprile/maggio






In vendita da: THE STORE - Via Solferino, 7 - MILANO GEORGE’S DONNA - Via della Rotonda, 5 - ROMA SALOTTO - Via Garibaldi, 24 - MESSINA

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Ku l t

m a g a z i n e

i s s u e # 01

In cover: HYÈRES FESTIVAL Enikova Dita - Lettonie Collection Femme / Womenswear © Leva Mezule

In cover: BILLIE EILISH © Universal Music

8 C o l o p h o n Editorial Director Enrico Cammarota Editor-at-Large Luisa Micaletti Design Anna Casotti Music Ciro Cacciola

Lifestyle Alessandro Iacolucci, Marco Torcasio Graphic Design Stefania Di Bello Kult Magazine is published quarterly by Unique Media Srl Marzia Ciccola (Editor-in-chief)

Art Alessandro Riva

Errata Corrige: KULT N.4 - 2018 a pag. 16 l’indirizzo corretto del Sziget Festival è Isola di Óbuda (Budapest/Ungheria).

Collaborators Antonella Tereo, Marinella Cammarota, Maurizio Bertera, Caterina Lunghi, Ciro Cacciola

Registration at Court of Milan n. 412 of 11/06/1998 ©Unique Media Srl. All right are reserved Reproduction in whole or in part without written permission is strictly reserved

International Collaborators Anna Casotti – New York Fausto Colombo – Zurigo Alessandra Fanari – Parigi

Worldwide Distribution: Australia, Belgium, Brazil, South

Korea, United Arab Emirates, Finland, Great Britain, Hong Kong, Israel, Lithuania, Malta, Holland, Singapore, Hungary

Unique Media Srl Viale Sabotino 19/2 – 20135 Milano Tel. 02/49540591 adv@uniquemedia.it (advertising) segreteria@uniquemedia.it Printed by Arti Grafiche Boccia Spa Distribution SO.DI.P. “Angelo Patuzzi Spa” Via Bettola, 18 – 20092 Cinisello Balsamo



i s s u e # 01

contents WE LOVE IT!

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14 Close to COMEFORBREAKFAST

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16 Book: Un amore in più 18 Le mostre di Milano VISIONARIES 30 AMIAYA, Alessandro Malossi, Dua Lipa, Sita Abellan, Billie Eilish

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36 “Nu blues metropolitano” 40 Beyond the wall: Robin Rhode si racconta 44 Hyères Festival 50 La fotografia in 3D: Double Take 56 Il ruolo della fotogtrafia nell’era digitale: Nadine Wietlisbach del Fotomuseum Winterthur

56

44

18


baracuta.com


i s s u e # 01

contents FASHION

64 Claudio Antonioli parla di New Guards Group

64

70 “Thierry Mugler: Couturissime” 76 L’uniforme dell’estate Palm Angels, C.P.

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Company, Marcelo Burlon County of Milan, Fila, Pal Zileri, Moose Knuckles, Efisio Marras e Givenchy 92 Fashion Story: “A form of melancholy”

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104 Sisley Lovers 106 Amanti dello sport? Rossignol PE 2019 108 Il mare è uno stato mentale: Slam TALENTS 112 Contest per giovani creativi

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CITY 118 Events from the world 122 Spring in Naples

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70



P ROJ ECT

VIENI PIÙ VICIN O, GUARDA!

“ C L O S E T O C O M E F O R B R E A K F A S T ” , L’ U L T I M O C A P I T O L O D I U N A T R I L O G I A F O T O G R A F I C A C H E R AC C O N TA L A R E A LTÀ D E L M A RC H I O , V I S TA DAG L I O C C H I D I C H I G L I È A F I A N C O

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“Close

to Comeforbreakfast” è l’ultimo capitolo di una trilogia fotografica (iniziata con “Unsuitable” e prosequita con “Would you COMEFORBREAKFAST che ha voluto raccontare in un percorso multi-identitario, le varie dimensioni del brand stesso, mostrando la connessione autentica con chi la moda la vive nella quotidianità. Dopo aver prima esplorato l’ideale della donna di Comeforbreakfast e poi vissuto momenti personali di un rito universale quale la colazione, entriamo in una dimensione intima e quanto mai sentita. II progetto infatti coinvolge, in questa sua ultima fase, le persone che con il marchio hanno da sempre collaborato e che nel marchio hanno sempre creduto. Un vero e proprio tributo, costituito da ritratti realizzati dal fotografo Andy Massaccesi con la col

laborazione di Alessia Vanini, che porta alla luce chi rende possibile ogni collezione. I designers lasciano spazio ad altri attori protagonisti, ad esempio la modellista, la campionarista, l’anziana titolare del maglificio, ma anche la commercialista, l’avvocato, la stylist, il fotografo e il loro mentore. Non si tratta di street casting, perché i soggetti non sono sconosciuti ma, al contrario sono persone che portano in sé un pezzo del successo del brand che nella loro specificità ne custodiscono parte della paternità. “Close to Comeforbreakfast” racconta Ia quotidianité di una realtà che, seppure piccola e indipendente è fatta di molte persone che ne costituiscono il mondo e che stagione dopo stagione nutrono il progetto con il Iavoro e la Ioro fiducia. La collezione A/W 19 di Comeforbreakfast è un ossimoro fatto di equilibrio e sottile disordine, una tensione continua tra volumi over e linee asciutte e definite. ll capo identitario è sempre il trench oversize, che stavolta viene tagliato per ridefinire le proporzioni. Le giacche si allungano per diventare abiti, la vita diventa altissima nei pantaloni cargo e sottolineata da maxi-cinture, le giacche sovradimensionate e prive di bottoni sono leggere e pulite, i cappotti sartoriali in lane e cachemire sono esasperati nei volumi. Le gonne lunghe e tubolari vengono abbinate a camicie dalle maniche ampie e morbide. Disordinati sono anche gli accostamenti dei colori: nella nuova collezione invernale il nero è abbinato all’Ottanio, il senape al carta da zucchero e il testa di moro al hurro 9

al fango. La proposta di Comeforbreakfast è una collezione sofisticata ma allo stesso tempo essenziale. con outfit pensati per bilanciare colore e forme all’interno di una dimensione instabile e intenzionalmente disordinata, rompendo I’equilibrio cromatico e stilistico. La maglieria occupa una parte importante della collezione. una vera e propria capsule collection composta da abiti, maglioni, ampi gilet smanicati, t-shirt e pantaloni. Tutti realizzati in pure Iana. Gli accessori anche prendono spazio centrale, con scarpe uomo e donna in pelle stampa coccodrillo e panno di lana. I tessuti si incontrano in moda inedito in accostamenti sofisticati, con abiti in lane e seta. viscosa e seta, camice di organza crespata e vinile, faille di lana e acetate. M.T.



QUANDO UN ROMANZO FA RIFLETTERE “UN AMORE IN PIÙ” DI ALESSANDRO ROMITO CI FA PENSARE AI LEGAMI FAMILIARI E NON SOLO...

MA

L A FAMIGLIA È OPPURE N O IL POSTO DOVE SE NE PARL A?

Da piccoli ci insegnano che i bambini giocano con gli Action Man e le bambine con le Barbie. Ai maschi li si veste di azzurro e alle femmine di rosa. Ai ragazzi gli si dice che non bisogna essere deboli, alle ragazze di accavallare le gambe, guai a non trovare un buon partito. Guai ad avere una sfumatura un po’ fucsia.

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Alessandro Romito - Ph: Mario Castaldi

BOOK

Al cinema c’è Boy Erased (Vite Cancellate), specchio di una società illusa di un sogno americano che crede sia meglio non sapere piuttosto che affrontare, “se non lo sai, non esiste”, o peggio convertire. Spesso è la famiglia la prima a non accettare una realtà che per tanto tempo, troppo, è stata definita una devianza, un demonio, un’eresia. Troppo vergognoso per un padre avere un figlio gay. Come se questo lo rendesse meno uomo, meno umano. Un dolore insopportabile... come se quel figlio avesse potuto scegliere, come se glielo stesse facendo per dispetto. Un disonore per la “famigghia”… La vera domanda è vergognoso, per chi? Ammettiamolo, sentirsi diversi non è piacevole, ma ci si abitua a farsi forza sbattendo in faccia agli altri la propria diversità. E allora ecco il conflitto. La famiglia, il nemico, la casa il campo, di battaglia. Oggi ci sono i social che insieme a tutto il trash, mandano in scena lo specchio spazzatura dell’Italia che siamo, quella vera, #nofilter. Conoscete Tommaso Zorzi? Sicuramente lo conoscete… No? Come tanti fa l’Influencer. È un personaggio televisivo italiano, ha 24 anni, è dell’ Ariete e ha una Laurea in Economia e Business Management conseguita a Londra. Della Milano bene, uno tra i “rich kids” d’Italia, noto per il reality targato MTV: Riccanza. Un po’ di tempo fa Zorzi riceve in direct, ma che finisce direttamente in bacheca, il

messaggio di una madre. Cito testualmente: “Buongiorno. Sono la mamma di un suo accanito seguace che da quando ha iniziato a seguirla è completamente cambiato. Per colpa sua mio figlio è diventato omosessuale in quanto lei sponsorizza apertamente questo stile di vita DEVIATO e CONTRO NATURA. Non ha una coscienza? Non si rende conto del danno che fa ai ragazzini che la seguono? Si faccia un esame di coscienza e si vergogni. Rovinare le famiglie in questo modo”. Le famiglie non le rovina Zorzi, tanto meno devia i giovani. La famiglia la rovina il silenzio e i muri che si alzano per non voler vedere qualcosa che non si è in grado di gestire. La famiglia non era il primo posto dove si trasmettono i valori? Dove si parla, ci si confronta su idee e visioni, compresi gli “stili di vita”, come sono definiti. Forse questo accade solo nel Mulino Bianco… Far passare il messaggio che essere se stessi anche davanti agli occhi degli altri, e non solo chiusi in una realtà altra, fatta di quattro mura dove non si gioca con i dinosauri ma con Raperonzolo, sia sbagliato, è meschino nei confronti di chi si ama, in primis verso se stessi. Il processo di formazione di identità lo si apprende prima in base a quello che accade in casa: mi vesto così perché sono maschio, guido così perché sono un uomo. Poi, quando si affronta il mondo e ci si rende conto che ci sono delle discordanze su chi ci hanno detto di amare e chi vogliamo amare, allora non ci si può aspettare che la percezione che si ha di se stessi debba essere quella culturalmente accettata, come l’ignoranza. Non sono più sicuro, e forse non lo sono mai stato, che la famiglia sia davvero il

primo posto dove si parla dell’omosessualità… sembra che lo facciano di più Barbara Durso, Gaga e Adinolfi. Ricordo la recensione di “Un amore in più” scritto dall’architetto Alessandro Romito. Un romanzo ispirato alla sua vita e al faticoso rapporto con la famiglia, del Sud, matriarcale e apparentemente perfetta. “Tutti noi abbiamo un segreto da proteggere o di cui disfarci. In entrambi i casi quel segreto cambia le nostre vite e quelle di chi ci sta accanto. La mia storia inizia da qui”. Quella di Alessandro è una famiglia profondamente radicata nella tradizione, pugliese, il buon cibo fatto in casa ai pranzi di Natale, le torte appena sfornate, le reunion parentali durante le festività che col tempo diventano sempre meno affollate. Il mondo femminile ruota attorno la cucina e la famiglia, quello maschile attorno al posto di lavoro. Ma cosa potrebbe succedere se qualcuno di loro dovesse avere un’ambizione, un sogno, un desiderio diversi da quello che il senso comune si aspetta? “Un amore in più”, non solo affronta il tema del rapporto madre – padre – figli e nonni ma tratta inconsapevolmente, almeno apparentemente, alcune delle tematiche tra le più contemporanee. Della solitudine di una vecchiaia vissuta in una casa priva di affetti, ma al contempo ricca di oggetti bellissimi. Alla voglia di volare via da un nido soffocante per lasciar emergere non solo il proprio talento, diverso dal volere paterno, ma l’affiorare di una omosessualità vissuta in un ghetto interiore, troppo soffocante da portarsi dietro da solo, come un cumulo di polvere da dover tener nascosto sotto un bel Persiano, che per carità stupendo sopra, ma sporco sotto.



Art in Milan WE LOVE MILANO

CON LE SUE FONDAZIONI E I SUOI MUSEI, MILANO RACCONTA, TRAMITE LE OPERE DI ARTISTI INTERNAZIONALI, LE SFUMATURE DELLA NATURA UMANA

DA L L’ O S S E RVAT O R I O D I F O N DA Z I O N E P R A DA C O N L E O P E R E FOTOGRAFICHE

DI

JAMIE

DIAMOND

ED

ELENA

DORFMAN

C HE RACC ONTAN O UN AMORE VISSUTO IN C OMPAGNIA DI CREATURE MOSTRA

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IDEALIZZATE,

PERSONALE

DI

AL

PIRELLI

GIORGIO

HANGARBICOCCA

ANDREOTTA

CALÒ

E

LA

CHE,

C ON LE SUE IMMAGINI, HA RACC OLTO STORIE E VISIONI IN SPAZI E TEMPI DIFFERENTI. MENTRE IL PAC ESPONE UN RICC O PERCORSO

SUI

RAPPORTI

UMANI,

USANDO

COME

MEZZO

L’ I M M AG I N A R I O Q U O T I D I A N O F E M M I N I L E E L’ E S P E R I E N Z A D I U N A D I T TAT U R A O P P R E S S I VA E C E N S O R I A N E L B R A S I L E D E G L I ANNI SETTANTA E OTTANTA .

BY ALESSANDRO IACOLUCCI


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L OV E M E L I K E YO U D O “Surrogati. Un amore ideale”. L’Osservatorio di Fondazione Prada, attraverso una selezione di 42 opere fotografiche di Jamie Diamond (Brooklyn, USA, 1983) ed Elena Dorfman (Boston, USA, 1965), esplora i concetti di amore familiare, romantico ed erotico.

Elena Dorfman Rebecca 1, 2001 da/from “Still Lovers” Chromogenic print mounted on aluminum 75.6 x 75.6 cm Courtesy of the artist


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Jamie Diamond Mother Marilyn, 2012 da/ from “Forever mothers” Archival pigment print 81 x 101.5 cm Courtesy of the artist

UNA mostra a cura di Melissa Harris che attraverso la fotografia delle due artiste americane indaga il legame emozionale tra un uomo o una donna e una rappresentazione artificiale dell’essere umano. Come spiega la curatrice: “i lavori di Diamond e Dorfman presentati in occasione di ‘Surrogati’ documentano in modo vivido e senza pregiudizi le interazioni tra gli uomini e i loro compagni inanimati ma realistici”. Dalle serie Forever Mothers, realizzata tra il 2012 e il 2018 e Nine Months of Reborning del 2014, Jamie Diamond documenta una comunità di artiste autodidatte chiamate “Reborners”, queste outsider realizzano e collezionano bambole iperrealistiche con cui interagiscono per soddisfare il proprio desiderio

di maternità. Come ha dichiarato Jamie Diamond: “lavorare con questa comunità mi ha permesso di esplorare quella zona grigia tra realtà e artificio, dove si costruiscono relazioni con oggetti inanimati, tra uomo e bambola, artista e opera, misterioso e reale”. Inoltre la fotografa stessa si trova a impersonare una scena ispirata ad alcuni ricordi della sua infanzia: con “I promise to Be a Good Mother”, presente nel percorso dell’esibizione, Diamond veste i panni della mamma perfetta, indossando gli abiti di sua madre e interagendo con Annabelle, una bambola reborn. La serie fotografica “Still Lovers” realizzata tra il 2001 e il 2004 da Elena Dorfman, è invece incentrata sulle persone che condividono la propria quotidianità domestica con bambole erotiche a grandezza naturale. Le sue fotografie affrontano i legami che si instaurano tra umani e donne sintetiche perfettamente riprodotte e

obbligano l’osservatore a riconsiderare la propria visione di amore e riflettere sul valore di un oggetto in grado di sostituire un essere umano, appunto un surrogato. L’intento dell’artista non è quello di enfatizzare la devianza rappresentata da questi surrogati sessuali, ma di svelarne il lato nascosto ritraendo l’intimità tra carne e silicone. Come sottolinea Elena Dorfman: “questo corpus di opere testimonia un modo di vivere inquietante e al tempo stesso commovente. Non intendo dare giudizi, ma piuttosto offrire ai protagonisti di questo mondo segreto la possibilità di condividere con me la loro quotidianità. Osservo scene di vita domestica e dinamiche familiari svolgersi all’interno delle loro case”. La mostra sarà accompagnata da una pubblicazione illustrata della serie dei “Quaderni”, della Fondazione Prada, che includerà un saggio di Melissa Harris e una conversazione tra la curatrice, le artiste e alcuni soggetti ritratti nelle fotografie.


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Elena Dorfman Lily 1, 2004 da/from “Still Lovers” Chromogenic print mounted on aluminum 75.6 x 75.6 cm Courtesy of the artist

“Surrogati. Un amore ideale”, fino al 22 luglio 2019 Fondazione Prada, Osservatorio Galleria Vittorio Emanuele II, Milano.


L A VA R I E TÀ D E L L I N G U A G G I O T R A L I B E R TÀ E O P P R E S S I O N E “O Amor Se Faz Revolucionário”. Mente, copro e spirito. Tre caratteristiche messe al centro del calderone espressivo da Anna Maria Maiolino, l’artista italo brasiliana che tramite le sue opere osserva attentamente la capacità semiotica di donne in condizione di divieto.

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“O

Amor Se Faz Revolucionário”. L’amore che diventa rivoluzionario… Anna Maria Maiolino, italiana d’origine e brasiliana di adozione realizza lungo il suo percorso opere ricche di energia vitale abbracciando differenti linguaggi e media, dalla performance alla scultura, dal video alla fotografia, dall’installazione al disegno. Traendo ispirazione dall’immaginario quotidiano femminile e dall’esperienza di una dittatura oppressiva come quella del Brasile a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, la Maiolino racconta i rapporti umani, le difficoltà comunicative e di espressione, ponendo attenzione alla fisicità e alla corporeità umana, includendo la sfera intima e spirituale.

Foto performance, Maiolino_Galleria_Cortese_┬®_Lorenzo_ Palmieri in ATTO, 2015 Performance di Anna Maria Maiolino con Sandra Lessa presso Galleria Raffaella Cortese, Milano, 30 aprile 2015. 20’10” Courtesy dell’artista, Galleria Raffaella Cortese, Milano Video Alessandro Lentati; Photo Lorenzo Palmieri


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Anna Maria Maiolino Untitled, from Filogenéticos [Phylogenetic] series, 2014 Acrylic ink on paper 45,5 × 30,5 cm; 51,8 × 36,7 cm framed Courtesy of the artist, Private collection, Switzerland and Galleria Raffaella Cortese, Milan


EXHIBITION

Anna Maria Maiolino Untitled from Vida Afora (A Life Line) series - Photopoemaction, 1981/2009 B/W photograph in analogic print 30,5 × 45,5 cm; 45,5 × 61,5 cm framed Ed. of 3 + 2 AP Courtesy of the artist, Private collection, Modena and Galleria Raffaella Cortese, Milan

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“O Amor Se Faz Revolucionário” fino al 09 Giugno 2019. PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea via Palestro 14, Milano


UNA QUESTIONE DI CONNESSIONI “CITTÀDIMILANO”. Pirelli HangarBicocca riconferma il suo impegno nel sostenere la sperimentazione in ambito artistico e la produzione di nuove opere e, per la prima volta, mette insieme una raccolta di “fatiche”, nuove e del passato firmate da Giorgio Andreotta Calò. Il percorso di mostra genera storie e visioni su diversi tempi e luoghi, da Venezia a Milano, dalle profondità del mare a quelle del sottosuolo.

DOPO aver rappresentato l’Italia alla 57ma Biennale di Venezia nel 2017, ed esser considerato dalla critica esperta come uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea, Giorgio Andreotta Calò espone per la prima volta al Pirelli HangarBicocca una serie di opere concettuali che tra sculture, installazioni ambientali di larga scala e interventi spaziali, trasformano architetture o interi paesaggi, inseriti in un ricco sistema di rimandi e collegamenti reciproci, densi di significati simbolici rappresentando elementi naturali come acqua, luce e fuoco. “Trasfigurare il luogo significa innanzitutto cogliere in esso un potenziale inespresso, una qualità espressiva definita anche

La scultura lingua morta, Giorgio Andreotta Calò

da una storia passata, fatta di individui, per restituirlo a una nuova possibile funzione” (da un’intervista apparsa su Flash Art, numero 294, 2011). Richiami complessi e singolari eppure accattivanti per mettere in luce i legami che esistono tra una storia e l’altra, tra un oggetto e l’altro, tra un vissuto e l’altro. Legami che aldilà del tempo e dello spazio, se pur inconsapevolmente, persistono nella connessione di un determinato percorso.

Tipico della metodologia artistica di Giorgio Andreotta Calò è la costante rielaborazione e riconfigurazione delle sue opere in base al contesto geografico e culturale in cui vengono esposte: per “CITTÀDIMILANO” l’artista si concentra sulla pratica scultorea, presentando in stretto dialogo lavori realizzati dal 2008 a oggi e concepiti come parte di un unico paesaggio. L’artista trasforma la percezione dell’ambiente ed evidenzia i legami che intercorrono tra le opere stesse.

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Clessidra, Giorgio Andreotta Calò

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Un invito ai visitatori a creare il proprio percorso all’interno della mostra e i propri collegamenti. Inoltre, per questa occasione, l’artista ha compiuto ricerche sulla storia della società Pirelli, concependo appositamente nuove opere che portano alla luce narrazioni inedite del passato, legate alla città di Milano, ma che si relazionano a temi e luoghi già presenti nel suo lavoro come per esempio le immagini sottomarine del relitto sommerso del piroscafo Città di Milano (che dà il titolo all’exhibition), mostrando l’imbarcazione utilizzata all’inizio del secolo scorso dall’allora Pirelli Cavi per depositare nelle profondità del Mar Mediterraneo cavi sottomarini. Il 16 giugno 1919 la nave naufragò presso la secca di Capo Graziano a Filicudi. L’artista ha estrapolato materiale video da riprese di repertorio effettuate nel 2015 sul relitto a 100 metri di profondità, montandole in un lavoro che funziona da preludio e leitmotive di tutto il percorso, legato alle idee di navigazione, di immersione/emersione e di stratificazione fisica e simbolica, storica e geografica. Ulteriore richiamo a questa storia è la presenza in mostra di una porzione danneggiata di cavo per la trasmissione sottomarina di dati, lunga più di 30 metri.

L’opera che per Giorgio Andreotta Calò rappresenta il punto di partenza tematico e narrativo della mostra CITTÀDIMILANO è Volver, la scultura generata da un’azione realizzata a Milano nel 2008 in occasione della sua prima esposizione personale presso la Galleria Zero: l’artista all’interno della sua barca utilizzata nella laguna veneziana, vola sospeso tramite una gru sopra i tetti del quartiere Lambrate, compiendo un giro circolare per poi terminare l’azione sulla terrazza della galleria, dove l’imbarcazione viene sezionata in due parti e qui esposta adagiata sopra un sottile specchio d’acqua. A dieci anni di distanza, segna simbolicamente il suo ritorno a Milano, l’artista ripropone Volver in una nuova configurazione: la barca viene infatti, ricomposta in una forma scultorea che richiama quella delle conchiglie della serie Pinna Nobilis, mentre l’azione originaria è documentata da una proiezione di un carosello di diapositive.

Giorgio Andreotta Calò “CITTÀDIMILANO” fino al 21 luglio 2019. Pirelli HangarBicocca via Chiese 2, Milano


Sullo sfondo, Senza Titolo (la fine del mondo).

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Carotaggi, Giorgio Andreotta Calò


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V I S CI OI NT AY R I E S

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VISIONARIES

AMI + AYA, ALESSANDRO MALOSSI, DUA LIPA, SITA ABELLAN, BILLIE EILISH

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VISIONARY PEOPLE L’AVANGUARDIA DEL NUOVO MILLENNIO

NEL LORO DNA DEVE ESSERCI UN CROMOSOMA IN PIÙ. SONO GIOVANI E TALENTUOSI, IN UNA PAROLA: CREATIVI. RAPPRESENTANO L’ANIMO DI CHI HA QUALCOSA DI INTERESSANTE DA DIRE E HA TROVATO IL MEZZO GIUSTO PER FARLO. LA LORO ARTE È SPESSO UNA VOCAZIONE. LE LORO OPERE SONO LO SPECCHIO DI INTERE GENERAZIONI. BY A L E S SA N D R O I AC O LU C C I


The Harajuku girls

AMIAYA: AMI + AYA

BLOGGER, MODELLE, INFLUENCERS E DJ. ICONE POP DELLA CULTURA GIAPPONESE. “A sub-culture, and a kaleidoscope of fashion Prowl the streets of Harajuku” Lo cantava Gwen Stefani in “Harajuku Girls” dell’album “Love. Angel. Music. Baby” del 2004. Le gemelle giapponesi come un rework moderno e supersonico delle stilose ragazze del centro culturale, artistico e avanguardistico del Giappone conquistano tutti, non solo Dolce & Gabbana, Coach, Valentino e Miu Miu… alcuni dei marchi con cui hanno collaborato. Ami e Aya hanno trasformato la passione per la moda e l’influenza socio/culturale in professione. Le gemelle di Tokyo, icone dello street style nipponico, dapprima modelle poi blogger, sono diventate il simbolo di Harajuku e sono considerate le esportatrici della cultura Pop giapponese nel mondo… Non è infatti difficile vederle tra i trendsetter delle varie fashion week. Appassionate di moda e musica con “Jouetie” il marchio di cui sono direttrici creative, offrono diverse evoluzioni e categorie di stile.

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ILLUSTRATORE, PITTORE E TATUATORE ITALIANO. IL SUO MONDO? È COME UNA MOSTRA A CIELO APERTO. Visual Artist nato a Bologna dove comincia a disegnare i profili irregolari di una realtà creativa effervescente. Dal liceo artistico acquisisce la tecnica, cominciando a dipingere tra bordi che oltrepasserà presto grazie a una fervida immaginazione. Le sue illustrazioni vengono viste, condivise, richieste. Caratteristiche che lo portano anche sotto la nostra attenzione, è su Instagram che lo scopriamo. Tra una tela di carta e una di pelle, nel 2016 incontra la moda, iniziando a lavorare insieme ad alcuni brand internazionali. Dal packaging di CK THE ONE per Calvin Klein, alla personalizzazione di vari modelli di scarpe richiesta da Superga. Per LEE JEANS dipingerà 150 capi esclusivi, e per ESTEE LAUDER, in occasione di un lancio di cosmetici riservato agli influencer, customizzerà i pack. Collaborerà con LA MARTINA per una live painting nello store di Milano come anche per Jaguar a Bologna. Poi NIKE che, in occasione dell’evento per il lancio della capsule collection di Sita Abellan, chiede ad Alessandro di personalizzare live le Nike Air Force One ispirandosi alla Dj. Il giovane artista è ora protagonista di una mostra euro-

Instagram

satisfaction Alessandro Malossi

| Classe 1993

pea, itinerante, dalla durata di un anno, prodotta in Italia da EXITFINEART con la curatela di Linda Santaguida: “NOAH”. La recente visione dell’artista si rifà all‘Antico Testamento e alla vicenda di Noè, colui che ricevette dal suo Dio l’ordine di costruire un’arca per riportare la vita sul pianeta distrutto dopo la punizione di Jahve. Malossi attraverso 15 opere grafiche si chiede e chiede al pubblico, in una società segnata dal consumismo, dall’apparenza e dalla superficialità “Cosa andrebbe portato in salvo da Noè se esistesse adesso?”. Immagini dal carattere provocatorio, riadattamento ai nostri giorni dell’Arca di Noè, che consistono in animali composti da capi d’abbigliamento dei brand più noti: Balenciaga, Gucci, Fendi, Off-White, solo per citarne alcuni.


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CANTANTE, PERFORMER. NATA A LONDRA MA DI ORIGINI KOSOVARE.

Limitless Dua Lipa

| Classe 1995

Il ritmo sta alla pop star come lo stile sta alla moda. La carriera di Dua Lipa è iniziata come youtuber, o meglio, all’età di sedici anni caricava sul suo canale le cover delle canzoni preferite. Poi, scoperta dallo stesso manager di Lana Del Rey, incide il suo primo album “New Love” e firma un contratto con Warner. La strada è ancora lunga ma ha conquistato un pubblico vasto in tutto il mondo, tra le sue collaborazioni spuntano i nomi di Sean Paul con cui incide “No Lie” e Calvin Harris per il singolo “One Kiss” premiato tra l’altro ai Brit Awards. Dua Lipa non conquista solo le vette delle classifiche e due premi Grammy ricevuti quest’anno per il miglior singolo Dance con “Elecrticity” e come Migliore artista esordiente... non solo i social, il suo profilo Instagram conta 27,4 MLN di follower, ma anche il fashion. Recente la collaborazione tra l’artista e Pepe Jeans London per la campagna della collezione Spring Summer 19 (scattata da David Sims, fotografo britannico celebre per aver immortalato icone musicali del calibro di David Bowie, Nirvana, Bjork e Courtney Love) in cui si celebra l’heritage del marchio e dove spiccano punti chiave comuni come la forza, la bellezza naturale e l’appeal atemporale.


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Dj’s new avanguard

Sita Abellan

| Queen w/ no age

IL GIUSTO MATCH TRA MUSICA E STILE. “Bitch better have my money”… tutto inizia così, con il videoclip del singolo di Rihanna. La pop star la scova su Instagram e la chiama per recitare in una parte. Originaria di Murcia, in Spagna, Sita Abellan rappresenta la nuova ondata di artisti il cui gusto musicale si spinge al confine culturale. Una passione sfrenata per la techno che la porta a suonare per i locali più underground di Ibiza come il DC10 ma anche come resident e Dj Set per brand e show della moda. Au-

todefinitasi Techno Princess Model, Sita ha più anime, se da un lato è una Dj dall’altro cammina sulle passerelle parigine e progetta capsule fashion. Conquistando un posto speciale nel cuore di Jeremy Scott, Fausto Puglisi e Daizy Shely. Star della nightlife meneghina, (già Sita Abellan ha studiato alla Cattolica di Milano), si è spesso esibita al Plastic sfoggiando eccentrici look dall’appel punk chic, proprio come i suoi capelli.


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From Spotify to the world Billie Eilish

| Classe 2001

AVERE DICIASSETTE ANNI, CANTARE E SCRIVERE CANZONI ED ESSERE CONSIDERATI UN PRODIGIO. È il caso di Billie Eilish, cantate americana originaria dell’East Side di Los Angeles arrivata alla ribalta nel 2016 dopo aver caricato su Spotify il singolo “Ocean Eyes” diventato presto virale e a cui ha fatto seguito l’EP di debutto “Don’t Smile at Me”, pubblicato nell’agosto 2017. La ragazza è cresciuta in un ambiente creativo e stimolante ma allo stesso tempo cupo. Qualcosa che probabilmente le sarà stato utile per darle qualla forza di mangiarsi il palco proprio come ha fatto non molto tempo fa al Fabrique di Milano. Amante del dark, ma proprio del lato oscuro, Eili-

sh piace perché non si nasconde dietro a nulla, neanche quando deve far emergere la sua anima intima e masochista, affrontando temi contemporanei di adolescenti tormentati da mostri sotto al letto ma abbastanza reali, che mischiano sentimenti contrastanti eppure lato della stessa medaglia, come l’odio e l’amore. Nell’attesa dell’imminente tour mondiale Billie lancia il primo album registrato in studio: “When We All Fall Asleep, Where Do We Go?”… il singolo che precede la promozione dell’album? “I Wish You Were Gay”.


nu s u e Bl

MUSIC

COLLABORAZIONI,

SINERGIE,

SINTONIE.

TRADIZIONE

ED

ELETTRONICA

C H E S ’ I N C R O C I A N O . VO C I C H E PA S S A N O DA U N D I S C O A L L’A LT R O , D I C O N C E R T O I N C O N C E R T O , D I C L U B I N C L U B . L A N U OVA N A P O L I È FAT TA DI MUSICA E CANZONI.

C’È CHI RIPRENDE IL SOUND AUTOCTONO DI CERTE MISCONOSCIUTE PRODUZIONI FUNK ANNI SETTANTA (Gennarino ‘O Sioux, ad esempio), e chi riporta in auge il folk fatto di tammorre e chitarre. Chi scrive le più romantiche delle melodie per pluripremiate colonne sonore e chi riesuma le vecchie glorie del Festival di Napoli in versione lounge per apertivi millennials-chic. Ce n’è davvero per tutti, di questi tempi, nel panorama musicale sotto il Vesuvio. Che suona però ormai anche fuori dai confini metropolitani, facendo rete con altre capi-

Metropolitano BY CIRO CACCIOLA

Fabiana Martone

Fabiana ha pubblicato di recente Memorandum, un album in cui è autrice, arrangiatrice, direttore artistico, produttrice artistica ed esecutiva, tecnico audio, grafico, sceneggiatrice, pittrice, ma che è frutto di un lavoro corale, fatto di varie energie, di chiacchierate con gli amici, di canzoni scritte con altri musicisti

Valerio Jovine

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Valerio Jovine, il primo bassista dei 99 Posse, l’altro cantante solista e autore, responsabile di aver portato il reggae italiano in prima serata tv con la sua partecipazione a “The Voice” e capace di hit potentissime come “Napulitan” e “’O Reggae ‘e Maradona”.

tali musicali europee come Barcellona e, naturalmente, Milano. Uno dei progetti che ha più sorpreso le platee è certamente quello dei Nu Guinea, “non un reale luogo geografico quanto piuttosto una suggestione tropicale” partorito a Berlino dai cuori di Lucio Aquilina e Massimo Di Lena, due anime elettroniche in trasferta tedesca da circa un lustro e colti da improvvisa nostalgia canaglia per la città di Partenope. Ne è venuto fuori un album straniante, “Nuova Napoli”, un omaggio al film “No


Fitness Forever

grazie, il caffè mi rende nervoso” di Massimo Troisi (1982), che mette insieme boogie-funk nigeriano e bossa-pop brasiliana riportando i versi di una celebre poesia di Eduardo De Filippo nel brano moderato ballabile “Je Vulesse”. Il successo è stato immediato e il duo, accompagnato da una band di strepitosi turnisti, è in concerto alle Terme di Agnano il 25 aprile in un evento del collettivo Drop, il 4 maggio al Link di Bologna, il 10 maggio al Largo Venue di Roma e il 19 al Magnolia Summer di Mi-

lano. “The idea was to capture and highlight the elements that make our city so special to us. This includes tradition, colours, the beautifully twisted dialect and of course all the deeply radicated roots of its musical history”, dichiara il duo in perfetto inglese berlinese. A cantare alcune delle loro canzoni è Fabiana Martone, una delle voci più amate e poliedriche di Napoli: esperienze importanti in campo jazz e a teatro, Fabiana ha pubblicato di recente Memorandum, un album in cui è autrice, arrangiatrice, direttore artistico, produttrice artistica ed esecutiva, tecnico audio, grafico, sceneggiatrice, pittrice, ma che è frutto di un lavoro corale, fatto di varie energie, di chiacchierate con gli amici, di canzoni scritte con altri musicisti (tra cui Ciro Tuzzi, cantante e frontman degli Epo, storica formazione nata nel 2000 e oggi sulle scene con un nuovissimo progetto discografico, “ENEA”, con Roy Paci ai fiati e Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours agli archi: “Il disco più libero che gli EPO abbiano mai fatto...”). La Disco Music dello Studio 54, le produzioni pop di Quincy Jones, i riff di Nile Rodgers nei primi album degli Chic e i Chicago di “Street Player” riecheggiano invece nelle tracce briose e contagiose degli irresistibilmente danzabili e sexy-ironici Fitness Forever, supergruppo di sette ele-menti formidabili guidate dalla verve di Carlos Valderrama, “emigratis” in Spagna per la produzione del loro album perfetto, “Tonight”, dove si canta (e si balla!) prevalentemente in Inglese ma poi

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a sorpresa e quasi impercettibilmente arriva qualche traccia in Napoletano. C’è il loro nuovo singolo in giro, “Igloo”, e un bastimento di remix da “Dance Boys” a “Baby Love”, e poi ci sono i loro concerti: imperdibili! Tra le fila dei Fitness, costellate di talenti e collaborazioni che non riusciamo a riportare qui, c’è Luigi Scialdone, bassista e chitarrista di lungo corso, autore e corista ma soprattutto “prezzemolino” coinvolto e presente in alcuni tra i più interessanti progetti collettivi degli ultimi anni: le colonne sonore dei film “L’Arte della Felicità” e “Gatta Cenerentola” che hanno dato ribalta nazionale ed internazionale al talento di nuovi cantastorie e poetici rocchettari come Roberto Colella de La Maschera (un’interessantissima mescola di folk sapientemente intriso di blues, rock e jazz) e Dario Sansone dei Foja (altra band tra le più innovative in fatto di new folk), senza dimenticare il pianista e produttore Antonio Fresa, visto persino a dirigere l’orchestra al Teatro Ariston in quel di Sanremo e responsabile con Fabrizio Fiore, dj napoletano con quartier generale a Milano, del progetto “South Designers – Napoli Files”, un album dalle sonorità molto suggestive nel quale rielaborano i classici della canzone napoletana - da “Anema e Core” a “’O Sole Mio” - in una versione lounge elektro 2.0 come si trovassero in una ibizenca compilation “Cafè del Mar”. Forte di cotanti artisti, Napoli brulica di concerti, spettacoli, rassegne musicali, eventi anche trasversali nei quali i vari protagonisti dialogano, si provocano, si ispirano, dando voce e corpo ad una scena artistica unica e inconfondibile, globale eppure fortemente territoriale, capace di dialogare con altri Sud del pianeta. Con il suo terzo lavoro discografico, “La Mantirosa”, c’è riuscita perfettamente Flo, una delle personalità più eclettiche, curriculum che val la pena di essere raccontato. Laureata in Canto con il massimo dei voti al Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, il più antico d’Europa, negli anni ha inciso e condiviso il palco con Daniele Sepe, Stefano Bollani, Paolo Fresu, Elena Ledda, Lino Cannavacciuolo e Vincenzo Zitello. In teatro è stata protagonista di spettacoli musicali e di prosa, diretta da registi come Alfredo Arias, Davide Iodice, Sarasole Notarbartolo, Claudio Mattone e Daria Bignardi. Con il suo primo disco “D’Amore e di altre cose irreversibili” ha vinto una marea di premi (Musicultura 2014, “Radio Rai 1”, “Andrea Parodi”…). Con il secondo, “Il mese del rosario”, ha varato un tour intercontinentale. La sua è una voce cristallina e potente, antica e modernissima, che, da perfetta “Mentirosa”, canta ammore e gelosia, il pensiero rivolto a Frida Khalo. Pittura naif e animo tropicalista, ottimista, gioioso, con un dialetto ricercato e delicato, ricco di termini anche desueti ma con un’allegria di base contagiosa sono le cifre musicali e personali di Tommaso Primo, anch’egli molto seguito e amato in città, sulla scia di un cantautorato

Lelio Morra

“newpolitano” (definizione doc del critico musicale Federico Vacalebre) che annovera saporitissimi piatti forti come il duo Forni-Graziano, Alessio Arena, Maldestro, Sollo e Gnut. La vecchia guardia naturalmente non sta a guardare. Piuttosto rilancia, sorride, ammicca, si lascia contaminare, produrre, remixare. Raiz, Pietra Montecorvino, Enzo Gragnaniello, James Senese, continuano nel solco tracciato da Pino Daniele. Monica Sarnelli, interprete sensuale e dal percorso artistico lunghissimo, ha di recente pubblicato un singolo strepitoso, “Tu si’ meglio ‘e me”. Lelio Morra se ne va in giro con la sua “Giganti”, prova d’amore in bilico tra la nuova canzone italiana e gli anni 60 che fotografa anche il suo vivere, da 4 anni, con i piedi a Milano e l’anima a Napoli. E formazioni appassionate come quella del trio Vox Inside non smettono di rileggere i classici alla loro maniera, soprattutto quando a disposizione c’è una voce friabile e incantevole come quella di Valentina Brandi. La scena rap e trap

Forte di cotanti artisti, Napoli brulica di concerti, spettacoli, rassegne musicali, eventi anche trasversali nei quali i vari protagonisti dialogano, si provocano, si ispirano, dando voce e corpo ad una scena artistica unica e inconfondibile.

Nu Guinea in concerto Il successo è stato immediato e il duo, accompagnato da una band di strepitosi turnisti, è in concerto alle Terme di Agnano il 25 aprile in un evento del collettivo Drop, il 4 maggio al Link di Bologna, il 10 maggio al Largo Venue di Roma e il 19 al Magnolia Summer di Milano.


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pullula di micro e macro produzioni: dal fantomatico Liberato a ‘Nto e Luché, dai redivivi La Famiglia a Clementino fino all’astro nascente del neobig sanremese Livio Cori che ha scelto il mitico Nino D’Angelo per incoraggiarsi nell’impresa prodotta da Caterina Caselli. Ma la città porosa e verace forse resta da un’altra parte. Nella voglia di affermare la necessità di vivere senza frontiere e senza prevaricazioni. Come conferma “Bassi per le masse”, il nuovo album di Luca Persico ‘O Zulù, incontenibile frontman dei 99 Posse, realizzato con il missaggio di Madaski, le musiche di Dj Spike e una lunga fila di ospiti. O come scrivono e suonano ormai da anni, con una evoluzione coerente, aperta, contaminata, due musicisti sinceri e rispettosi/rispettati, i fratelli Massimiliano e Valerio Jovine, il primo bassista dei 99 Posse, l’altro cantante solista e autore, responsabile di aver portato il reggae italiano in prima serata tv con la sua partecipazione a “The Voice” e capace di hit potentissime come “Napulitan” e “’O Reggae ‘e Maradona”. Insieme, nelle pause tra un concerto e l’altro, hanno lavorato in questi ultimi mesi con Alessandro Aspide al nuovo disco di Maria Nazionale, una delle voci più belle, forti, riconoscibili e auten-

tiche del panorama italiano, che, potremmo dire: con “Ragione e Sentimento”, ha avuto l’intuizione di affidarsi a loro per affrontare il nuovo tour estivo con una inedita veste sonora, quasi elettronica e trip hop, e con dieci nuove canzoni a firma di autori premiati con il David di Donatello come Franco Ricciardi, un tempo “bollati” come “neomelodici” ed oggi accolti nel gotha della world music internazionale. A Max Jovine si deve anche la supervisione di una delle trovate musicali più divertenti degli ultimi tempi, la Quadretti Sband, ideata da DJ Cerchietto e formata da Davide Afzal, Antonio Esposito, Lorenzo Campese, Dario Spinelli e Giuseppe Spinelli i quali, da accorsati turnisti quali sono, hanno accettato di mettersi ironicamente al servizio di “Caraoche Cerchietto Live”, un karaoke in versione “aumentata”, ispirato 50% al Musichiere e 50% a X-Factor, una sorta di “concerto condiviso aperto al pubblico” in scena sul palco del nuovo industrial bistrò Common Ground e che vede la partecipazione straordinaria dei napoletani accomunati da una delle loro tante passioni millenarie: cantare. Perché questa è un po’ la nuova “rumba degli scugnizzi”. Raffaele Viviani, adesso.


INTERVIEW

Beyond ROBIN

RHODE

the Wall STREET

ARTIST

O

PERFORMER?

PITTORE

O

ILLUSTRATORE?

FOTOGRAFO O COREOGRAFO? ROBIN RHODE SI RACCONTA

B Y FA U S T O C O L O M B O

Robin Rhode, winner of Zurich Art Prize 2018 Courtesy the artist.

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Robin Rhode, exhibition view Museum Haus Konstruktiv, 2018. Courtesy the artist and kamel mennour, Paris / London. © Photo: Museum Haus Konstruktiv (Stefan Altenburger)

Robin Rhode è capace di creare con strumenti semplici e versatili disegni straordinari sui muri che accompagnano il nostro quotidiano. Il risultato? Uno spettacolo immaginifico che coinvolge l’intera sfera sensoriale. Insignito del prestigioso Zurich Art Prize 2019, lo abbiamo incontrato in occasione di “a plan of the soul”, la mostra che il Museo Haus Konstruktiv di Zurigo gli ha dedicato. Un’occasione unica per approfondire la visione di una pratica artistica che sperimenta con intelligenza e umorismo le osservazioni quotidiane, le dichiarazioni politiche, i desideri e i riferimenti alla storia dell’arte, attraverso gesti che a volte rasentano la comicità. Qual è stata la tua reazione alla vittoria del prestigioso Zurich Art Prize di quest’anno? Naturalmente sono stato molto contento e lusingato. Se penso agli artisti che nel corso degli ultimi anni mi hanno preceduto, come Marguerite Humeau e Tino Seghal, o ancora Carstzen Nicolai e Latifa Echakhch, il significato di questo premio assume un valore che va oltre il semplice riconoscimento artistico. Lo considero un

po’ anche come un’ancora di salvezza per la mia carriera, che mi ha permesso di allestire una mostra in uno spazio istituzionale come l’Haus Konstruktiv. Un’occasione non solo per cementare in qualche modo il corpus di queste opere che ho sviluppato nel contesto del museo dedicato all’arte concreta, costruttiva e concettuale di Zurigo ma anche per consolidare la mia presenza all’interno della scena artistica di questa città. Ogni singolo pezzo esposto è stato realizzato per questa specifica occasione; nove mesi di assiduo lavoro hanno partorito l’esposizione “a plan of the soul”. Puoi spiegarci il significato di questo titolo? È una frase tratta dal saggio “A Room of One’s Own”, che Virginia Woolf scrisse nel 1929, in cui spiegava come la creatività può svilupparsi solo in maniera androgina, dove le parti maschili e femminili dell’anima si fondono armoniosamente. Una miscela che ho declinato nelle due figure scultoree collocate al piano terreno del museo: sono due compassi alti quanto una persona e differiscono solo per le dimensioni, assumendo così una figura maschile


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Le tue opere mostrano una gestione intelligente e giocosa dei motivi costruttivi: che cosa significa per te l’arte costruttiva? Il costruttivismo inizia con l’idea della “singolarità”. Si concentra sulla matita, e solo su quella, per generare un discorso. Face of Trees, con cui ho ricoperto un’intera parete del museo ne è un tipico esempio. Sono 150 fogli di carta bianca su cui ho disegnato, singolarmente, numerose linee avvolgenti che ricordano una rete di radici; collegando il pavimento al soffitto formano uno sfondo apparentemente organico. Il disegno qui non si limita a essere un supporto per l’immagine ma è una tecnica che utilizzo per innescare un processo performativo, sia che venga narrato in uno spazio pubblico all’aperto che fra le partei

di un museo. Altri oggetti e utensili che ho a portata di mano subentrano in una fase successiva nel momento in cui desidero sviluppare una narrazione concettuale. In futuro è mia intenzione espandere questo concetto e coinvolgere simultaneamente altre persone. Come è iniziato il tuo percorso d’artista? Sin da bambino ero ossessionato dal disegno, passando ore a colorare libri. Ora sono passato ai muri e alle pareti, per cui nulla è veramente cambiato dalla mia infanzia. Solo i disegni sono diventati più grandi e complessi. La mia ossessione per il disegno e la mia immaginazione non ha lasciato ai miei genitori altra scelta se non quella di iscrivermi alla scuola d’arte. Non è stato facile in un contesto come quello di Johannesburg e le difficoltà incontrate sono state molte. Dal riconoscimento da parte dei miei professori al dover affrontare la libertà di poter stare in un ambiente scolastico ed esplorare quotidianamente e in completa libertà l’arte del disegno in un contesto come quello della scuola pubblica. Ci sono state molte sfide e molte ancora mi attendono in termini di traiettoria artistica. Il tuo lavoro ha origine sui muri delle

strade di Johannesburg. Ti senti a tuo agio a essere etichettato come uno “street artist”? Devo ammettere d’aver adottato alcuni processi della street art, come la mentalità che caratterizza un’artista “da strada”. Ma poiché il risultato finale dei miei interventi sulla strada è fotografato per poi essere esposto sui muri di una galleria o di un museo non mi considero uno “street artist” in quanto tale. L’intenzione dell’artista di strada è di permettere che il loro risultato finale esista su un muro all’interno della sfera pubblica. Il mio obiettivo ultimo è quello di permettere alla mia interazione con la strada di continuare a esistere in un altro contesto. Quindi mi considero più come un artista impegnato nella definizione di cosa sia la strada esplorandola come concetto. Ciò che mi ha portato alla strada è stata l’idea di permettere a un pubblico senza pretese di accedere a una pratica artistica contemporanea. Mi sono sentito radicale nel contesto dell’arte sudafricana. Credo nell’effimero dell’opera a muro e che qualsiasi cosa io crei deve scomparire, deve essere distrutta. La performance con cui hai inaugurato l’apertura della mostra a Zurigo richiama i tuoi inizi artistici. Sul muro hai disegnato utilizzando parti di

Robin Rhode, exhibition view Museum Haus Konstruktiv, 2018. Courtesy the artist and kamel mennour, Paris / London. © Photo: Museum Haus Konstruktiv (Stefan Altenburger).

e una figura femminile. Questi strumenti per il disegno all’apparenza risultano innocui ma, attrezzati di sensori, iniziano a girare su se stessi nel momento in cui il visitatore si avvicina a essi, dettandone la velocità e diventando inconsapevolmente coreografo dei loro movimenti. Un altro esempio di fusione armoniosa sono le due biciclette, una da donna e l’altra da uomo, che ho incastrato l’una nell’altra dipingendole poi di vernice nera per ottenere infine un singolo oggetto.


43 Robin Rhode, Delta, 2018 C-Print, 4 parts. Courtesy the artist and kamel mennour, Paris / London.

un’automobile legati insieme da una corda. Dopo questo atto spettacolare, rimangono i magistrali disegni sulla parete, così come gli strumenti impiegati appesi al soffitto. Cosa c’è di interessante nel compiere questi atti in musei d’arte affermati? Penso che questi spazi istituzionali abbiano bisogno di più ribellione. Si tratta di semplicei ma incisivi atti espressi in un arco di tempo molto breve. Lascio sì le “prove” alle mie spalle, ma come artista io rimango libero. E dopo essere “scappato” il pubblico non sa se me ne sono andato per davvero o se sto per tornare, quindi non sanno con certezza se applaudire o meno. Il vero protagonista è in definitiva il muro, di cui sono particolarmente attratto. Ne ho disegnati a Berlino, Johannesburg, New York, Città del Messico. Non importa il luogo, perché il principio è lo stesso. Non sto dando al pubblico la possibilità di stabilire dove si trova il pezzo, ma l’occasione di passare attraverso di me nell’azione. Non sto cercando di radicare il muro nella geografia. Il muro è puramente un simbolo. Hai un “muro del desiderio” su cui vorresti disegnare?

Veramente ce ne sarebbero un paio. Ma si tratta di muri particolarmente controversi che per ora preferisco non nominare. Ma chissà, in futuro potrei sorprendere tutti... Come mai hai deciso di trasferirti a Berlino? Per amore, semplicemente. Mi sono innamorato e con la mia ragazza ho costruito una famiglia. Questo trasferimento ha influenzato anche il mio subconscio d’artista. Risiedere in Germania mi permette di avere molto più tempo per prepararmi, per fare ricerche più approfondite, per assimilare nuove idee, per elaborare un linguaggio visivo differente, prima d’intraprendere un nuovo progetto. Ormai risiedo a Berlino da più di 15 anni e questa distanza spazio-temporale aiuta a osservare la complessa realtà sudafricana in maniera più articolata. Non ho trovato nessun social media a te affiliato. Non pensi che Instagram, giusto per fare un esempio, possa essere un canale ideale per veicolare i tuoi disegni e raggiungere un nuovo pubblico? Questo è proprio il motivo per cui non sono interessato al loro utilizzo. Alla mera

distribuzione sui social media preferisco osservare le modalità con cui persone a me sconosciute utilizzano il mio lavoro. Essenzialmente mi considero un voyeur degli effetti che i miei disegni provocano sui fruitori di queste piattaforme. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Sono sempre più interessato all Realtà Virtuale, mi piacerebbe creare qualcosa in questo contesto digitale ma non per essere visto indossando questi caschi sugli occhi ma piuttosto estrapolare il lavoro concepito all’interno di questo mondo e trasformarlo in una scultura nel mondo reale. Robin Rhode espone anche in queste mostre: “La strada. Dove si crea il mondo” MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo Via Guido Reni 4A 00196 Roma Fino al 28 aprile 2019 “Paris-Londes: Music Migrations” Musée de l’histoire de l’immigration Palais de la Porte Dorée 293, avenue Daumesnil 75012 Paris Fino al 5 gennaio 2020

Si ringrazia per la collaborazione: Flurina Ribli, Sabine Schaschl e Christopher Hux


TA L E N T S

HYÈRES FESTIVAL 44

ANNUNCIATI I FINALISTI DELL A 34ESIMA EDIZIONE D E L L’

INTERNATIONAL

F E S T I VA L

OF

FASHION

AND

PHOTOGRAPHY DELL A COSTA AZZURRA . IL RENDEZVOUS ANNUALE C HE SI CONFERMA COME SCOUTER D E L L A N U OVA AVA N G UA R D I A D E L FA S H I O N

BY A L E S SA N D R A FA N A R I

Tsung-Chien Tang - Taïwan / Taiwan Collection Homme / Menswear © Tsung-Chien Tang


Elsa & Johanna - France Their type of thing “Beyond the Shadows” 2018-2019

Afrique du Sud / South Africa Wakiesha Titus and Riley Van Harte, Atlantis, Cape Town, South Africa “Drummies” 2018

Jean-Pierre Blanc e Pascale Mussard (Hermès), rispettivamente fondatore-direttore e presidente del Festival International de la Mode et de la Photographie de Mode de Hyères, presenteranno il 25 aprile prossimo, le novità e i protagonisti di questa edizione. Per quattro giorni, la Villa Noailles, riconosciuta ormai come Centre d’Art d’intérêt national, riunirà professionisti del settore e giovani talenti, in uno spirito di convivialità che esplora la pluralità delle filiere e che facilita lo scambio di conoscenze tra i mestieri della moda. Per i giovani creatori è uno degli appuntamenti più attesi, qui si giocano l’oppurtunità di lanciare il proprio nome in un settore sempre più competitivo. Il ruolo del Festival nello svelare nuovi talenti si conferma d’altronde ogni anno. L’ultimo esempio? La nomina di Rushemy Botter & Lisi Herrebrugh, vincitori della scorsa edizione, alla direzione artistica di Nina Ricci.

Chine-États-Unis / China-USA Constallations (VIII) “I’m Only Here to Leave” 2017

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Irlande / Irland - Vita I - “Making Strange” - 2018

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Lucille Thievre - France - Collection Femme / Womenswear © Louise Desnos

Christoph Rumpf - Autrice / Austria Collection Homme / Menswear © Chrisotph Rumpf

Parallelamente al concorso - orchestrato, per l’edizione 2019, da Natacha Ramasay-Levi per la moda, da Craig McDean per la fotografia e da Charlotte Chesnais per gli accessori - il Festival presenta, negli spazi della villa costruita negli anni Venti da Robert Mallet-Stevens, numerose esposizioni evidenziando la permeabilità tra arte, fotografia, moda e design. Fra le novità di questa edizione il Prix des Métiers d’art Chanel. Partner del Festival dal 2014, la maison Chanel rafforza ulteriormente il suo sostegno con un premio che ricompensa la migliore collaborazione tra i 10 finalisti del Festival e i 10 Metiers d’Art di Chanel.


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Enikova Dita - Lettonie Collection Femme / Womenswear © Leva Mezule Emilia Kuurila - Finlande / Finland Collection Homme / Menswear © Sofia Okkonen

Milla Lintilä - Finlande / Finland Collection Femme / Womenswear © Ernest Protasiewicz


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Tetsuya Doi, Youta Anazawa & Manami Toda Japon Collection Femme / Womenswear © Tetsuya Doi

Yana Monk Russie / Russia Collection Homme / Menswear © Yana Monk

Anno dopo anno, il festival attira un pubblico sempre più numeroso, riunendo creatori, industriali, direttori d’importanti istituzioni museali, agenti, galleristi, giornalisti, federazioni e ormai anche scuole di moda. Dalla scorsa edizione l’Istituto Marangoni Parigi Fashion School si è unita alla partnership. Un’iniziativa che esprime i valori di una scuola, sempre più internazionale e cosmpolita, che orienta la sua pedagogia sulla ricerca come pratica. Un partenariato che iscrive l’Istituto Marangoni Paris sul terreno dello scambio, creando per i suoi studenti contesti e dinamiche stimolanti, perfettamente adeguate alla vitalità della moda di oggi.


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INTERVIEW

DOUBLE

DAL PRIMO PASSO SULLA LUNA ALLA TRAGEDIA DELLO TSUNAMI. UNENDO GUSTO ESTETICO ED ESTRO ARTIGIANO JOJAKIM CORTIS & ADRIAN SONDEREGGER RICOSTRUISCONO IN 3D LE FOTOGRAFIE ICONICHE DELLA NOSTRA STORIA. IL C/O DI BERLINO DEDICA ALLE LORO IMMAGINI UNA MOSTRA AFFASCINANTE CHE INVITA A RIFLETTERE SULLA FRAGILITÀ, ARBITRARIETÀ E MANIPOLABILITÀ DELLA FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA B Y FA U S T O C O L O M B O

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TAKE Costruzione, decostruzione, ricostruzione. I fotografi zurighesi Jojakim Cortis & Adrian Sonderegger hanno lavorato per cinque anni a un progetto che brilla per originalità e che ha il pregio di risvegliare la curiosità dello spettatore. “Double Take” è un seducente gioco di foto iconiche della storia internazionale della fotografia. Immagini impresse nella memoria collettiva vengono riprodotte come modelli tridimensionali attraverso uno scrupoloso lavoro di bricolage fatto di cartone, sabbia, legno, stoffa, ovatta, gesso e colla. I due artisti fotografano le loro costruzioni in modo da dar vita a un quadro che si avvicina in maniera stupefacente alla scena reale originaria. Un’illusione regolarmente interrotta da spiritosi intarsi incastonati nelle foto che rimandano alla situazione in atelier con tracce sparse testimonianti la costruzione delle scene. In un periodo in cui la parola “post-fattuale” è sulla bocca di tutti, la mostra “Double Take”, inaugurata nei prestigiosi spazi del C/O Berlin Foundation, sfida a verificare la verosimiglianza della fotografia. Abbiamo incontrato il dinamico duo nel loro studio vicino a Zurigo, un magico luogo spazio-temporale.


ALL PHOTOS COURTESY JOJAKIM CORTIS & ADRIAN SONDEREGGER

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Making of “Tsunami” (di un turista sconosciuto, 2004), 2015 © Jojakim Cortis e Adrian Sonderegger


Come è nata l’idea di ricreare fotografie iconiche? Adrian Sonderegger: Era l’estate del 2012. Un periodo non prolifico d’offerte lavorative. Seduti nel nostro atelier abbiamo iniziato a immaginare di fare qualcosa per noi stessi. Così per scherzo è nata l’idea di riprodurre le fotografie più costose della storia. Cercando su Internet ci siamo imbattuti in “Reihn II” di Adreas Gursky, venduta all’asta l’anno prima per l’incredibile somma di 4.3 milioni di dollari. Abbiamo deciso di ricreare un modello tridimensionale di quell’immagine per poi, a lavoro ultimato, fargli una fotografia. Il giorno dopo ne abbiamo scattata una seconda, questa volta da una distanza maggiore affinché nell’inquadratura fossero visibili l’ambiente circostante e gli strumenti utilizzati durante il making of, ottenendo un risultato decisamente più interessante. Le altre due fotografie più costose della storia sono state realizzate da Cindy Sherman, ma i suoi soggetti umani fotografati così da vicino erano troppo complicati da riprodurre in tre dimensioni. Per cui abbiamo corretto il tiro indirizzando il nostro progetto verso le foto iconiche. Sfogliando libri dedicati alla storia della fotografia alla ricerca delle immagini più conosciute e famose, abbiamo trovato il nostro secondo soggetto: “La Cour du Domaine du Gras” di Joseph Nicéphore Niépce che, datata 1826, è a tutti gli effetti la prima immagine fotografica scattata nella storia.

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Cosa rende una foto “iconica”? Jojakim Cortis: Quando viene ripetutamente visualizzata. Un esempio concreto è il disastro dell’Hindenburg. Grazie alle nuove tecnologie del tempo, fu una delle prime immagini a essere trasmessa dagli Stati Uniti all’Europa, accrescendo in tal modo la sua popolarità. Quella fotografia venne proiettata nelle sale cinematografiche durante i cinegionali, imprimendosi indelebilmente nella mente degli spettatori. Spesso una foto iconica coincide con un cambiamento: quel disastro fu la fine dell’uso dei dirigibili, mentre l’incidente occorso al Concorde ha segnato quella del volo supersonico. Non so se al giorno d’oggi esistano immagini che possano ancora definirsi iconiche. Per realizzare ad esempio il making of “9/11”, l’attacco alle Torri gemelle di New York del 2001, abbiamo dovuto scegliere una sola fotografia fra le centinaia in circolazione. Non riteniamo sia possibile parlare di foto iconica quando l’evento rappresentato data solo un paio d’anni prima. La fotografia prima di diventare un archetipo necessita di tempo, di una diffusione capillare e di un suo utilizzo da parte di differenti contesti culturali. Il making of “Tsunami”, l’onda anomala che devastò le coste del sud-est asiatico nel 2004, è la fotografia iconica più recente esposta nella mostra “Double Take”. Rappresenta il termine del vostro progetto? AS: No, è solo l’immagine più recente che abbiamo ricreato. Va detto inoltre che sia “Tsunami” che “9/11” non sono letteralmente delle fotografie, ma piuttosto fotogrammi tratti da dei video. Questo media ha il medesimo valore intrinseco di una fotografia e riteniamo assolutamente corretto utilizzarlo per i nostri lavori. Entrambe le immagini sono il simbolo di qualcosa che è successo ed entrambe sono dal punto di vista estetico essenziali. In “Tsunami” sono visibili la piscina, la grande onda, il bel tempo e null’altro. Dal nostro punto di vista è ciò che realmente è accaduto in quel luogo, una vacanza paradisiaca interrotta da un evento molto crudele. Nell’immagine aleggia una certa suspense e riteniamo sia un’ottima fotografia. E da allora nessun’altra immagine è riuscita a catturare il vostro interesse? AS: Abbiamo dato uno sguardo alle immagini più recenti, come quelle relative agli attacchi terroristici, e controlliamo sempre le

Joakim Cortis e Adrian Sonderegger ritratti da Noë Flum

fotografie selezionate annualmente dalla World Press Photo, ma sono immagini che necessitano di anni affinché vengano ripetutamente utilizzate per diventare alla fine un simbolo da tutti riconosciuto. JC: Abbiamo seriamente considerato di ricostruire l’immagine dell’omicidio dell’ambasciatore russo avvenuto in una galleria d’arte a Istanbul. Purtroppo abbiamo dovuto abbandonare il progetto: la fotografia, troppo complicata da modellare, avrebbe richiesto una tempistica di realizzazione che non ci avrebbe consentito di esporla e d’inserirla nella pubblicazione che accompagna la mostra. Come scegliete le fotografie che intendete ricreare? Alcune sembrano essere basate su eventi storici, mentre altre sono ben note per motivi artistici. Quali sono i criteri utilizzati per capire quale particolare immagine abbia i requisiti per un making of? JC: All’inizio del progetto il criterio era molto semplice: l’immagine doveva essere famosa e noi in grado di riprodurla in un modello tridimensionale. Nei nostri primi making of abbiamo evitato di riprodurre fotografie dove apparissero persone. Gli esseri umani sono molto difficili da modellare e non volevamo correre il rischio che il risultato potesse apparire maldestro e scatenare una risata. Con lo sviluppo del progetto ci siamo convinti della necessità di equilibrare i contenuti delle foto: alle catastrofi e agli episodi di guerra abbiamo affiancato soggetti culturali, musicali, sportivi e artistici. Per ottenere le corrette proporzioni e prospettive, come per ricreare il senso di realtà e riconoscibilità dell’immagine originale, realizzate i vostri modelli tridimensionali affidandovi al vostro occhio oppure utilizzate metodi più rigorosi? E quanto tempo impiegate solitamente per realizzarne uno? JC: I primi making of sono stati piuttosto semplici da realizzare. Dalla fotografia originale abbiamo estrapolato una versione digitale che confrontavamo continuamente col modello in costruzione. Ora utilizziamo il computer per generare un’immagine a più livelli che ci consentono di realizzare la versione in 3D. Il tempo richiesto per la produzione dipende dalla complessità della foto stessa. Il making of “Nessie”, che raffigura il mostro di Loch


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Making of “208-N-43888” (di Charles Levy, 1945), 2013 © Jojakim Cortis e Adrian Sonderegger


Ness fotografato nel 1934, ha richiesto circa 3 giorni di lavoro; per altri progetti sono stati necessari alcuni mesi, anche se ovviamente non continuativi. Ci sono aspetti particolari in un making of che sono più impegnativi di altri? Qual è stato quello più difficile da modellare ? JC: Se i soggetti umani sono quelli più ostici da riprodurre, i paesaggi al contrario sono generalmente i più semplici, anche se completamente differenti fra loro. Ovviamente vi sono delle eccezioni: per il making of “Exxon Valdez”, la superpetroliera che nel 1989 s’incagliò in una scogliera del golfo d’Alaska, le chiazze di olio sull’acqua sono state piuttosto complicate da simulare; ma anche per il making of “Moon and Half Dome”, un panorama del parco nazionale di Yosemite scattato da Ansel Adams nel 1960, ha richiesto molto tempo per essere terminato.

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Quest’anno si celebra il 50° anniversario dell’allunaggio. Come si è sviluppato il processo creativo per il making of del primo passo sulla Luna? AS: Dopo aver scartato il risultato poco soddisfacente ottenuto col primo tentativo ci siamo concentrati esclusivamente sull’impronta. Innanzi tutto abbiamo cercato il materiale adatto a ricreare in modo convincente il terreno lunare. Dopo aver testato polvere, sabbia e grano, il cemento si è rivelato la sostanza perfetta da utilizzare. Abbiamo poi creato il modello della suola dello stivale di Edwin Aldrin e imitato il movimento della sua camminata sulla Luna. A causa della soffice consistenza del cemento, sono stati necessari quasi 200 tentativi per ottenere un’impronta convincente. Dopodiché abbiamo modellato la superficie circostante con sabbia al setaccio, aggiungendo delle rocce sufficientemente alte per ottenere le ombre corrette. Terminato il modello lo abbiamo infine “messo in scena” incorniciandolo nell’ambiente del nostro atelier. Quali sono gli aspetti tecnici da considerare per fotografare un modello tridimensionale? Utilizzate particolari effetti per rendere la ricostruzione riconoscibile al pubblico? AS: Conoscere le impostazioni date dal fotografo al suo obiettivo per scattare l’immagine originale, ci permette di riprodurle sulla nostra macchina fotografica, facilitandoci il lavoro. In seguito aggiungiamo le nostre scelte stilistiche come la prospettiva più ampia, necessaria a includere l’ambiente dello studio circostante. Solitamente utilizziamo un grandangolo, ma per il “Black Power Salute” alle Olimpiadi di Città del Messico abbiamo impiegato il teleobiettivo come per la foto originale. Anche l’illuminazione gioca un ruolo importante. Per l’immagine scattata da Ernest Brooks a cinque soldati durante la Prima Guerra Mondiale è stato piuttosto semplice ricreare l’effetto luminoso: abbiamo ritagliato da un cartoncino nero le relative sagome illuminandole poi da dietro. In situazioni particolari utilizziamo ad esempio dispositivi che producono nebbia, per ottenere un effetto sfocato, o lastre di vetro posizionate davanti l’obiettivo, dopo averle spruzzate all’occorrenza con acqua o vernice. Per sottolineare il processo creativo della realtà alternativa avete mai pensato di esporre in una mostra sia la fotografia che il relativo modello in 3D? JC: Sarebbe molto complicato. Questi modelli molto tempo per essere ricreati, inoltre sono troppo fragili da trasportare e velocemente deperibili, non avrebbero una lunga vita in un museo. Abbiamo fatto un’eccezione lo scorso gennaio a Zurigo durante “photo SCHWEIZ 19”, la più grande manifestazione fotografica della Svizzera. Per quell’occasione abbiamo ricreato una grande camera oscura. È stato un esperimento interessante ma sarebbe impensabile proporlo regolarmente.

Le vostre opere sembrano catturare il concetto metafisico di realtà, affiancando l’immagine ricreata alle componenti reali con cui è stata realizzata. Questa interazione sembra essere il comune denominatore dei vostri lavori. Sottolineare il conflitto tra vero e falso è il vostro obiettivo? AS: Questo è esattamente lo scopo finale. Se all’inizio l’intenzione era solamente quella di ricreare un’immagine iconica, fotografandone il modello tridimensionale, abbiamo notato che allargando l’inquadratura il progetto iniziava ad assumere altri significati. Quello che abbiamo aggiunto è ciò che possiamo chiamare realtà e ha un notevole impatto sullo spettatore, che prima osserva la celebre fotografia, riconoscendola immediatamente, poi inizia a notare che quell’immagine non è per nulla reale, scoprendo infine la realtà proprio attraverso la cornice. Nei vostri lavori includete sempre la foto originale da confrontare con l’immagine ricostruita? JC: A volte è presente, a volte no. Solitamente le fotografie originali sono appoggiate da qualche parte nello studio, ma non devono obbligatoriamente apparire nell’inquadratura. Non vogliamo continuamente forzare un confronto tra la nostra ricostruzione e l’originale vero e proprio, piuttosto preferiamo che sia la mente dello spettatore a creare quel collegamento. In che modo le reazioni del pubblico vi hanno influenzati? Avete qualche aneddoto da raccontare nell’aver visto il pubblico interagire con le vostre opere? JC: Le reazioni sono molteplici e differenti fra loro. Vi sono persone che danno un’occhiata veloce alla fotografia e dopo averla riconosciuta passano all’immagine successiva. Per noi è importante che i visitatori di una mostra non gettino solo uno sguardo sfuggente. Altri hanno pensato che, vista la ricostruzione così perfetta, le nostre immagini fossero in realtà gli originali “photoshoppati”. I nostri modelli sono fatti a mano, non sono copie e uno sguardo veloce non permette di realizzare e apprezzare questo aspetto. Solo quando si dedica il tempo necessario a leggere attentamente l’immagine, si individuano suggerimenti e strumenti impiegati nel processo creativo e solo da quel momento si inizia a comprendere come è stata veramente creata l’immagine. Avete già in mente progetti che seguiranno a “Double Take”? JC: Questo è un segreto. Abbiamo appena terminato i preparativi per la mostra al C/O di Berlino, dove oltre alle fotografie esposte il pubblico avrà modo di guardare un video dedicato al “making of” di alcuni dei nostri progetti. Sicuramente “Double Take” continuerà in futuro con una serie di altre mostre. Si ringrazia per la collaborazione: Sascha Renner, Fotostiftung Schweiz e Christopher Hux

Cortis & Sonderegger Double Take Fino al 1° giugno 2019 C/O Berlin Foundation Amerika Haus - Hardenbergstraße 22–24 10623 Berlin Germany www.co-berlin.org


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Making of “9/11” (di Tom Kaminski, 2001), 2013 © Jojakim Cortis e Adrian Sonderegger


INTERVIEW

25 DI QUESTI SCATTI! B Y FA U S T O C O L O M B O

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Anne Collier, aus der Serie Women With Cameras (Anonymous), 2016 © Anne Collier Courtesy of the artist; Anton Kern Gallery, New York; Galerie Neu, Berlin; and The Modern Institute/Toby Webster Ltd., Glasgow.


L A R A P I D I TÀ D E L L’ I N F O R M A Z I O N E E L A P R E S E N Z A O S S E S S I VA D E L L E I M M AG I N I PONGONO NUOVE SFIDE. NON SOLO ALL A FOTOGRAFIA , ACCETTATA COME UNA VERA E P R O P R I A F O R M A D ’A R T E , M A A N C H E AG L I S PA Z I C H E L A E S P O N G O N O . C E N E PA R L A NADINE WIETLISBAC H, DIRETTRICE DEL PRESTIGIOSO FOTOMUSEUM DI ZURIGO IL FOTOMUSEUM WINTERTHUR, rinomato polo fotografico internazionale a pochi minuti di treno da Zurigo, festeggia il suo 25° anniversario. La neo direttrice Nadine Wietlisbach ci spiega perché i musei fotografici sono e continueranno a essere un importante e irrinunciabile forum per la fotografia contemporanea. Sono passati solo pochi mesi dal tuo insediamento alla guida del Fotomuseum che sei subito stata chiamata a gestire un evento come il giro di boa del quarto di secolo. Che sensazioni hai provato? Innanzi tutto è stata un’occasione unica, per me e i miei collaboratori, per viaggiare a ritroso nel tempo, immergendoci nella storia di questo museo. Per sei mesi non abbiamo fatto altro che ricercare e il risultato è stato raccolto nella mostra “25 Jahre! Gemeinsam Geschichte(n) schreiben” (25 anni! Condividere la storia, condividere le storie), con cui abbiamo inteso chiudere un capitolo della storia del Fotomuseum e aprirne uno nuovo. Abbiamo presentato lavori di 51 artisti della nostra collezione, selezionati da 25 amici e colleghi che hanno accompagnato il museo: curatori, artisti, ex dipendenti, membri del consiglio d’amministrazione, ecc. Ognuno di loro ha selezionato una foto o una serie completa, spiegando la sua scelta e il suo personale legame con il Fotomuseum. A queste si aggiungono altri 25 artisti che ho personalmente scelto e che, oltre ai miei eroi personali, includono anche le opere di una generazione più giovane di fotografi... Il percorso espositivo, tutt’ora visibile nella relativa pubblicazione, rappresenta a tutti gli effetti una raccolta di ricordi emozionanti. Che tipo di lavoro comporta l’allestimento di una nuova mostra al Fotomuseum? Attualmente stiamo lavorando a “Colour Mania” che verrà inaugurata nell’autunno 2019 ed è dedicata al colore nella fotografia e nel cinema. Si tratta di un progetto piuttosto complesso in cui è coinvolta anche l’Università di Zurigo. Ci stiamo confrontando su come strutturare il materiale già in nostro possesso, dopodiché svilupperemo l’esposizione e cercheremo idee per gli eventi e le pubblicazioni correlate. È un processo molto dinamico dove molto spesso fasi differenti del progetto devono essere gestite in maniera simultanea. Le mostre esposte al Fotomuseum sono co-prodotte con altre istituzioni o create appositamente per gli spazi di Winterthur? Nell’arco di un anno cerchiamo di installare fino a quattro mostre, da noi stessi ideate e realizzate. Capita che altre istituzioni siano interessate a esporre nei loro spazi i nostri progetti, oppure siamo noi stessi a voler include-

re nel nostro museo lavori visti durante i nostri viaggi. A volte lavoriamo su progetti in collaborazione con artisti e altri musei e organizzazioni. Un esempio concreto è la mostra Photographic di Anne Collier che abbiamo da poco inaugurato e che è stata presentata allo Sprengel Museum di Hannover lo scorso autunno. Il nostro DNA predilige principalmente ruoli d’iniziatore e di collaboratore. Vuoi parlarci di questa vostra nuova esposizione? Sono molto orgogliosa di poter esporre a Winterthur i lavori di Anne Collier, un’artista americana che s’interroga sul mezzo fotografico lavorando con materiali di recupero della cultura popolare. Le sue opere concettuali si basano principalmente su fotografie degli anni Settanta e Ottanta, tratte da riviste, pubblicità, copertine di dischi, illustrazioni di libri e fotografie di film. Fotografando queste immagini stampate e inserendole in nuovi contesti, persegue un’archeologia riflessiva degli usi della fotografia. Con analitica eleganza, la Collier riflette l’immaginario ingannevole che modella la nostra vita quotidiana e, così facendo, rivela la tensione tra il soggetto fotografico e l’atto di fotografare. Ritieni che l’arte fotografica possa essere in qualche modo influenzata, modificata, sviluppata dalle nuove tecnologie a disposizione sia dei fotografi professionisti che di quelli amatoriali? Come museo della fotografia, non ci limitiamo solo a un contesto “consolidato” della fotografia d’arte contemporanea, siamo anche interessati all’impatto che le immagini hanno sulla nostra società e come influenzano la nostra percezione del mondo. Un classico esempio è il modo in cui la fotografia di attualità, stia influenzando il modo in cui percepiamo e trattiamo le questioni politiche, sociali e relazionali. Avendo noi tutti maturato una maggior comprensione della fotografia, sia dal punto di vista tecnico che di risultato d’immagine, stiamo accettando il fatto che tantissime persone possano essere fotografi. La nostra filosofia è quella di presentare al pubblico l’attuale utilizzo del media fotografico e di essere artefici e promotori di un dialogo su queste tematiche, piuttosto che sentirsene sopraffatti. Molti miei colleghi di altre istituzioni affermano che, a causa delle innumerevoli fotografie che vengono create, la sfida per trovare un modo per poter curare questa massa di immagini sia enorme. Concordo, ma al tempo stesso questo ampio spettro di immagini ci permette la libertà di scegliere esattamente ciò che ci interessa. In questo modo possiamo offrire al pubblico una vasta gamma di “punti di partenza” per comprendere ciò che sta accadendo nella fotografia. Non sono preoccupata dai cambiamenti che si susseguono nel campo della

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fotografia: li ritengo invece, sotto molti aspetti, positivi. A dimostrazione di questo, il Fotomuseum ha lanciato nel 2015 uno spazio espositivo sperimentale intitolato SITUATIONS, il cui scopo è proprio quello di confrontarsi con queste realtà e le trasformazioni contemporanee della fotografia.

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Qual è la differenza che distingue il fotografo professionista, o un importante fotografo, dal fotografo amatoriale equipaggiato d’attrezzature costose? È come mettere a confronto qualcuno che sa cucinare e uno chef. Ammetto di essere una buona cuoca e nella mia cucina dispongo di un’ottima attrezzatura, ma mio padre è uno chef. Nel tempo ha coltivato le sue tecniche e le sue ricette, e ciò che riesce a comunicare attraverso la preparazione dei suoi piatti è molto differente da ciò che le mie capacità riescono a trasmettere. Immaginiamo ora di confrontare un fotografo amatoriale dotato di un apparecchio da 4.000 euro e l’artista riconosciuto che scatta foto con il suo iPhone: disporre di attrezzature costose non garantisce di poter ottenere una storia avvincente da raccontare con le fotografie. Che consigli daresti a chi vorrebbe intraprendere una carriera nel campo fotografico? Mi piace questa domanda perché implica l’esistenza di differenti professioni legate alla fotografia. Si può essere un fotografo professionista oppure studiare le arti e lavorare con la fotografia. O ancora assicurarsi con una programmazione appropriata che le arti visive siano presentate nelle scuole. Chi vuole lavorare in questo campo deve essere molto appassionato ma anche molto vigile sulle immagini e l’impatto che hanno al giorno d’oggi. Cosa fa, o cosa può fare, il Fotomuseum per sostenere e incoraggiare i giovani fotografi? Abbiamo creato “Plat(t)form”, un forum annuale organizzato l’ultimo fine settimana di gennaio. È un’importante occasione con una duplice funzione: permette a noi del Fotomuseum di osservare l’ampia gamma di pratiche fotografiche, mentre ai giovani fotografi partecipanti dà la possibilità d’iniziare a stabilire una rete di contatti internazionali che potranno tornare utili in futuro. Rappresenta anche il momento ideale dove i dialoghi sulle opere da loro presentate s’intersecano alle opinioni dei nostri esperti. Invitiamo molti giovani artisti e fotografi a contribuire con i loro lavori a “Plat(t)form”; con un budget dedicato siamo in grado di coprire i costi di viaggio e alloggio dei partecipanti.

Max Pinckers, Supplementing the Pause with a Distraction, from the series The Fourth Wall, 2012 © 2012 Max Pinckers.


Anne Collier, Positive (California), 2016 © Anne Collier; Courtesy of the artist; Anton Kern Gallery, New York; Galerie Neu, Berlin; and The Modern Institute/Toby Webster Ltd., Glasgow.

Anne Collier, aus der Serie Women With Cameras (Anonymous), 2016 © Anne Collier Courtesy of the artist; Anton Kern Gallery, New York; Galerie Neu, Berlin; and The Modern Institute/Toby Webster Ltd., Glasgow.

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ALL PHOTOS COURTERSY FOTOMUSEUM WINTERTHUR (WWW.FOTOMUSEUM.CH)

Anne Collier, Woman Crying #7, aus der Serie Women Crying, 2016 © Anne Collier; Courtesy of the artist; Anton Kern Gallery, New York; Galerie Neu, Berlin; and The Modern Institute/Toby Webster Ltd., Glasgow.

Antje Dorn, from the series 0,0 Total, 1998/1999 © 2018, ProLitteris, Zurich.


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Mark Morrisroe, Untitled [Lynelle], ca. 1985 © Estate of Mark Morrisroe.

Valie Export, Tattoo, 2002 © 2018, ProLitteris, Zurich.

Hal Fischer, Figure 21, from the series Gay Semiotics, 1977 © Hal Fischer.

Anne Collier, Woman Crying #1, aus der Serie Women Crying, 2016 © Anne Collier; Courtesy of the artist; Anton Kern Gallery, New York; Galerie Neu, Berlin; and The Modern Institute/Toby Webster Ltd., Glasgow.


Come può la fotografia digitale definirsi legittimamente “arte” quando, nonostante si disponga di un solo file digitale, questo può essere migliorato, moltiplicato e distribuito all’infinito? Se acquisto un quadro ho fra le mani un oggetto fisico originale e unico a cui è attribuito un determinato valore. Quali sono i criteri per attribuirlo anche a un file digitale? Penso che la nozione di “paternità” sia cambiata drasticamente negli ultimi anni, mettendo in discussione questa idea di “originale”. Il mercato dell’arte ha indubbiamente allargato questo concetto, applicandolo anche all’unicità intrinseca di uno scatto fotografico. Come professionista del settore, l’idea di originalità in un media riproducibile mi lascia perplessa: perché è così importante l’idea che una fotografia sia “originale”? Importante lo è per il mercato, regolato da dinamiche finanziarie che si ripercuotono anche nel nostro lavoro qui al Fotomuseum. Ma siamo anche consapevoli che questo modello dovrà prima o poi cambiare. C’è l’appassionato interessato all’immagine raffigurata e c’è il collezionista che alla stessa fotografia antepone il criterio di opera “originale”. Il mercato ha saputo monetizzare questa distinzione. In un mondo saturo d’immagini, è ancora importante il ruolo dei musei fotografici? Lo è proprio a causa di questa saturazione. Viviamo quasi in simbiosi con le immagini senza però comprenderne appieno il significato. Sono pertanto convinta che le istituzioni fotografiche, come il Fotomuseum, possano fornire uno strumento che aiuti a “vedere meglio” ciò che ci circonda. Potendo scegliere possiamo quindi selezionare e, conseguentemente, creare spazi dedicati a specifiche tematiche. Va detto inoltre che gli ultimi anni sono stati testimoni di un ricambio generazionale, sia nell’arte che nelle istituzioni che la presentano e la promuovono. Ciò ha permesso di porre più domande, di avere dubbi su lavori di fotografi ritenuti sacri e che non potevano sbagliare, di scoprire molti nuovi autori e di rivalutare tutti quei fotografi finora trascurati dall’establishment. Tutto ciò fino a qualche anno fa era impensabile. Quali sono gli obiettivi del Fotomuseum per attrarre più visitatori? Mai come ora le persone possono scegliere fra un’infinità di proposte per trascorrere il proprio, sempre più limitato, tempo libero. Questa è la concorrenza che affrontano oggigiorno moltissimi musei. Noi stiamo cercando di aumentare il numero dei visitatori, ma questo non è l’unico fattore che ha un’influenza sulla nostra programmazione. Sono invece quelli online a crescere, a dimostrazione di quanto sia importante lo spazio

digitale per un museo come il nostro; numeri che ci spronano a investire sempre più energie nel migliorare ulteriormente l’opportunità rappresentata dallo spazio digitale e dal museo online. Stiamo per lanciare anche molti nuovi workshop, soprattutto dedicati a giovani e bambini, riscontrando già entusiasmo dall’annuncio di questi piani. Il nostro obiettivo di diventare un centro di alfabetizzazione mediatica e visiva vuole portare un pubblico nuovo e più giovane che si affianchi a quello attuale e a visitare il museo più volte nel corso dell’anno. In qualità di direttore di un museo, trovi discutibile che il pubblico faccia fotografie alle opere esposte? Cosa determina la decisione se le foto sono permesse o meno in un museo? I visitatori che pubblicano le loro fotografie su Instagram usando il nostro hashtag sono più che benvenuti, indirettamente ci aiutano ad attirare un nuovo pubblico. In ogni caso non c’è un modo per impedire alle persone di scattare fotografie. A volte usare il flash potrebbe danneggiare l’opera artistica, ma i casi sono veramente limitati. Ci insospettiremmo alla presenza di un’attrezzatura fotografica dove palese è lo scopo della riproduzione in alta qualità, a quel punto inizieremmo a fare domande. Come vedi i prossimi 25 anni del Fotomuseum? Tradizionalmente all’arrivo di un nuovo direttore si apre anche un nuovo capitolo per un museo. Quello diretto dal fondatore Urs Stahel è durato più di 20 anni. Ha fatto poi seguito il quadriennio gestito a 4 mani da Duncan Forbes e Thomas Seelig che hanno introdotto i media digitali. Ovviamente non stiamo chiudendo quest’ultimo ciclo, ma piuttosto ne perfezioniamo le idee che l’hanno caratterizzato. Per la prima volta nella storia del museo introdurremo la figura dell’amministratore delegato, necessaria per gestire la complessa struttura del Fotomuseum, passato dagli 8 collaboratori iniziali ai 40 attuali, e per farla evolvere affinché sia in grado di affrontare le sfide future in modo ancora più efficiente. Chiudere un capitolo lungo 25 anni è un momento del tutto naturale per celebrare ciò che è stato realizzato e riconoscere ciò che è stato carente affinché si possano fare aggiustamenti per il futuro. Spero di mantenere intatta la struttura del team, di allargare il pubblico e di realizzare i progetti per modificare e ampliare la struttura dell’attuale edificio.

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F CA SI TH IYO N

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INTERVIEW

La nuova guardia della moda NEW GUARDS GROUP A TU PER TU C ON IL SUO FONDATORE CL AUDIO ANTONIOLI

L’I N T U I ZI O NE C O NTE M P O R A NE A , L A VI SI O NE E L’I N AR R ES TABI LE SU C C ESSO D I CL AUD IO

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AN TON I OLI E I S UO I DE S I G NE R DJ . MARC ELO BU R LO N , VI RGI L ABLO H, HERO N PRES TON … E D E C C O O R A A N C HE P E G GY G O U.

C O NT EMP O R ANEI TÀ ALL’ENNESI MA P OT EN ZA , MUS IC A

E L E T T RON I C A , C O LL A BO R A Z I O NI E C O NNESSI O NI DI V I TA E L AVO RO B Y C AT E R I N A L U N G H I

Claudio Antonioli. L’imprenditore di Milano “partner in crime” dei marchi di moda più nuovi e affascinanti di oggi, da County of Milan di Marcelo Burlon a Off-White di Virgil Abloh, Heron Preston… sette marchi in quattro anni e la squadra, chiamata New Guards Group, continua a crescere. Incontriamo Antonioli nel suo omonimo store in via Paoli sui Navigli - perché Antonioli, prima e oltre a essere co-fondatore di New Guards Group, è titolare di tre negozi di abbigliamento tra Milano e Lugano (e di un club). La capacità di intuire la contemporaneità, l’hype all’ennesima potenza che scatena un senso di appartenenza che passa anche dalla musica e la vita notturna; non solo un successo di vendite e community, ma anche un nuovo modello e un’ispirazione di creatività e di business. Dall’inizio, come è nato New Guards Group? Tutto è nato quattro anni fa, con Marcelo Burlon. Conoscevo Marcelo, aveva già la sua collezione Marcelo Burlon County of Milan ma aveva delle problematiche con il produttore. Mi sono allora permesso di presentargli un mio amico, Davide de Giglio (di Vintage 55, ndr) e siamo partiti con la prima società. Marcelo è stato il primo marchio del gruppo, è andato super bene. Dopo un anno ci siamo detti “perché non provare con un secondo marchio?” e da lì, in un meeting con i miei buyer di Antonioli, è venuto fuori il nome di Virgil Abloh, anzi si pensava a Pyrex, il primissimo progetto di Virgil che prendeva capi di altri marchi, come Champion e Ralph Lauren, e ci stampava sopra delle righe, numeri etc.

Come è andata poi? Ho contattato Virgil, che al tempo lavorava per Kanye West e avevo avuto l’occasione di conoscerlo in un progetto con lui. Gli abbiamo proposto un’idea su Pyrex, ma Virgil ha rilanciato proponendo di fare un nuovo marchio da zero. Ha inventato Off-White, che ha avuto subito un grandissimo successo. Poi la crescita con un terzo marchio, un quarto… fino ad arrivare ai sette di oggi, anzi otto con il debutto della collezione della Dj coreana Peggy Gou. Abbiamo poi creato Unravel Project con Ben Taverniti, poi Palm Angels con Francesco Ragazzi, Heron Preston, A_ Plan_ Application di Anna Blessmann e Peter Saville. Peter è uno dei grafici più importanti al mondo. E abbiamo acquisito il 49% di Alanui. Situazioni e mondi tra loro diversi, da Marcelo a Off-White innovativi per un certo concetto, fino ad Alanui e A_Plan_Appplication che è un’altra cosa ancora. Una galoppata senza eguali. Sai, nella vita si cerca di portare avanti le proprie passioni. Fin da ragazzo io ho avuto quella per la moda, e ho sempre fatto questo lavoro con il negozio Antonioli. Delle volte si ottiene successo, delle altre volte meno, ma l’importante è fare le cose sempre con passione e serietà. E la vita e il lavoro sono legate tra loro da una catena di connessioni e situazioni. Stiamo spaziando e ho sempre voglia di fare nuovi progetti.


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Il mestiere tra le mani e l’intuizione di captare i nomi e talenti giusti al momento giusto. Ma sai la mia fortuna è l’esperienza che mi viene da Antonioli; da sempre faccio il buying, io e i miei ragazzi vediamo tutte le collezioni al mondo. Le analizziamo una a una. Ultimamente io viaggio meno per gli impegni a Milano, ma i miei buyer fanno tutte le fashion week, anche quelle meno importanti se vuoi da un lato, ma che in realtà sono le più importanti per la ricerca e l’aggiornamento. Abbiamo accesso a una visibilità di questo mondo a 360°, l’opportunità di vedere alcuni progetti prima che escano sul mercato, perché ci contattano in anteprima per lavorare con Antonioli. E così, grazie a questa grossa fortuna e canali, mi è più facile trovare un designer nuovo o un progetto che possa funzionare.

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Una doppia intuizione, come buyer e come imprenditore. Da una parte la ricerca per i marchi e il prodotto di terzi da inserire nel tuo negozio e dall’altra tu stesso ne crei di nuovi. Con New Guards Group quello che facciamo è partire da zero, non comprare dei marchi, a parte Alanui, ma appunto creare un progetto nuovo insieme ai designer. Siamo arrivati a più di 300 milioni di fatturato l’anno senza mai chiedere un fido, con la cassa che ci ha consentito questa crescita senza usare le banche. È la mia prima esperienza del genere e credo sia un caso abbastanza particolare: arrivare in quattro anni a questo fatturato con dei brand da zero. E il fatto di creare dei brand che stanno funzionando molto bene crea un interesse verso il gruppo sempre più valido. Come funziona New Guards Group? Scopriamo dei desginer e poi creiamo su misura per loro un ufficio stile a Milano: tutto quello che serve per fare in modo che la loro visione possa esprimersi in una collezione. Loro stessi ne curano l’immagine e creano le collezioni con il team interno. Tutti gli uffici stile dei vari marchi sono separati l’uno dall’altro, ogni team lavora in autonomia.


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C’è una “formula” per questo strabiliante successo? Abbiamo colto un’esigenza e un cambio del mondo, un momento. C’è sempre un’evoluzione, non c’è un giusto o sbagliato. Abbiamo colto una possibilità unica in un momento unico, forse irripetibile. Come dicevo prima, sono un po’ quegli incastri di situazioni che non si studiano a tavolino. I designer che abbiamo sono molto bravi a muoversi anche nella comunicazione. Li chiamerei direttori creativi. E un forte senso di appartenenza che passa anche dai club e la vita notturna. La musica elettronica al centro di New Guards Group, in particolare dell’identità e del lavoro di Marcelo, Virgil, Heron e ora il nuovo marchio di Peggy Gou. La vita è sempre legata a delle sensazioni, come la musica, i colori, il cibo… penso sia bello unire un po’ tutto. Io ho i negozi e ho il Volt a Milano (club in via Molino delle Armi, ndr). Per me la musica è parte fondamentale della vita e di un’emozione. La musica elettronica oggi è un mondo che muove migliaia di persone. Per anni non era così dentro la vita della gente, un tempo i cantanti erano le pop star, adesso sono i DJ, che suonano davanti a 15-20 mila persone.

E le collaborazioni che mettete in atto. Penso a Virgil x Nike, a Marcelo con Kappa… È tutta una connection, è bello così. Ai designer vengono delle idee di co-branding. Come Virgil con Nike: è stata un’operazione fantastica, sia di immagine che di fatturato. Al recente lancio della capsule di Marcelo con Eastpak c’era una fila lunghissima. È un mondo molto sentito. Come definiresti County of Milano, Off-White e Heron Preston? Li ho trovati immediati, cool. Hanno la forza di essere capiti subito dal pubblico. Ci sono designer che vengono letti da una minoranza di consumatori, mentre loro hanno la forza di essere apprezzati da una quantità tale di pubblico che aprono opportunità uniche di moda e business. Trovo che siano contemporanei. Non riesco a definirli street o altro, trovo che siano molto attuali. Penso che New Guards Group sia soprattutto un gruppo con idee contemporanee, con varie sfumature, come la musica, in base alla visione dei singoli direttori creativi, ma in tutti loro trovo che ci sia questa contemporaneità, che è fatta di connessioni, immediatezza. Viviamo di queste situazioni e connessioni e New Guards sceglie dei designer che lavorano con questo tipo di concetto. Per finire, tornando all’inizio e a te. Io ho incominciato quando ero un ragazzo, il primo negozio l’ho aperto a 26 anni. Ho sempre avuto una grossa passione. Sono molto felice, vorrei vivere 300 anni per la voglia di fare, ma penso che non ce la farò! Mi si scatenano sempre delle idee nuove in testa.

www.antonioli.eu newguardsgroup.com

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THE SHOW MEN

FA S H I O N

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AVANGUARDIA SINCE 1973

DA CREATURE TRANS-UMANE A FEMME FATALE TRA DIVA E CYBORG. COUTURIER VISIONARIO, REGISTA, FOTOGRAFO E PROFUMIERE. AMANTE DELLA DISMISURA THIERRY MUGLER HA DA SEMPRE SCOMBUSSOLATO LE FILA DELLA CREATIVITÀ CON ESTRO LUNGIMIRANTE. ADESSO IL MONTREAL MUSEUM OF FINE ART (CANADA) GLI DEDICA UNA GRANDE RETROSPETTIVA: “THIERRY MUGLER. COUTURISSIME”


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Helmut Newton, Jerry Hall and Thierry Mugler, Paris, 1996. Photo: Š The Helmut Newton Estate.


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Inez and Vinoodh, Kym; BLVD, 1994. Outfit: Thierry Mugler, Longchamps collection, prêt-à-porter spring/summer 1994. Photo: © Inez & Vinoodh.


A

Paolo Roversi, Audrey Marnay; W, April 1997. Outfit: Thierry Mugler, Les Insectes collection, haute couture spring/summer 1997. Photo: © Paolo Roversi. Helmut Newton, séance de photo pour le catalogue de la collection Lingerie Revisited, Monaco, 1998. Tenue : Thierry Mugler, collection Lingerie Revisited, prêt-à-porter automne-hiver 19981999. Photo : © The Helmut Newton Estate.

guardarlo, Thierry, sembra uno di quegli uomini che non è mai stato incline alle regole, ai comandi canonici e alla banalità:

“QUANDO ERO BAMBINO, NON RIUSCIVO AD ACCETTARE IL MONDO CHE MI CIRCONDAVA. SOGNAVO DI CREARNE UNO DELLA MIA MISURA. UN MONDO TUTTO PER ME...”

Un visionario con molteplici passioni artistiche e una naturale e sfrontata inclinazione per la spettacolarità. Mugler ha sperimentato tutto. Dal balletto allo stilismo. Dalle creazioni d’alta moda al teatro alla fotografia, fino al suo grande amore: l’arte della profumeria, quest’ultima, a differenza della moda, è ancora oggi interamente seguita da lui. Un’avventura iniziata nel 1997 in partnership con il colosso della cosmetica Clarins dove, di lì a poco, sarebbe nata “Angel”, una delle fragranze più vendute al mondo. Nato a Strasburgo nel ’48 a ventuno anni si trasferisce a Parigi, lavora prima come vetrinista poi come designer freelance. Dal suo debutto nel ’73 con la prima collezione Café de Paris al lancio del marchio dopo soli due anni, quello di Thierry Mugler è sempre stato un percorso fatto di contaminazioni creative, tra le sue preferite il design d’interni, il disegno e il cinema che nel corso della sua carriera lo porteranno a collaborare con registi, architetti dal calibro di Andrée Putman per le sue boutique e importanti fotografi come Helmut Newton, Dominique Issermann, Peter Lindbergh, Pierre & Gilles e tantissimi altri.

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Famoso per la sublimazione del corpo femminile, fautore di una moda libera, fatta di tagli futuristici e glamour, sagome scultoree ed eleganti; linee rigorose e spalle da supereroina metafora della donna degli anni Ottanta: sensuale e potente, dove a richiamarne l’essenza in passerella c’era il carisma di Eva Herzigova, Diane Kruger, Dauphine de Jerphanion, come anche la musa italiana Simonetta Gianfelici.

David LaChapelle, Danie Alexander; London Sunday Times, May 1998. Outfit: Thierry Mugler, Jeu de Paume collection, haute couture spring/summer 1998. Photo: © David LaChapelle.

Mugler ha creato abiti indelebili nel decalogo dell’haute couture. Ha insegnato alle donne a sognare e a sfondare i muri della normalità. Ha vestito una galassia di stelle come Diana Ross, David Bowie, Lady Gaga, Liza Minnelli, Diane Dufresne e Céline Dion. Ha anche creato costumi per i tour e i video di Beyoncé. Per sempre iconici i corsetti indossati da Madonna in Blond Ambition World Tour. Come fotografo e regista, ha diretto l’emblematico video degli anni ‘90 “Too Funky” di George Michael, oltre a cortometraggi con protagonisti le attrici Isabelle Huppert e Juliette Binoche. Ha creato i costumi per la messa in scena di Shakespeare’s Macbeth della Comédie-Française e del Festival d’Avignon, e lo spettacolo Zumanity del Cirque du Soleil. E ovviamente, ha messo in scena alcune delle sfilate più spettacolari del suo tempo.

La fonte di ispirazione?

SEMPRE STATO AFFASCINATO “ SONO DALL’ANIMALE PIÙ BELLO DELLA TERRA: L’ESSERE UMANO

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Ecco allora creature trans-umane spuntare da una fervida e singolare immaginazione intrisa di figure esotiche, erotismo e fantascienza. Nessuna stampa, solo color block per caption riprese dal mondo animale e dal noir. Creature pericolose e seducenti imbastite con materiali innovativi per l’alta moda come metallo, pelliccia sintetica, vinile e lattice.

Thierry Mugler: Couturissime Montreal Museum of Fine Arts Fino al 8 settembre 2019

A tutto questo il Montreal Museum of Fine Arts rende omaggio e - con la curatela di Thierry-Maxime Loriot, sotto la direzione di Nathalie Bondil Direttore Generale e Chief Curator del Montreal Museum of Fine Arts, con la collaborazione del gruppo Clarins e Maiosn Mugler - organizza “Thierry Mugler: Couturissime” tracciando l’eccezionale percorso rivoluzionario intrapreso dall’artista francese. Una retrospettiva che riunisce più di 150 items, la maggior parte di questi in mostra per la prima volta, creati tra 1973 e 2014, così come accessori e costumi di scena molti mai visti prima. Poi clip e video, archivio documenti e schizzi. Insieme a cento opere dei più grandi fotografi di moda come Richard Avedon, Guy Bourdin, Goude, LaChapelle, Newton, Herb Ritts.


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FA S H I O N

76 Claudio Antonioli. L’imprenditore di Milano “partner in crime” dei marchi di moda più nuovi e affascinanti di oggi, da County of Milano di Marcelo Burlon a Off-White di Virgil Abloh, Heron Preston… sette marchi in quattro anni e la squadra, chiamata New Guards Group, continua a crescere. Incontriamo Antonioli nel suo omonimo store in via Paoli sui Navigli - perché Antonioli, prima e oltre a essere co-fondatore di New Guards Group, è titolare di tre negozi di abbigliamento tra Milano e Lugano (e di un club). La capacità di intuire la contemporaneità, l’hype all’ennesima potenza che scatena un senso di appartenenza che passa anche dalla musica e la vita notturna; non solo un successo di vendite e community, ma anche un nuovo modello e un’ispirazione di creatività e di business. Dall’inizio, come è nato New Guards Group? Tutto è nato quattro anni fa, con Marcelo Burlon. Conoscevo Marcelo, aveva già la sua collezione Marcelo Burlon County of Milan ma aveva delle problematiche con il produttore. Mi sono allora permesso di presentargli un mio amico, Davide de Giglio (di Vintage 55, ndr) e siamo partiti con la prima società. Marcelo è stato il primo marchio del gruppo, è andato super bene. Dopo un anno ci siamo detti “perché non provare con un secondo marchio?” e da lì, in un meeting con i miei buyer di Antonioli, è venuto fuori il nome di Virgil Abloh, anzi si pensava a Pyrex, il primissimo progetto di Virgil che prendeva capi di altri marchi, come Champion e Ralph Lauren, e ci stampava sopra delle righe, numeri etc. Come è andata poi?


VESTIAMO PA L M A N G E L S , C . P. C O M PA N Y, M A R C E L O B U R L O N C O U N T Y OF

MILAN,

FILA,

PAL

M A R R A S E G I V E N C H Y. INVERNO

ZILERI,

MOOSE

KNUCKLES,

EFISIO

C’È CHI HA DETTO CHE IL PROSSIMO

INDOSSEREMO

SOLO

ARMATURE,

EPPURE

UN

ASSAGGIO LO ABBIAMO GIÀ DA QUESTA STAGIONE. BY A L E S SA N D R O I AC O LU C C I

IDEOLOGIE RACCONTIAMO VISIONI

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La dirompenza delle sottoculture resiste ancora. “Negli anni ‘50 o eri mainstrem o eri James Dean”, ce lo ha detto l’antropologo canadese Grant McCracken. Sebbene oggi sia davvero difficile riuscire ad identificare una contro-cultura, il nostro look non mente: racconta la nostra identità! Post apocalismi, incontri del terzo tipo e pacifici rave. Sentimenti romantici e cultura dell’heritage, insieme ad una nuova visione del workwear. Il guardaroba dell’estate parla linguaggi forti e diversi. Soprattutto parla di uniformi, quelle che vengono dalla strada, dalla gente reale. Una moltitudine semantica fatta di metri e metri di tessuto per raccontare chiaramente chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo arrivare. Linguaggi diretti, limpidi alle nuove generazioni di consumer, sempre più desiderose di indossare pensieri, sensazioni, rappresentazioni... brand identity di se stessi. Pa l m

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R E C OV E RY S TAT E O F M I N D Creature aliene o esseri appena usciti da un rave? Figure ibride che proiettano su di esse il senso dell’esplorazione. A Palm Angels e a Francesco Ragazzi, founder e direttore creativo del marchio, piace analizzare con quel twist di ironia i movimenti culturali americani. Sono tante le risonanze della collezione Spring Summer 2019 di Palm Angels che guardano al mondo della musica elettronica, magari ispirata alla precedente collaborazione con Swedish House Mafia alla Miami Music Week, fino alle divertenti estremizzazioni di un mondo suburbano e contrastante non solo a livello d’ispirazione, ma anche culturale, dando vita a uno street-conceptual che sovverte le regole della sport couture, enfatizzandone e feticizzandone la fatica dell’atto fisico vero e proprio, come magari quello di una sciata in montagna. Un luogo che tra l’altro rimanda ad un’altra estremizzazione, quella delle stampe “bucoliche” che guardando allo Yosemite National Park con aquile che volano e fiori di campo. Anche l’aspetto funzionale è enfatizzato all’estremo tramite l’uso di tessuti hyper tecnici, neoprene e nylon mixati con velluti low-tech e tartan traslucidi. Trasparenze, toppe tridimensionali, applicazioni prismatiche evidenziano uno spirito ad alta performance dal sapore laboratoriale. I Colori sono fluorescenti e rimandano a spruzzi di vernice gettata a mano. Le forme lineari, mentre i volumi prepotenti. Spiccano giacche da lavoro

A n g e l s


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allungate senza maniche, felpe e giacconi squadrati e pantaloni dritti. Ma non finisce qui. Questa nuova collezione targata Palm Angels presenta una collaborazione speciale con Under Armour, celebre produttore di componenti hi-tech che aiutano gli atleti nella performance e nella ripresa‌ è proprio da qui che prende il mood la Palm Angels x Under Armour collection con UA Recovery Technology: recovery, dunque recupero. Dove spuntano felpe con cappuccio, joggers, pantaloncini e t-shirt sviluppati per un approccio alla vita e al partying, semplicemente piĂš easy.


C . P.

C o m p a ny

URBAN PERSPECTIVE Le città l’autenticità delle loro comunità vista attraverso la prospettiva personale di chi le vive, dove scenari e panorami urbani assumono una narrativa unica. Sono questi gli ingredienti che ispirano il nuovo progetto C.P. Company. Un atto d’amore, un gesto… una lettera, dedicata a quei posti frenetici e travolgenti che chiamiamo “casa”. Luoghi dell’anima da far scoprire in ogni loro aspetto a chi le città le vive solo

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dall’esterno. Omaggio malinconico al loro vero essere che spesso sappiamo apprezzare solo una volta che siamo andati via. Con questa atmosfera il marchio fondato nel ’71 da Massimo Osti aggiunge un nuovo capitolo al progetto “Eyes on The City” con “Una lettera d’amore a Dublino”, una campagna e un cortometraggio che vedono protagonista il musicista irlandese Rejjie Snow ritratto e ripreso per le strade della sua città natale con indosso i pezzi più iconici di C.P. Company realizzati per la collezione Spring Summer 2019. Ad accompagnare Snow volti, canzoni e spaccati di vita reale. La collezione C.P. Company è una reinterpretazione contemporanea dell’iconica e originale palette di colori classici del brand, dai grigi caldi al kaki, dal verde militare al blu marino, sviluppati per la prima volta negli anni Ottanta per riflettere il rinnovato ruolo dell’abbigliamento sportivo e militare nelle sottoculture urbane europee. Una concezione ancora attuale e specchio di una nuova generazione “contro”.

Un nuovo capitolo di Eyes on The City di C.P. Company, insieme a Rejjie Snow e il suo atto d’amore verso Dublino


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Ma r c e l o

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C o u n t y

o f

M i l a n

MANI IN ALTO! VERSO L’IGNOTO. UN SENTIMENTO INDUSTRIALE. UNA POSIZIONE PRAGMATISTA. “

B u r l o n


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MADAME & SIR, RETRO-FUTURISMO I N PA S S E R E L L A Si ispira alla corrente artistica contemporanea dell’immaginare il futuro in un tempo passato. Un viaggio allucinogeno dell’età spaziale in un contesto metropolitano reale: Marcelo Burlon County of Milan esplora l’artificiale e la società post attacco. I capi della collezione estiva del marchio interpretano il retro-futurismo. Umani trans-alieni usciti da un’arca galattica accompagnati dalla mano fervida di Steven Spielberg per approdare sulla terra con un guardaroba che riscopre gli abiti da lavoro, adattati per incontri ravvicinati del terzo tipo. Sembra solo un caso ma non lo è, visto che il brand acquisisce i diritti d’immagine del film e ne crea una collaborazione, ma non solo col regista e la sua celebre pellicola del 1977. Burlon collabora anche con Linda Farrow per gli occhiali in stile Matrix e con Eastpak per gli zaini ispirati a quelli della NASA.

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Parka, felpe con cappuccio segmentate, camici da laboratorio; camicie a righe, bermuda e dad jeans; crop tops e mantelle. Nella collezione sono centrali le tasche, ne spiccano in abbondanza come anche le grafiche farmaceutiche. Non mancano pvc, tessuti da paracadute, spandex, spalmature bicolore, rete. Tanti anche i richiami laser di navicelle spaziali in sommossa durante una battaglia interstellare. Ecco fare la loro comparsa il rosa, il giallo e il blu nelle loro varianti fluorescenti di impronta eighties.


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F I L A

LA POTENZA E V O C A T I VA D E L L’ H E R I T A G E Per FILA la chiave di volta sta nella ricerca semantica. Proprio la ricerca è il punto di partenza che ha ispirato Antonino Ingrasciotta e Josef Graesel (i direttori creativi del marchio), per il primo fashion show del brand fondato in Italia, a Biella, nel 1911. Una collezione pura che lascia respirare un autentico spirito sportswear ma riletto con un linguaggio estetico nuovo. FILA si trova a fondere sport e fashion legandoli ai momenti clou della sua storia.

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Per farlo Ingrasciotta e Graesel si sono tuffati nell’archivio tirando fuori i materiali e i dettagli tecnici in grado di rispondere a precise esigenze di performance, trasformandoli nella materia costitutiva di una nuova concezione urbana. Ecco allora che il plissé tipico delle “gonnelline” da tennis, si ritrova nella gonna lunga in chiffon che gioca con le proporzioni e si abbina di volta in volta alla felpa pettinata, al lycra di un body asimmetrico o al capo spalla tecnico in tela vela. Anche i tipici check delle polo maschili dei campi di Wimbledon diventano un pattern chiave, percorrendo tailoring e outerwear in un gioco di sovrapposizioni e accostamenti. Immancabili le palette Blu, Bianco e Rosso che da sempre sono lo statement del Dna di FILA. Presenti i modelli di sneakers heritage più apprezzati, la storica T-one, la Venom, la Euro Jogger sono rieditati per diventare il completamento ideale del total look FILA SS19, dove la Disruptor, è proposta in versione boot in flight knit.


Pa l

Z i l e r i

T R AT TATO D E L VA N I T A S CONTEMPORANEO La vanità… una caratteristica, un sentimento, un’attitudine. Un termine che riconduce a tante e tante manifestazioni del senso di bellezza celebrata dal mondo artistico. Uno tra i più celebri autori inglesi come William Makepeace Thackeray ne ha fatto un romanzo: Vanity Fair: A novel without a Hero. Chi invece non conosce Narciso, mito greco che ne incarna l’essenza, condannato ad innamorarsi della sua stessa immagine. Pittori dal calibro di Caravaggio ne hanno catturato la nefasta meraviglia. Oggi cos’è la vanità se non Instagram? Vogliamo essere amati dai Follower e vogliamo che qualcuno ci sussurri piacevolmente quanto siamo belli, vogliamo i like! La vanità di per sé ha sempre avuto una duplice anima da un lato superbia dall’altro coscienza. Ora, Rocco Iannone, il direttore creativo Pal Zileri, definisce con seno di “autodeterminazione” il concetto di Vanità, riportandola ad un significato originario di “consapevolezza”. Il suo è un uomo bohemien, romantico e poetico che sovrappone texture e colori pittorici: “l’invito è a scomparire apparendo, per infrangere le costrizioni della vanitas contemporanea”. Come afferma Iannone: «Frantumo lo specchio di Narciso, mettendolo al centro di un chiostro per suggerire un diverso punto di vista e un percorso che privilegia, come fanno i monaci, il dialogo e la ricerca interiori. Il mio è un invito a semplificare e ridimensionare […] La collezione uomo Pal Zileri Primavera Estate 2019 è un mix orchestrato di superfici, trame, motivi e materie: la lucentezza della seta si alterna alla porosità del lino, i disegni floreali ai madras prodotti da disegni originali dell’Ottocento. […] Amo partire dal plurale per raggiungere sintesi e chiarezza, senza rinunciare alla forza cangiante della molteplicità. Come in un profumo, nel quale la nota dominante siede su una armonia di innumerevoli ingredienti.»

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M o o s e

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L A GAN G DI MONTREAL E LO URBAN STREET DA PAU R A I ruggenti anni Sessanta, le sue forme d’arte, le sue avanguardie, le sue sub-culture. Terreno fertile per una classe di sognatori erranti che nella disobbedienza impostavano la strada di nuovi stili. La collezione estiva di Moose Knuckles si rifà all’epoca dell’Esposizione Universale del 1967 a Montreal, e al movimento culturale dei “Lo Life” fondato venticinque anni fa a Brooklyn. Da un lato la città in cui il brand ha mosso i primi passi verso una delle fasi artistiche più prolifiche della storia canadese, i suoi manifesti e le sue grafiche erano così accattivanti tanto da conquistare la futuristica moda americana. Dall’altro lato New York e la sua sottocultura che andava a plasmare un’idea di sportswear nordamericano totalmente moderno… era la volta di Ralph Lauren, le sue polo, indossate dalla classe “pettinata”, diventarono l’ossessione e il simbolo di un movimento promosso da un improbabile gruppo di ragazzi di Brooklyn, chiamati Lo Life, uniti da un’unica passione: comprare e indossare quante più Polo possibili, spesso rubandole. Traendo ispirazione proprio dai Lo Life, Steph Hoff, il Direttore Creativo di Moose Knuckles, ha

K n u c k l e s

immaginato una gang canadese, i Knuckles Heads, una banda di delinquenti uniti dalla missione di promuovere Moose Knuckles a tutti i costi, quasi terrorizzando Montreal. Non appena la collezione di Moose Knuckles arriva negli store canadesi, i capi sportswear più cool vengono rubati dal gruppo di ragazzi. Con la P/E 2019 Moose Knuckles si distacca da quello che è il mondo dell’outdoor e ripensa ad un’evoluzione del percorso stilistico con capi d’ispirazione varsity, giacche leggere in wellon ipoallergenico e tute sportive dai colori accesi con bande laterali e lettering ricamato con le scritte “Montreal” o “Moose Knuckles”. Tra le novità uomo e donna di quest’anno spiccano il bomber nella duplice versione short o oversize. Le tinte intense come Sophomore Yellow, Academic Green, Varsity Maroon, Team Blue, Track Red. Non manca la versione policroma del camouflage, ispirato ai paesaggi naturali del Canada e alle divise della Royal Canadian Mounted Police. Per una collezione così il logo è la parte centrale, viene dunque proposto in quattro diverse varianti: la prima rende omaggio all’emittente nazionale canadese CBC, attraverso una reinterpretazione del noto logo disegnato da Burton Kramer; la seconda celebra il museo Biosphere di Montreal, racchiudendo l’impronta dell’alce nella riproduzione grafica della cupola reticolare costruita per l’Expo del ’67; una terza versione del logo rappresenta uno dei simboli nazionali del Canada, una foglia d’acero stilizzata. Infine la quarta variante – mini e bicolor – è disponibile sulle polo piqué, altra novità della collezione.


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E f i s i o

Ma r r a s

SARTORIAL PUNK Capelli spettinati, tratti spigolosi e uno stile tremendamente punk l’hanno reso un’icona non solo della musica ma di un’intera epoca… Sid Vicous, il bassista e cantante britannico membro dei Sex Pistols, ispira Efisio Marras che, con una visione “out of the box”, realizza una capsule collection con L.B.M.1911.

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Eccentrico con quell’appeal da bello e dannato, sinonimo del moderno concetto di genio e sregolatezza, ha accattivato tutti dal suo debutto come direttore creativo di I’M Isola Marras insieme a show e performances in cui c’è sempre una storia da raccontare e interpretare. Stavolta il giovane di Alghero uscito per un attimo dall’atelier familiare per una piccola ma intensa sosta a Mantova, a casa Lubiam, la storica azienda italiana del menswear, oggi alla quarta generazione, per la quale si è trovato a realizzare una capsule collection coniugando a modo suo lo stile sartoriale ad una visione punk del guardaroba classico. Il progetto creativo si focalizza su una serie di pezzi forti e iconici, dove i protagonisti assoluti sono i capispalla. “Le proposte di look sono quelle che immagino sui millennials ormai quasi trentenni che affrontano giornate lavorative, riunioni e appuntamenti ma che vogliono conservare il proprio animo punk”. - spiega Efisio Marras – “Ispirazione della capsule è il mitico bassista dei Sex Pistols Sid Vicious immaginato in un contesto odierno. I modelli si ispirano ai chiodi di pelle e ai bomber, i fit sono super skinny ed i tessuti un mix tra tartan scozzesi e velluto da lavoro dell’isola natia”.

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L . B . M .1911


G i ve n c hy

G i ve n c hy

TAG , TAG , TAG Si pronuncia come la celebre chiocciolina per menzionare qualcuno su Instagram, ma si indossa. Di cosa si tratta? Dei nuovi accessori uomo di Givenchy lanciati durante la sfilata Primavera/Estate 2019 e ora disponibili sia online che in negozio. Accessori dall’animo sobrio e casual ma allo stesso tempo moderni, nelle versioni in pelle bianca o nera con logo a contrasto. Della nuova linea TAG un pezzo in particolare rappresenta l’accessorio dell’universo maschile per eccellenza: lo zaino che, grazie alla sua comoda praticità, può essere indossato indistintamente nel quotidiano per look casual come anche nei weekend fuori porta. Presentato con una grande scritta “GIVENCHY” dalle lettere a contrasto che sottolineano la linea pulita della borsa, e quattro borchie che incorniciano una targhetta più piccola con la scritta ‘Givenchy Paris’. A completare la collezione altri modelli audaci come l’ampio marsupio concepito per essere indossato in vita, a tracolla o portato a mano e una tracolla per l’ufficio, con un manico integrato nella parte inferiore che offre la pratica opzione di portare la borsa a mano.

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A form of

Photographer Umberto Gorra Stylist Angelina Lepper Stylist’s assistent Jessica Mariuz, Maya Pallara, Laura Salerno Grooming Ricky Morandin Model Randy Gowon @ I love Models Milan

melancholy


Shirt, jacket and pants ISABEL BENENATO


Shirt MISSONI jacket TAGLIATORE trousers TELA GENOVA hat ATOME


Jacket, trousers BRUNELLO CUCINELLI shirt ICEPLAY hat MONTEGALLO


Jacket and foulard ATELIER DE SANTIS top DRUMOHR pants ENTRE AMIS


Shirt ALESSANDRO GHERARDI jacket TAGLIATORE trousers ATELIER DE SANTIS

Polo and cardigan DRUMOHR trousers BERWICH hat MONTEGALLO bracelets LUCIA VITIELLO


Shirt PENCE 1979 jacket MISSONI trousers ENTRE AMIS hat ATOME socks BORGHI UOMO shoes SANTONI


Jacket, gilet and trousers ATELIER DE SANTIS shoes GIUSEPPE ZANOTTI bracelets BREIL glasses ZARA


Jacket PAOLO PECORA gilet DRUMOHR shirt ISABEL BENENATO trousers BERWICH hat MONTEGALLO


Sweater and trousers MISSONI polo DRUMOHR shoes GIUSEPPE ZANOTTI glasses MOSCOT


Jacket and trousers BRUNELLO CUCINELLI shirt ICEPLAY hat MONTEGALLO shoes GIUSEPPE ZANOTTI socks PEROFIL


Jacket MISSONI shirt PENCE 1979 hat ATOME

Jacket AVANT TOI shirt ICEPLAY pants TELA GENOVA


FA S H I O N

FLASHY RUN, RUN, RUN. IL PASSO GIUSTO LO FAI CON SISLEY

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ASPETTO MAXI, RICC HE DI C OLORE E SILHOUETTE GRINTOSA , SONO LE NUOVE SNEAKERS SISLEY

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Ispirate all’athleisure e al pop, Sisley presenta le nuove sneakers donna dell’estate. Look massive e grintose, colorate con nuances energiche sono perfette per chi affronta la giornata sempre di corsa. Da indossare sotto ai leggins o ai cropped pants, ma anche per rendere più urban un abito dall’appel serioso, diventano subito le nuove “it” da città. Le palette vanno dall’azzurro al rosa, ma anche in versione nero e bianco. Nonostante l’aspetto big sono tutte leggerissime, morbide e traspiranti. Caratterizzate da profili chunky, con la linguetta alta, dettagli neon e punta di suede, sono in mischia di mesh e pelle, con suola aereodinamica compensata e inserti di leather specchiata en pendant.


FA S H I O N

FEEL FREEDOM AL DI LÀ DI OGNI CONFINE.

C’È UN MONITO C HE R U O TA AT T O R N O L A C O L L E Z I O N E E S T I VA D I ROSSIGNOL ED È QUELLO CHE SPINGE A VIVERE LE ESPERIENZE SUPERANDO O S TAC O L I E B A R R I E R E

106 Mountain Mobility & Urban Mobility. Le nuove collezioni Primavera/ Estate 2019 di Rossignol traggono ispirazione dal concetto di movimento per tracciare un percorso dinamico e multifunzionale in grado di connettere le esperienze ad alta quota al ritmo energico della città. Traduzione dell’outdoor in un connubio avanzato tra estetica e funzionalità. L’anima tecnica di Rossignol è imprescindibile ed è sempre presente, anche nei nuovi capi dall’animo sportchic che si arricchiscono di diverse collaborazioni come con Reda Active, specializzata nel Merino, che per Rossignol realizza tessuti esclusivi in lana tecnica con strato in nylon e il Membrane Luminor double-face, rifinito con una membrana di pigmenti fluorescenti che consentono al tessuto di caricarsi con i raggi solari e rilasciare gradualmente la luce al buio. E con lo stilista croato Damir Doma che disegna Urban Mobility la cui ispirazione parte dalla volontà di trasmettere l’unicità del brand in un look dove l’aspetto tecnico e performante incrocia la velocità delle due ruote. Delle e-mountain bikes – mercato in cui il Gruppo francese è protagonista da alcune stagioni – per rielaborare i codici


stilistici di Rossignol attraverso il mix inedito tra funzionalità sportiva, urban life e citazioni “brandcentric” in chiave street style.

Entrambe le linee si compongono di abiti dedicati agli amanti dello sport all’aria aperta come l’hiking e il trekking

Sia la Mountain Mobility, che prosegue nella direzione contemporarystreet, sia la Urban Mobility fondano il loro Dna su un guardaroba outdoor che permette di varcare ogni confine, dalla montagna alla metropoli. Entrambe le linee si compongono di capi pratici e ultra-performanti in tessuti premium con elevate proprietà traspiranti, isolanti e idrorepellenti, come le giacche ultraleggere che assicurano comfort e protezione grazie al doppio strato di tessuto membranato con rinforzi in silicone nelle spalle e agli elementi regolabili come il cappuccio e i polsini. Oppure come i pantaloni stretch two-in-one che agevolano il passo e all’occorrenza si trasformano nella versione corta grazie a una zip integrata. Non mancano le felpe che qui diventano dei capi “mediani” da interpretare in base alla temperatura, caratterizzate da interni thermofleece, dettagli elastici e colli estensibili per ripararsi dal freddo e dal vento durante il cammino. Le silhouette compatte delle polo “trek & travel” hanno colletti alzabili per proteggere dai raggi del sole, mentre la t-shirt femminile è modellata con una costruzione asimmetrica e inserti di rete stretch sulla schiena che facilitano i movimenti e amplificano l’effetto fast-dry anche in caso di running e fitness indoor.

Altro mondo quello della maglieria che reinterpreta il concetto grafico delle bande degli sci nelle lavorazioni tricot a contrasto, mentre il tricolore di Rossignol aggiunge un riferimento iconico alle tute ispirate agli anni ’80, rieditate sia in jersey che in tessuto tecnico dalla mano lucida. Oltre al logo gommato con il rooster a rilievo e agli immancabili inserti colorati, spicca il dettaglio del passavela metallico applicato sulle tasche per la fuoriuscita degli auricolari. Le grafiche Hero e Soul 7, trasferite dagli sci (best-seller di Rossignol) sulle felpe e sulle tshirt, evocano un immediato parallelismo tra la velocità vissuta ad alta quota e quella tra le vie della città. La collezione è infine completata da una nuova edizione di sneakers Abel in versione unisex. La forma carry-over è sviluppata in una costruzione più leggera e flessibile, declinata con varie personalizzazioni che spaziano dalle cuciture a contrasto agli effetti camouflage, e dai motivi a nido d’ape alla rivisitazione degli elementi identificanti del brand come il tricolore e il galletto sui modelli in velour e canvas.

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FA S H I O N

IL MARE È UNO STATO MENTALE G E N OVA , I L P O R T O , L A V E L A , I L V E N T O E L A S A L S E D I N E T R A I C A P E L L I . I L R U M O R E D I U N A Z I P, P R O N T I , C I A K S I G I R A : L A S TAG I O N E E S T I VA S E C O N D O S L A M

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Nato tra i caruggi genovesi e dall’amicizia di quattro ragazzi che hanno sempre avuto in comune la passione per il mare, Slam rappresenta quella filosofia per cui il mare lo si porta addosso. Uno sportswear che ha fatto di Genova la sua principale fonte d’ispirazione, la sua essenzialità, la sua origine. Slam vede al centro del suo tutto il mondo dello sport e ciò che lo circonda, dall’atto pratico in sé all’emblema dello sportivo che ne incarna l’essenza, come i campioni olimpici che fanno del mare la loro fonte di vita. Testato dagli sportivi, Slam propone abbigliamento tecnico e sportswear di ispirazione velica. Capi performanti, sviluppati secondo tecnologie e tessuti tecnici innovativi… Pro, Crew, SlamArt, ognuno di questi ha qualcosa di speciale da raccontare e da mostrare. Doppi strati, cuciture termonastrate, loghi reflex, l’high tech inizia da tessuti e lavorazioni per espandersi verso mari sconfinati. Il suo capo iconico? Il giubbotto Siffert, pratico, leggero e performante realizzato in tessuto light e strech. Waterproof e traspirante con polsi regolabili e il fondo trattenuto da un elastico. Così come la Jacket Rope e la Sjo. Oltre ad essere il capo ideale da indossare in barca è, ancora una volta, il must have della nuova collezione Spring Summer 2019. #HBD Quest’anno Slam celebra il suo 40° anniversario. Il marchio rende omaggio a Genova, dando vita a un progetto di

identità cittadina tramite un racconto fotografico dei genovesi e cogliere il vero spirito della città. Come? Con gli scatti del fotografo Settimio Benedusi e la complicità dei cittadini stessi. Questi ultimi infatti saranno i protagonisti del progetto I AM GENOVA: uno shooting collettivo, un evento pubblico che si terrà dal 20 al 26 maggio a Palazzo Ducale che, per una settimana, diventerà un grande laboratorio fotografico. Qui, giorno per giorno, prenderà vita un’installazione con le fotografie che verranno scattate, ritoccate, stampate e appese su un grande board, sul quale si comporrà gradualmente il ritratto della città.

“Genova sono millenni di storia, è la burrasca nell’anima, è il vento nelle ossa, è la vela al posto dei pensieri. Genova è la passione per quel mare che non smette mai di ruggire. Genova è la Superba.”

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T AC LI ET NY T S

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C R E AT I V E C A L L

L’arte:

il sogno di bellezza che può trasformarsi in realtà B Y M A R I N E L L A C A M M A R O TA

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Ogni giovane talento, per qualunque espressione di creatività, dal design alla pittura, dalla musica alla fotografia o alla scrittura, ha bisogno di segnali positivi sul suo cammino. L’arte è passione e ragione di vita, ma se la visibilità resta una chimera ogni sogno rischia di venire chiuso nel fatidico lugubre cassetto. Per fortuna c’è chi ci crede, chi crea strumenti, strade illuminate per motivare, per esibire quella dote naturale e unica talvolta invisibile che ogni talento ha in sé. Noi ci crediamo e abbiamo selezionato alcuni dei contest più interessanti, le vie del momento per mettersi in gioco. Be Brave and good luck!


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Yicca contest


#URAGANOSUPPORTSGIRLS Un progetto continuativo a supporto delle artiste: con “Lorem Ipsum” la visibilità è internazionale Uragano Studio, celebre agenzia creativa con base a Milano fondata da Desolina Suter, supporta giovani talenti creativi femminili attivi in varie aree, settori e competenze e lancia la piattaforma “Lorem Ipsum”. Accedendo al sito uraganostudio. com/lorem-ipsum/ si potrà caricare la propria visione artistica concedendosi l’opportunità di avere una visibilità maggiore. Inoltre il progetto si concretizzerà nello specifico tramite la creazione di tre post su Instagram e nove stories, interpretando il concetto di “Uragano Creativo” da parte di ogni talento. Ciò che deve emergere è la visione personale e un concetto di creatività originale. Come spiega Desolina Suter: “#UraganoSupportGirls nasce dalla volontà di condividere talenti attivi in varie discipline. Per fare network e community e condividere la nostra visione estetica. Una sorta di talent scouting. Siamo interessati a i mondi eclettici e diversificati in cui le menti creative lavorano e al modo in cui modellano il mondo che ci circonda. Vogliamo celebrare e mettere in mostra le discipline più varie: arte, fotografia, beauty, styling e approfondire il processo creativo”.

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Carolina Amoretti

LUXEMBOURG ART PRIZE Un prestigioso premio annuale organizzato dalla Pinacoteca di Lussemburgo, un luogo di esposizione privato, situato nel Granducato di Lussemburgo. Il Premio mira a rivelare ogni anno dei talenti, amatoriali o meno, di qualsiasi età e nazionalità. Lo scopo è quello di accelerare la carriera di artisti sconosciuti grazie ad un’esposizione collettiva finale. Per aiutare il vincitore in modo significativo, gli viene assegnata una borsa di 50.000 € che il vincitore potrà utilizzare in libertà senza vincoli. Tutte le spese degli artisti finalisti sono pagate dall’organizzazione in occasione della loro esposizione collettiva. Il Concorso è rivolto ad artisti che siano in grado di lavorare con una o più tecniche: disegno, incisione, installazione, pittura, performance, fotografia, tecniche digitali, scultura, audio, video, tecniche miste, arti decorative (tessile e materiali, vetro, legno, metallo, ceramica, mosaico, carta o altre tecniche). Tutti i finalisti diventano gratuitamente membri a vita della rete internazionale del Luxembourg Art Prize. Si tratta di una rete di professionisti che permette a ciascuno di godere di contatti privilegiati in numerosi paesi del mondo. Un mezzo molto efficace per godere di opportunità artistiche professionali ovunque ci si trovi. La rete internazionale del Luxembourg Art Prize è la sola rete di artisti che offre reali opportunità artistiche a livello mondiale. Dieci artisti saranno selezionati entro il 30 giugno da una commissione artistica diretta da Hervé Lancelin, Presidente fondatore della Pinacoteca di Lussemburgo. I finalisti esporranno collettivamente a Lussemburgo dal 28 settembre al 14 dicembre 2019. Il vincitore del Luxembourg Art Prize è designato dalla giuria finale e il suo nome viene rivelato

la sera dell’inaugurazione dell’esposizione collettiva dei finalisti presso la Pinacoteca di Lussemburgo. Deadline 30 aprile 2019 entro le ore 23:59:59 (ora di Lussemburgo). Per info e candidature luxembourgartprize.com


Camilla Glorioso

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Antonia Defennu

MART E SURGIVA SOSTENGONO IL TALENTO Call per fotografi e artisti under 35: raccontare il paesaggio trentino nel corso di un workshop Il MART (Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto) e Surgiva (il brand dell’acqua minerale di proprietà del Gruppo Lunelli) uniscono le forze per lanciare un workshop di tipo residenziale che darà la possibilità a 15 giovani (under 35), selezionati tramite portfolio e curriculum, di mettersi alla prova interpretando la natura e l’architettura in base a tre temi fondamentali: vetro, trasparenza e acqua. Gli artisti sono chiamati ad interpretare secondo il loro sguardo il paesaggio naturale del Parco Adamello Brenta dove l’acqua Surgiva sgorga da una sorgente in alta quota, affiancato dallo spazio architettonico disegnato dall’archistar Mario Botta a Rovereto. A condurre il workshop di tre giorni (dal 24 al 26 maggio) sarà Luca Andreoni, fotografo e docente di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Bergamo. Il workshop prevede l’ospitalità in una struttura ricettiva nei pressi del Parco Adamello Brenta e il trasporto da e per il museo di Rovereto. Vitto, alloggio e spostamenti durante la residenza saranno a carico degli organizzatori. Programma Venerdì 24 maggio alle ore 14.00, avvio del workshop al Mart. In

Carolina Amoretti

serata trasferimento al Parco Naturale. Sabato 25 maggio giornata dedicata al paesaggio montano. Domenica 26 maggio ritorno a Rovereto e lavoro sull’architettura fino alle ore 17. I partecipanti avranno tempo fino a venerdì 31 maggio per completare il lavoro di post produzione sulle immagini realizzate in residenza. Gli scatti dovranno essere spediti al Mart entro tale data, in formato digitale. Le foto verranno valutate da una Giuria composta da membri designati da Surgiva e dal Mart; le migliori verranno pubblicate e promosse tramite i canali social dei committenti. La candidatura, completa di curriculum e portfolio, deve essere inviata a education@mart.trento.it entro il 26 aprile 2019. Per maggiori informazioni: 0464.454135


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A P P U N TA M E N T I

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EXHIBITION

ANIMAZIONI

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CONQUISTANO A

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PROSSIME DATE DA NON PERDERE PER UN VIAGGIO NELL A CULTURA CONTEMPORANEA DEL MOMENTO BY ANTONELLA TEREO

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LIGHTING GUERILLA, LIGHT ART FESTIVAL Varie locations, Lubiana 15 Maggio–15 giugno

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MANGA

British Museum - Londra 23 maggio–26 agosto Il più grande evento dedicato ai manga mai tenuto al di fuori del Giappone organizzato dal The National Art Center, Tokyo and the Organisation for the Promotion of Manga and Anime dal grande artista Katsushika Hokusai ai lavori di Kawanabe Kyōsai, un percorso totalmente immersivo dedicato al mondo delle animazioni più famose. Non mancano a corredo anche soluzioni ed app create appositamente per la mostra (ideali ad esempio anche per visionare la più antica libreria di manga di Tokio) e altri contributi audio e video per vivere le grandi convention del Comiket e il World Cosplay Summit, ideate per l’occasione.

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Downtown, Huntington Beach - California 17–19 maggio Gli ingredienti sono quelli di successo: comics a go-go per un evento che quest’anno porta per la sua edizione versione american il popolo dei cartoons oltreoceano. L’esperimento sarà guidato da The National Cartoonists Society e vedrà la reunion di artisti e opere a fumetti contemporanee in un unico contesto, dove anche i classici e i cult del mondo comics non mancano. Seminari, mostre, workshops, incontri e sessioni di disegno live in ritrovo-evento che inaugura l’era del fumetto e delle sue derivazioni sulla scena degli States, tutto in punta di matita.

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La magia di una città che nell’occasione annuale del suo light art festival è capace di trasformare le sue vie, i suoi parchi, le sue gallerie in palcoscenici contemporanei dove la luce ed il gioco cromatico degli effetti crea forme e dimensioni inattese. Fra i quartieri della città che meglio si sposano con la creatività dell’evento, una successione di suoni, istallazioni e performance colorano e stupiscono con creazioni e set up open air dall’impatto unico, ridefinendo il concetto di spazio urbano e riconiugandolo sotto una nuova luce.


THE PORTUGUESE PRISON PHOTO PROJECT Lisbona, Museu do Aljube

11 Maggio–29 Settembre Insolito il contesto, efficace il messaggio. Lo sguardo unico della fotografia contemporanea cade su sette penitenziari lusitani, colti dalla maestria di due fotografi, Luis Barbosa, portoghese e Peter M. Schulthess, svizzero. Da un progetto ad una mostra, essi collocano le loro opere sulla tagliente realtà delle prigioni degli anni 2016 e 2017 proprio in un museo aperto solo nel 2015 ma che in passato - dal 1928 al 1965 – ospitava il carcere del P.I.D.E. de l’Estado Novo regime.

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STANELY KUBRIC

Londra, The Design Museum 26 aprile–15 settembre Uno dei più grandi registi del secolo scorso in un percorso dedicato al suo lavoro e alle sue scelte. Un viaggio negli archivi, fra cimeli, allestimenti e modelli che hanno caratterizzato le perle cinematografiche che ha diretto: da The Shining a The Space Odyssey, da Eyes Wide Shut a Full Metal Jacket. L’incontro è anche con le persone che ha voluto al suo fianco: da Hardy Amies to Saul Bass, Eliot Noyes, da Milena Canonero a Ken Adam. Molti gli aneddoti e le testimonianze sui set, con uno spazio speciale per le location londinesi che sono state rese protagoniste da alcuni suoi capolavori.

The portuguese prison photo project _m_ep_leiria

GARDEN OF EARTHLY DELIGHTS Berlino, Gropius Bau

26 luglio–1 dicembre Garden of Earthly Delights_Uriel Orlow_Botanical Dreams 2018 ∏ VG Bild-Kunst, Bonn 2018

Maria Thereza Alves, Jumana Manna, Taro Shinoda, Heather Phillipson, Pipilotti Rist, Rashid Johnson e Uriel Orlow sono solo alcuni degli artisti contemporanei che con le loro opere visive di varia forma ed impatto interpretano a tutto tondo la declinazione dell’universo verde e naturale. La mostra dei giovani artisti contemporanei provenienti da tutto il mondo spazia sul tema del giardino, centro di riflessione su larga scala che di volta in volta è interpretato da fotografia, videoistallazioni, sculture e realizzazioni metaforiche, per rappresentare con forme d’espressione di oggi il luogo della meditazione e del caos, della bellezza e della libertà.


NAPOLI

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SPRING IN NAPLES Voglia di natura, di benessere, di nutrimento per la mente. Tra arte e paesaggio, eventi e festival, tutta l’ebrezza della primavera nel Golfo. Relax con lo Yoga nell’area marina protetta della Gaiola, al tipico “Salus per Aquam” delle Terme di Agnano per poi scatenarsi al Flower Party che direttamente da Ibizia arriva a Napoli. Aquapetra Resort & Spa diventa una residenza d’artista. Inebriarsi di creatività al Wine&Thecity. Lasciarsi rapire dalla personale di Cecily Brown alla Thomas Dane Gallery. Chiudere il cerchio con una pedalata d’epoca al Bike Festival. Le attività da mettere in agenda per vivere una primavera ricca di energia. B Y C I R O C A C C I O L A E M A R I N E L L A C A M M A R O TA


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Michael Rotondi, The Dreamers, 2018, lambda print su dbond, 40x30 cm


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Cecily Brown


NAPOLI BIKE FESTIVAL napolibikefestival.it

CECILY BROWN Thomas Dane Gallery thomasdanegallery.com Molto rumore in città per la personale dell’artista britannica Cecily Brown alla Thomas Dane Gallery dal titolo “We Didn’t Mean to Go to Sea”. Figlia di una scrittrice e di un critico d’arte, Brown si offre ad un primo sguardo come una sorta di ingorgo segnico dove ogni presenza è sovrastata da una massa pulsante, viva, che assorbe qualunque immagine. A mano a mano che l’occhio riconquista la propria dimestichezza prospettica, soggetto e scenografia riconquistano il proprio spazio sulla scena. La figura guadagna con fatica la superficie, si espone lentamente alla visione, emerge debolmente dalla melma pittorica. La sua pittura urla con una voce disperatamente forte, la sessualità e l’erotismo dominano la maggior parte delle opere, ricollegando l’artista all’eredità espressionista di artisti come Francis Bacon ma anche agli stessi Tiziano, Goya e Rubens.

WINE&THECITY Varie Venues wineandthecity.it

Nel cinquantesimo anniversario dello storico, controverso viaggio nello spazio, la Luna è il tema della 12a edizione di Wine&Thecity la rassegna napoletana che celebra l’ebbrezza creativa e il buon vino con una staffetta di eventi diffusi sul territorio: la luna come fonte di ispirazione per scrittori e poeti, come desiderio di sco-

perta, come emblema della mutevolezza, simbolo di femminilità e vita, la luna che nei secoli ha ammaliato grandi filosofi, conquistato cineasti e sedotto scienziati di tutto il mondo. La luna che da millenni guida i lavori in vigna. Dal 9 al 18 maggio il “Fuori Salone” del vino torna con tanti appuntamenti pensati per scandire ogni momento della giornata e accompagnare i partecipanti alla scoperta di oltre 100 etichette di vini italiani da degustare in luoghi insoliti o poco conosciuti di Napoli: dalla prima colazione alla cena, dall’aperitivo all’after dinner, in ogni momento della giornata avranno luogo reading letterari, incursioni d’arte, performance, cene itineranti in palazzi storici e musei, incontri con i produttori, momenti di approfondimento sull’universo vino, installazioni e azioni di street art che vedranno protagonista la luna nelle sue innumerevoli declinazioni. Da non perdere: l’incontro con il poeta e scrittore Franco Arminio; il trekking nella Vigna di San Martino in compagnia dell’astrofisico Gianluca Masi; la visita notturna all’Osservatorio Inaf di Capodimonte, guidati dall’astrofisico Maurizio Paolillo.

Alla sua ottava edizione, torna con due appuntamenti molto coinvolgenti il Napoli Bike Festival, grande festa per chi ha il “kulto” della bicicletta: il 12 maggio con la Ciclostorica “la Vulcanica”, con utilizzo di bici storiche e abbigliamento d’epoca, e il 2 giugno con un grande evento all’interno della ex base militare NATO a Bagnoli, oggi trasformata in un immenso parco urbano. Buon divertimento.

FLOWER POWER @ DROP facebook.com/drop2010/

I nostalgici dell’era hippie e delle grandi ideologie targate ’68 sono però già in fila proprio alle Terme di Agnano non tanto per cedere al relax quanto per scatenarsi e ballare in uno dei mega party più attesi dell’anno: il “Flower Power” che il 25 aprile, direttamente dal Pacha di Ibiza, sbarca a Napoli con tutta la sua banda per una 24 ore di suoni, concerti, performance, dj set, visioni e suggestioni psichedeliche promossa dal collettivo eventi “Drop”.

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BAROQ ART BISTROT

I

n piazza Vittoria, a pochi passi dal lungomare di Napoli, apre Baroq art bistrot: un’esperienza nuova, che vuole coniugare la gastronomia ed il buon bere con l’arte, dalla grande stagione del Barocco napoletano al contemporaneo.

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Un food format del tutto nuovo: non è una galleria tout court, non solo un bar e neppure solo un ristorante ma uno spazio che nasce nella convinzione di far vivere felicemente insieme mondi diversi ma ugualmente legati al passato culturale di Napoli, nel nome della qualità, della specificità e del valore della tradizione. Le mura sono quelle dell’antico Palazzo De Majo, commissionato nel XVIII secolo dalla famiglia De Majo a Ferdinando Sanfelice, al civico 6 di Piazza Vittoria. Gli spazi sono allestiti prendendo in prestito i materiali della terra partenopea, il tufo giallo e la pietra lavica, luce e ombre, i due volti di Napoli. In occasione dell’apertura a dicembre Baroq ha ospitato fino a metà febbraio una mostra di Micco Spadaro, al secolo Domenico Gargiulo (Napoli, 1609/1612 – 1675), pittore e cronista nella Napoli del ‘600. Da poco tempo è stata inaugurata la prima mostra d’arte del 2019: in esposizione i bozzetti autografi di quattro grandi interpreti della pittura napoletana tra Sei e Settecento. Sono otto studi preparatori di rilevante e differente significato per altrettante opere pubbliche di Massimo Stanzione, Luca Giordano, Francesco Solimena e Giacinto Diano, lavori che conservano la freschezza e la bellezza della prima idea dell’artista. All’insegna della grande tradizione classica partenopea è anche l’offerta di cucina del fuoriclasse napoletano Antonio Tubelli, cuoco di grande passione e lunga esperienza, l’ultimo monzù napoletano, come è stato definito per la sua cucina di memoria (i Monzù, trasposizione dialettale della parola francese monsieur, erano nei secoli XVIII e XIX i capocuochi delle case aristocratiche nel Regno delle Due Sicilie). ll menù à la carte offre piatti semplici, a volte dimenticati, della tradizione, contraddistinti dall’attenta ricerca stagionale delle materie prime locali, cucinati con estro e smisurata passione: lo scammaro, il pacchero

ripieno, le tempure, solo per citare alcuni piatti che sono cifra stilistica della cucina di Tubelli con la chef Carmela Sabato. La carta dei vini è varia e viene periodicamente rinnovata per potersi abbinare al meglio ai piatti proposti. La carta delle birre, esclusivamente artigianali, offre una vasta scelta di opzioni nazionali. Completano l’offerta di Baroq Art Bistrot la caffetteria, la sala da tè e un attrezzatissimo cocktail bar: una straordinaria ricerca del resident barman Andrea Chiariello, con nuove tecniche di infusione ed estrazione degli zuccheri, affumicature ed aromatizzazioni, sempre fedele agli stimoli del territorio, propone cocktails classici e baroqtails di propria invenzione.

Micco Spadaro. imprevisto

Baroq ART BISTROT Piazza Vittoria, 6


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Aquapetra Resort&Spa


MADE IN CLOISTER Un chiostro un tempo abbandonato rinasce a nuova vita e accoglie l’arte contemporanea più intraprendente.

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el cuore pulsante del centro storico di Napoli c’è un Chiostro, quello di Santa Caterina a Formiello, raro esempio di Rinascimento Napoletano costruito nel ‘500 a ridosso della chiesa; nell’800 è diventato un lanificio, per volere dei Borbone, dove si producevano le divise per l’esercito ma ben presto con l’Unità d’Italia la fabbrica fallisce, il chiostro diventa saponificio, autorimessa, falegnameria, in un progressivo degrado per poi finire in uno stato di totale abbandono. La storia del luogo e la sua posizione hanno definito la mission del progetto di riconversione e di riqualificazione urbana Made in Cloister: recuperare il chiostro per destinare questo patrimonio cultuale della città di Napoli al rilancio delle tradizioni artigianali, rinnovandole con spirito contemporaneo attraverso la realizzazione di progetti con artisti e designers internazionali. Il Chiostro diventa dunque uno spazio espositivo per l’arte contemporanea e le attività artigianali, un nuovo tipo di centro creativo e culturale: un luogo di incontri, di sperimentazione e «produzione», dove artisti e designers potranno «risiedere» e lavorare con i maestri artigiani napoletani. Un luogo di eccellenza creativa in cui intraprendere nuove vie per il rinnovamento dell’antica sapienza artigianale attraverso la visione di artisti e designer. Il chiostro ha da poco ospitato la suggestiva esposizione ‘Monumenti’ di Liu Jianhua, uno degli artisti cinesi più conosciuti nello scenario contemporaneo che pone al centro del chiostro 23 sculture in cartapesta raffiguranti i migranti incontrati dall’artista a Porta Capuana, realizzate a grandezza naturale e poggianti su altrettanti

piedistalli interamente ricoperti di piastrelle in ceramica di Vietri con 92 sfumature di colori, realizzate a mano dagli artigiani dell’azienda Ceramica Francesco De Maio. Alle spalle dei “monumenti”, un video in cui sono cucite insieme le storie e le memorie di questi uomini e donne, che non sono solo oggetto dell’opera, ma soggetti cui l’artista ha voluto lasciare volto e voce attraverso lo schermo. Attualmente la mostra Soap Opera dell’artista Nuvola Ravera invade il chiostro di sapone nello spirito dello stesso e cioè riconversione del chiostro in un luogo espositivo e performativo in cui gli artisti si possono confrontare con le antiche tradizioni in un più ampio progetto di rigenerazione urbana. La giovane ma già affermata artista genovese ha concepito un’installazione site specific dopo un periodo di ricerca sul territorio e di produzione realizzata con le maestranze napoletane specializzate nella saponificazione artigianale. Da queste premesse l’artista ha interpretato lo spazio espositivo come fosse un luogo di ritrovamenti archeologici e, allo stesso tempo un tappeto domestico-urbano. Nuvola Ravera traccia con mattonelle di sapone un susseguirsi di stanze presenti al primo piano del chiostro, resti di una pavimentazione preesistente, in parte emersa e in parte andata perduta. La ricerca di Nuvola Ravera riguarda e fa incontrare l’idea di bene comune e di quello monumentale con le azioni di tutela e di conservazione, osservandone i limiti e ritrovando nell’utilizzo di un materiale solubile come il sapone la chiave simbolica di un equilibrio . Ad oggi il cluster include, oltre alla Fondazione Made in Cloister, lo studio degli artisti di fama internazionale Jimmie Durham e Maria Thereza Alves, la galleria d’arte contemporanea di Dino Morra, la sede di Dedalus, il coworking IntoLab, e infine lo studio di arti performative della coreografa Valeria Apicella.

Fondazione Made in Cloister Chiostro di Santa Caterina a Formiello Piazza Enrico de Nicola, 48 80139 Napoli


“CA PIOGG’ DINT’ ‘O COR” Una mostra innovativa in tre suggestivi spazi della Napoli raccontata da Michael Rotondi

L

a Sala dell’ex Biblioteca del Complesso di San Domenico Maggiore, la BRAU (Biblioteca di Ricerca di Area Umanistica dell’Università degli Studi Di Napoli Federico II) e lo Spazio NEA, sono i luoghi scelti per la personale “Michael Rotondi. “Ca piogg’ dint’ ‘o cor’” un vero e proprio omaggio dell’artista pugliese al capoluogo partenopeo. Una mostra che parte dalla scelta del dialetto all’interno del titolo, citazione della canzone “Tu t’e’ scurdat ‘e me” del celebre artista napoletano Liberato, e suona come una dichiarazione d’amore alla città. L’ispirazione di Rotondi deriva sia dalla “cultura alta” sia da quella popolare con suggestioni provenienti dalla street art, dall’illustrazione indipendente e dall’immaginario punk, indie e pop e dall’universo musicale. Non è allora casuale l’attenzione dedicata a Liberato nel titolo dell’esposizione con il quale l’artista sente di condividere l’approccio al lavoro: come l’anonimo musicista trasforma la tradizione della musica pop attraverso soluzioni elettroniche e l’uso di uno slang giovanile che attinge alla tradizione, così Michael Rotondi innova la pittura interpretandola in una declinazione digitale fino a sconfinare nell’installazione e nell’animazione. I tre spazi scelti per ospitare la nuova ricerca di Rotondi diventano tre ambienti installativi che sono da considerarsi come un’unica installazione, diffusa e totale che, attraverso linguaggi differenti, intende sviluppare una narrazione della città di Napoli. Rotondi mescola con un approccio punk, tradizione e innovazione, spaziando dall’arte antica all’illustrazione. In alcuni lavori il racconto di un microcosmo che parte dalla periferia del capoluogo campano diventa poi il racconto di una generazione, con i suoi sogni, le speranze e i turbamenti, nei quali il pubblico è chiamato a identificarsi.

Biblioteca del Complesso di San Domenico Maggiore, Piazza San Domenico Maggiore 8/A BRAU Università Federico II, Piazza V. Bellini, 5 | Spazio NEA, Via Costantinopoli 53 / Piazza Bellini 59

Presso la Sala dell’ex Biblioteca del Complesso di San Domenico Maggiore in un suggestivo allestimento al buio, è proiettato il video inedito Botte, ambientato nel quartiere napoletano di Bagnoli, che combina animazione in bianco e nero e suono. Nelle sale espositive della BRAU – in cui si possono ammirare anche alcuni resti delle antiche mura greche della città – sono presenti opere digitali in lambda print ed un’installazione ambientale che risulta dall’assemblaggio di cartoline spedite all’artista da persone che a Napoli vivono o vi hanno soggiornato per un breve periodo.Lo Spazio NEA, infine, ospita un breve percorso antologico con lavori su carta, tessuti e materiali eterogenei e un’installazione ambientale. Nella serata di inaugurazione, è stato previsto anche una performance live dell’artista con djset. Michael Rotondi, Con Carolina, 2018, lambda print su dbond, cm 40x30

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TERME DI AGNANO Da marzo, dopo un accurato restyling, ha riaperto il Parco del Benessere dell’antico complesso delle Terme di Agnano, luogo ideale per rigenerarsi secondo l’antico principio romano del Salus per Aquam, un’oasi naturale di oltre 44 ettari di sorgenti termali e sbuffi sulfurei, alberi secolari e prati verdi, con 7 piscine tra indoor e outdoor, sale massaggio, solarium, sauna, area relax e Natural Bar Bistrot che offre una cucina leggera e naturale con piatti e proposte dalla prima colazione all’aperitivo serale. Cuore pulsante del sito, con la sua portata di cinque milioni di acqua al giorno, è la Sorgente De Pisis, all’ingresso del Parco nel quale, peraltro, restano ben visibili i resti di età ellenistica e romana, oggetto di passeggiate archeologiche guidate.


AQUAPETRA RESORT&SPA aquapetra.com

Nel cuore del Sannio, invece, per una energizzante gita fuori porta, Aquapetra Resort & Spa diviene Parco d’Arte e residenza d’artista. Merito del progetto realizzato con la collaborazione di Fabio Agovino e della sua collezione d’arte: artisti internazionali si stanno infatti alternando nel resort beneventano per brevi periodi di lavoro in cui lo scenario naturalistico e architettonico diventa fonte di ispirazione per la creazione di opere scultoree site-specific. Due le opera già installate: Chiara Camoni, Mosaico, 2012-2016 e Martin Soto Climent, Frame. La Locanda del Borgo, ristorante del resort guidato dallo chef Luciano Villani, Stella Michelin da novembre 2017, offre percorsi gastronomici che coniugano creatività e territorio.

Martin Soto Climent, FRAME, 2012, cornici d’artista, calze, dimensioni variabili, Aquapetra, 2018 Courtesy Collezione Agovino Foto di Maurizio Esposito

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SUPEROTIUM

Via Santa Teresa degli scalzi, 8 Un nuovo modello di ospitalità nato dalla passione per l’arte e per la città da due giovani imprenditori, Vincenzo e Nicola Entrando in SuperOtium ci sentiamo immediatamente immersi in un’atmosfera unica, qui la creatività inebria le pareti con i dipinti dell’artista di turno, le camere, sono di un minimalismo estetico con colori che rispecchiano la realtà circostante. Un Art Hotel come nuovo modello di ospitality che lascia entrare in contatto con la parte più creativa di Napoli e che, grazie ad un programma di residenze per artisti e creativi, che vogliono farsi ispirare dal luogo, e un calendario di eventi culturali, vuole diventare riferimento a livello internazionale per viaggiatori, artisti, curatori, creativi, scrittori ed amanti della cultura. SuperOtium nasce per dare al crescente turismo una concezione di Napoli che va oltre quella folcloristica, legata alla gastronomia ed al paesaggio.Una città “museo” a cielo aperto del reale e dell’immateriale, in costante trasformazione, che parla i linguaggi popolari per relazionarsi al contemporaneo. In costante dialogo con l’esterno e attraverso la relazione fra gli artisti ed i creativi ospiti, SuperOtium diviene un hub di collegamento fra i viaggiatori e la città per farsi ispirare nella creazione di nuove opere, per scoprire cosa si nasconde dietro la cartolina, per vivere l’equilibrio di un mutevole rapporto fra tradizione ed innovazione.



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