Art – Fashion – Music – Design – Lifestyle
No.2 – 2017 English texts
Wolf Totem Nan Goldin Marracash Nobuyoshi Araki Strateas Carlucci Matteo Lamandini Oscar & The Wolf Biel Capllonch Moose Knuckles Hercules & Love Affair
Francesco Ragazzi designer di PALM ANGELS
V
Icone Rap Elettronica Queer Performance estreme Unconventional beauty Cutting-edge vision The woman power Arte sfrontata
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, opere i d n a i... le gr ornat f nti al s a v a a d pen poglia ci ap l s o i d s on sta ono c n arti g u l , o o c t ac en mom , tatuatori l e d ro u ound a volante p r Unique Media srl – Trimestrale g r o e t 20–10–2017 m nd a r u t o f ù s i a p ottobre/novembre/dicembre tt o a b l i l u p l c a una a il ità v i e su a cre t t c s s i i l a i b t i Cre Uno s pper si es a r to un no 5 € – Italia
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COLOPHON
KULT Issue No. 2 2017
Editorial Director Enrico Cammarota
Editor-at-Large Luisa Micaletti
Literary Critic Gian Paolo Serino
International Collaborators Anna Casotti – New York Fausto Furio Colombo – Zurigo Alessandra Fanari – Parigi Manuela Lietti – Pechino
Fashion Editor Marzia Bellotti
Music Consultant Ciro Cacciola
Collaborators Maurizio Bertera, Alberto Corrado Paolo Landi , Giulia Lenzi, Diego Tamone, Antonella Tereo, Marco Torcasio, Laura Vincenti
Art Consultant Alessandro Riva
Coordinator Anna Rita Russo
Graphic designer Francesco Dipierro
Errata corrige – Kult No.1, 2017 pag. 80, cappotto MAURO GASPERI / pag. 82 a destra, abito MAURO GASPERI e occhiali SUNDAY SOMEWHERE – a sinistra, occhiali PAWAKA / pag. 86 bustier ENRICO MAZZA
KULT Magazine is published quarterly a year by Unique Media Srl – Marzia Ciccola (Editor-in-chief) Reproduction in whole or in part without written permission is strictly reserved
Worldwide Distribution: Australia, Belgium, Brazil, South Korea, United Arab Emirates, Finland, Great Britain, Hong Kong, Israel, Lithuania, Malta, Holland, Portugal, Singapore, Taiwan, Hungary
ANES ASSOCIAZIONE NAZIONALE EDITORIA PERIODICA SPECIALIZZATA CONFINDUSTRIA
Cover Francesco Ragazzi designer di Palm Angels foto di Lukas Ganstere
Unique Media Srl Via Cadolini 34 – 20137 Milano ph. +39 0249542850 adv@uniquemedia.it (advertising) segreteria@uniquemedia.it
Printed by Arti Grafiche Boccia Spa Distribution SO.DI.P. “Angelo Patuzzi Spa” Via Bettola, 18 – 20092 Cinisello Balsamo
ALASKA
SINCE 1830 11
woolrich.eu
CONTENTS
Fashion 8 COLOPHON 12 EDITORIALE 14 OVERVIEW Il nostro presente assente 16–19 KULT IDEAS 20–21 KULT GREEN 22–23 TREND 24, 26, 28, 30 ACCESSORIES 32 BOOK – REVIEW Le visioni di inchiostro 33 BOOK – SPORT Gevorg “Giorgio” Petrosyan
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part two 68–81 On the road 82–88 Cool Down 89–99 The Top Ten FW 2017/18 100–103 INTERVIEW w/ english text Wolf Totem 104–105 INTERVIEW w/ english text Moose Knuckles 106–107 INTERVIEW Matteo Lamandini
Visionaries
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part one 36–41 INTERVIEW – FASHION Palm Angels 42–47 INTERVIEW – FASHION w/ english text Strateas Carlucci
108–110 INTERVIEW Roberto Riccio, GMD Istituto Marangoni 111 INTERVIEW Andrea Marcaccini
128–129 INTERVIEW – MUSIC w/ english text Hercules & Love Affair 130–133 INTERVIEW – MUSIC Marracash 134–137 EXHIBITION ITALY – ART Nan Goldin 138–139 EXHIBITION ITALY – ART Nobuyoshi Araki 140–141 EXHIBITION FRANCE – PHOTOGRAPHY Foto Fever Paris 142–143 INTERVIEW – CINEMA Robin Campillo 144 OVERVIEW Se le donne fossero al comando 145 BOOK Jacques de Bascher, dandy de l’ombre 146–151 MOTORS AUDI Q2: Scala la città 152–157 KULT IN THE CITY 158–161 ENGLISH TEXTS 162 INITIATIVES Tomorrow’s Talents
Column
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KULT Issue No.2 – 2017 I FONT DI QUESTO NUMERO DI KULT:
48–49 INTERVIEW – ARTIST Lorenzo Quinn
part two
Coquette Designed by Mark Simonson. (From Mark Simonson Studio)
50–53 INTERVIEW – ARTIST Giorgia Ricci
114–117 OVERVIEW Gender–no–gender
Hobeaux Hobeaux Rococeaux Designed by James Edmondson. (From OH no Type Co..)
54–57 INTERVIEW – PHOTOGRAPHER Capllonch Biel
118–123 FASHION Co–branding
Paralucent Designed by Rian Hughes. (From Device Fonts)
58–61 INTERVIEW – ARTIST Adrián Pino Olivera
124–125 INTERVIEW – LIFESTYLE Nicolas Loufrani – CEO Smiley Company
Sail Designed by Miguel Hernandez. (From Latinotype)
62–65 PORTRAIT – MUSIC Phoenix, Arcade Fire, The Jackal, The Chainsmokers
126–127 INTERVIEW – MUSIC w/ english text Oscar & The Wolf
Serenity Designed by Rian Hughes. (From Device Fonts)
http://www.berwich.com/it/?mntr=KULT
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EDITORIALE
Kult rappresenta lo spirito creativo della nuova generazione più evoluta che rivoluziona il modo di essere e di valutare
La bella solitudine
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iamo travolti da orde di blogger, youtuber, influencer e adesso incluser, che hanno cavalcato il nuovo mondo della comunicazione come iena ridens, dando cibo agli affamati marketing manager, molti dei quali - soprattutto italiani - hanno seguito inermi le indicazioni che arrivavano dalle case madri d’oltreconfine. La rete però è un frullatore che fa tutto a pezzetti, incluso i loro business e ora faticano in molti a capire quanto la comunicazione sul digitale aiuti. Sul web mantenere la concentrazione per cinque minuti è un problema. Tutti i ragionamenti sono frazionati in un post di poche battute. Non è il futuro ragazzi, è un futuro, ma noi non ci caschiamo, a noi non piace. Il digitale lo utilizziamo, non lo subiamo. L’ecommerce è fantastico quando ci porta a casa a prezzo minore i prodotti che cerchiamo, però ci rompe immaginare che qualcuno pretenda di voler conoscere i nostri usi e consumi. Ci secca essere un numero. È il mondo voluto da aziende che hanno bisogno di raggiungere distratti consumatori, per influenzarli rapidamente, creare nuovi bisogni per le masse che una volta si raggiungevano con la tv e adesso con il web. Ma la nuova generazione evoluta ha fatto morire i blogger, guarda sempre più con sospetto gli influencer, approfondisce. Questo termine, che sembra una bestemmia nei tempi contemporanei, è la vera rivoluzione. La nostra community, e ahimè è fantastico questo contrasto, ama la bella solitudine, una solitudine positiva che aiuta a distanziarsi. Ci sono segnali inequivocabili della ripresa del libro, delle flessioni dei grandi brand che hanno reso anonimo il proprio prodotto moda creando cattedrali tutte uguali nel mondo. C’è una forte attenzione invece per brand che noi segnaliamo in questo numero, che si affermano per la chiarezza del progetto ma anche per il contenuto. Nel mondo della letteratura, della musica, del beauty... chi ha intensità raccoglie valore, interesse profondo. È questo che vogliamo segnalare con Kult. La rivista differente che utilizza il web ma non si fa travolgere. Noi vogliamo essere unici, affermare il diritto alla diseguaglianza di espressione, come Cattelan vogliamo rendere il nostro mezzo un pugno che smuova ma che poi scompaia. Non siamo rivoluzionari ma innovativi, sicuramente sì, perché diamo valore a chi ha passione, talento. Le bolle di sapone sono destinate a svanire come la fragilità dei social media, un puttanaio di pensieri e di culi al vento dove ogni pseudo riflessione, anche la più intensa, è ridotta a barzelletta. A Milano inaugura un nuovo cinema, Amazon vuole aprire librerie, timidamente nascono nuovi giornali, Cucinelli dal venerdì alla domenica non vuole che si inviino e-mail di lavoro. Ecco che il nostro tempo ricomincia a diventare protagonista. Voi tuffatevi in questo Kult, fatelo durare e segnalateci tutto ciò che sia intriso di novità, di impegno, ripetiamo di passione. Nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si evolve, noi ne siamo una dimostrazione.
Enrico enrico.cammarota@uniquemedia.it
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Watch the film at
pepejeans.com
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OVERVIEW
Il nostro presente assente In un mondo che continua a progredire nessuno progredisce veramente: sei pronto a vivere in una nuova dittatura che alle catene ha sostituito l’omologazione del gusto? Sei pronto per un “mondo nuovo” che trasforma le nostre menti in sudditi inconsapevoli di esserlo? testo di Gian Paolo Serino
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“Controllare la gente non con le punizioni, ma con i piaceri”: è questa la geniale intuizione di Huxley nel descrivere il nuovo assetto dei sistemi totalitari. Nella “democrazia” immaginata da Huxley il popolo non è imprigionato, ma distratto continuamente da cose superficiali. Per Huxley, infatti, non c’è bisogno di un Grande Fratello quando la vita culturale viene trasformata in un eterno circo di divertimenti e un intero popolo è ridotto a spettatore. Nel “mondo nuovo” è questa la vera dittatura: una dittatura atroce perché invisibile, intelligente perché alle catene preferisce il silenzio delle museruole mentali. È la dittatura della democrazia, del nemico col sorriso sulle labbra: è la dittatura che ha trasformato i cittadini in giocatori che non hanno la minima intenzione (e chi lo farebbe?) di prendere le armi contro un mare di divertimenti.
ei pronto per un “Mondo nuovo”? Dal romanzo del visionario Aldous Huxley, autore anche del saggio “The Doors: Le porte della percezione” (da cui Jim Morrison prese il nome del gruppo).
Sei pronto per un mondo dove a tenerci in schiavitù non sono le catene, ma i piaceri? Dove nessuno brucia i libri, ma ne sono a disposizione talmente tanti che i lettori sono sempre meno? In una società del futuro non ci sarà un Grande Fratello a guardare noi, ma saremo noi a guardare il Grande Fratello. Nessuno censura le notizie, ma ne danno talmente tante che siamo diventati impassibili. Basta guardare i tg: si passa dalla guerra minacciata dalla Corea, alla crisi economica, dal bambino violentato e buttato giù dalla finestra alla storia del cane lasciato dal padrone in autostrada in agosto e che ha fatto 200 km per ritrovare il padrone ma all’ultimo chilometro è stato investito da un trattore, dai morti per attentati al campionato di calcio. E sempre i tg si concludono con la conduttrice che ci dice “Buonasera, buona continuazione con i nostri programmi”. Quando dopo tutti i morti ammazzati e le tragedie come minimo non dovremmo dormire per 15 giorni. E invece “Buonasera a tutti e buona continuazione”. Il rischio è di vivere proprio ne “Il mondo nuovo”, romanzo scritto da Huxley nel 1932 (edito in Italia negli Oscar Mondadori) ben più inquietante e profetico del più conosciuto “1984” di George Orwell. Ad accomunare i due testi lo stesso intento distopico: immaginare e descrivere un mondo futuro dominato da un regime totalitario. Le differenze tra i due romanzi, però, sono enormi, addirittura antitetiche. Per Huxley, infatti, ci sono due modi per spegnere lo spirito di una civiltà: nel primo - quello orwelliano - la cultura diventa una prigione; nel secondo - quello de “Il mondo nuovo” - diventa una farsa. Nella nostra società non c’è nessun carceriere che ci sorveglia, ma le prigioni sono dentro le nostre teste. Ed è da quest’idea che parte “Il mondo nuovo”: da un mondo solo apparentemente libero, mentre in realtà è controllato dalla sua stessa libertà.
Per Huxley la maggior parte degli esseri umani, la maggior parte di noi è normale solo in rapporto a una società profondamente anormale: ed è proprio il nostro perfetto adattamento a questa società anormale a essere la misura della nostra infermità mentale. “Questi milioni di individui”, scrive Huxley, “abnormemente normali, che vivono senza gioia in una società a cui, se fossero pienamente uomini, non dovrebbero adattarsi, ancora carezzano ‘l’illusione dell’individualità’, ma di fatto sono stati in larga misura disivindualizzati. Il loro conformismo dà luogo a qualcosa che somiglia all’uniformità. E uniformità e salute mentale sono incompatibili”. Per Huxley siamo solo una “calca di pecore umane che vivono soggiogate dalle cieche leggi delle abitudini”. Solo accorgendoci di tutto questo, è quasi troppo tardi ma siamo ancora in tempo, potremo arginare il pericolo di un mondo nuovo sempre più simile al nostro: un mondo non di schiavi terrorizzati dalle punizioni di un regime totalitario, ma una società di ebeti rimbambiti da piaceri cafoneschi.
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KULT IDEAS
OCCHIELLO
Visionary ideas for common people 16
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occhiello News
Futuristici, divertenti, geniali. E così utili che vi faranno dire: “Perchè non ci ho mai pensato?” Sono gli oggetti culto di domani, un perfetto mix di estro e tecnologia. testo di Giulia Lenzi
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OCCHIELLO KULT IDEAS
SOBER STEERING L’etilometro al volante Forse un giorno sarà la soluzione a molti incidenti stradali, non a caso Paesi come l’Olanda e la Svezia hanno già adottato sistemi simili da diversi anni: l’australiana Sober Steering ha messo a punto dei biosensori da installare nel volante in grado di rilevare il tasso alcolemico del guidatore, basta sfiorarli con il palmo della mano. Se l’alcol rilevato è sopra un limite prestabilito, il veicolo è immobilizzato: il sistema si ripristina entro un minuto in modo che un pilota sobrio possa prendere il controllo.
FREEDUCK WHEEL
sobersteering.com
Ruota magica Se volete acquistare una bici elettrica ma ne avete già una tradizionale e volete evitare spese inutili, forse tutto ciò di cui avete bisogno è… una ruota. Non una qualunque, ma la FreeDuck Wheel realizzata da Ducati Energia; facile da cambiare, fornisce un'assistenza proporzionale a quella della pedalata e raggiunge una velocità massima di 25 km orari, con un’autonomia di 60 km. Attraverso la connessione Bluetooth l’utente può inviare e ricevere informazioni sullo stato della sua bici elettrica, dall’autonomia residua ai km percorsi, direttamente sul proprio smartphone, mentre dall’app si può configurare il funzionamento del motore.
SMARTDUVET BREEZE
freeduck.it
Letto intelligente Potrebbe essere il rimedio a molte discussioni di coppia, oltre che un valido alleato per risparmiare energia: Smartduvet Breeze è il nuovo sistema che permette di impostare temperature diverse sui due lati del letto e, last but not least, di rifarlo da solo. Basta scegliere il grado di calore dall’applicazione et voilà, il sonno perfetto è a portata di mano, anche prima di rientrare a casa. Smartduvet Breeze si basa infatti su una tela gonfiabile da mettere tra il piumone e copripiumone che, riempiendosi d’aria, riesce a diffondere le temperature desiderate oltre che a riportare le coperte verso la parte superiore. Già prodotto in varie dimensioni, è ora disponibile per il pre-ordine a 199 Dollari.
PEEKABEAT Playlist emozionali Tu scatti un selfie, Peekabeat ti suggerisce la playlist più adatta al tuo umore. La geniale applicazione per smartphone sviluppata da AQuest con tecnologie Microsoft sfrutta infatti un sistema di codifica delle espressioni facciali per poi appoggiarsi alla piattaforma Spotify e fornire all’utente brani musicali in linea con il suo mood. Sei triste? Impaurito? Ansioso? Felice? In qualunque modo ti senta di certo esiste la canzone perfetta per tenerti compagnia, e Peekabeat la troverà per te.
smartduvet.com 1818
occhiello News
FOSSIL Smartwatch
NAKEFIT Bye bye infradito Si chiamano NakeFit e potrebbero rivoluzionare il nostro modo di camminare. Frutto di un progetto 100% Made in Italy, queste nuove solette consentono di camminare su qualunque tipo di superficie come sabbia, roccia, marmo, legno o anche erba, proteggendo i piedi da tagli o scottature fino a 24 ore! Il materiale con cui sono realizzate rimane al momento top secret ma i creatori garantiscono: sono ipoallergeniche, impermeabili, traspiranti e addirittura vegane. Si utilizzano una sola volta ma possono essere riciclate come patch per medicazioni e il prezzo è decisamente democratico: sul sito kickstarter.com 10 paia sono in vendita a 30 Euro, in nero, rosa e blu.
Sembra uscito da un film di James Bond e invece Fossil lo produce già da un paio d’anni. È smartwatch, che all’apparenza sembra un semplice orologio e invece racchiude quasi tutte le funzioni di uno smartphone. Ha un quadrante interattivo con funzionalità touchscreen dotato di tutte le ultimissime novità Android, così e-mail, chiamate e sms sono a portata di dita. Connesso allo smartphone consente di ricevere le notifiche di messaggi importanti o aggiornamenti di app… direttamente sul polso. E poi la sveglia, il microfono, una torcia led, un sistema di controllo musicale, l’accesso vocale a Google e un tracking attività per seguire i propri risultati quotidiani, dal numero di passi fatti alle calorie bruciate. Un piccolo gioiello della tecnologia che non ha neppure bisogno di cavetti perchè a carica wireless, e costa meno di trecento Euro.
tanze. Basta riempire le cartucce al suo interno, lei assemblerà le materie prime fresche gestendo i processi di preparazione più lunghi e difficili che spesso scoraggiano chi ha poco tempo per cucinare. Secondo i fondatori di Natural Machines, nel giro di pochi anni Foodini sarà nelle case di tutti; per adesso è acquistabile da clienti selezionati al prezzo di 4,000 Dollari.
naturalmachines.com
fossil.com/it
nakefit.com
KAALINK Il retrofit che crea inchiostro FOODINI Stampante alimentare 3D Il suo nome deriva dalla combinazione delle parole food e Houdini perchè fa - letteralmente - magie in cucina: Foodini è la prima stampante 3D per cibo che permette di realizzare biscotti, crackers, spaghetti, ravioli, pizza, hamburger, purea, dolci e tanto altro. Sono cinque gli ingredienti gestibili contemporaneamente dalla stampante che, attraverso un software, regola autonomamente il dosaggio dei componenti e le forme che assumeranno le pie-
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1,6 miliardi di litri di aria purificata finora, per una tecnologia che riesce a trasformare in arte anche l’inquinamento. Il merito è tutto del Laboratorio Graviky che ha progettato Kaalink, un retrofit da fissare al tubo di scappamento dei veicoli e in grado di catturare il 95% delle emissioni di carbonio, senza provocare contropressioni sul veicolo. Successivamente, le particelle di smog vengono convertite in inchiostri, chiamati AIR-INK. Kaalink è attualmente in corso di certificazione e in fase di collaudo nell’ambito di vari test dimostrativi.
graviky.com
OCCHIELLO KULT IDEAS
K u lt Una città foresta sorgerà in Cina entro il 2020. Un letto sotto il cielo stellato al costo di una suite a 5 stelle. I tessuti di Issey Miyake che prendono la forma di un ortaggio. La natura è fonte di ispirazione – e interpretazione – per gli artisti più forti del momento.
GREEN 20 20
News
occhiello
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i fa presto a dire green design. In un mondo sempre più 2.0, digitale e iperconnesso, la natura sembra lontana mille miglia. Pasolini l’aveva intuito oltre mezzo secolo fa: quella “distanza” fra uomo e creato era racchiusa nell’immagine potente della “scomparsa delle lucciole” dalle campagne romane, il resto è storia. Eppure oggi, al netto di un’industrializzazione selvaggia e ormai dipendenti da device e tecnologia, un ritorno alle origini sembra possibile. La natura torna a essere protagonista e diventa nuova musa nel mondo dell’arte, della moda, del design. È quello che succede in Cina ad esempio, dove è in cantiere la prima città-foresta al mondo: uffici, case, alberghi, ospedali, scuole, interamente ricoperti di alberi e piante. Commissionato dal Liuzhou Municipality Urban Planning, il mastodontico progetto sorgerà a nord di Liuzhou, nella provincia meridionale e montuosa dello Guangxi, in un’area di circa 175 ettari lungo il fiume Liujiang e verrà realizzato dallo studio italiano Stefano Boeri Architetti, che ha già al suo attivo vari progetti "green" come il bosco verticale di Milano o le foreste verticali di Nanjing. Ecco alcuni dati: una volta terminata, nel 2020, la nuova città di 30.000 abitanti ospiterà 40.000 alberi e circa 1 milione di piante di oltre 100 specie diverse; totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico, grazie alla massiccia collocazione di verde la città-foresta porterà a un miglioramento della qualità dell’aria (assorbendo oltre alla CO2 le polveri sottili per un totale di circa 57 tonnellate all’anno), una riduzione della temperatura media e un implemento della biodiversità delle specie viventi. Non è un caso che la Liuzhou Forest City nasca proprio in Cina, avanzatissima eppure piena di contraddizioni. Perchè se da un lato è il principale produttore di energia ricavata da fonti solari al mondo, rimane anche il Paese con le emissioni di CO2 più alte; da un lato una politica ambientale libera da energie fossili, dall’altro livelli di inquinamento che raggiungono i massimi storici. Cosa è cambiato? Dopo anni di speculazione il Paese è diventato consapevole di un’emergenza ambientale cui cerca ora di porre rimedio ripensando totalmente il rapporto fra urbanistica, natura e uomo. Eppure, al di là dei sempre più numerosi progetti green friendly,
Null Stern Suite Frank e Patrik Riklin e Daniel Charbonnier
la natura può anche essere un ottimo punto di partenza per una riflessione sulle contraddizioni del mondo moderno, come nel caso dell’Hotel a zero stelle che sorge nel bel mezzo del Cantone Svizzero di Appenzell. Gli artisti concettuali Frank e Patrik Riklin e Daniel Charbonnier, co-fondatore del marchio Null Stern, hanno creato la suite che non ti aspetti: niente muri, niente soffitto, solo un letto sotto il cielo stellato. Si trova sulla solitaria sommità di Göbsi (1200 metri sul livello del mare) a Gonten, completamente immersa nella natura e circondata da un panorama mozzafiato. Dotata solo di due comodini e due lampade, ha per maggiordomo un contadino del posto mentre il bagno, last but non least, si trova in una baita a pochi minuti dalla suite. Un giorno, spiegano i fondatori, la Null Stern suite si trasformerà in un luogo di cultura ospitale e creativa, intanto questa originale opera di land art ci invita a riflettere sul tema dell’ospitalità, sulla natura e sul concetto di lusso, e sui paradossi della società moderna. L’hotel a zero stelle, che di fatto permette di vederne migliaia ma è ben lontana dal classico concetto di luxury lifestyle, non è poi accessibile a tutti: costa circa 300 dollari a notte (295 franchi svizzeri) e con 1300 richieste di prenotazioni da tutto il mondo, il 2017 è già tutto esaurito. Le interpretazioni che la natura offre sconfinano non solo nel mondo dell’arte concettuale, ma anche in quello della moda. “Vitamin” è il tema e il nome della nuova serie di visual di Pleats Please Issey Miyake, la celebre linea caratterizzata da tessuti plissettati che ha suggellato il successo dello stilista giapponese. Così cavolo, peperone, banana e altri freschi ortaggi nascono dalle stoffe che caratterizzano il brand, abbandonando momentaneamente le classiche nuance scure per diventare colorate, divertenti, vitaminiche per l’appunto. Non ci sono dubbi, la natura continua a essere musa prediletta in ogni arte poiché, citando Einstein, “Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata”.
Liuzhou Forest City ©Stefano Boeri Architetti
G.L.
Vitamin Issey Miyake
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Pellicce sempre più glam! Tra effetti patchwork, faux furs nelle nuance pastello e peluche super chic.
OCCHIELLO FASHION
STATEMENT FURS
LOUIS VUITTON
PRADA
MARNI
MSGM 22
Un elogio al check trend. Fantasie tartan e delicati quadretti sono fra le tendenze in voga per questo autunno inverno. Tra eleganza inglese e accenti sporty-street.
occhiello Trend
COUNTRY STYLE
VIVIENNE WESTWOOD
DAKS
COACH23
FACETASM
DAMIR DOMA
Modello Fedor della collezione Mykita X Damir Doma. Raffinati e minimal
Pezzi must-have per l’autunno inverno 2017/18. Un’esclusiva selezione di scarpe, occhiali da sole e borse pronti a diventare i protagonisti indiscussi della fredda stagione.
OCCHIELLO
TOP ACCESSORIES
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OCCHIELLO ACCESSORIES
MIU MIU ©Carin Backoff Sandali in pelliccia sintetica con fibbia gioiello
MYKITA for 424
FENDI Zaino logato in tessuto hi-tech
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Occhiali rotondi customizzati in edizione limitata
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OCCHIELLO ACCESSORIES
DIOR HOMME Borsa Newave con dettagli in pelle di vitello nera e sneakers dalla doppia suola a contrasto
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CALVIN KLEIN Wild west boots con punta di metallo
CHANEL Borsetta astronave con catena dall’allure futuristica
DSQUARED2 Hiking Boots
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PRENDITI CURA DELLA TUA BARBA!!!
Nelle migliori profumerie l’esclusivo cofanetto CHE BARBA! All’interno gli indispensabili prodotti Hipsteria e il “manuale illustrato per la manutenzione di barba e baffi”, pubblicato da Idee Editoriali Feltrinelli.
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OCCHIELLO BOOK
Le “visioni”di inchiostro di Gian Paolo Serino I libri da non perdere. Le anticipazioni del nuovo attesissimo romanzo di Paul Auster, tornato alla bravura dei primi romanzi, e di Ipotesi di una sconfitta dello scrittore italiano visionario Giorgio Falco.
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4321 di Paul Auster Einaudi (pagg. 886, euro 20)
321 è un romanzo di formazione visionario che racconta il periodo adolescenziale della vita di Archie Ferguson (in realtà lo stesso Auster) in quattro differenti versioni: un ragazzo ebreo nato a Newark nel 1947 (Auster mantiene la narrazione incollata all’ordine cronologico, procedendo metodicamente dagli anni della post infanzia di Ferguson fino ai primi vent’anni, concentrandosi sugli argomenti in genere più importanti in quella fase della vita: famiglia, amici, scuola, sport, sesso, primo approccio alla politica. Ciò che rende 4321 originale e maledettamente complicato è il fatto che Auster abbia distribuito la sua storia su quattro canali diversi, come rotaie che viaggiano parallele. I lati positivi di questo impianto narrativo, forse, non sono immediati da essere colti: Auster sceglie una narrazione che procede adagio, lentamente, impiegando un centinaio di pagine per descrivere con esattezza i lineamenti fisici e i dettagli caratteriali del protagonista. In tutte le quattro versioni, Ferguson è l’unico figlio di Rose Adler - lei una volta è una fotografa, una volta madre e moglie casalinga - e di Stanley Ferguson,
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Ipotesi di una sconfitta di Giorgio Falco Einaudi (pagg. 212, euro 19,50)
a uno degli scrittori italiani più visionari - autore de L’ubicazione del bene (molto vicino al Capitale Umano di Stephen Amidon e all’omonimo film, con una periferia caratterizzata ormai omologata da un’architettura di ipermercati e villette a schiera e de La gemella H, il romanzo più potente degli ultimi dieci anni) - in questo nuovo Ipotesi di una sconfitta Giorgio Falco racconta che da bambino amava la divisa da autista degli autobus che il padre indossava ogni giorno per andare al lavoro, tanto che a carnevale voleva vestirsi come lui, anziché da Zorro, chissà se per emularlo o per demolirlo. Questo romanzo autobiografico, dunque, non può che cominciare con la storia del padre: solo raccontando l’epica novecentesca del lavoro come elevazione sociale, come salvezza, Falco ne può testimoniare il graduale disfacimento, attraverso le proprie innumerevoli esperienze professionali
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gran lavoratore - totalmente non comunicativo - che possiede e gestisce ora un negozio di elettrodomestici chiamato “3 Brothers Home World”, ora una catena di negozi dello stesso tipo chiamata Ferguson’s. In ogni versione della storia, la famiglia vive in un diverso (anche se pressoché identico) quartiere residenziale del New Jersey, Montclair, West Orange, Millburn o Maplewood. Le quattro versioni della vita iniziale di Ferguson sono talmente simili che il lettore faticherà a tenerle separata l’una dall’altra. In ogni versione, comunque, un evento fatale per gli affari di Stanley padre (una volta un furto, poi un incendio, una morte improvvisa o la vendita del business) conduce a nuove situazioni. Il risultato è che i quattro Ferguson del secondo capitolo sono più facilmente distinguibili di quelli del primo. In una versione, la famiglia vive al di sotto della middle class. In un’altra è middle class pura, mentre in un’altra è ricca e fa parte dell’upper class. Nella variazione più clamorosa, Rose e Archie si trasferiscono a Manhattan, immergendosi in un mondo più sofisticato fatto di gallerie d’arte, concerti jazz e di musica classica, film europei impegnati e scuole private.
cominciate durante il liceo per pagarsi una vacanza mai fatta. Operaio stagionale in una fabbrica di spillette che raffigurano cantanti pop, il papa e Gesù, per 5 lire al pezzo (tranne Karol Wojtyla, che si fa gratis). Venditore della scopa di saggina nera jugoslava, mentre in quella che sarebbe diventata la ex Jugoslavia imperversa la guerra. Aspirante imprenditore di un’agenzia che organizza eventi deprimenti per le élite. Analista del credito per una multinazionale telefonica. Redattore di finte lettere di risposta ai reclami dei clienti: a un certo punto si rifiuta di farlo e viene confinato in uno sgabuzzino, dove mangia, beve, urina in una bottiglia e scrive. Sino a quando non si licenzia, per l’ennesima volta, e decide di sostentarsi con le scommesse sportive. È la fine, o solo l’inizio. Perché questa è anche la storia - intima, chirurgica, persino comica - di un lento apprendistato per diventare scrittore, e di come possa vivere un uomo incapace di adattarsi.
occhiello SPORT
Ho messo KO il dolore Si chiama Gevorg “Giorgio” Petrosyan, è il re della K1 (ovvero la kickboxing con l’aggiunta delle ginocchiate). Si è appena aggiudicato per la sesta volta il titolo di Campione del Mondo di Thai Boxe, ma la vera battaglia l’ha combattuta contro l’odissea della vita…
a Erevan, in Armenia, partì come Gevorg. Da tre anni è italiano: cittadino per meriti sportivi e per una lettera che dopo un importante incontro a Roma gli fece recapitare l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lettera corredata da una bandiera tricolore, che il campione Petrosyan conserva oggi nel suo appartamento di Milano. E che è l’emblema di una storia che si compie: perché a Milano Giorgio arrivò col padre e un fratello, quando aveva 14 anni, immigrati illegali nascosti nel cassone di un camion, 10 giorni di viaggio passando dalla Russia. La prima notte dormì col padre e il fratello in stazione Centrale. A Giorgio Petrosyan la vita ha chiesto di combattere fin da subito. Nella sua fantasia di bambino, Giorgio sarebbe voluto andare a Milano perché lì giocava Ronaldo, mentre suo fratello impazziva per Del Piero e avrebbe preferito Torino. L’approdo finale, invece, dopo tante porte in faccia, altro freddo e altra paura, è Gorizia. Qui Giorgio cresce votandosi anima e corpo alla kickboxing: si tiene lontano da vizi e distrazioni, sceglie la disciplina, l’allenamento duro. Sceglie di diventare un campione. Inanellando una vittoria dopo l’altra rimane imbattuto per quasi sette anni, vince i più importanti titoli mondiali e diventa un’autentica leggenda vivente delle arti marziali. Ma gli avversari di Giorgio non sono soltanto sul ring: i più pericolosi sono i demoni che si affacciano nei momenti bui, sono gli infortuni, sono le frontiere. Sì, perché fino al 2014, quando riceve dal Presidente Napolitano la cittadinanza italiana per meriti sportivi, Giorgio è un rifugiato, un senza patria, ogni combattimento internazionale è una sfida nella sfida, ogni passaggio di confine una rocambolesca, a volte tragicomica avventura. Ma Giorgio è uno di poche parole, la disciplina è il suo tutto. Ci pensa un libro a fronteggiare i fantasmi del suo passato: Con le mie mani (Rizzoli, pp. 340, €18). La storia di un uomo che, partito dal niente, si è arrampicato fin sul tetto del mondo. Che a forza di sacrifici, prima nella vita e poi in palestra, ha fortissimamente voluto realizzare i suoi sogni, e questi sogni ora li sta vivendo. La storia di uno per cui combattere è un destino.
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Con le mie mani di Giorgio Petrosyan con Stefano Bizzi Rizzoli (pagg. 350, 18 euro)
Gevorg “Giorgio” Petrosyan ©Wagner MMela
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Visionaries
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INTERVIEW
testo di Marco Torcasio
Palm Angels SS 2018 ©Indigital Images
DEAD (?)
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SUBCULTURE Fashion
INTERVIEW
Francesco Ragazzi, designer di Palm Angels fonda il Lonely Hearts Club, un hub assetato di nuova energia in cui i neoadepti ballano solo hip hop, r’n’b e musica elettronica. Tra i club più underground del momento, è un esperimento che mixa atmosfere dark a una policy “members only” e nasce dallo slancio creativo di un bad boy nato a Milano, ma cresciuto a pane e skateboard tra Manhattan e Venice Beach.
Fashion
P
alme a Milano? No, quelle tanto controverse di Piazza Duomo stavolta non c’entrano nulla. La vera rivoluzione si fa strada in città all’ombra di quelle che sembrano toccare il cielo della California. Palme agitate da un vento di cambiamento che profuma d’oceano e viaggia veloce a bordo di skateboards consumati. Ha preso stabilmente quota negli ultimi due anni e ha già dimostrato di poter soffiare forte sulle passerelle più importanti, comprese quelle milanesi appunto. Soffia a pieni polmoni grazie all’atteggiamento consapevole e risoluto del suo padre spirituale, Francesco Ragazzi che, con il suo brand Palm Angels, si autoproclama rifondatore di quella subculture che a Milano manca da un pezzo. I codici estetici sono dichiarati: tute in acetato, ciabatte e colore, tanto colore. Quelli acustici altrettanto: hip hop e r’n’b a profusione come fossimo in un video di Notorius Big. Il risultato è scenografico e riesce a imprimersi come un universo di riferimento impossibile da non notare. Gli occhi sono tutti puntati sullo sviluppo del brand, ma quelli di Jaguar ci hanno visto lungo prima degli altri dando vita a una partnership svelata in occasione dell’ultima fashion week. Per l’anteprima italiana di Jaguar E-Pace, i due brand hanno realizzato LONELY HEARTS CLUB Palm Angels for Jaguar, un secret club dal concept innovativo ispirato alle luci della nightlife californiana. Un’alcova sotterranea per chi rifugge i cliché e crede molto nel potenziale di Milano come città ancora in grado di sfidare i big places della creatività internazionale. Siohban Bell, Virgil Abloh, Sebastian Ingrosso, A$AP Rocky, Binx Walton avvistati in consolle. Ma manca ancora qualcosa prima che il cerchio si chiuda. Abbiamo chiesto cosa direttamente al Creative Director di Palm Angels Francesco Ragazzi.
Hai mai fatto parte di qualche clan della scena alternativa milanese quando abitavi in città? Non appartenevo a nessuna community particolare perché la scena milanese sotto quel punto di vista non era così forte. Ma via via costruivo comunque la mia visione artistica. Associandoti a un certo immaginario statunitense hai reso possibile una caratterizzazione forte del brand. Pensi di affrancarti nel tempo da certi status symbol per imboccare nuove strade? Per crescere bisogna sempre rimanere fedeli al proprio DNA. Io voglio costruire la crescita di Palm Angels proprio in base a quei parametri fondamentali che adesso mi differenziano dagli altri brand.
Raccontaci che cos’è il Lonely Hearts Club e perché hai voluto portarlo qui a Milano. Ho replicato il prototipo di club che avevo già lanciato a giugno a Tokyo. È un’idea nata piano piano, un esperimento. L’impulso primario, condiviso da Jaguar, che ha deciso di sposare il tutto proponendomi questa partnership, è stata la volontà di fare qualcosa per Milano. Io sono nato in questa città, anche se poi ho vissuto un po’ in tutto il mondo, ma ci tengo molto e vorrei vederla primeggiare sulle altre, almeno in Europa, visto che ancora non possiamo competere con New York. Sono stato contattato perché Jaguar ha avuto modo di conoscere e apprezzare lo stile Palm Angels per poi decidere di affidarsi a qualcosa di totalmente nuovo dandomi carta bianca. Chi ha curato la selezione degli ospiti? Ho fatto tutto io. Ho scelto Siohban Bell, Virgil Abloh, Sebastian Ingrosso, A$AP Rocky perché significano qualcosa per il mondo in cui voglio proiettare Palm Angels. Voglio che Milano ridiventi un punto di energia. Il dialogo tra moda e musica è possibile solo attraverso la voce del rap? Nel mondo Palm Angels sì. Al di fuori di esso la moda ha poi i suoi molteplici linguaggi. La genesi di Palm Angels parte - non tutti lo sanno - da un libro fotografico che include un’introduzione di Pharrel Williams… Sono passati tre anni dalla pubblicazione del mio libro. Io nasco come fotografo e quello fu un progetto fotografico contemporaneo sugli skaters di Los Angels. Realizzandolo ho creato un vero e proprio manifesto del brand cui sono seguiti diversi progetti fino ad arrivare a vere e proprie collezioni, sia donna che uomo, destinate alle passerelle.
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Palm Angels SS 2018 ©Indigital Images
INTERVIEW
Playboi Carti
Lonely Hearts Club by Palm Angels Night ©Emanuela D’Angelo
(sotto) Francesco Ragazzi insieme a Andrew Mukmal, Binx Walton e Lexi Boling
Sihoban Bel
Le controculture non esistono più, che cosa oggi può ancora definirsi sotterraneo in modo autentico? La sottocultura non esiste più per una ragione, l’avvento del digital. I social media, in primo luogo, hanno scoperchiato le culture underground portandole sotto gli occhi di tutti. La cultura street di Los Angels invece non è ancora così sputtanata. Il mio punto di contatto con quel poco che possiamo ancora definire underground è la musica. Esistono connessioni tra Los Angeles e Milano? I navigli sono la nostra Venice Beach? Il punto di contatto sono io. La mia visione. Non è possibile tracciare alcun parallelismo realistico e importante. Per unire la cultura americana con quella italiana l’unica via possibile è quella della reinterpretazione… e io ci sto provando con Palm Angels. Che cosa significa affacciarsi su un mercato come quello italiano che conta pochissimi brand con un’identità come quella di Palm Angels? Se il mercato italiano è capace di avvicinarsi a un brand come il mio, e Jaguar ne sta dando dimostrazione, ciò significa che è un mercato attento e capace di proiettarsi in avanti. L’apertura di monomarca, come quelli che stiamo per aprire in Asia, è ancora prematura ma spero che anche Milano presto possa avere il suo Palm Angels Store.
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Palm Angels SS 2018 ©Indigital Images
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testo di Anna Rita Russo Strateas Carlucci Menswear Collection Fall Winter 2017/18
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English text
INTERVIEW OCCHIELLO
Hanno vinto riconoscimenti di prestigio, come l’International Woolmark Prize, e hanno solcato le passerelle di Parigi e Milano. Il brand australiano Strateas Carlucci racconta una storia oltreconfine. Un talento che fa la differenza. Una moda non convenzionale che omaggia l’arte di grandi fotografi. E che si fonde con il design, la ricerca e la sperimentazione. Il risultato sono creazioni non scontate.
Sono basati nell’affascinante continente australiano e già da qualche anno il loro nome rumoreggia tra gli up coming designer più talentuosi della scena fashion contemporanea internazionale. Si chiamano Peter Strateas e Mario Luca Carlucci e sono il duo stilistico che si nasconde dietro al brand Strateas Carlucci, fondato nel 2013. Multiculturalità, diversità e unicità sono le parole chiave delle loro creazioni, intrise di importanti riferimenti artistici. Grande attenzione alla sartorialità e alle costruzioni coniugate a uno spirito sportwear e un approccio utilitaristico, che si integrano perfettamente con ogni capo. Foggiando modelli senza tempo, in cui i classici materiali vengono interpretati in un modo originale e innovativo, celebrando uno stile minimalista, in un gioco di opposizioni binarie su cui si basa l’estetica del brand. Di recente gli occhi sono stati puntati sulla prima Resort battezzata Transit, presentata durante la fashion week australiana, con un omaggio ai lavori del fotografo cinese Ren Hang, suicidatosi a soli 29 anni. Mentre la collezione per l’autunno inverno 2017/18 richiama la fotografia erotica dell’artista giapponese Araki. Bravi, giovani e con un estro creativo non convenzionale. Frutto di una perfetta combinazione tra arte e design, innovazione e sperimentazione. Che conia una moda destinata sicuramente a un pubblico di ricerca.
L'industria della moda sta cambiando. Questa condizione attuale può influenzare un giovane designer? L'industria si è evoluta ed è cambiata rapidamente negli ultimi anni, causando molti vantaggi e svantaggi, poiché i marchi emergenti hanno difficoltà Mario Luca Carlucci ad aderire a questi cambiamenti, così Peter Strateas come i brand più consolidati, i quali anch’essi stanno tentando di mettersi al passo coi tempi. La tecnologia ad esempio può essere considerata un vero vantaggio, perché permette a un brand giovane di raggiungere un pubblico globale. Tutto ciò però può generare un problema all’interno del sistema stesso, dato che il mercato diventa sempre più saturo e l’industria sempre più spietata. Da dove viene l’ispirazione? Ogni stagione creiamo le collezioni basate su un concetto di opposizione binaria che nasce come idea di fondo. Fondendo e collidendo mondi e nozioni opposte, ciascuna collezione si nutre di contenuti unici e disinibiti. Ci ispiriamo spesso ad artisti, musicisti, autori e filmmaker, in particolare a coloro che infrangono le norme, spingendosi oltre i confini. Ad esempio, l'ultima collezione FW ha come fonte di ispirazione i lavori dell'artista giapponese Nobuyoshi Araki. Nelle sue opere Araki esplora la pornografia, il feticismo e la sessualizzazione di oggetti non sessuali, concentrandosi su una parte dell’oggetto o del soggetto, che a volte sembra qualcosa di esplicito, ingannando lo sguardo. Giocando minuziosamente con l'ispirazione delle immagini esplicite di Araki, reinterpretiamo il concetto di feticismo attraverso accessori traforati, maxi cerniere di forma fallica posizionate su parti molto particolari dei capi, catene, occhielli e cinturini. Dalla pelle si passa in modo naturale al mo-
tocross contaminato da riferimenti all’outback australiano, visibile nell’uso di dettagli e styling ispirati al mondo delle moto. Come descrivereste, in generale, il vostro approccio alla moda? La moda è un equilibrio di creatività e commercialità. L’industria fashion, così come le altre industrie, è considerata un vero e proprio business, ed è giusto quindi che abbia un certo appeal commerciale. L’approccio che ci caratterizza consiste nel cercare di ridurre al minimo il divario tra creatività e aspetto commerciale, realizzando più di un semplice prodotto. Continuano a nascere nuovi brand, alcuni hanno vita breve mentre altri cercano di sopravvivere. Quali sono le strategie competitive più forti che un talento emergente dovrebbe sviluppare per lavorare a lungo termine? È veramente difficile dare una risposta a questo e trovare una soluzione. Negli ultimi anni il mercato è diventato estremamente saturo, e oggi è fondamentale riuscire a comunicare con il proprio lavoro qualcosa di interessante e unico. Bisogna avere una visione chiara e personale. Tralasciando il talento e la creatività, la moda è un business, quindi è necessario avere all’interno di un team lavorativo un componente o una persona che abbia un forte senso degli affari. Pensiamo inoltre che esistano una serie di opportunità in grado di sostenere i designer emergenti, come i contest, la stampa o il celebrity dressing – insomma tutto ciò che possa aiutare a distinguere un brand dalla massa. Quali sono le creazioni che vi hanno emozionato maggiormente? È davvero eccitante quando un’idea lavorativa si concretizza e tutti gli elementi entrano in relazione tra di loro. Abbiamo molta fiducia nel design intelligente, ovvero quello guidato da un principio concettuale. Siamo felici quando una collezione riesce a raccontare una storia.
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Qual è il miglior vantaggio di essere un giovane designer in Australia? L'Australia è essenzialmente un mercato giovane e nuovo all’interno di un contesto globale. Così essere basati in un mercato emergente è senza dubbio emozionante, perché si ha la possibilità di mostrare al mondo qualcosa di unico che non si conosceva prima. L'Australia ha un ambiente differenziato e multietnico, con una cultura che attrae ogni angolo del mondo, grazie a un interessante mix di aspetti vecchi e nuovi. Entrambe le nostre famiglie hanno migrato in Australia dall'Italia e dalla Grecia, perciò abbiamo un’idea multiculturale del Paese. Però da un punto di vista globale, l’Australia è un continente ancora troppo sconosciuto e credo sia un grande vantaggio interpretare il territorio attraverso le nostre creazioni. E invece la difficoltà maggiore? La difficoltà più evidente è che siamo situati dall'altra parte del mondo - per cui ciò crea molte sfide per la vendita all'ingrosso e la logistica, nonché per la produzione. Che ruolo ha l’arte nella vostra vita? L’arte è un must. È il cuore di ogni nostra creazione. E questo è molto importante sia per noi come persone che per il nostro lavoro.
Orchis Fall Winter 2017/18
Avete sfilato con la collezione Resort in Australia... mostrando una serie di capi con un’attitudine rilassata, sexy (trench e giacche senza pantaloni) e ricercata. Con un focus sui materiali e sulle forme. È stata la nostra prima collezione Resort chiamata TRANSIT. Ci siamo ispirati al Paris Metro e al lavoro del recente artista cinese Ren Hang, analizzando quello che si nasconde sotto lo strato superficiale. Ren Hang è un fotografo che nelle sue opere esplora libertà, rivolta e giocosità, soprattutto riprendendo nudi in compromettenti composizioni del corpo umano. Il suo lavoro è stato celebrato e censurato in egual misura. Come punto di partenza esploriamo e confrontiamo la crudezza e la bellezza del mondo reale e del sottosuolo del Paris Metro, in contrasto con la superficie della città e le immagini crude e provocatorie dei nudi di Hang, che sono belle e audaci, ma parlano di purezza. Il Tiffany & Co. National Designer Award ha segnato un punto di svolta per la vostra carriera professionale... senza dimenticare l’International Woolmark Prize. Una grande soddisfazione... qual è invece il prossimo obiettivo? Siamo stati fortunati ad aver ricevuto alcuni riconoscimenti di settore, tra cui il Tiffany & Co Designer Award e l’International Woolmark Prize. Sono pietre miliari straordinarie per il marchio, perché ci hanno dato la possibilità di fare cose incredibili, come sfilare all’interno del calendario ufficiale della Fashion Week di Parigi e la settimana della moda di Milano. Il prossimo step è continuare a espandere il nostro business a un ritmo costante, fino a esplorare diversi ambiti ogni stagione. Vogliamo lavorare a stretto contatto direttamente con i consumatori e la tecnologia, in modo da scoprire ed esaminare nuovi concetti.
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Menswear Collection Fall Winter 2017/18
Infine, avete presentato la collezione primavera estate 2018 a Pitti Immagine Uomo, a Firenze, all’interno del progetto speciale Australia Guest Nation. Cosa rappresenta l’Italia per voi? L’Italia è il fulcro e il pilastro della comunità fashion mondiale e possiede inoltre una ricca eredità culturale. Ci riteniamo davvero privilegiati ad essere stati invitati in occasione della scorsa edizione di Pitti per il progetto Australia Guest Nation. Speriamo di continuare a crescere e soprattutto lavorare di più in Italia.
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“Le mani” di Quinn da Venezia all’Artico È l’opera più amata dal pubblico, fotografata e discussa a Venezia. S’intitola “Support” e sono le due grandi mani che “sorreggono” Cà Sagredo sul Canal Grande, come ci racconta il suo autore, l’artista italoamericano Lorenzo Quinn, classe 1966, figlio del grande attore Anthony Quinn e di Jolanda Addolori. testo di Laura Vincenti La sua opera fa molto discutere…. Non cerco mai la polemica, ma l’unione: sempre! Se poi l’opera fa discutere è un’altra storia: “Support” non fa parte della Biennale, non è stata accettata alla mostra internazionale d’arte contemporanea; ma ho pensato che per esporla non avevo bisogno del permesso della Biennale ma di quello della città: al sindaco è piaciuta molto l’idea, l’ha supportata e ci ha dato i permessi. D’altronde quando c’è la Biennale tutti gli occhi del mondo dell’arte, e non solo, sono puntati su Venezia e io non volevo mancare. Cosa rappresenta questa installazione? La scultura è stata creata per supportare la causa ambientalista e sensibilizzare il pubblico sui problemi legati al cambiamento climatico nel mondo, ma è in appoggio a tutte le grandi cause in generale. La scultura dice che le mani possono fare molto, possono distruggere ma anche creare, aiutare, possono togliere la vita ma anche darla e io ho fiducia nell’essere umano. Al pubblico, ma anche a parte della critica, piace molto… Sono lusingato e orgoglioso di com’è stata accolta questa opera, è semplice in fondo: sono due mani di un bambino, quelle di mio figlio, che rappresentano la pace: i bambini sono il nostro futuro: che mondo lasceremo loro? È un messaggio diretto, immediato e sono contento che sia stato capito, è bello perché vedo la gente che scatta le foto all’opera ma anche un sorriso sulle loro facce: anche se il messaggio è importante, duro, riesce comunque a strappare un sorriso a tutti, entra nel cuore delle persone. Devo dire che non mi aspettavo tutto questo successo: sapevo che sarebbe stata spettacolare perché già Venezia di per sé è uno spettacolo. Ma non ero sicuro che sarei riuscito a realizzarla perché mettere un’installazione così sul Canal Grande non è stato semplice, sia dal punto di vista tecnico che dei permessi: sono di un materiale riciclabile, ogni mano pesa circa 2500 kg e si regge su pilastri che penetrano per quasi 12 metri nel canale. Dopo Venezia vorrei che queste mani viaggiassero e andassero in altri posti “a rischio” nel mondo: ho in progetto di portarle in Artico, sempre per richiamare l’attenzione del pubblico sui problemi ambientali e legati al cambio climatico. Cos’è l’arte per lei? L’arte non è quello che vedi ma quello che senti quando la vedi:
un’opera ti deve entrare dentro, non devi essere un critico per apprezzarla. Per me l’arte è importante per vivere meglio. Lei ha un legame particolare con Venezia… Mia madre, che purtroppo è mancata l’anno scorso, era veneziana, e anche mia moglie lo è, ho un rapporto molto speciale con questa città. Io però vivo a Barcellona, l’Italia è un paese bellissimo da visitare, ma non ci vivrei mai! Soprattutto per motivi burocratici, qui è tutto complicato, mentre la Spagna è più organizzata. Sono nato a Roma, sono italiano ma anche americano e ho vissuto in tante città. In Italia sono stato bene finché ero giovane, ma è molto difficile vivere qui: certo non potrei vivere senza tornare in Italia, senza respirare il calore umano che si respira qui, senza il cibo italiano. Ha mai pensato d’intraprendere la carriera di attore come suo padre? Io ho iniziato facendo il cinema: da giovane recitavo, dipingevo, scolpivo, suonavo, insomma sapevo che volevo essere un artista ma non in quale ambito, poi è stata mia moglie che mi ha spinto verso la scultura. Il cinema è un lavoro di gruppo, mentre la scultura è opera di un artista solo: secondo me è più difficile fare un bel film che una bella scultura o un bel quadro dove decidi solo tu. E poi nella scultura realizzo il mio sogno: dico quello che voglio, invece come attore nel cinema interpreto il sogno di un altro. Un ricordo di suo papà? Beh, è stata una figura importante, mi ha dato molto e mi ha permesso di conoscere tante culture, tante persone interessanti, mi ha arricchito e questo mi è servito anche per il mio lavoro. La sua opera è la più fotografata e postata, lei che rapporto ha con i social? Mi piacciono molto, soprattutto Instagram: cerco di avere sempre un rapporto diretto con i miei followers però purtroppo nell’ultimo mese non sono riuscito a rispondere a tutte le domande e a tutti i commenti perché non ho tempo, allora metto solo il cuoricino, anche se mi dispiace. Ho capito da tempo come devo usare i social media: solo per lavoro e mantengo la mia vita privata. Magari scatto una foto con mia moglie o mio figlio vicino a una mia scultura, ma non in vacanza o al ristorante: cosa faccio nel tempo libero sono affari miei!
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Give and Take by Lorenzo Quinn
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INTERVIEW
Tra sogno e realtà con i disegni di Giorgia Ricci testo di Anna Rita Russo illustrazioni di Giorgia Ricci
È affascinata dal mistero e le figure femminili. Le sue eclettiche illustrazioni hanno conquistato il mondo del fashion. La giovane artista riminese ci racconta l'evoluzione del suo mondo nell’era del digitale. Pink lady Acrylic on canvas
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a 40 anni, un aspetto da ragazzina e una voce entusiasta quando parla di sé e del suo lavoro. Ha studiato al Polimoda di Firenze, ma nel momento in cui è stata presa all’ISIA di Urbino ha deciso di fare uno switch, mollare tutto per percorrere una nuova ardua strada, che l’ha portata a sperimentare l’immagine e la fotografia. A Fabrica scopre il disegno e si lancia presto nel mondo della moda. Da lì una serie di collaborazioni con brand di casualwear e importanti riviste cartacee - tra cui l’inserto de El País - mentre oggi si destreggia tra la sua attività come illustratrice e un progetto di sperimentazione sulle ceramiche. La riminese Giorgia Ricci è un modello di tenacia e fiducia per le nuovissime generazioni. Per far comprendere ai giovani che le passioni, quelle fortemente desiderate, si possoParliamo dei tuoi lavori. Sono tutti originali e personali, oltre no realizzare con la disciplina, la costanza e l’intraprendenza. che femministi. Hanno quasi un’anima surrealista. Descrivici Senza fermarsi e arrendersi mai. Ed è questo che Giorgia si il metodo creativo e quali sono le tue influenze maggiori? pone come obiettivo da sempre. Con un ambizioso e particoIl mio modo di approcciare il disegno e l’illustrazione è camlare sogno nel cassetto: evadere in un luogo diverso, da New biato nel corso degli anni. Ho un metodo personale che vaYork a un piccolo e sperduto paese della Sicilia, per mettere ria a seconda del lavoro che ho in corso. C’è stata però una alla prova il suo talentuoso estro creativo. figura che sicuramente ha avuto un peso importante nella mia visione di vita fin da giovane e che mi ha fortemente ispirato. È Dino Buzzati, giornalista e scrittore, un grande Partiamo dall’inizio. Come sei diventata un’illustratrice e perché hai artista che viveva la pittura con grande intensità. All’inizio deciso di intraprendere questa strada? ero affascinata da quel senso di mistero della sua narrativa, La mia formazione è sempre stata abbastanza coerente e fin da poi ho scoperto la sua pittura e ne sono rimasta folgorata. giovane sono stata attratta dal mondo della moda. Ho iniziato un Ha anticipato la graphic novel e aveva una lettura malincorso di stilismo al Polimoda di Firenze, poi sono riuscita a entraconica dell’esistenza, che ho cercato di riportare nelle mie re all’ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Urbino, opere. In fondo si sa, ti rimane dove ho preso coscienza della mia sempre qualcosa del passato forte passione per l’immagine e in che poi vai a ricercare. E Dino particolare per la fotografia. Erano Buzzati è un mio importante gli anni dell’analogico e trascorrepunto di riferimento ancora vo intere giornate in camera oscuoggi. Una sorta di mentore. ra. Successivamente arriva Fabrica,
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il centro di ricerca sulla comunicazione del Gruppo Benetton e tra i luoghi all’epoca più interessanti e unici in Europa, che ha inciso notevolmente sul mio lavoro. Veniva gente da tutto il mondo e ti sentivi all’improvviso immerso in una dimensione speciale. Tra gli amici che frequentavo Nico Vascellari, Gala Fernández e Jaime Hayon, persone che hanno avuto una carriera artistica di un certo livello. Lavoravo nel dipartimento di grafica dove ho cominciato a saldare il mio desiderio di disegnare. Venivo apprezzata e iniziavo a riconoscere le qualità dei miei disegni. Sono stata stimolata dalle persone che avevo attorno. Sai, la visione degli altri ti aiuta in un momento in cui stai cercando delle cose e a vedere meglio quello che fai. Da lì la moda è stato il mio canale preferenziale, alcuni stilisti si sono innamorati dei miei disegni utilizzandoli per le loro collezioni. Ho collaborato principalmente con il mondo del casual, un settore che ha più bisogno di un immaginario costante, come Replay, Twin Set, Met, Sisley o con brand sportivi. Oltre ad aziende di ceramica e tantissime riviste, tra cui l’inserto de El País, con cui mi trovavo bene, mi facevano illustrare degli articoli un po’ particolari dove ci voleva un’interpretazione narrativa artistica di certi argomenti. Insomma avevo carta bianca. Una grande soddisfazione.
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Il digitale ha fortemente influenzato il mondo del lavoro e rivoluzionato la visione comunicativa. Cosa ne pensi? Appartengo a una bella generazione che ha vissuto entrambe le realtà, sia quella dell’analogico che del digitale, assistendo man mano a un cambiamento evolutivo. Il digitale ha rivoluzionato tutto, in primis la comunicazione ma sicuramente il modo di fluire qualsiasi cosa. Da un certo punto di vista possiamo considerarci addirittura vittime di questa velocità esponenziale con cui corre la tecnologia, che influenza anche la maniera di lavorare. Questo mi spaventa e mi piace allo stesso modo. Però penso che se si riescono a utilizzare con lucidità e coscienza i mezzi che le nuove tecnologie ci offrono, possiamo trarne ottimi vantaggi. Ci sono tanti artisti che fanno tutto in digitale, io personalmente amo la carta, la penna e i pennelli. Credo comunque che l’arma vincente sia mescolare la tradizione alla contemporaneità.
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Da quale tipologia di cliente potresti trarne maggiore ispirazione? Il mondo della moda continua a piacermi molto, sarei felice di collaborare con brand di lusso, perché la distanza tra i lavori artistici e quello che i marchi alti di gamma usano è sempre più breve. Ammiro anche gli stilisti più giovani che utilizzano frequentemente nelle loro collezioni il mondo grafico e un panorama illustrativo. Quali sono i progetti a cui hai lavorato che ti hanno maggiormente entusiasmato? Sono legata a tanti progetti, ma in particolare a uno chiamato Le Loup, presentato tanti anni fa dall’azienda di Modena Lea Ceramiche e la rivista INTERNI in occasione del Salon du Meuble de Paris. Un’installazione ideata e progettata dall’architetto Diego Grandi, un corpo cilindrico interamente rivestito in materiale ceramico al cui interno avevo realizzato un’illustrazione luminosa che richiamava la versione originale della favola di Cappuccetto Rosso di Charles Perrault, interpretata in chiave contemporanea e creata con un neon tubolare di colore rosso. Cosa pensi dei social network? Instagram sta diventando un’ottima vetrina per i talenti emergenti… Per chi fa il lavoro come il mio i social diventano quasi necessari, ti permettono di avere visibilità e mostrare il proprio portfolio. Ho creato un mio profilo Instagram da poco, lo uso coscientemente, pubblicando immagini dei miei lavori e condividendo momenti personali legati ad esempio a una vacanza. Il lifestyle giusto è importante per un artista. Le aziende si affidano sempre più spesso a canali come Instagram per fare ricerca.
La tua playlist musicale include… Dalla musica classica al punk o post punk. Poi mi piace la musica elettronica e Laurent Garnier, arrivando fino a un cantautore e poeta italiano forse per tanti sconosciuto che è Piero Ciampi.
Hai un illustratore preferito? Non proprio. Con la maturità e l’esperienza ho capito che preferisco concentrarmi su di me, senza lasciarmi influenzare più di tanto da ciò che mi circonda, perché alla fine quello che conta è creare un linguaggio personale e identificabile.
Il tuo luogo ideale dove disegnare. La mia scrivania, che è gigante ed è invasa da qualsiasi cosa. Dai quadri al computer e piante. Non mi basta mai lo spazio per contenere ciò che realmente vorrei.
Don’t break my love Collage on canvas
Quello che ti piacerebbe fare e ancora non hai fatto? Mi piacerebbe evadere, star via un anno in un luogo che potrebbe essere New York o un paese isolato della Sicilia per vedere come la mia produzione artistica cambierebbe in un contesto diverso. Mettere alla prova il mio estro creativo in ambienti differenti.
Quanto conta l’immaginazione? Da 1 a 10. 8 l’immaginazione, 2 il realismo.
L’ultimo libro che hai letto? Please kill me di Legs McNeil e Gillian McCain sulla cultura del punk negli anni 60-70 in America e Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso.
(nella pagina a fianco)
Ofelia Print on methacrylate (feat. Umberto Nicoletti)
Oggi il lavoro dell’illustratore è cambiato? Cosa consiglieresti a un giovanissimo che vuole entrare nell’ambito? In un mondo che sembra essere pieno di tutto…. O è una cosa che ti viene da dentro oppure diventa tutto più difficile. Il talento serve ed è fondamentale, ma non basta. Ci vuole lavoro, disciplina, costanza e intraprendenza. Qual è il segreto per cavalcare l’onda del successo? La volontà, la curiosità e il desiderio di migliorarsi sempre. Oltre a non fermarsi mai. Il tuo prossimo obiettivo? Vorrei sviluppare di più il lavoro di sperimentazione che ho fatto con delle porcellane. È un mondo che mi ispira moltissimo. E avrei voglia di chiudermi da qualche parte per dipingere maioliche.
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The eye who predicts the invisible progetto fotografico di Biel Capllonch
“Anartista” è chi crede che gli standard predeterminati siano superflui, che gli stereotipi corrompano la creatività e che si dovrebbe contestarli per trovare un modo autonomo di esprimersi, mediante il proprio potere critico, rivendicativo e individuale. “Anartistica” è la nuova campagna di Etnia Barcelona illustrata dagli scatti onirici di Biel Capllonch, il fotografo che “guarda da fuori”.
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Dark Is The Night Courtesy of Biel Capllonch
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iente più regole, niente più confini. È l’abolizione della logica. È profondo rispetto per l’impalpabile follia dei sentimenti individuali. Un incontro di opposti e di contraddizioni. È creatività allo stato puro, gioia, follia. Sono questi i nitidi indizi da cui bisogna partire per comprendere “Be Anartist” la campagna mondiale con cui Etnia Barcelona rivela un atteggiamento diverso di guardare e capire il mondo. Colme di riferimenti cinematografici, le fotografie della campagna contengono richiami a scene iconiche di film come “Arancia Meccanica”, “Il grande Lebowski”, “Pulp Fiction” o “Il pianeta delle Scimmie”, e omaggi a registi come Hitchcock, Lynch, i fratelli Coen o Kubrick. Un elemento comune: gli “Anartisti” indossano Etnia Barcelona. La campagna vede protagoniste tutte le collezioni del brand. Originals per i puristi, Advance per i tecnologici, Vintage per gli amanti delle forme classiche e le capsule per i più arditi. Biel Capllonch, fotografo legato da molti anni all’immagine del Festival Sonar, è l’artefice degli scatti che compongono il progetto “Be Anartist”. La sua estetica cinematografica e i suoi riferimenti culturali trasversali lo rendono “Anartista” in prima persona. Gli abbiamo chiesto perché…
Come è nata la collaborazione con Etnia Barcelona? E come si sono materializzate le immagini che compongono la campagna? Ho incontrato il team di Etnia Barcelona, incuriosito dalla mia metodologia di lavoro, e abbiamo valutato diverse possibilità. Per il leitmotiv della collaborazione siamo partiti dalla parola chiave “ANARTIST”. Ho cominciato quindi a lavorare per dare forma al concetto, senza pensare troppo al significato, ma affidandomi a una serie di principi base relativi alle immagini, sostanzialmente un decalogo. Perché specifici riferimenti a particolari film e registi? L'aspetto cinematografico della campagna è stato importante sin dall'inizio. Come fosse un codice in cui muoversi per costruire le immagini. E dati i molti riferimenti comuni a me e al brand è stato facile definire al meglio il risultato finale. Supponiamo di spostarci dai film al mondo dei video musicali, ce ne sono alcuni che ti hanno ispirato più di altri? Mi diverto molto a guardarli, alcuni poi sono veri e propri gioielli creativi. Potrei elencarne diversi, ma a livello conscio non sono una fonte di ispirazione per il mio lavoro.
In che modo costruisci i tuoi servizi? Hai delle linee guida tutte tue o segui soprattutto l’istinto? Ogni immagine o serie evoca mondi diversi, anche se utilizzo spesso determinati modelli, come avviene nel linguaggio del corpo. Quando l'istinto ci spinge verso una determinata idea, questa idea continua a modellarsi sulla base di un intero catalogo di immagini già viste e che sono parte della nostra vita: selezionarle, elaborarle e ricrearle è parte del processo. Qual è l'importanza della fotografia analogica nella tua esperienza professionale? Ha influenzato profondamente il mio modus operandi; quando abbiamo girato con la view-camera eravamo pienamente consapevoli delle riprese che stavamo facendo. Preferisco filmare in poche riprese: decido tutto prima, per semplificare il lavoro. Oggi il modo di fare fotografia è cambiato, ma sostanzialmente l'atto fotografico ha origine nell'occhio umano, non nella fotocamera. Cosa significa essere un “Anartist”? Poter fare ciò che si vuole senza nuocere a nessuno.
An Anartist Decalogue #1 – The Anartist respects and does not judge the public. #2 – The Anartist creates without logic or intent. #3 – The Anartist defies space. #4 – The Anartist reinvents the format. #5 – The Anartist envisions the invisible. #6 – The Anartist believes in chaos and creates chaos. #7 – The Anartist is a sexual being. #8 – The Anartist challenges the means of communication. #9 – The Anartist battles with ideas. #10 – The Anartist does not waste time on politics. #11 – The Anartist worships his/her own gods.
Formas de Inducción al Sueño Courtesy of Biel Capllonch
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occhiello Photographer
Formas de Inducción al Sueño Courtesy of Biel Capllonch
#1 An anartistic Decalogue for Etnia Barcelona
Tra moda, editoria, arte, ecc., dove poni il tuo centro di gravità e come descriveresti il tuo stile? Mi sento più a mio agio quando esprimo ognuna di queste cose, senza preoccuparmi troppo di quello che sto facendo al momento. Quando il centro di gravità è l'arte, puoi muoverti ovunque. Il tuo legame con il Sonar Festival si è mantenuto forte nel tempo. Che tipo di contributo personale senti di aver dato tramite le tue foto? Collaboro con Sergio Caballero, direttore artistico di SONAR, dal 1999 ed è successo quasi tutto per caso. È molto raro trovare lunghe relazioni in campo creativo: buona comprensione reciproca e complicità sono cruciali. Qualcosa di simile accade in campo musicale, nella relazione tra un compositore e un interprete: tutto funziona al meglio quando l'interprete esegue il pezzo mentre il compositore ce l'ha già in mente. Come è cambiato il modo di approcciarsi alla musica negli ultimi dieci anni? Dieci anni sono un periodo lungo. L’avvenimento più importante è stata la trasformazione digitale, il modo in cui si ascolta musica e la si crea. Adesso tutto è condiviso. In questo senso, la musica è stata l'esempio pragmatico di una grande rivoluzione. Abbiamo tutto quello che vogliamo con un click. Nell’ambito musicale un tale cambiamento ha avuto ripercussioni notevoli sui consumi, mentre nella fotografia ha generato un forte impatto sulla produzione. Tutti fanno fotografie, tutti ascoltano musica online. Ma penso sia comunque importante che in un modo o nell’altro le persone continuino a interessarsi a qualcosa. Come necessità primitiva insita nell’essere umano.
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Sei un appassionato di musica elettronica? Chi sono i tuoi disc jockey preferiti? Amo la musica, in generale. Mi piace quella elettronica con tutti i suoi generi. Wendy Carlos ha fatto un grande passo avanti ma non ho disc jockey preferiti. Sarebbe arbitrario elencarli: a volte ascoltando diverse sessioni dello stesso dj si provano sensazioni opposte. Ascoltare musica è un atto emozionale: tutto dipende dal momento, dal luogo e dalla compagnia. Qual è il ruolo della fotografia nella vita dei giovani d’oggi, al netto della massificazione del gusto estetico conseguente all’uso della fotografia nei social, come instagram, pinterest, ecc.? È diventata universale e ciò è positivo. Penso che la fotografia sia diventata una forma di scrittura; quasi tutti possono scrivere. Ma come per qualsiasi cosa, quanto più puoi scrivere tanto meno puoi evitare di riempire le pagine di cose banali e insensate. Credo che sia importante sapere cosa vedere, in modo che l'occhio venga educato; nel corso della storia, culturalmente, è sempre stato così. L'occhio dell’artista sul mondo contemporaneo ha ancora il potere di sollevare domande? Sarà sempre così. L'arte suscita interrogativi che altrimenti non sarebbero smossi, che siano intimi o universali. Personalmente, mi sento attratto dalle cose che non riesco a capire, come la cosmologia, la meccanica quantistica o Dio.
OCCHIELLO INTERVIEW
Olivera, nudo come la Venere per celebrare la sacralità dell’eterno femminino 58 58
Artist
OFELIA Tate Britain, 2017 foto di Jet Brühl
Ventotto anni, spagnolo, gira i musei d’Europa per denudarsi di fronte alle grandi opere d’arte della storia, dalla Nike di Samotracia al Déjeuner sur l’herbe di Manet. Un gesto liberatorio per liberarsi da tutti i tabù. testo di Alessandro Riva performance di Adrián Pino Olivera
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OCCHIELLO INTERVIEW
I
n Italia è diventato famoso dopo essersi buttato, nudo, nella Fontana di Trevi. È successo lo scorso aprile. All’inizio, molti giornalisti hanno frainteso. “Turista nudo lancia fiori nella Fontana di Trevi”, ha scritto Il mattino dopo alcuni quotidiani. E un altro: “Voleva espiare le sue colpe e purificarsi davanti al Signore”. Ma non si trattava né di un turista, né di un mistico un po’ folle. Era Adrián Pino Olivera, artista spagnolo ventottenne, che già da alcuni anni perseguiva, con tenacia, sprezzo del pericolo e molto coraggio, un suo bizzarro, stravagante, ma straordinariamente efficace progetto:
denudarsi di fronte alle grandi opere d’arte della storia, come gesto liberatorio, catartico, «un manifesto di lotta contro la gran massa di complessi che ci sono in questa società nella sfera del pudore, a cominciare dal tabù del corpo», come ha dichiarato lui stesso. Ma a quella performance ne sono seguite molte altre: a Londra, alla Tate Britain, di fronte all’Ofelia di Millet, quindi alla National Gallery, di fronte all’Origine della Via Lattea del Tintoretto, poi a Madrid, di fronte alla Maya desnuda di Goya al Museo del Prado. Ed eccolo, ancora, in tempi recentissimi, posare nudo anche a Parigi, di fronte a Le Déjeuner sur l’herbe di Manet al Musée d'Orsay. Prima ancora, aveva fatto la stessa performance a Firenze, agli Uffizi, nel 2014, dove si era messo a pregare, sempre nudo, di fronte alla Venere del Botticelli, quindi a Parigi, al Museo del Louvre, dove si era esibito allo stesso modo di fronte alla Nike di Samotracia. Ma andiamo con ordine. Chi è questo giovane performer che trascorre il tempo girando per l’Europa e spogliandosi di fronte ai capolavori? Lui non si considera un artista, ma “un credente”, disposto anche “a morire per questo” («non credo ci sia qualcuno disposto a pagare per la mia arte», dice: «a me basta raccogliere i soldi per viaggiare e fare le mie performance, senza pretendere di entrare nel mercato dell’arte. In questo, sono una specie di punk»). «La maggior parte delle persone», spiega, «in realtà mi considera un esibizionista, un provocatore o semplicemente un pagliaccio. È la loro opinione, e io la rispetto, come tutte le altre. Ma altre persone», dice, «hanno invece abbastanza sensibilità per capire le mie azioni». Già: proviamo allora a capire meglio da dove nasce e che finalità ha il progetto di questo artista-profeta, fortemente coraggioso e innovatore, fuori dalle regole e dai codici del sistema dell’arte contemporanea.
«Il corpo», dice Olivera, «per me è un linguaggio che mi collega con uno stato materno e femminile, perché tutta la realtà attuale entro cui viviamo l’hanno costruita gli uomini. Per questo, per me, provocare è mostrare l’altra realtà possibile, quell’energia che muove tutto che è di segno femminile, grazie alla quale gli esseri umani che sono connessi alla natura mostrano il proprio corpo in modo letterale, senza aver bisogno di mettersi niente addosso». Non a caso, l’intero suo progetto, che ha una durata limitata nel tempo («durerà fino a dicembre 2018», dice, «poi cambierò direzione»), si intitola “Progetto V”. “V” come Venere, la madre degli Dèi, la quintessenza della maternità e della femminilità. «La mia visione del maschile e del femminile», dice ancora l’artista, «è che mentre il primo, il maschile, è spesso banale, triste, il secondo, il femminile, è direttamente correlato con il sacro, con il divino, con la bellezza eterna. Io sono nato uomo, ma ho la capacità di trasmettere la bellezza, evocando la poesia, il mistero, la capacità di generare la vita attraverso il femminile». Anche se, spiega Olivera, «io non voglio essere una donna: voglio semplicemente partire dalla mia frustrazione di essere uomo per innalzare un canto d’amore alla femminilità. Per questo, mi inginocchio di fronte alle immagini della femminilità e dico: vi amo, vi adoro, voi siete il mio Dio e farò di tutto per voi. Attraverso questa sua esaltazione del femminile, credo di poter contribuire a trasformare il mondo in un posto migliore. Un Giardino delle Delizie». Ed ecco perché, nelle sue performance,
Olivera non mostra mai i suoi genitali, ma li nasconde tra le gambe: «è una metafora», spiega, «per la trasformazione della mascolinità, che è simbolo di aggressività e di distruzione, nel femminile, che è amore e divinità». E perché andare proprio all’interno dei musei? «Fondamentalmente scelgo i musei perché sono generalmente governati e gestiti da uomini, che sono la viva rappresentazione della società in cui tutti dobbiamo stare tranquilli, muoverci a piccoli passi senza toccare nulla. Dentro questi musei, queste istituzioni che sono la perfetta metafora della società di oggi, qualcuno prende l’iniziativa di mostrare un’altra realtà possibile e di relazionarsi con l’arte da una prospettiva diversa. Attraverso questi atti, quello che faccio non è altro che risvegliare in un certo senso l’energia di questi quadri, renderli vivi e tornare a dar loro un senso religioso».
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Artist
DÉJEUNER SUR L’HERBE Musée d’Orsay, Parigi, 2017 foto di Toni Molinsl
FONTANA DI TREVI Roma, 2017 foto di Jet Brühl
LÁCTEA National Gallery, Londra, 2017 foto di Jet Brühl
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PORTRAIT
La mia banda suona Rock. E molto altro! 62
Music
testo di Ciro Cacciola
Quattro famiglie “allargate”, quattro insolite forme aggregate di musica e visioni. Phoenix, Arcade Fire, The Jackal, The Chainsmokers: provviste per l’autunno-inverno.
I PHOENIX in un’esibizione live
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PORTRAIT
Arcade Fire Metti un marito, una moglie, il cognato fratello di lui, l’amico dell’amica… E si accende subito un fuoco. Tutto e subito!
PHOENIX Ci amano, a noi italiani. Ma quasi non ce ne siamo accorti. Promemoria per una (possibile) storia d’amore. De gustibus... Mi piacerebbe molto andare al concerto dei Phoenix a Bogotà. Per vedere di nascosto l’effetto che fa. Thomas Mars, Laurent Brancowitz, Christian Mazzalai, Deck D’arcy sono in tour oltremanica, beati loro, almeno fino a Natale. E certo, pensando alla raffinatezza delle citazioni, all’eleganza dei suoni… fa un certo effetto pensare che ci siano migliaia di fan colombiani stufi di Luiz Fonzi e Daddy Yankee e con la voglia di ballare cose nuove, europee, un po’ francesi... Che poi invece adesso i Phoenix cantano in italiano. Come? Cosa? Ok, facciamo rewind. L’ultimo disco della band parigina s’intitola “Ti Amo”, sì, proprio come il tormentone quarantennale di Umberto Tozzi. Di fatto però Thomas Mars canticchia e cita Battiato, un certo “Lucio” (Battisti???), il gelato (speriamo sia il prossimo singolo, l’adorabile “Fior di Latte”), e persino il Festival di Sanremo. Ma la loro idea di Italia si ferma qua. La loro musica resta fresca e scorrevole come sempre, elettronica quanto basta a non infrangere quella sostenibile leggerezza dell’essere che dura dai tempi della loro hit più ballata, “If I Ever Feel Better”. Sbarcati a Parigi nello stesso momento in cui nascevano Air e Daft Punk, i Phoenix non si scompongono troppo per le loro canzoni. Dopo aver fatto incursioni nel sancta sanctorum della musica classica (con il divertente “Wolfgang Amadeus Phoenix”, nel 2009) e dopo aver esplorato le sonorità dell’Oriente in “Bunkrupt!” (2013), hanno amorevolmente messo in scena questo flirt italiano, in onore forse agli avi della nota fidanzata ufficiale di Mars, la regista Sofia Coppola, che ogni tanto li coinvolge per le colonne sonore dei suoi sempre troppo premiatissimi film. Bisogna prenderli per quello che sono: una band capace di ottimo synth pop, di dance rock, chiamatelo come volete. Minimo sforzo e massimo rendimento. Perché in fondo, ammettiamolo, se balliamo tre volte di seguito tipo: il loro ultimo successo, “J-Boy”, ci svegliamo la mattina con il ritornello in testa. “Non posso vivere. Troppo bisogno di te” dice a un certo punto il testo della conclusiva “Telefono”, ultima di dieci canzoni filo-italiche che, messe insieme, superano di poco la mezz’ora. C’è bisogno di aggiungere altro? Have Fun. Buon divertimento.
Il Canada è, oggi più fortemente che mai, il paese della speranza. Speranza per il Pianeta Terra e per i suoi abitanti. Sembra che da quelle parti resista in giro un certo rispetto per gli esseri viventi, per l’ambiente, per le diversità. Non solo perché ha un primo ministro, Justin Pierre James Trudeau, che è “giusto” come poteva essere “giusto” Obama, e “cool” trattino fichissimo come un attore del #TronoDISpade. Non solo perché ha città meravigliose come Vancouver e Toronto. Ma anche perché diffonde buona e bella musica. I Pink Martini vengono dal Canada. Drake viene dal Canada. E da Montréal, super-Canada, arrivano gli Arcade Fire. Ascoltando le loro canzoni senti tutto il rispetto che hanno per la Musica, quella con la M. Negli anni la band ha subito un po’ di scossoni, lacerazioni, lasciti, separazioni. Ma quella che resiste ora, composta dal cantante e frontman statunitense Win Butler, da sua moglie, la polistrumentista Régine Chassagne (adorabile quando suona lo xilofono!) e da William Butler (fratello di Win), Richard Reed Parry, Tim Kingsbury, Jeremy Gara e Sarah Neufeld, merita una standing ovation. Ci hanno messo del tempo per arrivare in cima alle classifiche di Billboard: nel 2010, con “The Suburbs”, strepitoso, Grammy per il Miglior Album dell’Anno e primo album indipendente a ricevere tale riconoscimento. Fanno concerti senza soluzione di continuità. Ma non sfornano dischi come fossero pizze. L’ultimo, “Everything Now”, è arrivato a quattro anni dal precedente. E ci emoziona. Diverte. Sorprende. Gli Arcade ci hanno viziato da sempre con la ricchezza del loro sound: armonizzazioni complesse, interazione live fra tantissimi strumenti musicali (chitarre, batteria, basso, pianoforte, violino, viola, violoncelli, contrabbasso, appunto xilofono, glockenspiel, tastiera, corno francese, fisarmonica, arpa, mandolino, organo, ghironda…). Stavolta hanno deciso di affondare a piene mani in certe sonorità tipiche della Disco europea fine Anni Settanta (Abba, Boney M), decade di nuova ispirazione della band come dimostra anche la cover di “Mind Games”, hit di John Lennon del 1973, realizzata apposta negli Spotify Studios di New York come b-side del singolo che dà il titolo all’album. Un disco da non perdere. Pieno di canzoni da assimilare, ascoltare e riascoltare. Dopo la collaborazione con il regista Spike Jonze (quello di “Her”, per intenderci), anche i loro video sono devenuti oggetto di… Kult. Bowie, Chris Martin, lo stesso Bono hanno avuto sempre parole meravigliose per loro. Potevamo non averle noi?
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Music
Portrait
The Chainsmokers In principio ci hanno fatto ballare come pazzi. Adesso ci cantano canzoni che potremmo portarci nel cuore per il resto della vita. A metà strada tra Blink 182 e Coldplay. Ci sono molte vie per entrare nel mondo dorato della musica. Farsi strada su YouTube è ormai una delle più efficaci.
The Jackal
E se metti insieme due bei giovanotti, una bomba dance elettronica e una trovata furba e geniale, allora i giochi si fanno. Eccome. Andrew Taggart e Alex Pall, aka The Chainsmokers, sono esplosi nel mondo con un selfie.
Surreali, fantascientifici, comici sui generis, battutari/visionari, i personaggi lanciatisi senza paracadute nel cielo di YouTube invadono anche il grande schermo con “AFMV”: un film! Si può essere gay e ingenui allo stesso tempo? Si può avere meno di trent’anni e desiderare di restare a casa il sabato sera? Si può essere YouTubers digitali e perdersi nella rete di Google? Ma soprattutto: si può decidere di invadere il web e far sorridere gli italiani da Napoli senza essere risucchiati nella rete dei luoghi comuni? Stando a quanto si vede e si legge ashtaggando #thejackal su un qualsiasi dei nostri smartissimi dispositivi di massa possiamo rispondere: sì, certo che sì. La Social Band nata quasi come un divertissement fra amici oggi conta più di cinquanta milioni di visualizzazioni, ha messo a segno un colpaccio irresistibile giocando al tormentone con Luis Fonsi, il miliardario di “Despacito”, è corteggiatissima dalle più grandi aziende ansiose di farsi “viralizzare” nei loro short movies e, evitando strategicamente il piccolo, ha invaso con prepotenza il grande schermo con “AFMV - Addio Fottuti Musi Verdi”. Il film, coprodotto dai Jackal con Cattleya e RAI Cinema, è diretto da Francesco Ebbasta, regista di tutte le produzioni, massime e minime, della band che ha in Ciro Priello e Simone Ruzzo i suoi acclamatissimi front man, nonché rispettivamente casting director e AD, e in Fru una delle icone più riconoscibili e seducenti. Scritto come un improbabile, partenopeo action movie a metà tra fantascienza e thriller, con “cammei” di Gigi D’Alessio e dei topic della serie tv “Gomorra”, “AFMV” contiene la summa di una nuova visione della comicità, concepita finalmente come un moltiplicatore di sagace ironia, di uno humour che se non fosse italico potrebbe essere britannico, di una profonda intelligenza che sa ridere e far ridere di una generazione ancora in via di definizione. #negrisbiaditi e #vrenzole uniti forever!
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Intercettando l’esplosione di una mania collettiva globale, nel 2014 hanno ri-lanciato una hit scritta un anno prima, “Selfie” appunto, l’hashtag #letmetakeaselfie e una chiamata alle foto che ha messo insieme tre supermodel bellissime - Lindsay Diane, Casey Kiss e Nadia Petrova - fan e celebrities di terza categoria e, in pochi mesi, mezzo miliardo di contatti e visioni interattive sul canale sociale più musicale del West. Ma il bello è venuto dopo. Messi sotto contratto da una major label, hanno avuto la giusta visione: bisognava lasciare l’elettronica e virare verso il pop, cominciare a scrivere e a cantare per i milioni di millennials che avevano bisogno di nuovi eroi in cui credere e con i quali identificarsi. Così il New York City-based duo, dopo aver chiamato a raccolta una serie di guest vocalists cui affidare le liriche delle loro canzoni, hanno capito che potevano fare anche da soli, magari “with a little help from (my) friends”, come cantavano argutamente i Beatles in Sgt. Pepper’s. La loro virata nel mainstream è arrivata nel 2015 e “Closer”, con Andrew come co-vocalist assieme alla ben nota stellina Halsey, ha totalizzato quasi due miliardi di clic! “Don’t let me down” gli è valsa la prima nomination ai Grammy’s 2016 e quest’anno hanno raggiunto il record ex eaquo con Bee Gees e Beatles (di nuovo): quello di avere tre singoli in contemporanea nella top ten! Il loro album “Memories… Do Not Open” è fortissimo, ha scalato le classifiche mondiali, consacrato ufficialmente dalla collaborazione con i Coldplay. Che musica fanno? Potremmo azzardare: rock 3.0. I due fanciulli, sempre camicie multicolor sbottonate e pettorali al vento nei loro “selfie” su Instagram, dichiarano il loro amore disperato per i Blink 182. Gli crediamo. Nel frattempo, il tour mondiale è un successo. Enjoy.
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Fashion
PART 66
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A cura di Marzia Bellotti
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On the road Fotografo Matteo Felici Styling Martina VeritĂ Model Danys @CrewModelManagement Hair and Make up Erika Ginevra Meyer
Trench, trousers A.N.G.E.L.O. VINTAGE Shoes Sergio Tacchini Socks GCDS
Shirt Wrangler by Peter Max Trousers Kappa Turtleneck Kappa Kontroll Socks GCDS
T-shirt Freddy Polo Reebok Trousers and Belt A.N.G.E.L.O. VINTAGE
Gilet Pringle of Scotland Trousers A.N.G.E.L.O. VINTAGE T-shirt Kappa Kontroll Shoes Reebok
Jacket and trousers Adidas Shoes Sergio Tacchini Socks GCDS
Sweatshirt Adidas Trousers and turtleneck A.N.G.E.L.O. VINTAGE Watch G-shock
T-shirt Kappa Kontroll Trousers A.N.G.E.L.O. VINTAGE Shoes Reebok Socks GCDS
Jacket Fred Perry Trousers Carhartt Belt A.N.G.E.L.O. VINTAGE
Sweatshirt Vìen Trousers and Belt A.N.G.E.L.O. VINTAGE Turtleneck Kappa Kontroll Shoes Sergio Tacchini
l o o C a cura di Marzia Bellotti
Down 82
COLMAR 83
HERNO
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TATRAS
FREEDOMDAY
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OOF
MONCLAIR MONCLER
HE occhiello
Fall Winter
OP 2017/18 a cura di Anna Rita Russo
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OCCHIELLO
Comme des Garçons Le sculture avveniristiche di Rei Kawakubo
Icona assoluta della modernità e leggenda vivente del panorama fashion. Rei Kawakubo, anima di Comme des Garçons dal 1973, azienda con fatturati di oltre 220 milioni di dollari all’anno, si è distinta nell’industria come interprete di una moda contemporanea fuori dagli schemi. Oggi il brand, stagione dopo stagione, ha acquistato una forte cifra stilistica, espressione di un universo innovativo e non convenzionale. Dando voce in maniera inconsueta alla propria sensibilità creativa lontana dal pensare comune. Spirito iconoclasta, indipendente, rivoluzionario. Kawakubo anticipa il futuro, schierandosi contro ogni regola predeterminata. «Ho sempre ricercato un modo di pensare il design che fosse nuovo, attraverso la negazione di valori prestabiliti e di tutto quello che comunemente viene accettato come norma.» “The Future of Silhouette” è il mantra della collezione autunno inverno 2017. Opere d’arte che richiamano alla memoria riflessioni profonde in un viaggio visionario che supera ogni confine con la realtà. Con un titolo concreto che invoglia a un’esplorazione creativa, volta alla ricerca di pensieri meditativi sulla condizione umana e la femminilità. Un susseguirsi di strutture monumentali in tessuto, arricciate, gonfiate, intorno a corpi che vagheggiano lentamente su una pedana rosata. Si guardano, si cercano, osservano, comunicano con gli occhi. Capelli nascosti da increspature ricciolute color argento, visi celati, fianchi sporgenti e ai piedi sneakers Nike, frutto della collaborazione con il colosso sportivo americano. Forme che alimentano la fantasia, materiali che spaziano dalla lana, cotone, seta e dettagli di pelle. Da abiti total white con cuciture vistose a forme a clessidra bordati di pizzo, fino a modelli che sembrano realizzati con carta da imballo. Inframmezzati da red velvet, patch e long coat. Una carrellata di pezzi eye-candy messi in scena dalla mente geniale di Rei Kawakubo, per trasportare il concetto fashion in una dimensione lontana anni luce dalla sua essenza, dando vita a una serie di capolavori dall’alto contenuto creativo. Degni di un museo.
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Dsquared2
Il glamour eclettico dei fratelli Caten Un successo immediato. Un trend sempre sulla cresta dell’onda. Un marchio che nel corso degli anni si è guadagnato una nutrita schiera di fan. Fedele a un immaginario irriverente ed eccentrico, Dsquared2, brand fondato nel 1994 dai gemelli canadesi Dean e Dan Caten, è riuscito a imporre sulla scena fashion la propria anima audace e provocante, dando vita a capi glamour e sofisticati delineando una forma di sensualità assoluta. E mantenendo intatta una identità forte con un approccio young che rende il prodotto sempre appetibile sul mercato, senza mai snaturare la sua essenza. Il primo show coed per l’autunno inverno 2017 ha visto sulla passerella alternarsi maschile e femminile, con una carrellata di capi “grounge” ispirati alla montagna del Canada. Abiti che possono essere indossati da lui e da lei, adattati su silhouette che esibiscono con fierezza applicazioni floreali, ruche svolazzanti, pizzi e merletti. Tra lo sfavillio di paillettes, sexy trasparenze, intarsi di pelliccia, pantaloni in pelle increspata, cappelli ingombranti. Le suole degli scarponi da sci sono invece contornati da dettagli in acciaio o hanno lacci ingioiellati. Le camicie a quadri sono annodate alla vita o abbinate sopra a preziosi evening dress, mentre le giacche vengono coperte da maxi bomber effetto lucido. In un miscuglio azzardato di fantasie e tessuti che rende il tutto piacevolmente intrigante. Il co-branding con K-way, il marchio del gruppo italiano BasicNet, conferisce all’iconica giacca impermeabile nuovo stile e proporzioni: reversibile, con logo e zip Dsquared2, tessuti brillanti e cristalli incastonati. Dean e Dan non si smentiscono mai. Innovatori con uno spirito trasgressivo. Fortemente legati alle origini e capaci di interpretare quell’allure Brit in modo energico, catturando lo zeitgeist contemporaneo e traducendolo in un’estetica unica.
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Moschino
La couture ironica di Jeremy Scott Enfant prodige che si è imposto sulla scena fashion in modo prorompente grazie a uno stile audace. Artefice di una rivoluzione estetica che ha segnato un nuovo entusiasmante capitolo della storia trentennale di una delle più importanti case di moda italiane. Con la sua irriverenza e ironia il designer americano Jeremy Scott, nato nel 1975 in un piccolo paese di campagna vicino a Kansas City, non è solo il creatore della sua omonima linea, ma anche colui che ha riportato all’età dorata la maison fondata da Franco Moschino, dando inizio a un’avventura condita da un grande successo. Giocando con i codici del brand, ribaltandoli e attualizzandoli. Una genialità radicale che ha conquistato da subito la young generation di tutto il mondo, facendosi portavoce di una moda pop riconoscibile. Show che infiammano le passerelle, creazioni che catturano sguardi, un parterre che ospita personaggi di super nicchia. Tra le muse spiccano Kate Perry e la pop star coreana CL. Un caleidoscopio di colori, cartoons, pattern logati, architetture strong, stampe lisergiche sono da sempre gli ingredienti dello stile Jeremy Scott. Una couture nata dal riciclo per materializzarsi in un’esplosione magistrale di ironia ed eleganza. Una riflessione sul desiderio passionale del vestirsi, una donna che manifesta l’entusiasmante amore per la moda, pronta a indossare qualsiasi materiale la circondi. È questo il fil rouge della collezione invernale firmata Moschino. Mini dress, giacche doppiopetto, trench e tailleur che si rifanno alle scatole di cartone, con mega scritte e nastri adesivi. Pagine di giornali e immagini che richiamano le ultime creazioni del brand creano un effetto trompe-l’oeil su capi dalle fantasie multicolor. Gli abiti lunghi sono realizzati con tende bordate da frange dorate con tanto di strascico a vista, con buste della spazzatura o guanti di pelle. I cappelli dalle svariate forme sono affidati all’originale creatività dell’artista Stephen Jones. Avvincente anche la funny capsule collection battezzata Rat-à-porter ispirata a topoline fashion victym. Il tutto urla trash is chic.
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Kenzo
L’irriverenza funny di Carol Lim e Humberto Leon Back to the roots. Recuperare quei codici stilistici che hanno fatto la storia della casa di moda creata negli anni 70 dal maestro giapponese Kenzo Tagada e reinterpretarli in chiave contemporanea, per rinvigorire la maison con una energia rinnovata. Creando un racconto irriverente condito con audaci stampe tigrate, forme geniali e colori vivaci. Così gli americani Carol Lim e Humberto Leon - fondatori del celebre concept store newyorkese Opening Ceremony - sono saliti alla guida di Kenzo nel 2011 per traghettarlo verso un nuovo concetto di avanguardia, con un richiamo nostalgico alle pietre miliari dell’estetica del marchio di Lvmh. Oggi i due stilisti rendono omaggio al brand con una capsule battezzata “Memento 1”, in cui ridanno vita a capi iconici della griffe. La collezione invernale si basa su una filosofia eco-friendly, destinata a consumatori green. Energica, raffinata, originale, si ispira al surf artico. Temi hawaiani, pattern geometrici e nuance lisergiche si confondono con i dégradé invocanti l’aurora boreale e immagini che citano la vegetazione nordica. Tra tute da sci accorciate, gonne svolazzanti, long dress e maglioni over stretti sul punto vita da cinture bustier, sovrapposizioni e montoni doppiopetto. Fino a cappotti e giacche con spalle arrotondate. E il logo onnipresente. Da segnalare la partnership con Ideas for us e Earth Guardians, organizzazioni no-profit all’insegna della promozione dell’attivismo ambientale con un’attenzione sui cambiamenti climatici. Il dna di Kenzo è indiscutibilmente percepibile. Carol Lim e Humberto Leon continuano con successo a costruire quell’immaginario funny che caratterizza dall’origine il brand di rue Vivienne 18 a Parigi. Puntando su avvincenti strategie, dalle sfilate coed al sodalizio con il colosso svedese del fast fashion H&M. Senza perdere di vista il focus sul prodotto. Di grande appeal, commercialmente accattivante e assolutamente stylish. Per un pubblico super cool.
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OCCHIELLO
Brain&Beast
Un’ironia dissacrante, tra il realismo e l’onirico Visioni oniriche, immagini stravaganti, atmosfera teatrale. Con quel twist trasgressivo su cui il brand basato a Barcellona si è cementato sin dagli esordi. Show che esplodono in un susseguirsi di attimi agghiaccianti, corpi che vagheggiano, sguardi allucinati, live performance da urlo. Brain&Beast, fondato nel 2010 da Àngel Vilda, si fa eco nel panorama contemporaneo, imponendosi tra i marchi espressione di una generazione cool e genderless, che sta prendendo sempre più piede nelle ultime stagioni a livello internazionale. Abiti dalla struttura apparentemente clean, giochi di tessuti e colori, influenza della cultura moderna, con un tocco di accattivante senso dell’umorismo, oltre a una grande dose di fascino raffinato. Le sue collezioni hanno sfilato in occasione di 080 Barcelona Fashion, la rassegna dedicata ai designer indipendenti e ai giovani talenti, incantando la città catalana con esibizioni degne di nota e una verve ironica che conquista. Così la pedana all’interno dell’incantevole Teatro Nacional de Catalunya è diventata il set di una sorta di club in cui uomini e donne imparruccati e incipriati sorseggiano flute di champagne e fumano sfacciati, mentre si scambiano spavalde effusioni. Con visi nascosti e make up inquietante. Tra riferimenti orientali, cinture obi che serrano la vita, sandali calzati da calzettoni bianchi con applicazioni di giganti pon pon colorati, magliette che urlano scritte come Empty Hole o Life Imitates Art, orecchini a forma di sfera specchiata da discoteca. Una sequela di look strong e di grande effetto, che interpretano perfettamente lo spirito provocatorio del marchio. In linea con i trend del momento.
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occhiello
Issey Miyake L’estetica funzionale tout court
Un’epopea al di là del fashion, condita di poesie e progetti rivoluzionari. Rompere gli schemi. Progettare abiti come opere d’arte. Ideare pieghe permanenti che non si sgualciscono grazie all’utilizzo di fibre chimiche. Farsi precursore di un’idea moda che prende le distanze da meri concetti estetici. Issey Miyake, classe 1938 nato a Hiroshima, balza agli onori delle cronache fashion per un approccio innovativo all’abbigliamento, in una fusione sperimentale tra la cultura occidentale e quella orientale, consacrandosi all’uso di tecnologie all’avanguardia. Artista sovversivo e irriverente, le sue creazioni sono una celebrazione del corpo umano, strizzando l’occhio a uno stile easy e confortevole, per valorizzare la pura bellezza ed essere espressione di un’eleganza trasversale. Yusuke Takahashi, creative director della linea maschile del brand, immagina un workwear ispirato alla foresta. Il risultato è un autunno inverno in cui trionfano texture delicate e pattern con citazioni alla natura. Per delineare un nuovo concetto di raffinatezza, senza rinunciare all’estetica funzionale dei capi, che rappresenta la filosofia del marchio made in Giappone. Materiali leggeri e versatili prendono vita su blouson (proposti anche in versione reversibile), giacche e pantaloni, garantendo massimo confort, libertà di movimento e vestibilità. Tra tweed a quadri, jacquard di lana e tartan plissettato. Focus sul cappotto in taffeta di nylon lavato che delinea una silhouette over ed è adattabile a ogni look. Una collezione smart che riflette appieno l’essenza del brand e trasmette nell’insieme un’attitude relaxed ricca di dettagli e lavorazioni artigianali handmade.
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OCCHIELLO
Arthur Arbesser
Una poesia moderna, tra geometrie colorate ed eleganza minimal Una femminilità sussurrata. Linee pulite, tra street e sartoriale. In un accostamento di grafiche e materiali pregiati. Arthur Arbesser, giovane talento austriaco con base a Milano, un passato formativo alla Central Saint Martin di Londra e una significativa esperienza lavorativa presso l’azienda Giorgio Armani, conferma la sua inclinazione per uno stile dettato da un’immagine a tratti rigorosa e vivace, fedele a una creatività che si proietta in una dimensione estetica moderna. Per l’autunno inverno 2017 il marchio trae ispirazione dal film dell’87 “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, inscenando la purezza e il romanticismo in contrapposizione con la severità della realtà circostante. Una collezione poetica che richiama la vita berlinese underground del passato e del presente, anticonvezionale e imprevedibile, in cui i colori entrano in contrasto con la rigidità delle uniformi. Jacquard geometrici, tessuti tecnici, metallici e trasparenti, lavorazioni a intarsi interpretano abiti di un’eleganza minimalista con una precisa identità. I classici gessati maschili sono resi preziosi da applicazioni di cristalli Swarovski, mentre balzano agli occhi le calzature cool nate dalla collaborazione con Vibram, azienda leader nello sviluppo di suole ad alte prestazioni, che richiamano il concept FiveFingers e sono realizzate con pelle di vitello elasticizzato e 3D knitting. Il designer è reduce anche da una esclusiva collaborazione con Yoox, la piattaforma online del colosso e-commerce Ynap-Yoox Net-a-porter group, per una capsule collection lanciata in occasione di Milano Moda Uomo, che ha segnato il debutto nel segmento del menswear. Una serie di pezzi modulari dedicati a uomo e donna, caratterizzati da pattern optical e citazioni artistiche. Sicuramente tra i giovani stilisti più promettenti e ammirati della scena contemporanea, Arthur Arbesser, ex direttore creativo di Iceberg e attualmente a capo del suo omonimo marchio, dà voce a una moda innovativa e indipendente, proponendo capi in perfetto equilibrio tra semplicità e avanguardia stilistica.
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occhiello
Balenciaga
La couture underground di Demna Gvasalia Il 2017 è una data importante per la Maison francese creata da Monsieur Cristóbal Balenciaga nel 1919 (e chiusa quattro anni prima della sua morte nel 1968). A ricorrere sono i cento anni dalla fondazione della casa di moda e l’80esimo anniversario dall’apertura della prima boutique nella Ville Lumière, sull’Avenue George V. Celebrati con exhibition nelle capitali di Parigi, Madrid e Londra, rendendo omaggio all’archivio storico del couturier iberico. Oggi, a riscrivere l’eredità del genio spagnolo, c’è il georgiano Demna Gvasalia, diplomato all’Accademia delle belle arti di Anversa e con un passato esperenziale da Louis Vuitton e Margiela, nonché direttore creativo del brand parigino Vêtements (che ha fondato nel 2014 insieme al fratello Guram e alcuni amici). Insignito recentemente del prestigioso International Award in occasione dei CFDA awards a New York, il giovane designer trentacinquenne è salito lo scorso anno alla guida creativa del brand satellite del gruppo Kering di François-Henri Pinault, dando il via al nuovo corso di Balenciaga. Un debutto delirante. Un linguaggio fresco. Un’immagine di libertà. Un’aria ribelle. Senza snaturare del tutto l’heritage e la filosofia del marchio. L’iconoclasta stilista traghetta l’allure classica e il dna del brand in una dimensione futuristica e sperimentale, con acuti concettuali. Audaci effetti visivi. Aplomb borghese. Eleganza bon ton. Spirito contemporaneo e senso dell’umorismo. Per l’autunno inverno Gvasalia ritorna alle origini di Balenciaga. Riprende l’attitude, le silhouette e i tessuti dell’inizio e li trasporta nella realtà moderna, con quel twist irriverentemente chic. L’iconica borsa Bazar viene ingigantita, i coat assumono dimensioni insolite con abbottonatura obliqua, gli orecchini sembrano leggeri ma voluminosi, le gonne hanno una portabilità disinvolta. Ai piedi stivali-calza e décolleté a pois, floreali o logate. In un gioco di delicate asimmetrie e volumi relaxed. Fino a un trionfo di sontuosi piume e drappeggi. Una donna raffinata, riletta con lo sguardo brillante di Demna Gvasalia. Continua il rivoluzionario capitolo della storia della maison Balenciaga. Che sfodera un’anima rinnovata, rivelatrice, provocante, sfrontata. Ma sempre rigorosamente sofisticata.
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OCCHIELLO
Noir Kei Ninomiya Uno spirito couture, tra innovazione e unicità
Una sfida vincente. Un maestro geniale. L’obiettivo di valicare i confini dell’impossibile. Un colore assoluto. Quel nero intenso che lo ossessiona fino a diventare la nuance dominante delle sue creazioni. Oltre a essere il nome dell’omonima linea creativa fondata nel 2012. Lui si chiama Kei Ninomiya, 33 anni, di origine giapponese, con un passato formativo in Letteratura francese a Tokyo e studi alla Royal Academy di Anversa. È il nuovissimo talento sotto l’ala della visionaria stilista Rei Kawakubo, anima di Comme des Garçons. Un artista a tutto tondo alla costante ricerca di forme espressive speciali, in grado di plasmare pezzi unici e originali da custodire come vere e proprie reliquie. Un concentrato di materiali e costruzioni che si nutrono di un’essenza speciale, che fa la differenza. E che rimbomba nell’universo fashion contemporaneo. Fino a rientrare nelle sfilate più attese della Paris fashion week. Questa volta nella collezione fall winter 2017 compaiono giacche e mantelle declinate nelle nuance del rosso scarlatto e nero, fatte di pezzi di faux fur assemblati attraverso anelli metallici e indossati con culottes bordate di pelliccia. Tra delicati pizzi floreali, strati di tulle su soprabiti, vestiti e gonne, dettagli a zigzag, colli leopardati ton sur ton. Fino a un long coat in finta pelle imbottita con giganteschi fori ricamati e abiti con spirali di tessuto quasi a formare una fioritura decorativa. Dopo un’esperienza come modellista presso Comme des Garçons, Kei Ninomiya lancia la propria etichetta Noir, con l’onore di cavalcare da subito le ambite passerelle della Ville Lumière. Raffinatezza, innovazione, sperimentazione: un’alchimia di ingredienti chiave da cui sprigiona l’ingegnosa creatività del talentuoso designer from Japan.
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occhiello
Marques Almeida
Il guardaroba caleidoscopico immaginato dal duo creativo portoghese Vantano un riconoscimento di grande prestigio, l’Lvmh prize 2015 for young fashion designers con 300,000 Euro e un servizio di tutoraggio della durata di un anno. Hanno realizzato i costumi per il gala annuale del New York City Ballet ideato da Sara Jessica Parker. Oltre a essere stati tra i vincitori della scorsa edizione del Bfc fashion trust, l’iniziativa che offre supporto finanziario e mentoring agli stilisti emergenti. Un tris che colloca il duo portoghese, Marta Marques e Paulo Almeida, tra i nomi di spicco della settimana della moda della capitale britannica, mentre i selezionati store in cui distribuiscono i loro capi crescono stagione dopo stagione. Celebre per le sperimentazioni sul denim, messo ormai da parte per incamminarsi lungo un filone estetico che pone l’accento sempre di più sul prodotto e su un’immagine più colorata e sovversiva, il brand fondato nell’aprile del 2011 dai giovani ex alunni della prestigiosa Central Saint Martin di Londra, è senza dubbio tra i più promettenti del fashion system. Sulle vibranti note di Nina Simone e il sottofondo vocale di réclame incisivi, sono andate in scena per l’autunno inverno 2017 silhouette morbide, grafiche decise, stampe psichedeliche, dimensioni oversize. Giacche dalle spalle importanti, cappotti destrutturati, pellicce a scacchi, fantasie rigate e scarpe dalle punte affilate completano una collezione commercialmente accattivante, in cui gli accessori e i mix di tessuti giocano un ruolo dominante. Così come il colore che resta centrale nella filosofia del marchio. Con quel tocco maschile su capi sofisticati e dalle costruzioni innovative. Per vestire una figura femminile che privilegia il comfort e la ricerca innovativa. All’insegna di uno stile mix & match con riferimenti a un immaginario contemporaneo. Puntando sempre sull’originalità e conservando una differente personalità.
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English text
INTERVIEW
Street Sporty Il designer Colin Jiang
Style 100 100
occhiello Designer
Il lupo come simbolo assoluto del brand. Da cui prende anche il nome. Nato dalla passione e l’amore per l’arte, Wolf Totem spicca tra i new names del panorama menswear. E punta sulla tecnologia digitale, grazie a un’esclusiva app mobile con cui è possibile vivere esperienze in realtà aumentata. L’intervista al designer Colin Jiang. 101
INTERVIEW
L
a moda non conosce confini. E quella asiatica è in grado di sfornare giovani talenti sempre più promettenti, pronti ad animare la cornice delle fashion week. Wolf Totem, marchio di menswear a capo del colosso cinese di abbigliamento Fujian Septwolves Industrial Co., è uno di questi. Il direttore creativo si chiama Colin Jiang, ha studiato alla Marangoni di Milano, vanta un passato negli uffici di Roberto Cavalli e si ispira per il suo marchio a diverse culture. Fiero dei valori del made in Italy, riesce a interpretare la moda secondo una visione strong e provocatoria, perfetta per «uomini forti, coraggiosi e determinati». Per creare un universo dove il casualwear maschile si fa portatore di messaggi dall’evidente contenuto creativo e irriverente che tanto piace alla millennials generation. Hai deciso di debuttare nella città meneghina in occasione della scorsa edizione della settimana della moda maschile. Perché hai scelto Milano e la location del teatro Vetra? Wolf Totem è nato a Milano e trae ispirazione da questa città. La cultura è nel suo DNA e il design moderno è una delle principali attrattive del marchio. La scelta del Teatro Vetra come set per la sfilata è stata eccellente. Hai fatto un master all’Istituto Marangoni… cosa rappresenta per te l’Italia? L’Italia ha due grandi qualità: la passione e l’arte. È un paese in cui l’industria della moda le unisce entrambi, e questo lo rende di sicuro tra le capitali fashion più importanti del mondo. Qual è l’ispirazione della collezione per la primavera estate 2018? Wolf Totem prende ispirazione da culture diverse. Per la prossima primavera estate 2018, ci siamo concentrati sulla popolazione cinese dei Dong, soprattutto per i dettagli artigianali in argento e la struttura architettonica. Vanti un passato lavorativo da Roberto Cavalli. Cosa ricordi di quell’esperienza? Ho lavorato per Roberto Cavalli subito
dopo la laurea presso l’istituto Marangoni a Milano. È stata un'esperienza preziosa che mi ha permesso di entrare in contatto con il mondo della moda italiana, da cui ho appreso la particolare attenzione ai dettagli. Valori che continuano a essere un punto forte nella mia carriera. Che importanza ha il digital? La tecnologia digitale gioca un ruolo fondamentale nel marchio Wolf Totem. Abbiamo realizzato l’Augmented Reality app, disponibile sia in piattaforma iOS che Android. In futuro, questa applicazione includerà attività ancora più interessanti per gli utenti. È una strategia importante per Wolf Totem, sappiamo bene che il digitale rappresenta oggi la maggiore tendenza per l'intera industria della moda. Il lupo è al centro della filosofia di Wolf Totem (da cui prende anche il nome). Perché? Lo dice il nome stesso. “Totem” indica le ispirazioni, mentre “Wolf” rivela lo spirito del marchio. È un brand di abbigliamento maschile rivolto a un uomo forte, coraggioso e determinato, caratteristiche che rappresentano appieno lo spirito di “Wolf”. Il marchio Wolf Totem fa capo a Fujian Septwolves industrial, colosso dell’abbigliamento cinese, terzo player del settore nel Paese. Un importante supporto per un giovane brand emergente... soprattutto per fronteggiare l’agguerrita industria del fashion. Sì. Wolf Totem è nato dalla passione e l'amore per l'arte. Tuttavia, all’interno del settore della moda, è importante per il nostro marchio avere un investitore potente come Septwolves. Si tratta di una collaborazione che ci permette di avere maggiori opportunità per comunicare con il resto del mondo e creare qualcosa in più per gli amanti del fashion e gli appassionati di Wolf Totem. Lo streetwear sta spopolando nel fashion system… cosa ne pensi? La moda è un’attitudine, la maggior parte delle persone indossano quello in cui credono o quello che noi cerchiamo di rappresentare e comunicare. È così che avviene il successo dello streetwear. Per esempio, Wolf Totem è un marchio con un evidente spirito creativo, unico, determinato e selvaggio, motivo per cui i giovani lo amano.
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I tuoi capi sembrano essere molto appetibili per i Millennials… l’ambita generazione che viene attualmente considerata il futuro del lusso e su cui ormai anche i marchi consolidati stanno investendo il loro business. Qual è il tuo target di riferimento e cosa ne pensi di questo nuovo approccio alla moda? Wolf Totem ha un target giovanile che va dai 20 ai 30 anni. In realtà non ci concentriamo solo sull’età, ma anche sullo stile di vita dei giovani di oggi. Ci rivolgiamo a chiunque abbia il “Wolf Totem Character”. Il marchio non include solo capi d’abbigliamento. In futuro, comprenderà un’intera lifestyle experience che si svilupperà all’interno del nostro store, dove i consumatori, in particolare la millennials generation, potranno vivere il negozio come il proprio “hanging spot” (un luogo dove rilassarsi e incontrare persone con lo stesso stile di vita e argomenti in comune). Una parola per riassumere l’universo Wolf Totem… Se dovessi scegliere una parola, sarebbe “Tosto”. È un marchio nato per essere ribelle ma con un rispetto sempre per la cultura e la storia. L’idea di rileggere gli elementi esotici in chiave moderna esprime il DNA del brand.
Wolf Totem è un marchio con un evidente spirito creativo, unico, determinato e selvaggio, motivo per cui i giovani lo amano.
occhiello Designer
L’Italia ha due grandi qualità: la passione e l’arte.
Wolf Totem Spring Summer 2018
Cosa significa per te la modernità? Significa ri-creazione e decostruzione. Non è un tradimento alla tradizione. È invece un rinnovamento della tradizione, per crescere nel modo in cui le persone vivono al giorno d’oggi. Quali progetti futuri hai in programma? In futuro mi concentrerò su Wolf Totem e spero di espandere l’attività nei mercati del Medio Oriente e del Nord America, con l’obiettivo di attuare una strategia di global branding. Come ti vedi tra 10 anni? Mi piacerebbe collaborare con artisti diversi in vari settori. Oltre che riuscire a vivere con la mia passione per il design per sempre. AR.R.
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English text
INTERVIEW
UNCONVENTIONAL LUXURY OUTERWEAR Capispalla d’avanguardia che celebrano un’artigianalità impeccabile e moderna. Che porta con sé l’heritage della fredda terra del Canada. Per un’idea di lusso non comune. Le creazioni del brand Moose Knuckles racchiudono uno spirito “funny”… per far gola a una community very trendy.
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Designer
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uando l’outwear - quello di lusso - fa moda. Con verve, originalità e soprattutto coniugando funzionalità ed eccellente qualità dei materiali. I capi firmati Moose Knuckles sono espressione di un universo giovane, fresco e cool che coniuga modernità e heritage con un touch innovativo e divertente. Per un sartoriale che fa tendenza. E da circa un anno è sbarcato anche in Italia. Il direttore creativo Steph Hoff riesce a trasmettere l’energia e l’irriverenza della sua personalità ai prodotti che crea. Destinati a una tribù di gran stile. Per la collezione invernale il brand ha lanciato qualche mese fa una campagna pubblicitaria a tema futuristico ambientata nel 6969, che trae ispirazione da film cult come Barbarella e America 3000 e dalle riviste a fumetti, Plexus e Tank Girl. Interamente assemblata in Canada, attraverso una filiera integrata per l’approvvigionamento delle proprie materie prime, ogni capo firmato Moose Knuckles è un inno a una manifattura pregiata e realizzata dall’expertise di artigiani di Montreal, Winnipeg e Toronto. I quali danno vita stagione dopo stagione a creazioni per uomo e donna dal fit confortevole e contemporaneo. Moose Knuckles è un marchio di premium outwear nato per affrontare il grande freddo canadese, con stile e funzionalità, senza rinunciare a un design d’avanguardia. E dallo scorso anno è presente anche in Italia. Come nasce la collezione per quest’autunno inverno? Il brand nasce nel 2007, è basato in America e affonda le sue radici nell’autenticità della realtà canadese. Quest’anno è stato per noi molto importante perché abbiamo fondato Moose Knuckles Europa con sede a Milano. In occasione dell’edizione 91 di Pitti Immagine è avvenuto il lancio ufficiale della collezione uomo e donna autunno inverno 2017 in Italia e in Europa, sponsorizzato con un evento esclusivo a Firenze per imporre una visione della moda che rompe gli schemi tradizionali. I capi riassumono lo spirito che ha guidato il marchio fin dall’inizio, ovvero Wild and Luxurious, grintosi ma con un’immagine divertente che non si prende troppo sul serio. Sono il risultato di un eccellente lavoro artigianale da parte di imbottitori di Toronto, con una particolare attenzione al tailoring tradizionale e alla qualità delle materie prime, che garantisce una vestibilità fuori dal comune. Mentre per la collezione estiva ci siamo focalizzati su un design ricercato e contemporaneo con una palette colorata minimalista che tende al black and white e un fit molto carino che ne valorizza lo stile e il comfort, anche su forme oversize. Perché hai scelto l’Italia come mercato di vendita del prodotto? Credo che il mercato italiano possa apprezzare molto i capi firmati Moose Knuckles. L’Italia è un paese che ha buon gusto, è un popolo che ama la moda, il bel vestire e l’originalità, tutte caratteristiche che richiamano lo spirito del brand.
Moose Knuckles HERO FW17
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Il prodotto cult delle tue collezioni è il parka… Cosa lo caratterizza rispetto ai competitors? Moose Knuckles propone capi interamente assemblati in Canada, attraverso una filiera integrata per l’approvvigionamento delle proprie materie prime, celebrando così l’heritage della terra di appartenenza. Dalla sua fondazione il brand ha due pezzi iconici: lo Stirling Parka e il Ballistic Bomber che da 10 anni sono diventati i nostri best seller, ampliandosi poi nel corso delle stagioni con un’ampia gamma di proposte. Abbiamo registrato una crescita progressiva su quasi tutti i mercati internazionali, perché il nostro business resta sempre quello dell’innovazione, cercando di trasmettere un’immagine più fresca e cool rispetto ai competitors, senza mai tralasciare però la sartorialità. Che valore ha l’aspetto “funny” nelle tue creazioni? Ogni brand è il riflesso di una forte cultura, quando si indossa un logo è come comunicare uno statement al mondo intero. Moose Knuckles è un marchio di nicchia dalla personalità decisa ma con una componente gioiosa e un’anima glamour e rock and roll al tempo stesso. Qual è la clientela di riferimento a cui si rivolge Moose Knuckles? Persone che appartengono a culture differenti, da musicisti a deejay e rock star. Insomma chiunque abbia un profondo senso dell’umorismo, ami la vita e soprattutto che possa sentirsi se stesso indossando un capo Moose Knuckles. Oltre naturalmente a essere super trendy, amante del lusso e del lifestyle, perché si tratta comunque di un prodotto costoso, realizzato con materiali pregiati tra i migliori disponibili sul mercato e arricchito dal pelo di volpe. Tre parole che descrivono il brand. Ribelle, originale, “tribe” (adatto a ragazzi e ragazze che quando indossano il logo Moose Knuckles si sentono appartenenti a una ben distinta community). Prossimo progetto? Stiamo lavorando alla realizzazione della campagna pubblicitaria per la collezione primavera estate 2018 in collaborazione con il fotografo Nick Estrada, che sarà ispirata agli Instant Messaging. Oltre a un capsule collection in collaborazione con il concept store 10 Corso Como, disponibile a partire dall’8 novembre 2017, sino alla fine della stagione invernale.
INTERVIEW
OCCHIELLO
New Talent
FW 2017–18
MATTEOLAMANDINI
Accanto al suo nome rimbomba quello di Tommy Hilfiger e Massimo Giorgetti di Msgm. Amava il calcio, ma la divisa del bancario lo ha sempre affascinato. Così Matteo Lamandini, giovane promessa della scena contemporanea, si mette in gioco, sfida la realtà e si fa spazio tra i brand emergenti. Fino a spiccare fra i finalisti di Who’s on Next Uomo 2017. A Kult racconta la sua esperienza e cosa si aspetta dal futuro.
Lo stilista
Matteo Lamandini 106
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occhiello Designer
S
iamo ormai in un mondo in cui a dominare la scena fashion attuale è quella moltitudine di giovani e giovanissimi costituita dai cosiddetti Millennials (i nati tra il 1980 e 1999) e la Generazione Z (i nati dopo il 1999). Con una visione della moda in totale sconvolgimento e nuovi canoni di bellezza che conquistano l’industria. Ciò che li accomuna è la volontà di mettersi in gioco e rischiare. Classe 1989, Matteo Lamandini si colloca tra questi. La sua è una storia affascinante. Un ragazzo con tante passioni, tra cui il calcio, e l’idea di un futuro lavorativo in banca. Ma è l’amore per la moda a spianargli la strada verso un successo immediato, «sono sempre stato attratto dall’abito del bancario», afferma. Dopo gli studi in modellistica e disegno all’Accademia Europea di Bologna, si laurea in Fashion Design all’Istituto Marangoni di Milano. La vittoria nel 2014 come migliore promessa internazionale del contest “Design for Tomorrow “, iniziativa ideata dal gruppo tedesco Peek & Cloppenburg, ha permesso allo stilista modenese di fondare il suo omonimo brand, creare una capsule per il maestro Tommy Hilfigher e sfilare alla Mercedes-Benz fashion week di Berlino. Fino a essere tra i nomi dei finalisti di Who’s on Next Uomo 2017, la rassegna organizzata da Fondazione Pitti Immagine Discovery, che gli ha dato l’opportunità di esporre la sua collezione all’interno degli spazi della kermesse fiorentina. Un mix di avvenimenti che inserisce il designer tra i talenti emergenti più interessanti. Nelle sue creazioni per l’autunno inverno 2017 il tailoring tradizionale viene reinterpretato attraverso un’estetica ironica che guarda all’universo street, con accenti chic e un’attitude casual. Rompendo la rigidità dei materiali classici attraverso uno stile innovativo e ricercato. Tra completi in principe di Galles, tessuti a pelo riccio, maxi felpe con cappuccio in versione colorata oppure in pelliccia nera, camicie a quadri e long coat a taglio vivo. Le t-shirt si animano di stampe divertenti, mentre il velluto a grandi coste nella nuance del marrone testa di moro viene declinato su pantaloni e soprabiti. Il tutto in un perfetto gioco di colori e combinazioni di materiali diversi. Abbiamo incontrato Matteo in occasione dell’edizione di Pitti Uomo 92, il quale nonostante rammaricato per non essere salito sul podio del vincitore di Who’s on Next, resta comunque felice di un percorso ricco di tante soddisfazioni. Da calciatore a designer. La passione per la moda ha preso il sopravvento… Qual è il primo ricordo che ti lega a questo universo? Dovetti abbandonare quella che è stata la mia prima vera e propria passione, ovvero il calcio, quando incominciai a capire che l’economia non era il mio campo, così per intraprendere gli studi in Fashion Design mi trasferii a Milano all’Istituto Marangoni. Di ricordi ne ho tanti ma il primo è stato il concorso “Designer For Tomorrow” a Berlino, che vinsi; penso che quello è il ricordo più bello e che mi lega di più a questo mondo, dopo il quale ho capito che era possibile intraprendere la mia strada, ovvero quella di avere il mio brand. Dopo una laurea alla Marangoni in poco tempo sei diventato un talento di spicco… grazie anche al sostegno di nomi importanti come Tommy Hilfiger e Massimo Giorgetti di Msgm. Com’è cambiata la tua vita da quel momento? Sono state tutte esperienze bellissime però, appunto, quella di Berlino mi permise di creare il mio brand personale. Decisi quindi di prendere al volo questa opportunità e di immergermi in un mondo alquanto complicato. Cominciai a lavorare tra New York, Amsterdam e Berlino, tutte esperienze bellissime che mi hanno permesso di formarmi al meglio.
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Eri tra i finalisti dell’ultima edizione di Who’s on next 2017… e precedentemente hai vinto il famoso fashion contest “Designer for tomorrow”, una piattaforma sostenuta dallo stilista americano Tommy Hilfiger che dà visibilità alla creatività dei talenti emergenti. Insomma, così giovane ma già con grandi soddisfazioni. Sì, sono molto soddisfatto di quanto fatto fino ad oggi, anche se c’è un po' di rammarico per non avere vinto Who’s on next. Hai sfilato a Berlino in occasione della Mercedes Benz Fashion Week… Cosa si prova a essere catapultati in una realtà diversa da quella italiana? Se la consideri tale… È stato bello potere sfilare alla Mercedes Benz Fashion Week Berlin nel 2015; mi ha permesso di capire cosa si prova quando il tuo lavoro viene messo sotto l’attenzione di molti addetti ai lavori e delle emozioni che ti trasmette una sfilata. Detto ciò penso che siano realtà diverse da quella italiana e quella Parigina, in quanto l’aria che si respira a Berlino non è la stessa nostra; ho notato che la moda a Berlino non è seguita come da noi, quando giri per le strade cittadine durante la fashion week non capisci che c’è un evento in città, al contrario dell’Italia. Tre parole per definire il tuo concetto di moda. Formale, ironico e allo stesso tempo street-chic. Il complimento più emozionante che hai ricevuto dall’inizio della tua carriera? Sicuramente quello che mi è stato fatto da Tommy Hilfiger dopo la vittoria del contest di Designer for Tomorrow. Gli chiesero di dare una motivazione al premio a MATTEOLAMANDINI e lui rispose: “Quello che io so è che lui sa!” Libero da ogni interpretazione ma per come l’ho interpretato io mi ha emozionato. Come definisci il target a cui sono rivolte le tue creazioni? Il brand MATTEOLAMANDINI si rivolge soprattutto a un target giovanile (25-35/40), che segue le tendenze e soprattutto che vive in città. Da dove prendi l’ispirazione? Posso dividere il processo in tre fase: la prima ha inizio viaggiando, mi piace molto osservare le persone e trarre da loro qualsiasi dettaglio che magari di primo impatto non ti sembra importante. La seconda visitando musei di arte moderna in quanto mi piace unire arte e moda; mentre l’ultima fase è rappresentata da un semplice giro in bicicletta nelle campagne paesane, dove vivo, perché mi danno un senso di libertà e riesco a ragionare meglio. Il capo preferito? Premettendo che il capo cardine del brand MATTEOLAMANDINI è il capospalla, il mio pezzo preferito è assolutamente il capospalla lungo. Fin dall’inizio, quando frequentavo l’Istituto Marangoni, il prodotto su cui puntavo era proprio quello, per tale ho portato avanti questo concetto cercando, stagione dopo stagione, di farlo sempre più mio. Una proposta che ti piacerebbe ricevere in futuro? Beh, la proposta più bella sarebbe, oltre che rimanere alla guida del mio brand, diventare il direttore creativo di altre case di moda, in modo tale da riuscire ad adattare lo stile personale ad altri marchi che non rispecchiano a pieno il proprio gusto, per assimilare sempre più nozioni e crescere.
INTERVIEW
LA MARANGONI al servizio della creatività senza confini Si chiama I’M Alumni Collections ®evolution il nuovo programma dell’Istituto Marangoni rivolto agli alunni più talentuosi, che ha visto sfilare in occasione di MMD la collezione di Armando Costa. «È un progetto unico nel suo genere», ha affermato a KULT Roberto Riccio - group managing director. Parlando anche della partnership con Ermanno Scervino, la collaborazione con Deloitte e l’intesa con Sifec-Shanghai International fashion center.
Roberto Riccio Group Managing Director di Istituto Marangoni
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iovani e ambiziosi talenti che finalmente potranno vedere realizzato il loro sogno legato allo scintillante mondo della moda. Con la realizzazione e la messa in scena di una collezione tanto desiderata. Una rilevante occasione per mostrare l’estro creativo emergente. La prima edizione del progetto I’M Alumni Collections ®evolution promosso dall’Istituto Marangoni - che dal 1935 rappresenta una fucina di creatività - in collaborazione con Cnmi-Camera Nazionale della Moda Italiana, ha visto come protagonista
Armando Costa. La scuola di moda vanta un portfolio di migliaia di professionisti e varie sedi sparse in giro per il mondo, con l’obiettivo di costruire ponti tra culture diverse. Facendo dei valori del made in Italy i suoi punti di forza maggiore. «Essere bravi, creativi e originali non è più sufficiente per costruire una carriera nel mondo del fashion. Per emergere occorre costruire competenze sempre più ampie e conoscere ogni elemento del sistema moda», ha dichiarato a KULT Roberto Riccio, Group Managing Director di Istituto Marangoni. Sostenendo l’importanza dello studio e la formazione.
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Project
Parliamo della prima edizione di I’M Alumni Collections ®evolution, tenuta a battesimo in occasione di Milano Moda Donna. Si tratta di un progetto di mentoring unico nel mondo del fashion education. Com’è nata l’idea e in che cosa consiste nello specifico? Da sempre Istituto Marangoni ha come obiettivo quello di avvicinare gli studenti al mondo della industry, e lo fa in molti modi: coinvolgendo professionisti di moda e design come tutor e docenti, sviluppando progetti didattici speciali in partnership con aziende del settore, organizzando tramite il nostro career service diverse occasioni di incontro tra studenti e industry, come i career day. Tutto questo, però, non è sufficiente, soprattutto per chi, una volta laureato, voglia lanciare il proprio brand. Muovere i primi passi nel mondo del lavoro è molto difficile, anche per i più meritevoli. I’M Alumni Collections ®evolution nasce proprio in risposta a questo problema: Istituto Marangoni non solo ricopre il ruolo di mentore, ma investe risorse - economiche e organizzative - per supportare a 360° un alumnus nel lancio del suo brand e nella presentazione della sua prima collezione. Istituto Marangoni mette a disposizione di un giovane talento contatti, esperienza, fondi e competenze, sviluppando collaborazioni con sponsor di rilievo, come Swarovski, Grazia Bagnaresi e il Lanificio Ricceri, per realizzare la collezione, presentarla in un fashion show esclusivo all’interno della Fashion Week e supportare il brand con un piano di comunicazione on e off-line. È un progetto unico nel suo genere: nessun’altra fashion school al mondo investe direttamente nella promozione di un suo alumnus. Armando Costa è stato il protagonista di questa edizione. Ha sfilato nella Sala delle Cariatidi a Palazzo Reale con una collezione ispirata al nomadismo e alla contaminazione di altre culture. Perché avete scommesso su di lui? Il progetto è rivolto alla Alumni Community di Istituto Marangoni, network di professionisti che hanno mosso i primi passi proprio a partire da una delle otto scuole del gruppo. Una commissione interna valuta attentamente le proposte creative degli ex studenti che vogliano lanciare il proprio brand. Non si tratta però semplicemente di un investimento sulla collezione migliore: la decisione si basa certamente sulla valutazione della qualità artistica e stilistica del brand, ma anche sulle potenzialità commerciali e comunicative del designer e sulle prospettive di mercato della collezione. Armando Costa è stato scelto proprio sulla base di questi criteri: la sua collezione è eclettica, frutto di molteplici ispirazioni, e la sua idea di moda è originale e raffinata. Chi ha assistito al suo fashion show a Palazzo Reale è rimasto piacevolmente impressionato dalla qualità della sfilata, e questo per noi è al tempo stesso motivo di orgoglio e stimolo a continuare su questa strada anche in futuro. Nel parterre della sfilata la prestigiosa presenza di Ermanno Scervino, nominato qualche mese fa Brand Ambassador di Istituto Marangoni. Da settembre i primi frutti dell’intesa con il designer fiorentino con il corso destinato a sei studenti di fashion design. In che cosa consiste questa specializzazione? Si tratta di un corso avanzato di due mesi, focalizzato sul Pattern Making. L’idea di questo corso nasce da un’esigenza precisa del mercato del fashion: il ruolo del modellista è uno dei più richiesti dalle aziende di moda, e nel panorama dell’education mancava un corso specificamente dedicato a questa figura professionale. Da qui l’idea di offrire, in partnership con Ermanno Scervino, delle borse di studio ai migliori studenti di Fashion Design per imparare i segreti
di questa professione, unendo visione creativa e artigianato di lusso grazie al know-how e all’esperienza nel tailor-made di Ermanno. Si tratta, ancora una volta, di un grande sforzo da parte di Istituto Marangoni per offrire agli studenti la possibilità di avvicinarsi al mondo dell’haute couture, offrendo opportunità uniche di apprendimento grazie alla collaborazione con i più importanti nomi del fashion system. Il corso si tiene presso la School of Fashion & Art di Firenze, e gli studenti avranno anche la possibilità di visitare il quartier generale della maison Ermanno Scervino, un’esperienza sicuramente proficua per osservare dal vivo un atelier creativo che per vocazione valorizza Made in Italy, sartorialità e cura dei dettagli. I giovani talenti asiatici stanno conquistando Milano. In quale direzione pensa stia andando l’industria fashion e come vede muoversi la moda tricolore oggi? Sembra premere l’acceleratore sempre più sull’internazionalizzazione… L’internazionalizzazione è inevitabile: gli studenti di Istituto Marangoni provengono da 107 nazioni. La cultural hybridization è un valore importantissimo, che porta gli studenti ad avere un’esperienza multidisciplinare e multiculturale. Gli studenti asiatici arrivano da una cultura diversa, e l’Asia stessa ha un mercato del lavoro che assorbe moltissimi giovani talenti direttamente dopo gli studi. Molti studenti provenienti dall’Asia studiano nelle nostre scuole, fanno esperienza nei marchi europei, e poi portano questo bagaglio di esperienze nel proprio paese, fondando il proprio brand. Penso ad esempio a Rico Manchit Au, alumna della scuola di Milano, che in Cina ha fondato il suo brand Ricostru e che ha sfilato all’interno dell’ultima edizione di Milano Moda Donna. Al centro di questo processo di internazionalizzazione, però, per Istituto Marangoni c’è sempre il Made in Italy e i suoi valori: qualità sartoriale, materiali di prima scelta, artigianalità e tradizione. Cosa mi dice invece a proposito del summit organizzato in collaborazione con Deloitte? Un incentivo alla formazione? La partnership tra Istituto Marangoni e Deloitte nasce lo scorso anno, con l’obiettivo di creare un market model per mappare le dimensioni e l’evoluzione del settore della Fashion Education a livello mondiale. Quest’anno si è deciso di ampliare questa ricerca, con nuove evidenze e approfondimenti sullo stato attuale del mercato del fashion education. È emerso infatti che a livello internazionale, nonostante i molti ranking che classificano le fashion school, manca una metodologia comune e dei criteri oggettivi di valutazione del mondo dell’education, soprattutto in relazione al suo rapporto con la fashion industry. Spesso si legge che le fashion school stanno vendendo un “false dream”, un’illusione, e agli occhi di molti, il mondo dell’education non fa abbastanza per aiutare gli studenti ad affrontare il mondo del lavoro. Eppure il potenziale di mercato, se si pensa alla crescita esponenziale che il settore Fashion Education ha osservato negli ultimi dieci anni. Le evidenze della ricerca Deloitte dimostrano che questo mercato ha un potenziale enorme, ancora inespresso, a cui la fashion industry può e deve attingere. Da qui l’idea di presentare al pubblico i risultati di questa ricerca all’interno di un summit, il primo market monitor dedicato alla Fashion Education, dove si è discusso con ospiti di rilievo come Brunello Cucinelli e Santo Versace, oltre che con rappresentanti delle principali fashion school italiane e membri della fashion industry, dello stato attuale del mercato e delle possibili interazioni tra education e sistema moda, alla ricerca di un terreno comune su cui costruire un futuro roseo per entrambi.
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INTERVIEW
Le vostre scuole vantano varie sedi in giro per il mondo. Cosa vi caratterizza e differenzia dalle altre? Le nostre sedi, nelle più prestigiose capitali del mondo del fashion, dell’arte e del design, agiscono come un insieme organico, costantemente aggiornato sui cambiamenti culturali, sui trend economici e sulle novità del settore. Si tratta del più ampio network di fashion school a controllo diretto al mondo. Istituto Marangoni intende, con le sue scuole, costruire degli ideali ponti tra culture diverse: infatti, i corsi presentano sfumature diverse a seconda della città in cui si svolgono. La cultura locale e il genius loci di ogni singola sede si affiancano alla tradizione del Made in Italy, che costituisce il fulcro dell’insegnamento di Istituto Marangoni. Leultimeapertureriguardanol’esteroconMumbai,MiamieDubai…prossimenovità? La scelta di aprire una scuola a Mumbai è legata alla grande varietà di culture e tradizioni locali, che si incontrano e si mescolano tra loro, e a un mercato in grandissima espansione. Siamo certi che Istituto Marangoni Mumbai, nella più grande, ricca e popolosa città indiana, con un importantissimo impianto moda manifatturiero, giocherà un ruolo fondamentale per lo sviluppo del fashion e design system a livello sia locale che internazionale. La scelta di Miami è dettata invece da una riflessione diversa: la logica imporrebbe di considerare città come Los Angeles o New York, che hanno una tradizione consolidata nel settore. La nostra scelta, invece, è caduta su una realtà in crescente ascesa, fortemente proiettata verso il Sud America ed espressione di un’America diversa, multietnica e multiculturale. A breve prenderà parte anche una sinergia tra Istituto Marangoni e SIFEC, il principale gruppo cinese in ambito fashion education: all’interno della sede di SIFEC a Shanghai, Istituto Marangoni offrirà il suo primo corso ufficialmente riconosciuto e validato in Cina. Si tratta di un’ulteriore conferma dell’ottimo lavoro svolto dalle scuole di Shenzhen e Shanghai per formare le nuove generazioni di talenti cinesi. Con quali realtà aziendali lavorate principalmente? Collaboriamo con tantissimi brand, per progetti didattici, career days, lecture e attività didattiche. I nostri studenti possono contare su un’esperienza di contatto diretto con marchi come Balenciaga, Céline, Giorgio Armani, Fendi, Tod’s, Benetton, Trussardi, Versace, Etro, Max Mara, Cappellini, Moncler, Louis Vuitton. Che cosa consiglierebbe agli studenti che vogliono emergere nel mondo della moda? Ogni anno il vostro gruppo accademico conta migliaia di iscritti. Essere “bravi”, “creativi” e “originali” non è più sufficiente per costruire una carriera nel mondo del fashion. Per emergere occorre costruire competenze sempre più ampie e conoscere ogni elemento del sistema moda, dalla catena di valore alle tecniche di comunicazione, dalle potenzialità dell’online alle tematiche legate a sostenibilità e green economy. Tre sono i consigli principali per i giovani talenti di domani: • Avere una visione a 360°: il mondo del fashion oggi non è un settore chiuso e autoreferenziale. Anzi, la moda si apre sempre più verso contaminazioni con altri settori, dal cinema al design, dall’arte alla filosofia. Ma ancora più importante è allargare i propri orizzonti geografici: fare esperienza all’estero, studiare culture diverse e nuovi mercati. • Fare network, mostrarsi sempre disponibili e costruire relazioni in ogni direzione. Il mondo del fashion vive soprattutto di contatti, ed è importante dare sempre una buona impressione di sé e dare prova, con umiltà e voglia di migliorare costantemente, del proprio talento. • In quest’ottica, è importantissimo non smettere mai di informarsi e di studiare. Il fashion system evolve costantemente e a grande velocità: per questo è fondamentale stare al passo con le nuove tendenze, le nuove tecnologie e i nuovi trend. L’importanza di una formazione continua è, inoltre, alla base della nuova offerta di Executive Courses proposta da Istituto Marangoni, pensata appositamente per i professionisti del settore che vogliano ampliare le proprie competenze.
Armando Costa
AR.R.
SS 2018
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INTERVIEW
Andrea Marcaccini, un equilibrio sopra la follia Un’esistenza controcorrente e un aspetto ben lontano dal tipico bravo ragazzo. Determinato, audace, ribelle. Odia la banalità, ama l’imprevedibilità e fa di una frase di Carl Rogers il suo motto di vita. Archiviata l’esperienza dell’Isola dei famosi - di cui non ha un piacevole ricordo – oggi ritorna alla ribalta nei panni di stilista. Barba bohémien, capello ribelle, tattoo incisi sul corpo. E un fascino selvaggio che fa breccia nelle nuovissime generazioni. Andrea Marcaccini è un personaggio dalle mille sfaccettature, così come la sua esistenza. Confusa ma eccitante. Modello, artista, imprenditore, da poco anche stilista. Le sue opere sono il riflesso di una visione dicotomica della società contemporanea, mentre la sua linea di moda maschile si tinge di un’allure rockeggiante e street. E ora è pronto a stregare - con la sua irriverenza - il fashion system.
Tocchiamo il tasto Isola dei famosi. Un’esperienza intensa che ha messo a dura prova anche una personalità forte e ribelle come la tua. Finita con un’espulsione immediata a causa di quella brutta storia… È stato un sogno rubato. Volevo mettermi alla prova, avevo lavorato tanto per prepararmi a quella che è stata davvero una durissima esperienza. Posso dire che le denunce che ho ricevuto dalla mia ex fidanzata sono state prese tutte in esame dal PM e sono state archiviate perché i fatti non sussistono. Come ho già detto, quanto è accaduto è una cosa schifosa e che mi fa vergogna. Non reputo uomini quelli che picchiano le donne, né donne quelle che picchiano gli uomini. In America si parla di più di violenza maschile, qui no.
Da modello a stilista. Come sei arrivato a creare un brand di moda? Dopo tre anni di collaborazioni e consulenze grafiche e stilistiche di successo con diversi brand italiani affermati anche sui mercati esteri, ho deciso di creare la mia omonima linea di abbigliamento, presentata per la prima volta al salone White a gennaio 2017. Subito dopo, a luglio, è venuto Pitti e le principali città internazionali con lo Showroom 88. L’idea di dare vita a una collezione mi è venuta quando ho conosciuto, casualmente, Gianluigi Polisena, che poi sarebbe diventato mio socio in questa impresa. La sua è un’interpretazione della moda con gli occhi di chi l'ha vissuta per dodici anni, anche se sotto un’ottica diversa con un fil rouge rappresentato dal mondo rock e streetwear. È stata una scintilla scaturita in un momento di grande rivoluzione personale.
Non solo personaggio televisivo e stilista, ma anche artista. I tuoi quadri rivelano un messaggio visivo molto strong… qual è l’ispirazione che c’è dietro? Il tema dei miei quadri e delle mie creazioni artistiche è la rappresentazione personale della società d'oggi e dei suoi problemi, della dicotomia tra lati positivi e lati negativi, le mille sfaccettature di una esistenza che è anche la mia. Il tuo motto di vita? Una frase di Carl Rogers, psicologo americano che diceva: “Mi rendo conto che, se fossi stabile, prudente e statico, vivrei nella morte. Di conseguenza, accetto la confusione, l’incertezza, la paura, gli alti e bassi emotivi, perché questo è il prezzo che sono disposto a pagare per una vita variabile, caotica ed eccitante”.
Andrea Marcaccini FW 2017/18
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OCCHIELLO
Column
PART 112
occhiello
THREE 113
OCCHIELLO OVERVIEW
GENDER–NO–GENDER
MILEY CYRUS 114
Genderless occhiello
Uomo, donna o genderless? Non importa. Se il mondo diventa fluido e le regole del gioco sono destinate a cambiare, l’unico imperativo è: mostrati per ciò che sei, abbandona gli stereotipi ed esci da ogni schema prestabilito.
«Lui o lei?» «Who cares?» Se lo chiedessimo a un ragazzo di vent’anni, probabilmente risponderebbe così. Ci guarderebbe con un’espressione a metà fra lo stupito e il divertito, come a dire «Ma davvero fa tutta questa differenza?». Perchè oggi maschio o femmina importa poco, quel che importa è la persona. Loro, i Millennials, e poi dopo i ragazzi della Generazione Z ci sono arrivati subito, è bastato un click. Tolleranti, liberali e liberi da giudizi e pregiudizi, per loro la parità di genere è stato qualcosa di scontato, “lei” o “lui” sono etichette obsolete, l’identità sessuale spesso un dettaglio.
testo di Giulia Lenzi
MILEY CYRUS Cantante e attrice La vita di Miley Cyrus è come un viaggio sulle montagne russe: dopo un’overdose di eccessi e di continue provocazioni - basti pensare al video Wrecking Ball - la ex bambina prodigio della Disney fa un passo indietro: lancia un nuovo singolo dalle sonorità melodiche e torna a un look acqua e sapone. È proprio in quest’ottica - un ritorno alle origini, al rispetto della propria natura, ecco la vera normalità - è appunto in quest’ottica che vanno lette le sue ultime dichiarazioni rilasciate a Ross King per la ITV’S Lorraine. Nessun tabù, nessuna etichetta e neanche colpi di testa, vince solo chi rimane se stesso: «Credo di non appartenere a nessun genere sessuale e mi sento priva di età. Non sono mai riuscita a identificarmi nel mio gender e nella mia sessualità. Odiavo la parola bisex, perché è come se mi mettessi in una scatola con tanto di etichetta. Insomma, l’amore non è una questione di essere uomini o donne». La parola che predilige per autodefinirsi? Pansessuale.
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Nati col cellulare alla mano, dopotutto, hanno già visto tutte le sfumature che il mondo ha da offrire, hanno avuto ottimi apripista come Caitlyn Jenner o Miley Cyrus e sono cresciuti in un momento storico così pieno di incertezze che il passaggio dalla differenza di genere all’indifferenza di genere è stato naturale. Il cellulare da sé, in effetti, non basta a spiegare una rottura così forte col passato: quando Zygmunt Bauman eleborava il concetto di “modernità o società liquida” forse nemmeno si immaginava di aver trovato un termine così azzeccato da entrare nell’uso comune. Eppure, se l’unica certezza è l’incertezza e il cambiamento l’unica cosa permanente, ciò che rimane non è che l’individuo - chiunque esso sia. A capire che le cose stavano cambiando è stato per primo il mondo della moda. Mettendo da parte per un attimo le provocazioni della passerella, con l’uomo in ventiquattrore e tacco 8, le aziende hanno saputo intercettare il bisogno con la creazione di collezioni genderless. Già nel 2015 la catena britannica di grandi magazzini Selfridges aveva lanciato l’Agender Project: per alcuni mesi, due piani dello store londinese erano stati destinati a collezioni accessibili sia a uomini che a donne. Quest’anno è stata la volta di H&M con la capsule collection Denim United. Lo scopo? Far sì che ognuno possa sentirsi libero di acquistare in base alla propria individualità piuttosto che in base al sesso. E poi è stato il momento della cosmetica, con modelli e youtuber ingaggiati per raccontare le nuove campagne make up. Ciò nonostante, possiamo dirci davvero pronti a superare ogni retaggio culturale, ad abbattere una volta per tutte il concetto di genere, e concentrarci sulla persona? Ci arriveremo, forse, quando anche le frange più conservatrici accoglieranno l’equiparazione del matrimonio eterosessuale al matrimonio omosessuale - che per molti resta annullamento della differenza sessuale su cui si fonda l’intera struttura sociale attraverso la famiglia.
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OCCHIELLO
OVERVIEW
Kult ha selezionato alcuni fra i personaggi che meglio interpretano il concetto di nogender: attraverso le loro storie diventa facile capire come, se non esiste norma, non esiste diversità.
THOM BROWNE SS 2018 Beato fra le gonne. Che la gonna sia un capo amato da moltissimi stilisti, tanto da esser declinato anche in versione maschile, non è certo una novità. Già Diesel, Ports, Emporio Armani e Prada fra gli altri ci hanno abituato a modelli in gonna o shorts, ma Thom Browne è già un passo avanti. Per la collezione Primavera Estate 2018 il designer americano ha vestito gli uomini da donna e viceversa, sempre che - nel fluidissimo mondo del fashion system - questa distinzione abbia ancora senso. Lui sfila con tanto di gonna e tacco, lei con completo e scarpa bassa. Le proporzioni cambiano, i materiali si reinventano e si infrangono tutte le regole della sartoria maschile moderna. Thom Browne ha iniziato la sua attività con cinque abiti e un piccolo negozio nel 2001 per poi lanciare la sua prima collezione ready-to-wear nel 2003. Oggi le sue innovazioni nella sartoria sono identificate come nuovo paradigma nel mondo della moda maschile e femminile e i suoi abiti, venduti a New York, Tokyo e Milano, sono apprezzati anche da musei di tutto il mondo tra cui l'Istituto Costume al Metropolitan Museum.
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Genderless occhiello
EMMA WATSON Attrice e portavoce del movimento No Gender
di un modello universalmente riconosciuto di bellezza? Per Salvia i generi sono “inutili e noiosi” e il bello di essere una drag è che “puoi essere chiunque”; così, scorrendo la sua pagina Instagram - che conta quasi 80 mila follower - scopriamo un essere mistico, etereo, soprannaturale, decisamente unico grazie a un look gotico che a tratti ricorda Marilyn Manson, a tratti una principessa aliena, fatto di piercing, di un incarnato che sembra truccato con l’aerografo e di rossetto a tratti sbavato. Qualcuno la troverà affascinante, altri, semplicemente, strana, ma che importa? De gustibus non disputandum est.
VALENTINA SAMPAIO Modella
WYCON COSMETICS ADV Campaign “Beauty has no gender”: è questo il claim scelto da Wycon Cosmetics per il lancio sul mercato della nuova collezione make up Androgyny, per l’appunto - che vede come testimonial un modello dai tratti ibridi, senza genere, rappresentato come una figura racchiusa in un limbo tra realtà eterea e moderna quotidianità. «Non dobbiamo considerare la campagna di ANDROGYNY come una mossa scandalistica per attirare i riflettori - spiega Fabio Formisano, Head of Marketing & Communication - abbiamo sempre dato al nostro pubblico e ai nostri consumatori delle figure forti che fossero d’ispirazione, ma anche per indagare attraverso i nostri prodotti una panoramica umana che vuole raccontarsi, e sceglie il make up come mezzo d’espressione». Ombretto, fondotinta e rossetto diventano genderless perchè il make up non serve a correggere, ma a mostrarsi per come si è, senza stereotipi. È la prima volta che un marchio italiano sceglie un volto maschile per una campagna pubblicitaria di cosmetici e in questo senso potrebbe rivelarsi un apripista. Già Maybelline a inizio anno aveva comunicato la scelta di Manny Gutierrez, noto sul web come mannymua733, come new face del brand. Un nuovo testimonial ben noto in rete: beauty youtuber professionista, vanta 3 milioni di follower e compare all’ottavo posto nella classifica stilata da Forbes sui beauty influencer più forti dell’anno. Prima di lui anche James Charles, youtuber celebre per tutorial di make up scelto come ambassador dall’americana CoverGirl.
Quest’anno Emma Watson si è aggiudicata il premio “gender neutrale” agli MTV TV & Movie Awards di Los Angeles grazie alla sua interpretazione nel remake di La Bella e la Bestia. Si tratta del primo premio alla recitazione che non vede una distinzione in base al sesso - non più “miglior attore” e “migliore attrice” - ma un unico riconoscimento per la miglior performance dell’anno. E a vincere non poteva che essere lei, già attivista nell’ambito della comunità LGBT e ambasciatrice delle Nazioni Unite per la parità di genere, che ha così commentato: «Recitare è la capacità di mettersi nelle scarpe di qualcun altro. E questo non deve essere separato in due diverse categorie»
SALVIA Drag Queen
Salvia è la drag queen che ha sovvertito non solo gli stereotipi di genere, ma anche quelli di bellezza. Cosa è normale se la norma non esiste? E ha ancora senso parlare
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La moda sta cambiando. Il paradigma di bellezza e inarrivabile perfezione imposto da supermodel come Gisele Bündchen o Karlie Kloss non sarà certo spazzato via con un colpo di spugna, ma il fashion system inizia a orientarsi verso bellezze meno convenzionali. Difficile dire quanto sia fenomeno di costume, quanto di marketing, eppure le nuove stelle della passerella sono transgender: dopo Hari Nef, Andreja Pejic e Lea T è arrivato il momento di Valentina Sampaio. Figlia di un pescatore e di un’insegnante, 19 anni, brasiliana e nata uomo, ha conquistato la cover del numero di Marzo di Vogue Paris scattata dal duo di fotografi Mert and Marcus - un vero e proprio primato, Valentina è l’unica modella trans a comparire nella copertina della più ambita rivista di moda al mondo. «Siamo orgogliosi di celebrare la bellezza transgender e quella di Valentina Sampaio, che posando per la cover di Vogue sta cambiando il volto della moda e abbattendo i pregiudizi… Solo quando una modella transgender poserà in copertina su una rivista di moda, e non sarà necessario scrivere un editoriale in merito, sapremo che la battaglia è stata vinta», scrive la direttrice di Vogue Paris Emmanuelle Alt sulla pagina Instagram della rivista.
«Colmar per la nostra generazione è il simbolo delle vacanze in montagna a tutto colore». Così Mirko Fontana e Diego Marquez ricordano la magica atmosfera degli anni ‘80-‘90 e, proprio da qui, nasce l’idea di aprire ai due designer gli archivi storici del brand, per dar vita a una capsule collection contraddistinta dalla forte tradizione e da una brezza di fresca ironia. Per lui patch e maxi/micro lettering ammiccano a una moderna logomania, personalizzando ogni capo. Per lei la rilettura di volumi e colori gioca con micro stampe funny dal sapore vintage. Anche la scelta della palette colori ripercorre i capi iconici di Colmar, sottolineati ed enfatizzati da un gioco color blocking dal sapore sporty (blu, bianco, rosso) o urban (army, cammello, rosa). Una nuova lettura in chiave contemporanea, che propone un total look che fa dialogare il capo spalla e la maglieria, giocando con i volumi fino all’over per un outwear quotidiano.
LA NOSTALGIA DIVENTA SPERIMENTAZIONE
Au Jour Le Jour + Colmar
FASHION
Always More. More. More. More. More. More. More.
Un’alleanza tra brand. Una volontà di allargare i confini della propria notorietà, incrementare la reputazione, entrare in nuovi mercati e/o avvalersi di canali distributivi complementari a quelli tradizionali nonché sfruttare economie di scala per investimenti legati al marketing e alla pubblicità. Stiamo parlando di co-branding e possiamo distinguerne due tipi. Co-branding funzionale: quando più aziende partecipano alla realizzazione di un prodotto, con la conseguenza (desiderata) che il potenziale consumatore percepisca una qualità superiore rispetto all’offerta alternativa del mercato, in virtù dello scambio reciproco di qualità positive. Co-branding simbolico-affettivo: quando si associa alla marca del produttore una seconda marca “generatrice di attributi simbolici addizionali”. In questo caso si parla anche di conaming. Abbiamo scelto per voi i più HOT della stagione…
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La collezione Louis Vuitton x Supreme è stata una delle più attese del 2017. La capsule presentata in passerella a Parigi, è finalmente nei negozi. Kim Jones, stilista di Louis Vuitton uomo, ha rivelato: «Sono contento che la collezione sia stata finalmente svelata, perché abbiamo lavorato al progetto per più di un anno. Conosco il marchio da molto tempo e James è un mio eroe» riferendosi al fondatore di Supreme James Jebbia. La linea rivela una serie di capi street mood, tra cui camicie di jeans con pattern della casa di moda francese con scritte logo. La t-shirt Supreme Louis Vuitton è uno dei pezzi più amati dagli appassionati di fashion che proprio non riescono a fare a meno della maglia bianca o nera con stampa rossa sul petto. Da non perdere le giacche di jeans e in tessuto proposte in rosso, ma anche con trama camouflage. Altro pezzo must have è la felpa Supreme Louis Vuitton così come lo sono anche gli accessori: borse da uomo soprattutto, tra le quali si fanno spazio le weekend bag in pelle rossa con stampa bianca oversize. E ancora foulard, valigie rigide, che richiamano quelle che in passato hanno segnato il successo di Louis Vuitton, ma anche zaini, astucci, sneakers e marsupi.
RIVENDICAZIONE D’APPARTENENZA
Louis Vuitton + Supreme
Co–branding
FASHION
Diadora + MSGM STRAORDINARIA CAPACITÀ DI GIOCARE Un incontro sul campo da tennis: l’heritage sportivo di Diadora e l’irriverenza fashion di MSGM. Secondo match, per queste due realtà che già avevano conquistato con una prima collaborazione solo maschile alla quale si aggiunge adesso la collezione femminile. L’ispirazione è chiaramente agli anni 70, specialmente nei tessuti: canvas laminato, triacetato, piquet color block e twill tennis. L’attitude sporty si declina attraverso le tute in triacetato con zip e le bande con logo su maniche e pantaloni. Le iconiche sneakers dell’archivio Diadora, B.Elite e MI Basket, riportano gli anni di nascita dei due brand, rispettivamente 1948 e 2009, e sono caratterizzate da un dettaglio inconfondibile: la suola è ricoperta di gomma, con colore a contrasto.
Marras + Demanumea TRIPLICE CONNESSIONE Le stampe di casa Marras guidano le mani degli artisti di Demanumea per l’inedito progetto di co-branding I’m Isola Marras by Demanumea, protagoniste 3 giacche in pelle, interamente realizzate in Italia. Tre capispalla unici, ognuno con un richiamo al biker tradizionale ma ogni volta rivisto e rivisitato in chiave punk, glam o dark; interamente realizzati con pellami esclusivi e dal design accattivante vengono resi unici dai dipinti creati dagli artisti del marchio Demanumea. Tutti i modelli sono dotati di doppia bretella interna per permettere di essere portati a spalla, in perfetto stile Demanumea. Grandi opere dipinte impreziosiscono i meravigliosi tagli delle giacche I’m Isola Marras e celebrano l’incontro tra due creatività irriverenti, uniche e profonde, dando luce a una capsule collection di rara bellezza. Demanumea prosegue così la propria personalissima narrazione contemporanea, approdando nel mondo dell’abbigliamento, portando con sé l’Arte che la contraddistingue e la sua peculiare visione della realtà.
Tyler, The Creator + Converse L’ORIGINALITÀ CHE NON TEME CENSURE Tyler, The Creator e Converse uniscono le loro forze per presentare una collezione che esprime il dinamico e ineguagliabile senso dell’immaginazione dell’artista attraverso le sneakers e dare vita alla sua voce con Converse. Conosciuto per la sua creatività, personaggio autentico della scena rap statunitense, Tyler, the Creator svela insieme a Converse numerose collaborazioni, a partire dall’iconica Converse One Star. Il twist creativo del noto artista statunitense si svela attraverso le iconiche One Star in limited edition disponibili in colori esclusivi - come light blue Clearwater - e con una grafica unica disegnata da Tyler, the Creator stesso.
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Co–branding
Puma + Extra Butter LO SPIRITO INTERNAZIONALE ADDOSSO Puma e lo sneaker store newyorkese Extra Butter hanno collaborato a una nuova versione premium dell’iconica Puma Clyde. Lo special pack Puma Clyde x Extra Butter “Kings of New York” rende omaggio alle urban community dei B-boys, dei graffittari e degli street ballers che ogni giorno seguono le loro passioni, le perfezionano per renderle dei veri e propri lavori creativi in una delle metropoli più affascinati e difficili del mondo. Oggi Puma ed Extra Butter, con il nuovo pack “Kings of New York”, vogliono celebrare lo stretto legame tra sport, cultura hip-hop e street wear che da sempre è simbolo di stile e appartenenza nelle strade della Grande Mela. Originariamente lanciate nel 1973 - in un’era in cui lo sport iniziava ad avere un forte impatto sulla cultura popolare, influenzando la moda, il cinema e addirittura il linguaggio - le PUMA Clyde divennero rapidamente le sneakers sportive degli anni ‘70. Nei decenni successivi hanno mantenuto una forte presenza nella cultura pop, diventando le sneakers di riferimento di stars dell’hip-hop, degli skateboarders, dei B-boys e del musicisti legati al movimento punk degli anni ‘90. Tutti i suoi riferimenti culturali la rendono così una sneaker imperdibile per i collezionisti, un vero e proprio "pezzo di design senza tempo”.
Junya Watanabe + The North Face LIBERTÀ DI CONTRASTI Il mood qui ha una chiave precisa: sportswear e formale mixati insieme. Cappellini da baseball, cuffie di lana, sneakers deluxe e capi performanti da trekking. Indossati insieme a pantaloni streetstyle, morbidi e oversize, e giacche sportive declinate in una fusion di fantasie e nuances, tra il tartan e il giallo pop art. A questo guardaroba, si aggiungono poi i capispalla tecnici, firmati insieme a The North Face, destrutturati e poi ricostruiti grazie alla maestria della griffe. Insieme a borsoni waterproof, perfetti per le escursioni d’alta quota.
Marcelo Burlon + Kappa RIFONDAZIONE DEI CODICI STILISTICI Marcelo Burlon County of Milan è, senza dubbio, il re delle collaborazioni tra marchi. L’ultima nata, presentata durante lo show per l’autunno-inverno 2017/18, è la capsule collection realizzata a quattro mani con Kappa, l’iconico brand di sportswear nato nel 1978 a Torino. La loro fusione creativa, di stile ma anche di logo, ha realizzato così anche un nuovo simbolo, presente sui capi di tutta la collezione: essenziali, sportivi e declinati nei colori del nero, rosso e del verde militare. Dalle tute alle T-shirt, fino alle felpe ricamate ad hoc. La capsule è già disponibile in selezionate boutique nel mondo.
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Steve Aoki + Hawkers ATTRAVERSO GLI OCCHI DELL’ELETTRONICA Per il secondo anno consecutivo, Steve Aoki propone una propria collezione personale di occhiali da sole in collaborazione con Hawkers. L’elettrizzante collezione del famoso DJ è costituita da sei esclusivi nuovi modelli. Tre di questi riproducono in toto il classico stile di Hawkers ONE, in virtù della montatura in acetato di cellulosa: un materiale naturale e leggero che permette colorazioni brillanti e design unici. Gli altri tre modelli invece riprendono lo stile Hawkers LAX, con montatura in acciaio inox che permette a questi occhiali da sole di essere robusti, comodi, leggeri e senza alcun rischio di ruggine. Inoltre tutti e sei i modelli di questa collezione in edizione limitata garantiscono la massima resistenza e durata nel tempo e, infine, incorporano la tecnologia flex che li rende perfettamente adattabili a ogni tipo di volto.
Converse + Clot SAGGEZZA DA INDOSSARE Già partner in collaborazione dal 2012, la nuova collezione dei founder di CLOT, Edison Chen e Kevin Poon, consolida la relazione tra i due brand. Dal suo debutto nel 2003, Edison Chen e Kevin Poon hanno reso Clot uno dei brand più rilevanti della cultura streetwear mondiale. Questa special edition di Converse One Star sfrutta la missione del brand che fonde creativamente queste due culture. Infatti, le sneakers Converse x CLOT One Star rendono omaggio all’antica arte del Tai Chi e alle radici dell’iconico brand nella cultura popolare attraverso basket, musica e skate. Simile all’equilibrio Yin e Yang, la parte superiore esterna delle sneakers, in suede bianco e nero, rispecchia i simboli cinesi per la pace interiore, impressi sulla suola interna ed esterna delle sneakers. Stampato su entrambi i lati interni della scarpa c’è una quote che esprime la saggezza confuciana in mandarino e la sua fedele traduzione inglese. Le sneakers presentano un packaging premium con un’ode alle tradizionali arti marziali e con illustrazioni incise sul coperchio della scatola che ricordano la parte superiore del diagramma dei movimenti Tai Chi. In vendita presso store selezionati e su converse.com
Sansovino 6 + Invicta OLTRE GLI SCHEMI ISTITUZIONALI Disegnate dal direttore creativo Edward Buchanan, le creazioni sono un ritorno significativo alle origini del marchio, oltre ogni standard. Una collezione trasversale e genderless. Le parole chiave dei look sono definizione, sensibilità e indossabilità. I tessuti in maglia partono dalle basi naturali della lana, del cotone e del cashmere. Le texture e il movimento prendono forma attraverso l’attento studio degli jacquard e degli intarsi. Le nuances vanno dal grigio melange, al perla, passando per l’antracite e i toni del grigio combinati in texture bouclé. La collab con Invicta vede maxi zaini Monviso Limited edition Sansovino 6, customizzati dal designer.
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Bally + Swizz Beatz IL FASCINO DELLA NUOVA CREATIVITÀ Bally ha realizzato una capsule collection con il producer americano Swizz Beatz e disegnata dall’artista Ricardo Cavolo. La collaborazione, come spiega l’azienda, è nata spontaneamente lo scorso anno in seguito a un post Instagram di Swizz Beatz in cui mostrava le iconiche sneakers Ascona commentando “Bally is back!”. La collezione si compone di accessori e abbigliamento, uomo e donna, ed è caratterizzata dalle stampe di Ricardo Cavolo che rappresentano il concetto di “totale libertà” senza limiti alla creatività. La capsule è in vendita fino a dicembre in alcuni selezionati store del mondo, tra cui Milano, e sul sito di Bally. Il legame tra il producer e Ricardo Cavolo si deve a “No commission”, una piattaforma esperienziale itinerante curata da Swizz Beatz e sponsorizzata da Bacardi che ha il fine di creare un collegamento diretto tra il mondo delle arti visive e musicali e l’idea di sostenere gli artisti in varie città del mondo.
Gosha Rubchinskiy + Adidas IL FASCINO IRRESISTIBILE DELL’EST Lo stilista russo Gosha Rubchinskiy, che da un paio d’anni spopola tra i fashions grazie alla sua estetica post-sovietica che tanto piace, è al centro di una collab con i tedeschi di Adidas Football. Siamo alla prima fase di un rapporto che durerà nel tempo e che è stato imbastito per via dei Mondiali 2018 in Russia (Adidas è main sponsor) ed è una specie di tentativo di addolcire l’immagine del calcio da quelle parti ancora dura. Ci saranno sfilate nelle città della World Cup e un’ulteriore collab fatta apposta per la World Cup.
Vans + Karl Lagerfeld IL CLASSICO CHE SI REINTERPRETA Attraverso 12 modelli la collezione reinterpreta lo stile Vans con gli occhi di un'iconica maison, per un risultato naturalmente alla moda che mixa l’eleganza parigina agli intramontabili classici. L'abbigliamento e gli accessori proposti non passano inosservati in una palette bicolore dai toni bianchi e neri. Tra i modelli disponibili sono presenti una T-shirt e una felpa con il logo Vans x KARL LAGERFELD, una T-shirt con Karl Lagerfeld che indossa una cravatta a scacchi, un bomber bianco e nero con maniche raglan, uno zaino in pelle pregiata con cuciture trapuntate e un cappellino con visiera a scacchi. Le calzature Vans x KARL LAGERFELD includono sei interpretazioni dei modelli Vans Classic, tra cui il debutto delle SK8-Hi Laceless Platform e delle Old Skool Laceless Platform, entrambe abbellite da pelle di prima qualità con cuciture trapuntate e suola platform bianca.
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INTERVIEW
:) Il sorriso regna sovrano: il fenomeno Smiley Un linguaggio universale racchiuso in una minuscola faccina gialla sorridente che è riuscita a conquistare il mondo intero, diventando il simbolo più usato. Amata anche dal fashion system internazionale.
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a 46 anni, è francese, simpatico e soprattutto disponibile a raccontare l’inedita storia che ha reso la faccina tonda il simbolo più famoso al mondo. Si chiama Nicolas Loufrani, parla bene l’italiano ed è orgoglioso e felice di illustrare il successo dell’impero fondato dal padre Franklin. «L’idea è stata lanciata da mio padre nel 1972 in Francia con l’operazione “Prenez le temps de sourire” per il quotidiano France Soir, un progetto che consisteva a mettere in risalto le notizie belle con uno smiley», spiega Nicolas. Una mossa innovativa che ha impattato positivamente sul nuovo modo di comunicare, generando un linguaggio universale: comprensibile, conciso, semplice. E riuscendo a conquistare l’intero pianeta con quello che era in origine un concetto promozionale. «Il simbolo riscosse da subito un certo successo, tanto che iniziarono le prime collaborazioni con i jeans Levi's e le macchine fotografiche Agfa, oltre a prodotti per la scuola e cose simili. Insomma, merchandise classico molto mass market».
Un virus di felicità che oltrepassava tutte le barriere e che non poteva essere più solo un logo. «A metà degli anni 90 il logo smiley non era più nel suo periodo d’oro, non piaceva come prima; incominciava a essere considerato vecchio. E a quell’epoca vecchio equivaleva a “essere finito”, non esisteva la cultura heritage di oggi. Da lì è nata l'idea delle emoticons, proprio per creare qualcosa di nuovo. All'inizio non erano destinate al digitale, era un modo per dare un’immagine rinnovata al marchio, creare qualcosa che suscitasse un’emozione. Solo due anni più tardi ho capito che lo smiley poteva sostituire le faccine fatte con la punteggiatura». Fu così che entrò in gioco il giovane Nicolas. Con un intuito creativo vincente: trasformare quell’icona in una faccia espressiva. Insomma, umanizzarla e digitalizzarla. Nel 1999 erano disponibili già un centinaio di categorie. Le parole cominciavano a essere rimpiazzate da minuscole e divertenti immagini, immediatamente identificabili. Et voilà, la rivoluzione del linguaggio!
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lifestyle
Dietro al suo successo il francese Nicolas Loufrani, presidente della realtà milionaria The Smiley Company.
Moschino SS 2016
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Sugarbird
oi sono arrivate le collaborazioni con il mondo della moda, dai marchi di passerella ai giovani designer, fino alle grandi catene del fast fashion… «Mi piace collaborare con un brand di lusso ma che esprimi positività e rispecchi appieno lo spirito di Smiley, come ad esempio Moschino.» Una creatività premiata da 45 anni che registra 260 licenze e un fatturato globale di 260 milioni di dollari all’anno. E quando si tocca il tasto Emoji, fenomeno giapponese diffusosi con l’avvento degli smartphone lanciati da Apple, Nicolas esordisce: «Sono una copia, ma restiamo comunque due realtà differenti». Mentre sulla questione dell’uso delle emoticons come causa di una possibile regressione della lingua, Loufrani ritiene al contrario che queste arricchiscono il linguaggio. «Pensiamo ai Giapponesi! Hanno vari sistemi di scrittura, incluso il nostro alfabeto latino. E ciò non li rende certo meno intelligenti, ma assolutamente l’opposto. Utilizzare da giovane diversi modelli di scrittura credo possa essere un importante vantaggio, perché permette di tenere in allenamento il cervello e sviluppare l’intelligenza.» E dal 2001 c’è anche un dizionario ufficiale con espressioni sempre aggiornate. Per una vita all’insegna del divertimento e la felicità. Evviva gli smiley!
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Occhi incantati verso l’infinito
testo di Marco Torcasio
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Electro-pop e basi r’n’b minimaliste si fondono per dar vita al nuovo gioiello discografico di Oscar & The Wolf. Ritmiche sintetiche e timbro elegante sono i suoi punti di forza sin dall’esordio ma, se la maturità artistica non è più così lontana, è già tempo di spingersi un po’ più in là, di dare libero sfogo alla malinconia e proiettarsi verso l’infinito.
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onostante l’Italia sia rimasta finora immune al suo fascino, l’androgino Max Colombie, in arte Oscar & The Wolf, torna con un nuovo disco che non può passare inosservato. Forte di un impressionante seguito in Europa centrale e di numerose date in festival importanti, ha confezionato la propria ricetta perfetta e l’ha intitolata Infinity. Il suo alter ego parla chiaro. Oscar, per il significato profondamente poetico che rievoca alla mente di chi l’ascolta (chiaro il riferimento a Oscar Wilde), & The Wolf (ovvero il lupo) come animale simbolo di un’oscurità fredda e solitaria che si riflette tuttavia nella luminescenza della luna piena. A Max piace molto giocare sempre sul filo del rasoio tra luce e ombra, tra sentimenti positivi e istinti selvaggi e, musicalmente, questo dualismo si traduce in un ensemble di eclettici contrasti. Tra un lirismo alla Antony/Anohni e un soul moderno e urbano alla The Weeknd. Nel sovraffollato ed eterogeneo mondo del pop contemporaneo, dove ogni mese si rincorrono sempre nuove uscite, più o meno valide ma troppo spesso inconsistenti e anonime, Infinity è una piccola perla che brilla per personalità e intensità. Max lo racconta così: «Ho avuto un anno particolarmente drammatico… ma il dramma può avere i suoi risvolti positivi. Non cerco di combattere i miei sentimenti negativi bensì cerco di scavare fino in fondo per trovare qualcosa di interessante. Le canzoni arrivano da qui». Tra le dieci tracce di Infinity si alternano pezzi elettronici (dall’essenziale Queen alla pirotecnica opening-track So Real, passando per Touch Down, Last Night e la sensualità della conclusiva Fever), incursioni r’n’b (il morbido ritmo giamaicano di Exotic, le inflessioni orientali di Susato, i synth distorti di Pretty Infiniti) e irresistibile funky-pop al neon (Runaway, Honey, Chevrolet). In questi tre anni che separano la nuova uscita dall’album di debutto Entity, Oscar and The Wolf è diventato una vera e propria superstar in Belgio. Al Pukkelpop festival era headliner nonostante ci fossero Rihanna e gli LCD Soundsystem. Headliner lo è stato anche ad Amsterdam e Istanbul mentre al Lowlands Festival ha suonato poco prima dei Muse. Oscar è molto amato dalla moda e in particolare da Dries Van Noten per il quale ha creato la colonna sonora delle sfilate di Parigi nel 2015. Ma il suo pregio più marcato è l’intenzione, riuscitissima, di sviluppare una propria identità, permeata da un’attitudine bohémien d’altri tempi, per attraversare trasversalmente mode presenti e passate e fregarsene delle logiche di mercato attente ormai solo ai singoli da incasso. Non è uno di troppe parole Oscar, ma quelle che ci regala in questo scambio ci piacciono tantissimo.
Personalmente ti ho scoperto in quanto opening act del concerto di Róisín Murphy di due anni fa qui al Fabrique di Milano e non ti ho più perso di vista. Perché Róisín ti ha scelto e che cosa vi lega musicalmente? Róisín è fantastica sia come artista che come persona, sul palco è molto sensuale e si concede completamente a livello di interpretazione… canta, balla, si scatena. On stage siamo persone diverse, ma musicalmente il rispetto che ci unisce è molto alto. Come concili il tuo stile intimista con le grandi folle dei festival a cui partecipi? Non faccio altro che riporre tanta fiducia in me stesso e sforzarmi di essere all’altezza del pubblico che mi ascolta. Come descriveresti lo stile che ti contraddistingue se dovessi servirti di due parole soltanto? Emotivo al massimo con risvolti dark. E se invece dovessi andare più in profondità? Guardo alle mie canzoni come fossero musica della Disney per adulti. Però hanno molti elementi sessuali e sopra le righe che forse non sono adatti a bambini! Ma vorrei andare oltre il concetto di “musica che si dovrebbe fare” e rompere la costrizione imposta da quest’idea. Non credo esista una linea tra musica alternativa e commerciale, anche i brani classici sono come la musica pop per me. E penso ci sia vera bellezza anche nel suono EDM. Sei autore dei testi che canti, che cos’è per te la poesia? Un’espressione di me stesso. Un mezzo allegorico attraverso il quale indagare e al contempo esprimere me stesso. Tra le tue influenze ci sono gli Smiths all’origine di tutto. Cosa ascolti in questo periodo? Rihanna, Lana Del Rey, Kendrik Lamar, Frank Ocean, Perfume Genius. Questo album credi decreterà un ampliamento della tua fanbase? Non è tra le mie intenzioni. Vorrei soltanto continuare a fare ciò che mi piace e la musica è sicuramente una parte importante di tutto questo. Come gestisci il tuo rapporto con i fan? Mantengo un po’ le distanze perché vorrei proteggere la mia vita privata. Sei consapevole di essere una Queer Icon? Sì e la cosa mi fa stare bene, ma non me ne curo particolarmente perché agisco in quanto artista e quindi in nome dell’arte non appartengo a nessuna etichetta.
Oscar & The Wolf (nella pagina a fianco)
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b endin e v r o o e r g d G n e G
Unica costante dietro al progetto Hercules & Love Affair sin dai tempi dell’album di debutto, Andy Butler è il ginger boy dell’elettronica mondiale d’impronta queer. Con i suoi djset trascina in pista ma con il suo songwriting sa anche far riflettere. Dietro le quinte del concerto degli Arcade Fire a Milano ci ha raccontato il suo ultimo featuring album Omnion.
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problemi con alcol e droghe, culminati in un’overdose che lo stava portando alla morte, sono ormai alle spalle da quattro anni. Andrew Butler, anima del progetto Hercules & Love Affair, ora vuole ballarci su. Il suo nuovo disco Omnion si muove in bilico tra introspezione intimista e slanci club, tra songwriting synth-pop e spinte house. I membri che fanno attualmente parte del collettivo Hercules & Love Affair sono l’artista trans-gender franco-algerino Rouge Mary e il frontman belga Gustaph. Ma Omnion si presenta a tutti gli effetti come un disco pieno di collaborazioni. Su tutte troneggiano quelle con Faris Badwan - che intona il singolo apripista “Controller”, nervoso pezzo house venato da un torbido erotismo sado/masochista, e ricompare in “Through Your Atmosphere”, pezzo anni ‘80 che ricorda l’operato dei suoi Horrors. Omnion è un figurato viaggio sonoro attraverso il progredire delle emozioni al quale va riconosciuta sopra tutte la singolare capacità di far uscire allo scoperto la profondità, l’introspezione e la sincerità dalla leggerezza pop-dance.
cantanti con vocalità tutte differenti unite da una continuità a livello di testi e contenuti. Gli Hercules & Love Affair non hanno mai fatto mistero della loro spiccata attitudine club. Spesso la discoteca è percepita però come un’evasione dalla realtà in cui non c’è possibilità di dialogo. Perché hai sentito l’esigenza di affrontare questo aspetto realizzando un disco sospeso tra dancefloor e home-listening? Il disco precedente, The Feast Of A Broken Heart, alludeva al concetto di club vissuto quasi come luogo di culto. Omnion ammette invece che tra le persone che si ritrovano nei club non ci siano veramente dei dialoghi, che il clubbing sia spesso una fuga, una disconnessione con il mondo là fuori. Credo però che ballare in un club possa ancora avere risvolti più profondi e ricreare una vera comunità. Ho cercato di unire la dimensione del ballo con quella dell’ascolto a casa sin dal primo album in una sorta di equilibrio instabile che crea dipendenza.
Di recente hai remixato il singolo di Van Etten “Not Myself”, una sorta di responso dell’artista al massacro al Pulse Club di Orlando. Come hai reagito a quella tragedia? testo di Marco Torcasio Negli ultimi tre anni passati a registrare il disco sono successe molte cose orOmnion European Tour rende nel mondo e la strage di Orlando è sicuramente una di queste. L’avveOmnion segna l’inizio di un nuovo caNOVEMBER 10th – Metropop Festival, Lausanne, Switzerland nimento mi ha spaventato perché ha pitolo artistico nella tua carriera, come 15th – Sala But, Madrid, Spain messo in evidenza un odio profondo, vivi tutto questo? 16th – Sala Apolo, Barcelona, Spain verso se stessi e verso gli altri. L’unica Il 1° settembre ho pubblicato il mio quar17th – Lux Fragil, Lisbon, Portugal risposta possibile per non cavalcare ulto album con gli Hercules & Love Affair 25th – Smolna, Warsaw, Poland teriormente quell’odio per me è stato 30th – Kesslehaus, Berlin, Germany ma non ho idea di cosa potrà succedere rifugiarmi nella voglia di stare insieme dopo, al momento sono impegnato nel DECEMBER gli uni con gli altri. Ho un grande rispettour insieme alla band. Come artista se1st – Trix, Antwerp, Belgium to per Van Etten perché ha vissuto l’acguo da sempre l’impulso che mi porta 6th – Santeria, Milan, Italy caduto con grande empatia. Il lavoro a scrivere musica, un bisogno che sento 7th – Locomotiv, Bologna, Italy di rework è nato da un verso della sua 8th – Shepherds Bush Empire, London fortissimo sin da adolescente. Ho iniziacanzone “Not Myself” che mi ha tocto suonando il pianoforte, poi scrivere cato particolarmente: “I want you to be canzoni è stata naturale risposta a una vera e propria necessità esistenziale che ho assecondato anche yourself around me”. Se qualcuno mi avesse detto una frase del geai tempi del college, che mi ha portato fin qui oggi ma che non nere quando ero bambino la mia vita e i miei sentimenti sarebbero so dove ancora mi condurrà. In questo preciso momento della mia stati completamente diversi. vita mi sento molto soddisfatto, ma soprattutto fortunato grazie ai molti artisti con cui ho potuto collaborare, tra produttori, visual Conosci molto bene la nightlife perché sei uno stimato dj. Quali sono i migliori party al momento in circolazione? artist e designer. Ciò che accade al Block 9 del Glastonbury Festival di Londra è enIl disco tocca diversi temi tra cui fede e tolleranza. Il sound ha risen- tusiasmante. Una sorta di mondo parallelo ricreato da event producers e djs. Migliaia di persone si radunano in questa area specifitito del tuo personale rapporto con la fede? Ancor prima di essere indottrinato alla fede dalla mia famiglia ero ca e posso assicurarvi che lo spirito è davvero grandioso… l’energia affascinato dalla mitologia e dalle similitudini rintracciabili tra la e le vibrazioni incredibili. Bibbia e la mitologia. Ho sempre amato osservare il modo in cui le persone cercano di interpretare il mondo che le circonda, il modo Cosa significa libertà per te oggi? in cui esprimono ciò che provano in relazione all’esistenza di Dio. Credo molto nel potere della scelta. La cosa migliore al mondo è Suppongo quindi di aver sempre avuto dentro di me una sensibili- dare a qualcuno la libertà di scegliere. Chi, come e dove si vuole tà di tipo spirituale, stimolata dalla certezza che esistessero verità essere. È controverso ancora oggi se essere omosessuali sia una universali e verità soltanto umane. Sono tuttora una persona di questione biologica o una scelta. Beh, io credo che se anche fosse fede e grande fonte d’ispirazione per me è proprio Rouge Mary. una scelta sarebbe comunque meraviglioso perché scegliere chi si Ho viaggiato a lungo con lei in tour e la sua carica spirituale ha vuole essere significa essere liberi. certamente avuto ripercussioni sulla band. Il nuovo album è comNovità sul tuo progetto solista? pletamente immerso nella spiritualità. Posso dirvi che sto creando davvero molta musica. Non so prevedere quale sarà il futuro degli Hercules, ma continuerò comunque a Ci troviamo di fronte a un cosiddetto “featuring album”? Sì, ogni canzone è una collaborazione con un artista diverso. Dieci scrivere perché più di tutto amo lavorare con le persone.
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INTERVIEW
Marracash vola in alto Marracash protagonista del primo Concert In The Sky che l’ha visto esibirsi a Milano su una piattaforma sospesa a 40 metri di altezza. In 2000 si sono radunati Allo Scalo di Porta Genova per un happening targato Timberland mai realizzato prima.
Il King del Rap milanese ha sfidato l’altezza, muovendosi con disinvoltura all’interno di una piattaforma volante e realizzando uno show unico nel suo genere insieme ad altri noti compagni d’avventura: il producer Shablo, la rap star Sfera Ebbasta, la iena Cizco, lo speaker radiofonico Andrea Rock. Tutti insieme ai fan per celebrare la nuova sneaker di Timberland FLYROAM, scarpe dalle linee sagomate e aerodinamiche dotate di tecnologia AeroCore™ Energy System che le rendono molto leggere e con un rivestimento interno che permette la massima libertà di movimento. Un evento completamente gratuito, un regalo di Timberland alla città di Milano, per dare nuova vita alla rinnovata area ferroviaria Allo Scalo di Porta Genova, nonché creare un appuntamento musicale diventato virale nel giro di poche ore sui principali social media. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con King Marra e con Giorgio D’Aprile – Marketing Director Timberland Europe, Middle East and Africa.
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Indossa FLYROAM Timberland
Marracash
INTERVIEW
si è riequilibrato. Ora bisogna capire che peso hanno e che peso avranno in futuro le radio e che ruolo giocheranno.
Intervista a Marracash:
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ono sempre più frequenti le sinergie tra il mondo della moda e la musica rap. Cosa dà più degli altri questo specifico genere musicale? Queste sinergie per me non sono ancora abbastanza. All'estero c'è molta più connessione tra gli esponenti del rap, dello spettacolo e della moda, mentre in Italia gli ambienti rimangono ancora entità separate. Le nostre star tendono a essere mal vestite, solitamente poco presentabili. Non so perché, siamo un Paese molto conosciuto per la moda ed è un po’ strano che ci sia questo scollamento. All'estero è anche molto forte il concetto di Red Carpet, noi italiani siamo più attenti al gossip. È qui che nascono partnership tra i cosiddetti “personaggi pubblici” e i brand. In realtà trovo che il rap sia portavoce della street-culture e di uno stile che ispira molti brand di streetwear, ma non solo. Lo streetwear ormai è approdato anche nell’alta moda. Per un rapper curare il proprio look è qualcosa di naturale perché aiuta a esprimersi e secondo me dovrebbe esserci molta più sinergia. In merito a questa collaborazione, perché hai scelto Timberland? In realtà è Timberland che ha scelto me. Ho accettato molto volentieri perché è stato un brand protagonista della mia adolescenza, dei miei vent'anni, ed è molto rappresentativo nel mondo del rap nonché un cult dello streetwear. Come rispondi a chi avanza delle critiche affermando che il rap, per come nasce, dovrebbe prendere le distanze da tutto quello che è patinato? Sono d’accordo. Penso sia stupido indossare l'ultima “limited edition” di turno per farsi una foto e poi buttarla via, è qualcosa che non mi appartiene. Al tempo stesso è pur vero che un prete si veste da prete per servire messa. Utilizzare il look per espandere la propria personalità e il proprio modo di esprimersi è positivo e interessante. Nel momento in cui prevale solo il puro consumismo allora c'è qualcosa che non va. Non importa indossare capi iper-glamour, ma avere una propria originalità. Pensate per esempio ai Public Enemy che hanno lanciato i look total black abbinato ai catenoni d’oro. Quale significato assume questo tuo concerto? È come una sorta di giostra. Quando abbiamo fatto le prove, stare così in alto (sulla piattaforma dello Scalo Genova sospesa a 40 metri da terra ndr) è stato stranissimo. La figata è aver potuto sentire la mia voce risuonare amplificata in modo incredibile.
Sei un esponente del rap italiano al maschile, hai anche dei riferimenti femminili internazionali o italiani? Il rap è sicuramente un mondo maschilista, il rapporto è uno a dieci se non a venti, ma è un discorso di retaggio culturale. È come la boxe, sono sicuramente più uomini a praticarla perché è considerata appunto “roba da uomini”. Ma cambierà anche questo. Lauryn Hill ha fatto un disco molto bello che è “The Miseducation of Lauryn Hill”, e rappresenta un punto di riferimento anche nel rap. Poi ovviamente spaccano anche Lil’ Kim, che ha saputo dare un contributo non indifferente quanto a video e styling, e Missy Elliot. Che ci dici del tuo rapporto con la città di Milano? È in continua evoluzione. Devo ammettere che, data la fama, la vivo come una grande prigione, casa mia è la mia cella, ma nonostante questo è bello vedere quanto Milano si sforzi di essere una città a 360° europea. Cosa ti auguri per il futuro? Diversamente da quello che si pensa, non mi sento affatto arrivato. Sono uno che tende a essere sempre insoddisfatto, soffro di depressione e questa cosa me la porterò sempre dietro. Quindi, in generale, cerco di stare meglio nella vita, più sereno anche al di là del lavoro. La mia è una vita molto particolare, in cui isolarsi e scollarsi dalla realtà non è per niente facile. Essere completamente a proprio agio nella vita mondana, non è il mio caso, potrebbe trasformarsi in un limite, perché potrebbe impedirti di fare anche una semplice passeggiata. Ad oggi non ho ancora trovato un equilibrio tra lavoro e vita privata. Intervista a Giorgio D’Aprile:
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uali sono gli umori per questa serata molto attesa? Molto attesa qui a Milano soprattutto dopo l’evento tenutosi a Londra che ha riscosso un grande successo. I protagonisti sono ancora Timberland Flyroam e la musica hip-hop. Una serata speciale con il primo concerto a quaranta metri d’altezza. Siamo i primi ad aver organizzato qualcosa del genere e abbiamo deciso di farlo in collaborazione con Marracash.
L’altitudine può essere anche metafora di ulteriori concetti? C'è una canzone sull’altezza che adoro. È di Vasco Rossi, si chiama “Gli Angeli”. La canzone spiega che stare in alto consente di vedere tutte le cose piccole ed è bello perché è come se lassù non potesse arrivare la sofferenza della gente. È un punto di vista privilegiato, anche un po’ romantico.
Come avete scelto l’artista a cui affidare questa importante testimonianza? La scelta non è stata affatto casuale perché Timberland, quanto a strategia, intende rivolgersi adesso a un pubblico più giovane rispetto a quello abituale. Volevamo un testimonial che fosse in grado di attrarre i ragazzi dai 14 anni in su e chi se non Marracash rappresenta l’esempio perfetto?
Ogni settimana esce un disco di musica rap che balza in testa alle classifiche. C’è un’evoluzione incredibile rispetto a qualche anno fa, perché? Penso sia una rivoluzione partita con lo streaming. È qualcosa che ha cambiato completamente il “game” della musica, quelli che prima magari erano artisti di nicchia sono diventati big e i big, contando molto sulle radio e sull'appoggio dei media tradizionali che nel frattempo hanno perso potere, son stati ridimensionati. Tutto
Cos’ha Marracash che gli altri non hanno? Abbiamo scelto Marracash perché volevamo che il nostro ambassador fosse anche un appassionato della marca. Cercavamo un artista che fosse appassionato al progetto Flyroam e lui si è dimostrato da subito entusiasta e disponibile. Quando ha saputo anche del concerto a quaranta metri d’altezza ha fatto i salti di gioia e non vedeva l’ora di fare quest’esperienza. Abbiamo dunque scelto lui sia per il tipo di musica che per l’entusiasmo dimostrato.
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Concert In The Sky by Timberland with Marracash Allo Scalo di Porta Genova, Milano
Quali sono le caratteristiche tecniche della sneaker Flyroam? Flyroam è un prodotto tecnologico. Le caratteristiche principali sono due, la prima riguarda il volersi differenziare dai principali competitor del settore, realizzando una sneaker secondo i criteri della manifattura, dalla costruzione all’utilizzo della pelle. Qualità da sempre molto care a Timberland. La seconda novità riguarda la suola, al suo interno riporta la tecnologia Aerocore contraddistinta da due elementi di grande innovazione, il primo è la leggerezza della suola, l’altro è l’Energy System: un sistema di risposta energetica per ogni passo dato. Per quanto riguarda il design della scarpa vi siete affidati a un designer in particolare oppure è stato un lavoro di team? Tutti i prodotti Timberland vengono disegnati internamente, c’è una squadra apposita. Si tratta di persone che conoscono bene il brand, che girano il mondo cercando di capire quali possano essere i nuovi temi d’ispirazione. È una perfetta combinazione di conoscenza su due fronti, quella del marchio da una parte e quella del consumatore dall’altra. Per Timberland il mondo social rappresenta una fonte di ispirazione? Si, per quanto riguarda la parte dello street-style. Stiamo spingendo molto si canali digitali, volgiamo costruire un
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network di influencer sia nel mercato europeo che mediorientale. Lavoriamo su Instagram e Facebook con due strategie differenti, creiamo delle storie attorno ai prodotti seguendo un preciso calendario editoriale. Un passo in avanti rispetto a due anni fa quando i social erano utilizzati perlopiù come vetrina prodotto. Se la musica è un mondo in cui cercare ispirazione, come vi rapportate invece allo sport? Attraverso degli studi realizzati con Google, abbiamo scoperto quali sono gli interessi dei nostri consumatori, sostanzialmente tre: musica, cinema e sport. Per il momento abbiamo deciso di puntare sulla musica perché pensiamo ci siano molte connessioni con l’universo Timberland. Al momento vogliamo legarci sempre di più al mondo del lifestyle e meno a quello sportivo, infatti la nostra sneaker Flyroam è pensata per un look streetwear, urbano, adatto alla città. Che ci dici invece della tua musica preferita? Il rap sto imparando a conoscerlo da poco. Di base mi piace la buona musica, non importa di che genere, ma ammetto un debole per il jazz e la classica. M.T.
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EXHIBITION OCCHIELLO
La “Ballata” di Nan Goldin celebra la libertà dei costumi. E quella dell’arte 134
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A trent’anni dalla sua pubblicazione, torna a Milano il progetto dell’artista americana dedicato ai ragazzi della sua generazione.
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EXHIBITION OCCHIELLO
Gioiosi, disperati, irresponsabili, dipendenti da sesso e da droghe. Una lezione contro tutti i moralismi. testo di Alessandro Riva
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ono passati trent’anni, e per certi versi sembra passato un secolo. Eppure i personaggi che costellano quell’epopea feroce, tragica e viscerale che è The Ballad of Sexual Dependency (promossa dal Museo di Fotografia Contemporanea alla Triennale di Milano, fino al 26 novembre 2017), sembrano ancora oggi vivi, pulsanti di vita e di emozioni, immortalati sotto l’impietoso flash delle immagini veloci, sporche, drammatiche e tutt’altro che patinate di Nan Goldin, all’epoca giovanissima studentessa d’arte a Provincetown, Massachusetts. Sono ragazzi come tanti, gay, eterosessuali, in qualche caso giovanissimi transessuali, giovani “qualsiasi” ma anche alcolisti in erba, tossicodipendenti, fumatori di marijuana o di crack, baristi, commesse, aspiranti artisti, studenti, musicisti: giovani malinconici o disperati, innamorati o infelici, ripresi mentre si preparano a uscire per la serata o mentre sono soli in casa, sul letto o al bar, in bagno, in auto, mentre fanno l’amore o dopo aver litigato; fotografati nella pienezza della loro vita per metà disperata e per metà felicemente incurante del futuro e dei foschi presagi di morte, di solitudine e di disperazione che incombevano già su tutta una generazione quella cresciuta tra gli anni Settanta e Ottanta -, tra uso e abuso di droghe, di alcol, di una sessualità libera e senza freni né precauzioni, che presto portò a mietere vittime anche attraverso quella peste dilagante e spaventosa che è stato, e purtroppo è tutt’ora, l’Aids. Immortalati in un momento quasi magico, di sospensione fuori dal tempo, sono testimonianze viventi di un istante della vita intima e segreta di ragazzi come tanti, europei e americani, tra feste, discorsi, sogni, risate, pianti, eccitazione, droghe, scorribande notturne per la città, relazioni difficili fatte anche di litigi e di botte.
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personaggi di The Ballad of Sexual Dependency sono attori di un film una bizzarra “normalità” quotidiana della vita giovanile dei primissimi anni Ottanta. Molte droghe, molto sesso e anche molta violenza: sono certamente questi gli elementi alla base di questa prima serie di immagini di Nan Goldin, che in seguito diventerà una delle più importanti fotografe e artiste contemporanee. Ma la lezione che ci impartisce l’artista con The Ballad of Sexual Dependency non è quella della morbosa curiosità verso un mondo che oggi sembra scomparso, perché apparentemente sostituito dalla vuota banalità delle foto artefatte e patinate delle giovani e precocemente ricche fashion blogger di oggi, che su Instagram mostrano malinconici selfie di se stesse, che aprono pacchetti di vestiti e di accessori che le case di moda inviano loro per pubblicizzare gli ultimi prodotti: è piuttosto nella freschezza e nel coraggio di voler documentare, prima che i social network venissero a trasformare in
spettacolo inconcludente e ossessivo ogni istante della nostra vita di tutti i giorni, la straordinarietà di un quotidiano vissuto intensamente, senza calcoli, moralismi e ipocrisie sociali, e senza l’ossessione del doversi mostrare diversi da quello che si è, a favore di un’infinita serie di “selfie” ossessivamente postati sulle pagine dei propri profili. The Ballad of Sexual Dependency è uno straordinario ritratto collettivo, ripreso dall’interno - da una di loro, che faceva la loro stessa vita e ne condivideva passioni, eccessi, solitudine, disperazione, segreti -, senza schermi né filtri né messaggi moralistici da inviare al mondo. Non ci sono mai state, in quelle foto, preoccupazioni moralistiche o ipocrisie sociali, non c’era la paura di mandare “messaggi negativi” al mondo, di rischiare di fare pubblicità alle droghe o a una sessualità libera da preconcetti, regole o timori.
«Non li ho mai considerati dei ‘tempi selvaggi’. E non ho mai pensato che un giorno sarebbero potuti finire»., ha detto l’artista in un’intervista. «Io vivevo nel presente, non documentando per il futuro».
L’
arte, ci insegna Nan Goldin, è libertà, testimonianza, gioco, verità. Anche quando ci mostra una quotidianità conturbante o disperata. In un periodo in cui siamo costretti ad assoggettarci all’osceno moralismo dei social network, che permettono senza problemi a migliaia di persone di lanciare messaggi razzisti, fascisti o violenti ma ai quali basta una banale foto di nudo per bannare un profilo, la scandalosa verità di Nan Goldin e della sua conturbante “Ballata di una dipendenza sessuale” ci colpisce come un pugno nello stomaco. L’arte, quella vera e autentica, non tollera censure, è esente da moralismi, non conosce perbenismi nella vita e nei comportamenti individuali, e non ha messaggi “buoni” e positivi da lanciare al mondo, se non quello della forza della propria libertà interiore.
Nan Goldin The Ballad of Sexual Dependency In mostra presso il Palazzo della Triennale di Milano fino al 26 novembre 2017
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Nan Goldin – The Hug, 1980
occhiello Art
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EXHIBITION
ARAKI Style Alla Fondazione Bisazza una mostra personale del controverso artista giapponese: opere inedite e provocanti, fra paesaggi metropolitani e nudi femminili. Per raccontare l’universo più profondo dell’uomo attraverso la tradizione orientale.
testo di Antonella Tereo
ARAKI Fino al 3 dicembre 2017 Ingresso: Mercoledì - Domenica, orario 11-18
FONDAZIONE BISAZZA Viale Milano, 56 - Alte di Montecchio Maggiore (VI)
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Art
L’
enfasi dell’antica cultura giapponese negli scatti di Nobuyoshi Araki. La forte personalità di uno dei più discussi artisti contemporanei incontra oggi la bellezza dell’arte del mosaico made in Italy per eccellenza. Bisazza, l’impero fondato nel 1956, si fa infatti promotore di un appuntamento culturale sulla scena internazionale e artistica molto forte cogliendo l'opportunità di mostrare le opere dell'artista giapponese presso la sua Fondazione, nella sede di Alte nei pressi di Vicenza. Saranno esposte fino al prossimo 3 dicembre, nelle ampie sale dedicate, più di sessanta provocanti opere, oltre a dieci inedite fotografie che rimandano allo stile più caratteristico di Araki, quello che punta al sottile confine fra piacere e sofferenza, mostrato dalle sue famose geishe, fra giochi di luci e colori che sembrano esplodere, a dispetto del rigore della tradizione orientale che pervade il contesto delle immagini. Figure inermi, corde strette, sguardi sottomessi sono gli ingredienti che l’artista non manca di aggiungere nelle sue opere più famose previste nella rassegna espositiva. Poi, fra le altre opere della mostra, quelle che rimandano alle serie Sentimental Journey, Kaori, Painting Flower, Suicide in Tokyo, Hana Kinbaku, Erotos ed altre ancora, tutte parte di un percorso che per Araki ha mescolato di continuo vita personale, riflessione e ispirazione creativa.
«Siamo lieti di ospitare la mostra "Araki" che ha recentemente inaugurato una nuova sezione dedicata alla fotografia d'autore» ha commentato Piero Bisazza, Presidente dell’omonima Fondazione - «Quale collezionista e appassionato di fotografia io stesso, sono felice che la nostra Fondazione renda omaggio al genio di Nobuyoshi Araki, un artista che ho il piacere di conoscere ed ammirare da molti anni». In effetti la collaborazione fra il maestro dal linguaggio provocatorio e l’azienda italiana di lusso, leader nel design e nella produzione del mosaico di vetro per la decorazione di interni ed esterni, non è recente. Una campagna advertising del famoso marchio vicentino aveva già inaugurato nel 2009 il sodalizio con Araki, suggellando, in uno shooting insolito, audaci accostamenti fra i due mondi. Un progetto del cui successo si parla ancora oggi: le composizioni floreali delle creazioni musive - delicate quasi come i ricami dei kimono giapponesi - erano state accostate alle figure femminili ritratte dall'artista, stette e immobilizzate, come protagoniste e al tempo stesso vittime di un’innegabile cultura, quella legata all'antico rito del kinbaku (o bondage). Un’esperienza professionale forte, anche nel passato dello stesso maestro, come lui spiega in un video inedito girato a Tokyo e ora visibile al pubblico durante la mostra.
Tokyo, 2009 © Nobuyoshi Araki Courtesy of FONDAZIONE BISAZZA
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EXHIBITION
FOTOFEVER PARIS,
International Talent Place testo di Antonella Tereo
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© Beril Gulcan, série Blackface Courtesy GAMA GALLERY
Photography
Sulla scena parigina torna l’appuntamento artistico di novembre: talentuosi giovani artisti della fotografia contemporanea incontrano noti galleristi e talent scout di tutto il mondo. Ed è solo l’inizio per le collezioni di domani.
© Séverine Metraz, Icône 132
Courtesy Galerie Chromia
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ì è ormai giunti alla sesta edizione per Fotofever Paris, la kermesse fieristica creata come prima piattaforma per giovani fotografi e dedicata interamente alle loro creazioni, perché possano diventare opere di debutto nel mondo del collezionismo. Sotto i riflettori, nomi fuori dai grandi circuiti internazionali quindi, ma oggetto di forte interesse per talent scout e piccole, grandi gallerie del mondo. Quest’anno la manifestazione in programma nella capitale francese - dal 10 al 12 novembre al Carrousel di Louvre - sarà il culmine di un percorso che Oltralpe ha già visto dedicare al settore della fotografia iniziative come il Festival Les Rencontres d’Arles a luglio e ancor prima, ad aprile a Parigi, il Mese della fotografia. Ma l’appuntamento di Fotofever ha una marcia in più: Start to collect, la sezione clou dell’edizione, vuole accompagnare anche semplici appassionati all’acquisto della loro prima opera fotografica e inaugurare in modo concreto una propria raccolta. Del resto, si tratta di una fiera internazionale che si propone di svelare nuovi talenti, di discutere di nuove tecniche contemporanee, ma anche di aprire nuovi orizzonti artistici e tendenze che nel tempo segneranno il loro valore, creando simbiosi tutt’altro che passeggere fra l’artista che realizza la foto e chi ne intercetta la lettura piena. Non a caso, sono oltre ottanta le gallerie d’arte presenti e provenienti da tutto il mondo per l’appuntamento novembrino - fra cui anche i nostri Archivio Fotografico Italiano e la Galleria Spazio Farini 6 - mentre sono 150 gli artisti emergenti che espongono le loro opere.
Courtesy of THIS IS NO FANTASY and Dianne Tanzer Gallery
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© Michael Cook Majority Rule (Tunnel), 2014
A questi ultimi sta il delicato compito di scegliere l’immagine che idealmente rappresenta la loro foto di lancio, da esporre nell’edizione in programma nella sezione Coup de coeur du galleriste, perché sia capace di appassionare critici ed esperti quanto cultori dell’arte visiva più recente, suggerendo anche così l’inizio di nuove collezioni prestigiose. E poi altre sezioni, dedicate alle visite guidate, alla discussione e anche all’approccio dei più piccoli. Dietro alla ribalta di Fotofever c’è sempre la volontà della fondatrice Cécile Schall, da generazioni legata al mondo della fotografia e ferma sostenitrice di forme espressive libere, di aprire spazi capaci di contagiare chiunque, con quella sana febbre creativa che lascia tutto il resto alla forza di un’immagine.
INTERVIEW
ROBIN CAMPILLO, il mio amore militante
“120 battiti al minuto” ©Céline Nieszawer
Accolto come un capolavoro all’ultimo Festival di Cannes, dove ha conquistato il Grand Prix, il Premio Fipresci e la Queer Palm, 120 battiti al minuto è il candidato francese per la corsa ai prossimi Oscar. Il regista Robin Campillo imprime su cellulosa la sua nuova, disobbediente, azione di denuncia. L’abbiamo incontrato a Milano...
Robin Campillo ©Céline Nieszawer
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Cinema
L’
ambientazione è la Parigi dei primi anni Novanta, dove il giovane Nathan decide di unirsi agli attivisti di Act Up, associazione pronta a tutto pur di rompere il silenzio generale sull’epidemia di AIDS che sta mietendo innumerevoli vittime. Grazie a spettacolari azioni di protesta, Act Up guadagna sempre più visibilità, mentre Nathan inizia una relazione con Sean, uno dei militanti più radicali del movimento. Il film è chiaramente una finzione. Ma la ricostruzione delle azioni e dei dibattiti condotti all’epoca sa imprimere potenza al racconto rendendolo vivido e puramente emotivo. 120 battiti al minuto racconta un’epoca senza telefoni cellulari, internet o social network. Un’epoca di fax o al massimo di Minitel, i terminali precursori del web. Anni in cui le associazioni non avevano come oggi la possibilità di trasmettere al grande pubblico la propria immagine e i propri contenuti, mentre la televisione aveva ancora un ruolo dominante. Oggi grazie a internet possiamo avere
facilmente la sensazione di appartenere a una battaglia comune, ma questo modo di aggregarsi è difficile che prenda davvero corpo e metta radici. A quei tempi le persone dovevano unirsi fisicamente in uno spazio reale, fronteggiarsi le une con le altre e confrontare le proprie idee. Senza contare che una delle strategie chiave di Act Up era mostrare la malattia attraverso il corpo dei suoi membri, che la società voleva relegare all’invisibilità. I malati vivevano la loro infermità ma al tempo la “rappresentavano”, enfatizzandola e usandola come arma per sensibilizzare il pubblico. Il regista Robin Campillo ha scelto di unirsi all’associazione nel 1992, più o meno a dieci anni dall’inizio dell’epidemia, diventando in prima persona attore di quella battaglia che oggi rivive sul grande schermo grazie ad un film che fa informazione, che punta nuovamente l’accento su una problematica ignorata soprattutto dai più giovani, ma che ci ricorda quanto l’omofobia sia stata moneta corrente della società dell’epoca e lo sia, ahimè, ancora oggi.
«Ho amato quel film dal primo minuto sino all’ultimo - ha dichiarato commosso il presidente della giuria di Cannes, Pedro Almodóvar, dopo la premiazione - non mi sarebbe potuto piacere di più. Campillo ha raccontato storie di eroi veri che hanno salvato molte vite». Qual è la caratteristica più forte della pellicola che ha generato quest’ondata di notevole clamore ancor prima che il film uscisse nelle sale? Quello che è successo a Cannes è stato - e l’ho capito in quel momento - un boom emotivo. Il film ha toccato l’animo degli spettatori già alla prima proiezione stampa del Festival. Lì ho capito che la forza del film sta nel saper fare emergere un tale ventaglio di emozioni e di sentimenti da toccare profondamente il pubblico. Tutto ciò mi ha reso subito felice, ma mi ha anche spaventato perché quando ci troviamo sopraffatti dall’emozione tendiamo a non accorgerci del lavoro che sta dietro tutto quello che appare sullo schermo. A tal proposito come ha lavorato con il reperimento delle fonti? All’interno del film sono presenti appunto molti fatti realmente accaduti… Il lavoro si basa essenzialmente sui miei ricordi personali. È come se nel momento in cui entrai a far parte dell’associazione io fossi diventato una macchina da presa, assorbendo completamente tutto quello che veniva fatto. Il processo di scrittura della sceneggiatura è stato strano e anche doloroso per tanti aspetti perché ho semplicemente ripescato nella memoria tutto quello che avevo vissuto e che mi si è ripresentato con grande precisione. È stato difficile introdurre la componente della finzione perché tutto ciò che viene descritto è vero ma è completamente mescolato con elementi di fiction come fosse un mazzo di carte da gioco. C’è stata una ricostruzione storica di alcune vicende? La vera documentazione riguarda il protocollo medico applicato all’epoca per la malattia e il rapporto con le case farmaceutiche, ma non c’è stata la consulenza di un epidemiologo ai fini della precisione delle informazioni raccolte. 120 battiti al minuto è un film personale, quindi mi sono sentito legittimato a commettere anche eventuali imprecisioni. È stata importante per me non tanto una cronologia della storia e degli eventi, ma al contrario una genealogia delle emozioni e dei sentimenti che, io come altri, abbiamo provato allora, nel momento in cui l’epidemia dilagava.
Gli anni ‘90 sono il contenitore spaziotemporale dei fatti raccontati. Cosa ci rimane oggi di quelle vicende? Posso parlare per ciò che riguarda la Francia perché per l’Italia mi risulterebbe complicato. Il risultato principale delle azioni di Act Up è stato quello di cambiare la percezione che la società francese aveva dell’epidemia e dei contagiati, fossero essi sieropositivi o malati conclamati. Noi dell’associazione abbiamo smesso di mostrarci come delle vittime da compatire e abbiamo rivendicato la nostra vitalità e siamo passati dall’essere i “gay gentili” a essere i “froci cattivi” con la nostra voglia di mostrare come eravamo e cancellare quell’immagine pietista che i giornali ci attribuivano allora. Questo è stato un risultato importante ai fini dell’ottenimento di nuove terapie più efficaci, per la possibilità di rimborsare al 100% le cure a cui si devono sopporre le persone che contraggono la malattia e avere finalmente il diritto di non essere espulsi dal Paese. Oggi siamo entrati in un’altra fase per cui la lotta non è finita, c’è ancora da fare moltissimo per quanto riguarda la prevenzione. Non tutti usano il profilattico, non tutti fanno gli accertamenti necessari per una diagnosi precoce della malattia e anzi uno dei risultati abbastanza inattesi del film per quanto mi riguarda è stato quello di risvegliare le coscienze in questo senso. La parola chiave del film è “militanza”. Potrebbe essercene una seconda, cioè “amore”? L’amore è qualcosa di molto importante non soltanto nel film ma soprattutto in quella che era la nostra vita allora perché noi omosessuali, prima della diffusione dell’epidemia, eravamo ancora assolutamente clandestini, non eravamo visibili alla società in quanto coppie, in quanto persone con una vita privata. Tendevamo a nasconderci. Poi quando abbiamo cominciato a morire è stato impossibile scindere la malattia dalla nostra realtà di cittadini, perché abbiamo lottato affinché venissero riconosciuti i nostri diritti a esistere e ad apparire, oltre che alle cure necessarie. Non dimentichiamo che all’epoca in una coppia nel caso in cui uno dei due partner morisse per la malattia spesso l’altro si trovava improvvisamente a non avere più una casa perché la convivenza non era riconosciuta. Rivendicare il diritto ad amarci è stato un atto politico importante. M.T.
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OCCHIELLO OVERVIEW
Immagina se le Donne fossero al comando Non è futuro, ma la realtà che già viviamo nel presente. La Donna finalmente si è resa conto di essere una Creatura Superiore. A noi uomini comprenderlo come un Paradiso tra desiderio e progresso. testo di Gian Paolo Serino
I
mmagina un mondo dove a comandare siano le Donne. Per me sarebbe un Paradiso. Anzi lo è già. Se il femminismo era dato per spacciato, una rivoluzione persa,
la Donna, soprattutto di questi tempi, ha preso il Potere: da Donna-oggetto degli anni ‘80, immortalata in calendari anche di fotografi importanti, la Donna oggi è diventata una Donna s-oggetto.
Si possono spiegare così anche i tanti femminicidi che purtroppo dominano spesso le cronache: non è un sintomo di una superiorità maschile, ma di un forte senso di inferiorità dell’uomo contemporaneo. Lontano da me l’idea di un discorso sociologico, non sono un sociologo o uno psicologo, e un secolo e passa di questi studi non sono serviti poi a molto. L’uomo è rimasto alla clava, perché pretendiamo di più? Davanti a una Donna oggi libera di lasciare, di vivere una vita indipendente, l’uomo si trova spiazzato e reagisce, almeno i più trogloditi, come un uomo della Preistoria. Se per secoli la Donna è stata sottomessa all’uomo, adesso ciò non accade più. Succede il contrario. Negli anni ‘60 furoreggiava il romanzo “La fabbrica delle Donne” in cui lo scrittore Ira Levin, già autore di “Rosemary’s Baby (dal quale Roman Polanski ha tratto l’omonimo film), immaginava un mondo in cui le mogli erano create in funzione dei desideri maschili. Negli ultimi anni la musica è cambiata: basti pensare al romanzo dello scrittore francese Bernard Quiriny, uno dei grandi della narrativa europea del ‘900, con un libro come “Le assetate” in cui immagina un mondo dominato dalle Donne, una “Viragoland” dove a comandare su tutto sono le Donne. Personalmente sarebbe un Paradiso, ma questa è un’opinione personale di chi scrive e di chi, come me, ha sempre immaginato la Donna come una Dea, come un Essere Superiore in tutto e per tutto. Se anni fa anche Internet era dominato dai maschi, in tutta Europa stanno nascendo portali, anche erotici, dedicati alla sessualità femminile, o siti di incontri in cui è la Donna a gestire la situazione e a scegliere, addirittura con un’icona del carrello della spesa. Siti molto eleganti e molto pubblicizzati. Sono passati i tempi della pietra, qualche anno fa, dove c’erano unioni forzate. Basti pensare alle origini dell’anello di fidanzamento: gli uomini delle tribù primitive andavano da un’altra tribù, sceglievano la Donna che volevano e la portavano via con una corda legata alla vita. Poi con l’evoluzione la legarono per un braccio, poi al polso e poi iniziarono a dare un anello di corda intorno al dito. Oggi è in atto una sorta di neo-femminismo che non ha bisogno di scendere in piazza per urlare i propri diritti. Le donne di oggi i diritti, se vogliono, se li prendono.
Certo esistono popolazioni della Cina e del Sud America dove la Donna comanda: vige un matriarcato che fa prendere tutte le decisioni a loro, hanno rapporti non solo con i mariti (che devono rimanere fedeli e accudire i figli), ma con chi vogliono. Come negli Stati Uniti e in Francia è sempre più diffuso non lo scambismo di coppia, ma il “cuckolding”: termine che deriva da cuckold (che in inglese indica cuculo, uccello monogamo mentre la femmina si accoppia con chi vuole). Un’inclinazione, basta guardare Internet, che veramente sta assumendo proporzioni gigantesche: centinaia di siti, di forum, di comunità. O basti pensare al “poliamore” che, all’estero, riguarda soprattutto le donne che convivono con due o più uomini che amano sinceramente. Non esistono più gli “harem” delle “Mille e una notte”. Per fortuna. Anche nella moda - dalle grandi firme come Dior alle catene low cost - spopolano t-shirt con scritte come: “Il futuro è della donna”, “il mio ragazzo è femminista”, “Le principesse si salvano da sole”, “Femministe, ma femminili”.
Solo alcuni esempi che poi le maggiori influencer su Instagram e Facebook, da milioni di follower, rilanciano sui social network. Oppure basti osservare come le pubblicità delle maggiori case di moda sulle testate cartacee abbiano cambiato la prospettiva dei fotografi. I lettori si trovano davanti a pubblicità dove la Donna è sempre immortalata dal basso verso l’alto. È sempre più in alto rispetto alla visione del lettore: non dalla testa ai piedi, ma dai piedi alla testa. Una sorta di Potere silenzioso che con l’andare degli anni influenza inconsciamente la mentalità maschile. O anche il mondo dell’arte è sempre più influenzato dal mondo della Donna: basti pensare alla mostra ospitata dalla Galleria Nazionale di Roma, che mette a confronto le artiste anni ’60 e 70 ispirate dal femminismo a quelle contemporanee in un “Corpo a corpo” (è anche il titolo della retrospettiva) in cui le Donne di oggi non hanno bisogno di dipingere slogan o altro, ma sono totalmente emancipate. O basti pensare al mondo dell’editoria dove le maggiori “editor” sono Donne. Anche sulla piattaforma Netflix, per fare un esempio, c’è la sezione film e telefilm con scritto “Donne superiori”.
Sarebbe un Paradiso tornare al matriarcato. Forse molti uomini non sono ancora pronti, anche se non si accorgono di vivere in una società dove a comandare sono e saranno le Donne. Una cosa è certa: peggio di noi uomini non possono fare.
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BOOK
Ecco la storia segreta di Jacques de Bascher Affascinante, dannato, irrequieto. Il bel Jacques de Bascher riuscì a sedurre e a conquistare il cuore del genio Yves Saint Laurent e fu musa di Karl Lagerfeld per ben 18 anni. Un profilo da dandy proustiano, un animo snob e una vita decadente, che oggi escono “allo scoperto” grazie alla caparbietà della giornalista Marie Ottavi. La biografia si intitola “Jacques de Bascher, dandy de l’ombre” ed è edita da Édition Séguier.
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© Guy Marineau
amoureux d’un séducteur d’opérette efféminé, fat et mal monté.» («Non ho mai capito come sia riuscito a innamorarti di un seduttore d’operetta effemminato, vanitoso e sempre di pessimo umore»). Era arrogante il bel Jacques. Narciso, spavaldo, viziato. Si vantava in qualità di membro dell’alta società parigina e spiccava come personaggio chiave di una decade “provocante” e ricca di cambiamenti memorabili (dal trionfo del prêt-à-porter alla collezione del ’71 di Monsieur Yves Saint Laurent presentata in Rue Spontini, chiamata Libération e definita dalla stampa scandalosa perché ricordava gli anni bui della seconda guerra mondiale). E ora grazie a Marie Ottavi possiamo finalmente scavare a fondo nella sua mente, interpretarne le debolezze, capire i tratti di una personalità ambigua, tanto attraente da sedurre chiunque incrociasse per strada. Yves e Karl ne erano follemente innamorati, Bergé irrimediabilmente geloso. Il mondo della moda si schierava in diverse fazioni. Ma a lui, l’incontentabile Jacques, poco importava. Per lui era tutto un gioco. Il sesso, l’amore, la conquista. La vita.
Jacques de Bascher in una serata parigina, 1979
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iamo nella Parigi tra gli anni ’70 e ’80. Un’epoca fondamentale per la storia della moda, del costume e della società francese. Una decade di eccessi, stravolgimenti, visioni rivoluzionarie. Personaggi che hanno lasciato un segno e che oggi tornano alla ribalta. Come Jacques de Bascher. Il suono di un nome che forse non a tutti rimbomba nella memoria. Perché mai nessuno finora è riuscito a dar luce a una figura rimasta da sempre nell’ombra. La giornalista Marie Ottavi, invece, ha deciso di dedicare un libro (“Jacques de Bascher, dandy de l’ombre”, Édition Séguier) all’immagine misteriosa di quel dandy perverso che ha fatto del puro piacere l’essenza della propria vita decadente. Un essere sfrontato, spregevole, spregiudicato? Pochi indizi, troppe perplessità. Un’impresa ardua. Una sfida entusiasmante. Un puzzle da ricomporre scovando nei ricordi di importanti e inedite testimonianze. E ciò che ne è venuto fuori è il ritratto di una personalità frivola, dallo charme accattivante e con insaziabile appetito sessuale. Jacques amava trascorrere notti folle tra cocaina, baldorie, ambienti borghesi e locali da quattro soldi. Senza mai nascondere la sua omosessualità, anzi ne sentiva il bisogno di esibire spudoratamente le innumerevoli conquiste durante qualsiasi occasione pubblica gli si presentasse. Questo è probabile lo eccitasse. Una condotta esageratamente libertina che lo portò a una morte prematura a soli 48 anni colpito dall’AIDS, l’epidemia che negli anni ‘80 aveva incominciato a dilagare dirompente nella Ville Lumière. Un fascino dannato che seduceva. Uno sguardo malizioso che ammaliava. Un’attitudine da signorotto perbene che attraeva. E una bellezza viscontiana irresistibile. Jacques de Bascher, aristocratico giovanotto ed enigmatico seduttore, riuscì a conquistare il cuore dell’irriverente Yves Saint Laurent. Una liaison turbolenta, per molto tempo rimasta segreta, vissuta tra notti audaci e scambi di lettere passionali. Il giovane couturier di fama mondiale, noto per il suo buon gusto francese, sembrava essere attratto da quel dandy proustiano che amava vivere un’esistenza di eccessi. Karl Lagerfeld ne era al corrente e l’aveva accettato. Pare che le relazioni extra coniugali rientrassero negli usi e costumi dell’epoca. Ma Pierre Bergé, compagno di vita di Yves e socio in affari fino alla morte, provava un eterno disprezzo: ai tempi impose a de Bascher di mettere fine a quella storia. Alla scomparsa del suo rivale, Pierre affermò: «Je n’ai jamais compris comment tu avais pu tomber
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città la Scala
AUDI Q2
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Grinta, eleganza e compattezza. Audi punta a soddisfare i desideri dei più avventurieri anche in città e lancia la nuova Q2, l’insieme della tecnologia all’avanguardia unita al design contemporaneo. Per percorrere i sentieri quotidiani in perfetta armonia col mondo.
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Design Esclusivo Audi Q2 si presenta come il SUV che mancava. Perfetta tenuta di strada anche in città come sullo sterrato, un'esperienza di guida non convenzionale che intende regalare ai suoi driver sensazioni uniche e fuori dagli schemi. È diventata in poco tempo la punta di diamante di tutta la categoria, grazie alle dimensioni compatte, più piccola delle sorelle Q3 e Q5 ma una perfetta via di mezzo che, anche negli interni, garantisce spazio abitabile per quattro persone. Non mancano - come il DNA dell'automitive suggerisce - le ricche ricerche sullo studio attento dell’ergonomia e della funzionalità. La Q2 è un'auto potente e grintosa non solo nelle prestazioni ma anche nel design. Il look soprattuto nella parte anteriore è decisamente aggressivo, rafforzato ancor di più dalla marcatura dei fari dal taglio poligonale che insieme alla calandra geometrica e single frame, segna una netta differenza dal resto della gamma. Ancora più enfasi l'aggiungono invece le due prese d’aria con la cornice cromata dalla particolare lavorazione a nido d’ape. L'elegante reinterpretazione della geometria è la chiave di volta su cui è stata creata la Q2. Anche nel posteriore infatti i gruppi ottici a led, sono meno rettangolari ma offrono un profilo molto più quadrato rispetto al solito. Completano i lineamenti esclusivi della dirompente Q2 le luci d’ambiente, con inserti luminosi nelle superfici della plancia. Un'accurata propensione alla perfezione anche nei minimi dettagli come per esempio i tappi della presa da 12 Volt dietro al tunnel, che diventano tattili oggetti dalla superficie antiscivolo.
Fari posteriori Audi Q2
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Interni anteriori AUDI Q2
Prestazioni Ineguagliabili Geniale la tecnologia di Audi Virtual Cockpit, con la strumentazione trasformabile in grande mappa che per la prima volta viene resa disponile su un’auto compatta. L’Headup Display, diventa davvero semplice da usare grazie alla rotellina posizionata sulla sinistra del volante. Presente anche il sistema multimediale Mmi touch plus, con il “pad” per scrivere a dito, compreso d'ingresso per la Sim in modo da poter essere sempre connessi. La Q2 è pensata per poter offrire una guida a prova di tranquillità grazie al pacchetto Tour che prevede l’Adaptive Cruise Control, l’Audi Active Lane Assist con riconoscimento della segnaletica, l’assistente al traffico (Traffic Jam Assist), l’Emergency Assist (solo con cambio S tronic) e l’Audi Pre Sense Front, in grado di riconoscere i pedoni.
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La consolle centrale e il quadro strumenti sono chiari e leggibili, mentre lo sterzo appare morbido e reattivo sin dalle basse velocità. Basta però affondare per il 50% il pedale del gas per svegliare i 400 Nm di coppia che si nascondono sotto il cofano per sconfinare in una spinta costante e decisa. Complice la rapidità del cambio a doppia frizione DSG con sistema S Tronic e il peso contenuto dell'auto. Il motore da 190 Cv corre potente sin da 1.700 giri mentre la cambiata avviene di solito intorno ai 3.500 giri, ma ci si può spingere oltre i 4.000 giri qualora si ricerchi il massimodelle prestazioni. A.I.
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Hungry for creativity 152
News
La creatività ha fame di nuovi spazi in cui potersi esprimere. Boutique, concept store, luoghi di formazione, hotel, club o musei. Non importa. Si parte comunque alla volta di destinazioni che nutrono quel desiderio mai sopito di conoscere il nuovo. E questo è quello che conta.
Dentro le stanze di Natahlie Exhibition d’autore
Il Camden Arts Center di Londra presenta una grande mostra sui nuovi lavori dell’artista milanese Nathalie Du Pasquier. Con opere che spaziano tra pittura, disegno, scultura, modellistica e tessitura, attraversando i confini tra arte e design, Du Pasquier ha guadagnato la notorietà già nei primi anni ‘80 come membro fondatore del collettivo italiano di design Memphis. Per la sua esposizione al Camden Arts Center, Du Pasquier intende andare oltre i confini imposti dalla tela per abitare l’intero spazio della galleria come campo di (sco)composizione. Disegni modulari e forme geometriche coprono le pareti, esaminano la relazione espressiva tra forme, spazio e rappresentazione bidimensionale e tridimensionale. Other Rooms rappresenta il desiderio della Du Pasquier di trasformare gli spazi con mezzi propri, privi di regole architettoniche e utilizzare gli strumenti della tecnica pittorica, colore e forma, per trasportare lo spettatore in un luogo altro, imprevedibile.
Installation view of Nathalie Du Pasquier Other Rooms at Camden Arts Centre, 2017 foto di Damian Griffiths
Camden Arts Centre Arkwright Rd, Londra
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KULT IN THE CITY
Private night experience Il Club members only d’ispirazione internazionale
Dopo il warm-up della Milan Fashion Week, APOPHIS Club apre ufficialmente le porte alla night-life milanese in via Giuseppe Merlo 3, a due passi dal Duomo. Fiori all’occhiello di questo nuovo esclusivo ritrovo milanese: il design, la cura dei dettagli e la maestria dei bar tender che renderanno l’esperienza dei soci e dei loro ospiti unica nel panorama milanese. Con un bancone bar realizzato in rame, una bottiglieria retroilluminata e macchine del ghiaccio di ultima generazione Hoshizake, l’Apophis club è caratterizzo da un’installazione led che personalizza tutto il soffitto dalla consolle alla pista da ballo, creando un’atmosfera originale e moderna. La drink list è composta da oltre 600 etichette premium e offre un servizio di “Tailor Made Mixology”, rivisitando i classici cocktail italiani e stranieri con i migliori distillati provenienti da tutti i paesi del mondo. Il Membership Club si presenta con una duplice natura: martedì, mercoledì e domenica offre ai suoi ospiti un clima accogliente, sofisticato e riservato, ideale per gli incontri d’affari o come momento di svago dopo una giornata di lavoro. Dal giovedì al sabato invece, Apophis cambia veste, trasformandosi in un vero e proprio club, ospitando dj di fama internazionale e realtà musicali provenienti dai più importanti night club europei, da Londra a Mosca, da Parigi a Berlino.
©Engram Studio per MCA
Futuro imprevedibile
DROMe Concept Store
La scienza supporta le nuove generazioni
Il Quadrilatero ha un nuovo inquilino
A due anni di distanza dalla nascita di Opificio Golinelli, Fondazione Golinelli fa un altro passo verso il futuro inaugurando il Centro Arti e Scienze Golinelli, un’operazione culturale ambiziosa, una nuova iniziativa a vocazione sperimentale e internazionale, la cui progettazione architettonica è stata affidata a Mario Cucinella Architects. Uno spazio di “immaginazione e sperimentazione” che completa l’offerta formativa di Opificio Golinelli puntando a ricomporre la frattura, ancora oggi in essere, fra cultura umanistica e scienze. Tra il 2018 e il 2019 il Centro di Arti e Scienze sarà sede di attività a forte carattere educativo, formativo e imprenditoriale, strettamente legate al piano di sviluppo pluriennale di Fondazione Golinelli, Opus 2065, per supportare le giovani e giovanissime generazioni nel loro percorso di crescita, con l’idea che l’educazione è il motore dello sviluppo economico e sociale.
Apre a Milano il primo store del Brand DROMe al n°18 di via Santo Spirito (il progetto è di Baciocchi Associati). DROMe presenta un prodotto potente, unico, urbano, di rottura, ma allo stesso tempo di nicchia, raffinato, fresco, digitale e musicale. La sofisticata ricerca dei materiali si riflette perfettamente su quelli dello store: pochi elementi accuratamente selezionati allo scopo di creare un ambiente elegante, metropolitano, tecnologico ma con un deciso richiamo al mondo del lusso. Il minimale è l’elemento trainante. Nell’illuminazione che traccia longitudinalmente l’intero soffitto. Nei materiali: resine a terra, cemento a parete e soffitto, si combinano con acciaio e velluti spalmati a creare lo sfondo dell’appenderia, per poi accendersi con il laccato carta zucchero dell’area accessori e terminare con la “scultura” del camerino: una grande fascia in acciaio che si avvolge intorno ad un perno centrale creando una sorta di “spirale spaziale”.
APOPHIS Club
Centro Arti e Scienze Golinelli
DROMe
Via Giuseppe Merlo 3, Milano
Via Paolo Nanni Costa 14, Bologna
Via Santo Spirito 18, Milano
News
©ILOBOTT Garden Room ©The Vera
Lo stile è una forma d’arte A Milano un nuovo spazio dedicato ai tatuaggi
Vera è il nuovo boutique hotel dal carattere urbano nel cuore di Tel Aviv. 39 camere per quattro diverse tipologie di soggiorno: classic, deluxe, superior e garden, oltre a un bar, una sala per trattamenti spa e due ampi rooftop. La lobby dell’hotel ospita un distributore automatico che dispensa cocktail creati esclusivamente da mixologist. L’arredamento su misura è curato dal progettista Tomer Nachshon. L’interior, disegnato da Yaron Tal Studio, mescola stile e ruvidità: sui pavimenti grezzi e sulle pareti non intonacate si inseriscono materiali di alta qualità e texture raffinate esaltate a loro volta da elementi verdi presenti in grande quantità sia all’interno che all’aperto. «Con l’apertura di The Vera, volevamo che i nostri ospiti fossero in grado di toccare con mano un’esperienza di alta qualità. Nella sua essenza, The Vera s’ispira alla bellezza di Tel Aviv conducendo verso un gioco di contrasti unico nel suo genere tra fascino naturale e dinamismo metropolitano» Spiega il fondatore Danny Tamari.
Arte, passione, cultura del tatuaggio: apre a Milano un nuovo grande spazio dedicato al mondo del tattoo, nuovo nella filosofia e nella pratica. Si chiama Hive Tattoo Art Gallery e inaugura il primo ottobre in via Pirano 9, in quella NoLo (North of Loreto) che sta diventando il polo d’attrazione per tutto ciò che è avanguardia intelligente. 250 mq con otto postazioni tattoo, una piercing lounge in collaborazione con Wildcat, marchio tedesco leader mondiale di gioielli per piercing, un laboratorio artistico, un angolo dove verranno venduti i gioielli Nove25 con una nuova linea creata in esclusiva per Hive e il merchandising del marchio stesso con le t-shirt disegnate dall’artista americano Tony Ciavarro. Non un semplice negozio ma un hub dove evolversi e sperimentare. Non a caso il logo disegnato da Andrea Lanzi rappresenta un alveare che forma un cuore, a significare la volontà di lavorare insieme e di cooperare con chiunque sappia apportare idee ed entusiasmo. Per i quattro soci è la passione il motore che muove gli strumenti del mestiere con la consapevolezza, secondo le parole di Luigi Marchini, di quanto il tatuaggio sia «una forma d’arte, prima di essere un business».
The Vera Hotel
Hive Tatoo Art Gallery
27 Lillenblum Street, Tel Aviv-Jaffa
Via Pirano 9, Milano
Ridefinire l’esperienza del viaggio Il nuovo indirizzo dell’ospitalità israeliana
Milano come New York Gucci celebra la street art in grande stile
Milano è la città dei creator, un luogo dove il talento e l’estro prendono vita per sprigionarsi e diffondersi nelle diverse espressioni dello sport. Adidas dedica alla città un luogo unico in Europa, il più grande store adidas italiano che nasce in Corso Vittorio Emanuele II. “The Home of creators” si estende su due piani e una superficie di vendita di 1.300 metri quadrati, ed è caratterizzata da un layout innovativo che riprende il concetto di stadium dove una serie di elementi architettonici, come le gradinate e il corridoio che conduce i giocatori sul campo di gioco, saranno riprodotti nell’area dell’ingresso. Il primo store realizzato secondo questa idea è quello di New York e rappresenta il nuovo format degli store adidas a livello internazionale.
Passeggiando in Largo La Foppa impossibile non notare l’Art Wall dedicato alla nuova fragranza Gucci Bloom. In occasione del lancio della prima creazione olfattiva sotto la nuova guida del nuovo Direttore Creativo, la maison ha deciso di dare il via al progetto Art Wall a New York e Milano, e utilizzare il muro di 760 mq in Lafayette Street, nel quartiere di SoHo a New York City, e il muro di 176 mq in Largo la Foppa, nella zona pedonale di Corso Garibaldi a Milano, che fungono ormai da “tele” per regolari collaborazioni fra la Maison e gli artisti. Una partnership d’eccezione fra Gucci e Ignasi Monreal vede l’artista spagnolo impegnato a illustrare la sua visione del concetto di giardino urbano cui si ispira Gucci Bloom. Ed ecco una versione in formato gigante della boccetta rosa della fragranza e della sua confezione, su cui spicca il motivo Herbarium, oltre agli ingredienti principali della fragranza, in un quadro che richiama il genere Vanitas di nature morte olandesi del XXVII secolo.
Adidas Store
Gucci Bloom Milan Wall
Corso Vittorio Emanuele II, Milano
Corso Garibaldi, Milano
Brand Center of ideas ©Esslingen Christian Kuckert
©Delfino Sisto Legnani
Lo sportwear espande i confini dello shopping
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KULT IN THE CITY
©Dario De Sirianna
B7 Apartment
Via Biondelli 7, Milano italianway.house
Coolest Party
Nuova lovestory gourmand
Art Smart Building
Cinque anni di #ROLLOVERMILANO
La cucina giovane che nasce dalla passione
Residenza di design
Tiberio Carcano e Marcellina Di Chio sono i co-fondatori e direttori di Rollover Milano, uno dei party più in voga e conosciuti da qualche anno a questa parte in città. La cosa che li accomuna, oltre ad essere sposati e una coppia a tutti gli effetti nella vita, è la passione per la musica, l’entertainment, l’arte in generale, l’amore per il “backstage” e per tutto quello che accade “dietro le quinte”. Una passione che ha iniziato a esprimersi proprio con l’organizzazione di eventi, di party che diventano palcoscenico di mille emozioni. Dal 2012 Rollover porta a Milano la migliore musica della scena disco-house internazionale, ospitando stilisti, musicisti, designer, creativi e artisti di ogni tipo in salotti musicali itineranti. A dicembre si festeggia il quinto compleanno con un party che si preannuncia già sold out. Stay tuned.
Olio - Cucina Fresca nasce dalla passione di due giovani che non hanno avuto paura di cambiar strada, dalla voglia di sperimentare e dal legame indissolubile con la loro terra, la Puglia. Angelo Fusillo e Paola Totaro sono gli autori dell’intero progetto che ha voluto trasformare l’amore per la propria terra d’origine in un contesto tipico e al contempo di ricerca. Il vero protagonista della tradizione cui appartengono è quel filo dorato che lega ogni sapore, che è spesso capace di cambiare il volto al piatto e a tavola non può mai mancare: l’olio d’oliva. Da qui prende il nome il nuovo indirizzo per buongustai che trasporta l’eccellenza pugliese in centro a Milano. La cucina è quella di qualità, firmata dallo chef Marco Misceo, forte della sua esperienza con Enrico Bartolini all’Andana. Oltre all’impiego del pregiato olio extravergine d’oliva, anche presìdi Slow Food come le fave di Carpino, la cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti, i ceci neri della Murgia, le mandorle di Toritto e i limoni del Gargano.
Rollover Milano
Olio – Cucina Fresca
Via Borsi 9, Milano
Piazzale Lavater 1, Milano
Ha aperto a Milano il primo art smart bulding a uso turistico dedicato alle locazioni di breve e medio termine che coniuga innovazione tecnologia, servizi 4.0 e comunicazione visiva. L’ex colorificio di Via Biondelli al n. 7 a Milano (zona Bocconi), con i suoi 24 appartamenti, è stato oggetto di un’operazione di restyling e personalizzazione degli spazi affidata allo studio di progettazione ReActionLab, sotto la supervisione creativa di Chiara Tosi, che ha trovato nell’artista Stefano Rossetti un perfetto interprete per il racconto di una Milano iconografica e contemporanea. La rivisitazione in chiave pop degli elementi simbolo del capoluogo meneghino, dalla Basilica di St. Ambrogio al rito dell’aperitivo, è quella tipica dell’arte di Rossetti, una narrazione per immagini che dice “Milano, ti amo” senza bisogno di parole. La struttura ricettiva non solo definisce la propria unicità nel concept, ma soprattutto grazie a una moderna infrastruttura tecnologica pensata per il turismo digitale: gli ospiti che decideranno di soggiornare nella struttura di via Biondelli avranno a disposizione il primo servizio di car sharing elettrico condominiale, basato sul microveicolo urbano Birò.
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News
ROOTS – Interni ©Dario De Sirianna
Il sabato mattina vi accoglieranno con i dolci appena sfornati del laboratorio Ofelè. I ragazzi di Roots, “salotto creativo” milanese dall’animo bohémien, sostengono che bisogna affezionarsi alle persone prima che alle cose. Quando li avrete conosciuti, tra un tatuaggio e un’acconciatura cutting/ edge, non potrete che trovarvi più d’accordo.
La creatività ha messo radici Una famiglia allargata di giovani talenti
250 mq adibiti a tattoo shop e hair salon di ricerca e dal gusto retrò. Siamo da Roots a Milano, in Corso San Gottardo 3, a due passi dalla Darsena e da Porta Genova. Lucille Ninivaggi, tatuatrice che dopo molti anni dedicati alla moda ha deciso di realizzare il suo sogno e condividerlo con un gruppo di amici, professionisti del settore, tra cui l’hair stylist Giampaolo Gori e l’art director Alessandro Mannelli, ha concepito questo spazio come una casa in cui le persone possano sentirsi a loro agio mentre si regalano un momento speciale, coccolati dalle mani esperte di tatuatori e hair stylist. La location si espande su due piani, dedicati ciascuno alle due attività del salone. In un mix tra passato e presente troviamo oggetti di famiglia e di design, immagini di icone tatuate, ex voto su pareti variopinte e una selezione di libri per garantire un’esperienza unica e indimenticabile a chi entra e sceglie di affidarsi al team di Roots. All’interno del salone è inoltre possibile trovare prodotti in
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COLLAB ROOTS + LE CONTURBANTI Turbante – Frida
vendita esclusiva, limited edition, capsule di designer, emergenti o affermati, oggetti personalizzati e firmati proprio da chi lavora da Roots. La scelta degli arredi e dell’oggettistica rafforza ulteriormente l’anima dello spazio e se ne conferma tratto distintivo. Dai coloratissimi prodotti di Pink Pampas (pinkpampas. com), alle creazioni sognanti di Mysticflamingo (flamingobergamo. it), fino agli articoli di Coreterno (coreterno.com) e ai prodotti beauty di R+Co. Racconta Lucille: «Desideravamo creare una realtà differente, che potesse andare oltre il negozio come classica attività commerciale fine a se stessa. Sognavamo un posto che ci rappresentasse. Siamo amici che da sempre hanno la passione per i mondi dell’hair styling e del tattoo, perciò quale occasione migliore per unirli e renderli unici, come gli obiettivi che ci hanno avvicinato nei nostri percorsi? Da Roots lavoriamo in serenità e nel rispetto reciproco, come se fosse casa nostra».
ROOTS Corso San Gottardo 3, Milano
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English Texts pp.42–47 pp.100–103 pp.104–105 pp.126–127 pp.128–129
pp.42–47
Conceptual streetwear Strateas Carlucci text by Anna Rita Russo
A boundless story. A talent making the difference. An unconventional fashion which gives homage to the art of great photographers. And it is mixed with design, research and experimentation. The results are unexpected creations. And thanks to a prestigious recognition such as the International Woolmark Prize, the Australian brand Strateas Carlucci crossed the catwalks of Paris and Milan. They are based on the amazing Australian continent and their names have been already mentioned for some years by the most talented up-coming designers of the international contemporary fashion world. They are Peter Strateas and Mario Luca Carlucci, the stylistic duo hidden behind the Strateas Carlucci brand, founded in 2013. Multicultural, diversity and uniqueness are the key words of their creations, expressing a strong cultural message and important stylistic referrals. Great attention to sartorial features and to constructions mixed to a sport-wear spirit and a utilitarian approach, which are perfectly integrated with each piece. Fashioning timeless models, where classical materials are interpreted in original and innovative way, and celebrating a minimalist style, in a game of lined oppositions which are the base of the brand’s aesthetics. Recently eyes focused on the first Resort collection called Transit, presented during the Australian fashion week, with a homage to the works made by the Chinese photographer Ren Hang, an artist who killed himself at the age of 29. While the fall winter collection 2017 recalls the erotic photography by the Japanese Araki.Clever, young and with an unconventional creative talent. Fruit of a perfect combination between art and design, innovation and experimentation. This generates a fashion surely destined for a research public. Why did you decide to create clothing? The fashion industry for us was alluring, as it is an industry that allows you to be both creative and commercial. The aim of our Studio is to merge art and design through research and experimentation into other mediums and disciplines. Each season, we charter into new territories and explore unorthodox design techniques, which results in interesting methodologies and ways of creating, constantly challenging the perception of fashion and art. The fashion industry is changing. This current state can influence a young designer? The industry has evolved and changed rapidly in recent years. With this change, it’s created many advantages and disadvantages, which both young emerging brands are struggling to adhere to, as well as more established brands, which are also trying to play catch up. Some of the advantages are technology and how a young brand can reach a global audience. However, this now also creates a problem within itself, in that the market is very saturated, and creates an even more cut-throat industry. Where does your inspiration come from? Each season, we create collections through the concept of binary oppositions as an underlying theme in their work. By merging and colliding opposing worlds and notions, each collection, and the work found in each collection, results in unique and uninhibited concepts. We often look at artists, musicians, authors and filmmakers for inspiration, especially those whom are disrupting the norm and pushing boundaries. For example, last FW collection we were inspired by Japanese artist Nobuyoshi Araki. Araki explores pornography, fetishism, and sexualising nonsexual objects in his work - focusing on a portion of an object or subject, which often looks like something explicit, tricking the viewer. Playing closely to the inspiration of Araki’s explicit imagery, we reinterpret fetishism in own unique way, by subtly introducing pierced hardware, oversized phallic zippers positioned in suggestive areas of garments, chains, eyelets and straps. This leather territory seamlessly crosses over into motocross cum outback Australian, in the use of the moto-themed detailing and styling cues. How would you describe your approach to fashion in general? Fashion is a balance of creativity and commerciality. You can’t avoid the fact that the fashion industry, like other industries, is a business, hence needs to have an element of commercial appeal. Our approach is to try and minimize the gap between creative and commercial, and to create more than just a product. Many brands are continually being born, some are short life while others try to survive. What are the strongest competition strategies that an emergent talent should do to work long-term? This is a very difficult thing, and I don’t believe there is one easy solution and answer. In recent years, the market has become oversaturated, so it’s important to
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Kult
have something interesting and unique to say with your work. You need to have a clear vision, which somehow is uniquely your own. Talent and creative aside, fashion is still a business, so there also needs to be a component or a person in your team who has strong business acumen. Also, I think there is an element of opportunity which can help aid emerging designers. This could come in the form of a competition, or press, or celebrity dressing – anything that can help set your brand apart from the multitude of others. What are the pieces of work that excited you most? We get really excited bringing a concept to life. When you see all the elements of your work come together. We very much believe in intelligent design which is concept driven – so when a collection can tell a story, that excites us. What is the best advantage about being a young creative in Australia? Australia is essentially a very young and new market in a global context. So being based in an emerging market is exciting, as you have the opportunity to showcase the world something unique that they may not know already. Australia has a very diverse and multicultural environment, so our culture is drawn in from every corner of the globe, and is this interesting pastiche of things old and new. Both our families migrated to Australia from Italy and Greece respectively, so we too have this mixed-multicultural idea of what Australia means to us. I think from a global point of view, the idea of Australia is still very new and unknown, so If we can add our own interpretation of our home in our work, it’s a great advantage for us to have. And the big difficulty? The most obvious difficulty is that we are on the other side of the world – so this creates many challenges for wholesaling and logistics, as well as manufacturing goods. What is the rule of art in your life? Art is a must. Art is the centre of creation. This is very central to who we are as people and our work. You showed the resort collection in Australia, which includes creations with a comfortable, sexy (trench and jackets without pants), researched attitude. And a focus on the materials and shapes... Tell us about it. This was our first Resort collection titled TRANSIT. We were Inspired by the Paris Metro and the work of the late Chinese artist Ren Hang, and we look into what lies beneath the surface layer. Ren Hang is a photographer who explores freedom, rebellion and playfulness in his work, mainly shooting nudes in compromising compositions of the human body. His work was celebrated and censored in equal measure. As a starting point we explore and compare the rawness, the grit and beauty of the real world and the underground of the Paris Metro, in contrast to the city’s canopy, to Hang’s raw and provocative imagery of nudes, which are both confronting and beautiful, yet speak of purity. The Tiffany & Co. National Designer Award marked a relevant turning point for your business career… without to forgot the International Wollmark Prize. Great satisfaction… what’s the next aim? We have been fortunate to have had a few industry accolades including both the Tiffany Co. Designer Award, and the International Woolmark Prize. These have been amazing milestones for our brand which have given us the opportunity to go on an do other incredible things like show on the Official calendar of Paris Fashion Week and Milan Fashion Week. Next for us is to continually grow our business at a steady rate, and explore new areas each season. We want to work closely with more direct to consumer and technology, so exploring new concepts in this space. Finally, you presented your Spring Summer collection at the last edition of Pitti, in Florence, inside the Australia guest nation project. What does Italy symbolize for you? Italy is the cornerstone and pillar of the global fashion community, and has such a rich culture and heritage. We have been fortunate to be invited to show as the guest nation for Pitti, and we hope to continue to grow and do more work here in Italia.
pp.100–103
Street-Sporty Style Wolf Totem Wolf as absolute symbol of the brand from which it takes also the name. It came from passion and love for art, Wolf Totem predominates among the new names of menswear fashion world. And it focuses on digital technology, thanks to an exclusive mobile app which allows to live more real experiences. The interview to the designer Colin Jiang.
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Fashion is boundless. And the Asiatic one can launch more and more valid young talents, ready to admire the frame of fashion weeks. Wolf Totem, brand of menswear, head of the Chinese foundation of clothing Fujian Septwolves Industrial Co, is one of them. The creative director is called Colin Jiang, he studied at the Marangoni of Milan, in the past he worked in the offices of Roberto Cavalli, and for his brand he takes inspiration from different cultures. Proud of the values of made in Italy, he can interpret fashion in a hard and provocative vision, perfect for “strong, daring and determined men”. To create a universe where men casualwear expresses messages with an evident creative and provocative content, very loved by the millennial generation. You decided to debut in the Meneghina city on the occasion of last Men’s Fashion Week. Why did you choose Milan and the location of the Vetra Theater? We debuted in Milan is because Milan is where Wolf Totem was born and inspired from. The culture is in the DNA, and the modern design is one of the important attraction of this brand, which makes the Vetra Theater a great choice for the location this time. You got a master’s degree at the Marangoni Institute... what does Italy represent for you? Passion and art are the two key words that Italy impresses me with. And fashion industry in Italy combines them both, which makes Italy one of the important countries in the fashion world. What is the inspiration behind the collection dedicated to the Spring Summer 2018? Wolf Totem takes inspirations from different cultures. For the Spring Summer 2018, we focus on the Dong Nationality from China. The silver craftsmanship and the representative architecture structure from Dong Nationality are two initial influences for this collections. You boast a relevant background in Roberto Cavalli. What do you remember about that experience? I worked for Roberto Cavalli right after I graduated from Marangoni. It was a valuable experience that leads me into the Italian Fashion world. Italian fashion values details and preciseness, and this attitude is something I keep following in my career. How important is digital? In fact digital technique already plays an important role in the Wolf Totem brand. There is a costumed AR application for Wolf Totem available in both iOS and Android platform. In the future, this application will bring more interesting activities for the users, which is an important strategy for the Wolf Totem brand, as digital is the trend for the whole fashion industry. Wolf Totem is owened by Fujian Septwolves industrial, the Chinese garment giant, third player in the country’s industry. An important support for an emergent brand to face the fierce fashion industry… Yes. We start Wolf Totem out from the passion and love for the art. However, in the fashion business, it’s important for the brand Wolf Totem to have a powerful investor as Septwolves. This collaboration enables Wolf Totem to get more opportunities to reach out to the world and to create more for the fashion lovers, who would be attracted for Wolf Totem. Streetwear is a big success in the Fashion System ... What’s about? Fashion is also an attitude now for most people. They wear what they believe or what we want to represent or say, which generates the booming of streetwear. For example, Wolf Totem is a brand that delivers the spirit of being creative, unique, tough and wild, and this is also the reason why the young people with the desire to express love Wolf Totem for. The wolf is at the center of the philosophy of Wolf Totem (which also takes its name). Why? The name tells itself. “Totem” indicates the inspirations, and “Wolf” reveals the spirit of the brand. We’re presenting a menswear brand to the people, and we see the man who wears Wolf Totem is quite tough, brave and determined, which just the spirits of “Wolf” are. Many historical brands are now investing their business in millennials consumers, considered the future of luxury. Your creations seem very appealing to this generation... What is your target and what about this new approach? We know that Wolf Totem is appealing to the young men who are in their 20s or 30s. Actually we’re not only focusing on the age, but also the lifestyle of modern people. Anyone who wants to present the “Wolf Totem Character” within is our target. The brand is not only about garments. In the future, we’ll introduce a whole lifestyle experience in our store, which makes the consumers, especially the “millennials generation”, to see Wolf Totem store not only a place to shop, but also a location as their “hanging spot”(a place to relax and meet people with same lifestyle and topics).
ENGLISH TEXTS
Could you give me a word to describe the Wolf Totem universe... If just one word, I’ll go for “Tough”. It’s a brand to be rebel but always respects the culture and the history. To present the exotic elements in a modern way, and insisting by making it the DNA of the brand. What does modernity mean? It means re-creation and deconstruction. It’s not a betrayal to the tradition. Instead, it’s a renewal for the tradition to thrive in the way how people live nowadays. What are your plans for the future? For the coming future I’ll focus on Wolf Totem and hope to expand the business into Middle-east and North America markets. Global brand strategy is my goal. Where do you see yourself in 10 years? There will be more cross-over collaboration with different artist in different field. And I wish to live with my passion for design forever.
Parka and the Ballistic Bomber, which have become our best sellers for 10 years, then spreading with a wide range of proposals during the seasons. We recorded a progressive development on almost all the international markets, as our business is always the one of innovation, trying to transmit a fresher and cooler image in comparison with the competitors, never leaving out tailoring. What is the value of the “funny” feature in your creations? Each brand is the reflection of a strong culture, when you wear a logo is it as if you communicated a statement to the whole world. Moose Knuckles is a niche brand with a determined personality, but with a joyful component, a glamour and rock and roll soul at the same time. What kind of customers does Moose Knuckles turn to? To people coming from different cultures, from musicians to deejays and rock stars. So anyone who has a deep sense of humor, who loves life and most of all who can feel himself by wearing a Moose Knuckles piece. Beyond being super trendy, lover of luxury and lifestyle, as it is anyway an expensive product, realized with precious materials among the best available ones on the market and enriched by fox fur. Three words to describe the brand. Rebel, original, “tribe” (suitable for boys and girls who, wearing the Moose Knuckles logo, feel that they belong to a well distinguished community).
pp.104–105
Unconventional luxury outerwear Moose Knuckles Covers for shoulders in the vanguard which celebrate a perfect and modern handicraft. To keep the heritage of the cold Canadian land. For an idea of uncommon luxury. The creations of the Moose Knuckles brand include a “funny” spirit...to attract a very trendy community. When the outwear – the luxury one – makes fashion. With verve, originality and most of all by matching functionality with an excellent quality of materials. The pieces made by Mouse Knuckles are expression of a young, new and cool universe, which matches modernity and heritage with an innovative and funny touch. For a trendy tailoring. And it arrived also in Italy a year ago. The creative director Steph Hoff can transmit the energy and irreverence of his personality to the products he creates. Bound to a tribe of great style. For the winter collection, a few months ago the brand launched an advertising campaign in the futuristic theme, placed in 1969, which takes inspiration from cult movies, such as Barbarella and America 3000, and from comics magazines, Plexus and Tank Girl. Wholly assembled in Canada, through an integrated procedure for the supplying of first matters, each piece made by Moose Knuckles is a hymn to a precious manufacture realized by the expertise of artisans from Montreal, Winnipeg and Toronto. Season by season these artisans give life to creations for men and women in a comfortable and contemporary fit.
Next Plan? We are working on the realization of the advertising campaign for the spring summer collection 2018, in collaboration with the photographer Nick Estrada, which will be inspired to the Instant Messaging. In addition to a capsule in collab with 10 Corso Como, available from 8th November until the end of the winter season.
pp.126–127
Wide-open eyes towards infinite Oscar & The Wolf text by Marco Torcasio
Electric-pop and minimalist r’ n’ b basis are mixed to create a new record jewel by Oscar & The Wolf. Synthetic rhythmic and elegant touch have been its points of strength since the beginning, but if artistic mastery is not so far, it is time to go beyond, to give free space to gloom and to move towards infinite.
Moose Knuckles is a brand of premium outwear, created to cope with the great Canadian cold, with style and functionality, without renouncing to a design in the vanguard. And since last year it has been present also in Italy. How did you create the fall-winter collection for this year? The brand was created in 2007, it is based in America and it is rooted in the authentic Canadian reality. This year has been very important to us, as we founded Moose Knuckles Europe with its seat in Milan. And in occasion of the edition 91 of Pitti Image, there was the official launch of the man-woman collection for fall-winter 2017 in Italy and Europe, sponsored by an exclusive event in Florence, to impose a vision of man fashion that breaks the traditional schemes. The pieces resume the spirit that has guided the brand since the beginning, such as Wild and Luxurious, gritty but with a funny image making irony. They are the result of an excellent handicraft work made by the stuffing workers of Toronto, with a particular care for the traditional tailoring and the quality of first matters, which guarantees a wearability out of common. While for the summer collection we focused on a refined and contemporary design, with a minimalist colored palette tending to black and white, and a very cute fit highlighting its style and comfort, even on oversize forms. Why did you choose Italy as sale market of the product? I think that Italian market can appreciate much the pieces made by Moose Knuckles. Italy is a country with a good taste, a population that loves fashion, well dressing and originality, all elements recalling the spirit of the brand. The cult product of your collection is the parka...Which are its features in comparison with the competitors? Moose Knuckles proposes pieces wholly assembled in Canada, through an integrated procedure for the supplying of first matters, so to celebrate the heritage of the origin land. Since its foundation the brand has had two iconic pieces: The Stirling
Even if Italy has still been immune to his charm till now, the androgyne Max Colombie, in art Oscar & The Wolf, comes back with a new record that can’t be ignored. After an amazing success in central Europe and a lot of important festival appointments, he made his own perfect recipe and he called it Infinity. His alter ego speaks clear. Oscar, for the deeply poetic meaning recalling to the mind of who listens to him (clearly referring to Oscar Wilde), The Wolf (which is the wolf) as animal symbol of a cold and solitary darkness, which is anyway reflected in the brightness of full moon. Max likes very much walking a tightrope between light and shadow, between positive feelings and wild instincts, and musically this dualism is translated into an ensemble of eclectic contrasts. Between a lyricism like Antony/Anohni and a modern and urban soul like The Weekend. In the super-crowded and heterogeneous world of contemporary pop, where each month new publications are valid but too often insubstantial and anonymous, Infinity is a small pearl sparkling in personality and intensity. Max tells this “I have had a particularly dramatic year...but drama can have its positive features. I don’t try to fight against my negative feelings, but I rather try to dig deeply to find something interesting. Songs come from here.” Among the ten tracks of Infinity, we can find electronic pieces (from the essential Queen to the pyrotechnic opening-track So Real, passing through Touch Down, Last Night and the sensuality of conclusive Fever), r’ n’ b incursions (the soft Jamaican rhythm of Exotic, the Eastern inflections of Susato, the distorted synths of Pretty Infiniti) and the irresistible neon funky-pop (Runaway, Honey, Chevrolet). In these three years dividing the new publication from the starting album Entity, Oscar and The Wolf became a real superstar in Belgium. At the Pukkel pop festival he was headliner, in spite of the presence of Rihanna and the LCD Soundsystem. He was headliner also in Amsterdam and Istanbul, while at the Lowlands Festival he performed just before the Muse. Oscar is very loved by fashion world and in particular by Dries Van Noten, as he created the soundtrack for his fashion shows of Paris in 2015. But his most relevant quality is the intention, very successful, to develop an own identity, full of a bohémien aptitude of other times, to cross transversely present and past fashions, and to
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Kult
ignore the logic of a market that is now ready to take earnings only from single records. Oscar is not of many words, but we like very much the words he offers us in this exchange.
Omnion is the beginning of a new artistic chapter in your career, how do you live all this? On the 1st September I published my forth album with the Hercules & Love Affair, but I have no idea of what could happen later, at the moment I am engaged in the tour together with the band. As artist I have always followed the impulse taking me to write music, a need that I have felt very strongly since adolescence. I started playing piano, then writing songs was a natural answer to a real existential need that I followed from the college times, taking me here now, but I don’t know where it will take me after. In this exact moment of my life I feel very satisfied, but most of all lucky thanks to many artists I could collaborate with, among producers, visual artists and designers.
I personally discovered you during the opening act of the concert by Roisin Murphy, two years ago here at the Fabrique of Milan, and I have always followed you. Why did Roisin choose you and what do you have musically in common? Roisin is fantastic both as an artist and as a person, on the stage she is very sensual and she fully offers her interpretation...she sings, dances and runs wild. On the stage we are different persons but musically the respect unifying us is very high. How do you conciliate your intimist style with the great crowds of the festivals you follow? I just trust a lot in myself and I try to be at the level of audience listening to me.
The record deals with different themes such as faith and tolerance. Was the sound affected by your personal relationship with faith? Before being induced to faith from my family, I was fascinated by mythology and by the similarity recognizable between Bible and mythology. I have always loved to observe the way people try to interpret the world surrounding them, the way they express what they feel about the existence of God. So I suppose I have always had inside me a kind of spiritual sensitiveness, stimulated by the conviction of the existence of universal truths and just human truths. Nowadays I am a faithful person and Rouge Mary is to me a great source of inspiration. I traveled for long time with her in tour and her spiritual energy had certainly effects on the band. The new album is completely immersed into spirituality.
How would you describe the style characterizing you, if you could use only two words? Top emotional with dark sides. And if you had to go more in deep? I see my songs as if they were Disney music for adults. But they have many sex elements that may be not suitable for children! Anyway I would like to go beyond the concept of “music that should be played” and to break the rules imposed by this idea. I don’t believe there is a line between alternative and commercial music, also classical pieces are like pop music to me. And I think there is real beauty even in the EDM sound.
Are we in front of a so called “featuring album”? Yes, each song is a collaboration with a different artist. Ten singers with all different vocal styles, unified by a continuity of texts and contents.
You are author of the texts you sing. What is poetry to you? An expression of myself. An allegoric means by which I can examine and express myself at the same time.
The Hercules & Love Affair never made mystery of their sharp club aptitude. Disco is often seen as an escape from reality, where there is no possibility of dialogue. Why did you feel the need to cope with this item by realizing a record suspended between dance-floor and home-listening? The previous record, The Feast of a Broken Heart, recalled the concept of club almost lived as cult place. Instead Omnion claims that people meeting in clubs have not real dialogues, but clubbing is often an escape, a disconnection with the world outside. But I believe that dancing in a club can still have deeper aspects and create a real community. I have tried to unify the dimension of dance with the one of home-listening since the first album, in a sort of unsteady balance creating addiction.
Among your sources there are the Smiths at the origin of everything. What do you listen to in this period? Rihanna, Lana Del Rey, Kendrik Lamar, Frank Ocean, Perfume Genius. Do you think this album will allow the increasing of your fanbase? It is not one of my intentions. I just would like to go on doing what I love and music is of course an important part of all this. How do you live your relationship with fans? I am a little bit distant, as I want to protect my private life.
You have recently remixed the single by Van Etten “Not Myself”, a sort of response of the artist to the massacre at the Pulse Club in Orlando. How did you react to that tragedy? In the last three years spent to produce the record, many horrible things happened in the world and the mass murder of Orlando is of course one of these. The event scared me very much as it highlighted a deep hatred, towards oneself and the others. The only possible response not to spread more that hanger, to me was the will of being together with each other. I have a great respect for Van Etten, as he lived the bad event with great empathy. The reworking came from a verse of his song “Not Myself”, which caught me in particular way: “I want you to be yourself around me”. If someone had told me such a phrase when I was a child, my life and my feelings would have been completely different.
Are you aware of being a Queer Icon? Sure, and this makes me feel good, but I don’t care of it much, as I act as an artist and so in the name of art I don’t belong to any label.
pp.128–129
You know nightlife very well as you are an appreciated dj. Which are the best parties in circulation at the moment? What happens at the Block 9 of the Glastonbury Festival in London is exciting. A kind of parallel world recreated by event producers and djs. Thousands of people gather in this specific area and I am sure that the spirit is really splendid...energy and vibrations are incredible.
Gender-bending Groove Hercules & Love Affair text by Marco Torcasio
Unique constant in the project Hercules & Love Affair from the times of the starting album, Andy Butler is the ginger boy of the queer worldly electronic. With his djsets he takes people to dance but with his songwriting he can also help to reflect. Behind the stage of last concert of the Arcade Fire in Milan he told us about his last featuring album Omnion.
What does freedom mean to you today? I believe very much in the power of choice. The best thing in the world is to give someone the freedom to choose. Who, how and where to be. Today it is still discussed if to be homosexual is a biological matter or a choice. Well, I think that, even if it was a choice, it would be anyway wonderful, as choosing who to be means to be free.
Trouble with alcoholism and drugs, with an overdose that was taking him to death, are now over after four years. Andrew Butler, soul of the project Hercules & Love Affair, now wants to forget it. His new record Omnion is balanced between intimist introspection and club dash, between songwriting, synth-pop and house dash. The members taking now part of the collective Hercules & Love Affair are the trans-gender French-Algerian artist Rouge Mary and the Belgian frontman Gustaph. But Omnion is absolutely presented as a record full of collaborations. First of all the ones with Faris Badwan who interprets the trailblazer single “Controller”, nervous house piece streaked with a turbid sado/masochist eroticism, and comes back in “Through Your Atmosphere”, a piece of the 80’s which recalls the actions of his Horrors. Omnion is a figurative sound trip through the development of emotions, with the most appreciable singular ability to take out deepness, introspection and sincerity from the pop-dance lightness.
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Anything new about your solo project? I can tell you that I am really creating much music. I can’t foresee the future of the Hercules, but anyway I will keep on writing, as I love most of all working with people.
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INITIATIVES
Tomorrow’s talents Da Armani a Bulgari, i nuovi progetti destinati a brillanti giovani talenti in corsa verso il futuro.
I
mmaginazione, volontà e sfidare quasi l’impossibile. Sono i requisiti imprescindibili per diventare i talenti del domani. Grazie a incitanti progetti messi in atto da prestigiose fashion house per promuovere, sostenere e valorizzare la creatività emergente.
WOMEN@DIOR “Non solo più belle ma anche più felici”: era il desiderio di Monsieur Christian Dior in riferimento al genere femminile. E il primo direttore creativo donna della Maison, Maria Grazia Chiuri, ne condivide il pensiero sin dal suo esordio sulle passerelle, facendo sfilare le modelle con indosso t-shirt con la scritta “We should all be feminists”, diventando così una fervente sostenitrice dei valori dell’uguaglianza dei generi e celebrando il potere della donna. Sulla stessa scia nasce Women@Dior, un programma di mentoring che accompagna le giovani studentesse provenienti da note università parigine quali Ecole Centrale, Institut Français de la Mode, Polytechnique, HEC, Olivier de Serres and Panthéon-Assas University, per valorizzarle nel mondo del lavoro e dare loro fiducia in se stesse. Ogni studentessa, proveniente da differenti ambiti, dalle arti applicate al commercio, passando per l'ingegneria e il marketing, avrà un incontro con una collaboratrice Dior per un percorso formativo con cadenza trimestrale della durata di almeno un anno.
MAXXI BULGARI PRIZE Il mondo dell’arte conquista Bulgari. La prestigiosa griffe di Lvmh ha stipulato un accordo della durata di sei anni con il Museo nazionale delle arti del XXI secolo con sede nella città capitolina. La nuova partnership, presentata a Londra da Giovanna Melandri, Presidente Fondazione MAXXI e Nicola Bulgari, Vice Presidente del Gruppo Bulgari, è nata a supporto del Maxxi Bulgari
prize dedicato al sostegno e la promozione dei creativi emergenti, che dal 2000 a oggi ha lanciato sul panorama internazionale numerosi talenti. In occasione della conferenza stampa tenutasi all’Hotel Bulgari della capitale britannica, sono stati annunciati i finalisti che concorreranno al premio: la newyorkese Talia Chetrit, il duo made in Italy Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi fondatori di Invernomuto e il lombardo Diego Marcon. Le loro opere site specific saranno esposte a partire da maggio 2018 in una mostra curata da Giulia Ferracci. Il vincitore sarà decretato ufficialmente a ottobre dell’anno prossimo da una giuria internazionale composta da Bartolomeo Pietromarchi, direttore del MAXXI Arte, David Elliott, curatore indipendente, Yuko Hasegawa, direttore artistico del MOT di Tokyo e Hans Ulrich Obrist, direttore Artistico della Serpentine Galleries di Londra, insieme con Lucia Boscaini, Bulgari Brand and Heritage Curator.
ASPESI ART ACADEMY Un’accademia virtuale che coinvolge la creatività artistica di giovani talenti per reinterpretare liberamente il marchio italiano. Basterà postare un’immagine che abbia come protagonista la collezione autunno inverno 2017-18 di Aspesi, raccontata attraverso una visione innovativa marchiata dall’hashtag #AspesiArtAcademy. Solo le più originali saranno pubblicate sul profilo @Aspesiofficial. Un luogo d’incontro dove i giovani creativi potranno esprimere la loro vitalità inventiva e dare visibilità alle proprie opere. Così arte e moda entrano in una stretta relazione per un’iniziativa sempre più social!
ARMANI/LABORATORIO Dalla moda al cinema. Ma tenendo sempre a cuore il futuro delle nuove generazioni. Giorgio Armani lancia un laboratorio di formazione cinematografica, intensivo e gratuito, dedicato a tutti quei creativi inte-
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ressati a intraprendere un percorso di specializzazione nell’ambito del cinema. L’obiettivo è produrre un cortometraggio che richiama l’estetica distintiva del designer. Il progetto, che avrà luogo presso l’Armani/ Silos a gennaio 2018, prevede otto capitoli formativi con insegnamenti teorici e attività pratiche.
ERMENEGILDO ZEGNA FOUNDER’S SCHOLARSHIP Si rinnova il supporto della casa di moda di Trivero a favore dei talenti emergenti con il via della quarta edizione di Ermenegildo Zegna founder’s scholarship, l’iniziativa volta a finanziare la specializzazione internazionale di neolaureati all’estero, mettendo a disposizione una somma pari a 1 milione di euro. Le borse di studio possono essere utilizzate dagli alunni per conseguire una specializzazione post-laurea scegliendo tra master, PhD, post-dottorati oppure per un programma di ricerca presso uno dei maggiori istituti universitari o centri di ricerca all’estero, e verranno assegnate a una rosa di candidati presentati dai rettori degli atenei italiani che aderiscono al progetto. Tra questi Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Università degli Studi di Milano, Università Luigi Bocconi, Università Cattolica del Sacro Cuore, Università Luiss Guido Carli di Roma, Università degli Studi di Napoli Federico II. Quest’anno il programma, ideato in onore alla memoria del fondatore del gruppo Zegna, ha premiato 41 studenti che hanno scelto di iscriversi alle università straniere considerate fra le migliori 30 a livello mondiale, tra cui Oxford, Cambridge, University College of London e London School of Economics in Gran Bretagna, Harvard, Berkeley, Chicago, Yale, Pennsylvania, Ucla, Columbia, Johns Hopkins e Michigan in Nord America, l'Institut Pasteur di Parigi e il Kaist della Corea. Le specializzazioni comprenderanno materie scientifiche, tecnologiche, giuridiche e umanistiche.
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