Kult No.2 / 2018

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5€ Italia

issue n–2 2018

ART – FASHION – MUSIC – DESIGN – LIFESTYLE

we are

Visionaries

FASHION TALENT Scandinavian Manifesto E€6–P€7 F, B, L € 7.5 – NL € 8.5 D, A € 9 – CH Chf 7.50 UK £ 6.5 – S Sek 75

FEMMES DÉTENUES Bettina Rheims PUSSIAN FEDERATION XXX Pussy Riot NO–BOUNDARIES CITIES London, Paris, Antwerp, Milan WATCH OUT David Bowie is, Arles, Mixology Art

No. 2 / 2018

(In cover) Unique Media srl – Trimestrale 8 –06–2018 giugno/luglio/agosto


Prodotto e distribuito da Jet Set Group

NEW DATE AND LOCATION 21-24 SEPTEMBER 2018 PADIGLIONE VISCONTI VIA TORTONA 58 MILANO PITTIMMAGINE.COM







yslbeauty.com

Per informazioni, numero verde 800-922259.


LA NUOVA FRAGRANZA FEMMINILE


CONTENTS

KULT Magazine issue n–2 2018

The Cover

12

Colophon

15

Photography Interview

92

Fashion

96

Fashion Editorial

Huawei: The Golden Age of Smart Photography

104

Fashion

32

Exhibition

107

Paris

36

110

Naples

Music

40

114

Antwerp

Music

44

118

Taste

Exhibition

50

122

Travel

Photography

58

Design Talent

126

London

62

Fashion

130

Exhibition

5€ Italia

issue n–2 2018

ART – FASHION – MUSIC – DESIGN – LIFESTYLE

FASHION TALENT Scandinavian Manifesto FEMMES DÉTENUES Bettina Rheims

28

PUSSIAN FEDERATION XXX Pussy Riot NO–BOUNDARIES CITIES London, Paris, Antwerp, Milan

Bettina Rheims: Détenues

Lo Stato Sociale Foto di Giuseppe Palmisano

68

The well–dressed social gang

Technology

Arles 2018: Back to the future Lo Stato Sociale: Fanc**o agli Ego–Maniaci

WATCH OUT David Bowie is, Arles, Mixology Art (In cover)

Fashion Education

(Dress your) PUSSY (wear) RIOT David Bowie is Kampala Fashion Week: Uganda They made your home Scandinavian Manifesto Fashion Editorial

Belle de jour

78

Fashion Talent

84

Fashion Editorial

Fashion as hummingbird Galaxy Gleam

Retail Digital Experience Paris Events Schedule “Into” N’apoli. La Città Sospesa Kipling: Urban Living made in Antwerp Mixology Art Siamo Turisti in cerca d’autore Dalston view Hidden London Vitra Design Museum: Night Fever I font su questo numero: Paralucent (designed by Rian Hughes) Serenity (designed by Rian Hughes) Coolvetica (designed by Ray Larabie) HWT Arabesque (designed by Terry Wüdenbachs)



KULT Magazine issue n–2 / 2018

Editorial Director Enrico Cammarota Editor-at-Large Luisa Micaletti Design Anna Casotti Music Ciro Cacciola Art Alessandro Riva Collaborators Matteo Dall’Ava, Alessia Ferri, Alessandro Iacolucci Paolo Landi, Antonella Tereo, Marco Torcasio Photographers: Arianna Bonucci, Mattia Campeggio, Silvia Poropat Stylists: Isabella Broggini, Martina Toti International Collaborators Anna Casotti – New York Fausto Furio Colombo – Zurigo Alessandra Fanari – Parigi Graphic Design Francesco Dipierro

KULT Magazine is published quarterly by Unique Media Srl Marzia Ciccola (Editor-in-chief)

Registration at Court of Milan n. 412 of 11/06/1998 ©Unique Media Srl. All right are reserved Reproduction in whole or in part without written permission is strictly reserved

Worldwide Distribution: Australia, Belgium, Brazil, South Korea, United Arab Emirates, Finland, Great Britain, Hong Kong, Israel, Lithuania, Malta, Holland, Singapore, Hungary

Unique Media Srl Via Cadolini 34 – 20137 Milano ph. +39 0249542850 adv@uniquemedia.it (advertising) segreteria@uniquemedia.it

Printed by Arti Grafiche Boccia Spa Distribution SO.DI.P. “Angelo Patuzzi Spa” Via Bettola, 18 – 20092 Cinisello Balsamo




PHOTOGRAPHY

Bettina Rheims:

Détenues testo di Alessandra Fanari

Bettina Rheims Parigi 2015 ©Emanuele Scorcelletti


Sono 64 i ritratti delle donne che Bettina Rheims ha scattato in quattro penitenziari francesi. Se la semplicità minimale della composizione, un fondo bianco e uno sgabello, costruisce la coerenza visuale di questa galleria d’immagini, ogni cliché cattura nella varietà infinita degli esseri la specificità propria ad ognuno. Alla genericità del nome comune – Detenute – Bettina Rheims sostituisce la singolarità assoluta del nome proprio. Melanie, Papyllon, Y.S., Chantal sono storie

di vita appena sussurrate. Delicatamente suggerite dall’esitazione di uno sguardo, dall’intensità di un’espressione, dai lineamenti marcati di un viso, la storia di ognuna, riappare nella fugacità di uno spettro, nell’irriducibile umanità di ogni esistenza e aldilà di ogni schema. È questo il filo su cui si dispiega la ricerca di Bettina Rheims che, in una composta semplicità, ridà all’immagine la sua forza poietica.

Come è nata l’idea di «Détenues»? C’é una continuità con il resto del suo lavoro? L’idea ha preso piede da sola, si tratta di progetti che si susseguono e che alla fine sono connessi. I lavori raccontano qualcosa di simile, anche se non è evidente vedere il rapporto tra Heroines e la questione del genere – Gender Studbies – o il lavoro sulle Femen e quello della detenzione. C’é sicuramente qualcosa di comune e si tratta di mostrare ciò che non vogliamo vedere, di dire l’indicibile. Quale è stato il suo punto di partenza ? La questione delle donne in prigione è molto forte, tocca qualcosa di profondo. Nell’immaginario collettivo sono gli uomini che vanno in galera, sono loro i delinquenti, i ladri, i terroristi, non le donne. Per le donne è qualcosa d’inimmaginabile oppure si tende a pensare subito che abbiano rubato del pane per nutrire i loro bambini e tutto diventa una storia romantica. Ma non è vero, certo ci sono anche quelle, ma tante altre sono delle vere criminali, donne che hanno ucciso... proprio come gli uomini. Ma questo non lo si vuole vedere. L’idea era proprio quella di mostrare che le donne vanno in prigione come ci vanno gli uomini e tenere acceso il barlume della reinserzione. In prigione si sconta una pena e una volta scontata, la società dovrebbe offrire a queste persone la possibilità di reintegrarsi. Non c’é ragione di scontare una doppia o tripla pena. Che senso animava questo progetto? Volevo ridare a queste donne la loro umanità e la propria dignità. Mi hanno spesso chiesto

Dètenues di Bettina Rheims Sainte Chapelle del château de Vincennes (Châteaux de Vincennes) et al Châteaux de Cadillac Dal 9 febbraio al 30 maggio 2018 Château de Cadillac Dal 1 giugno al 4 novembre 2018

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perché nelle mie foto non si vedeva la prigione, perché non venissero rittratte nella loro cella. Ma il mio proposito era proprio il contrario. Non volevo metterle nel posto in cui si trovavano, si trattava di farle uscire da quella condizione. È per questo che ho voluto uno sfondo bianco, neutro senza niente. Ho pensato che se questo dispositivo funzionava, sarei riuscita nel mio intento e cioè mostrare che la prigione è negli occhi, nello sguardo. Come ha organizzato il set? L’installazione era molto importante. Avevo promesso che ognuna di loro avrebbe avuto il proprio spazio, e non che fossero ritratte in gruppo. Nella scenografia ho fatto in modo di creare uno set per ogni ritratto, come se ognuna avesse il suo piccolo altare. In più l’allusione alla cappella conferisce immediatamente una certa sacralità, e poi qualcosa d’estremamente semplice, con la luce che inquadra ogni immagine, crea una certa austerità che in fondo somiglia alla prigione. È stato un progetto lungo. Che tipo di relazione si è creata fra voi? Ci è voluto molto tempo e non è stato facile convircerle. Ho cominciato con lo spiegare il mio progetto a dei gruppi di 30/40 persone nei quattro penitenziari in cui sono andata. Normalmente dovevo stare li per un’ora circa, raccontare e mostrare il lavoro, rispondere alle domande. Ho detto che volevo aiutarle a ritrovare una stima di sé. E da li sorgevano delle conversazioni appassionanti, interminabili. Ogni volta sono rimasta cinque ore per rispondere e ascoltare. È stato un momento molto forte, credo fra i più importanti della mia carriera fotografica sulla questione della femmminilità.


Ramy ottobre 2014, Poitiers Vivonne ŠBettina Rheims Courtesy Galerie Xippas


novembre 2014, Corbas ŠBettina Rheims Courtesy Galerie Xippas

Vanessa Bareck



PHOTOGRAPHY

Il progetto d’altronde si basava sull’idea di dare a queste donne un’altra immagine di loro. Come si è rapportata alla questione della femminilità e dell’identità in una sfera così chiusa? Sono delle donne che non hanno niente, nulla per prendersi cura di loro, né dei capelli o della pelle. Inoltre il tipo d’alimentazione, la mancanza d’esercizio fisico, il degrado delle condizioni igieniche, fanno si che si lascino andare completamente, subendo la situazione. Non ci sono specchi in prigione. Magari cercano di guardarsi nel riflesso di una finestra o di una porta vetrata, ma non possono specchiarsi veramente e se aggiungiamo il fatto che non si può essere guardate da un uomo, piano piano si finisce con lo sparire, non si esiste più. La cosa mi ha molto colpito soprattutto perché, purtroppo, queste donne finiscono in prigione a causa degli uomini. Nei suoi scatti ogni donna ha il suo stile, come si sono costruiti i looks? All’inizio ho detto loro che potevo portare con me qualcuno per il make-up, per i capelli e anche dei vestiti. Ingenuamente, visto che lavoro spesso con tanti marchi di moda, li ho contattati per avere il loro supporto. La reazione era sempre di grande entusiasmo all’inizio, ma appena spiegavo il progetto, nessuno voleva participare, dicendomi sistematicamente che era impossibile e che non facevano politica. Non ho trovato nessun aiuto, nessuno ha voluto prestarmi dei vestiti. Allora sono andata da H&M e ho acquistato due valige di vestiti, blouse, t-shirt. Non potevo fare altro e in fondo, forse, è stato meglio. Quando ho messo su una tavola i vestiti dicendo che potevano provarli e cambiarsi, la maggior parte aveva già pensato a cosa volesse indossare. Per i capelli e il trucco Vanessa, la mia assitente, ha dovuto lavorare sodo, tutte avevano in mente ciò che desideravano.

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Qual è stata la reazione quando hanno visto le foto? Alcune mi hanno ringraziato, altre erano un pò deluse dicendomi che non sorridevano nella foto. Evidentemente non si sorride molto in prigione, e neanche durante quelle sedute si sorrideva tanto... Come definirebbe il sentimento dominante durante gli scatti? Cosa ha visto in queste persone? C’era una sorta di vergogna, pudore, tristezza ma anche un estremo bisogno di confidarsi, di parlare. È quello che hanno fatto con me. In un certo senso non ero nessuno, ero dietro la mia macchina da presa, e sentivano di poter parlare. In prigione non si può parlare, è pericoloso, si può essere ascoltate, denunciate... La prigione è il luogo del segreto, della gelosia, un « à huis clos » di sentimenti difficili, di relazioni impossibili. Parlare con me diventava una specie di sollievo, la possibilità di liberarsi di un fardello pesante. Alla fine è stato come se mi avessero affidato un grande sacco che dovevo portare fuori dalla prigione e soprattutto tenerlo per me. Da non divulgare. Per loro era molto difficile uscire da questo sentimento di colpa. Arrivavano agli shooting con gli occhi bassi, le spalle chine, senza osare guardare. Bisognava portarle, sollevarle, tirarle su... Durante i servizi si parlava molto, erano momenti di grandissima intensità. Quasi tutte mi hanno raccontato quello che avevano fatto. Io ero là per ascoltarle, e lo facevo senza scattare fino a quando non si erano liberate dal peso enorme della colpa, solamente allora potevo ritrarle. Qualche volte lo sguardo si è levato, ha incrociato il mio non è sfuggito, è rimasto di nuovo capace di guardare e di essere guardato… E là ho visto come una luce, non dico di fierezza, ma la capacità di dirsi «ebbene si, sono io, l’ho fatto».


@TATRAS_OFFICIAL


novembre 2014, Roanne ŠBettina Rheims Courtesy Galerie Xippas

Eve Schmit II


PITTI UOMO 94 | from 12 to 15 June 2018 | Cortile dell’Arsenale - Fortezza da Basso - Florence

sseinse.com


novembre 2014, Roanne ŠBettina Rheims Courtesy Galerie Xippas

Niniovitch II


http://www.berwich.com/it/?mntr=KULT


novembre 2014, Rennes ŠBettina Rheims Courtesy Galerie Xippas

Vaiata



TECH

The Golden Age of Smart Photography

La riproduzione di immagini di qualità professionale grazie a un solo pratico device è finalmente un’esperienza alla portata di tutti. Dopo aver definito le nuove aspettative della fotografia da smartphone con il lancio del Huawei P9, Huawei Consumer Business Group ha svelato i tanto attesi Huawei P20 e Huawei P20 Pro.



TECH

A poche settimane di distanza dall’esclusivo evento di lancio, tenutosi al Grand Palais di Parigi, Huawei P20 e P20 Pro si rivelano dispositivi in grado di delineare un nuovo rinascimento della fotografia così per come eravamo abituati a conoscerla. Nell’ambito dell’esperienza nel mondo smartphone, è un’inedita combinazione di tecnologia avanzata e arte il cuore pulsante di questo cambiamento di portata globale. «Cerchiamo ispirazione dagli artisti per continuare a sviluppare il nostro approccio al design e all’innovazione», afferma infatti Richard Yu, CEO Huawei Consumer Business Group. «La serie Huawei P20 è realizzata sull’eredità della nostra collaborazione con Leica. Con la rivoluzionaria tripla fotocamera montata sul Huawei P20 Pro, una evoluta doppia fotocamera sul Huawei P20, e una potente intelligenza artificiale in entrambi modelli, i più brillanti consumatori di oggi possono cattivare e condividere lo splendore del mondo intorno ad essi». Tra le caratteristiche principali della serie Huawei P20 troviamo: un sistema fotografico avanzato, in grado di catturare più luce, più dettagli e bellezza grazie alla rivoluzionaria tripla fotocamera Leica e dello Hybrid Zoom 5x integrati nel modello Huawei P20 Pro, e alla doppia fotocamera Leica installata sul modello Huawei P20; innovativi strumenti fotografici, tra cui il sistema Master AI, un’opzione fotografica professionale che funziona tramite Intelligenza Artificiale, e la potente tecnologia di stabilizzazione Huawei

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AIS; un design senza tempo, con cornici minimizzate, gradazioni di colori totalmente nuove; prestazioni di massimo livello, grazie al processore Kirin 970 dotato di NPU dedicata con EMUI 8.1 basato su piattaforma Android™ 8.1, per un’esperienza di utilizzo fluida e di alta qualità. La serie Huawei P20 utilizza l’AI per stabilizzare l’immagine, catturare ogni minimo dettaglio e assicurare nitidezza anche di notte grazie alla modalità “Supernight” che permette appunto di scattare foto incredibili senza cavalletto in condizioni di luminosità notturna. Il design della serie Huawei P20 si ispira non a caso alla luce. In particolare, i modelli P20 e P20 Pro sono disponibili in una tonalità nuova ed esclusiva: il colore Twilight, ottenuto applicando diversi strati di rivestimento ottico in NVMC sotto la superficie posteriore in vetro. In questo modo la luce che la colpisce si riflette creando giochi di colore che variano da un blu intenso a un effetto sfumato. I dispositivi includono anche il Huawei FullView Display (5.8 pollici per Huawei P20 e 6.1 pollici per Huawei P20 Pro), con cornici ultra sottili e un notevole rapporto di proporzioni tra lo schermo e il corpo del dispositivo. Il display si unisce in modo armonioso ai bordi arrotondati, garantendo una presa confortevole. I due modelli sono disponibili nelle colorazioni Twilight, Black e Midnight Blue. La serie Huawei P20 riflette l’arte della luce con caratteristiche fotografiche che esaltano ogni

aspetto dell’esperienza di scatto tramite smartphone. Il modello Huawei P20 Pro è dotato di una tripla fotocamera Leica che dispone del numero di pixel più elevato tra i moderni smartphone - la configurazione della fotocamera comprende un sensore RGB da 40 MP, un sensore monocromatico da 20 MP e un sensore da 8 MP con teleobiettivo. Include inoltre un sensore per la temperatura del colore per una migliore riproduzione dei colori. Grazie alla sua ampiezza da f/1.8, f/1.6 e f/2.4, in grado di catturare i dettagli in modo chiaro, preciso e con la massima nitidezza, il modello Huawei P20 Pro include anche un nuovissimo obiettivo Leica Vario-Summilux con uno zoom ottico 3x per scatti a grande distanza fino a 5x grazie all’Hybrid Zoom. Il sensore d’immagini di Huawei P20 Pro consente di scattare fotografie in condizioni di scarsa luminosità, fino a un ISO 102400. consumer.huawei.com/it

In apertura, Huawei P20 e P20 Pro (sopra) Huawei P20 Pro


6/8 June 2018

SANDRO SILVA ADDAL

Thursday the 7th

TAMI Friday the 8th

FRANCO MOIRAGHI Wednesday the 6th

SIMIOLI Wednesday the 6th

DJ BENJAMIN Friday the 8th

SUARK Friday the 8th

www.cannesmusicsummit.com ORGANIZATION

PARTNERS

MEDIA


EXHIBITION

Arles 2018. Back to the future Il programma della nuova 49esima edizione dei Rencontres d’Arles, impostato sul tema Back to the future, invita ad attraversare il tempo e lo spazio con un viaggio attraverso i secoli. Per questo la fotografia è spesso il mezzo migliore per analizzare tutti gli “scioccanti” mutamenti socio-culturali. Rencontres d’Arles lo fa tramite una costellazione di mostre che si intersecano, interagiscono e occasionalmente si scontrano, tentando di far scoprire il prossimo futuro, sottolineando le grandi questioni della società di oggi; dalla sezione America great again! ad Augmented Humanity fino ai dialoghi della subcultura contemporanea.

Rencontres d’Arle Back to the future Da lunedì 9 luglio a domenica 23 settembre 2018 rencontres-arles.com

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Christto & Andrew Existential Nightmare, 2018. Courtesy of the artists and METRONOM


Gregor Sailer The Potemkine Village – Carson City VI Vårgårda, Sweden, 2016 Courtesy of the artist.

Pipilotti Rist Pixel Forest, 2016 Installation view ‘Pipilotti Rist: Sip my Ocean’, Museum for Contemporary Art Sydney, 2017. Photo by Anna Kucera Courtesy the artist, Hauser & Wirth and Luhring Augustine


PART ONE

Visionaries


MUSIC

FANC**O agli Ego-Maniaci Zero pretese e un filo di gas sull'acceleratore. Quello che succede succede. Ascoltare Lo Stato Sociale è pericoloso, si rischia di finire nel posto che ci piace di piÚ. Accettiamo la sfida. testo di Marco Torcasio

LoStatoSociale foto di Giuseppe Palmisano


Albi, Bebo, Carota, Checco e Lodo. Lo Stato Sociale si forma nel 2009, ma solo dopo i primi due EP “Welfare Pop” (2010) e “Amore ai tempi dell’IKEA” (2011), arriva nel 2012 il primo album “Turisti della democrazia” e il primo vero tour con più di 200 date in tutta Italia. Diventano rapidamente iconiche canzoni come “Mi sono rotto il cazzo”, “Sono così indie” e “Abbiamo vinto la guerra”. Nel 2015 riempiono il Paladozza di Bologna con 5000 persone producendo in maniera del tutto indipendente l’evento, e nel 2016 pubblicano il primo romanzo “Il movimento è fermo”. Il libro, edito da Rizzoli, esaurisce 5 ristampe

e 10.000 copie, caratterizzando la band come collettivo artistico variegato e dalle diverse forme espressive. Dopo tre anni di pausa discografica esce “Amore, lavoro e altri miti da sfatare”, disco che entra immediatamente nella top ten di iTunes e viene presentato il 22 aprile al Mediolanum Forum di Assago (MI) davanti a 9000 fan. Bisogna però aspettare il 68° Festival di Sanremo, che li vede protagonisti con il brano “Una vita in vacanza”, per il grande successo di pubblico e critica. Piazzandosi al secondo posto nella competizione e vincendo il premio della sala stampa Lucio Dalla, il brano diviene il singolo più venduto

in Italia per due settimane consecutive e ottiene la certificazione di disco di platino FIMI in meno di tre settimane dalla sua pubblicazione. Adesso il nuovo singolo si chiama “Facile” e parla di come stare bene con una persona, di prendere il meglio da chi ti sta accanto. È una canzone che racconta come insieme la vita possa diventare improvvisamente più leggera, senza mai essere superficiale. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Alberto “Bebo” Guidetti, l'uomo delle drum machines e dei sintetizzatori, e Lodovico “Lodo” Guenzi, voce e frontman della band.

foto di MelaniaPavan

La strada che vi ha portato a essere Lo Stato Sociale di oggi? BEBO: Tutto è nato per sbaglio e per noia. Nel 2009, io Albi e Lodo abbiam deciso di bere delle birrette nel garage della famiglia di Alberto, che nel tempo era diventato la nostra piccola sala prove con strumenti presi in prestito e basi rudimentali fatte con Magix Music Maker, craccato tra l'altro. Abbiamo iniziato a fare canzonette un po' sbilenche e dopo poco tempo abbiamo cominciato a portarle in giro, senza nulla di stampato. Andavamo alle feste e alcune le organizzavamo apposta per suonare. Da lì a poco sono subentrati Checco e Carota e abbiamo deciso di formalizzare il secondo EP. Una volta raggiunti i tre album, via con centinaia di

date in tour. In cinque abbiamo dovuto formare un'unica testa, rallentando a volte le decisioni. Quelle più avventate le abbiamo portate avanti comunque perché ci sentivamo di poter atterrare sui nostri stessi piedi. Siamo arrivati a Sanremo da perfetti sconosciuti, quasi come degli alieni, ma già dal secondo giorno tutti volevano darci il cinque. In qualche modo far le cose come vengono, senza dover dimostrare niente a nessuno per forza, a volte paga. Avete toccato con mano quella cosiddetta gavetta che oggi in giro si vede molto poco. Non siete tipi da tutto e subito... BEBO: L'esigenza del singolo scala-classifica, della chiacchiera attorno, è una cosa

molto recente. Noi veniamo da un percorso lungo 10 anni, l'unico modo di essere che conoscevamo rimane tuttora il fondamento dello Stato Sociale, ovvero la dimensione live. Per noi fare gavetta non è stato faticoso, piuttosto un modo per affinare qualcosa che consideriamo la nostra punta di diamante. Come stiamo sul palco, il fatto che ci siano cinque voci, che succedano un botto di cose, dal cabaret al teatro-canzone, al rock, al rap, al reggae, alla canzonetta d'amore col pianoforte, che succede tutto e di più all'interno dei 60/90 minuti di live. Lo facciamo come nessun altro. Fedeli a questo modello, abbiamo scritto una strada differente, che non passa dai talent e non ha niente a che fare con gli ego-maniaci.

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MUSIC

“Per un mondo diverso Libertà e tempo perso E nessuno che rompe i coglioni Nessuno che dice se sbagli sei fuori” (da Una vita in vacanza, Lo Stato Sociale)

Prima di raggiungere la popolarità, come si è evoluto il vostro background musicale? Eravate già tutti musicisti prima ancora di scriverlo ufficialmente sulla carta? BEBO: Chi più chi meno, avevamo tutti basi musicali. Carota, dei cinque, è quello più studiato, sia sul pianoforte che sulla voce, noi altri quattro siamo più autodidatti o appassionati. Io sono un ascoltatore più che un musicista ancora adesso. La mia fortuna è che sin da ragazzino mi sono appassionato a qualcosa che gli altri non facevano, la programmazione musicale di software. Non so suonare la chitarra, ma so utilizzare tutta una serie di robe un po' nerd, un po' oscure. Quindi mettendo insieme cose molto diverse tra di loro, cioè la formazione accademica teatrale di Lodo, il fatto che Checco fosse il frontman di una band hardcore, che Albi alle superiori suonasse in una band metal, è successa una magia. Perché Bologna ha un valore aggiunto nella vostra vicenda musicale rispetto ad altre città? BEBO: La figata sono quei centomila iscritti all'Università, e non è poco per una città di quattrocentomila residenti. Tra questi iscritti una buona metà sono fuori sede quindi ritrovarsi in una città viva, un porto di mare, a conoscere e avventurarsi, a scoprire e far succedere le cose, è stato un buon modo per scoprire il mondo attorno. Bologna è ancora capace di generare novità al proprio interno. È pur vero che rimane una città di provincia, Milano e Roma sono i posti in cui succedono davvero le cose, ma un luogo in cui la vita culturale è più forte che altrove. Siete a vostro agio all'interno dello scenario musicale italiano, tra cantautori, rapper, trapper, eccetera? BEBO: Penso di essere felicemente, ancora adesso, malgrado il successo, un outsider. Non sono un batterista, però so programmare le drum machines con cui si può fare rock, rap, elettronica. Alberto è un metallaro che si è appassionato di black music, Lodo è uno che non sa cantare ma ha dovuto impara-

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re, Carota è un fenomeno in qualsiasi cosa, Checco salta e urla e strilla e suona. Non lo sappiamo neanche noi cosa volgiamo fare, è questo che ci dà la possibilità di non essere in concorrenza davvero con nessuno. Non me ne frega un ca**o di stare sul mercato a dirmi “questo è il mio middle market e devo provare ad agganciarlo per forza”. Ci sono tante sfaccettature, sicuramente complicate. Ma non abbiamo un riferimento vero, stiamo bene più o meno con tutti perché in fondo la cosa che ci piace veramente è stare a tavola con gli altri. Il vostro nome è facilmente “politicizzabile”. C'è un substrato artistico che non viene percepito? BEBO: Siamo, per storia personale, chi più chi meno, tutti coinvolti in attività politiche, parapolitiche e sociali, quanto meno come interessamento. Questo tipo di attitudine poi passa nei testi, perché la politica è il grande cerchio che circoscrive il 99% della realtà. Ma noi siamo i giullari di corte e andiamo dal baso verso l'alto per cercare di far passare alcuni messaggi o alcune istanze. A volte la politica è semplicemente un pretesto per dire qualcosa. Quanta ironia c'è? BEBO: Più che ironia è autoironia. Sappiamo di avere pensieri a volte stupidi, così come conosciamo cose a menadito perché ci abbiamo scritto una tesi. Se fai il musicista, non sei un saggista, non sei un accademico, non sei qualcuno con una cattedra, quindi puoi permetterti di essere un po' ignorante e ne siamo consapevoli. Sappiamo di dire a volte delle cose come se fossimo in un bar, a volte invece in piena coscienza e padroni dell'argomento. Avere consapevolezza di questa roba qua ti permette di vivere molto bene il lato comunicativo della faccenda musicale. A fare costantemente ironia su tutto si finisce a non dare più importanza a niente e nessuno. È un problema perché nella realtà ci sono anche delle scale di grigio. Non è tutto o bianco o nero. Per noi è più interessante il livello di satira.

L'esperienza Sanremo e il concerto del 1° maggio a confronto. Cosa vi è piaciuto di più? BEBO: A Sanremo c'è un catering molto migliore, al 1° maggio si mangia un filo peggio. State lavorando a un nuovo album e a un nuovo tour? BEBO: Abbiamo cinque grosse date in agenda, poi sveleremo un piano più complesso. L'allestimento di scena è molto elaborato, un nucleo concettuale di cabaret e cazzeggio. Abbiamo 20 mq di led in hd e facciamo un gran bordello. Siamo tornati a giocare un campionato che ci appartiene molto. Quindi proviamo ad alzare l'asticella del divertimento del pubblico. Per quanto riguarda il disco è ancora molto presto. Non abbiamo neppure smesso di scrivere e il lavoro in studio è alquanto lontano, dopo l'estate ci penseremo per davvero. Vi danno tra i papabili giudici del prossimo X-Factor... BEBO: Sono solo delle voci. Hanno confermato il cast dell'anno scorso. Non sarà glitterato come X-Factor tuttavia al Lucca Comics, dal 31 ottobre al 4 novembre, presenteremo un fumetto, una graphic novel che sto sceneggiando in collaborazione con Luca Genovese e che uscirà per Feltrinelli. Non si va nel grande medium televisivo, si sta sul cartaceo, si può avere una grande libertà e saranno circa 120 pagine di mazzate. E lo stato sociale della musica italiana oggi? LODO: Una delle chiavi della nostra produzione discografica e della nostra scrittura in senso più ampio è quella della condivisione. Prima di essere una band siamo delle persone che si vogliono bene, delle persone che condividono in buona parte un modo di vedere il mondo…. naturalmente con delle differenze ma c’è qualcosa che ci tiene insieme. Questo crea complicità, crea vicinanza, crea un’appartenenza reale. Questa cosa ci lega e ci rende liberi anche davanti ai vincoli del sistema discografico. Noi raccontiamo questa cosa nel modo più onesto e libero che conosciamo. Poi certo, il sistema ha delle sue regole ma non abbiamo mai paura di confrontarci con esse; per noi è bello rimetterle in discussione, ridefinirle facendo qualcosa di diverso. La condizione non sindacabile è sempre stata avere la libertà di dire cosa volevamo dire come volevamo dirla. Laddove ci sono queste condizioni noi siamo sempre a nostro agio; che si tratti di Sanremo, di un centro sociale o di una piazza. Se dovessi riassumere il tutto ti direi che il nostro modo di superare i canoni dell’industria discografica è partire sempre da una profonda condivisione che ci rende liberi.


foto di MelaniaPavan


MUSIC

(Dress your) PUSSY (wear) RIOT

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Quello della moda, interpretato con il lancio di una linea di abbigliamento, è solo l’ultimo dei linguaggi utilizzati dalle Pussy Riot per portare avanti la loro rivoluzione a colpi di female rock.

testo di Alessia Ferri

In un universo parallelo, con donne e uomini su identici piani e uguaglianza sociale come regola scontata, le Pussy Riot non esisterebbero. Invece da diversi anni segnano le tappe della contemporaneità, russa e non solo, scandendola al ritmo di quello che si può definire un femminismo punk rock sarebbe riduttivo, per loro e per noi. Le “rivoluzionarie della vagina” (questa la traduzione letterale del loro nome) sono un collettivo artistico formato da una decina di attiviste, nato per far emergere le numerose contraddizioni della così detta democrazia russa, dai brogli elettorali, alle condizioni delle donne, alla mancata libertà di espressione, ma che con il passare degli anni ha fatto sentire la propria voce anche

in merito a temi internazionali, come l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d’America. Ragazze “contro”, che non hanno paura di schierarsi dalla parte opposta rispetto ai poteri forti, anche a costo di rischiare in prima persona, come nel 2012, quando tre di loro vennero arrestate e condannate a due anni di prigione dopo aver inscenato nella Cattedrale ortodossa di Cristo Salvatore una protesta contro la rielezione di Vladimir Putin. In quel momento il velo dell’anonimato che le aveva sempre contraddistinte, almeno in parte si squarciò, svelando nomi e volti delle loro rappresentanti più significative: Nadja Tolokonnikova, Marija Alëchina e Ekaterina Samucevič.

Pussy Riot – Nadja Tolokonnikova Alcuni capi della collezione Pussian Federation ©shop.zona.media

Pussy Riot – Nadja Tolokonnikova XXX – “Make America Great Again”

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Negli anni la loro battaglia si è moltiplicata, assumendo forme artistiche sempre diverse ma accumunate da un’efficacia unica e ipnotica quanto impossibile da imbavagliare. Concerti e video musicali, ovviamente, ma anche installazioni, mostre, documentari e rappresentazioni teatrali. Il mondo delle Pussy Riot non conosce confini e bussa alla coscienza dell’umanità per scardinare l’ipocrisia odierna e aprire gli occhi su ciò che accade, utilizzando qualunque linguaggio. L’ultimo in ordine di tempo è quello della moda, scelto perché, come affermato dallo stesso collettivo, «Nell’attuale situazione politica, in cui il nostro Paese non ha libertà di parola, l’abbigliamento è diventato un atto di auto-espressione, un modo per dimostrare che non siamo d’accordo».

In questa pagina, Alcuni capi della collezione Pussian Federation ©shop.zona.media

Leggins e top multicolor accompagnati da Balaclava, i nostri passamontagna, per renderne irriconoscibile l’identità, anch’essi colorati: questa la loro divisa che da alcune settimane è un po’ meno clandestina visto che le ragazze hanno realizzato la linea di abbigliamento Pussian Federation, in collaborazione con le comunità artistiche 9cyka e Kultrab, con l’intento di sostenere il progetto politico editoriale MediaZone, fondato da due di loro per aiutare le vittime della giustizia criminale in Russia. Magliette colorate, calzini con l’arcobaleno e gli immancabili balaclava sono disponibili sulla piattaforma shop. zona.media. Non un semplice merchandising, ne la classica collezione moda di una band sulla cresta dell’onda, ma l’ennesimo atto di protesta civile e soprattutto culturale sul quale riflettere, a prescindere da come la si pensi. Se non altro per immaginare quell’universo parallelo nel quale le Pussy Riot non esisterebbero.


Pussy Riot – Nadja Tolokonnikova “Make America Great Again”


EXHIBITION

Il palcoscenico di David

“Heroes” contact sheet, 1977 Photo by Masayoshi Sukita© / The David Bowie Archive

testo di Anna Casotti

Un viaggio nell'universo di un artista che ha plasmato una nuova visione dell'essere attraverso la sua musica e una moda fuori dagli schemi, rompendo le barriere delle convenzioni sociali e plasmando la propria identità. Tra arte, cinematografia e avanguardia, al Brooklyn Museum di New York il racconto emozionante della libertà. Nello sguardo di David Bowie.

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“The Planet Earth is blue, and there isn’t can I do” David Bowie, Space Oddity


David Bowie, 1973 Photo by Masayoshi Suikita


EXHIBITION

Poliedrico, pioneristico, rivoluzionario, camaleontico, eclettico. Semplicemente David Bowie. Tra capolavori che hanno attraversato cinquant'anni di storia, una costante reinvenzione della propria immagine e dello stile e i suoi intramontabili alter ego - Ziggy Stardust, Halloween Jack, Aladdin Sane - l’inventore del glam rock che iniziò a suonare il sassofono sin da piccolo, il suo simbolo di libertà amava ripetere, ritorna in palcoscenico nella retrospettiva al Brooklyn Museum. Curata dal Victoria and Albert Museum, l'esposizione iniziata a Londra, la città in cui Bowie nacque come David Robert Jones,

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termina il suo tour a New York, nel luogo in cui l’artista scomparse nel 2016. Un viaggio inedito che narra le poliedriche espressioni creative di Bowie come musicista, pittore, attore cinematografico per pellicole come Basquiat, Absolute Beginners, Labyrinth. Tra gli artisti piu' influenti del nostro tempo nell'ambito della moda, del costume, della libertà di genere, di un processo creativo fatto d'innovazione, di avanguardia, di rivoluzioni, la sua sfida alle tradizioni sociali ha ispirato le persone a plasmare la propria identità, senza confini e senza barriere. In assoluta libertà.

David Bowie, 1971 Foto di Brian Ward Courtesy of The David Bowie Archive

Nella pagina a fianco, David Bowie, 1966 Foto di Dough McKenzie Courtesy of The David Bowie Archive



EXHIBITION

Un racconto che nelle sale del Brooklyn Museum si snoda fra oltre 300 oggetti provenienti dall’archivio personale di David Bowie raccolti dagli anni dell’adolescenza sino alla sua morte, tra manoscritti, costumi originali, fotografie, cover di album, scenografie, performances, cinematografia... “La musica è una forza culturale e posso pensare a pochi migliori esempi se non a David Bowie come qualcuno che ha davvero reso il mondo migliore e più interessante attraverso i suoi talenti unici nella musica, nell'arte e nella moda” racconta Troy Carter, Global Head of Creator Service di Spotify tra gli sponsor di “David Bowie is”. Ultima tappa del tour mondiale di una delle mostre più acclamate, la prima retrospettiva della straordinaria carriera di Bowie durata cinque decadi è un cortocircuito di emozioni che iniziano con lampadine intermittenti in cui il titolo dell’esposizione si trasforma in una scenografia stupefacente. Attraversando le sale del museo, avvolti nell'esperienza sonora fornita a ogni visitatore da Sennheiser che scandisce le sue parole e le canzoni più celebri – Space Oddity, Diamond Dogs, The Man Who Sold the World, The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – si scorrono le fotografie, le locandine, i disegni dell’artista, gli abiti di scena, la sua chitarra e il sassofono, inediti manoscritti e giganteschi schermi in cui immergersi nei suoi spettacoli.

Proiettati nello sguardo di David Bowie e nella sua visione d’avanguardia, la mise en scene curata da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh del Dipartimento di Teatro e Spettacolo al V&A di Londra, esplora il processo creativo, le reinvenzioni essenziali, le collaborazioni innovative, l’audacia che hanno rivoluzionato la nostra percezione musicale, ispirando ogni individuo a sfidare le convenzioni. Collaborazioni con artisti e designer della moda, della musica, della grafica, del teatro, dell’arte e del cinema narrate attraverso oltre 60 costumi di scena tra cui il celebre body di Ziggy Stardust (1972) disegnato da Freddie Burretti, l'eclettismo progettuale di Kansai Yamamoto per il tour Aladdin Sane (1973), l'abito disegnato da Bowie e Alexander McQueen per la copertina dell'album EART HL I NG (1997). E ancora le fotografie di Brian Duffy, Terry O'Neill, e Masayoshi Sukita; la copertina di un album disegnate da Guy Peellaert ed Edward Bell; estratti di film e concerti tra cui The Man Who Fell to Earth (1976) e Saturday Night Live (1979)...

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Sopra e nella pagina a fianco, Gli spazi della mostra “David Bowie is” Brooklyn Museum, New York

Un viaggio che si snoda tra inedite immagini di un David che ha attraversato mutamenti e radicali trasformazioni espresse dalle prime immagini, dagli LP dei suoi eroi musicali come Little Richard, dai suoi schizzi per le scene e i costumi creati per i gruppi The Kon-rads e The King Bees negli anni ‘60 fino a culminare in uno dei suoi più grandi successi, Space Oddity ispirato al film A Space Odyssey del suo mito Stanley Kubrick. E a uno dei suoi personaggi immaginari: Major Tom. Tra ispirazioni e riferimenti culturali del Surrealismo, del teatro di Brecht e del mimo d’avanguardia rappresentato da Lindsey Kemp, dell’espressionismo tedesco e dei collage di parole ispirati a William Burroughs, la manifestazione umana di un essere alieno e androgino come Ziggy Stardust e la sua eterna sfida alle tradizioni, la teatralità del suo periodo berlinese e la liberazione gay. In un’audace visione della libertà e della genialita’... David Bowie is.

David Bowie is Brooklyn Museum - New York Fino al 15 luglio 2018 Mostra a cura di Victoria Broackes e Geoffrey Marsh Organizzazione: Victoria and Albert Museum di Londra Exhibition Design: Matthew Yokobosky, Exhibition Design Director Brooklyn Museum Sponsor: Spotify Esperienza sonora: Sennheiser Supporto: BMW. Preferred Hotel Partner: NU Hotel brooklynmuseum.org



PHOTOGRAPHY

Kampala Fashion Week L’Africa è un continente depositario di una cultura millenaria dove il processo della globalizzazione avanza inarrestabile con percorsi che incidono nel tessuto sociale. L’Uganda con la città di Kampala rappresenta un tassello che compone un continente ricco di visione creativa e culturale. Dal 27 al 29 settembre si tiene la quinta edizione della Kampala Fashion Week. Una tra le più influenti piattaforme dedicate alla moda dell’Uganda, dedita alla promozione di designer e stilisti ugandesi all’interno del mercato globale. Roberto Feliconi ci trasporta all’interno del sistema con un reportage fotografico. fotografia di Roberto Felicioni

Uganda Iconic Work L’iconico, dal punto di vista immaginario la sua rappresentazione è attraverso delle immagini simboliche come se fosse una rappresentazione che volesse raggiungere il sacro, trovandosi nel mezzo tra una visione reale ed il divino. Un’icona Schiacciata da un’immagine senza tempo.

“Roberto Felicioni è nato nel 1978 a San Benedetto del Tronto in Italia. Fotografo e scenografo, si è laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino e l’Istituto Statale d’Arte di Ascoli Piceno. È ispirato dal teatro moderno e dalla città astratta e visionaria. Collabora con agenzie di comunicazione nel campo della pubblicità, e fa vivere insieme la sua visione artistica con l’immagine di brand italiani e internazionali. Parallelamente, prosegue i suoi progetti di ricerca di fotografia artistica che hanno preso forma nei teatri all’epoca delle sue prime opere di scenografo. Ogni nuova missione

professionale apre il campo a nuove possibilità e serie di fotografie che sono tante chiavi che aprono le porte della sua visione del mondo.” ( Mathilde Brun) Oggi Felicioni collabora con agenzie pubblicitarie e brands: Armando Testa, Havans, Hibo, Jwt, Leo Burnett, BCube, Stile di Bologna, Sixty, Moleskine, Prada, Bottega Veneta, Alviero Martini, Furla, k-Way, Kappa, Boggi, Infiniti car, Lamborghini, Maserati e collabora con il distretto creativo NIL28.


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Dreamlike Look ...Un luogo in equilibrio precario tra passato e progresso dove la cultura urbana e musicale è in continua evoluzione. Tutto è musica in Kampala, l’espressività dei colori, i suoni della natura, il ritmo del parlato, ogni cosa è avvolta da un battito contagioso. Nel centro città si percepisce immediatamente la convivenza della religione musulmana e cristiana dove la maestosa Moschea convive con la grande Chiesa di Roma. Magia e religione si combinano in un gioco contagioso tra credenza e superstizione non sempre nitidamente tracciato. L’unione con la natura e la sacralità dei riti convivono in un dialogo senza tempo.



Uva Uva, Uva chicco d’oro prodotto dalla terra, terra senza confine, terra come polvere, terra dei fiumi, acque che si trasformano in sangue. Vino ribelle vino sognatore.



Red ...La fortuna è quella di assistere i preparativi del Kampala FASHION Week dove incarna perfettamente l’ energia di una città e di un continente in continua mutazione. Gli accessori i tessuti della tradizione Africana prendono una veste contemporanea. La moda ed i valori occidentali vanno in contrapposizione con ciò che è l’Africa e dell’Africa, tutto questo crea un’ esplosione di creatività unica.


Pasto Il viaggio vorticoso in Africa dona odori e visioni. L’arcaico è cementato e frantumato ed i suoi frammenti ispirano il moderno. Il moderno sembra una sorta di ricomposizione dei frammenti antichi, come se nell’arcaico fosse esploso un big bang, per poi con le sue macerie costruire il moderno. L’Africa trasmette un’energia visionaria ed in questo mi sono sentito parte.


TALENT DESIGN

They made your home Gio Tirotto, Simone Bonanni e Federica Biasi. Giovani talentuosi che al Salone hanno brillato di luce propria. Questo ci ha dato l’impulso per scovare chi sta dietro a cosa.

testo di Alessandro Iacolucci


Sono due gli attimi che ci hanno convinto a dare man forte ai giovani designer dell’arredo a fine Salone. La prima molla è scattata quando non troppi gironi fa mi addentravo con fare da cercatore di tesori nel salotto delle meraviglie di Penelope a Milano dove, tra statue di pantere, divani a forma di conchiglia, lampade e tavoli decò che tanto sembrano regalare una scena epica del film di debutto di Tom Ford, con Julianne Moore e Colin Firth che ballano agghindati come fossero ad una festa di Gatsby, sento qualcuno esclamare “170 euro per un pezzo di vetro” e… track si spezza l’incanto, la magia finisce. Quel posacenere di vetro verde, divino, puramente anni Cinquanta era stato realizzato da Fontana Arte, una tra le aziende storiche nella produzione del vetro design, attiva sin dagli anni Ottanta dell’800 che ha visto alternarsi alla guida creati-

va nomi dal calibro di Gio Ponti e Gae Alenti. La seconda molla invece è partita quando Instagram ha cominciato a riempirci la bacheca con i post di stilisti pressoché sconosciuti con una ironica lavagnetta dal monito di “I made your clothes”. Un messaggio che non cavalca il grido della rivalsa per una visibilità a volte troppo celata dietro influenti art director delle maison de mode più importanti, ma semplicemente, in modo naturale, prestano il fianco al manifesto di Fashion Revolution e ci mettono la faccia proprio come una delle migliori garanzie all’acquisto, con l’intento di tenere alto il valore di una moda etica in ogni fase della costruzione del prodotto. Immagini e processi che scaturisco in un’unica domanda, chi sono queste persone? quali i loro nomi e le storie da raccontare? Ecco allora subito spiegato perché voler conoscere chi sta dietro le quinte.

Voler sapere chi ha disegnato e ideato un oggetto, perché e in quale momento, significa anche infondere quel determinato oggetto di un valore distintivo ancora più elevato che non ha solo a che fare con il mero piacere di possedere qualcosa che magari sarà riconosciuto da pochi ma, per chi lo possiede, rappresenta l’essenza stessa del piacere. E se poi vale tanto per la moda con talentuosi designer a volte nell’ombra delle griffe, artefici degli abiti che indossiamo, da “I made your clothes” ad “I made your home” il passo è breve e, guardando al Salone del Mobile allora lo è davvero… Siamo stati in giro per Milano durante l’ultima edizione della Design Week e abbiamo adocchiato qualche giovane talentuoso che, collaborando con alcuni tra marchi più rinomati dell’home decor, ha brillato di luce propria. Loro sono Gio Tirotto, Simone Bonanni e Federica Biasi.

In apertura e a sinistra Electro Brera per Greggio di Gio Tirotto

Limitless. Gio Tirotto «Se c’è un limite tra arte e design provo a cancellarlo. Progetto per essere un ponte che connette il pensiero al messaggio, indispensabile obiettivo del mio linguaggio artistico» spiega Gio Tirotto, la giovane mente dietro agli oggetti di design ideati per connettere uomo e materia. Uno sguardo diverso sul mondo dell’home decor. Non solo effimeri oggetti del piacere ma qualcosa di utile per colmare quell’irresistibile gap che sta tra la volontà di possedere qualcosa di unico e l’irresistibile voglia di mostrarlo

discretamente, quasi solo per fare invidia agli ospiti che varcano la soglia della nostra dimora. L’estro e gli oggetti di Tirotto però sono da ricondurre a qualcosa di ancora più alto, qualcosa che si innesca con la complicità e che soprattutto si esaurisce nei riti, nella memoria e nell’immaginazione. I suoi sono giochi di luce e rapporto di superfici, se prima si era concentrato più sugli arredi aoutdoor, quest’anno al Salone del Mobile ha presentato il nuovo progetto Electro Brera. Una collezione contemporanea, in argento e realizzata per la storica azienda Greggio, protagonista delle più raffinate tavole italiane. Un lavoro che ha visto coinvolti il ritmo meccanico

della musica elettronica e le preziose finiture realizzate a mano per dare una lettura moderna dell’oggettistica da tavola. La sua collezione composta da vasi, caraffa, bicchieri, glacette, vassoio e piccoli contenitori dalle finiture silver, oro, blu, nero e brunito, regalano la versione più rock di una non troppo immaginifica Brera, a cui il designer rende omaggio. Uno storico quartiere fucina di stile e culla del talento più vario.

Il designer Gio Tirotto ©Sara Magni

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TALENT DESIGN

Poetica. Federica Biasi Art Director di Mingardo, Fratelli Guzzini e Capo d’Opera oltre che consulente per diverse aziende del settore, è fermamente convinta del fatto che la bellezza non salverà il mondo, ma sicuramente lo renda un posto migliore. Come tanti dei suoi colleghi si è laureata allo IED, poi dopo la lode, il suo percorso è proseguito a suon di riconoscimenti come l’ultimo ricevuto a gennaio di quest’anno quando Andrea Branzi l’ha nominata durante la celebre Maison&Objet tra i 6 Italian Rising Talent. Per Federica è fondamentale l’estetica pulita, madre di un’influenza nordica che le ha plasmato il senso della ricerca, come anche il culto dell’artigianato, qualcosa di insito nell’imperfezione che rende un oggetto unico in ogni aspetto. Quelli della designer sono pezzi che sostanzialmente vengono dall’emozione del momento e che rifiutano la caducità della vita reale. Si tratta di stimolare emozioni

Surreale. Simone Bonanni Classe ’89, born in Pordenone.Dopo gli studi allo IED di Milano, gira alla volta di Amsterdam è qui che è entrato nel team di Marcel Wanders e si è fatto le ossa per tre anni come product designer e project leader. «Per un creativo, questa città è davvero un tesoro a cielo aperto, dalla musica al design, dall’arte allo spettacolo. Una fonte d’ispirazione continua. La mia personale opinione è che la creatività qui abbia un sapore diverso da quello italiano. L’espressione progettuale appare più libera da schemi e preconcetti legati a vecchi stilemi, più sperimentale e senza vergogna, più libera e meno istituzionalizzata, a tratti as-

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attraverso soggetti inanimati. Al Salone 2018 ha presentato diversi progetti, da Jolie, la serie di lampade ispirate alle lanterne tailandesi, nata dalla neo collaborazione con Gallotti & Radice, ad Oku il tavolo da pranzo monogamba con inserti in rame affiancato dalla poltroncina dining Cloe, realizzati per la fiorentina My Home Collection. Poi ancora Rendez-Vous in Paisiello 6, l’installazione curata per Mingardo, insieme a numerosi talenti. Per la stessa azienda ha presentato la libreria terracielo Marianne, la Deco Lamp ed il rivestimento parentale Gatsby, ispirato ai portoni e ai cancelli di una Milano anni ’30. Collezioni ricercate, eleganti, senza tempo e femminili che si rispecchiano anche nel progetto a cui è stata chiamata a partecipare da Wallpaper Handmade sul tema “Wellness&Wonder” con Oleum, una collezione di contenitori ed ampolle per oli essenziali e tisane. Fortemente ispirata agli stilemi antichi, la collezione è stata presentata su un monolite in pietra. «Pensare al vetro e farsi trasportare in un’epoca passata, ragionare con

surda e geniale. Alcuni collegano questa tendenza alla sperimentazione e all’autoproduzione con la mancanza di un tessuto industriale al pari di altre realtà europee dove per il giovane progettista l’obiettivo ultimo rimane spesso la grande industria. Qui forse gli obiettivi sono (anche) altri. I motivi possono essere molteplici ma l’impressione è che ad Amsterdam il tempo e la passione vengano convogliati maggiormente nel desiderio di creare novità e stupore». Nel 2015 torna all’ovile (Milano) e fonda il suo studio omonimo iniziando la carriera da solista, collaborando con brand italiani e internazionali dedicandosi sia al design del prodotto che alle Edizioni Limitate, affiancando alla progettazione l’attività di docente all’Istituto Europeo di Design e IED Master. Per quanto riguarda la sua presen-

stilemi e tecniche antiche, cercare di avvicinare le persone non solo all’estetica ma anche al pensiero che c’è dietro a una forma. È un progetto che sento molto vicino, non solo perché mi ha fatto conoscere un fantastico artigiano come Nason Moretti da cui imparare, ma anche perché mette in luce l’idea di tornare ad utilizzare la natura come cura». Infine la Biasi è stata protagonista insieme a Francesca Fusari alla Galleria Subalterno 1 che ha chiesto a 100 designer di immaginare un futuro utopico/distopico con la mostra Send me the Future, qui il duo ha presentato “La Variabile”, un’equazione che riassume la loro visione altamente positivista del futuro dell’uomo.

La designer Federica Biasi ©Giovanni Gastel

In alto nella pagina a fianco, Set Marianne per Mingardo (a fianco) Oleum per Wallpaper Handmade di Federica Biasi

za all’ultima edizione del Salone del Mobile, Bonanni ha presentato la poltrona Hana e il tavolino Obon per Moooi, un lavoro che alla base ha la dimensione surreale delle cose. Poi ancora la collezione di elementi da bagno Homey per Falper, iconico marchio legato alle luxury sel de bain (lanciata in collaborazione anche con il designer Attila Veress), ed infine la sedia Siena per MDF Italia.

Il designer Simone Bonanni ©Davide Di Tria In basso nella pagina a fianco, Homey per Falper di Simone Bonanni



FASHION

Scandinavian Manifesto

Pulizia delle linee, materiali d’alta qualità, vocazione alla sostenibilità e richiamo delle coscienze: i brand scandinavi conquistano Fortezza da Basso

testo di Matteo Dell’Ava


Puoi vederci quello che vuoi: la M di manifesto; un uomo in giacca e camicia bianca; due persone che parlano oppure due paia di pantaloni piegati. Dietro al logo di Scandinavian Manifesto, c’è tutto l’immaginario di Danimarca, Norvegia e Svezia. Non tre Stati distinti, ma un’unica grande regione con un carattere decisamente diverso dal resto

d’Europa e per questo estremamente riconoscibile: un plus apprezzato dai buyer internazionali, italiani compresi. Durante i quattro giorni di Pitti Immagine Uomo 94, l’Arena Strozzi all’interno di Fortezza da Basso si è trasformata in una vera roccaforte scandinava presidiata dai 17 brand più rappresentativi della moda del Nord.

In apertura, Hope S/S 2018 Womenswear

In questa pagina Rue de Tokyo Collezione A/W 2018

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Johannes Adele S/S 2018

Tra i nomi altisonanti selezionati dalla società Revolver Copenhagen spicca Hope, brand svedese che etichetta tutti i capi delle collezioni uomo e donna con la doppia taglia maschile e femminile; un segno per spronare le persone ad andare oltre i vincoli dell’identità di genere. Dalla Danimarca, arriva Norse Project, marchio streetwear che si è fatto notare nel panorama internazionale grazie alle numerose capsule collection con brand internazionali come New

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Balance, Gore-Tex, Dr. Martens, Adidas, Colette e Liberty London. E Ancora dalla Svezia arriva il guardaroba fondamentale di Filippa K: capi casual che hanno fatto del basso rumore visivo un’assoluto punto di forza. Mentre dai tessuti utilizzati dalla difesa danese nascono i capi super tecnici di Newline Halo, adatti sia per l’activewear più estremo che per tranquille passeggiate sotto la pioggia: questo brand è noto tra i runner e i ciclisti per il servizio bespoke.

Sopra, VIU x Uniforms for the Dedicated Safari Vice S/S 2018 Photo ©Fredrick Skogkvist and Sandra Kennel


Tra le marche ancora neonate, ma forti dell’appoggio dell’intero sistema moda scandinavo, Pitti Uomo 94 accoglie diverse nuove leve come Johannes Adele, Rue de Tokyo, Organic Basic e Foret Studio. La prima è il frutto del lavoro del duo franco-svedese Adele Gillardeau e Johannes Leijonberg. Si tratta di un’etichetta unisex fonda-

ta nel sud della Francia nel 2015. Un mix di sartoria moderna e tradizionale con un occhio attento alla sostenibilità e alla trasparenza. Compie due anni di vita Rue de Tokyo, brand con sede a Copenhagen, cura dei dettagli tipica del Giappone e un’attenzione all’art de la main come solo in Francia è possibile.

Stile classico, colori base e solo prodotti continuativi sono i tre cardini portanti di Organic Basic, brand ovviamente sostenibile made in Danimarca. Se lo stile scandinavo è l’eliminazione di tutto ciò che non è necessario, allora ha qualcosa da dire anche Mucker. Il primo brand activismwear nordico sprona le persone ad alzare la testa dai propri smartphone e riprendere a socializzare per cambiare il mondo.

All’idea di prendersi una pausa offline sorride anche Forét Studio: il brand danese grazie alluso di materiali di alta qualità e colori ispirati alla terra spinge le persone a toccare la propria dimensione intima. Scandinavian Manifesto è l’emblema di come le diversità di una comunità siano il motore della crescita unitaria.

Da sinistra, Organic Basics Mucker S/S 2018


FASHION

Forét Studio A/W 2018

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PART TWO

Fashion


Belle de jour

top Aniye By

Photography Silvia Poropat Styling Isabella Broggini Make up Giorgia Venturino Hair Valentina Frigerio Model Julia Rudby @Monster Milano Model Alexandra TItarenko @MP Milano Location Villa Toepliz


dress Vivetta, shoes Cademortori


dress Maryling, shoes Patrizia Pepe


dress Aniye By


dress Versus


coat N.21, belt Attic and Barn, skirt Gilberto Calzolari, shoes Blugirl


sweater Blugirl, bra MomonĂŹ, skirt Blugirl


dress Maryling, glows Cividini, shoes Patrizia Pepe, bag Cademartori


dresses Vivetta


(from left) jumper and stole Blugirl, skirt Guess, shoes Cademartori

shirt Vivetta, top Aniye By, trousers Patrizia Pepe, shoes Versus


FASHION TALENT

Fashion as hummingbird

Qualcuno aveva detto che non ce l’avrebbero fatta, ma oggi sono l’esempio che impegno e talento pagano. Tiziano Guardini, Kristian e Laura Guerra ed Erica Iodice. Storie di giovani designer più o meno di successo, ma palese esempio della moda di domani.

testo di Alessandro Iacolucci

C’è una parabola abbastanza famosa, magari un pò insolita se connessa alle nostre tre storie di giovani talenti, però significativa.Nella favola del colibrì si narra che un giorno scoppiò nella foresta un incendio devastante e tutti gli animali fuggirono. A un tratto il leone, re della foresta, vide che volava un piccolo uccellino proprio in direzione dell’incendio. Preso dalla sua potente vanità tentò di fermarlo, sfottendolo anche. «Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?» Allora il colibrì, sempre più deciso, parafrasò: «io faccio la mia parte, e questo crea la differenza». 78

Tiziano Guardini, Erica Iodice, Kristian e Laura Guerra sono solo tre esempi della moda di domani. Un futuro che è già ben palese. Ognuno pronto a fronteggiare le grandi imposizioni della moda canonica, con originali declinazioni di stile. Nessuno degli “è acnora presto per te” li ha fatti desistere dal loro obiettivo. E se ripenso a quelle parole che una persona cara mi ha detto tra i banchi dell’Università allora tutto assume una forma più chiara: «Nella moda il talento incompreso non esiste. Il talento, quando c’è, si vede».


Ice Surface Temperature A/W 2018–19 Collection


Ice Surface Temperature A/W 2018–19 Collection

Quando la sperimentazione è tutto Ice Surface Temperature by Kristian e Laura Guerra Un brand che trae origine dal momento esatto in cui il ghiaccio si trasforma in acqua. Ice Surface Temperature (I.S.T) rappresenta la metamorfosi. Il suo intento è quello di essere più cose in una sola volta. Ispirato alle subculte e al concetto di non luogo, I.S.T è un crossroad di vite, uno spazio di contaminazione. Un brand che proietta la realtà in una dimensione totalmente sperimentale che manipola superfici, volumi e colori. È qualcosa che si interseca con l’ambiguo e col subconscio dove le idee diventato ossessioni provocatorie. Un marchio Made in Italy nato dalla mente dei fratelli Kristian e Laura Guerra. Lui classe 1988 si laurea nel 2011 in fashion design allo IUAV di Venezia. Partecipa alla decima edizione del progetto ITS (International Talent Support) di Trieste e vince i premi “Fashion Special Prize” e “D La Repubblica Prize”. Per propensione è sempre pronto ad esplorare i legami tra abbigliamento e cultura urbana, mescolando ogni

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ingrediente in maniera innovativa, assieme ad un modo di fare comunicazione che sfrutta codici e immaginari di origine differente. Per lei, definitasi “unconventional pattern designer”, ciò che conta sono i simboli e le forme, da sempre magnetizzata dal linguaggio della moda e dalla sua capacità di creare un rapporto simbiotico tra abito e individuo, è particolarmente affascinata dalla cultura formatasi tra gli anni ’80 e ’90. Quello di Laura è un percorso di ricerca che si è alimentato stando a stretto contatto con alcuni dei direttori creativi più influenti delle ultime due decadi come Alexander McQueen e Miuccia Prada, poi in autonomia lavorando come consulente per collezioni e progetti speciali. «Il nostro scopo è suggerire un punto di vista, fatto da associazioni insolite, toccare la sensibilità’ delle persone attraverso le superfici e i volumi, realizzando un cortocircuito tra il senso e la fun-

zione delle cose. Ci piace trattare dei temi senza svelarli, lasciando agli altri libera interpretazione. La collezione autunno inverno 18-19 Transit Spaces è la nostra prima collezione insieme, è il condensato delle nostre ossessioni. Volevamo rappresentare la voce della nuova generazione italiana. Abbiamo voluto lavorare sugli stereotipi, sui limiti, sulla percezione e sulle contaminazioni. Allo stesso tempo investiamo e abbiamo investito molto tempo dedicato alla ricerca e alla sperimentazione. Per questa stagione ci siamo concentrati su tessuti dalla superficie insolita e vibrante che si prestavano alla manipolazione e all’ alterazione; tessuti che coniugavano in maniera perfetta le nostre esigenze di performance ma anche di sapore ed imperfezione. In particolar modo Armature rip-stop, che per noi rappresentano lo stereotipo dell’out-door».


L’eco-designer Tiziano Guardini L’universo di Tiziano Guardini orbita in perfetta armonia con la madre Terra e con la sacralità della vita. Un’idea di moda che coincide con la sopravvivenza dell’uomo legata al recupero del rapporto con la natura. Per il designer romano “La sostenibiltà è un valore da aggiungere alla creatività, all' innovazione e alla sperimentazione, caratteristiche essenziali nell'industria della moda”. Arrivato agli onori della cronaca nel 2012 con la partecipazione a limited/unlimited di Altaroma proponendo per la prima volta una giacca realizzata con aghi di pino, poi nel tempo registra una serie di successi tra Pechino, New York, Londra e Milano dove a settembre 2017 viene proclamato vincitore del Green Carpet Fashion Award, il progetto ideato da Livia Firth in collaborazione con la sua Eco-Age e Camera Nazionale della Moda Italiana, e insignito del “Franca Sozzani Best Emerging Designer”. Se prima la vita da stilista scultore poteva rivelarsi in qualche modo

complicata, dopo le collaborazioni da freelance e la scelta di affiancare alcune aziende di PAP e di accessori, arriva alla direzione creativa di Vegea, dove presenta la prima collezione di abbigliamento e accessori dell’azienda che produce un materiale totalmente vegetale, simil pelle, ricavato dalla vinaccia del vino. Ora in occasione di Milano Moda Donna Tiziano lascia sfilare la sua ultima creatura col prestigioso supporto di Camera Moda. La collezione va letta come un racconto che parla di forza, si va da quella energica della natura scaturita dai fulmini fino ai solchi lasciati dai passi scalzi sulle montagne colorate del Zhangye Danxia Geopark. La protagonista di questo trip è sempre una donna che si proietta con saggezza nella dinamicità della vita, avvolta in capi che ne celebrano l’esistenza. Oltre 40 pezzi che rispecchiano l'animo più intimo del designer, attraverso

un continuo lavoro di ricerca, sperimentazione e studio, collaborando con aziende che condividono la stessa filosofia cruelty free e di rispetto dell'ambiente. Tra i lavori che maggiormente caratterizzano questa collezione ci sono i 20 pezzi realizzati in eco-denim grazie alla partecipazione di Isko con la loro collezione di tessuti Earth Fit, gli unici al mondo ad aver ricevuto entrambe le certificazioni Nordic Swam Ecolabel e la EU Ecolabel per il denim. Spiccano anche tessuti tecnici e accessori, come i bottoni, nati dal recupero del polimero del Nylon delle reti da pesca e del materiale plastico in mare, all'interno di un programma di pulizia delle acque, forniti da Ecoalf.

Tiziano Guardini A/W 2018–19 Collection

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Sopra e nella pagina a fianco, Erica Iodice F/W 2018 Collection

Prêt à Couture since 2016 Erica Iodice «Come in un orologio, così nel mondo della moda, ogni aspetto è un ingranaggio che deve lavorare in perfetta sincronia per raggiungere la perfezione» Giovane e intraprendente, Erica Iodice è una stilista che si fa interprete degli abiti dedicati alle donne dalla personalità travolgente ed elegante. Un sogno trasformato in realtà imprenditoriale che più si avvicina all’alta moda. La ricerca dell’eccellenza, la qualità sartoriale, il tanto rinomato Made In Italy è ciò che la contraddistingue. Pronta a mostrarci la sua ultima collezione realizzata per la stagione Autunno Inverno 2018/19, Erica ci racconta prima di tutto la sua visione: «Se ci fermiamo a riflettere ci ac-

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corgiamo che la maggior parte delle vere donne guerriere le vediamo per strada ogni giorno». La donna raccontata da Erica Iodice è la corazza che racchiude una guerriera. Un’anima che sa di poter contare sempre su se stessa, che accetta i suoi lati oscuri, consapevole del mondo, che si comprende, che non esita a mostrarsi e non ha paura di rivelare il suo lato più intimo e nascosto anche attraverso i suoi abiti. Pensieri che si traducono in capi dalle maniche ampie cucite su jumpsuit e mini dress glamour e sensuali. Sapori contrastanti ma divini che vanno dal pizzo macramè alla pura lana, materiali estremamente diversi ma con in comune il dettaglio più importante: la loro ricercatezza.



Galaxy Gleam

Photography Arianna Bonucci Styling Martina Toti Styling assistant Rocco Bel Make Up INGLOT Italy / Maximiliano Vitrani Head Make Up Artist & Hair Stylist Serena Phol Make Up Assistant Nattasha Lapiana Nail guru Giancarlo Guccione ambassador FEDUA


total look Genny


harness Zana Bayne, coat Tagliatore


(from left) dress Luisa Beccaria, shoes Tommy Hilfiger, sunglasses Pugnale, choker Absidem

dress Luisa Beccaria, shoes GCDS, sunglasses Moscot, choker Absidem


jacket GCDS, belt ANNA KIKI, jeans Tommy Hilfiger, bag Tommy Hilfiger, shoes GCDS


(above – from left)

jacket Jovån, jeans Tommy Hilfiger, shoes Ruco Line top Giuseppe Buccinnà, pants HUI, shoes GCDS

(bottom – from left)

kimono Jovån, collant Alan socks, belt Absidem, shoes Dissona shirt Giuseppe Buccinnà, skirt Jovån, shoes GCDS jacket Jovån, jeans sweatshirt and shoes GCDS


(from left)

shirt Ottod’ame, skirt Seventy, choker Absidem jersey Attic and barn, corset Yamamay, skirt Mes Demoiselles, choker Absidem dress Francomina, choker Absidem


Folie Merveilleuse

Filmed and Directed by Arianna Bonucci Set Design UtopiaRHvision Styling Isabella Broggini

Set and Editing assistant Simone D’Onofrio Porcelain Set by Richard Ginori Cupcakes by Cakes Milano

Total Make Up look INLGOT Italy / Maximiliano Vitrani Head Make Up Artist & Hair Stylist Serena Phol Make Up Assistants Margherita Fabbricatore, Roberta Marzupio, Martina Toti, Adriana Testaverde Edited by Arianna Bonucci

Models The Bubble Boy Gabriel Demaj (ELITE Milan) The Girl in the Cage Catarina Brand (MP management Milan) The Classic Dancer Victoria Titova (BOOM models Milan) The Roses Eater Alessandro Grimoldieu The Bride Xena Zupanic

the film on kult.it


FASHION SCHOOL

Fashion education Grazie a televisione, social media e stampa studiare moda è un percorso formativo sempre più ambito. Una popolarità a cui, però, non segue un corrispondente numero di posti di lavoro: il ranking delle scuole e i vincoli per l’ammissione. testo di Matteo Dall’Ava

Se sai la differenza tra fustagno e maglia Milano; se conosci la provenienza dei capi che indossi; se frequenti una sartoria; se ti chiedi come la blockchain potrebbe migliorare il sistema moda; se riconosci una macchina da taglio laser, allora hai buone probabilità di entrare nel magico mondo della fashion education, ma non per diventare stilista: questa posizione – ormai inflazionata – ha difficoltà a essere assorbita dal mercato. Tuttavia,

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Corsi di Laurea di 1° e 2° livello, master e formazione continua stanno vivendo la loro età dell’oro. Secondo gli ultimi dati Deloitte (ottobre 2017) l’alta formazione della moda vale in Italia 75 milioni di Euro, circa un decimo di quella mondiale sviluppata soprattutto in Europa e Nord America. Un mercato che sebbene frammentato sta iniziando un veloce processo di aggregazione con le acquisizioni di diversi gruppi internazionali.

Central Saint Martins, Londra Fashion WW Studio ©John Sturrock

Nella pagina a fianco, Polimoda, Firenze Design Laboratory ©Polimoda / foto di FedericaFioravanti



FASHION SCHOOL

Ultimo è l’acquisto della francese Studialis da parte di Galileo Educational già proprietario di una trentina di enti tra cui l’Istituto Marangoni. Il sistema moda italiano non vuole rimanere fuori dai giochi e cerca una solida cabina di regia. Le basi sono già state messe con il Tavolo della Moda istituito dal Ministero dello Sviluppo economico (MISE) e affidato al Centro di Firenze per la Moda Italiana (CFMI). Gli obiettivi sono molti. Tra questi, la volontà di portare le scuole italiane nel mondo, dare maggiore sviluppo ai molteplici indirizzi professionali e progettare un sistema di valutazione europeo degli istituiti.

Oggi, infatti, il ranking internazionale della fashion education è nelle mani di BoF, il media americano protagonista delle notizie del settore moda. Dietro al suo podio occupato da Central Saint Matins di Londra, Parsons School of Design di New York e Royal Academy of Fine Arts di Anversa arrivano Polimoda di Firenze (8°posto), Accademia del costume e Moda di Roma (11°posto), Marangoni di Milano (20 °posto) e IED sempre di Milano al 42°posto. Accedere a questo Olimpo ha comunque almeno tre vincoli.

Istituto Marangoni Talent Pitti Uomo 92

Il primo è la lingua: l’inglese certificato TOEFL oppure olandese se si desidera entrare all’istituto di Anversa. Un portfolio che nasca dal costante lavoro quotidiano e non da un week-end rinchiuso in casa. Una famiglia dal forte potere d’acquisto: le tasse universitarie annuali vanno dai 18mila ai 23mila dollari. Ma come racconta al New Yorker Andrew Rosen, CEO di Theory, florido brand statunitense, farcela è solo una questione di atteggiamento: “You’ve got to believe for it to happen”.

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Nella pagina a fianco, Sara Kozlowski durante la lezione “Rendez Vous” Polimoda in collaborazione con CFDA ©Polimoda / foto di FedericaFioravanti

(in basso) IED – Milano Laboratorio di Sartoria @IED Milano



The well–dressed social gang

Photographer Mattia Campeggio Styling Alessandro Iacolucci MUA Margherita Brunazzo Hair Emanula Fontana (TOSTYLE) Starring Giovanni Masiero @giovannimasiero_ _ _ _ Pietro Tagliaferri @peter_tagliaferri Simone Zin @simonezin Location Moroso Showroom


trousers BSettecento, jacket Sseinse, hat Stone Island sofa Chamfer, design by Patricia Urquiola per Moroso


(above) jacket Sseinse, shirt Stone Island, trousers BSettecento, glasses Moscot jacket & sweater Sseinse, trousers Berwich, socks Borghi Uomo, shoes Stonefly coat & jacket BSettecento, sweater Sseinse, trousers BSettecento, socks Borghi Uomo, shoes Stonefly

sofa Redondo, design by Patricia Urquiola for Moroso


(left) jacket and trousers BSettecento, shirt Alessandro Gherardi, sunglasses Moscot (right) sweater Sseinse, coat and trousers BSettecento (bottom) jacket and trousers Sseinse shirt Alessandro Gherardi

sofa Nebula, Diesel Living with Moroso


glasses Pugnale, coat Barena, gilet Tela Genova shirt Stone Island, trousers Berwich, shoes Stonefly armchair Modernista, design by Doshi Levien for Moroso table Hexxed, Diesel Living with Moroso


suit BSettecento, shirt Stone Island, glasses Pugnale sweater Tela Genova, trousers BSettecento, socks Borghi Uomo sofa Chamfer, design by Patricia Urquiola for Moroso


fur coat Salvatore Santoro, suit Joe Yellino carpet Reloaded, design Golran for Moroso


hat Tagliatore, jacket Allegri, sweater Barena, trousers Berwich


FASHION

Retail Digital Experience

Applicazioni di ultima generazione, realtà aumentata, vetrine interattive e pop-up store digitali: negozi online e offline saranno sempre più integrati per rendere indimenticabile l’esperienza d’acquisto. testo di Matteo Dall’Ava

Self-checkout, omnichannel, Augmented Reality, machine learning e data science: nomi ed espressioni complicate con un unico scopo, rendere semplice e piacevole l’esperienza d’acquisto. Il digitale è la manna per chi odia i negozi affollati. Mai provata, ad esempio, la funzione Style Match dell’app ASOS? Lo Shazam della moda permette di caricare una foto o un’immagine dal web con l’outfit desiderato. In pochi secondi l’applicazione mostra i capi e i look più

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simili tra gli oltre 85mila articoli presenti sul sito e-commerce. «Il sito web – aperto h24, 7 giorni su 7, Natale, Pasqua e Ferragosto compresi – è la vetrina più importante per interagire con le persone» come afferma Kasper Rorsted, ceo di Adidas. Tra i neonati della digital experience spopola Nyden. Non è un nuovo brand. H&M, che ne detiene la proprietà, lo considera una piattaforma online luxury in cui non esistono collezioni, ma solo un flusso continuo di capi

a scadenza. L’obiettivo del colosso svedese è creare una sinergia con i tastemaker, cioè con chi detta legge in fatto di nuove tendenze. E a chi crea le mode con la propria influenza è destinato anche Pop-Up di Amazon Fashion. Gli influencer reclutati per questo progetto su Instagram possono creare un temporary-shop tematico con i capi da loro scelti presenti sull’e-commerce: mentre vi scrivo è attivo il Denim Pop-Up di @RebeccaLaurey.


A Proposte Farfetch F/W 2018

Dall’alto, ZARA – AR Zara App ASOS – Style Match App

In apertura, GUCCI S/S 2018 #GucciHallucination by Ignasi Monreal Vetrina di via Monte Napoleone, Milano

Dai Millennial ai FYO (Forty Years Old) il nuovo mantra è Farfetch. Nato per dare una vetrina online ai negozi multibrand, in pochi anni il portale inglese ha conquistato i brand del lusso: ha portato online l’intero inventario di Burberry; ha attirato Chanel tra i soci, ha acquistato il concept store Browns per dare uno sfogo offline alle sue special collaboration. E alle vetrine tradizionali si appoggia anche Gucci con il progetto di attivazione digitale #GucciHallucination. Un adesivo scannerizzabile affisso in vetrina permette tramite l’App Gucci di accedere a un

microsito in cui scaricare sfondi e “sfogliare” un catalogo. Chi vuole portare tanta gente nei negozi è anche Zara. Lo ha fatto in Italia con il contributo della realtà aumentata dell’app Zara AR che permetteva di vedere in 3D alcuni capi della collezione Zara Studio. Lo fa a Londra con il suo primo store digitale di Westfield Stratford: staff di vendita con tablet alla mano, capi con etichetta RFID per sapere tramite specchi elettronici cosa abbinare e infine pagamento no coda grazie al sistema di self-checkout della carta di credito. È solo l’inizio.

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PART THREE

City


Paris Events Schedule Nuovi talenti. Nuove tendenze. Proposte che rivendicano identità e carattere. La primavera rinfresca Parigi e dinamizza una creatività senza confini. Pop up store e vetrine effimere, ma altamente ispiranti, richiamano la leggerezza di un lifestyle che segue il ritmo dell’emozione. Nell’arte le gallerie celebrano Mai 68 e i giovani nomi della fotografia, mentre le nuove boutique riscoprono lo charme rétro dei vecchi quartieri in un’inedita e affascinante cartografia che distoglie la memoria dai semplici cliché.

testo di Alessandra Fanari

Elephant Paname, Art Center And Dance Dome Room ©EmmanuelDonny

Elephant Paname e Roberto Baciocchi Esperienza emozionale Danza, yoga, conferenze, gastronomia, esposizioni e installazioni per vivere differentemente lo spazio, trasformandolo in una vera e propria esperienza fisica ed emozionale. Una filosofia perfettamente tradotta nell’installazione Condizione, progettata dall’architetto Roberto Baciocchi. Un pop up a forte carica sensoriale immaginato come un misterioso percorso emozionale, fra opere d’arte, pezzi di design, ga-

stronomia. Perimetrato da un corridoio i cui muri sono tappezzati da opere d’arte di artisti indipendenti, questa flânerie sensoriale, pur nelle citazioni erudite, lascia all’arte e alle sue immagini una suggestiva capacità interpretativa.

Elephant Paname, Art Center And Dance 10 Rue Volney, 75002 Paris


PARIS

Il manifesto Pouvoir Populaire di Jerome Mesnager

Concept archittettonico di Bernard Dubois foto ©Romain Laprade

Mai 68. La révolution dans l’art ou l’art pour la révolution Valentine Gauthier Boutique d’autore

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Arte colletiva

Tra la Bastille e Place de la République, è nell’Alto Marais che si posiziona Valentine Gauthier. La boutique, ridisegnata da Bernard Dubois, richiama l’immaginario del brand, ridefinendone l’identità attraverso i codici e l’estetica che gli sono propri. Così come nella sua nuova collezione che punta alla qualità atemporale dei materiali senza rinunciare alla contemporaneità, la nuova boutique articola delicatamente passato e presente, memoria e tendenza. Lo charme desueto di un vecchio negozio di macchine fotografiche si combina con un contrasto di materiali - legno e cemento - che investe lo spazio di un dinamismo fluido e un’estetica fortemente grafica.

L’università di Nanterre e Jean-Paul Sartre, gli happenings studenteschi e i dibattiti al Café de Flore...Mai 68 rappresenta un pezzo essenziale dell’immaginario parigino. Glorificato e demistificato, il mese della rivoluzione riaccende Parigi per festeggiare il suo cinquantesimo anniversario. La galleria Brugier-Rigail ne rivisita la sua controcultura, sottolineando la persistente influenza nell’universo della street-art. Pochoirs, serigrafie e graffiti vengono celebrati attraverso i lavori di giovani artisti contemporanei. Jérôme Mesnager, Guy Denning & Epsilon Point, mezzo secolo dopo, riaffermano la libertà di inventare una nuova società, nel nome di una generazione e della sua contestazione.

Boutique Valentine Gauthier 88 boulevard Beaumarchais, Paris XI

Mai 68 40 Rue Volta, 75003


Vertbois x The Socialite Family. The Place to Get Inspired Un pop-up store come casa The Socialite Family, primo sito d’ispirazione dedicato al design e all’art de vivre, s’installa al 17 di rue Vertbois, con un pop up store che reinventa l’idea della boutique. Spazi che richiamano un’atmosfera familiare come quella di un vero appartamento, in cui sono esposti i marchi selezionati in un mixage che apre nuove prospettive alla decorazione. USM per i mobili design, Roseanna per la moda, Tediber per i letti, Haos per le luci e tanti altri, interpretano lo spirito di The Socialite Family, offrendo alla famiglia parigina, cosmopolita ma di quartiere, the place to get inspired. Una tappa importante per Constance Gennari e la sua équipe, che dopo aver visitato l’intimità dello spazio privato, l’art de vivre e il gusto per l’arte déco di molte famiglie contemporanea, oggi creano la loro casa. Un quotidiano da vivere e condividere… come un’ispirazione. Gli interni del pop up The Socialite Family foto ©Eve Campestrini

The Socialite Family 17, Rue Vertbois 75003 Paris

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NAPLES

“Into” N’apoli. La Città Sospesa

Teatro San Carlo, Napoli

Vivere a Napoli, prendere o lasciare. Non è un film. Non è una minaccia. Potrebbe essere una chiave di vita. O forse un viaggio. Un’avventura s/fatta di sorprese. Un tuffo a mare. Un pieno di musica. Una scorpacciata d’arte classica e contemporanea. Un orgasmo raggiunto a morsi (& rimorsi). Un amplesso inevitabile con il Golfo. Una serie Netflix vissuta in prima persona. Perchè non si può più solo sentirne parlare. Bisogna venirci, vederci chiaro, e vincere. Necessaire per la missione: apertura mentale, curiosità, energia. testo di Ciro Cacciola Alle 9.00 di mattina la Stazione Centrale da un lato sa di Marrakech, dall’altro sembra Berlino. L’enorme piazza-cantiere dedicata a Garibaldi, completamente ridisegnata dall’archistar francese Dominique Perrault, deborda di traffico e traffici di ogni sorta, nuove gallerie commerciali, design, boutique e mille bancarelle open air. Subito una sfogliatella da Attanasio, cent’anni di ricce & frolle e uno slogan: “Napule tre cose tiene belle: ‘o sole, ‘o mare, ‘e sfugliatelle”. Da qui, due mercatini: quello delle pulci (scarpe, accessori, cose inutili, jeans e t-shirt

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falsi d’autore) e quello del pesce, tra i vicoli di Porta Nolana, fiumi di gente, vongole, pizze fritte (quelle non mancano mai) e polpi vivi. Si ripassa dalla piazza in direzione di un’altra antica Porta, quella Capuana (1484), area in repentino recupero/restauro. Qui, di fronte a Castel Capuano, ex residenza reale, di fianco alla chiesa di S. Caterina a Formiello, ci infiliamo nel cortile del Lanificio, insula con due ciminiere a ridosso del chiostro del monastero, che raccoglie gallerie d’arte e locali notturni (Lanificio 25, Into Lab, Made in Cloister)

in un gomitolo di artisti, fotografi, architetti con mostre periodiche e laboratori, come quelli della Carlo Rendano Association, che sostiene e promuove nuovi talenti. Proseguendo in direzione di Via Cirillo, medico e martire della 1799 Revolution, bisogna entrare in San Giovanni a Carbonara, basilica splendida e antichissima, con il sepolcreto dei d’Angiò, l’imponente mausoleo di Ladislao (141428) e la cappella Caracciolo del Sole: magnifica. Di fronte alla Chiesa, Via Settembrini ci porta dritti al MADRE, tempio dell’arte contemporanea inter-


Chiostro di Santa Chiara, Napoli

nazionale, con una collezione permanente che va dalla Pop Art alle ultime avanguardie e che alterna eventi di musica elettronica a mostre personali anche di artisti attivi sul territorio. Dal MADRE a Via Foria, boulevard che collega l’Albergo dei Poveri con il Museo Archeologico passando per l’Orto Botanico, per il pranzo: ‘A Cucina ‘e Mammà è una trattoria tipica tipica, piatti del giorno very neapolitan e 10euro per primo, secondo e dolce: that’s ammore! Dopo la fritturina di paranza e i friarielli, si arriva a piedi fino al MANN, il Museo Archeologico Nazianale di Napoli, proclamato miglior museo d’Italia nel 2017 dai soliti che se ne intendono, tra i più ricchi al mondo, con la splendida collezione Farnese e le infinite meraviglie da Pompei, Ercolano & co. Incluso il mitico “Gabinetto Erotico” VM18 con i Rocco Siffredi e le Ciccioline avanti Cristo in bella mostra, senza sensi di colpa e confessioni da esplicitare. 6.00 p.m. ed è tempo di struscio in Via Toledo: centinaia di negozi e migliaia di persone, sfiorando magnifici palazzi, i vichi e vicarielli che si inerpicano su per i Quartieri Spagnoli, Palazzo Zevallos Stigliano con il Martirio di sant’Orsola di Caravaggio, i dipinti della Scuola di Posillipo e le opere forti e sensuali di Vincenzo Gemito. La Galleria Umberto è poco più avanti, dirimpettaia della mitica Funicolare Centrale, con la fontana del Carciofo, regalo del Re

di Giappone, in Piazza Trieste e Trento, il Teatro Lirico di San Carlo, Palazzo Reale, l’enorme Piazza del Plebiscito con l’abbraccio colonnato della Chiesa di San Francesco da Paola. Dalle meraviglie Borboniche ci si può muovere verso il mare attraverso Via Chiaia, centro commerciale pedonale, fino a Piazza dei Martiri, la più elegante della città. Prima di un caffè… sospeso (ai tavolini della Caffettiera, per esempio), si fa shopping nel quadrilatero dei famosi: Via Filangieri, Via Dei Mille (sede del Palazzo delle Arti PAN), Via Calabritto, via Carlo Poerio, ricca anche di bar vegani (CamBio Vita), rhumerie e ristorantini très chic (Dialetti è quello più accorsato, con piccoli concerti jazz). Dopo la sosta sciccosa, celebrata con un aperitivo in stile milanese (per la ricchezza del finger food) e madrileno (perché prima delle 19:30 non c’è nessuno!) al 66, allo Chandelier o al Baba Bar, tutti in fila assieme a moltissimi altri loungebaretti nella affollatissima via Bisignano, cercando di resistere al richiamo dei cartelloni dei 20 e più teatri attivi ogni sera in città (Bellini, Elicantropo e Teatro Nuovo su tutti) eccoci sul lungomare più bello d’Europa lasciando alle spalle Castel dell’Ovo e il Borgo Marinari, fianco a fianco con i giardini e le statue di Villa Comunale, ex passeggiata reale. Oltre Mergellina e i suoi “Chalet” pieni di taralli e gelati, imbocchiamo Via Posillipo per la cena in

uno dei ristoranti esclusivi della città: Petrucci, veranda on the beach e vista mozzafiato sui misteri di Palazzo Donn’Anna, leggendario perché mai del tutto completato, tra le icone napoletane più celebrate, dimora di un giovane Raffaele La Capria che qui scrisse il suo celebre romanzo “Ferito a morte”. In questo seicentesco, enorme palazzo proteso sull’acqua, quello che una volta era il teatrino privato della nobildonna Anna Carafa, poi trasformato in campo da tennis per giovani aristocratici, oggi è sede della Fondazione Ezio De Felice, luogo suggestivo e ricco di memorie, da cui si accede alle grotte sul mare, antri e caverne sibillini utilizzati come ricovero per le barche. La città è un continuo proliferare di inizative culturali, come i concerti nelle chiese sconsacrate organizzate dal Centro di Musica Pietà dei Turchini, come le passeggiate impervie e panoramiche a cura dell’associazione Trentaremi. Trentaremi è anche la spiaggia che fa da epilogo al film “Ammore e Malavita”, accessibile solo via mare con imperdibili escursioni in kayak (kayaknapoli.com) oppure con i gozzi di legno che partono a qualsiasi ora del giorno e della notte da Marechiaro, zona archeologica marina, area protetta e luogo di rara bellezza su cui insiste il Parco del Pausilypon, con Teatro, Odeion ed altri resti della villa a picco sul mare che fu del romano Publio Vedio Pollonio, in vacanza a Napoli nel primo secolo avanti Cristo.

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Sempre al Vomero, in Piazza Vanvitelli, eccoci finalmente nel celebre Metrò dell’Arte: opere, installazioni, mosaici, architetture. Un museo aperto. Assolutamente underground. Tre le fermate da non perdere: Toledo, la stazione premiata per le opere che contiene; Materdei, per fare un salto a Casa Morra, uno spazio per il contemporaneo fondato dal gallerista Peppe Morra (suo anche il Museo Nitsch, allocato in una ex Centrale Elettrica) o all’Ex OPG, ospedale psichiatrico occupato, oggi centro culturale con eventi di musica, presentazioni di libri e arti visive; Municipio, per capire come un nuovo progetto di arredo urbano sta per

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©Parco Archeologico di Pompei Foto di Amedeo Benestante ©Parco Archeologico di Pompei Foto di Amedeo Benestante

Per scoprire luoghi esclusivi e case mozzafiato ci si può affidare al circuito Homeating di Carolina Pignata e Marcella Buccino, che selezionano dimore pazzesche e ci organizzano cene e degustazioni a numero chiuso anzi, chiusissimo. Anche dormire a Napoli comporta ormai una scelta non semplice tra centinaia di B&B e i classici alberghi con vista su Capri. Superotium e Neapolitan Trip sono vere esperienze di vita, design contemporanei e consigli su cosa e come vivere a Napoli offerti “di cuore” dai trendsetter padroni di casa. Come perdere, ad esempio, una visita alla Certosa di San Martino e al sovrastante Castel Sant’Elmo? Da qui, immersi nella quiete dei giardini a vite e dalle terrazze vedutiste con cannoni, la vista sulla città è completa: Vesuvio, Maschio Angioino, Centro Direzionale, Capo Posillipo, Ischia, Capri, Penisola Sorrentina... In zona Vomero, l’aperitivo è da Fonoteca, in via Morghen, tra musica elettronica, web culture e bella gioventù, al nuovo Bar Centrale (Piazza Fuga) oppure al Riot (Via Kerbaker). Da queste parti la città cambia stile, e bisogna farsi un giretto tra le architetture Liberty di Via Palizzi e Via Luigia Sanfelice, eleganti come poche, per comprendere la complessità di stli della multiforme metropoli, pari forse solo a Istanbul per diversità e interscambio di culture.

Olla per bollire il cibo con lapilli dall’eruzione del Vesuvio I secolo a.C. , bronzo. Pompei, Casa di Lollius Synhodus

Eh sì! Si accede al Parco anche a piedi, percorrendo la Grotta di Seiano, uno scavo tufaceo di circa un chilometro, sempre di origine romana, che ha il suo varco principale in via Coroglio, la discesa che da Posillipo corre verso l’isola di Nisida e la Città della Scienza, area post industraile adottata per il by night. Qui si concentra la movida più divertente, trasversale e nottambula. Le serate più ambite sono quelle promosse dal collettivo Drop, di scena da giovedì a sabato nel nuovodizecca Post e la domenica nel celeberrimo Nabilah, ma la zona contiene ogni weekend migliaia di giovani pronti a dividersi a seconda delle radici musicali: house, elettronica, trap o reggaeton, tra club intramontabili come l’Arenile e il Riva, o luoghi di rara suggestione architettonica come l’arena flegrea, all’interno della Mostra d’Oltremare, con un programma di concerti e popstar.

Contenitore con uova conservate nell’argilla, I secolo d.C. Pompei, Casa di Giulio Polibio

NAPLES

cambiare il volto ad uno dei porti più grandi del Mediterraneo. Per tirare il fiato bisogna decidersi per Capodimonte: Museo e Real Bosco, una sorta di Central Park con aree attrezzate per lo sport, la corsa, la meditazione, sede anche di concerti e aperitivi, nonché di una delle collezioni d’arte antica, moderna e contemporanea più importanti d’Europa (da Caravaggio a Warhol). Uscendo da Porta Grande, passando per Via Sant’Antonio e Salita Capodimonte (tutta in discesa, tranquilli) in otto minuti si arriva in Via Vergini, limite Quartiere Sanità, con valanghe di motorini, mercatini, banca-

relle, e gli splendori del Palazzo “dello Spagnuolo”. La Sanità è uno dei luoghi più emozionanti e veri di Napoli. Qui si va in pizzerie storiche come Concettina ai Tre Santi o alla Cantina del Gallo, ex rifugio anti-bombardamenti, al Cimitero delle Fontanelle, con migliaia di teschi un tempo venerati come oggetto di culto, alle Catacombe Paleocristiane di San Gennaro e di San Gaudioso, ai grandi murales a ridosso della Basilica di Santa Maria, set prediletto anche della serie tv Gomorra, o alla Chiesa della Misericordiella, per anni abbandonata ed oggi trasformata in un centro per l’arte contemporanea (SmmAve) dall’artista Cristian Leperino.


Francesco Clemente, Ave Ovo, 2005 Courtesy Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli Foto ©Amedeo Benestante

Dettaglio del murales di Maradona nei quartieri Spagnoli Realizzato nel 1990 da Mario Filardi e restaurato Salvatore Iodice

Non possiamo prescindere dalla Via del Duomo per un rigoroso saluto al Santo Patrono miracoloso e una visita lampo al Museo del Tesoro di San Gennaro (in omaggio al film con il mitico Totò). Da qui, imbocchiamo Via dei Tribunali, decumano maggiore, per: raggiungere Spaccanapoli attraverso San Gregorio Armeno, la via dei Pastori; rendere omaggio al Corpo di Napoli, la statua metà egizia e metà greco-romana al centro di Piazzetta Nilo; entrare nella Cappella del Principe di Sansevero, quella con il Cristo Velato; prendere una fetta di pastiera da Scaturchio mirando la Guglia di Piazza San Domenico Maggiore; entrare in Santa Chiara sperando di poter sbirciare anche nel Chiostro Maiolicato; arrivare in Piazza del Gesù con Guglia dell’Immacolata e bugnato quattrocentesco; seguire una notte underground a contatto diretto con i giovani del Centro sociale occupato “Scugnizzo Liberato”; fare nuove amicizie nella multietnica e multigender Piazza Bellini; farsi un selfie con il Pulcinella in bronzo di Lello Esposito, la vascio art di Roxy In The Box oppure l’unica opera in Italia di Ban-

ksy... dopo l’ultima, indimenticabile, inconfondibile... tazzulella ‘e cafè. Da Pino Daniele (il 21 giugno concerto in suo onore allo Stadio San Paolo con il gotha della musica italiana) a Liberato, dai 99 Posse a Bandarotta Bagnoli, da Riva Starr a Marco Carola, dai Planet Funk a bennato, la musica è ovunque. Tammurriate elettroniche e trap neomelodica. Tutto viene contaminato, ammaliato, resuscitato. Quattromila anni dopo la sua fondazione, Napoli resta un luogo di grande personalità, di rara bellezza e di storia infinita che esprime orrori e talenti forse in egual misura ma che sempre più, in un pianeta sconfitto dal cattivo gusto e dalla omologazione, resta unico, originale, antico, tradizionale, futuro. Un immenso, grande, meraviglioso luogo comune. Cos’è Napoli, dopo tutto. Chi è? Nell’impossibilità di rispondere, riesco ad esprimere solo un’emozione: quella di essere e di vivere “napoletano”. A tutti i costi. Napoli è.

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ANTWERP

Urban Living made in Antwerp Volare ad Anversa per toccare con mano l’heritage di un brand iconico come Kipling e innamorarsi perdutamente di un lifestyle che si nutre di creatività allo stato puro. La capitale delle fiandre stupisce con i suoi illustri esempi d’arte moderna e trova parole d’encomio nello storytelling Kipling grazie alla Vice President Denielle Wolfe.

testo di Marco Torcasio

Nel quartiere Zuid, a sud della città, il recupero del passato inserito armonicamente nel presente è l’obiettivo del Museo di Arte Contemporanea, il M HKA. Nato nel 1987 attraverso il rinnovo di un silos di grano, si presenta al pubblico, dopo il restyling curato da Axel Vervoordt, nella veste di polo museale delle arti figurative fiamminghe. Una nuova collezione permanente, fra cui si annoverano Jan Fabre, Luc Tuymans, Panamarenko, accessibile gratuitamente, esposizioni temporanee di stampo nazionale e internazionale, digitalizzazione dei contenuti multilingue e spazi di

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interazione rendono il M HKA punto d’incontro e scambio culturale all’interno del quale i visitatori possono imparare a conoscere l’internazionalità dell’arte contemporanea delle Fiandre. Nel quartiere Eilandje, ovvero l’antico porto, una prua avvolta nel cristallo multi sfaccettato con le sue triangolazioni riflettenti, opache e trasparenti, si staglia nel cielo per un’altezza di 46 metri e una lunghezza di 110 e amplifica la sua maestosità grazie al riflesso dell’acqua che la circonda tutta. La Port House, nuova sede dell’Autorità Portuale di Anversa firmata dall’archistar Zaha Hadid, è

già il nuovo simbolo del rinnovamento di Anversa e un omaggio alla lunga tradizione commerciale della città. La nuova struttura si incastona come un diamante sul corpo centrale della storica caserma dei vigili del fuoco e riconsegna all’Eilandje l’importanza di rappresentare il secondo porto più grande d’Europa. Nello stesso quartiere si erge un altro simbolo della città, il MAS - Museum aan de Stroom che, ammantato di arenaria, si innalza per 60 metri raccontando lo scorrere di una storia che lega indissolubilmente la città e il suo fiume, la Schelda.



ANTWERP

Una torre di avvistamento, grazie alla splendida terrazza dell’ultimo piano, consente di godere di un panorama a 360 gradi della città, dall’antico porto ai suoi edifici illustri. Salendo per i vari piani infatti si susseguono esposizioni d’ogni genere, alcune permanenti (che spaziano tra

l’arte, l’archeologia, il folklore, l’etnografia) altre temporanee, ma unite da un filo unico: la storia di una città che si è aperta al mondo e l’ha accolto grazie al lento scorrere delle sue acque. Dal 2002 esiste anche un vero e proprio polo dedicato alla moda e allo stile: il ModeNatie.

È in questo fervente tessuto urbano che trova ragione d’essere un’altra storia di grande passione e creatività che inizia nella primavera del 1987. In quell’anno, tre giovani amici e designer di Anversa scoprirono, per un fortunato errore al telaio, il potenziale delle increspature del nylon... et voilà, nacque l’idea per Kipling. Il nome del brand deriva dalla celebre opera del cosmopolita autore inglese Rudyard Kipling, il Libro della Giungla, che riassume alla perfezione l’amore per il divertimento e per l’avventura che i tre designer volevano trasmettere con le loro borse e i loro accessori. Abbiamo raggiunto in città Denielle Wolfe, Vice President, Global Product and Design, di Kipling per scoprire qualcosa in più sul nuovo orientamento del brand e chiudere così il cerchio attorno alla capitale creativa delle Fiandre, con una case history di portata globale.

La passione per il divertimento e per l’avventura sono tra i valori più cari all’identità del brand. Qual è la sua lettura di questi due concetti portanti?

Cosa cambia e cosa, invece, rimane inalterato a seguito della sua nomina come Vice President, Global Product and Design, di Kipling? Siamo qui per celebrare un anniversario molto importante per noi, un’occasione perfetta per evidenziare i traguardi raggiunti ma allo stesso tempo un momento di riflessione sulle origini del brand, sul suo heritage basato sul cosiddetto “everyday casual” e, inevitabilmente, sul suo futuro. Sono cambiate molte cose nel fashion retail negli ultimi anni, ciò che vogliamo rimanga a prescindere da queste continue metamorfosi è l’autenticità del brand nonostante il refresh a cui lo abbiamo sottoposto per renderlo ancora più moderno e contemporaneo.

La nuova visione di Kipling guarda al presente come fosse una landa urbana, in cui potersi muovere a mani libere, magari con un comodo zainetto sulle spalle, da vivere come un’estensione della propria personalità. Divertimento per noi significa non prendersi mai troppo sul serio e di conseguenza l’avventura coincide con la scoperta, la possibilità di vivere tutto quello che un lifestyle urbano può offrire. Nuovi ristoranti, negozi, spazi di condivisione, parchi e quanto di più bello la costante evoluzione delle nostre città sa regalarci. Possedere una borsa Kipling rende tutto questo ancora più veloce grazie ad alcuni dettagli di stile, a pratiche tasche e al design confortevole. Per amare Kipling bisogna avere una certa young attitute. È vero? Solitamente la prima borsa Kipling è quella con cui si va a scuola. Superata quella fascia d’età vorremmo che il consumatore tornasse ad acquistare il brand, con più consapevolezza, ma sempre con quello spirito giovane che ha contraddistinto il primo contatto con il marchio. Per questo seguiamo i nostri clienti in tutto il loro percorso di vita, accompagnandoli con quella giusta dose di “coolness” indispensabile a vincere la paura, che tutti condividiamo, di crescere. Perché Anversa è ancora il vostro headquarter ideale?

In apertura, Port House by Zaha Hadid Architects @VisitFlanders

Nella pagina precedente, Kipling – Collezione New Classics

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Pur non essendo un brand da passerella, possediamo comunque una nostra sensibilità nello stile che ci contraddistingue. La personalità del brand rispecchia molto la mentalità belga, le persone qui sanno davvero come trascorrere il tempo insieme, sanno come appassionarsi alla vita, rallentare e godersi un caffè, una conversazione. Lo si può vedere con i propri occhi passeggiando per strada. Nonostante sia una città molto piccola vive di creatività, arte e cultura e Kipling non potrebbe avere residenza migliore.

In questo edificio eccezionale nel cuore della città, accanto al Fashion Paradise di Dries van Noten, ci sono una scuola di moda, il MoMu Museo della Moda, il Fashion Institute e la più grande boutique del visionario stilista giapponese Yohji Yamamoto.


Sopra a sinistra, Kipling Zaino giallo Fundamental

(a destra) MAS – Museum aan de Stroom @VisitFlanders

A sinistra, Kipling Nuovi modelli della collezione New Classics


TASTE

Lifelong Affair with Cocktails

Lucian Bucur, mixologist at BOB ©Modestino Tozzi


Jerry Thomas sta ai cocktail come Elvis al rock. Nato a Sackets Harbor, nello stato di New York, nel 1830, inizia la sua carriera di barman in una piccola città del Connecticut, New Haven, prima di imbarcarsi a bordo dell’Annie Smith e arrivare fino a Capo Horn. Basta qualche mese per realizzare che quella vita non fa per lui. È appena diciannovenne quando parte alla volta della California e chiede una licenza di minatore per cercare l’oro nel fiume Yuba. Durante il giorno lavora duramente, ma la sera Jerry sfrutta quello che sa fare meglio di ogni altra cosa al mondo: intrattenere la gente. Organizza i famosi “minstrel show”, sketch comici molto in voga, e trova lavoro come barista all’El Dorado di San Francisco. Thomas è bravo. Il bancone dell’El Dorado si anima grazie alla sua presenza: cento chili d’uomo, un viso da boxeur e mani sapienti che giocano con bottiglie e miscelatori. Alla sua capacità di narrare storie fornisce anche un’abile scenografia in cui la miscelazione delle bevande diventa un’arte sopraffina. Si veste in modo eccentrico e ama utilizzare gli specchi deformanti per offrire una nuova esperienza alla sua clientela. Qualcuno inizia a parlare di lui come di un abile alchimista in seguito all’invenzione del cocktail che lo rende finalmente famoso, il Blue Blazer… Un giorno un cercatore d’oro gli chiese di preparare un drink capace di ricordare il fuoco dell’Inferno. Jerry non si scompose, chiese semplicemente di poter tornare dopo un’ora.

In quel lasso di tempo immagina e crea la bevanda che lo consacrerà padre di tutti i cocktail. La ricetta è semplice: 6 cl di Whisky, 6 cl di acqua bollente, scorza di limone e 1 cucchiaio di zucchero. A prima vista un drink quasi banale, senza nessun ingrediente spettacolare e originale, ma davanti agli occhi del cliente Thomas mise due boccali d’argento con due lunghi manici. In uno versò l’acqua, nell’altro il whisky. Con un lungo fiammifero accense il liquore e, ancora ardente, lo fece passare nell’altro boccale, creando un arco infuocato. Giocò con la sottile fiamma blu per ben cinque volte, prima di spegnerla con la base del bicchiere. Prense un tumbler, dolcificò la bevanda con zucchero bianco polverizzato e lo arricchì con una scorza di limone. Nacque il Blue Blazer e, con esso, la fama intramontabile di Jerry “The Professor” Thomas. “The Jupiter Olympus of the bar”, è la definizione che darà di sé nel libro diventato una vera e propria Bibbia dei cocktail, il manuale che ogni barman dovrebbe recitare a memoria. Del 1867 l’edizione definitiva “Jerry Thomas’ Bar-tender’s guide or how to mix drinks”, arrivata in Italia soltanto qualche anno fa con il titolo “Il manuale del vero gaudente ovvero il grande libro dei drink”. Avventura, leggenda e realtà si mescolano tra le pagine della storia di questo maestro del cocktail ante litteram, pioniere di quella che oggi definiamo mixology art.

Di esperti mixologist e bartender alla ricerca della miscelazione perfetta e della loro rivincita sui fratelli chef… L’arte della creazione dei cocktail dilaga, trascinata dai neo-eletti maestri del “buon bere”

testo di Marco Torcasio

Una pratica raffinata che punta a ricreare un’esperienza di degustazione intima e totalizzante, capace di coinvolgere tutti i sensi di chi beve un cocktail. L’equivalente di ciò che oggi definiamo gourmet in cucina. Nata durante la rivoluzione industriale, ha raggiunto livelli sempre più alti di perfezionamento delle tecniche di distillazione degli alcolici. Fino a diventare oggi vera e propria arte della miscelazione secondo due principali scuole, il Flair Bartending (stile di creazione cocktail caratterizzato da mosse rapide e acrobatiche) e la Mixology (misurazione attenta degli ingredienti che riporta indietro nel tempo, alle atmosfere vintage dei locali speakeasy del Proibizionismo). Il padre moderno della mixologia è Dale DeGroff, conosciuto anche come King Cocktail. Muove i suoi primi passi a New York come lavapiatti per poi

approdare al ristorante Aurora dove inizia ufficialmente la sua carriera. Shaker alla mano, si trasferisce nel famosissimo Rainbow Room, dove la sua bravura e le sue intuizioni trovano il giusto palcoscenico. Al bancone di uno dei ristoranti più famosi della grande mela, dal 1987 al 1999, diventa un’istituzione nel mondo dei barman. Alla base della sua rivoluzione ci sono la voglia e il tentativo, ottimamente riuscito, di trasferire l’approccio gastronomico anche ai cocktail. È fondatore e presidente del The Museum of the American Cocktail, un’organizzazione no profit che si pone l’obiettivo di educare all’arte della mixologia e di preservare la ricchezza e la storia dei cocktail americani. In Italia sono molteplici le realtà che si contendono posizioni da protagonista nello scenario mixologist…

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Baxter Bar

BOB

Savini

A Milano le atmosfere caraibiche racchiuse nei cocktail di Andrea Attanasio rivivono al Baxter Bar in Largo Augusto. Dentro ciascun bicchiere un’accurata selezione di ingredienti stagionali, come gli agrumi provenienti direttamente dall’agriturismo sul lago di Como, a Careno, oppure le mandorle di Avola o il cioccolato di Modica. Uno dei suoi cocktail più noti è lo Chiré Pantalet, fatto con rum e zucchero haitiani impreziositi dal succo di limone proveniente da lago di Como.

C’è poi chi ammicca ai drink che hanno fatto la storia, proponendone nuove versioni, chi sposa la complessità e la meraviglia dei bourbon senza mai dimenticare le peculiarità e le qualità degli altri spirits con una cocktail list firmata da Lucian Bucur. Stiamo parlando di BOB, new entry in città che vede alla regia del concept i gemelli Hu, Luca e Michele, già molto conosciuti a Milano per il popolarissimo locale “The Chinese Box”. Tra gli otto signature da scoprire in carta incuriosiscono Pianta Carnivora (Hendrick’s Dry Gin; lime; sciroppo di cardamomo e boccioli di rosa rossa; yellow Chartreuse; basilico; Ginger Ale) e Antico Sortilegio Piratesco (Rum Jamaicano; Rhum Martinicano; Rum overproof Jamaicano; lime; sciroppo azteco alle fave di cacao; peperoncino e spezie; liquore all’albicocca; Amaro Angostura; albume).

Sette nuovi signature cocktail rendono omaggio alla città che ha creato il rito dell’aperitivo e a uno dei suoi simboli più importanti e conosciuti: il Teatro alla Scala. Ci pensa Savini, il cenacolo milanese per generazioni di intellettuali, letterati, compositori e artisti, con sette inediti signature cocktail firmati da i cosiddetti “I Maestri del Cocktail”. Salieri è il nome del drink omaggio al tempio mondiale della musica classica e operistica, il Teatro alla Scala, che inaugurò nel 1778 con l’opera Europa Riconosciuta del compositore italiano Antonio Salieri. La rivisitazione di un cult, il Negroni, con l’aggiunta di Fernet Branca che dona intense note balsamiche.

Baxter Bar Largo Augusto 1, Milano

Savini Milano Via Ugo Foscolo 5, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano

BOB Via Pietro Borsieri 30, Milano

Gin Lounge Grand Hotel Fasano Non lontano da Milano, tecnica e grande passione forgiano il carattere del bartender del Grand Hotel Fasano a Gardone Riviera (BS). Nato a Pristina (Serbia) nel 1984, Rama Redzepi si appassiona al mondo della distillazione fin da piccolo quando, nella casa di campagna dei nonni, impara a distillare la grappa balcanica Sliwoviz. Dopo aver viaggiato in Europa, torna in Italia e conosce il barman Remo Pizzolito che gli insegna il mestiere del barman in uno degli american bar più importanti della riviera, il Bonis Caffè American Bar di Portogruaro (VE). Si iscrive alla scuola A.I.B.E.S e diventa barman professionista sia nazionale che internazionale. Oggi la sua creatività e la sua conoscenza si riflettono nella Gin Lounge, uno spazio unico racchiuso nel cuore del Grand Hotel Fasano. Luogo interamente dedicato dal 2016 alla degustazione di oltre 50 tipi di gin, abbinati alle acque toniche migliori.

LaGare Rooftop

Sky Stars Bar Panoramico

La terrazza panoramica LaGare Rooftop, al tredicesimo piano del LaGare Hotel Milano MGallery by Sofitel, si trasforma, a partire da maggio, ogni sera in un garden urbano sospeso a oltre 50 metri d’altezza. L’aperitivo servito a passaggio, composto da finger food seguito da un primo caldo, trova il giusto accompagnamento nei cocktail della drink list, studiata in collaborazione con la Campari Academy, preparati dal bartender Filippo Cozza.

Nella capitale, infine, lo Sky Stars Bar Panoramico, il bar delle Stelle dell’A.Roma Lifestyle Hotel, in via G. Zoega, ha da poco presentato la nuova drink list con sette cocktail inediti, ispirati ad altrettanti murales romani, frutto dell'estro e della creatività del barmanager Alessandro Antonelli. La Piedad, con rum The Matcha, rondelle di cioccolato bianco, una stecca di cannella, lime e gomme syrup, s’ispira ad esempio al murales di via Prenestina 913.

Gin Lounge, Grand Hotel Fasano Corso Zanardelli 190, Gardone Riviera (BS)

LaGare Rooftop, LaGare Hotel Via G.B. Pirelli 20, Milano

Sky Stars Bar Panoramico Via G. Zoega 59, Roma


Kanpai Dietro il bancone di Kanpai, in via Melzo, troviamo Samuele Lissoni che firma una drink list dal sapore orientale. Molti i twist sui grandi classici della miscelazione che affiancano le sue originali creazioni, per un’esperienza da vivere al bancone dall’aperitivo fino al dopo cena. Interessante il Mortal Kombu con tequila, infuso con alga kombu, orange curacao, zucchero liquido, zenzero pestato e aria di mandarino; oppure il Kanpai Highball con Nikka Blended Whisky, sciroppo di cardamomo nero e tè bancha. Kanpai Via Melzo 12, Milano

Samuele Lissoni, mixologist at Kanpai ©Aromi


TRAVEL

Siamo turisti in cerca d'autore Trascorrere del tempo dove Ian Fleming ha inventato l’intramontabile motto di James Bond “agitato, non mescolato” o dove Flaubert passava i suoi pomeriggi leggendo in solitudine trasforma il comune e - consentiteci - anche un po' banale “fare le vacanze” in vero e proprio soggiorno d'autore... con la squisita complicità della letteratura.

Una guida a quei luoghi storici, particolarmente affascinanti, in cui riscoprire abitazioni, stanze, residenze private e hotel in cui scrittori e letterati noti in tutto il mondo hanno soggiornato e, in alcuni casi, composto le loro opere più rappresentative. Grazie a Holidu, motore di ricerca

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per case vacanza, ne abbiamo selezionati alcuni per sognare ancora di quelle feste mondane per jet setter ante litteram, di quei tormenti amorosi non più replicabili, di quei paesaggi incontaminati impressi per sempre sulle pagine della letteratura mondiale.

In questa pagina Dukes London Londra, Regno Unito All images courtesy of ©Holidu holidu.it


Alla ricerca de le mot just Tra le anatre di Madame Bovary Questa confortevole casa vacanza, sulle rive di un lago di ben ottanta ettari, è stata l’antica dimora dell’autore naturalista francese Gustave Flaubert, penna del capolavoro “Madame Bovary”. Il verde in cui è immersa la casa e il bellissimo lago, sono un connubio perfetto per far vagare il corpo e la mente, tra escursioni e lettura. Chi avesse tempo per girare nei dintorni, potrà andare al Parco Naturale della Normandia e arrivare fino a Rouen, città natale dello scrittore, dove è situato il museo a lui dedicato.

Gites - Ferme de Geffosse Sulle rive di un lago di 80 ettari, sistemazioni con ristorazione indipendente che variano da un appartamento ben attrezzato a un cottage in stile tradizionale con ingresso autonomo e travi a vista Pont-l'Évêque, Sainte-Famille-en-Auge, Francia

«Nel profondo del suo cuore, aspettava che accadesse qualcosa. Come i marinai naufraghi, rivolgeva uno sguardo disperato alla solitudine della sua vita, nella speranza di scorgere una vela bianca tra le lontane nebbie all’orizzonte… Ma non accadeva nulla; Dio voleva così! Il futuro era un corridoio oscuro e la porta in fondo era sbarrata» (da Madame Bovary – Gustave Flaubert)

Atmosfere da giallo all'inglese James Bond tra gli ospiti d’onore I lettori alla ricerca di azione e gli appassionati di James Bond potranno godersi un soggiorno al Dukes di Londra. All’interno di questa struttura classica e lussuosa, i viaggiatori possono immergersi nell’atmosfera britannica o passare la propria serata al Bar Dukes. Ian Fleming ha inventato qui il motto “agitato, non mescolato” che ancora oggi è presente in tutti i libri e film di James Bond. Per sentirsi davvero come Bond, il bar offre il suo drink: il Vesper Martini (noto anche come Vodka Martini) in onore di Fleming. Gli amanti dei libri, con un po’ più di tempo a disposizione, possono anche visitare la British Library, la biblioteca con più libri catalogati al mondo, o vedere un’opera al Globe Theatre. L’appartamento può ospitare fino quattro persone.

«La differenza fra un buon colpo e un cattivo colpo è la stessa che passa fra una bella donna e una donna comune: è una questione di millimetri» ( Missione Goldfinger – Ian Fleming)

Dukes London Camere di design dotate di tutti i comfort necessari Londra, Regno Unito


«C'era una certa benignità nell'ubriachezza: c'era quell'indescrivibile splendore che essa recava, simile ai ricordi di serate effimere e svanite»

Feeling Anni '20

(da Belli e Dannati – F. Scott Fitzgerald)

Se si è in cerca di un modo piacevole per conciliare le proprie vacanze estive con un po’ di cultura, Nizza è il posto perfetto. Scrittori famosi come Hemingway, H.G. Wells o F. Scott Fitzgerald si sono innamorati della città e della sua “azzurra” costa. Fitzgerald, in particolare, adorava la costa francese e aveva deciso con la sua famiglia di trasferirsi in Francia per trovare un posto più economico degli Stati Uniti in cui vivere. Durante i suoi soggiorni, decise di fermarsi a Nizza in questo apart-hotel dallo stile classico, il Negresco.

Hotel Negresco Appartamenti con vista sulla spiaggia e sulla Promenade des Anglais 37 Promenade Des Anglais, Nizza, Francia

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Come ne “Il Grande Gatsby”


Come recitare in un romanzo Dove Mary e Percy Shelley si amarono

Un'elegante casa di campagna nonché appartamento-vacanze della visionaria scrittrice inglese Mary Shelley e di suo marito, il poeta romantico Percy Shelley. Tra le opere di Shelley, il suo capolavoro: “Frankenstein” è sicuramente il più conosciuto. I visitatori che amano i misteri, saranno contenti di sapere che la casa in questione è protagonista di un una leggenda da più di due secoli: una notte, il marito di Shelley infastidì così tanto i vicini, che, si racconta, gli spararono da una finestra. Quella stessa notte la coppia di autori decise di andare via e non tornare mai più in Galles. Per qualche tempo la coppia trovò la propria tranquillità in questa villa, dove probabilmente furono anche ispirati dai verdi e incantevoli dintorni del parco nazionale di Gwynedd, che merita assolutamente una visita.

Plas Tan-Yr-Allt Historic Country House Bed and breakfast ideale per due persone con giardino, 30 mq Snowdonia, Gwynedd, Regno Unito

«Dopo giorni e notti di un lavoro e di una fatica incredibili, riuscii a scoprire la causa della generazione e della vita; anzi, di più ancora, divenni io stesso capace di dare animazione alla materia morta» (da Frankenstein – Mary Shelley)

«Ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone»

Solitudine, amore mio La casa natale del Gattopardo

(da I racconti – Giuseppe Tomasi di Lampedusa) Lo scrittore di origine nobile, Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, nacque in questo palazzo, oggi restaurato con cura, nel centro storico di Palermo. “Il Gattopardo”, uno dei più importanti romanzi del panorama letterario italiano e mondiale, è stato probabilmente scritto fra queste mura, data la propensione dell’autore, fin da giovanissimo, alla vita solitaria e alla lettura. Per gli amanti della cultura, l’appartamento si trova in pieno centro ed è circondato dai più bei teatri e musei di Palermo, per chi vuole, invece, leggere in tranquillità, con annesso panorama, il mare si trova a soli 400 metri. M.T.

Casa Lampedusa Appartamento di 114 mq per 4 persone con piscina e giardino Castellammare, Palermo, Italia

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LONDON

Dalston view Hidden London

Cinema all’aperto su una terrazza in Dalston, Londra ©visitlondon.Co.Uk

Un quartiere della city cambia prospettiva: i roof park spopolano, ex-locali in disuso lasciano spazio alla movida e all’arte. Fra jazz club ed ex-scuole di danza, in Dalston la musica sta cambiando.

testo di Antonella Tereo

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LONDON

Non è stato solo l’arrivo delle Olimpiadi del 2012 ma una nuova spinta creativa a trasformare uno dei quartieri più “ex” della City, forse. Ex ritrovo di immigrati ed ex quartiere periferico, oggi l'area di Hackney entro cui sorge in particolare il quartiere di Dalston vive il suo momento di rivalsa. Davanti allo skyline di una Londra sempre più verticale, coglie l’occasione di sviluppare proprio in alto il suo riscatto. È così che solo da qualche tempo e specie nella bella stagione, si coglie la sua ritrovata allure, fatta ormai di spensierata e apprezzata conquista di spazi verdi e culturali. È l’exploit dei roof park infatti a spingere il quartiere in un’altra dimensione, anche spaziale. Dall’alto i locali occupano spazi che sovrastano uffici, studi di registrazione, loft e showroom come negozi di ogni genere. Isolandosi quasi dal mondo terreno ed occupato nel business, conquistano così il loro up-grade.

Nella pagina precedente, Murales in Dalston Lane, Londra A destra, Cafe Oto nel quartiere di Dalston Foto di Ewan Munro – ©CreativeCommon

Di questa tendenza ne sono ormai espressione vera i locali indipendenti ed i pub che hanno preso piede per primi, come Netil360, un bar-garden-workspace che non si fa mancare nulla per la sera, dai vini pregiati alle birre d’importazione, sovrastando l’East London più eccentrica. Anche il Dalston Roof Park ha colto la tendenza del posto e colonizzato –come ha già fatto in altri siti nel mondo, New York in primis- il suo avamposto sulla città londinese. Qui si può trovare non solo un buon assortimento di cocktail ma anche maxi-schermi per video e serate con film d’autore. E se fra il pop-up bar ed il Dj set si aggirano anche dei giardinieri del luogo, è del tutto regolare. Circondati da palazzi vittoriani come dai tipici brics d’epoca recente, questi posti mixano luoghi di ritrovo non solo dediti al drink & food, ma anche a musica e arte. Altro cameo in proposito è senza dubbio il Café Oto. Jazz session e artisti al pianoforte sono all’ordine del giorno, locali ed internazionali, tanto che il nutrito elenco degli artisti delle prossime serate estive è già online da tempo, anche se può capitare di ascoltare qualche musicista atipico sul palco, fuori-programma ricorrenti in posti come questo.

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La location in questo caso sfrutta l’accesso in strada anche perché è una sorta di vetrina come galleria d’arte temporanea per artisti emergenti, dal genere pop a quello minimal. E se dalle tele si passa alle punte, si spiega il restyling dell’ex-scuola di ballo del quartiere, oggi Farr’s School of Dancing che non prevede al suo interno né sbarra e specchi nè lunghe ora di prove, ma un puro vintage style per il suo locale dall’aspetto ancora used, dove si può ordinare un burger ma anche un fish & chips vegani. E se poi proprio si vuole, si balla anche funk, soul e jazz, il giovedì.

Nella pagina a fianco, Roof Top in Dalston, Londra (in alto) ©Dalston Roof Park (in basso) ©Happening London



EXHIBITION

“Take Your Nightlife Seriously” (Charles Eames)

La mostra che racconta la storia del nightclubbing dal 1960 a oggi. Una storia che, attraverso la lente del design e dell’architettura, definisce un tutto che porta con sé i cambiamenti culturali della seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri. Una sala della mostra è dedicata all’ascolto dei vari generi di musica che furono i protagonisti della club culture. In una sorta di silence disco con varie postazioni cuffie, dal recinto rettangolare e l’ambiente specchiato, ogni postazione si fa portavoce del racconto musicale: dalla disco alla techno e alla house.

Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today Fino al 9 Settembre Christto & Andrew Vitra Design Museum Existential Nightmare, 2018. Charles-Eames-Straße 2, 79576 Weil am Rhein, Germania Courtesy of the artists and METRONOM

Chen Wei, In the Waves #1, 2013 © Chen Wei / Courtesy of LEO XU PROJECTS, Shanghai


Prodotto e distribuito da Jet Set Group

NEW DATE AND LOCATION 21-24 SEPTEMBER 2018 PADIGLIONE VISCONTI VIA TORTONA 58 MILANO PITTIMMAGINE.COM


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issue n–2 2018

ART – FASHION – MUSIC – DESIGN – LIFESTYLE

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FEMMES DÉTENUES Bettina Rheims PUSSIAN FEDERATION XXX Pussy Riot NO–BOUNDARIES CITIES London, Paris, Antwerp, Milan WATCH OUT David Bowie is, Arles, Mixology Art

No. 2 / 2018

(In cover) Unique Media srl – Trimestrale 8 –06–2018 giugno/luglio/agosto


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