POSH N.93 Assoluto

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POSH EXCLUSIVE LIFE

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STARRING

LORENA CESARINI

Assoluto

Luxury Edition 6

ANNA FOGLIETTA CHARLEY VEZZA MISHA KAHN JOAN THIELE FRANCESCO MONDADORI NICOLA RICCIARDI FATMA SAID IRENE FORTE CARO DAUR DAVIDE CARANCHINI DAVIDE GUIDARA DONATO ASCANI ISABELLA POTÌ MARTINA CARUSO MICHELANGELO MAMMOLITI PAOLO GRIFFA ORI KAFRI LUDOVICA DI GRESY

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Unique Media srl – Bimestrale N–93 ottobre / novembre / 30.10.2020 English text


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No.

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POSH EXCLUSIVE LIFE

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STARRING

LORENA CESARINI

Assoluto

Luxury Edition 6

ANNA FOGLIETTA CHARLEY VEZZA MISHA KAHN JOAN THIELE FRANCESCO MONDADORI NICOLA RICCIARDI FATMA SAID IRENE FORTE CARO DAUR DAVIDE CARANCHINI DAVIDE GUIDARA DONATO ASCANI ISABELLA POTÌ MARTINA CARUSO MICHELANGELO MAMMOLITI PAOLO GRIFFA ORI KAFRI LUDOVICA DI GRESY

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CONTENTS

P O S H MAGAZI N E 9 3

SOMMARIO

«Appena ho iniziato a formulare pensieri ho saputo sarei diventata attrice. Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto, qualcuno mi avrebbe fermato per strada e scelta». LORENA CESARINI

pag. 36

76 I RE N E FO R T E La figlia di Rocco Forte si prende cura del benessere 8 0 LU D OV I C A D I GRE S Y Viene da una famiglia agiata e intellettuale la giovane modella milanese 8 4 GO U RM E T I migliori chef under 30 che stanno rivoluzionando la ristorazione

Nel Joshua Tree National Park sorge la Invisible House, una costruzione a specchio che riflette la natura circostante: pag.90

90 LIVING Nel deserto californiano the Invisible House è la casa che non c’è 96 DOMENICO MUL A Il designer che con DOM Edizioni arreda le residenze e i resort più lussuosi

2 4 A NN A FOGLI ET TA La bellezza della semplicità 3 2 ALTA GI OI ELLERI A Chanel trasforma il tessuto Tweed in gioiello

106 B E AU T Y Tutte le novità di bellezza tra high tech, trattamenti e fragranze di nicchia

NEW GEN ERATI ON Cinema, musica, arte, design, gourmet: gli under 35 Posh del momento 3 8 LOREN A CESAR I NI Da ragazza “contro” in Suburra a musa di Valentino 4 8 FATI MA SAI D La voce soprano che viene dall’Egitto 5 0 C HARLEY VEZZ A Il direttore creativo dietro il rilancio di Gufram

6 6 NI C OL A R I CCI A R D I Il giovane direttore di Miart ripensa il futuro dell’arte

5 4 M I SHA KAHN L’artista designer che rompe le convenzioni

7 0 F R A N CE SC O M ON DA D O RI Dall’editoria a una start up per il benessere dei pet

6 2 JOAN THI ELE La musicista che ha fatto innamorare Sportmax

74 C A RO DAUR L’influencer crea una capsule collection con Hugo Boss

12 4 TOYS Auto, orologi e viaggi, tutte le novità per vivere una vita appassionata

14 8 LO S T I N RE L A I S Winery mastersuite, spazi hi-tech, piccole dimore e soggiorni detox per l’autunno

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DUA LIPA





POSH

EDITOR’S LETTER

NEW GENERATION: UN VALORE ASSOLUTO di Enrico Cammarota

Il nostro numero di Assoluto è in stampa mentre ulteriori limitazioni alla nostra libertà di movimento e di azione sono in corso, sviluppando quel senso di smarrimento che accompagna l’umanità di fronte al dipanarsi di nuovi destini mai considerati prima. Eppure è proprio nei periodi di maggiore difficoltà che spesso si è creata e sviluppata innovazione e si è dato vita a eccellenze. Questo grazie al più grande antidoto che l’uomo ha in sé: il sogno, il guardare oltre con l’immaginazione. Pensare e programmare tempi più favorevoli, trasformare i timori - a volte la rabbia - in un propulsore per il futuro è l’attività che ha reso spesso il mondo migliore. Per questo il numero di Assoluto l’abbiamo dedicato in gran parte al sogno e alla new generation. Andiamo a presentare alcuni giovani che con passione, qualità e abnegazione per la loro attività ci trascinano nelle loro realtà, incuriosendoci e a volte travolgendoci. Così come lo sguardo dritto, fiero e intenso di Lorena Cesarini che interpreta per noi la cover del mese indossando i sempre stra-

ordinari abiti di Valentino, in una location - Dom Edizioni - dove un artista artigiano come Domenico Mula crea degli interior di rara bellezza e impatto emotivo. I giovani ci aiuteranno con la loro energia a uscire in fretta da questo periodo intenso ma amaro. Lo faranno dando più valore alla sostanza che alle apparenze, alla qualità del vivere. A queste future richieste sono chiamati la moda, il design, l’arte stessa. Vogliamo nominare come Assoluto tutto ciò che alle spalle ha un impegno, di studio, di ricerca, di ore trascorse nel creare quel valore di unicità che ha reso famosi nel mondo i nostri settori più creativi. Produrre meno per correre inutilmente meno, salvaguardare il mondo dall’inutile forzato consumo e produrre Bellezza vera, intensa, che resti esempio nel tempo. Questo è un valore Assoluto e noi lo racconteremo numero per numero portando sempre più Posh a casa di tutti coloro interessati al cambiamento. Buona lettura

nella foto Misha Kahn: Soft-Bodies, Hard-Spaces, installazione alla Friedman Benda Gallery di New York

enrico.cammarota@uniquemedia.it

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Assoluto

COLOPHON

POSH POSH EXCLUSIVE LIFE

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Luxury Edition 6

E D I TO RI A L D I RE C TO R

Enrico Cammarota enrico.cammarota@uniquemedia.it

E D I TO R I N C H I E F

Luisa Micaletti luisa.micaletti@uniquemedia.it

STARRING

LORENA CESARINI

Assoluto

ANNA FOGLIETTA CHARLEY VEZZA MISHA KAHN JOAN THIELE FRANCESCO MONDADORI NICOLA RICCIARDI FATMA SAID IRENE FORTE CARO DAUR DAVIDE CARANCHINI DAVIDE GUIDARA DONATO ASCANI ISABELLA POTÌ MARTINA CARUSO MICHELANGELO MAMMOLITI PAOLO GRIFFA ORI KAFRI LUDOVICA DI GRESY

C O O RD I N A M E N TO

Marzia Ciccola

GRA P H I C D E S I GN

Stefania Di Bello

Luxury Edition 6

000-000-COVER-93-OK.indd 18

05/11/20 09:02

Cover story realizzata in collaborazione con Valentino Beauty in occasione del lancio di Voce Viva Lorena Cesarini indossa Valentino A cura di Luisa Micaletti Photography by Ursu Styling by Rebecca Del Vita Hair by Flavio Scarfalloto @Compagnia della Bellezza using Tecniart Pli Shaper Make Up by Elena Bettanello Styling Assistant Gaia Pucciarelli Photo Assistant Martina Manghi Location DOM Edizioni, Via Fatebenefratelli 18, Milano

H A N N O C O L L A BO RATO

Maurizio Bertera, Marinella Cammarota, Anna Casotti, Rebecca Del Vita, Alessandra Fanari, Alessandro Iacolucci, Lavinia Elizabeth Landi, Davide Landoni, Elena Poli, Fabrizio Rinversi, Paola Rondina, Antonella Tereo, Marco Torcasio

Posh è distribuito in Italia e nei seguenti paesi: Australia, Belgio, Brasile, Corea del Sud, Emirati Arabi, Finlandia, Giappone, Gran Bretagna, Hong Kong, Israele, Lituania, Malta, Olanda, Portogallo, Singapore, Taiwan, Ungheria

Unique Media Viale Sabotino 19/2 - 20135 Milano Tel. 02 49540591

Stampa Arti Grafiche Boccia Spa

Distribuzione SO.DI.P. “Angelo Patuzzi Spa” Via Bettola, 18–20092 Cinisello Balsamo

Posh è una pubblicazione bimestrale di Unique Media Srl Registrazione Tribunale di Milano n. 1 del 7/01/2003. ©Unique Media srl. Tutti i diritti riservati. Manoscritti e foto originali, anche se non pubblicati, non si restituiscono. è vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.

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POSH

MAGNIFICENT

D A U P H I N E S I N C E 18 5 4 La borsa Dauphine realizzata nel nuovo tessuto Jacquard Since 1854 di Louis Vuitton. La trama del materiale è impreziosita dal motivo con fiori Monogram, le iniziali LV e il numero che rappresenta l’anno della fondazione della Maison.

“LA TELA CONTINUA A TESSERE LA SUA MAGIA… UN EMBLEMA ETERNO, I FIORI DEL MONOGRAM SI INTRECCIANO CON LA DATA CHIAVE 1854”

LOGO REVOLUTION

Louis Vuitton reinventa il Monogram. Nasce una preziosa tela jacquard che racchiude l’essenza della famiglia fondatrice e il savoir-faire artigianale dell’iconica maison del lusso È Nicolas Ghesquière, direttore creativo delle collezioni donna di Louis Vuitton, a reinventare il logo cult del marchio in un nuovo motivo jacquard, in grado di racchiudere l’essenza della famiglia fondatrice guidata dal sublime artigianato. La nuova collezione ribattezzata Since 1854, onora la data di fondazione del marchio e trasforma l’8 in un petalo del fiore Monogram, rendendolo parte integrante del motivo della tela. Il nuovo tessuto racchiude nella sua es-

senza gli antichi ricordi impressi già da George Louis Vuitton che in memoria del padre, creò uno stemma neogotico ispirato all’arredamento della loro casa di famiglia ad Asnières. La nuova eclettica e raffinata tela jacquard impreziosisce i modelli iconici della Maison come la borsa Dauphine, la Neverfull e la Petit Noé. Decorando anche tutta una serie di accessori e prestigiosi elementi del guardaroba Vuitton, come i sensazionali bauli. 20

O N T H E G O S I N C E 18 5 4 La borsa OnTheGo proposta nella nuova versione realizzata nel tessuto Jacquard Since 1854 creato da Nicolas Ghesquière. L’estroso motivo che lo caratterizza combina la fantasia ispirata alla carta da parati vintage con gli iconici fiori Monogram e il numero che rappresenta l’anno di nascita della Maison. Accessorio completato da due tipi diversi di manici.


ABEILLE ROYALE, IL POTERE RIPARATORE DELLA SCIENZA E DELLE API

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MAGNIFICENT

EXHIBITION

Bags: Inside Out è ben più di un’esibizione di accessori, è la dimostrazione di come la società di oggi possa essere definita attraverso i suoi oggetti iconici

BORSE, UN AMORE INFINITO Gianni Versace, Safety-pin handbag, Spring-Summer 1994, Italy ©Victoria and Albert Museum, London

Louis Vuitton, Baule grande risalente al 1900, Paris ©Victoria and Albert Museum, London

Una modella con la Lait de Coco Evening Bag, disegnata da Karl Lagerfeld, 2014 ©J. Lloyd Evans

Il Victoria&Albert Museum di Londra dedica all’ossessione femminile per antonomasia, la borsa, una delle più esaustive mostre mai realizzate. Dalle handbags firmate dai fashion designer alle dispatch boxes usate dai Reali inglesi, dai vanity case agli zaini militari, l’esposizione esplora la nostra fascinazione nei confronti di questo oggetto, fino a renderlo vera icona dei tempi moderni. Con 300 oggetti esposti, dalle piccolissime borsette a misura di dito fino ai lussuosi bauli da viaggio, divisi in tre aree tematiche, la mostra indaga la tradizione mondiale dal sedicesimo secolo ad oggi. E se nella prima sezione

(Function) vengono messe in evidenza le borse di uso pratico, comprese rarità come quella in cui veniva riposta la matrice in argento della Regina Elisabetta I Great Seal of England o la maschera antigas appartenuta alla Regina Mary durante la II Guerra Mondiale, nella seconda sezione (Status and Identity) si riconoscono le icone nate per l’influenza dell’alta società, come la Kelly di Hermès o la Lady Dior, fino al fenomeno delle Itbag della fine degli anni ‘90 e gli inizi dei 2000. Infine nel Design and Making si assiste ai processi produttivi, dal disegno alla vendita di questi accessori ormai sdoganati a necessari. 22

Lemiere, Borsa per l’Opera, 1910, Paris ©Victoria and Albert Museum, London

DAL 20 NOVEMBRE 2020 VICTORIA&ALBERT MUSEUM CROMWELL ROAD LONDON, SW7 2RL


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P O S H P R O TA G O N I S T

INTERVIEW

Starring

ANNA FOGLIETTA È una donna realizzata e felice. Attrice di talento, madre e moglie, madrina dell’ultimo Festival del cinema di Venezia e ora anche Musa del brand Filorga. La forza di Anna Foglietta è essere straordinariamente semplice. Così tra bellezza e impegno, cinema e femminilità, il dialogo con lei fluisce in modo avvincente nella sua naturalezza

A cura di Luisa Micaletti

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PHOTO ALFONSO CATALANO/SGP

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P O S H P R O TA G O N I S T

Se i limiti sono solo illusioni, i sogni si realizzano solo se ti sforzi di farli accadere. Per questo l’attrice romana sottolinea più volte, tradendo una certa nostalgia miscelata a soddisfazione, come il suo successo l’abbia costruito con l’impegno quotidiano. Nel 2006 Anna Foglietta debutta nella fiction “La Squadra”, la crescita da qui è costante, con ruoli importanti in “Ex – Amici come prima!” (2011), “Tutta colpa di Freud” (2014) e “Perfetti sconosciuti” (2016). Se il 2019 la vede candidata ai David di Donatello come Miglior attrice protagonista di “Un giorno all’improvviso”, il 2020 la premia come madrina del Festival del Cinema di Venezia. Qui emerge come simbolo di bellezza, classe e impegno sociale. Auspica un mondo dove ognuno possa riconoscere la propria bellezza, intesa come manifestazione dall’anima in grado di distinguersi. Anche per questo è stata scelta da Filorga per la campagna #LaMiaStoriadiBellezza, progetto che valorizza l’individualità in ogni volto femminile. Qual è il primo pensiero che la sveglia al mattino? Penso alla giornata che mi aspetta e a come affrontare al meglio la quotidianità che di questi tempi non è per nulla scontata. Penso a tutti gli impegni cercando di metterci sempre energia e positività. Ho la fortuna di avere la mia famiglia con me: con mio marito e i miei figli tutto diventa più semplice. Attrice, ma anche moglie e madre. La sua normalità ha dell’eccezionale, non crede? No, non penso di fare nulla di straordinario. Ci sono molte persone che conciliano tutto questo al giorno d’oggi, impegni familiari e lavorativi. Ognuno lo fa come può, ma ormai penso sia la normalità. Per me è un dovere ma anche un piacere. C’è un elemento che crede definisca maggiormente la sua identità? Sono una donna sempre alla ricerca della soluzione e il problema, per come mi è stato insegnato, non può essere un ostacolo. Caparbietà e tenacia le considero miei punti di forza. A questo dobbiamo aggiungere anche la onlus “Every child is my child”. Quanto conta l’impegno sociale per lei? Moltissimo. Penso che un dovere umano sia anche aiutare il prossimo, specialmente i bambini, che troppo spesso sono vittime innocenti di guerre e odio. Anche

INTERVIEW

durante il lockdown l’associazione si è impegnata a tenere loro compagnia con un piccolo momento di svago e piacevole distrazione, in cui molti artisti del mondo dello spettacolo hanno prestato il loro volto per leggere delle favole in diretta sul profilo Instagram della onlus. Momenti come questo, anche se piccoli, danno sollievo e regalano gioia: le piccole cose smuovono il mondo. Come riesce a conciliare tutto? Ci piacerebbe conoscere una sua giornata tipo. Dipende. Se sono impegnata sul set ho dei ritmi molto serrati: amo il mio lavoro, e anche fuori dal set dedico molto tempo allo studio del personaggio, è importante. Cerco comunque di ritagliarmi sempre dei momenti per me e la mia famiglia, quindi faccio la mamma e la moglie: cucino, gioco e chiacchiero con mio marito e i miei figli... Se non ci fossero loro! Si sente un’eccezione o vede il mondo femminile ormai libero da vincoli culturali? Penso che le donne stiano imparando a farsi valere e a far sentire la loro voce. Sebbene il maschilismo sia purtroppo ancora culturalmente radicato nella nostra società, vedo donne come me che sanno il fatto loro, raggiungono obiettivi, non si fanno mettere i piedi in testa, lottano. Io ho fatto il mio percorso e sono una donna realizzata e felice. Ci sono anche donne alla guida di un Paese! Ne vado fiera. Col tempo confido che anche altri gap vengano colmati. Un periodo complesso per tutti, ma che a lei ha riservato anche molte soddisfazioni. Come lo sta vivendo? Purtroppo la situazione drammatica che coinvolge tutti non mi fa vivere il periodo in totale serenità, ma sono di certo soddisfatta e orgogliosa di aver avuto modo di lavorare molto. È stato un onore e una responsabilità aver lavorato in questo periodo così delicato. Ho sempre seguito quello che più amo fare e, se i risultati sono questi, avanti tutta! Cosa ha significato per lei il ruolo di madrina alla Mostra del Cinema di Venezia 2020? Vivo il mio mestiere con grande senso di responsabilità, anche collettiva, e per questo mi sento fortunata ad essere stata scelta come madrina di quest’ultima edizione, triste e felice insieme. Abbiamo dato in quel momento un segnale di ripartenza economica e culturale forte, l’abbiamo fatto in sicurezza ed è andato tutto benissimo. È stato un grande onore farne parte e rappresentarlo insieme a tanti altri. 26


«Per me ogni giorno è una conquista. Ho ancora molto da fare e spero di realizzare molte altre belle cose, ho ancora dei sogni nel cassetto»

PHOTO JULIAN HARGREAVES

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P O S H P R O TA G O N I S T

INTERVIEW

Quali sono gli attori e le attrici che più l’hanno impressionata? Ha qualche curiosità da condividere? Sicuramente Cate Blanchett e Tilda Swinton, due donne pilastro della cinematografia mondiale. Tre film in uscita nel 2020. Ci racconta qualcosa? In D.N.A. - Decisamente Non Adatti di Lillo e Greg, uscito ad aprile, ho dovuto interpretare 3 donne, un’esperienza unica: caratterizzare tre donne cercando di mantenere una linea di realismo non è semplice, ma bisogna sempre partire dalla verità per fare commedia. Il talento del calabrone di Giacomo Cimini, invece, arriverà su Amazon Prime il 18 novembre e sarò al fianco di Sergio Castellitto e Lorenzo Richelmy in un thriller davvero avvincente in cui interpreto un tenente colonnello. Infine al cinema il 26 novembre uscirà Si vive una volta sola, esilarante commedia di e con Carlo Verdone: la storia di 4 amici che riserverà non poche sorprese. A inizio carriera immaginava avrebbe raggiunto questo successo? No, assolutamente. Ma non me lo chiedevo nemmeno, ho sempre fatto tutto passo passo, seguendo il mio istinto. Ero guidata dalla passione che sentivo per questo lavoro, mi sono fidata, ed eccomi qua. Ci sono dei modelli a cui si è ispirata? Da piccola avevo un rito molto bello che era quello di guardare Ben Hur con papà, ed era incredibile vedere quelle donne bellissime piene di fascino nonostante la lebbra, così come Charlton Heston che acquisiva potenza estetica al culmine della drammaticità scenica. Questa era la grande Hollywood: Marlene Dietrich, Grace Kelly... Poi crescendo mi sono innamorata della Streep e della Winslet, loro sono le attrici che più amo in assoluto. In Italia ho una passione per tante colleghe: da Alba Rohrwacher a Jasmine Trinca, Micaela Ramazzotti, e dal passato la Mangano e la Vitti, e su tutte la Magnani, senza tralasciare un amore folle per Franca Valeri. Ricorda un momento in particolare dove ha pensato “Ho realizzato i miei sogni”? Per me ogni giorno è una conquista. Ho ancora molto da fare e spero di realizzare molte altre belle cose, ho ancora dei sogni nel cassetto. Ho fatto molta strada e me lo riconosco, anche la famiglia è uno dei miei sogni realizzati. Ma la vita è così piena di sorprese, spero abbia in serbo per me altre cose belle. Quali prospettive vede per il mondo del cinema a del teatro? Il cinema e il teatro sono una vera e proprio industria per il nostro Paese. La loro chiusura non giova a nessuno, si 28

precludono arte, cultura e bellezza, ma soprattutto lavoro per tutte le persone che questo mondo lo alimentano e lo vivono. Mi auguro con tutto il cuore si riesca a garantire presto la loro riapertura e che la situazione sanitaria non peggiori. Dobbiamo tutti vivere in sicurezza, senza però abbattere o mettere a repentaglio intere categorie di lavoratori. Un ritorno all’essenziale può essere la soluzione per ripartire? Non solo nel cinema. Penso che da marzo siamo tutti tornati, chi più chi meno, a riscoprire l’essenziale delle cose. È stato sicuramente formativo e ha aiutato a dare un senso alle giornate che tutt’ora ci capita di passare in casa. È un buon punto di partenza, ma poi serve il sostegno di molto altro, servono i giusti aiuti, i giusti provvedimenti. Ognuno nel suo piccolo deve fare qualcosa con gli strumenti che ha e che la situazione consente. Quali sono i suoi obiettivi per il futuro? Continuare a svolgere al meglio il mio lavoro ed essere una buona madre per i miei figli, che crescono a vista d’occhio! Cosa significa per lei bellezza? È un termine che può avere mille sfaccettature, ma lo collego istintivamente alla parola “anima”. Ciò che per me è bello è qualcosa che ha un’anima, qualcosa che noti, non perché segue dei canoni estetici precisi, ma perché emerge, spicca, rispetto ad altro. Come se ti parlasse, se cogliesse la tua attenzione e ti dicesse qualcosa: un quadro, un oggetto, la copertina di un libro, un volto. Come cerca di metterla in pratica su di lei? Curando il mio aspetto senza diventare maniacale. Cerco di ascoltare il mio corpo e capire di cosa ha bisogno, senza esagerare. Ogni persona ha esigenze diverse, gusti diversi, bisogna conoscersi, rispettarsi e sapersi valorizzare. La cosmetica che ruolo gioca? Ha sicuramente una sua valenza e penso sia un bel momento che ogni donna riserva per sé, quasi intimo, personale, dove ognuna gioca con i propri lineamenti e colori per far risaltare i propri punti forti. Pensa che essere belle sia fondamentale al giorno d’oggi? È e sarà sempre un buon biglietto da visita, ma non è assolutamente tutto, perché poi entra in gioco la persona e il modo in cui utilizza questa sua fortuna. È un’arma a doppio taglio, non facile da gestire, ma se usata nel modo corretto può dare molti vantaggi.


PHOTO ALFONSO CATALANO/SGP

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P O S H P R O TA G O N I S T

E sentirsi belle? Questa è di certo la cosa più importante. E mi ricollego alla parola “anima” di prima, se una donna si sente bella allora avrà sicuramente qualcosa in più, emerge, emana un’energia particolare e diversa. State bene con voi stesse e vi sentirete belle, il mondo attorno se ne accorgerà. Crede che la moda, tramite i valori che evoca, possa aiutare una donna a sentirsi più forte? La moda gioca un ruolo chiave, ma non solo per le donne, anche gli uomini la seguono molto. Penso faccia sentire più forte solo chi sa effettivamente portare degli abiti che rappresentano la sua persona, firmati o meno che siano, con i capi che si indossano ci si deve sentire a proprio agio. Solo così, allora, ci si “sente forti” ed emerge la nostra personalità.

INTERVIEW

rivendicare, con fermezza, l’idea che non devi fare qualcosa solamente per un uomo. Questo non vuol dire rinunciare alla propria dose di femminilità o al volersi sentire coccolate e protette dal proprio compagno. Io amo le donne con grandi ideali, forti e intelligenti. Come Musa Filorga, che messaggio vorrebbe mandare? Trovate la vostra bellezza in quello che siete, nella vostra personalità, nei vostri difetti e pregi. Tutto racconta di noi, tutte siamo uniche in qualcosa. Qual è l’ultimo pensiero che la addormenta la sera? Rifletto su come riuscire a svolgere sempre meglio il mio ruolo di attrice, moglie e madre.

Esiste una ricetta per essere affascinanti o è una chimica inafferrabile? Non penso esista un “manuale del fascino”. Si può affinare, forse, ma anche questo viene istintivamente, quindi penso sia una qualità innata. Oggi è possibile rimanere autentici o in qualche modo siamo sempre influenzati da qualcuno/qualcosa? L’autenticità è qualità di pochi al giorno d’oggi. Si vuole emulare e assomigliare ad altri perché fondamentalmente non si conosce se stessi, o non ci si piace, perché si è troppo concentrati ad apparire più che a voler scoprire e far emergere la nostra persona. Costa troppa fatica, oggi si vuole ottenere tutto e subito. Ma la ricerca e la scoperta di sé richiede tempo, a volte un’intera vita.

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Il Body Shaming, per esempio, sembra un problema di complicata risoluzione. Purtroppo non si accetta il diverso, di base penso sia questo. Siamo fermi e standardizzati in stereotipi che erroneamente si prendono come vincenti rispetto ad altre forme di bellezza. L’odio che emerge anche in questo frangente è sintomo di una società malata. È giusto parlarne e sensibilizzare sul tema attraverso tutti i media che si hanno a disposizione: internet è uno strumento utilissimo, quando usato con coscienza.

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Si rivede negli ideali femministi? Molto. Ho avuto la fortuna di interpretare anche personaggi femminili che hanno portato avanti questi ideali, come Nilde Iotti, una grande politica e una donna che ha difeso strenuamente i diritti delle donne. Il femminismo oggi è

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Il tessuto diventa gioiello Il Tweed, tanto amato da Mademoiselle, è il grande protagonista dell’ultima collezione di Haute Joaillerie Chanel. Un’ispirazione che il direttore dello Studio de Création Joaillerie ha esplorato e trasposto nella trama articolata di un gioiello Testo di Alessandra Fanari

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POSH

MAGNIFICENT

Un Tweed non geometrico e rigido ma morbido, sensuale che restituisce l’effetto filato della tessitura

TWEED DE CHANEL, CHANEL High Jewelry, TWEED GRAPHIQUE, bracelet in white gold, set with onyx, diamonds and one 5,05-carat cushion-cut diamond.

PAGINA SINISTRA: TWEED DE CHANEL, CHANEL High Jewelry, TWEED COUTURE necklace, in platinum and pink gold, set with pink sapphires, spinels, diamonds and one 10,20-carat cushion-cut diamond. assembly of the chains.

«Volevo creare del Tweed utilizzando le materie preziose della Haute Joaillerie, qualcosa di assolutamente nuovo, mai fatto prima». È così che Patrice Leguéreau racconta l’idea di Tweed de Chanel, una collezione sperimentale di 45 pezzi, totalmente inedita, in cui vengono abbandonate le vie della figurazione per guardare all’astrazione. La metafora con le arti plastiche non è casuale, perché, per questo designer, diplomato all’Ecole Boulle nella sezione Métiers d’Art, tutto comincia sempre da uno schizzo, dal disegno. Una metodologia che, come precisa, è «Un modo per catturare, dare forma all’idea della collezione». Ma se questo principio è valido per tutte le collezioni, Tweed de Chanel ha qualcosa di diverso e apre un nuovo capitolo, più astratto rispetto alle precedenti. Dopo aver esplorato l’iconografia classica della Maison, attinto dagli archivi i simboli chiave dell’universo Chanel come il leone, la cometa, le costellazioni

astrali, raccontato i suoi personaggi come nel Paris Russe de Coco Chanel, qui la narrazione si interrompe, aprendosi a un’altra sfida: trasporre la leggerezza del tessuto nella solidità delle materia, infondere nel struttura del gioiello la vivacità irregolare del Tweed. Un’astrazione, ma anche un challenge in termini di possibilità tecniche a cui, grazie allo sforzo comune dello Studio de Création de Joaillerie e dell’Atelier de Haute Joaillerie, si arriva dopo due anni di ricerca, disegni, scambi, riflessioni traducendo «in volumi la texture, l’effetto di morbidezza, il confort del tessuto. I gioielli sono strutturati, gli elementi si articolano in una trama intessuta che evoca il tweed». Colliers che si sfilacciano, si aprono in un ventaglio di stalattiti incastonate di pietre preziose, come anche bracciali e manchettes che si chiudono in una trama ordinata fitta di texture diverse e irregolari, il tutto per garantire quello 33


POSH

INTERVIEW

TWEED DE CHANEL, CHANEL High Jewelry, TWEED GRAPHIQUE brooch in white gold, onyx and diamonds.

TWEED DE CHANEL, CHANEL High Jewelry, TWEED D’OR necklace in yellow gold and platinum, set with cultured pearls,diamonds and one oval-cut imperial, topaze of 20,40 carats.

che Leguéreau definisce «un Tweed non geometrico e rigido ma morbido, sensuale» che restituisce l’effetto filato della tessitura, lasciando intravedere le possibilità di questo tessuto che si presta a ogni possibile variazione. «Dallo stesso tema ho creato trame sfrangiate, sfilacciate e ricamate, effetti più o meno densi, sfumature di pietre colorate o contrastanti», racconta. Una collezione nel puro spirito dell’Arts and Crafts, che scolpisce il dettaglio, che fonde creatività, savoir-faire, avant-garde e alto artigianato, nella continuità di un’eredità che valorizza e protegge Les Métiers d’Art. Ma anche un omaggio all’audacia creativa di Coco Chanel, alla sua moda che sfidava, già dagli anni ‘20 gli stereotipi di genere e che introduceva proprio il Tweed, sartorialmente legato all’universo maschile, come elemento chiave una nuova moda femminile. Un vocabolario stilistico basato sulla libertà, sul movimento, sul comfort per una 34

donna dinamica, che viaggia, che afferma la sua personalità attraverso il vestito. «Quello che stavo cercando di esprimere era la ricchezza di questo materiale. E anche la sua femminilità, proprio come voleva Gabrielle Chanel quando ha integrato il tweed nell’abbigliamento femminile degli anni Venti. E da allora lo ha costantemente reinventato». Tessuto simbolo di questa nuova visione, il tweed continua a evolvere, prestandosi, nella sua ricchezza, al libero gioco dell’interpretazione. Dal guardaroba maschile a quello femminile, dall’universo della moda all’arte del gioiello. È in questa fluidità che la collezione Tweed de Chanel rivela tutta la sua dimensione. Dagli anni Venti al 2020, dalla Scozia, di cui è originario, agli atelier di Place Vendôme, il Tweed non smette di sorprendere, tessendo la trama intricata e irregolare di una creatività libera e senza frontiere.


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THE NEW GENERATION A cura di Enrico Cammarota

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LORENA CESARINI

A cura di Luisa Micaletti

Arrivata al successo con Suburra, Lorena Cesarini colpisce per la sua determinazione e il suo carisma. Laureata in Storia in realtà ha sempre saputo che sarebbe stata attrice. Ora è protagonista della cover story di Posh Assoluto dedicato alla new generation

Ogni cosa è connessa, anche se a volte non ce ne accorgiamo. Tutto è invisibilmente parte di un disegno che sfugge al nostro controllo. Capita qualche volta, però, che il destino commetta un errore e lasci che un individuo riesca a scorgerne i progetti, prendendo su di esso un irrecuperabile vantaggio. Quando fa il suo ingresso sul set non sappiamo ancora che Lorena Cesarini è tra questi. La convinzione che il sottile strato di pelle levigata e lucida nasconda qualcosa di segretamente maestoso matura però nel momento in cui si manifesta la sua voce. Potente e misteriosa, non la si ricondurrebbe mai a quel fisico minuto e agile. Solitamente un corpo concentra su di sé la gravità quanto più è grande, mentre Lorena riesce a farlo nella leggerezza del suo profilo snello. Un mistero della fisica, come i suoi capelli afro che paiono scolpiti, affilati e nobili i lineamenti, camaleontico il suo sguardo, dolce e spontaneo quando racconta della sua vita, sottile e penetrante quando affronta l’obiettivo. 38

Lorena Cesarini indossa total look Valentino Location e interior di DOM EDIZIONI


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Non importa se per un film o uno shooting fotografico, nella stanza Lorena posa come al centro del firmamento. Possiede la naturalezza di chi conosce storie non ancora raccontate e ne anticipa lo svolgersi. Ieri era il cinema, oggi è la Maison Valentino. Domani? La sensazione è che lei già lo sappia, ma che ancora non voglia rivelarlo.

della moda è una dimensione che mi affascina tantissimo. Quando ero piccola sognavo di fare la modella, forse perché negli anni ’90 avevo davanti delle icone incredibili, come Naomi Campbell, speravo molto di rivedere qualcosa di lei in me. Invece ora sono qui a muovere i miei primi passi nella moda.

Lorena Cesarini, fin da piccola, sapeva che avrebbe fatto l’attrice. Perché attrice, come confessa senza retorica, lo è sempre stata. Addirittura non ha nemmeno preso lezioni di recitazione, almeno non prima di aver girato il primo film - “Arance & Martello” (2014). Sapeva che, prima o poi, per strada qualcuno l’avrebbe fermata per portarla sul grande schermo. E così è stato. Nel frattempo però ha conseguito una laurea in Storia Contemporanea, lavorando come cameriera la sera per mantenersi. Poi l’incontro fortuito, l’invito a partecipare a un provino e la scelta di dedicarsi al lavoro di attrice a tempo pieno. «Sono una secchiona», esclama ridendo, «perciò ho sentito il bisogno di tornare a studiare, anche a costo di fare dei sacrifici». Si iscrive allora al Centro studi Acting di Lucilla Lupaioli, che frequenta di giorno mentre la notte prende ordinazioni fino a tardi. Ora ne parla con la sua voce leggermente rauca, ruvida che riesce a grattare l’anima. Quando racconta della sua vita è impossibile sfuggirle, un concentrato di energia che rompe gli argini dell’attenzione per monopolizzarla. Le labbra disegnano la sua parabola attoriale, definitivamente decollata con il ruolo in “Suburra” (2017), la serie Netflix che racconta la criminalità romana. «Non mi fanno paura le sfide, anzi le cerco» dice riferendosi al suo ruolo, la prostituta Isabel Mbamba. Nella difficoltà, al fianco di Alessandro Borghi, si è fatta le ossa. Per questo arriva matura ne “L’interprete” (2018), cortometraggio girato da Hleb Papou, che le vale numerosi riconoscimenti come quello di Miglior attrice protagonista al Movie Planet Film Festival. «Preferisco i film drammatici», sostiene, ma le commedie le riescono piuttosto bene. Lo testimoniano “Il professor Cenerentolo” – di Leonardo Pieraccioni del 2015 – e l’ultimo suo lavoro, “È per il tuo bene” di Rolando Ravello, distribuito nel 2020 su Amazon Prime. Originaria di Dakar (1987) ma residente a Roma, possiede una bellezza esuberante. La sua eleganza si sublima davanti all’obiettivo, il legame con Valentino brilla dell’entusiasmo della novità, soprattutto mentre indossa i capi della Maison con una fierezza quasi irriverente. Forse l’aiuta Voce Viva, la nuova fragranza Valentino in cui l’attrice ritrova i valori che da sempre sente suoi: coraggio, determinazione, indipendenza, sensibilità e ispirazione.

E come sta andando? Per ora mi viene spontaneo vivere la dimensione nelle sue intersezioni con il cinema, sono due mondi che si sfiorano spesso, anche se in realtà sono molto differenti. È divertente fare gli shooting, c’è sempre un obiettivo con cui misurarmi, è bello. La moda è un mondo che mi affascina, mi appare ancora più complicato di quello del cinema, ma anche solo indossare gli abiti di Valentino è bellissimo. Il lavoro dell’attore mi coinvolge maggiormente, quando recito ho la possibilità di evocare l’intero spettro delle emozioni, e io vivo di emozioni. Mi fanno sentire viva. C’è qualcos’altro che ti fa sentire viva? Scrivere, poesie soprattutto. Leggo spesso, soprattutto Patrizia Cavalli, una delle mie poetesse contemporanee preferite. Quando sono triste e sento una certa malinconia, spesso mi sfogo scrivendo. È un’evasione. Anche viaggiare in questo senso ti aiuta? È fondamentale. Ti apre la mente: conosci nuove persone, mangi nuovi cibi. Vedi il diverso, vedi l’altro, ciò a cui non sei abituato. Sono affascinata in particolare dalle isole, dall’idea di isola. Chi le abita ha un’indole diversa, vive circondato dal mare costantemente e trovo che sia magico. Ibiza e Ponza sono i miei posti preferiti. La recitazione ti appartiene da sempre. Che tipo di percorso è stato il tuo? Appena ho iniziato a formulare pensieri ho saputo sarei diventata attrice. Inizialmente credevo che si dovesse essere necessariamente figli d’arte, ma d’altra parte ho sempre visto la recitazione nel mio destino, quindi sapevo che prima o poi sarebbe accaduto, che qualcuno mi avrebbe fermato per strada e scelto. Ed è accaduto veramente? Ho aspettato che questo accadesse, ho continuato a studiare e mi sono laureata. E poi, finalmente, è successo. Il casting director di “Arance&Martello” mi ha incontrato per le strade di Roma e così è iniziato tutto. Prima non avevi mai nemmeno frequentato un corso? No, ho iniziato a studiare recitazione dopo il primo film. Il talento da solo non basta, avevo bisogno di una base solida.

Soprattutto cinema, ma anche moda. Vivi tra due mondi? Sono attrice, nasco attrice: è il sogno della mia vita. Il mondo 40


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Cover story realizzata in collaborazione con Valentino Beauty in occasione del lancio di Voce Viva

Photography by Ursu Styling by Rebecca Del Vita Hair by Flavio Scarfalloto @Compagnia della Bellezza using Tecniart Pli Shaper Make-Up by Elena Bettanello Styling Assistant Gaia Pucciarelli Photo Assistant Martina Manghi Special thanks to DOM Edizioni, via Fatebenefratelli 18, MILANO 45


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Farlo prima non aveva senso, avevo paura di ritrovarmi senza alternative. Sono una secchiona, quindi mi sono impegnata a fondo per raggiungere il mio sogno. Io sono attrice; lo faccio da qualche anno, ma lo sono da sempre. In questo senso “Suburra” è stata una svolta? Sicuramente. Il mio primo ruolo importante, con un serio lavoro di preparazione. È stato difficile affrontare i provini, è stato difficile capire Isabel. Ma non mi fanno paura le sfide, anzi le cerco. Un personaggio come Isabel mi ha permesso di esplorare, di studiare più a fondo e mettermi alla prova. Il primo ruolo drammatico in cui mi sono davvero messa in gioco. Cosa ricordi in particolare dell’esperienza? Lavorare al fianco di Alessandro Borghi mi ha aiutato molto. La sua carriera è sempre stata un esempio per me, perché ha seguito il percorso che vorrei fare. Ha sempre creduto nelle sue potenzialità, nonostante la nostra professione comporti spesso numerose porte in faccia. Registi con cui sogni di collaborare? Stimo particolarmente Matteo Garrone. Ammiro molto anche Paolo Virzì, Francesco Munzi e Luca Guadagnino. Mi trovo molto in linea anche con lo stile dei fratelli D’Innocenzo. Lasciando l’Italia, mi sentirei a mio agio nell’atmosfera cinematografica francese, per cui penso ad esempio a Xavier Dolan. Poi sognando in grande non posso che pensare a Christopher Nolan. Per “L’Interprete” hai ricevuto numerosi premi. Anche tu ritieni sia uno dei tuoi lavori migliori? Sono molto soddisfatta, ero sicuramente più matura rispetto alle esperienze precedenti. Con “Suburra” mi sono fatta ossa forti, quindi credo che Francesca sia più completa rispetto a Isabel. Ma del resto entrambe hanno avuto il loro momento ed è giusto così, non saprei indicare l’interpretazione migliore. Forse c’è la speranza che il prossimo ruolo da ricoprire sia sempre il migliore. Sono soddisfatta dei riconoscimenti che abbiamo ricevuto. È stato un film molto accurato, con una preparazione di cinque mesi e numerose tentativi prima di raggiungere questo risultato di cui ancora stiamo raccogliendo i frutti.

molto anche il fantasy, magari presto vestirò i panni di un vampiro! Un vampiro che veste Valentino sarebbe inedito. Cosa si prova a indossare quegli abiti? È un sogno, sono dei capi incredibili. Ne ho avuto un assaggio durante la Milano Fashion Week, quando ho assistito alla sfilata di Valentino. Devo ammettere che non credevo che la moda potesse emozionarmi a tal punto, da fuori non avevo mai percepito tutto quello che racchiude. È stato uno spettacolo di pura arte, mi sono veramente commossa alla sfilata. Come è nato il rapporto con la Maison? È una novità per me, un’esperienza inedita. Essere stata scelta da Valentino è un onore. Tutto è nato con Voce Viva, la nuova fragranza. Sono molto contenta di collaborare a questo progetto, condivido in pieno la filosofia su cui nasce il profumo. Mi rappresenta. Quindi è una soddisfazione e un onore essere stata scelta, come se Valentino avesse percepito e riconosciuto in me la persona giusta per incarnare i valori che volevano trasmettere. Cosa significa dunque Voce Viva? È un’esortazione a far sentire la propria voce. A dare respiro ai nostri sogni. La voce è il veicolo delle nostre emozioni. Ridi canta urla piangi senza vergogna. La voce è viva. Viva. Non è bellissimo? È un aggettivo fantastico. Sembra più di un semplice profumo. È più di una fragranza, è un invito a manifestare le proprie emozioni. Esorto tutte le donne a dare vita ai loro sogni, a far sentire la propria voce. (ha collaborato Davide Landoni)

Due grandi successi in due ruoli drammatici, quindi. Nel 2020 invece è uscita la commedia “È per il tuo bene”. C’è uno dei due generi che prediligi? Preferisco i film drammatici, questo sì, ma non è automatico che per questa ragione mi riescano meglio i ruoli drammatici. Forse è solo una coincidenza. Alla fine dipende molto dal personaggio. Per esempio mi piace 46


Per sentirsi ancora piĂš femminile Lorena indossa la nuova fragranza Voce Viva di Valentino

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Fatma Said è una giovane soprano affermata in tutto il mondo. I sacrifici compiuti e il successo raggiunto la rendono un fenomeno cross culturale, simbolo di integrazione e speranza

Una voce dall’Egitto

Quante note sono risuonate dal 2005 ad oggi? Impossibile saperlo. Tra queste, però, stiamo oggi imparando a riconoscere quelle che provengono dalla voce di Fatma Said, classe 1991, originaria del Cairo. È infatti da quando aveva 14 anni che il futuro soprano ha iniziato a prendere lezioni di canto, scoprendo il talento che l’avrebbe condotta lontano dall’Egitto, paese ancora impreparato per apprezzare l’arte. L’Hanns Eisler School of Music a Berlino, le difficoltà di ambientamento, il sacrificio, un sogno da raggiungere. E poi l’occasione unica, irripetibile, da prendere al volo: Fatma Said viene ammessa all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano, diventando il primo soprano egiziano a esibirsi sul palcoscenico di via dei Filodrammatici. Un vento esotico capace di raggiungere grandi palcoscenici come la Shangyin DALL’EGITTO LA SEGUONO E ATTRAVERSO DI LEI INTRAVEDONO IL FUTURO. SE NON È GIÀ UN SIMBOLO, SICURAMENTE È UN’ISPIRAZIONE

Opera House di Shanghai, la Royal Albert Hall di Londra, il Concertgebouw di Amsterdam e tanti altri. La prossima destinazione è il San Carlo di Napoli, dove interpreterà Zerlina nel Don Giovanni, previsto per febbraio 2021. Nel frattempo ha realizzato un album con la Warner Classics. El Nour (Luce), è un gioiello in cui si alternano brani vocali di compositori francesi, spagnoli ed egiziani, a canti della tradizione popolare araba. Fatma Said è bella, giovane, determinata. Un soprano cross culturale che attraversa l’Africa, l’Europa e il mondo intero per unirlo sotto la grazia della sua voce.

Nella foto a sinistra Fatma Said by Josef Fischnaller.

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Uno tzunami di creatività Charley Vezza è la guida di Gufram, marchio controcorrente per definizione, con quella chaise longue a forma di prato fuori scala e quell’attaccapanni dalla foggia di un Cactus Testo di Marzia Ciccola

Il design anticonformista degli anni Sessanta ha oggi il viso di Charley Vezza, trentaduenne imprenditore piemontese, che collabora con l’artista Maurizio Cattelan, con designer come gli olandesi Studio Job e i newyorkesi Snarkitecture. Il marchio fondato a Torino come realtà artigianale e artistica, si impose nel panorama del design industriale degli anni ‘60 e ‘70 forzandone i limiti e creando capolavori come Cactus, il Pratone o il divano Bocca, che proprio quest’anno festeggia i 50 anni. Sculture domestiche che interpretarono in quel momento il confine tra arte e design e che ancora oggi meravigliano per la loro attualità. Nel 2012 il marchio è stato acquisito da Sandra Vezza e da allora il figlio Charley è il direttore artistico, iniziando un’operazione di forte rilancio.

Hai avuto a soli 25 anni la responsabilità di guidare un’azienda storica come Gufram che, insieme a pochi altri, ha fatto la storia del design italiano. Come ti sei posto nei suoi confronti? Qualche timore? Avevo l’arroganza della giovinezza. A 25 anni credi di poter fare tutto, di sicuro adesso mi spaventerebbe di più. Gufram ha 50 anni di storia, è vero, ma c’è stato anche un lungo periodo di pausa: per dieci anni, dal 1966 in poi, visse momenti di gloria, ma in seguito ci furono solo delle riedizioni. Non si può quindi parlare di un’evoluzione costante del brand nel tempo. Quindi seppure avessi l’arroganza o l’incoscienza dell’età, è anche vero che per rivitalizzare Gufram bastava semplicemente fare qualcosa. 50


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Charley Vezza durante Gufram on the Rocks, alla Carla Sozzani Gallery, Milano Design Week 2016 ŠMeschina

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alla seconda, avendo chiaro però di voler continuare a creare oggetti iconici di “total culture”. Abbiamo quindi cambiato il paradigma: per Gufram non è interessante avere un oggetto “disegnato da”, ma io li definisco tutti co-branding - con Toiletpaper o Studio Job piuttosto che Snarkitecture - che mettono azienda e designer/artista sullo stesso piano. Sono due identità progettuali, due personalità che si incontrano. E nonostante siano mondi totalmente diversi ci sono affinità che consentono un cobranding che dura nel tempo. Sono universi che collidono creando qualcosa che li mette sullo stesso piano. Ora tutti si fregiano di essere anticonformisti, ma rispetto a 50 anni fa è tutta un’altra cosa... La realtà è che la produzione è talmente ampia che è difficile creare qualcosa che non sia già stato fatto. Noi abbiamo la maestria ineguagliabile nella lavorazione del poliuretano flessibile e abbiamo sviluppato e brevettato il Guflac®, una speciale vernciatura. È un processo davvero lungo, difficile e complesso (al poliuretano vengono applicate ben dodici mani di Guflac® artigianalmente). È ciò che ci rende unici e ci protegge dai falsi. Gufram, Soap Low table of soft polyurethane, in collaborazione con Toiletpaper, 2014. Limited edition 1/300

Da dove hai cominciato? Innanzitutto cercando di capire cosa Gufram è stato. Ascoltando le storie di tutti mi sono costruito la mia idea di Gufram, un piccolo atelier laboratorio dove i giovani studenti del Politecnico di Torino venivano invitati a creare. Tutto però usciva dalla testa di quel grande artista-artigiano che fu Gilardi, che innovando tecnologicamente diede la possibilità ai designer di “giocare” e creare il Pratone, piuttosto che il Cactus. Quando alla fine del percorso riesci a risalire alla storia dei prodotti, capisci che il valore fondamentale, il fil rouge che legava tutto, altro non era che l’anticonformismo, che sfidava le leggi prestabilite. Da Gufram insomma volevano fare ciò che gli altri non osavano fare. E se ancor oggi quegli arredi suscitano meraviglia, immagina negli anni ‘60! Ho creduto fosse importante mantenere il valore fondante del marchio, ovvero “fare ciò che gli altri non fanno”. Per prima cosa quindi ho cercato di immaginarlo come un playground e invitare grandi creativi a sfogare la loro creatività con il nostro materiale e la nostra storia. Sono arrivati Marcel Wanders, Karim Rashid, Studio Job, Maurizio Cattelan, Fabio Novembre... In questo modo abbiamo anche dato un messaggio: Gufram è un’azienda viva. Con una storia così importante, basta muovere le acque per far nascere uno tzunami. Questo l’inizio. E oggi? Questa è stata la prima fase, poi una volta che la percezione del marchio e dei suoi prodotti si è ravvivata siamo passati 52

Riesci a rispondere all’annosa questione: Gufram è arte o design? È come ognuno lo vuole definire. Ci prendiamo il meglio di entrambe. Abbiamo la fortuna di essere importanti Gufram, The End, collaborzione con Toiletpaper, 2014. Limited Edition 1/500


TOILETPAPER, Maze of Quotes for Fondation Beyeler, Art Basel Miami, 2016 ©Reich 01

nel mondo dell’arte ma senza dover passare da curatori o istituzioni, gallerie etc. e siamo considerati al meglio del design senza dover produrre centomila copie di un oggetto. Sicuramente il processo con cui realizziamo i nostri prodotti è più vicino al processo dell’edizione d’arte, dal momento che l’artigianalità è molto spinta. È un saper fare artistico con una produzione semi seriale; sono oggetti molto scultorei, quindi vicino all’arte, ma hanno tutti una funzione latente. Il mercato cinese ci definisce arte, ma per loro Gufram è un’azienda nuova, non ha 50 anni, non l’hanno mai conosciuta prima. L’attualità è uno dei nostri punti di forza. Cosa ammiri in un marchio, in un’azienda ma anche in una persona? L’identità e la coerenza. Che non significa non cambiare mai idea, ma avere un’immagine chiara di chi e cosa si è. Ho la fortuna di collaborare con persone che nel bene e nel male sono come sono. Se una persona è fedele a se stessa sai anche cosa aspettarti da lei. Qualcuno definisce Charley Vezza e Stefano Seletti la nuova generazione di imprenditori del design... Seletti sicuramente ha una forte identità. Da questo

punto di vista essendo marchio e persona, dato che il suo marchio porta il suo cognome, sicuramente ne è un esempio. Funziona, è ciò che la gente vuole: la personificazione. Io in realtà non personifico così tanto Gufram. E poi “imprenditore” non è una parola che mi si addice. Seguo tanti progetti come la cantina (L”Astemia Pentita a Barolo. ndr), sto lanciando una grappa con Maurizio Cattelan, seguo la Fondazione Radical Design che si occupa di progetti culturali qui, nella zona delle Langhe, sono Ambasciatore Unicef in Italia... Altri progetti legati a Gufram? Proprio con Stefano Seletti avevamo un progetto bellissimo di una piece teatrale in Triennale a Milano, una cosa tra interior design e teatro che purtroppo è saltato a causa della pandemia. Celebriamo i 50 anni del divano Bocca con varie iniziative nell’arco dell’anno, abbiamo ampliato la Broken Series, la collaborazione con Snarkitecture, e stiamo partecipando a fiere in Cina, dove in questo momento si possono proporre iniziative interessanti... E poi lavoriamo per l’anno prossimo. Avremo una grandissima collaborazione sul Cactus di cui però non anticipo niente, dopo quelle con Maurizio Cattelan e Piepaolo Ferrari di Toiletpaper con le uova e le colorazioni di Paul Smith.

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Testo di Anna Casotti

La libreria delle forme Misha Kahn, tra i designer più interessanti del panorama americano, si racconta attraverso pezzi emozionali dai volumi inaspettati. La sua firma è una linea sensuale tra colore e sperimentazione materica

«La nostra cultura materiale pone costantemente immagini del mondo naturale in cornici dagli angoli retti e crea trame che spezzano la tensione tra la nostra civiltà costruita e il nostro desiderio di sfuggirle.» Il mondo immaginifico di Misha Kahn, ispirato da Tim Burton e da Aardam Animations, scaturisce da una continua ricerca di morfologie ignote, di cromie che l’occhio umano fatica a percepire, di opere plasmate attraverso un connubio di hand made e digitale. Un’espressività esposta alla Biennale del Whitney Museum e che ha incantato Friedman Benda, acclamata design gallery con sede a New York, che ha deciso di rappresentarlo. Arte o design? Ne abbiamo parlato direttamente con il designer artista.

English text at page 156

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Le tue opere si pongono sul sottile confine tra arte e design. Come definiresti il tuo approccio progettuale? Preferisco non pensarle come opere disparate o forzarmi a definirle in questo modo, nel senso che sono impegnato in ciò che il mondo desidera. Ci sono determinate personalità che vorrei incarnare attraverso le mie creazioni, tratti che rendono interessanti gli individui: a volte le mie opere possono essere un po’ “trasandate”, altre volte sono rilassate, alcune formali, altre ancora con un aspetto contemporaneo o prese in prestito da una zia non proprio “alla moda”. Immagino sia una sorta di complessità non forzata... sto cercando di costruire un mondo creato interamente attraverso questo vernacolo. Qual è la tua creazione che ti ha introdotto nel mondo del collezionismo? Avevo già realizzato molti pezzi, ma solo con lo Scrappy Cabinet esposto alla kermesse di design a Miami ho avuto 54

per la prima volta la sensazione che molte persone ne fossero attratte. Volevano quel pezzo! È stato un momento davvero emozionante. Nelle tue opere elementi organici si sovrappongono a forme astratte. Ci racconti? A volte la mia mente mi trasporta in un luogo chiamato “libreria delle forme” dove immagino uno scaffale infinito che ha altrettante morfologie infinite. Potrebbe esserci una piramide, poi la stessa piramide con una piccola ammaccatura; un buco, due fori e di seguito altri due fori con una piccola protuberanza in cima, e così via. La libreria delle forme non ha una fine e immagino di inoltrarmi in profondità, all’interno di questo archivio, e tornare in superficie con una nuova forma da far conoscere. Quali artisti e designer ti appassionano? Ci sono così tanti artisti e designer che trovo stimolanti.


Adoro il modo in cui Noguchi collega gli elementi, il senso di Ron Nagles per le trame disparate, il romanticismo di Shiro Kurumata, la goffa sicurezza di Franz West, i materiali a ruota libera di Lynda Benglis, la logica disgiunta di Tadanori Yokoo, la lampada lava -i-mess di Verner Panton. Quali sono i materiali che ami plasmare e che ti danno emozione? Amo tutti i materiali! Penso che l’occhio sia allenato a trovare qualcosa di insolito e forse questo nostro “talento” era innato per aiutarci a trovare frutti di bosco in natura. Ma se superiamo questo impulso di essere attratti da una rara scintilla o da una trama speciale, possiamo guardare qualsiasi materiale e rimanerne incantati. Penso in termini di oggetti: siamo stati davvero limitati dalle trame che abbiamo già visto... è per questo che mi piace cercare elementi che introducano un tocco inaspettato. Il colore è un elemento determinante nei tuoi progetti come nel divano “Pig of the Sea” caratterizzato da volumi sinuosi e cromatici. Qual è l’ispirazione in questo progetto? Quali colori ti rappresentano di più? Immagino di non poter dire che mi piacciono tutti i colori subito dopo aver affermato che mi piacciono tutti i materiali! Il colore è così

In alto Storage for Light, Emotions, and Transient Thought, 2020 Aluminum, glass 219 x 186 x 51 cm

A destra Pig of the Sea, 2019 Wood, steel, cashmere upholstery 121 x 274 x 134 cm

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guidato dalle tendenze, e molte delle tendenze combinano ciò che “scientificamente” equivale a una tavolozza piacevole. Molti di questi set sono storicamente già stati usati ed è importante rivisitarli: mi piace trovare combinazioni che funzionino in modi alternativi. Ad esempio, un tramonto sul deserto può essere un sorprendente rosso e viola mescolato a diversi toni sabbiosi: una strana combinazione “sulla carta”, ma nella sua ostinata esistenza è comunque avvincente. Uso colori brillanti, forse fuori tono nel mio lavoro, perché penso che la maggior parte delle case ne siano ancora prive. Penso spesso alle molteplici sfumature cromatiche che non possiamo vedere né percepire: non le conosciamo a causa del nostro ridotto spettro visivo. Alcune tue creazioni riescono a combinare in un solo manufatto materiali totalmente diversi come metallo, terracotta, alluminio, acciaio, bronzo. In che modo riesci a porli in dialogo con estrema armonia formale? Mi piace usare così tanti materiali perché troppe opere sono monomateriche: mi sento più libero a non apparire allo stesso modo e a non dovermi confrontare. Di solito inizio disegnando le linee delle direzioni - come voglio che il pezzo si senta in movimento e la sua postura - quindi riempio le forme e poi assegno loro i materiali. I materiali non guidano affatto il momento della creazione.


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Nella seduta scultorea “One Shoe, a fold of love handle, a rogue dog ball” differenti forme confluiscono in un unicum. Ci racconti di questa opera? In questa serie volevo catturare il senso di animazione, ma solo utilizzando forme astratte che interagissero tra loro: alcune sono curiose e delicate, altre sono “violente”. Tutto è pensato per essere giocoso e per sembrare, più che una sedia, un’apparizione fluttuante. L’utilizzo del vetro colorato e l’alluminio caratterizzano alcune delle tue opere tra cui “Storage for Light, Emotions and Transiet Thought”. Come nasce questo oggetto? È difficile capire da dove iniziare per descrivere un pezzo come questo! Ho realizzato molte pièces in vetro colorato dalle gigantesche dimensioni, pezzi che non ho mai mostrato. Il vetro colorato è sempre stato un elemento presente nel mio studio. Abbiamo iniziato a creare una colata in sabbia di alluminio per altre serie e mi sono reso conto che avremmo potuto fare il vetro colorato realizzando prima le cornici spesse per poi inserirvi il vetro. Processo che ha dato il via a questa serie: una fusione di molte idee diverse, pensata per apparire come un vetro colorato che è stato contorto in 3D.

Sopra: Kinky Colon, 2020 Ceramic, glass, stainless steel, aluminum.

Sotto: All The Things I Forgot, 2019 Bronze

200x 69x 64 cm

137 x 99 x 92 cm

Sei rappresentato da Friedman Benda dove hai recentemente esposto nel suo spazio di New York. Com’è iniziata questa collaborazione? Friedman Benda ha scoperto il mio lavoro in una mostra collettiva in un museo di New York. Penso sia stata soprattutto fortuna, non stavo cercando di attirare la loro attenzione: mi stavo solo divertendo a versare materiali economici negli stampi che stavo cucendo con le tende della doccia. Qualcosa di così illogico che li ha portati ad andare fino in fondo. Quali sono invece le altre tue collaborazioni? Sto lavorando ad alcuni licensing projects, il che è eccitante. Sono sicuro però che passerà molto tempo prima che diventino pubblici. Ho anche alcune commissioni su larga scala e sono entusiasta di creare questi grandi lavori per spazi outdoor. Ci descrivi il tuo studio di Brooklyn? È un grande spazio industriale, decisamente “a brandelli”: c’è un Opossum che entra di notte, dorme sui tavoli da lavoro e fa cadere i miei strumenti... Tante strumentazioni incredibili come stampanti 3D, un robot e uno strano apparecchio che ho creato per una nuova serie di pezzi in seta, gonfiati e induriti. Su quali progetti stai lavorando in questo momento? Ho passato il tempo durante il lockdown disegnando e scolpendo nella realtà virtuale, quindi i nuovi progetti stanno dando vita a queste sculture realizzate in un regno virtuale, privo di gravità e creato con materiali tattili. E sono entusiasta nel vedere che alcune di queste opere sono in fase di completamento. 56


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Lone Pickle in Empty Fridge, 2019 Stainless steel, glass, resin, auto paint 189 x 124.5 x 67 cm

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Moon Child, 2020 Powder-coated aluminum, stainless steel, ceramic. 55 x 132 x 84 cm

«A volte la mia mente mi trasporta in un luogo chiamato “libreria delle forme” dove immagino uno scaffale infinito che ha altrettante morfologie infinite»

www.mishakahn.com © Photos Courtesy of Friedman Benda and Misha Kahn Photography by Daniel Kukla

A Loose Understanding of the Space- Time Continuum, 2020 Mohair 310 x 330 cm Unique, series of 3

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Masbedo,Daily Routine, 2020, Video 4K, 11’, Courtesy gli artisti e Fondazione In Between Art Film

Virtuoso mecenatismo.

Forgiare l’arte

di domani

Passione per la videoarte e impegno a sostegno dei giovani artisti. Grazie a Beatrice Bulgari nasce la Fondazione In Between Art Film, da cui passano i talenti di domani L’arte può essere guida e sostegno in ogni periodo storico, a maggior ragione nei momenti di difficoltà. Per questo la mission di Beatrice Bulgari non si arresta, ma anzi rilancia. Dalla casa di produzione cinematografica “In Between Art Film” nasce l’omonima Fondazione, affidata alla direzione artistica di Alessandro Rabottini. I giovani talenti che lavorano con l’immagine in movimento possono ora giovare di un appoggio appassionato e profondo, che va al di là di un semplice mecenatismo. Bulgari vuole conoscere, approfondire, scovare le voci che stanno formando e continueranno a formare la nostra coscienza artistica e sociale. Il primo progetto è Mascarilla 19, dedicato alle violenze subite dalle donne durante il lockdown. I film di otto artisti di livello internazionale sono pronti per esser esposti nei più importanti musei del mondo. 60


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Nel 2012 fonda In Between Art Film, di cosa si tratta esattamente? Tutto ha inizio nel 2007 con CortoArteCircuito, un’associazione no-profit con l’obiettivo di promuovere la videoarte italiana e internazionale. L’idea nasce dalla suggestione di unire arte contemporanea e cinema. Un film che vidi su Kounellis mi portò a domandarmi come mai non ci fosse molto materiale video sugli artisti e le loro opere. Così abbiamo iniziato a lavorare in questo verso, arrivando a collaborare con artisti come Pistoletto. Da qui è stata una continua crescita fino a giungere nel 2012 a In Between Art Film. Il primo film che abbiamo prodotto, “The Lack”, fu diretto dai Masbedo.

parola in codice. E il luogo per farlo era l’unico permesso in quel periodo: la farmacia. “Scusi ha un mascarilla 19?”. Così ho iniziato a pensare a un progetto artistico che potesse fare da cassa di risonanza per il problema e allo stesso tempo supportare degli artisti in difficoltà economica. E come ha potuto svilupparsi in periodo di quarantena? Mi sono rivolta inizialmente ad Alessandro Rabottini, direttore artistico di In Between Art Film, e successivamente a Paolo Bigazzi, curatore de Lo schermo dell’arte Film Festival a Firenze, e Paola Ugolini, critica d’arte e curatrice indipendente. Ognuno di loro ha proposto degli artisti fino a che non ne abbiamo selezionati otto. Loro inizialmente hanno potuto solo concettualizzare il lavoro e proporci le idee che avevano. Una volta approvato il progetto hanno potuto svilupparlo per tutta l’estate. La consegna dei film è avvenuta il 30 settembre. Adesso i film, della durata complessiva di un’ora e quarantacinque, sono pronti per essere visti.

Oggi nasce la Fondazione. Cosa cambierà? Si definisce lo spirito che da sempre accompagna In Between Art Film. La Fondazione ha la missione di supportare e produrre il lavoro degli artisti. Chiaramente questa nasce sull’esperienza vissuta fino ad oggi, per cui rimane interessata principalmente alla commistione delle arti: cinema, video, performance, installazione.

Dove verranno esposti? Si parte dal MAXXI di Roma. Ma sicuramente il 23 novembre saremo in Triennale a Milano e successivamente a Lo schermo dell’arte. Poi andremo a Palazzo Grassi di Venezia e dopodiché ci muoveremo a livello internazionale.

Rimane la predilezione per l’immagine in movimento? È la forma che meglio riesce a sintetizzare il nostro mondo e a restituirne le sfumature. Giunge quasi come un compendio a tanti secoli di storia dell’arte.

Tra gli artisti selezionati c’è qualche giovane talento di cui sentiremo parlare in futuro? La selezione vanta artisti internazionali, di giovani e meno giovani, di famosi e meno famosi. Questa è la composizione definitiva: Iván Argote, Silvia Giambrone, Eva Giolo, Basir Mahmood, Masbedo, Elena Mazzi, Adrian Paci, Janis Rafa. Alcuni di questi, per quanto giovani, rappresentano già figure importanti nel mondo della videoarte. Tra le nuove leve si distinguono sicuramente Iván Argote, Silvia Giambrone e Eva Giolo, che hanno un curriculum espositivo di tutto rispetto. Per questo progetto volevamo artisti pronti. Ma in generale la Fondazione ha a cuore il sostegno di tutti i giovani artisti, anche quelli appena usciti dall’accademia.

In questi anni ha supportato molti giovani talenti. C’è qualcuno che ricorda in modo particolare? Sono molto legata ai Masbedo. Quando vidi per la prima volta un loro lavoro fui io stessa a suggerire di trasformarlo in lungometraggio. E fu proprio In Between Art Film a realizzarlo, in quattro episodi. Non mi interessava diventassero registi in senso stretto, ma che avessero la possibilità di estendere il loro linguaggio in un formato fruibile da molte persone, che potesse girare per musei e fondazioni. Loro sono artigiani, hanno la capacità di muoversi con agilità e cogliere il momento con un approccio molto istintuale. Come quando si immersero nelle acque gelate dell’Islanda pur di realizzare la ripresa giusta.

Lei crede molto nell’arte. Quale pensa possa essere il suo ruolo nei tempi che ancora ci attendono? Chi lavora nel sistema nell’arte ha una responsabilità forte nei confronti della società. L’arte e lo sguardo dell’artista sono un filtro straordinario per analizzare dinamiche complesse: dagli abusi alla guerra, dai migranti alla violenza. L’arte cambia approccio e prospettiva allo spettatore. Per questo sento il dovere di supportare il mondo dell’arte, specialmente ora che le istituzioni sono abbastanza ferme. È necessaria un’iniezione di fiducia in questo momento sociale disastroso. La Fondazione In Between Art Film nasce proprio per questo. (D.L.)

Il primo progetto della Fondazione è “Mascarilla 19”. Di cosa si tratta? È un progetto a cui tengo moltissimo, nato nel momento del lockdown più radicale di aprile. In quel periodo lessi un articolo che parlava di Mascarilla 19, ovvero una campagna che il ministro spagnolo Pedro Sánchez ha lanciato per aiutare le donne chiuse in casa con compagni diventati aguzzini. Prima i numeri di denunce per violenza domestica hanno avuto un’enorme crescita, poi si sono contratte in modo sospetto: semplicemente non potevano uscire per denunciare l’accaduto. Così lo stato spagnolo ha sviluppato un SOS, una 61


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Sportmax sceglie Joan Thiele giovane cantautrice italiana come protagonista di una speciale collezione

Testo di Alessandro Iacolucci

I am Joan Nata a Desenzano del Garda ha girato e vissuto in alcuni dei luoghi più suggestivi, creativi e ispiratori della Terra, dalla Gran Bretagna alla Colombia. Joan Thiele è il talento emergente della musica italiana. La sua educazione artistica, che va dai Led Zeppelin a Mina, fino alla musica neomelodica, l’ha resa globale, come le sue origini, partenopee e svizzero-colombiane in grado di rispecchiare il suo essere giovane cittadina del mondo. L’abbiamo raggiunta mentre è in studio, a Milano, durante la pausa da una sessione di registrazione insieme al gruppo di producer romano con cui sta collaborando per i nuovi lavori, pronti nei prossimi mesi. Qui ci racconta il nuovo progetto che insieme al fashion brand Sportmax la vede protagonista di una capsule collection speciale.

Tutte le foto courtesy sportmax

English text at page 158

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Joan, la collaborazione con Sportmax ti infonde quell’allure di artista versatile, ma quando hai capito che la musica sarebbe stata la tua strada? Per me la musica è una questione viscerale, la famiglia di mia mamma è di Napoli, venire a contatto con questa realtà musicale viva, profonda e coinvolgente è stato davvero formante. Ho sempre amato esibirmi davanti al pubblico. Per me scrivere musiche e canzoni è un atto di profonda espressione. Nel 2016 arriva “Save Me”, il tuo grande successo che ti ha condotta all’etichetta Universal Italia. Oggi stai vivendo un periodo creativo che ha dato vita a una nuova produzione musicale. Raccontacelo. Il bello di creare musica è che si vive un’evoluzione continua. “Save me” racconta di me quando ero più piccola. I nuovi lavori rappresentano una versione di me stessa più confident e più matura. Nelle mie nuove canzoni c’è stato il passaggio alla lingua italiana, ho sentito l’esigenza di dovermi esprimere in questo modo e non mi sono lasciata fermare. In futuro ci saranno ancora

canzoni in inglese, questa lingua è sicuramente una parte di me. Il tuo universo creativo, la tua capacità di farti ascoltare da un pubblico giovane e l’essere un’esordiente icona pop hanno portato Sportmax a sceglierti per realizzare JT20, la tua capsule collection. Come è nato questo incontro? Dall’idea alla realizzazione dei capi è trascorso circa un anno. Sportmax si è fidata di me e c’è stato grande rispetto reciproco, mi ha lasciata libera di esprimere la mia idea. L’animo della capsule collection è il denim. Tramite la reinterpretazione del jeanswear in chiave couture ho voluto fare un inno al talento e all’Italia, fondamentale in un periodo come quello che stiamo vivendo adesso. Il progetto è stato condiviso tra me e l’azienda al 100%. Abbiamo fatto tantissimi incontri nella sede di Reggio Emilia, lavorare al fianco delle sarte e di Grazia Malagoli, la Fashion Director di Sportmax, è stato entusiasmante. Quale è stato il mood creativo che ti ha ispirato per questa capsule? Mi sono ispirata al jet set e alle icone musicali degli anni Sessanta e Settanta. Ho pensato di sviluppare i capi che in quel periodo avrebbero potuto indossare artiste come Mina o Ornella Vanoni se avessero scelto un abito in denim. Qual è il pezzo della collezione che ami di più? Sicuramente il completo giacca pantalone e la jumpsuit. Tutti i capi rappresentano il mio stile e quello che mi piace. Le silhouette sono precise, pulite, ma rese scenografiche grazie alla costruzione, come per esempio le maniche ampie o i pantaloni a zampa. Anche i colori sono accattivanti. Come è stato posare sul set? Anche qui Sportmax si è fidata di me e del mio team creativo musicale. L’art direction è stata affidata a Gio Positivo con Roberto Ortu, gli stessi che curano le copertine e l’immagine dei miei album o dei miei videoclip. La fotografia invece è stata curata da Carla Guler. Un’esperienza davvero bellissima. Durante il lockdown hai lanciato il nuovo disco “Operazione Oro”. Come mai hai deciso di non rimandarne l’uscita? “Operazione Oro” è nato in contemporanea con la collaborazione con Sportmax, guardavo le iconografie per la capsule e intanto scrivevo i testi delle canzoni. È

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stato un flusso creativo continuo e questo ha influenzato entrambe le cose. Il disco era pronto e non me la sono sentita di bloccare questa ondata di creatività, per cui ho voluto lanciarlo lo stesso. In un periodo come quello che stiamo vivendo, secondo te, qual è il ruolo dell’arte e dell’artista? Io traduco quello che vivo, ciò che provo e ciò che sento con la musica. Credo che la parte fondamentale sia esprimersi, senza tralasciare esperienze positive e negative. Io mi esprimo tramite le canzoni. Molti direbbero che in questo settore debba esserci per forza un risvolto educativo, ma sinceramente non me la sento di definirlo così. Nei miei testi esprimo le mie emozioni che poi coincidono con il punto di vista di altre persone. Questo ci lega. Penso che la musica possa essere d’aiuto a non sentirsi soli. C’è uno state of mind che vuoi condividere? Io sono sempre stata una persona nostalgica. Tutto questo periodo mi ha spronata a vivere le esperienze in maniera diversa, forse più leggera. Mi concentro sull’oggi. Concentrarsi sul qui e ora è un bel messaggio. Hai viaggiato tantissimo. Quali sono i tuoi luoghi del cuore? La Colombia per me è un posto ricreativo. Mio papà vive in questo Paese meraviglioso, il posto dove si trova lui si chiama Salento, c’è una grande piantagione di caffè, dei panorami e dei profumi davvero ispiratori. Quella colombiana è una cultura così ricca di folklore, dove si respira musica e ritmo non stop. Poi c’è Milano, la amo profondamente, è la mia nuova casa. Una città che mi ha accolta con amore. Piena di energia e sempre coinvolgente.

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Dinamiche virtuali Fisiche speranze Dal master a New York fino a Miart, passando per la direzione delle OGR di Torino. Nicola Ricciardi racconta la sua rapida ascesa nel mondo dell’arte. Giovane, appassionato, ambizioso. Nicola Ricciardi sarà il nuovo direttore di Miart per i prossimi tre anni. Il posto è quello giusto, forse il momento non è dei migliori. Inevitabilmente la sua guida dovrà affrontare difficoltà inedite, ma le sfide non lo spaventano. Nel 2013 partecipa alla Biennale di Venezia e nel 2017 diventa direttore delle neonate Officine Grandi Riparazioni di Torino, spazio espositivo che ha forgiato partendo da zero. Ora Fiera Milano l’ha nominato direttore di Miart, la Fiera d’Arte Contemporanea di Milano. Con ottimismo e follia prefigura un mondo dell’arte dove fisico e virtuale possono dialogare, completandosi in una soluzione che ancora possiamo solo immaginare.

Testo di Davide Landoni

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Il punto di arrivo è Miart. Ma qual è stato il percorso che l’ha condotta qui? Il mio percorso è forse insolito. Mi sono laureato in Lettere e ho approcciato il mondo dell’arte contemporanea attraverso la scrittura. Nel 2009 ho iniziato a collaborare con diverse riviste e a frequentare le gallerie, le istituzioni e gli artisti. Tra questi ci sono Patrick Tuttofuoco, Riccardo Previdi, Diego Perrone e Andrea Sala, con i quali ho iniziato a collaborare anche dal punto di vista curatoriale. Poi ho sentito l’esigenza di sviluppare una base teorica. Così sono andato a New York, dove ho frequentato il master in studi curatoriali del BARD College. Grazie alle conoscenze acquisite ho potuto iniziare a lavorare come freelance ed entrare in contatto con figure centrali per la mia crescita. Tra queste c’è Vincenzo de Bellis - al quale ho fatto da assistente proprio per Miart - e Massimiliano Gioni, grazie al quale ho partecipato alla 55.ma Biennale di Venezia. Tutto ciò che ho imparato l’ho poi messo in pratica come Direttore delle OGR di Torino. Qui ho sviluppato una serie di skills manageriali che porterò anche nella nuova esperienza a Miart.

tale per garantire continuità al progetto. Nei prossimi tre anni a Miart dovrò adottare una dinamica simile. Quando Fiera Milano mi ha contattato, ho ragionato molto sulla differenza tra dirigere un’istituzione culturale - il cui fine è promuovere l’arte - e un’altra che ha invece una natura più commerciale. Il mio compito sarà vendere spazi all’interno della fiera. Detto questo, credo che l’aspetto culturale e quello economico possano crescere parallelamente. Perciò non apporterò stravolgimenti nella mia attività manageriale. Forse il cambiamento principale sarà il passaggio da una realtà che si stava ancora costruendo come OGR, a una dimensione del tutto consolidata come Miart. Le sfide non sono poche. Come si organizza una fiera in mezzo all’incertezza? Con una sana dose di ottimismo e di follia. Ciò che mi stimola sono le sfide. Prendere in mano una fiera in un periodo in cui viaggiare è complesso non è certo semplice. Ma d’altra parte, quattro anni fa, era difficile anche immaginare che OGR sarebbero diventate quello che sono ora. Per cui sono ottimista, ma non sconsiderato. Lavoriamo come se dal 9 all’11 aprile, le date di Miart 2021, saremo nelle condizioni ottimali per realizzare l’evento. Ma parallelamente pensiamo anche a soluzioni alternative. Per fortuna abbiamo l’esperienza sufficiente per non essere colti di sorpresa, come inevitabilmente è accaduto in primavera. Ora abbiamo gli strumenti per pensare già a un’alternativa.

Questo a soli 35 anni. Qual è il segreto di un’ascesa così rapida? La fortuna aiuta gli audaci. Ho sempre lavorato tanto, fino a confondere il giorno e la notte. Devo molto anche all’esperienza negli Stati Uniti. Al di là dell’ossatura teorica, sono stati anni utili a capire le regole del gioco, che non sono mai scontate. In più ho sviluppato le relazioni che mi hanno poi permesso di arrivare alla direzione delle OGR. Grazie alla scommessa di Fondazione CRT ho avuto la possibilità, a 32 anni, di costruire da zero una realtà che in quattro anni è diventata un’istituzione importante. La nostra principale risorsa è stato l’impegno, uno spirito propositivo che ci ha permesso di costruire un’identità forte.

Come una versione virtuale? Miart 2020 è stata costretta all’online. Rimane una possibilità, ma il digitale da solo non basta. Per questo vorremmo evitare di far vivere una fiera che sia solo digitale. Questa indigestione virtuale che abbiamo vissuto credo abbia dimostrato quanto abbiamo ancora bisogno dell’esperienza fisica. Nessuno sarebbe contento di un evento virtuale, per questo abbiamo subito stabilito le date e la location. La fiera sarà in presenza. Le piattaforme digitali, nate in una situazione di emergenza, potranno sicuramente aiutare e completare l’evento. Ma abbiamo visto come queste necessitino ancora di rodaggio per supplire all’impossibilità di un’esperienza fisica. È importante non abbandonarli, ma continuare a migliorarli. Cosa aspettarsi allora dall’edizione 2021? Percepisco la volontà di tornare all’essenziale, di eliminare il superfluo. Stiamo guardando a Miart con occhi nuovi, ripensando a tutto ciò che è sempre stato dato per scontato e di cui forse invece possiamo fare a meno. Magari in favore di una maggiore “attenzione”: ai rapporti, alla comunicazione, all’accoglienza. Per questo una delle prime decisione è stata quella di intensificare il VIP Program. Non tanto per un gusto elitista,

Prima curatore, poi organizzatore. A Miart dovrà cambiare ancora prospettiva? È un lavoro per certi aspetti molto diverso e per altri molto simile ai precedenti. Lo step da curatore a organizzatore era un passaggio necessario, poiché un’istituzione come OGR non vive esclusivamente delle mostre che il visitatore frequenta. Ho dovuto considerare tutta l’ossatura invisibile, fondamen68


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ma quanto per creare le condizioni affinché le persone possano sentirsi stimolate ad affrontare le eventuali difficoltà. Miart deve essere un contesto sicuro, incoraggiante, positivo. Il periodo storico ci costringe necessariamente a fare nuove riflessioni.

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Dunque la sua direzione dovrà inevitabilmente essere innovativa? Si, ma non sento l’esigenza di creare nulla di nuovo. Sono poco interessato a inventare nuove sezioni o a stravolgere un impianto che ha dimostrato di funzionare. Sono più propenso a mettere a frutto ciò che già c’è, migliorando il migliorabile. Puntiamo a rispolverare le sezioni già esistenti, implementando un valore che è già presente. Per questo vorrei mantenere la continuità con i progetti del passato. È inoltre fondamentale conservare e stimolare l’Art Week. Un panorama di attività coordinate che crea in città l’humus culturale necessario alla buona riuscita della Fiera. Sono stati proprio gli sforzi cooperativi a fare la differenza e a rendere Miart unica. Una Milano Art Week in grado di attirare i visitatori è fondamentale. 69


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La forza della curiosità

Testo di Lavinia Elizabeth Landi

Francesco Mondadori, 33 anni, racconta la sua esperienza di giovane imprenditore. Privilegiato, certo, ma spinto dal sacro fuoco del fare e del provare. Oggi investe le sue forze al servizio degli amici a quattro zampe, con una start up che consegna a domicilio pasti salutari e ben calibrati Francesco Mondadori, milanese di madre americana, è una di quelle persone che sembra sorridere sentendone anche solo la voce attraverso una chiamata al suo cellulare in un sabato pomeriggio. Il tono è calmo e deciso, a volte ironico. Figlio del celebre Leonardo, editore, ha deciso di dedicare la sua vita a una causa per i suoi amici cani: ha fondato Dog’s Bistrot, una start up incentrata sulla produzione e la consegna a domicilio di cibo naturale per cani. Cinque menu cucinati da uno chef professionista ed elaborati in collaborazione con una nutrizionista veterinaria, consegnati a casa in comode confezioni monoporzione. Sul sito, il team giovanissimo si rivolge direttamente ai migliori amici dell’uomo, i veri e propri clienti di questa iniziativa, promettendo loro un’esperienza unica e salutare, quasi un premio per questi fedeli compagni di vita che sempre aspettano, scrutando dall’angolino della tovaglia, che concediamo loro un boccone delle nostre pietanze. Ma Dog’s Bistrot è solo l’ultima, in ordine di tempo, delle iniziative imprenditoriali di Francesco. Ha cominciato a lavorare giovanissimo... Ho sempre cercato di crearmi delle opportunità. Al terzo anno di università ho fondato una società con dei compagni di corso, ho sempre avuto voglia di misurarmi con il mondo dell’imprenditoria: sviluppare idee che nascono anche soltanto dalla semplice curiosità, dalle opportunità oggettive che il mondo ci offre. Più che una caratteristica mia, direi che si tratta proprio di un’intensa voglia di creare qualcosa da zero. Al giorno d’oggi ci vengono date opportunità enormi, grazie soprattutto alla tecnologia, ai mezzi disponibili per imparare, informarci. Trovo che sarebbe folle non provarci. 70

I libri hanno avuto una parte importante nella sua vita, essendo figlio di un editore. Che rapporto ha con loro? Sono stati e sono parte integrante della mia vita. È un rapporto profondamente radicato nella mia esperienza familiare, quindi di crescita, ed è un rapporto speciale. Moltissimi nuovi mezzi ora portano via tempo alla lettura,ma il libro è un oggetto che non riuscirei mai a lasciare andare né a sostituire, tenerlo fisicamente in mano rimane per me un gesto di profonda intimità. Sai quando si dice provare a essere felici delle piccole cose: ecco, arrivare alla sera e leggere qualche pagina mi aiuta a staccare, è il mio rifugio dal frastuono quotidiano. Un’altra sua passione sono i cani! Posso solo dire che spero di averne sempre di più! Ma non si tratta solo dei cani, tengo moltissimo al mio rapporto con la natura e con gli animali in generale. Sono sempre in cerca di nuove esperienze per imparare a conoscere l’ambiente in cui viviamo e a stare sempre più all’aria aperta. Quali esperienze l’hanno formata prima di Dog’s Bistrot? Con una prima società ci occupavamo di proporre ai magazine quei gadget che aiutavano a vendere di più quando il mercato delle edicole era ancora vivace. Poi l’esperienza nell’editoria, parte importante della mia vita, ha contribuito alla mia crescita a livello imprenditoriale. Chiusa la casa editrice Leonardo, l’esperienza ha avuto anche un suo punto d’arrivo, che ha a suo modo influenzato la mia crescita complessiva. Credo che qualsiasi esperienza, anche se non positiva, possa essere utile se si è capaci di trarne un insegnamento. La vita è fatta di sconfitte e di vittorie: si riduce tutto al modo in cui una persona reagisce e impara da queste.


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Come si difende da chi sostiene che sia molto snob creare una start up che si occupa di recapitare cibo naturale per cani a domicilio? La mia risposta è la stessa domanda formulata al contrario: visto che consideriamo gli animali membri allargati della famiglia, non sarebbe molto più snob non provvedere a una alimentazione sana per loro, mentre noi scegliamo il meglio per noi stessi? Dico solo che il nostro Dog’s Bistrot si impone come un’alternativa sana, i cui prezzi sono in linea con i prezzi del cibo industriale. La critica dal punto di vista economico infatti non sta assolutamente in piedi. Un piccolo aneddoto riguarda il primo giorno che abbiamo creato la pagina del Bistrot su Facebook: ci hanno insultati usando argomentazioni che mettevano insieme la fame nel mondo ad altre argomentazioni di tipo ideologico, completamente fuori luogo, un po’ confuse, poco centrate. Sono convinto però che non si debba prendere queste critiche troppo sul serio, su internet è facile mettere bocca su qualsiasi argomento. Basta avere un’idea per essere un imprenditore? Purtroppo no, saremmo tutti imprenditori! In realtà bisogna applicarsi molto. So per certo, grazie alle mie esperienze, che non basta avere un’idea originale per vederla realizzata: bisogna costruirsi una preparazione che comprenda studio, metodo e umiltà, una caratteristica questa che non viene presa spesso in considerazione. Sono convinto che senza questi tre ingredienti non si vada da nessuna parte. Come concilia questa responsabilità con la sua vita privata? A volte il modo migliore per conciliare due cose è riuscire a tenerle separate. Mi impegno quotidianamente per scindere la mia vita privata dal mio lavoro, cerco di non portare il malumore di una brutta esperienza a casa, di dare la giusta importanza a due mondi che credo debbano rimanere disgiunti. Cosa deve all’appartenenza a una famiglia privilegiata e cosa rivendica di aver fatto da solo, senza alcun aiuto? Avere la fortuna di godere di privilegi in più rispetto a molte 72

persone, per me si traduce in assoluta responsabilità. Credo che chi come me ha avuto un percorso di vita privilegiato, e non intendo solo economico ma anche di esperienza, chi ha avuto la fortuna di aver viaggiato, studiato, chi come me ha potuto sperimentare e apprezzare il mondo, dovrebbe avere l’urgenza di mettersi in gioco per gli altri. Bisogna rimboccarsi le maniche e smettere di lamentarsi. A volte è chi è nato svantaggiato ad andare avanti più velocemente. Chi ha più fortuna dovrebbe essere d’esempio, deve saper ascoltare le richieste del mondo, che non sono mai semplici. “Rimboccarsi le maniche” ma non solo, bisogna soprattutto sapersi governare, indirizzare. Le sue passioni, oltre ai cani e ai libri? Lo sport in generale. Apprezzo la competizione e gioco a quasi tutto. Mi ritengo “abbastanza” malato di golf! Poi mi appassiona la politica internazionale. La mattina tra sport e quello che accade nel mondo, mi ritrovo con una decina di giornali sul tavolo, sia italiani che americani, essendo io stesso metà americano. Mi piace dedicare un’ora buona alla colazione, accompagnata dalla lettura di tutti questi quotidiani. Cosa direbbe a un giovane che voglia trasformare una bella idea in un lavoro? Il mio consiglio è dimenticarsi di quell’idea e mettersi al lavoro per realizzarla, pensare solo ed esclusivamente a come farla venire al mondo, studiare i competitors, le circostanze, le tecniche: studiare e progettare. Quando ho creato Dog’s Bistrot, che in realtà è stata un’idea della mia fidanzata Ludovica, in Italia non c’era niente che potesse somigliare al nostro business, siamo stati i primi. Avevamo visto una cosa del genere in America. Abbiamo passato un anno e mezzo a studiare prima di aprire Dog’s Bistrot. Il giorno in cui l’idea viene lanciata dev’essere tutto programmato immaginando un futuro di almeno cinque anni. Poi le cose cambiano, ci sono mille imprevisti ma proprio per questo più arrivi preparato, con umiltà e una forte base di conoscenza, più riuscirai a navigare contro ogni tipo di tempesta.


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Caro Daur

Ăˆ una delle piĂš famose influencer tedesche. Con Hugo Boss ha appena lanciato una capsule collection moda di 15 pezzi essenziali, ispirati ai capi iconici del brand

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Con un seguito di due milioni e seicento mila followers su Instagram, nel mondo delle influencers, puoi dirti abbastanza soddisfatta. Soprattutto se hai solo 25 anni e hai cominciato un po’ per caso, aprendo un blog nel 2014 per parlare delle tue passioni: fitness, moda, viaggi, fotografia e cibo. Lei si chiama Caroline Daur, detta Caro, è tedesca di Amburgo e ha appena lanciato una capsule collection per Boss, nata dalla lunga amicizia che la lega a Ingo Wilts, Chief Brand Officer del marchio tedesco. Nelle scorse stagioni ha collaborato con molti fashion e beauty brand, da Fendi nel 2019 a Mac Cosmetics nel 2018, da Adidas a Superga con cui ha realizzato un’altra co-lab nel 2017. Bionda, occhi blu, fisico pazzesco, allenato da ore di fitness (ha anche un sito, daurpower.com, in cui suggerisce e sviluppa una serie di fitness program), Caro Daur si è avvicinata al mondo della moda grazie alla sorella, che lavorava per l’edizione tedesca di Grazia, leggendo fashion blog e magazine. Ma tutto quello che è seguito all’iscrizione

a Instagram non era stato previsto, dice: eccellente studentessa con un sogno nel cassetto, il teatro e l’opera (ma non sa cantare), e grande sportiva - ha giocato tanto a tennis e a calcio durante l’adolescenza. Di Caro Daur colpisce la sua autenticità e la sua capacità di trasmettere le sue stesse emozioni ai suoi follower. Mentre viaggiare, spostarsi in continuazione tra settimane della moda e festival del cinema o eventi di qualsiasi tipo, nutrono la sua fame d’energia. L’ultima sua esperienza in fatto di fashion, è la capsule Boss curated by Caro Daur che segna i 20 anni dalla nascita della linea donna di Boss. Sotto la lente i capi iconici del brand, i pezzi d’archivio che vengono reinventati per una donna elegante e sempre sicura di sé. Quindici i pezzi, tra cui il trench over in twill di cotone elasticizzato, il completo giacca e pantalone bianco, un abito nero classico a collo alto con la schiena scoperta, un blazer monopetto con revers a lancia: quei capi che non devono mancare nel guardaroba, senza tempo e adatti a ogni occasione. 75


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Testo di Marzia Ciccola

Irene Forte

la mia scelta di benessere

Figlia di Rocco Forte, si è trovata a lavorare nel business di famiglia fin da subito. Ma con una specializzazione davvero molto particolare: fare stare bene gli altri

Appassionata come il padre di fitness, salute e benessere, Irene Forte dei tre figli di Sir Rocco Forte, fondatore dell’omonimo gruppo di hotellerie, è stata sicuramente la scelta migliore per occuparsi della direzione da dare all’area wellbeing degli hotel e dei resort di famiglia. Innamorata in particolare di uno di questi, il Verdura Resort, cinquestelle in Sicilia, vicino a Sciacca, dove grazie alla Società Agricola Verdura ha potuto avvalersi di ingredienti biologici e certificati per la linea skincare che porta il suo nome, ha sviluppato per tutti gli hotel un approccio olistico che considera la salute a tutti i livelli: fisica, mentale, emotiva e spirituale. Precorrendo i tempi e anticipando la tendenza del viaggio come ricerca di benessere, uno dei criteri selettivi di un certo genere di clienti. «Nei nostri resort e hotel infatti offriamo una regia, in linea con questa tendenza, a 360 gradi – racconta Irene Forte - Alle Rocco Forte Spas dall’ispirazione mediterranea e dall’approccio multisensoriale affianchiamo la proposta “Nourish”, nutrizione, e poi fitness e benessere mentale, migliorando il sonno, facendo meditazione e guida alla consapevolezza. Infine incentiviamo un miglior dialogo con il mondo in cui viviamo invitando i nostri ospiti ad approfondirne la conoscenza con retreat, workshop, incontri, ma anche sostegno a campagne di beneficenza locali e una maggior consapevolezza ambientale».

Nel 2017 ho preso le redini delle proposte Spa e Fitness di tutti gli alberghi e un anno dopo ho assunto il ruolo di Wellness Director. È stato in quel momento che mi sono impegnata nel lancio di Irene Forte Skincare. A titolo personale, confermo, sono sempre stata attenta a vivere bene e in salute. All’inizio era lo sport, poi anche l’alimentazione e infine ho aggiunto il beauty. Mio padre è stato certamente di forte ispirazione nella mia passione sportiva. Quali sono gli elementi chiave per stare bene? Per me il sonno è fondamentale. Dormo non meno di 8 ore a notte e non vi rinuncio mai, per lavoro o altri impegni. D’altronde, è una necessità ben confermata da OMS o dall’americana National Sleep Foundation. Fondamentali sono anche una dieta sana ed equilibrata abbinata a esercizio fisico regolare. Se la giornata è bella, mi piace andare a correre ai Kensington Park Garden. Ogni tanto mi concedo trattamenti o rituali, che sono un lusso ma mi aiutano a rilassarmi e staccare veramente: cerco di fare un massaggio alla Spa di Brown’s Hotel a Londra almeno una volta al mese. Dovendo scegliere, quali delle vostre strutture sviluppano al meglio il suo concetto di benessere? Sicuramente Verdura Resort. Qui tutti gli elementi concorrono al benessere. La Spa ha 4 piscine talassoterapiche, piscina coperta e wet area; ci si allena con yoga, pilates, calcio, trekking, tennis e naturalmente il golf sui nostri campi da campionato. E poi magari ci si accomoda allo spa bar con lo sguardo sulla tenuta. Un altro regalo del resort è la sua Società Agricola Verdura, utilizzata per coltivare gli ingredienti che utilizziamo per la cura della pelle, ma anche per fornire ai ristoranti del resort la materia prima più fresca.

Come nasce il suo ruolo all’interno del Gruppo? Sappiamo che è una runner esperta, suo padre un triatleta... sport e benessere sono passioni personali e di famiglia? Sono entrata in Rocco Forte Hotels nel gennaio 2013, con il ruolo di Quality Standards Executive. In un certo senso, ero già impegnata nel “benessere”, perché curavo la qualità di vita e lavoro dei diversi team. Il passaggio alla felicità degli ospiti è stato naturale. 76


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Ha anche sviluppato delle linee cosmetiche sia per i trattamenti spa (Forte Organics) sia nel 2018 la linea beauty che porta il suo nome, Irene Forte Skincare. Perché questa esigenza? Quando ho iniziato a supervisionare le spa dei Rocco Forte Hotels, ho deciso di creare una piccola linea, la Forte Organics. Questa esperienza e il feedback positivo ricevuti mi hanno fatto venire voglia di imparare di più, di creare di più. Di lanciare una linea migliore, più ampia e, soprattutto,

che fosse mia. Con Irene Forte Skincare ho voluto creare la “Dieta Mediterranea” per la pelle, con prodotti 100% Made in Italy per un pubblico internazionale. Il fatto di avere un’incredibile ricchezza di ingredienti nella nostra Società Agricola in Sicilia, al Verdura Resort, è un punto di forza determinante. Prima del debutto, tutti i prodotti sono state testati per 3 anni. Da un punto di vista strategico, mi sono resa conto che pochi marchi con ‘spa heritage’ riuscivano nei negozi e nella

vendita al dettaglio. Oggi, i prodotti si possono trovare sul sito ireneforteskincare.com - che spedisce anche in tutta Italia - su Net-a-Porter, sul sito di Luisa Via Roma e da The Beautyaholic’s Shop, sia sul sito che in negozio a Roma. A breve, anche su pureshop.it.

esiste, ma lo sforzo costante per migliorarsi è già un passo fondamentale che ci vede in prima linea. I nostri ingredienti sono tutti di origine vegana e il 90% sono contenuti in confezioni di vetro, mentre le nostre scatole sono fatte al 100% di fibre riciclate. Nel 2021 lanceremo le confezioni ricaricabili.

La sostenibilità gioca un ruolo determinante. La sostenibilità è un pilastro etico per noi e qualcosa che ho voluto nel DNA del mio marchio. Molti brand non sono davvero all’altezza della reale sostenibilità, mentre per noi il tema interessa il pianeta, le persone e le comunità. Dal processo al prodotto finito. Certo, la perfezione non

Cosa cerca chi viaggia oggi? Come sono cambiate le abitudini e come cambieranno in seguito a questo periodo critico soprattutto per il turismo? Penso che i viaggiatori di oggi vogliano esperienze autentiche. Cercano luoghi che riflettono l’anima della città e vogliono 78


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sentirsi coinvolti nella vita locale. Penso che ci sarà una maggiore attenzione nello scegliere destinazioni che aiutino a far “sentire bene”, perché la salute mentale sarà un focus sempre più importante. Secondo me molti sceglieranno esperienze capaci di rafforzare il sistema immunitario ed è per questo che l’offerta benessere sarà ancora più importante.

fatto trekking sull’Himalaya alla ricerca di leopardi delle nevi e due anni fa ho guidato attraverso lo stato del Tamil Nadu in India, fermandomi in diversi luoghi molto speciali lungo il percorso, visitando templi incredibili, dormendo in piccoli hotel di charme e approfondendo la conoscenza delle pratiche ayurvediche. Da italiana, adoro viaggiare in Italia Roma, Firenze, la campagna toscana, la Puglia, Venezia... la lista è infinita. Mi piace provare nuovi boutique hotel e ogni estate cerco di seguire un itinerario diverso in una regione italiana.

E Irene Forte, quando viaggia per piacere e non per lavoro, cosa cerca? Amo le vacanze all’insegna dell’avventura: tre anni fa ho

Quali sono i suoi luoghi del cuore? Come avrà immaginato, adoro Verdura Resort. È meraviglioso perché c’è così tanto da scoprire. Ci si può rilassare completamente in spiaggia o alla spa, si possono fare escursioni in montagna e visitare templi meravigliosi, le bellissime città e villaggi vicini. Inoltre, posso andare a visitare i nostri artigiani e trovare ispirazione. Ma in realtà, amo tutte le proprietà di Rocco Forte per diversi motivi.

Al Verdura state compiendo un passo ulteriore, cercando di coinvolgere l’ospite nella conoscenza di alcune realtà artigianali locali legate al Resort e alla sua spa... Promuoviamo gli artigiani locali in tutti i nostri hotel. È la stessa motivazione che spinge mia zia, Olga Polizzi, nel progetto e a disegnare gli interni dei nostri hotel. Dieci anni fa vivevo in Sicilia e ho conosciuto molti degli artigiani che hanno partecipato alla realizzazione del Verdura Resort. Ho creduto fosse molto importante affidarmi a loro anche per Irene Forte Skincare, un marchio che trova ispirazione totale in questa isola magnifica.

E quelli del “glamour”? Hotel de Russie a Roma. Amo Roma e il giardino segreto dell’hotel non ha rivali. Chi non vorrebbe soggiornare nell’albergo che Jean Cocteau chiamò “paradiso terrestre”? 79


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Testo di Lavinia Elizabeth Landi

Bellezza Interiorità Ludovica di Gresy, modella, cresciuta in una famiglia agiata e intellettuale, parla di bellezza. Appunti per cancellare la superficialità

A soli diciannove anni, Ludovica di Gresy muove i primi passi nel mondo della moda con una campagna per uno dei marchi più esclusivi e luxury del mondo, Loro Piana. Cresciuta in una famiglia agiata e intellettuale, tra arte, libri e paesaggi di montagna, parla del concetto di “bellezza” come di un qualcosa che ha sempre fatto parte della sua vita ma che ancora deve veramente scoprire. Ricordando le vacanze a Gstaad e i racconti della nonna scrittrice, Ludovica racconta la sua necessità di vivere una prospettiva differente, di lanciarsi in quel mare in tempesta che è il mondo della moda, una realtà ambivalente che definisce “cruda” ma che allo stesso tempo l’ha aiutata a superare le insicurezze giovanili di un corpo forse troppo bello per potersi riconoscere.

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Racconta di te, della tua famiglia. Mi sono appena diplomata al liceo artistico di Milano con voti alti. Anche se mi piacerebbe continuare a studiare, prima o poi, ora mi vorrei concentrare esclusivamente sulla carriera di modella, che ho appena cominciato. Sono convinta che sia sempre meglio fare una cosa alla volta e farla bene. La mia è una grande famiglia, ho una nonna scrittrice e mi è sempre piaciuto ascoltarla raccontare le storie di casa. Cosa ricordi della tua infanzia? I miei ricordi più belli sono tutti a Gstaad, in Svizzera. Vado lì con la mia famiglia da quando avevo due anni, e anche se Milano è la mia città, le emozioni che sento appena metto piede in quelle piccole stradine di montagna sono insuperabili. Lì ho instaurato rapporti di amicizia profondi e duraturi. Hai sempre saputo di essere bella? Ritengo ci siano vari tipi di bellezza. Ho sempre pensato di essere una persona bella interiormente, sono felice di come sono. Quando ero più piccola invece, avevo molte insicurezze a livello estetico, che posso dire di aver superato ora grazie al mondo della moda. Oggi sono più consapevole e grazie alle foto che mi hanno scattato mi sento sicura e mi sento più bella. È importante forse distinguere l’essere belli dal sentirsi belli: col tempo una persona deve imparare a conoscersi e ad apprezzarsi. Una persona può essere bella in tanti modi diversi. Non giudico mai la bellezza esteriore di una persona, non riesco proprio. Ho bisogno di conoscere il suo carattere, affezionarmi alla sua interiorità. Anche se nel mondo della moda è la bellezza esteriore quella che conta, tutti i modelli e le modelle che ho conosciuto finora si sono presentati come belle persone, coraggiose e con molto da raccontare. Io cerco questo nel mio concetto di “bellezza”. Qual è una ragazza o una donna bella secondo te? Angelina Jolie, senza dubbio. Amo molto i suoi lineamenti duri e dolci allo stesso tempo, tanto che rimango ipnotizzata quando la vedo in un film o in una foto. Sei cresciuta circondata dalla bellezza: belle case in cui hai abitato, bei vestiti, vacanze in posti meravigliosi. Quanto è importante la bellezza? Diciamo che sono cresciuta in una bolla di vetro, nel senso che ho sempre visitato posti meravigliosi, abitato in begli hotel o belle case. Di sicuro è stato importantissimo per la mia crescita, per farmi diventare quella che sono. Ora però ho voglia di vivere altre realtà, e quello della moda è un mondo crudo.

Ho capito che la vita non è realmente come immaginavo, proprio perché ero confinata in realtà “perfette”, ideali. Ora ho imparato cosa voglia dire avere degli impegni, delle responsabilità, piano piano sto lasciando andare la spensieratezza di quando ero piccola per addentrarmi nel mondo adulto. Cosa ti sembra brutto invece nel mondo in cui viviamo? Vorrei esistesse un mondo più umile e onesto, più coeso e sincero, un mondo senza superficialità. Perché hai scelto la moda? È stata parte integrante della mia vita fin da quando ero piccola: la mia bisnonna aveva una linea di abbigliamento e ho sempre voluto far parte di quella realtà. Ho appena cominciato ma grazie alla campagna con Loro Piana ho già visitato luoghi stupendi, conosciuto persone a modo e mi sono divertita moltissimo. Per un momento ho pensato di andare a studiare architettura. Al liceo artistico mi ero indirizzata verso quel campo e mi sarebbe piaciuto approfondirlo all’università ma la voglia di fare la modella è sempre stata più grande di qualsiasi altro progetto o desiderio. Che importanza hanno nella tua vita i social? Sono nata nel 2001 quindi sono cresciuta con i social e sono parte integrante della mia vita. Mi aiutano a tenermi in contatto col mio fidanzato a Roma, a vedere un po’ quello che succede nel mondo. Poi penso che Instagram in particolare sia diventato ormai un biglietto da visita, soprattutto nella moda e nel mondo del marketing e delle pubbliche relazioni. Ora la promozione online è diventata essenziale per ogni azienda. Instagram è una potenza ed è importante che tutti possano accedervi e saperlo usare, anche gli anziani. Mia nonna per esempio si sta creando un profilo per promuovere il libro che uscirà. Se potessi realizzare un tuo desiderio, quale vorresti? Tra tutti i desideri che potrei avere in mente, ce n’è uno in particolare che vorrei veder realizzato, ora che finalmente sto muovendo i primi passi nel mondo del lavoro e capisco un po’ di più come funziona: con il tempo e l’esperienza, vorrei arrivare a creare una mia linea di make up. Amo truccarmi e ci tengo alla qualità dei prodotti che uso. Ognuno deve poter nutrire il proprio corpo nel modo più giusto e sano e deve potersi sentire bello come meglio crede. Nella linea che vorrei creare mi occuperei del design del prodotto e della sponsorizzazione. Non è un progetto facile, so che devo aspettare diversi anni perché ho molto da imparare, ma è di sicuro il mio desiderio più grande. 82


Luxury Safes

MILAN | LONDON | MOSCOW | SHANGHAI www.agresti.com


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Rivoluzioni gourmet C’è una nuova generazione di chef che sta cambiando il modo di interpretare la ristorazione. Sono giovani, hanno esperienze internazionali, hanno girato le cucine dei cinque continenti per apprendere, elaborare e fare proprie le culture del mondo Testo di Maurizio Bertera

ISABELLA POTÌ Tr a l e p r o m e s s e d e l l ’ I t a l i a g o l o s a Quanto a fascino, difficile trovarle rivali in Italia: le è servito (in parte) per approdare sul piccolo schermo, nel talent-reality Il ristorante degli chef su Rai2. Ma se è arrivata a questo, a soli 23 anni – è nata a Roma da madre polacca e padre leccese – significa che Isabella Benedetta Potì ha messo a frutto una grande passione sbocciata sin da ragazzina. Isabella si è formata presso Claude Bosi a Londra e dai fenomeni Martin Berasategui e Paco Torreblanca, in Spagna. Il ritorno in Italia, nel 2015, la porta nuovamente dai fratelli Pellegrino, a Lecce: Floriano e Giovanni erano compagni di classe all’Alberghiero, il terzo fratello – Francesco – le aveva insegnato le tecniche di pasticceria sia moderna che classica. Entra nella brigata di Bros, uno dei ristoranti più innovativi dell’intero Meridione, stella Michelin nel 2018, dove «si fa una cucina territoriale concettualizzata, con l’idea di tornare all’essenza della tradizione salentina, che è ricchissima» sottolinea. La Potì - che nel 2019 è divenuta la chef titolare di Bros con particolare attenzione alla pasticceria - è unanimamente considerata uno dei profili verdi più promettenti dell’Italia golosa, al pari di Floriano Pellegrino che del locale è supervisore ai fornelli nonché, nella vita extra professionale, suo compagno. Ristorante Bros, Lecce 84


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D AV I D E C A R A N C H I N I

La provocazione che conquista Fino a quando ha ricevuto a Parma la stella Michelin – Davide Caranchini, classe 1990, era noto solo a due categorie: i gourmet e i lettori di Forbes. I primi avevano già apprezzato il talento del giovane comasco prima nei locali della zona e poi nel primo ristorante di proprietà, il piccolo Materia a Cernobbio. I secondi se lo ritrovarono in una di quelle seguitissime classifiche, a partire da quella dei multimiliardari. Davide era tra i 30 under 30 europei del 2018 “con il desiderio ardente di cambiare il mondo”: undici erano italiani, due di loro cuochi ossia lui e (guarda caso) Isabella Potì. Il suo percorso è stato durissimo, ma utilissimo. Prima esperienza stellata da Semplice a Londra, tra gli “infernali” fornelli di Gordon Ramsay, poi Maze, Le Gavroche (dove è chef-de-partie), Apsleys e Galvin at Windows, per intensificare la conoscenza della cucina asiatica. Infine, il Noma di Copenaghen, con il genio René Redzepi. Esperienze che lo hanno segnato e portato a un menu d’autore tra influenze nordiche, fermentazioni, estrazioni, acidità e gusti amari. Un mondo davvero complesso, nella preparazione, ma che al tavolo arriva in versione spesso essenziale, anche provocatoria. Ristorante Materia a Cernobbio (Como)

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MARTINA CARUSO

Con i piedi per terra Poche parole, naturale ritrosia e grande passione. L’anima isolana di Martina Caruso - classe 1989 e chef dell’anno per la Michelin nel 2019 – è nei suoi piatti intensi. Un navigare nel Tirreno che si contamina delle incursioni nel mondo perché dal borgo marinaro di Malfa, isola di Salina, è partita sovente all’avventura, sempre di livello. A Londra al Jamie’s Italian di Jamie Oliver, a Roma all’Open Colonna e al Pipero al Rex, a Vico Equense alla Torre del Saracino. Per affinare la tecnica prima di succedere a papà Michele, chef autodidatta del Signum, Martina ha esplorato sapori e rubato suggestioni che ha sapientemente ricongiunto agli ingredienti della sua amata isola. Nelle visioni della Caruso i capperi diventano gelato per il sandwich, la triglia impanata e fritta il boccone perfetto da immergere nel brodo con zenzero versato su un crudo di triglia a cubetti, accompagnato da un’oliva nera di Sicilia a piccoli pezzi. «Assaggiare cose nuove è la mia linfa», confessa. L’ultima frontiera è stata il Perù da dove ha portato via sale locale, mais fermentato, buccia di fava di cacao, chonta e quinoa. Ma tanto vagare e l’innata curiosità non l’hanno distolta dalla rotta originaria. Ristorante Signum a Salina

PA O L O G R I F FA

Il predestinato Piemontese di Carmagnola classe 1991 è talentuoso, tecnicamente preparatissimo, ambizioso e assai competitivo, anche nei confronti di se stesso. Dopo il diploma, i grandi ristoranti: Combal.Zero a Rivoli Torinese, Chateaubriand a Parigi, Studio a Copenhagen. Dal 2013 a fine 2015 è già sous chef al bistellato Piccolo Lago a Mergozzo. «Quella è stata la mia esperienza formativa più importante, Marco Sacco mi ha fatto crescere davvero molto, soprattutto su banchetti, numeri e dettagli – dice - la Francia mi ha fatto conoscere fondi, salse ed estetica del piatto. Davide Scabin invece mi ha insegnato il biologico e i fermentati. Poi ci sono tutti i viaggi in Asia, con le sue culture ed i suoi gusti particolari». Nel 2014, vince la selezione nazionale per il S. Pellegrino Young Chef 2015. L’anno successivo è a Chaudes-Aigues (Francia), unico italiano della brigata di Serge Vieira, due stelle Michelin. Nel 2017 approda alla finale di Bocuse d’Or Australia. L’esordio da executive chef è al Petit Royal del Grand Hotel Royal e Golf di Courmayeur. Bastano due anni di piatti mai banali e molto personali per conquistare la sua prima stella Michelin. Ristorante Petit Royal del Grand Hotel Royal, Courmayeur 86


D AV I D E G U I D A R A

Il sapore del mondo Metti un campano di Cerreto Sannita in Sicilia: può sembrare una forzatura, pensando a due grandi realtà culinarie ben diverse. Ma nel caso di Davide Guidara, classe 1994, ha funzionato benissimo: a soli 22 anni, come chef dell’Eolian di Milazzo, si fece notare dalla critica per le notevoli capacità tecniche, la consapevolezza del suo valore e una creatività fuori dal comune. Del resto, era già stato allievo di signori cuochi quali Nino Di Costanzo, Alfonso Iaccarino, Michel Bras e l’immancabile Rene Redzepi. Un anno fa, ha preso le redini di un bel ristorante gastronomico, all’interno del Romano Palace di Catania: si chiama Sum, “sono” in latino. Tra gli obiettivi che si prefigge di raggiungere. Primo: il sapore, spazio al prodotto più che allo chef. Secondo: l’essenzialità. Terzo, un pensiero forte: «Il Mediterraneo si sta evolvendo: siamo a una nuova fase di contaminazione. I protagonisti siamo noi giovani; siamo emigrati in altri luoghi del globo per imparare nuove culture, nuove idee, nuove tecniche che ora esprimiamo sotto un concetto condiviso, mischiando le vecchie culture» spiega appassionatamente. Ristorante Sum, Romano Palace, Catania 87


N E W G E N E R AT I O N

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MICHELANGELO MAMMOLITI

L’italiano che cucina francese Torinese di Giaveno, classe 1985, Michelangelo Mammoliti, dal 2014, è chef del ristorante del resort La Madernassa di Guarene. «Tra le esperienze che più mi hanno formato – racconta - c’è quella con Gualtiero Marchesi, prima all’Albereta in Franciacorta e poi al Marchesino di Milano». È però l’incontro con Stefano Baiocco, chef di Villa Feltrinelli a Gargnano a cambiare la vita di MM (il suo nickname). Chiusa la parentesi sul Garda, inizia un pellegrinaggio di cinque anni tra i grandissimi della cucina francese: Alain Ducasse, Pierre Gagnaire, Yannick Alléno a Parigi e Marc Meneau all’Espérance di Saint Père sous Vezelay. «È da questi grandi maestri che ho appreso tre concetti fondamentali: rigore, eccellenza, e l’essere esigenti con se stessi» sottolinea. I suoi piatti tracciano un excursus sensoriale delle sue esperienze internazionali con una chiave di lettura molto personale che affonda le radici proprio nella terra natia, il Piemonte. Non ha timore di esternare il legame con la cucina francese da fuoriclasse. Un approccio unico che vale due stelle Michelin, con la seconda arrivata nel dicembre 2019. Ma non basta. «Entro cinque anni vorrei la terza» dice serenamente. Ristorante La Madernassa, Guarene (Torino)

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D O N AT O A S C A N I

La maniacale attenzione al dettaglio

«Bravissimo: prepara piatti incredibili, non so nemmeno io come faccia». Vero che Donato Ascani fa parte della sua ‘scuderia’, ma l’uomo delle stelle Enrico Bartolini non è una persona che regala complimenti, soprattutto se professionali. Ma il giovane laziale – nato a Fiuggi nel 1987, li merita perché ha messo a frutto un talento puro e il dna di una famiglia di ristoratori: le prime esperienze in osterie, Verona, la scuola ad Alma ad assistere gli chef della scuola e un quadriennio fondamentale da Enrico Crippa a Piazza Duomo. Poi l’arrivo a Milano da un altro maestro dei fornelli quale Paolo Lopriore e la chiamata di Bartolini. Ma nel suo destino non c’è il Mudec bensì il Glam di Venezia, scenoso ristorante di Palazzo Venart. E qui, in poco tempo, arriva la prima stella Michelin bissata un anno fa. «Il mio è un menu istintivo. Si basa spesso sulla sulla spesa quotidiana, vado per i mercati veneziani che sono ricchissimi – spiega - i piatti scaturiscono dal caso: un ricordo, un racconto, un incontro». Ristorante Galm – Palazzo Venart a Venezia

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TP AOSSTHE & G O U R M A N D D

LLI IVVI INNGG

Invisible House

La residenza che scompare

Situata nel Joshua Tree National Park, a poche ora da Los Angeles, l’edificio si unisce al deserto che lo circonda grazie ai vetri specchiati che ne avvolgono l’intero perimetro

English text at page 159

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Testo di Davide Landoni

Lusso e rispetto della natura sono i valori chiave di questa struttura unica Un miraggio, un grattacielo orizzontale, la casa che non esiste. C’è l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda le definizioni da affibbiare all’incredibile palazzo a specchio che scompare nel deserto della California. Invisible House è una dimora extralusso immersa nella selvaggia bellezza del Joshua Tree National Park. Affittabile per soggiorni, eventi, shooting e mostre, la residenza viene alla luce dopo oltre dieci anni di gestazione.

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A idearla è stata la mente di Chris Hanley, produttore cinematografico con la passione per l’arte e l’architettura. Tra i suoi film, per intenderci, ci sono “American Psycho”, “Il giardino delle Vergini Suicide” e “Spring Breakers”. Forse proprio a causa della sensibilità filmica del suo creatore, Invisble House si presenta come una pellicola vergine dove gli elementi del deserto vengono impressionati dalle sue superfici riflettenti. Un avveniristico scheletro d’acciaio che sorregge una struttura in vetro temperato, che tutto accoglie e tutto restituisce. La residenza, adagiata due ore a sud est di Los Angeles, sembra quasi scomparire nel silenzio terroso della natura incontaminata. Uniformandosi in modo organico all’ambiente, questa ne riverbera la magia e amplifica le possibilità. Merito anche di Tomas Osinski, l’architetto che ha affiancato Hanley nella realizzazione del progetto. Difatti la casa adotta un approccio minimale, votato all’essenziale. La sua forma è estremamente lineare - un parallelepipedo lungo e sottile di 510 metri quadri – e poggia su un’intelligente struttura a sbalzo. I pilastri cilindrici che la sorreggono garantiscono un minimo impatto sul terreno, nonostante le imponenti dimensioni della dimora. Una sorta di grattacielo rovesciato, posto in orizzontale, rivestito di vetri specchiati come i suoi cugini metropolitani. Inteso in questo senso, il progetto appare come un ribaltamento 93


Un luogo di sogni che si riflettono 94


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semantico totale: da città a natura, da conquista della verticalità a comunione terrena. Invisible House scivola come un serpente tra le pieghe del deserto, nascondendosi dietro le sue pietre fino a mimetizzarsi. I novanta ettari di terreno che la avvolgono la rendono, tra le residenze private, la più estesa di tutto il Joshua Park.

perpetua i giochi di luci sfumando dal blu al verde, dal rosso al viola. A un’estremità della vasca la parete è completamente spoglia, adatta alla proiezioni di film. All’estremo opposto è situata la cucina, il cui stile moderno è firmato Boffi. I toni del bianco modulano un ambiente essenziale ma completo di tutto ciò che è necessario.

Vetro e cemento sono i materiali che generano linee pure e precise, all’interno delle quali si strutturano gli ambienti fluidi. Ogni stanza si spalanca sul paesaggio e al contempo lo riceve, assorbendone luce ed energia. Gli interni sono eleganti, minimali, quasi essenziali; ma, separati da un’impalpabile vetro, ecco i colori caldi della terra, l’intensità dei fiori di lavanda e la dolce ingombranza del cielo. Tra le mura l’elemento di spicco è indubbiamente la piscina, che si estende per oltre 30 metri lungo la parete ovest della residenza. Un ulteriore specchio, anche se d’acqua, in una marea di riflessi. La sua collocazione è perfetta per osservare il deserto sorgere lentamente dal freddo della notte e il cielo adagiarsi incandescente su di esso a fine giornata. Anche la sera, sotto le stelle, l’illuminazione a LED

La struttura si sviluppa superando le pareti specchiate e scorrevoli che separano l’ambiente. Sono addirittura quattro le camere da letto, tutte dotate di un proprio bagno. Le stanze, tra cui spicca la Master Suite, si configurano come un connubio perfetto tra intimità domestica e natura. Non può mancare il living, arredato con divani, sedute e diverse porte scorrevoli che danno accesso all’area esterna. E qui, inevitabilmente, va a concludersi il percorso per la casa che è anche un viaggio spirituale. Gli immediati pressi dell’edificio sono stati attrezzati con vari punti per l’osservazione delle stelle, alla meditazione e allo yoga; non manca il punto solarium. Una serie di pannelli fotovoltaici consentono inoltre alla residenza di autosostenersi per quanto riguarda l’energia elettrica e il riscaldamento.

Tutte le foto ©invisiblehouse

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TA S T E & G O U R M A N D D

Fino all’anima della forma Testo di Davide Landoni

Lusso, calma e voluttà. Un famoso verso di Charles Baudelaire racchiude l’essenza del lavoro di Domenico Mula, interior designer di fama internazionale. Gli articoli di design di DOM Edizioni uniscono in modo raffinato le linee pure e innovative del design più attuale con la tradizione artigianale italiana. Il risultato è un prodotto completo, in grado di coniugare piacere estetico e totale funzionalità

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Il design spesso si compone di linee semplici elaborate in modo inaspettato. Questo illude chi guarda di trovarsi di fronte a una creazione dalla complessità ridotta. Ma è un inganno, un’illusione che trasforma un profondo studio delle forme in una messa in scena solo all’apparenza semplice. Una sensazione simile la si prova osservando le mani rapide di Domenico Mula, che impugnano la penna per lasciarla poi scivolare sul foglio e imprimere i primi schizzi del progetto. In un attimo le idee si materializzano. Pochi segni, in grado di tracciare il sentiero che condurrà al prodotto finito; pochi segni, che raccolgono un innato talento e gli sforzi per disciplinarlo. Domenico Mula lo fa fin da quando era giovane: plasma gli spazi vuoti senza fatica, vede un interno arredato ancora prima che questo prenda forma. «Il design è qualcosa che nasce dentro di te» ama ripetere, ma prima o poi deve anche uscire fuori e strutturarsi. E così ha fatto con DOM Edizioni, società che si occupa di tradurre in pratica le idee del suo direttore artistico. Queste si condensano attorno alla grande tradizione italiana dell’eleganza, della cura al dettaglio, del buon gusto. La visione innovativa di Domenico Mula si fonde al know how dell’artigianato per realizzare, al fianco di grandi architetti, progetti destinati ad abitazioni private, hotel di lusso e yacht. Il fascino di DOM si è allargato negli anni fino a consacrarsi a livello mondiale, arrivando a collaborare con

importanti realtà internazionali: da Louis Vuitton a Tiffany, dal Four Season all’Hotel de Paris a Monte Carlo. La sua anima rimane però salda in Italia, divisa tra le due sedi di Cesena e Milano. Un’incredibile chiesa sconsacrata lo showroom romagnolo, un raffinato appartamento nel cuore del quadrilatero della moda la seconda. Da qui transitano i clienti con cui DOM si prepara a collaborare, da qui le sue creazioni partono per raggiungere le loro destinazioni finali. Il successo dello studio è da ricondurre allo sguardo vasto e profondo del suo fondatore. Scovare l’essenza della forma per sedurre corpo e mente, disegnare l’interno di uno spazio per ridefinire i luoghi interiori di chi lo abita: questo è l’obiettivo di Domenico Mula, che mentre inizia a parlare non smette di tracciare sul foglio il seme di un progetto di design che tra poco germoglierà. Sembra facile, ma siamo sicuri non lo sia affatto. Come ha iniziato la carriera di interior designer? Ero un ragazzo molto giovane con tanta voglia di fare. Ho sempre avuto una forte passione per il design e per la moda. Pur arrivando da una famiglia di imprenditori, contro tutto e tutti, volevo assolutamente fare il designer e far parte di questo mondo. Quindi non appena possibile, all’età di vent’anni, ho abbandonato tutto e ho iniziato a impegnarmi in questa professione. 98


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Quale crede sia la chiave del suo successo? La passione. Complice fondamentale della passione, la costante ricerca del bello e del buon gusto. Per quanto riguarda l’organizzazione degli spazi, è un dono di natura. Ho sempre avuto una rapida capacità di valutare/esaminare gli ambienti vuoti. Alla base c’è sicuramente un sano divertimento. Sono molto curioso, mi piace ascoltare e osservare. Ho sempre provato piacere nell’avere, se necessario, uno scambio di idee con i nostri clienti architetti. Quando mi confronto con persone provenienti da tutto il mondo, con i quali si condivide una grande passione, trovo sempre un grande feeling a fare da filo conduttore. Ci divertiamo. Sono sempre propenso agli scambi di idee. È un settore molto competitivo quello in cui opera? Il settore globale è molto competitivo. Nella fascia molto alta del mercato si è creata una sorta di nicchia di cui noi facciamo parte. Questo ci porta a non operare in segmenti di macro fatturati, ma in settori di nicchia, artigianali. Ogni pezzo di design ha una sua anima, un vissuto che si porta dietro.

In apertura uno degli ambienti realizzato da Domenico Mula. Nella pagina a sinistrra l’headquarter di Dom Edizioni a Cesena, in una chiesa sconsacrata. a destra Domenico Mula. In basso un ambiente Dom Edizioni.

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Quanto è difficile rimanere ai vertici? Rimanere competitivi è frutto di un’azione quotidiana. Oggi tutti vorrebbero posizionarsi nella fascia alta del mercato, ma questo ovviamente non è possibile. Ogni giorno dobbiamo compiere scelte importanti, raggiungere compromessi qualitativi per mantenerci ad alti livelli. Lei è artista ma anche imprenditore. Come coesistono le due anime? Le due anime non possono coesistere. Si combattono tutti i giorni. Ora che i miei figli sono entrati in azienda, loro sicuramente cureranno più di me l’aspetto imprenditoriale. Come nasce un suo prodotto? Nasce dalla sensazione del momento, dal desiderio di fare qualcosa di nuovo. Mi sento molto filo-americano anni ‘50. Avrei voluto vivere in quel periodo, sicuramente parte della mia ricerca risiede lì. Parto da una fonte d’ispirazione e arrivo a immaginare il prodotto. Questo gradualmente si trasforma e con naturalezza si discosta completamente dall’elemento iniziale. Diventa un oggetto, un arredo con vita propria. È un processo creativo che si alimenta anche grazie alla vicinanza con i migliori artigiani italiani, che riescono a trarre il massimo dalle caratteristiche intrinseche del materiale stesso. Qual è la sua idea di design? Oggi il design è sempre più diffuso. Finalmente la maggior parte delle persone, soprattutto i nostri clienti, sanno riconoscerlo. Prima ho parlato di buon gusto: il design applicato a buon gusto e cultura conducono, nella mia esperienza, a un grande risultato. Non parlerei più di moderno e di classico, ma di contemporaneo. Sarebbe bello avere una casa con un mix di prodotti vintage e pezzi originali: dal baule all’oggetto, dalla lampada al mobile. C’è qualche designer a cui si ispira o si è ispirato? Sicuramente ci sono i grandi maestri italiani, francesi, americani e non solo. Citarne uno sarebbe riduttivo. Vent’anni fa, quando lavorai nel team creativo della Modenature di Parigi, per la mia vita fu una svolta. Sicuramente a quei tempi fui molto influenzato da JeanMichel Frank. Sente che il suo stile ha assecondato lo spirito del tempo o ha saputo anticiparlo? Proprio poco tempo fa ho visto una casa che era stata arredata 10 anni addietro con un concept DOM, e devo dire che sembrava realizzata lo scorso anno. Sia per lo stile sia per la tenuta degli arredi stessi. Non ne ero stupito, ma

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piacevolmente appagato. Sicuramente come DOM lo stile lo abbiamo sempre anticipato. Non vogliamo andare di moda: vogliamo essere per sempre, senza tempo. C’è qualche progetto di cui è particolarmente soddisfatto? In Italia e all’estero, ci sono tanti progetti dei quali siamo soddisfatti. Sicuramente una grande emozione è stata, lo scorso anno, la realizzazione degli interni della più bella villa di Capri. Ricordo in particolare un’abitazione a Parigi, in Saint-Germain-des-Près. Penso al refresh del ristorante stellato Locanda del Borgo dell’Aquapetra Resort a Telese, un antico borgo italiano caratterizzato da un fascino unico e speciale. Come anche un bellissimo appartamento nel quadrilatero della moda milanese e un fascinoso complesso residenziale a Saint Tropez. Lì l’energia positiva domina l’ambiente. Con quali grandi personaggi è entrato in contatto? Molti, ma per motivi di privacy non posso fare nomi. Anche ora stiamo curando l’allestimento per uno dei più grandi stilisti di moda, per cui ho sempre nutrito molta stima artistica e imprenditoriale. A livello di aziende, per esempio, siamo stati felici di creare prodotti per Louis Vuitton e per Tiffany. Qual è la richiesta più strana che un cliente le ha fatto? Il concetto di “strano” è relativo. Penso che nel design non esista il giusto o lo sbagliato. C’è una linea sottile tra unico e originale che rende ogni circostanza speciale a modo suo. Adoro metterci alla prova. Come nasce DOM Edizioni? Dopo la mia esperienza in Francia, a Parigi, nacque in me la voglia di creare una mia linea. Quasi per gioco. Inizialmente si trattava solo di qualche pezzo. Oggi invece abbiamo un catalogo con oltre 200 prodotti in collezione. La soddisfazione più grande è sapere che i nostri mobili sono desiderati sia nelle case più importanti, sia in hotel prestigiosi come il Four Season, l’Hotel de Paris Monte Carlo, l’Argentario Golf Resort, il Flemings Mayfair Hotel - un bellissimo boutique hotel nel cuore di Mayfair a Londra - e il Mandarin Hotel a Parigi. Solo per citarne qualcuno. DOM Edizioni ha due sedi: una romagnola e una milanese. Hanno ruoli differenti? Cesena è sicuramente il luogo dove siamo cresciuti. La nostra sede si trova in una splendida chiesa sconsacrata da cui i clienti restano sempre ammaliati. Forse qui si respira un’aria più razionale. A Milano, invece, abbiamo creato un private apartment che possa fungere da luogo di appuntamento per i nostri clienti provenienti dall’Italia e non solo. Qui si apprezza l’anima di DOM Edizioni. 100


Ci parli dello showroom di Milano. È un luogo unico, come viene utilizzato? Innanzitutto per ricevere i nostri clienti in arrivo da tutte le parti del mondo. Diventando un luogo di incontro, di scambio di idee, di creatività. Gli architetti sanno di avere sempre a disposizione il nostro spazio come centro creativo milanese. Ci piace condividere il bello con gli altri. Ecco perché è stato, per esempio, teatro di un evento con Acqua di Parma, di un bellissimo servizio fotografico di Valentino e a novembre sarà utilizzato da Tiffany.

Ad ogni modo l’abitazione di un designer è una casa che non è mai finita. C’è un progetto in cui sogna di vedere realizzati i suoi arredi? Non si smette mai di sognare. Ad oggi però posso dire che, anche grazie agli importanti architetti con cui ho collaborato, molti sono stati già realizzati.

Lei vive a Saint Tropez, ci può raccontare com’è la sua città? I luoghi e i ristoranti che frequenta, per esempio. La città è bella, la vivo come fosse il paese dove sono nato. La mia frequentazione quotidiana è rivolta al fiorista, al fornaio, al negozio di frutta e verdura. Amo passeggiare alle prime ore del mattino, adoro i colori e le prime luci dell’alba. Questi sono per me momenti unici e di grande ispirazione. Vivo meno l’aspetto mondano e più l’aspetto tipico del posto. I ristoranti che frequento sono per lo più locali. Apprezzo l’aspetto “paese” di Saint Tropez, quello del borgo storico dei pescatori (Les Pecheurs) per intenderci. Com’è la casa di un interior designer? La immaginiamo bellissima. La mia casa è una cuccia. La casa di un interior designer è una cuccia. Amo gli oggetti vintage e i ricordi di viaggio.

“OGGI IL DESIGN È SEMPRE PIÙ DIFFUSO. FINALMENTE LA MAGGIOR PARTE DELLE PERSONE, SOPRATTUTTO I NOSTRI CLIENTI, SANNO RICONOSCERLO”

In alto uno degli ambienti realizzato da Dom Edizioni di Domenico Mula.

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HO

CHARME D’AVANT GARDE Boutique hotel pensati per viaggiatori di una nuova Era. Libera e ambiziosa, ecco la visione di Ori Kafri, CEO dei J.K. Place hotels Testo di Antonella Tereo

J.K. Place Capri

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Antesignano dei boutique hotel in Italia, pioniere nel suo percorso un po’ fuori dagli schemi, come nella scelta di rifiutare espansioni facili volendo osare altrove. Ori Kafri, CEO dei J.K. Place hotels, è un leader che guarda oltre. Pensa a una nuova ospitalità, quella per viaggiatori che vanno oltre le mode e persino oltre i brand più ridondanti. Ed è una sfida velata verso i cliché. J.K. Place Paris

Le sue perle in Italia a Firenze, Roma e Capri, e un gioiello a Parigi ne sono un esempio, impreziosito dal tocco di un unico architetto, Michele Bönan, scelto per dare coerenza e un’identità forte e contemporanea, tratti in cui la next traveller generation deve ritrovarsi. 103


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TRAVEL

C’è bisogno di evasione... Non crede? Quando una persona decide di affrontare un viaggio, scegliere un albergo o andare al ristorante, questo ha molto a che fare con la sua intimità e di come vuole affrontare questo percorso. La cosa più forte oggi è che ci è stata tolta la libertà. La possibilità di essere liberi nelle piccole cose, nelle nostre scelte e nella socialità di ogni giorno, è venuta a mancare. Ora, le persone che vogliono viaggiare pensano a come riconquistare questa libertà, a come superare restrizioni che fanno male all’anima. Per chi vuole evadere, un hotel o un resort deve dare un messaggio di serenità.

J.K. Place Roma

È l’idea di “esperienza” che si sta trasformando? La situazione ha cambiato l’idea di sogno - più che di esperienza - e se all’uomo si tolgono i sogni diventa tutto più grigio. La voglia di fuggire dal quotidiano, di pianificare altrove il proprio tempo. In questo momento non conta nemmeno se andare lontano o vicino, ma conta solo la possibilità di realizzare questo sogno. E il sogno si può realizzare anche in un hotel che non si trova necessariamente ad 8 ore di fuso orario. Serve solo una via di fuga, per uscire dal day by day, per ritrovare proprio quest’evasione, questo sogno.

J.K. Place Paris

In cosa bisogna rompere con il passato? Quella che abbiamo noi albergatori è una grande opportunità: sicuramente coccolare di più i gli ospiti che specie in questo periodo ci scelgono, così come quelli che venivano già da lungo tempo. Noi abbiamo hotel di 20-30 camere, rispetto a grandi strutture abbiamo la fortuna di avere numeri che creano relazioni più strette coi nostri ospiti. Possiamo dare un servizio ancor più accurato, possiamo dedicar loro delle situazioni uniche alla scoperta della città, dalla visita privata alla bottega artigiana alla possibilità esclusiva di far venire il sarto in hotel con i suoi tessuti d’alta gamma. Oggi bisogna ricordarsi di dare valore anche alla stessa scelta che fa un ospite, non c’è mai nulla di banale dietro la scelta di un hotel. Una nuova connotazione nel termine esclusività, ad esempio... È un processo fatto di tanti piccoli “patti”... Il 99% degli albergatori su domande riguardo all’ospitalità risponderebbe sempre allo stesso modo. Tutti quelli di un certo livello vogliono garantire gli stessi principi di accoglienza, di esclusività. Ora io penso invece sia arrivato davvero il momento di dimostrarlo, nei fatti. Oggi se una persona ha scelto di prendere un mezzo di trasporto, affrontare un viaggio e andare in un albergo, 104


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TRAVEL

quando ormai dobbiamo lottare per avere questi momenti di libertà, allora è arrivato il momento di fare la differenza mettendo in campo le migliori risposte. Gli hotel sono entità astratte se non ci metti dentro delle persone, vive, con emozioni, con la loro passione. Quando arrivano degli ospiti, adesso, c’è l’opportunità di scaldare l’ambiente trasmettendo quello che è il nostro messaggio. In cosa vorrebbe andare controtendenza? Io paragono il nostro mondo - quello dei J.K.Place – a quello di un sarto, che fa l’abito su misura mentre le grandi catene alberghiere sono un po’ come Gucci, Armani, Prada ecc. Ci sono viaggiatori che scelgono di non seguire per forza la moda... Un’idea che già nella parola sento sia fine a se stessa, perché ha un tempo di vita preciso. Oggi ci sono alcuni che si allontanano dall’idea di frequentare grandi brand internazionali e vogliono invece proprio il sarto, perché hanno fatto un percorso, anche di approccio, verso qualcuno che ti prende le misure, ti consiglia,

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qualcuno che ha dietro un’altra cultura e un’altra conoscenza del prodotto e delle sue caratteristiche. I J.K.Place si fondano su questo concept e dunque dove posizionerebbe le prossime opening? Sà, è strano in un periodo come questo ma, mai come nelle ultime settimane ho avuto così tante opportunità su cui riflettere. Il mio sogno al momento sarebbe quello di esplorare nuovi confini, con nuovi progetti. Anche se in Italia è oggi più facile pianificare e pensare ad uno sviluppo, magari su Puglia o sulla Toscana, io andrei oltre. Mi piacerebbe pensare di aprire a Mykonos o a Londra o a Saint Tropez, fino ad arrivare Oltreoceano, in America. Lì sì, ci arriverò prima o poi.

Nella foto a fianco Ori Kafri, Ceo di J.K. Place Hotels


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BEAUTY A cura di Luisa Micaletti

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Miriam Cicchetti, brand manager Sensai.

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BEAUTY HI-TECH

INTERVIEW

A cura di Luisa Micaletti

Il nuovo segreto di bellezza?

UN VELO DI SETA Il primo a scegliere i prodotti Sensai è stato Harrod’s a Londra, negli anni ‘70. A seguire le vetrine più esclusive lo hanno proposto per raccontare al pubblico occidentale i segreti di bellezza delle donne giapponesi

Dopo aver festeggiato i venti anni di presenza sul mercato italiano, Sensai, il marchio giapponese di bellezza che ha al centro della sua filosofia la seta Koishimaru, è pronto a stupire con il lancio di un device ad altissima tecnologia in grado di innovare il concetto di skincare. A raccontare le prossime sfide è Miriam Cicchetti, brand manager Sensai.

consolidando Sensai come brand super prestige.

A un anno dalla sua nomina e con un 2020 altamente sfidante, qual è il suo bilancio? Nonostante tutto posso considerarlo comunque positivo. Sensai è un brand apprezzato dalle consumatrici e riconosciuto dalla distribuzione, con queste basi non sarà difficile migliorare e ottenere dei risultati sempre più ambiziosi.

Avete recentemente lanciato sul mercato un nuovo device molto interessante: ce lo racconta? È il primo skincare device targato Sensai, Biomimesis Veil, ha la capacità di massimizzare il potenziale dei trattamenti di skincare, è un device infatti che, non sostituisce i trattamenti skincare ma che anzi è a “loro servizio”. Ispirata alla seta Koishimaru, la fibra setosa di Biomimesis Veil, frutto di Fine Fiber Technology, forma un velo di fibra ultrasottile che avvolge la pelle per idratarla e sfruttare le potenti tecnologie dei trattamenti di bellezza. Per questo Biomimesis Veil va utilizzato tutte le sere come ultimo step del rituale di bellezza serale, come se fosse una “maschera notturna”, in combinazione con la Veil Potion e la Veil Effector consente di vaporizzare un velo di fibra ultrasottile che amplifica il risultato dei trattamenti notturni. Abbiamo deciso di lanciarlo in un numero esclusivo

Le Sensai Adviser sono da sempre uno dei pilastri della marca? Certamente, il nostro team di Sensai Adviser rimane e rimarrà anche nel futuro uno dei pillar di Sensai. Le prospettive sono buone e il calendario pianificato è totalmente confermato.

Sensai è fra i brand di luxury skincare più amati. Quali sono le strategie per il prossimo futuro? È nostra intenzione, costruire il prossimo futuro della marca ancora su una strategia distributiva selettiva e su una relazione con i retailer sempre più stretta e collaborativa. Come il 2020 anche il prossimo anno ci vedrà impegnati in lanci ad alta innovazione e tecnologia che, sono sicura, non deluderanno i nostri concessionari e le nostre consumatrici, 109


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BEAUTY HI-TECH

INTERVIEW

di profumerie con la presenza delle nostre Sensai Adviser che avranno un ruolo chiave per la consulenza alle consumatrici. A livello di comunicazione abbiamo organizzato un evento influencers, incontrandone un numero selezionato in modo che raccontasero su Instagram la tecnologia, l’innovazione del device e il suo utilizzo. Essendo una gestualità ancora sconosciuta può sembrare complicata, in realtà, bastano un paio di sere per integrarlo facilmente nel rituale di bellezza. Quali altri lanci ci saranno? Sensai Dual Essence, un’essenza bifasica che grazie alle sue proprietà nutritive arricchisce il trattamento quotidiano per regalare alla pelle densità, morbidezza e lipidi. Abbiamo presentato la nostra prima collaborazione artistica realizzata con Soitou Nakatsuka, calligrafa giapponese di fama internazionale. Appartengono a questa minicollezione in edizione limitata il nostro prodotto icona, AS Micro Mousse, Sensai Ultimate The Cream (30ml) Limited Set e 3 tonalità one shot di The Lipstick ispirate a fiori autunnali giapponesi. Infine ci prepariamo al Natale con due cofanetti skincare e uno make-up. Lo skincare è il segmento che meno sta soffrendo in questo momento e voi siete molto forti sulla detersione: ci saranno lanci futuri ? Abbiamo un’importantissima novità legata alla detersione per l’inizio del 2021. Sono certa che riconfermerà Sensai come il brand di riferimento di questo segmento di mercato . Per il make up invece? Ovviamente come brand ad alta vocazione skincare, i prodotti makeup più richiesti sono i fondotinta e in generale tutti i prodotti di makeup. Questo rinnovamento ha però razionalizzato e migliorato anche la proposta relativa al colore. Il rinnovamento non è ancora terminato, ma posso anticipare che anche nel lancio make-up del prossimo anno, l’upgrade dei prodotti è sicuramente notevole. La marca in Italia compie 20 anni: come saranno i prossimi venti? Quello che mi auguro è che Sensai continui a essere riconosciuta e apprezzata per la qualità, l’innovazione dei prodotti e la coerenza delle sue scelte strategiche. Sono consapevole che abbiamo ancora tanto da fare Sensai è una marca “giovane” ma con ampi margini di crescita sotto tutti i punti di vista. (ha collaborato Paola Rondina)

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BEAUTY

La Cure d’excellence

Il concetto di tempo non è mai stato così relativo Sisleÿa L’Integral Anti Agê La Cure si ispira alla ricerca scientifica più attuale. La maison francese di bellezza ha ideato un trattamento in grado di rilanciare l’energia vitale delle cellule epidermiche

Partendo dal principio che alla pelle sono necessarie quattro settimane per rinnovarsi, Sisleÿa L’Integral Anti Agê La Cure, rilancia i meccanismi vitali ed energetici delle cellule epidermiche, stimolandole a produrre l’energia necessaria. Ma se questa energia non riesce a circolare nel modo più opportuno, verrebbe vanificata, ecco perché fa in modo che arrivi laddove serve sostentando al meglio tutti i comparti epidermici. E infine, detossina eliminando le scorie e favorendo un corretto rimpiazzo degli elementi difettosi che causano un rallentamento del ciclo vitale. Ciascuno dei quattro flaconi di cui è composta la cura aiuta, settimana dopo settimana, i meccanismi che permettono alla pelle di rinnovarsi e rigenerarsi. Per fare questo utilizza gli estratti botanici che, nella gamma Sisleÿa, hanno garantito fin qui i risultati migliori. L’estratto di foglie di ginko biloba associato alla vitamina E protegge il mitocondrio dai radicali liberi; l’estratto di rizoma di Mariposa Blanca riconnette la rete energetica mitocondriale favorendo un corretto scambio;

l’estratto di peonie associato a degli zuccheri favorisce l’eliminazione dei mitocondri danneggiati. Inoltre, per armonizzare il ciclo vitale delle cellule, sono stati integrati nella formula l’estratto di mimosa di Costantinopoli che ottimizza la produzione di energia; l’estratto di lindera che contribuisce alla ri-sincronizzazione dei bioritmi cutanei e rilancia il metabolismo cellulare; un complesso di proteine di soia e lievito che prolunga la vitalità della cellula e, infine, l’estratto di centella asiatica famoso per le sue virtù cicatrizzanti e riepitelizzanti. Sisleÿa L’Integral Anti Agê La Cure è presentato in un cofanetto che contiene quattro flaconi, uno per ogni settimana di utilizzo. Ideale da utilizzare ai cambi di stagione o nei momenti in cui la pelle è sottoposta a stress o a momenti di stanchezza. Si applica sul viso mattina e sera. Per viso e collo bastano otto pressioni per prelevare la giusta quantità di prodotto. La sua texture ricca e setosa dona alla pelle tutto ciò che le serve per apparire al meglio, rinnovata e rienergizzata. 112


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BEAUTY

Sulla luna a passo di danza Marion Cotillard e Jérémie Bélingrad ballano sulla superficie lunare nel nuovo video dedicato a Chanel N.5. Immortalando ancora una volta il fascino del profumo

La storia di uno dei profumi più iconici al mondo comincia il 5 maggio del 1921, quando Mademoiselle Chanel crea una fragranza unica, diversa da tutte le altre. Chanel N.5 infatti, con la sua semplice bottiglia da farmacia trasparente e l’etichetta bianca, è un bouquet provocante che conquista rimanendo immutata nel tempo. Venduta solo nelle boutique Chanel, divenne celebre fin da subito con il passaparola. La prima pubblicità, infatti, risale al 16 dicembre 1924 e uscì per la prima volta sul New York Times. Oggi, a quasi 100 anni dalla nascita, un nuovo capitolo apre il viaggio della fragranza, con un nuovo video che ha come protagonista una delle attrici francesi di maggior successo degli ultimi anni, Marion Cotillard, premio Oscar nel 2008 per l’interpretazione della cantante Édith Piaf in “La Vie En Rose”. Il video è orchestrato dal regista Johan Rench che prende ispirazione dalla Luna, personaggio a tutto tondo in questo nuovo racconto intitolato “Over the Moon”. Protagonista maschile, accanto alla Cotillard, è l’Étoile dell’Opéra National de Paris, il ballerino Jérémie Bélingard. Una donna misteriosa avvolta in un mantello nero, attraversa un ponte di Parigi con la Luna piena. A un tratto, la luce illumina il suo viso, ed eccola arrivata sulla Luna vestita con un abito scintillante e un uomo che la sta aspettando. I due amanti danzano, si stringono, si abbandonano l’uno all’altro fino ad arrivare a un volo comune. Tornando sul ponte di Parigi, lei si volta e lui è ancora lì al suo fianco. Sorridono. Il sogno è diventato realtà. La colonna sonora è un’ode all’amore: “Team” di Lorde, arrangiata da Javier Berger, è interpretata magistralmente dalla stessa Cotillard. L’abito in pizzo dorato e ricamato è stato scelto da Virginie Viard, creative director di Chanel, ed è ispirato all’abito iconico che fu indossato proprio da Mademoiselle. PHOTO COURTESY CHANEL

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It’s Party Time!

INTERVIEW

Erede di una storica famiglia di produttori di cognac, Kilian Hennessy combina il suo incredibile gusto per la maestria artigianale con la passione per il buon bere e per la vita nella sua accezione più edonistica. Nascono due nuovi capitoli olfattivi della collezione The Liquors, che l’anticonformista della profumeria ci racconta qui nei minimi dettagli Testo di Marco Torcasio

Da bambino trascorse molti anni nel castello di famiglia nel sud ovest della Francia, circondato dai barili delle cantine di cognac Hennessy e dall’intenso profumo del legno, intriso di zucchero, alcol e vaniglia. Anni dopo, quelle vivide memorie olfattive dell’infanzia avrebbero rappresentato la prima fonte d’ispirazione per le sue magistrali e originali creazioni, quelle che avrebbero definito il brand Kilian come emblema di lusso ed eccezionale qualità. Prima di ottenere la laurea al Celsa, Kilian scrisse una tesi sulla semantica del profumo, alla ricerca di una “lingua” comune tra dei e mortali. Si ricordò allora della “quota degli angeli”, una storia della sua infanzia, e fu questo a spingerlo verso il mondo della profumeria.

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La “quota degli angeli” è, infatti, il modo in cui la Maison Hennessy definisce la percentuale che, inspiegabilmente, evapora dalle cantine di cognac, come fosse un’offerta agli dei. Dopo la laurea, Kilian continuò la sua formazione a fianco di alcuni dei più grandi nasi della profumeria, tra cui Jacque Cavallier, Thierry Wasser, Alberto Morillas e Calice Backer. Mentre lavorava per alcune delle più prestigiose case di profumi del mondo - tra cui Christian Dior, Paco Rabanne, Alexander McQueen e Giorgio Armani - il suo fermo proposito è sempre stato quello di conquistare la cultura di un autentico profumiere. Durante quegli anni, Kilian ha sviluppato un naso eccellente per le fragranze e imparato a catalogare

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una libreria di oltre tremila eccezionali materie prime. Osservarlo mentre odora una fragranza si rivela un’esperienza affascinante; Kilian è in grado di individuare ogni singola materia prima che la compone. È questa profonda conoscenza e competenza che modella la sua abilità nel creare collezioni che infrangono tutte le regole delle fragranze tradizionali. La sua mission è quella di riportare in auge la lussuosa arte perduta della profumeria tradizionale, con in più un tocco di modernità. E oggi quest’ambizione ritorna protagonista grazie al lancio di due nuove fragranze esclusive che vi raccontiamo in anteprima.


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BEAUTY

Due nuove preziose fragranze fanno il loro debutto nella famiglia olfattiva The Liquors, Angels’ Share e Roses On Ice. Quali ispirazioni le precedono? Proprio come un Master Blender combina l’acquavite in proporzioni perfette per realizzare un cognac eccezionale, così anche un Master Perfumer crea accordi ed essenze in un profumo che ambisce a diventare unico. Angels’ Share rappresenta la mia prima collaborazione con il profumiere francese Benoist Lapouza e incarna l’esplorazione delle mie memorie olfattive legate al

profumo delle botti di rovere bagnate dal Cognac Hennessy. Su una assoluta di quercia, essenza di cannella e assoluta di fava tonka, le note persistenti del profumo di legno di sandalo e vaniglia ricreano una miscela rara che - come il nome lascia intendere - solo gli angeli dovrebbero sperimentare. Il parfumeur Franck Voelkl è stato invece il mio partner in crime per Roses On Ice. L’ispirazione in questo caso è partita dal cocktail preferito da mia moglie, Gin Hendrick’s on the rocks. Trovo che il gin sia molto interessante nel mondo delle fragranze perché tra le

«Volevo riportare l’arte della profumeria sul piedistallo, attingendo alla sua più autentica verità; il modo in cui il profumo veniva composto tra il tardo XIX Secolo e l’inizio del XX senza rinunciare ad aggiungere un tocco personale e contemporaneo» Kilian Hennessy

botaniche che lo compongono troviamo le bacche di ginepro, materie prime aromatiche utilizzate anche in profumeria. La storia del Gin Hendrick’s in particolare è sempre stata un po’ sopra le righe: nato da una fabbrica di Whiskey in Scozia nel 1886, deve il suo nome al giardiniere preferito di Janet Sheed Roberts, nipote del fondatore della distilleria, che ebbe l’idea di esaltarne il particolare aroma miscelandolo con petali di rosa e cetriolo. Così Roses on Ice si apre con la freschezza del cetriolo e cresce verticalmente con l’aromaticità delle bacche di ginepro, creando una sensazione di ghiaccio, arrotondata dall’accordo voluttuoso della Rosa Centifolia.

Com’è nata l’esigenza artistica di dar vita a queste nuove fragranze? Ho sentito che era giunto il momento di rendere omaggio alla mia storia. Ritengo inoltre che un prodotto di lusso debba vantare nel suo DNA e nei suoi geni la capacità di essere tramandato di generazione in generazione. Io rispetto la mia storia ma, essendo molto orgoglioso di ciò che faccio in prima persona, continuo sempre a cercare qualcosa che mi consenta di fare la differenza. Utilizzo le note olfattive come strumenti di controllo delle mie idee e credo che dar vita a un nuovo accordo, unico, sia come ricomporre i pezzi di un puzzle che insieme danno vita a un’armoniosa melodia. 116


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INTERVIEW

La sensualità è una componente importante nel tuo storytelling olfattivo? La sensualità sta nell’occhio di chi osserva. Quando amiamo intensamente qualcuno che indossa un certo profumo, quest’ultimo apparirà ai nostri sensi come qualcosa di tremendamente sensuale. È una questione di pelle, di chimica. Quando annusiamo una molecola profumata questa è in grado di attivare un’area dell’ipotalamo, responsabile del rilascio di ormoni sessuali in tutto il corpo, e accendere la passione. Per raccontare il desiderio non servono i film, non sono necessarie canzoni, a volte per raccontare la passione tra due anime basta l’impronta ipnotica dell’olfatto.

bicchieri utilizzati per servire liquori on the rocks ma anche distillati in purezza. Sono oggetti trompe l’œil che ricordano i bicchieri art déco e catturano l’attenzione immediatamente al tatto. Progettato come uno speakeasy essenziale, il vetro zavorrato è inciso con l’emblematico motivo “K” per proiettare e catturare la luce da tutte le angolazioni, rifinito con una placca dorata a forma di diamante firmata in serigrafia bianca. Quanto è importante per te la dimensione del sogno nell’esercizio della tua creatività? La mia mente viaggia molto velocemente. Sogno sempre in grande, ma a volte è come se non avessi il tempo sufficiente per creare tutto quello che vorrei. Ebbene, bisogna aver tempo per poter sognare. Bisogna fermarsi, fuggire verso nuovi mondi e smetterla di continuare e fare sempre le stesse cose per il semplice piacere dell’abitudine.

L’estetica del pack racconta una maestria artigianale che si nutre di lusso... I preziosi flaconi che custodiscono le due nuove fragranze richiamano i classici tumbler, ovvero i 117


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Il viaggio olfattivo nell’essenza newyorkese Testo di Anna Casotti

Bond No. 9, brand di alta profumeria made in USA, racchiude in fragranza l’anima profonda di New York

Dopo aver creato profumi da collezione dedicati a ogni quartiere della Big Apple, Laurice Rahmé ne omaggia ora il coraggio e il suo spirito indistruttibile

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Un racconto che si snoda nei quartieri della città narrati attraverso l’alta profumeria di Bond No. 9, marchio fondato da Laurice Rahmé nel 2003. Dall’atmosfera bohémienne di Soho, all’incanto del West Village fino all’eleganza di TriBeCa, New York si stempera nella scia di una collezione esclusiva, oggi arricchita da My New York, fragranza dedicata alla sua internazionalità. Qual è la tua New York? «Bond No. 9 è una collezione anticonformista per donne, uomini e unisex nata per celebrare una grande città: New York City. - racconta Laurice Rhamé - Un pluripremiato repertorio acclamato a livello internazionale per la sua straordinaria e inebriante gamma di fragranze, tra le più vendute al mondo. Oltre 90 profumi narrano l’essenza dei quartieri, a cui si aggiungono la Dubai Collection e le linee in co-branding con Saks Fifth Avenue e Harrods. In un settore a lungo dominato dagli uomini, Bond No. 9 è la prima profumeria americana a essere guidata da una donna. Come fondatrice e creatrice del brand, controllo ogni aspetto: dal concept alla realizzazione di ogni fragranza, dal design del flacone all’interior design delle boutique». In che modo è riuscita a interpretare le atmosfere newyorkesi e a racchiuderle in fragranze? La nostra mission è riportare l’arte nella profumeria e creare una fragranza per ogni quartiere, infondendo note olfattive nell’isola di Manhattan. New York ha un’energia incredibile, come nessun’altra città, un sentimento che influenza tutto ciò che creiamo. Nella scelta del percorso di Bond No. 9, oltre a essere sempre up-to-date sulle nuova aree emergenti, è il nostro cliente a guidarci nei quartieri che desidera scoprire. Ogni fragranza, composta da ingredienti di altissima qualità, è creata a New York dai Maestri più acclamati della haute parfumerie. Il design dei flaconi è una silhouette “vestita” in modo eclettico, pop, elegante: quali le ispirazioni stilistiche e cromatiche? Ogni bottiglia è una squisita opera d’arte, un pezzo da collezione, elemento che distingue Bond No. 9 dalle altre Maison di profumi, e le decorazioni in vernice opaca li rendono oggetti chic da collezionare. In Bond, ci piace chiamare i nostri clienti collezionisti! L’internazionalità della città è oggi racchiusa nella nuova creazione My New York, fragranza inclusiva e globale. Ci racconta di questa audace esperienza olfattiva? New York è ed è sempre stata un fenomeno internazionale. Spinta da un profondo amore per la mia città, con questa nuova fragranza volevo celebrarne il coraggio e la sua inesauribile creatività, anche in un momento così complicato. Un omaggio al suo spirito indistruttibile.

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Creiamo un’essenza per ogni quartiere e infondiamo di note olfattive l’isola di Manhattan. Per preservare l’antico, catturare il presente e “imbottigliare” il futuro. Laurice Rahmé

Che tipo di atmosfera evoca My New York? My New York evoca un’aura magica di nostalgia composta da uno spettro di ricordi: un primo bacio sotto l’arco di Washington Square Park, una passeggiata domenicale lungo Bowery... O forse è semplice e puro come quell’emozione che ti avvolge quando attraversi uno dei ponti iconici e ti immergi nel suo skyline. Non importa che tu sia un New Yorkers o un turista che visita la città per la prima volta: New York ti dà sempre la sensazione di essere a casa.

Nelle sue parole My New York «è un profumo che ti chiede: qual è la tua New York?». In questo particolare momento, come definirebbe “la sua New York”? Bond No. 9 è una creazione che vuole infondere positività, nata per portare un tocco di speranza dopo l’11 settembre 2001. Oggi stiamo vivendo un altro periodo difficile, intenso e di grandi cambiamenti: è il momento giusto per celebrare la grandezza di una città diversa, inclusiva, vibrante e, soprattutto, resiliente. A che cosa si ispira il packaging? Mentre il mondo guardava ininterrottamente notizie devastanti nei primi giorni della pandemia, dal Brasile è arrivato un segno di solidarietà tra le nazioni colpite dal virus: sul Cristo Redentore, simbolo di Rio de Janeiro - non così diverso dalla nostra Lady Liberty - erano proiettate le immagini delle bandiere di tutto il mondo. Un simbolo di unione che ha ispirato il packaging della fragranza My New York rappresentato da diverse bandiere: Giappone, Gran Bretagna, Messico fino al tricolore panafricano creato nel 1920 come rappresentazione di un’unione simbolica di persone. Quali invece le caratteristiche distintive della fragranza TriBeCa? Ho creato l’esclusivo profumo TriBeCa in collaborazione con Michel Almairac, il leggendario “naso” che ha sviluppato una serie di fragranze di successo di Bond No. 9: Lafayette Street, Madison Avenue, Gold Coast. Lo stile è sexy, floreale, sofisticato e giovane, proprio come i residenti dell’omonimo quartiere. Le note di testa hanno un irresistibile fascino gourmand a base di cacao e nocciola verde, fresche e alla moda, che ricordano i numerosi caffè della zona, mixati al sensuale e lussuoso gelsomino sambac del Sud della Francia - simbolo dell’internazionalità del quartiere - con un tocco di legno di cedro. Una fragranza di carattere!

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INTERVIEW

Il quartiere, avvolto nella sua aura chic, si sta trasformando nell’epicentro della creatività. Come ha interpretato il Rinascimento di TriBeCa? Oggi TriBeCa sta vivendo una nuova rinascita, acclamata come il futuro centro creativo di New York. Il quartiere, quasi devastato dopo l’11 settembre 2001, è rifiorito grazie a diverse iniziative come il TriBeCa Film Festival e la più recente TriBeCa Gallery Walk. Una zona abitata da molte celebrità, ma anche da nuclei famigliari, dove stanno tornando le gallerie di arte e design, celebrando così le sue radici artistiche risalenti agli anni ‘70. Anche l’architettura gioca un ruolo importante in TriBeCa caratterizzata da storici magazzini navali in piena riconversione, edifici Art Déco, l’avanguardia creativa di One World Trade Center e del building residenziale 56 Leonard Street di Herzog&deMeuron. Affettuosamente chiamato “Jenga” per la sua forma...

creativi di New York City che voglio raccontare con le mie fragranze. Quartieri che stanno attraversando una vera rivoluzione. Sono particolarmente attratta dalle nuove zone capaci di mixare il passato e l’avanguardia. New York è in costante evoluzione: continueremo a infondere la sua essenza nei nostri profumi, per preservare l’antico, catturare il presente e “imbottigliare” il futuro. La sua boutique - uno scrigno raffinato amato dai New Yorkers - è un luogo di rara bellezza per una beauty experience high-end. Chi si è occupato dell’interior design? I profumi Bond No. 9 conducono in un luogo lussuoso in cuisi è immediatamente trasportati, che si tratti delle torri scintillanti di Dubai o di un rifugio sul mare negli Hamptons. Per le boutique ho progettato gli arredi e le decorazioni con uno sguardo all’opulenza del Palazzo di Versailles: dai lampadari in cristallo alle sedie rosso-laccato alla moquette vellutata color sabbia. L’interno riflette sia la mia eredità parigina sia la mia amata città adottiva, New York. La boutique principale - situata al 9 di Bond Street - è caratterizzata da smoky mirrors un po’ ovunque: alle pareti, nelle nicchie e nelle teche dove le confezioni delle fragranze, dai colori vivaci, si riflettono con un effetto caleidoscopico. Ogni elemento è curato nei minimi particolari: dal lipstick bar all’imponente tavolo dedicato alla personalizzazione delle creazioni fino alla scelta della location. Bond Street è, infatti, una delle poche strade lastricate di New York, com’è sempre stato per oltre un secolo, un altro riferimento a Versailles e ai suoi eleganti viali acciottolati.

Quintessenza di un lusso ricercato, TriBeCa è proposta anche in un flacone limited edition tempestato di Swarovski. Ci racconta di questo gioiello del beauty? Un objet d’art! Il flacone total white, morbido come la pelle, con il logo dorato Bond No. 9., presenta una stampa coccodrillo a rilievo. Un oggetto chic che si svela anche in una lussuosa edizione limitata tempestata da 220 Swarovski sunflower e cristalli bianchi, racchiusa in uno scrigno costellato da 486 Swarovski. In un’interpretazione sublime della sofisticata TriBeCa. Un quartiere di Manhattan che la ispira? In questo momento sono affascinata dai futuri quartieri 121


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RIPENSARE IL FUTURO Testo di Marco Torcasio

Audi prosegue il suo percorso verso la consapevolezza ambientale, a testimonianza di come il progresso tecnologico possa contribuire alla valorizzazione del territorio. Portare sul mercato non un prodotto, bensì un’attitude è l’ambizione a lungo termine del Direttore Fabrizio Longo, come ci racconta

Audi e-tron Sportback

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Per il quinto anno consecutivo Audi, in qualità di title sponsor, ha supportato l’organizzazione di Care’s nella sua strategia di approccio sostenibile al territorio, condividendone valori e visione. Sostenendo il progetto di Norbert Niederkofler, chef pluristellato del Ristorante St Hubertus di San Cassiano, il marchio dei quattro anelli ha tradotto il proprio impegno in azioni concrete, come l’implementazione di colonnine di ricarica elettrica nei territori d’elezione dell’arco alpino (Alta Badia, Madonna di Campiglio, Cortina).

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L’AlpiNN Food Space & Restaurant a Plan de Corones

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Attraverso la strategia “Road to zero emissions”, Audi conferma la sua attenzione verso una mobilità consapevole, sia nella produzione di vetture a basso impatto, ma anche nella conversione di tutta la filiera produttiva in ottica sostenibile attraverso programmi diversificati, tenendo sempre al centro della ricerca tecnologica il rapporto fra uomo e ambiente, focus imprescindibile del brand. Il modo di comunicare la bellezza del cambiamento verso nuove prospettive di sostenibilità globale è in continua metamorfosi, come spiega il Direttore Audi Italia Fabrizio Longo.

corrispondesse al vero. Non siamo cambiati a livello personale e posso confermare che non siamo cambiati a livello aziendale. Il punto è come siamo entrati in questo momento di crisi, se preparati o meno. Perché il vero tema non è se sono cambiati i valori, ma se quei valori li avevamo anche prima. Se qualcuno pensa veramente che in tre mesi, seppur in uno stato di crisi, delle persone o dei sistemi complessi come le aziende possano diventare diversi, credo non stia descrivendo la realtà correttamente. Siamo davanti a un finto cambiamento? Non per noi. Il nostro percorso parla chiaro. Gli investimenti fatti negli ultimi 10 anni su gli assi valoriali quali consapevolezza ambientale, sicurezza e responsabilità sociale insieme all’ascolto delle nuove generazioni ci ha consentito di

Il cambiamento dei valori sta investendo le aziende di nuove responsabilità? Appena usciti da tre mesi di tragedia c’era già chi sosteneva fossimo cambiati. Ma abbiamo visto tutti quanto non

interpretare nuove istanze anticipando le risposte. Chi non si è mosso con la stessa intensità prima non può improvvisare adesso. Credo che l’evidenza dei fatti sia il filtro per capire chi ha le carte per giocare questo campionato.

convinzione che bastasse saper fare bene le auto per vincere, non era soltanto il core business ma addirittura il core mindset. Oggi invece stiamo vivendo un abbraccio multidisciplinare. La vera differenza non è più saper far bene il prodotto auto ma riuscire a portare a sistema una serie di spunti che provengono da settori completamente diversi. Quanto sta emergendo dal mondo della medicina possiamo ritrovarlo oggi nell’abitacolo. Quello che è stato per anni appannaggio della tecnologia militare riemerge in termini di sicurezza. Gran parte delle accelerazioni che stiamo vivendo grazie all’intelligenza artificiale ritornano nelle auto che utilizziamo tutti giorni. È la prima volta che assistiamo ad un interscambio così profondo.

In che modo è cambiato il campionato? Il settore auto sta attraversando un cambiamento epocale e questi ultimi 10-15 anni valgono come non sono valsi gli ultimi 50. Non solo in termini di innovazione tecnologica, ma anche di sensibilità. La gara non è a chi investe di più e a chi sviluppa di più, perché se il miglior prodotto non ha la capacità di essere in contatto o connesso con la sensibilità delle persone, non c’è piano di investimento che tenga.

Fare la differenza significa portare a sistema tutti questi spunti differenti? È arrivato il momento di individuare dei filoni in cui canalizzare queste innovazioni. Il rischio per chi come noi le implementa

Come ci si connette con la sensibilità delle persone? Il settore è sempre stato tecnologicamente anticipatore, ma spesso ha prevalso l’autoreferenzialità. Fino a pochi anni fa la 128


è relativo all’incidenza degli investimenti. Chi al contrario le riceve potrebbe lamentare il fatto che le auto siano diventate troppo complesse. Quindi la cifra su cui verremo misurati sarà la coerenza con cui sapremo fare innovazione e la capacità di rendere facilmente fruibili e straordinariamente utili le tecnologie introdotte. Non c’è nessuno che oggi rinunci a definirsi sostenibile, sensibile, anticipatore di nuove tendenze, ma per i consumatori è fondamentale capire chi le cose le sta facendo veramente. La coerenza non è una variabile che può misurarsi a valle ma va calcolata a monte.

vettura prodotta significa ribaltare completamente la catena produttiva. È il footprint ecologico, cioè l’impronta ecologica che si traccia lungo tutta la filiera produttiva di una vettura, che deve essere misurato per potersi definire sostenibile. Già due anni fa, l’impianto di Bruxelles, lo stabilimento che oggi produce le vetture elettriche, è stato il primo al mondo ad ottenere la certificazione carbon neutral. Quest’anno è stata la volta dell’impianto ungherese di Gyor. Quando affermiamo che Audi e-tron è una vettura 100% sostenibile lo diciamo non solo perché non emette CO2 ma perché ogni singolo processo e ogni singolo passaggio è stato improntato alla sostenibilità ambientale.

Realizzare un’elettrica con un processo che a monte risulta ancora inquinante si può definire coerente? Stiamo operando con un’intensità di investimenti senza precedenti il rinnovamento degli impianti produttivi con l’obiettivo di renderli carbon neutral entro il 2025. Per poter affrontare una sfida di questo genere abbiamo iniziato a porci il tema della sostenibilità ben dieci anni prima che diventasse un trend. Ridurre di 1,2 t l’emissione di CO2 per ciascuna

L’attitudine vincente è dunque quella sospinta dalla coerenza? La nostra attitudine ci porta ad avere l’ambizione di cambiare il futuro ma essere allo stesso tempo molto concreti. Il metro con cui verremo giudicati misurerà la coerenza con cui stiamo realizzando la mobilità ad impatto zero.

Fabrizio Longo, direttore di Audi Italia, con lo chef Norbert Niederkofler in occasione di Care’s

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Il volto moderno del tempo L’orologeria, all’alba del XXI secolo, ha dovuto fare i conti con uno scatto evolutivo, andando oltre la tradizione, facendo spazio a soluzioni tecnologiche legate a performance, estetica e comfort. Come auto e design, anche l’orologio chiede il suo riscatto hi tech Testo di Fabrizio Rinversi

Il fascino, un orologio, lo può esprimere in diversi modi, tutti intangibili, squisitamente emozionali. Al pari di un’opera d’arte supera di slancio la sua immagine materiale per toccare corde afferenti la sensibilità alla bellezza di ognuno di noi. Eppure benché si tratti di un atteggiamento squisitamente personale, una simile sensibilità non può non fare i conti con il contesto in cui viene espressa. Un contesto in cui, ormai, le trasformazioni tecnologiche e digitali svolgono un ruolo da assolute protagoniste. Ad esse, non può sfuggire nemmeno un settore fondato su tradizioni secolari, ma il cui tranquillo “scorrere” operativo dalla fine degli anni ’90 ha subito una forte accelerazione con l’affermazione rapida di nuove realtà, che hanno saputo cogliere i segnali inesorabili di cambiamento intercettando tendenze in fieri del pubblico target. Ecco, dunque, che anche le storiche Maison hanno dovuto adeguarsi e cominciare a cambiare il modo di progettare e sviluppare, a fare più attenzione a comfort e perfomance per rispondere alle richieste di clienti sempre più esigenti, per i quali la tradizione e l’immagine top di una Maison si rivelavano non più sufficienti. Qui di seguito, sei esempi di tale “technological connection”, di Maison storiche e moderne, relativa a materiali e aspetto estetico. 130


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ROGER DUBUIS Excalibur Twofold La scheletratura è uno dei canoni di riconoscibilità Roger Dubuis e una delle sue migliori espressioni è il Doppio Tourbillon Volante, complicazione protagonista dell’Excalibur Twofold (serie limitata a 8 esemplari), forte di ben tre prime mondiali, la cui cassa – da 45 mm di diametro -, lunetta, corona e fondello sono realizzati in fibra di composito minerale, un materiale dal colore bianco ottico, realizzato al 99,95% in silice e sviluppato appositamente dalla Maison: è più leggero del carbonio ed è resistente ai raggi UV. Una prodezza tecnica per la quale la Maison ha utilizzato un processo di fabbricazione, adottato per il vetroresina (formatura a caldo in stampi d’acciaio; il vetroresina viene stampato sotto pressa ad una temperatura di circa 150 °C e ad una pressione di 50-120kg/cm2) e denominato Sheet Molding Compound (SMC). Ulteriori brevetti su questo orologio riguardano la distribuzione della luminescenza sugli angoli della scheletratura in fibra di composito minerale e il cinturino, realizzato in un particolare caucciù, chiamato FKM, anch’esso luminescente, fabbricato ricorrendo all’inedita tecnologia “LumiSuperBiwiNova™”, capace di far brillare al buio solo una parte di esso. L’orologio impiega il calibro manuale di manifattura RD01SQ. (Prezzo: 284.000 euro) 131


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I WC Pilot’s Watch Double Chronograph TOP GUN Ceratanium I TOP GUN Pilot’s Watches di IWC sono dedicati al programma Navy Fighter Weapons School della US Navy, e sono realizzati con materiali solidi e resistenti, per sopportare anche le forze gravitazionali più estreme a cui possono essere soggetti i piloti nella cabina di pilotaggio. Nello specifico, ci riferiamo al titanio e alla ceramica (altamente resistenti alla corrosione). In un simile ambito, l’innovazione più recente di IWC è il Ceratanium®, un materiale rivoluzionario basato su una speciale lega in titanio. In seguito alla fresatura, alla tornitura e alla foratura, tutti i componenti della cassa vengono riscaldati in forno. Nel corso di questo processo in altoforno, l’ossigeno si diffonde all’interno del materiale per poi lasciare spazio a una transizione di fase, in seguito alla quale la superficie assume proprietà simili a quelle possedute dalla ceramica. Il Ceratanium® è al contempo leggero e resistente come il titanio, ma anche duro e inscalfibile come la ceramica. IWC lo ha adattato sul Double Chronograph TOP GUN, con quadrante nero, lancette nere e cinturino in gomma nera. Indici e lancette, a losanga, sono rivestiti con un materiale luminescente grigio. Il calibro cronografico automatico 79420 prevede la funzione sdoppiante (pulsante al 10). (Prezzo: 14.900 euro)

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RICHARD MILLE

RM 11-05 Cronografo Flyback GMT Nel Cronografo Flyback GMT, RM 11-05, Richard Mille concentra materiali avveniristici e tecnica sopraffina. Ecco, allora, il carbonio TPT® per la carrure, il titanio di grado 5 su fondello e corona (anche per ponti e platina del meccanismo) e il Cermet grigio per la lunetta, a configurare una cassa da 50 x 42,7 mm. Concentriamo l’attenzione sul Cermet grigio, che unisce la leggerezza del titanio alla durezza del diamante. L’inedita tonalità è ottenuta legando una matrice metallica di zirconio con elementi ceramici ad alte prestazioni: un processo per cui è necessario effettuare complessi dosaggi di temperatura e pressione al fine di non alterare le caratteristiche dei materiali coinvolti. Per ottenere un insieme omogeneo, Richard Mille ha messo a punto un processo innovativo, chiamato “sinterizzazione flash”, che garantisce la soluzione combinando una classica pressatura a caldo con una serie di impulsi di corrente elettrica ad alta intensità destinati ad aumentare l’energia di sinterizzazione. La densità di 4,1g/cm3, inferiore a quella del titanio, e la sua durezza di 2.360 Vickers, quasi simile al diamante (2.400 Vickers), rendono il Cermet perfetto per le superfici esposte ai graffi. L’RM 11-05 Automatico con Cronografo Flyback e GMT (prevede anche il calendario annuale), è in serie limitata a 140 pezzi. (Prezzo: 153.000 euro)

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Art of fusion

La tecnologia detta il cambiamento Hublot, oggi, è una dei marchi che meglio interpreta i codici moderni dell’Alta Orologeria, precursore di un approccio che sin dalla sua nascita fonde tradizione e tecnologia. L’Art of Fusion oggi celebra il quarantesimo anniversario di quell’intuizione con una serie limitata

Classic Fusion 40 Years Anniversary versione in oro giallo, in edizione limitata a 100 esemplari, meccanica automatica.

ed è anche alimentato da un marketing dinamico, all’altezza del prodotto, molto basato su sponsorizzazioni e partnership su eventi ad altissima visibilità». Certamente, il fil rouge sul quale la Maison si muove è quello della tecnologia e della sua armonizzazione con l’approccio classico dell’haut-degamme orologiero: «Il ruolo della tecnologia è e rimane fondamentale per Hublot – conferma Capitanucci -, in riferimento, specificamente, alla ricerca e sviluppo su nuovi materiali e soluzioni tecniche innovative, ma non dimenticando mai il fatto che orologeria significa tradizione. Un mix & match che, ritengo, Hublot abbia interpretato come nessun altro nell’universo dell’Alta Orologeria. Prodotti realizzati per la Scuderia Ferrari, della quale siamo Orologio Ufficiale, come il Techframe o il MP-05 LaFerrari, sia nella struttura, che nelle complicazioni esprimono alla perfezione il mix virtuoso tra tecnologia e design da un lato, funzione e precisione dall’altro, ossia quei connotati che l’orologeria ha sempre veicolato nel suo percorso storico. In quanto ai materiali, cito le elaborazioni dell’oro, come il Magic Gold,

La sintesi della Maison di Nyon, da sempre, risiede nelle parole “Art of Fusion”, ossia la fusione tra cultura orologiera e tecnologia d’avanguardia. Il CEO di Hublot Ricardo Guadalupe ha perfettamente sintetizzato questo concetto: «Posso dire con orgoglio che l’aver infranto gli schemi tradizionali ed aver collocato l’avanguardia tecnologica come cardine imprescindibile per l’affermazione di un’orologeria contemporanea, ha creato dei proseliti nel nostro settore». Ciò non vuol dire che non vi siano ancora ampi margini per migliorare ed ottimizzare questa “fusion” come sottolineato dal Regional Director Mediterranean Countries, Augusto Capitanucci: «Hublot propone novità a ritmi molto sostenuti, strategia che le consente di avere un’immagine sempre ‘in touch with time’ e aggiornata, in stretta connessione con le esigenze del suo pubblico. Ciò, unitamente al lancio di diverse serie limitate, a creare aspirazionalità e attenzione sul marchio, determina un’elevata richiesta e, di conseguenza, una forte rotazione di prodotto, positivamente incidente su di un ‘magazzino’ ridotto al minimo. Il turnover è consistente English text at page 161

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assolutamente resistente ai graffi, la fibra di carbonio, il Texalium e le ceramiche colorate, ambito nel quale Hublot è leader. Sono risultati che la Casa non avrebbe raggiunto in assenza di una verticalizzazione di processo virtuosa, a Nyon, sia per quanto riguarda le casse che per i movimenti di manifattura, come il calibro Unico». Chiaro che un simile patrimonio di savoir-faire, sintetizzato su pezzi pluricomplicati, sia trasferito anche su di una produzione “di serie”, non sotto il profilo tecnico, ma, senz’altro sotto quello del design e dei materiali. Le collezioni iconiche della Maison, in tal senso, sono Classic Fusion, Big Bang e Spirit of Big Bang. E proprio il Classic Fusion è protagonista, in questo momento, con l’esclusiva collezione del 40° Anniversario, in serie limitata,

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declinata sulle versioni in oro giallo (100 pezzi), in ceramica (200 pezzi) e in titanio (200 esemplari). «È un progetto – spiega Capitanucci – il cui scopo era quello di presentare un orologio che potesse contenere tutti i cromosomi del DNA di Hublot, riletti nel segno della tradizione, ma in chiave moderna. Si tratta del frutto di una visione ben chiara del CEO Guadalupe, indirizzata agli appassionati ‘della prima ora’ di Hublot, quelli, per intenderci, che apprezzarono fin da subito la volontà del fondatore Carlo Crocco, nel 1980, di proporre un’alternativa alle consuetudini tradizionali del settore, inedita e versatile in termini di praticità, abbinando l’oro giallo a un materiale meno nobile come il caucciù. E questo riprendendo gli stilemi dell’epoca, ossia, il quadrante senza indici, le viti sulla lunetta e

Augusto Capitanucci, Regional Director Mediterranean Countries di Hublot, a sinistra, con la presentatrice Caterina Balivo, e il CEO di Hublot, Ricardo Guadalupe

Spirit of Big Bang Meca-10 in titanio, da 45 mm, meccanico manuale di manifattura, dotato di 10 giorni di riserva di carica. Cinturino in caucciù.

sulla placca d’aggancio tra le anse e, soprattutto, l’oro giallo che Hublot ha sostituito con interpretazioni quali il Magic Gold o il King Gold, una lega in cui è stato aggiunto il 5% di platino. Un dettato stilistico seguito fedelmente anche nel cinturino e nella fibbia déployante doppia a scomparsa. Sono dettagli non da poco, che impongono la destinazione di una specifica linea di produzione, ma la Maison meritava che l’orologio da cui tutto è nato venisse degnamente omaggiato». Non bisogna rimanere sorpresi di fronte a una simile iniziativa, pensando al new deal del Big Bang imposto da Jean-Claude Biver nel 2004 perché, ricorda Capitanucci, «fu proprio Biver a voler rilanciare il Classic Fusion, il segnatempo Hublot per definizione». Un doveroso accenno lo merita il 137

Big Bang e, il connesso, attualmente disponibile nella sua seconda configurazione “E Uefa Champions League” in ceramica blu, un successo, tanto per cambiare, prodotto in serie limitata a 500 esemplari. «Senz’altro” – ci conferma Capitanucci - è un modello complementare al primo, più contenuto nelle dimensioni con i suoi 42 mm, per adattarsi a tutti i polsi. Un esemplare ‘connesso’, aggiornato tecnicamente con un sistema operativo sviluppato specificamente per Hublot, adattabile sia per sistemi Android che iOS. Uno strumento prima che un orologio, ma con il vestito di un vero e proprio orologio. Infatti, è costruito sulla cassa del Big Bang Unico e prevede, allo stesso modo di questo, l’intercambiabilità dei cinturini».


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Testo di Maurizio Bertera

RITORNI

EVERLASTING DEFENDER Nel 2016 sembrava una storia chiusa per sempre. Invece Land Rover ha reinterpretato in chiave moderna l’off-road iconica per eccellenza. Così diverso, così uguale a quello che ha scritto pagine gloriose di avventura e ha fatto divertire milioni di appassionati

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L’icona è tornata tra noi, ma forse non era mai andata via

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Diciamolo subito: della vecchia Defender, la Land Rover per antonomasia, sotto il profilo tecnico nella sua erede restano poco più del logo ovale e di qualche gradevole richiamo di stile, sia fuori sia dentro l’abitacolo. Sotto il profilo pratico, la Defender 2020 è un veicolo strutturalmente avanzato, attuale sotto il profilo delle prestazioni, del comfort, della dotazione di sicurezza e dell’impatto ambientale, ma caratterizzato da una mobilità d’altri tempi, cioé decisamente sopra le righe, e da un design inconfondibile, fattori che conferiscono alla nuova Land Rover una personalità sovrapponibile a quella della vecchia, amatissima, «Def», della quale il nuovo modello eredita la peculiarità di non 140

essere mai fuori luogo, sia che si tratti di attraversare il deserto del Sahara, sia di presenziare a un’evento mondano. Aggiornare ulteriormente un modello lanciato nel 1947 non era più ipotizzabile, per cui la Casa di Solihull ha preferito un intervento radicale, ripensando la Defender dal primo all’ultimo bullone, per metterla all’altezza delle sfide dei prossimi settant’anni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: ispirata nello stile all’antenata, la nuova generazione ne ripropone, aggiornati al nuovo millennio, i contenuti di praticità d’uso e versatilità d’impiego che hanno decretato il duraturo successo del modello precedente, associati a una struttura, a una meccanica e a un equipaggiamento che non sarebbe stato possibile


incorporare nell’antenata. La piattaforma sulla quale è realizzato il veicolo è interamente in lega d’alluminio ed è denominata D7x. Deriva, con opportuni rinforzi, da quella che viene utilizzata per la nuova Discovery. Anche le sospensioni, a quattro ruote indipendenti, ripropongono le stesse geometrie, ma con componenti orientati all’«heavy duty» (70% off-road e 30% on-road). La nuova architettura del veicolo offre un’altezza da terra di 291 mm e vanta angoli caratteristici da primato: sulla 110 gli angoli di attacco, dosso e uscita sono rispettivamente di 38, 28 e 40 gradi (in configurazione Off-road). Il sistema di trazione, ovviamente integrale permanente, vede all’esordio la versione professionale del Terrain Response 2, uno dei sistemi 4x4 più avanzati attualmente esistenti, capace di leggere le condizioni del terreno davanti al veicolo e di impostare, anche in autonomia, il

Disponibile al lancio solo nella versione a passo lungo (110), la gamma Defender si arricchirà entro fine del 2020 della classica variante a passo corto (90), per essere completata, entro l’aprile 2021, dal modello commerciale (Hard Top) e, prima della fine del 2021, dalla versione con interasse extra lungo (130). Il programma prevede anche una cabriolet (Soft Top), della quale non è ancora stato definito il lancio. Il line-up per il mercato italiano prevede due motori a benzina, il 4 cilindri (Si4, 1997 cc, 300 cavalli, 9,9 litri ogni 100 km) e il 6 cilindri (P6, 2996 cc, 400 cavalli e 9,6 l/100 km, che incorpora la tecnologia MHEV, Mild Hybrid Electric Vehicle). In alternativa, sono a disposizione due Diesel, entrambi con

programma più indicato per superare ogni tipo di ostacolo: sulla nuova Defender, il dispositivo si arricchisce dell’opzione Configurable Terrain Response, che consente ai professionisti dell’off-road di intervenire direttamente sui vari parametri funzionali, quali per esempio la ripartizione della coppia motrice o la risposta del motore e della trasmissione, in modo da creare un set-up personalizzato in base al proprio stile di guida e alle esigenze del percorso. L’attraversamento dei corsi d’acqua è facilitato da un nuovo programma specifico (Wade) del sistema Terrain Response 2, che assicura che il veicolo possa affrontare nella massima sicurezza guadi profondi fino a 90 centimetri. Su terreno asciutto, il dispositivo ClearSight Ground View di Land Rover visualizza sullo schermo touch centrale l’area antistante le ruote anteriori, che è di solito nascosta dall’ingombro del cofano.

cilindrata di 1999 cc (SD4), con potenze di 200 o 240 cavalli e consumi di 7,6 l/100 km. La nuova Defender si può ordinare attualmente in versione a passo corto (90) o lungo (110), con configurazione fino a sei posti per la 90 e con l’opzione di cinque, sei o sette posti per la 110. La gamma si articola sulle varianti Defender, First Edition e Defender X, declinate negli allestimenti S, SE e HSE, ciascuno personalizzabile grazie a quattro Accessory Pack, integrabili con i pacchetti opzionali Explorer, Adventure, Country e Urban, capaci di caratterizzare ulteriormente la Defender. I prezzi partono dai 55.700 euro della Defender 90 Si4 2.0 per arrivare ai 101.400 euro della Defender X 110 3.0 MHEV. 141


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PLACES

Sempre più importanti le esperienze personalizzate, delivery di lusso a casa, pranzi gourmet e soggiorni in riva al lago o su isole maldiviane, purché lontano da tutto e tutti

MADE TO MEASURE Testi di Marzia Ciccola

Nella foto sotto living room della Presidential Suite

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M A N DA R I N O R I E N TA L MONAC O

TRA ARTE E TECNOLOGIA Dopo un imponente restyling si inaugurano le nuove camere e suites. Opere d’arte ed istallazioni popolano vari corner, come in una galleria contemporanea. La Grand Presidential Suite (da 325mq) e la Presidential Suite (120mq) si possono combinare a seconda delle esigenze fino a sette camere da letto complessive. Tra le novità dei room service, il servizio maggiordomo personalizzato, un bar privato con piatti del giorno del famoso Matsuhisa Munich e la champagne experience.


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PLACES

B I A N C A S U L L AG O – O G G I O N O

GOURMET RIVALAGO

ARIA WELLBEING SUITES RETREAT - LUGAN O

PENTHOUSE DI STILE

La Grand Luxury Penthouse Two-Bedroom Suite è un’oasi di calma che si affaccia sul lago di Lugano. Il cinque stelle recentemente aperto rivela la più iconica delle sue Suite, con i suoi 145mq e il suo sguardo aperto all’esterno. All’interno, un’ambientazione con camino dove tutto è impreziosito da materiali naturali che, fra dettagli eleganti, richiamano il fine artigianato italiano. (A.T.)

S opra una vista dal ristorante Bianca sul Lago S otto la spa di Aria affacciata sul lago

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Emanuele Petrosino, “Giovane chef dell’anno 2019” secondo la Guida Michelin, guida la brigata di cucina del ristorante gourmet Bianca sul Lago (di Annone) e del bistrot Drop all’interno del nuovo Relais 5 stelle, Bianca. Petrosino, 34enne di Latina ha maturato la sua esperienza in cucine pluristellate, come quella del Piazza Duomo di Enrico Crippa ad Alba, del Christopher Coutanceau di La Rochelle in Francia, del Maison Pic a Valenza (sempre in Francia), della Taverna Estia di Brusciano (Napoli), del Danì Maison di Ischia con Nino di Costanzo e del ristorante I Portici di Bologna per il suo primo incarico di executive chef e per una meritata riconferma della stella Michelin. In tempi di lockdown serale è avviato il servizio delivery e l’apertura a pranzo, da venerdi a domenica da Bianca, tutti i giorni da Drop.


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BA ROV I E R & TO S O – M I L A N O

IL DESIGN DELLA LUCE

PLACES

Vandersande Studio firma il progetto di ampliamento dello showroom di Barovier&Toso, uno dei marchi luxury italiani legato all’illuminazione. Al restyling degli spazi espositivi si aggiunge un nuovo spazio al primo piano, trasformato in concept flat. Vale la pena visitarli, non solo per ammirare alcuni capolavori dei maestri vetrai raccolti nella vetroteca o alcuni pezzi storici presi in prestito dal museo aziendale, ma anche per capire come sia possibile reinterpretare una tradizione centenaria in chiave contemporanea attraverso progetti di grande valore espressivo, decorativo e tecnologico. Via Durini, 5

PUGNALE EYEWEAR – ROMA

GIOIELLI PER GLI OCCHI Apre nella Capitale il primo flagship store del marchio di occhialeria di lusso Pugnale. Un piccolo scrigno che riprende i codici del marchio, acciaio color oro e legno di larice, per una location dall’atmosfera calda e accogliente. Qui sono esposti questi gioielli del made in Italy, creazioni uniche nate da tanta ricerca, studio e sperimentazione. Piazza del Parlamento, 34

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PLACES

DA VITTORIO – SHAN GHAI

STELLE ASIATICHE

EL PORTEÑO – ROMA

NEL CUORE DI BUENOS AIRES

Nel cuore del rione Sant’Eustachio, in una posizione strategica, apre l’ultimo progetto della Dorrego Company di Fabio Acampora e dei fratelli Bernardez che dopo due anni di assidua ricerca e quattro ristoranti aperti a Milano hanno deciso di conquistare anche la Città Eterna. In un’atmosfera calda e accogliente la cucina invita a degustare i migliori tagli di carne argentina cucinati alla parrilla, con cura e lentamente, accompagnati dai migliori vini internazionali.

Seconda stella nella Guida Michelin 2021(due macarons della guida asiatica) per il ristorante della famiglia Cerea, a solo un anno e mezzo dall’apertura, che si aggiunge alle tre storiche dell’insegna di Brusaporto e alle due di quest’anno del ristorante di St. Moritz. La squadra di 70 elementi guidata da Stefano Bacchelli ha raggiunto l’importante risultato in un anno di passione per il mondo della ristorazione, prendendosi una bella rivincita dopo il momentaneo stop. Nella primavera del prossimo anno è previsto anche il raddoppio con un bistrot all’interno di Ucca, museo di arte contemporanea di Pechino che inaugurerà la sua terza sede proprio a Shanghai. Da Vittorio Shanghai Third Floor, Building N. 3 600 Zhongshan Road East N.2

S opra l’interno di Da Vittorio a Shanghai S otto El Porteno a Roma

Largo del Teatro Valle 7

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T H E C H E D I K U D AV I L L I N G I L I MALDIVE

LUXURY RETREAT

Un lusso delicato e un design senza tempo quello scelto per il nuovo gioiello della collezione The Chedi alle Maldive. Pronto ad aprire per Natale, il resort, proporrà un beach club, un bar, un ristorante e soluzioni open air con varie specialità culinarie internazionali. La SPA overwater avrà 9 cabine trattamenti e spazi privati. Tra le 99 soluzioni per gli ospiti, anche 36 ambite Overwater Villas, provviste di tutti i servizi. Alcune disporranno di jetty pad privato, per raggiungere la propria villa in 25 minuti dall’aeroporto internazionale di Male. (A.T)

S opra il nuovo resort The Chedi occupa un kilometro dell’isola corallina di Kudavillingli S otto un particolare dello spazio di Genny a Milano

GENNY – MILANO

ART DECO E HI-TECH La maison di moda ha aperto la sua nuova boutique nel quadrilatero milanese in uno spazio di circa 110 metri quadrati concepito da Sara Cavazza Facchini, creative director del brand, che ha ripreso temi iconici del marchio come il bianco, che si ritrova nel pavimento in marmo, nei rivestimenti delle pareti e nelle sontuose tende. Non manca l’elemento hi-tech dato dal maxi ledwall che dialoga con l’arredo in stile art déco. Via della Spiga 6A

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POSH IN THE WORLD

PLACES

M A K E U P M U S E U M – N E W YO R K

UN ANGOLO ROSA A NY Nato con l’idea di narrare la bellezza nelle sue diverse espressioni con mostre a rotazione, il Makeup Museum, co-fondato da un team di esperti e appassionati, ha debuttato con un’esposizione immersiva dedicata agli anni ‘50. “Pink Jungle: 1950s Makeup in America” è un viaggio che conduce nel mondo della cosmesi attraverso prodotti, immagini, iconografie, manufatti storici. Dalle innovazioni delle formule e del packaging ai marchi più acclamati alle intramontabili icone dell’epoca - Marilyn Monroe, Greta Garbo, Jacqueline Kennedy Onassis la mostra esplora il raffinato decennio con installazioni esperenziali, tra cui un omaggio a Max Factor e alle sue leggendarie sale studio. (A.C.) Makeup Museum 94 Gansevoort St. makeupmuseum.com

D E L I V E RY

IL CRUDO A CASA

Images by John Mark Sorum. © On behalf of the Makeup Museum

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Non solo ostriche ma anche crudité di pesce, caviale, specialità e persino i vini abbinabili ai piatti scelti. È possibile averli a casa propria garantiti freschissimi, ordinandoli online su iloveostrica. it, ecommerce fondato da Luca Nicoli, che si è fatto le ossa prima tra i banchi del pesce e poi come consulente della grande distribuzione. Eletto da Forbes tra le 100 eccellenze italiane, il sito non fornisce solamente crudi di mare da fornitori irlandesi, francesi e italiani garantiti, ma offre anche oyster bar con speciali banconi per degustazioni private guidate o chef a domicilio per una cena speciale. Iloveostrica.it


POSH

TRAVEL

Winery mastersuite, spazi hi-tech o piccole dimore in esclusiva in antichi relais rendono perfetto il soggiorno autunnale fra centri storici e borghi defilati, dove l’atmosfera custodisce il miglior classico italiano

LOST IN RELAIS Testi di Antonella Tereo

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MIRA (VE)

VILLA FRANCESCHI HOTEL & SPA L’antica residenza cinquecentesca della famiglia Dal Corso, da tre generazioni impegnata nell’ospitalità di classe, era dei gioiellieri del Doge (non è un caso dunque se gli ospiti della struttura- in collaborazione con Vhernier– possano avere il privilegio di crearsi un anello su misura nella boutique del brand, insieme ai maestri orafi) e resta il rifugio prediletto di tanti viaggiatori esigenti con le sue sole 25 camere e suite. La Villa nei Relais & Chateaux, immersa in un parco secolare di 45 mila metri quadri, lascia modo allo staff di coccolare con piccole attenzioni gli amanti di esperienze tailor made. Fra le ultimissime, quella di un’escursione con la barca di proprietà del Relais per una cena al largo davanti alla laguna o la visita privata esclusiva del Peggy Guggenheim Collection di Venezia, quando chiuso al pubblico, concludendo la serata con un aperitivo nella terrazza panoramica di Palazzo Venier e vista sulla laguna.


FIRENZE

BAGLIONI RELAIS SANTA CROCE Cambio quasi epocale quello nella residenza del Marchese Giovanni Maria Baldinucci. Tra le sale del blasonato Relais & Chateux Baglioni Relais Santa Croce, infatti, si configura in primis l’uso esclusivo del Palazzo Jacometti Ciofi, una chance che apre a numerose possibilità di personalizzare l’accoglienza, in abbinamento ad esperienze legate al territorio (per esempio, creare un profumo su misura grazie alla partnership con il brand Aquaflor). Poi la soluzione che conquista il Guinness della più grande suite in città: la splendida Santa Croce Royal Suite di 260 metri quadri. Fra le Signature Suite storiche del relais, completamente affrescate e presenti al piano nobile, la royal è la somma della Suite Da Verrazzano e la Suite Presidenziale De Pepi e prevede colazione e cena servite in appartamento con maggiordomo dedicato. Infine, i Baglioni Studios, una trasformazione che arriverà su tutta la collection predisponendo nelle Sale migliori per gli ospiti eventi in live streaming esclusivi o produzioni anche in 4K, usufruendo di standard d’ultima generazione.

Nella pagina a sinistra la delax room di villa franceschi aperta su un patio privato. S opra l’interno della presidential suite de pepi del baglioni relais santa croce. S otto il raffinato salone del baglioni relais santa croce. ph diego de pol.

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In queste foto gli interni delle suite Casalino di Borgo San Gaetano e un dettaglio del porticato estreno della struttura.

UN EDEN DI PACE, A POCA DISTANZA DAL FASCINO FUORI STAGIONE DEL MARE O DEL GOLF CLUB DI RIVA MESSALI, PER QUALCHE TIRO SUL GREEN

BERNALDA (MT)

BORGO SAN GAETANO L’essenza stessa di un relais. La quiete del luogo apre l’opportunità di vivere il borgo e le sue peculiarità in modo nuovo ed esclusivo. Aperte ora per pochi intenditori - e quanti sono alla ricerca del rifugio perfetto - le tre Suite Casalino con accesso indipendente: uniche da riservare in questa stagione, garantendo ancor più per questo la maggiore dedizione ai selezionati clienti, 150

sono il cuore dell’ex-mulino di famiglia che ne ha fatto un raffinato relais di charme. E lo dimostrano le antiche volte autenticamente ricavate nei soppalchi degli ambienti privati. Lontano dai tracciati più battuti, il boutique hotel permette di avere qualsiasi servizio a richiesta, spesso consigliato dalla stessa famiglia Dall’Osso che ha ereditato la proprietà e ne cura ogni dettaglio.


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TRAVEL

In alto la Junior Suite de Il Falconiere. S otto la Winery Master Suite della struttura.

AREZZO

IL FALCONIERE La padrona di casa nel relais è anche la Chef, colei che spopola non solo nell’omonimo ristorante (1 stella Michelin) dalla cucina regionale, ma sa inventare l’ospitalità ad hoc per ciascun ospite. Silvia Baracchi, assieme al marito Sommelier Riccardo dedicano esperienze su misura a chi vuole riscoprire in questa stagione il meglio dei sapori e delle vigne che circondano il relais. Il Falconiere, unicum di lunga fama, riserva così agli ospiti del momento soggiorni autentici, a cominciare dall’accoglienza. La suite più ambita è la splendida Winery Master Suite, luogo ideale per seguire i consigli del maître de maison e degustare davanti al camino le migliori annate, assegnando loro un posto d’onore come all’ospite che ne coglie l’eccellenza. 151


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ERBUSCO (BS)

L’ALBERETA In questo periodo estimatori ed appassionati ospiti del magnifico relais in autunno cedono al fascino di una proposta su misura per l’ospite più esigente quanto raffinato. A bordo di un Riva Aquarama – dal nome ispirato agli schermi Cinerama, per la miglior visuale offerta dal modello con l’ampio parabrezza – ci si gode lo specchio d’acqua d’Iseo in libertà, per momenti privati a bordo sulle acque del Lago. Un’esperienza pensata in collaborazione con Cantieri Bellini, fra passione nautica, eccellenza italiana e sapore di Dolce Vita che non conosce stagioni. E per il soggiorno, c’è poi l’imbarazzo della scelta fra le nuovissime suite della Torre Contadi Castaldi, in cui i nuovi arredi sono tripudio di sottile design in salsa classica, soluzioni dedicate solo alla migliore clientela.

In queste foto i raffinati interni delle nuove suite dell’Albereta.

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SIENA

CASTELLO DI AMA

Il wine resort di Marco Pallanti e Lorenza Sebasti riserva all’ospite per il prossimo inverno una culla di passioni ed eccellenze. Lui, ritenuto uno dei più influenti viticoltori italiani nonché artefice del sistema dei Cru monovitigno nel Chianti, lei delicata nel meticoloso recupero delle ville settecentesche della proprietà e raffinata nella creazione della linea di amenities e eau de parfum fra aromi cangianti della campagna del Chianti Classico (in

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collaborazione con il maestro profumiere Michele Marin). La tenuta battezza con i suoi vini le sue 5 sole suite, racchiuse all’interno di Villa Ricucci, interna alla proprietà, dove traspare la scelta di qualità nei “tocchi” di design firmati Edra o nei tessili by Pierre Frey. E per la ristorazione, il luogo prescelto è l’annessa Villa Pianigiani, dove oltre alle pregiate degustazioni, Giovanni Bonavita nel suo Ristoro di Ama apre alla scoperta di piatti stagionali.


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TRAVEL

A sinistra la struttura geometrica di chenot palace weggis.

Il famoso gruppo del benessere ha da poco aperto le porte del suo nuovissimo flagship retreat, Chenot Palace Weggis, sulle pendici del monte Rigi e affacciato sul lago di Lucerna. Su uno spazio di ventimila metri quadrati, quello che un tempo era il Park Hotel Weggis si è trasformato in uno dei centri wellness più all’avanguardia d’Europa, grazie alla presenza della nuova medical spa che si basa sul Metodo Chenot® e alle 97 luxury rooms e suite che si affacciano con balconi e terrazzi privati sul lago e sui picchi delle montagne. L’architetto svizzero Davide Macullo che ha ridisegnato tutti gli ambienti ha utilizzato nella piscina indoor che si affaccia su lago e montagne, per esempio, la pietra naturale delle vicine Alpi, dando così

LA SPA, DI 5MILA METRI

Sulle rive del Lago di Lucerna ha aperto uno tra i più avanzati wellness retreat europei. Chenot Palace Weggis affianca ai trattamenti signature uno speciale programma sonno

UN PALAZZO DI BENESSERE 154

QUADRATI, OFFRE TRATTAMENTI CHE INTEGRANO UNA PROFONDA CONNESSIONE CON LA NATURA, ATTRAVERSO COLORI, FORME E SPAZI


l’impressione di nuotare in un lago alpino. I soffitti della spa e delle zone comuni sono stati dipinti evocando scene bucoliche di foreste ed elementi naturali, come acqua e fuoco, proprio per coinvolgere gli ospiti nella filosofia Chenot. Tra i fiori all’occhiello del centro le nuove Chenot Rooms con la Sleeping Technology in cui acustica, luce e una speciale tecnologia legata alla biancheria da letto che trasforma il calore in energia, sono stati messi in relazione a interior e architettura per creare un ambiente adatto al sonno naturale. Questo oltre ai tre programmi signature dedicati all’attivazione delle difese immunitarie, quanto mai attuali: Advanced Detox, Recover & Energise e Prevention & Ageing Well. (M.C.)

S opra il dettaglio della suite balcony di Chenot Palace Weggis. S otto la indoor pool di Chenot Palace Weggis.

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T R A N S L AT I O N

ENGLISH TEXTS

ENGLISH TEXTS P. 3 2 Chanel Haute Joaillerie The fabric that becomes a jewel Tweed, the emblematic fabric so loved by Gabrielle Chanel, is the great protagonist of the latest Chanel Haute Joaillerie collection. A fashion inspiration that the director of Studio de Création Joaillerie Chanel has meticulously explored and transposed into the articulated weave of the jewel

A detail of Haute Joaillerie collection Tweed de Chanel

I wanted to create tweed using the precious materials of Haute Joaillerie, something absolutely new, never done before. This is how Patrice Leguéreau describes the idea of ​​Tweed de Chanel. An experimental collection of 45 pieces, totally new in which Leguéreau abandons the ways of figuration to look at abstraction. The metaphor with the plastic arts is not accidental, because, for this designer, graduated from the Ecole Boulle in the Métiers d’Art section, everything always begins with a sketch, with a drawing. A methodology which, as she points out, is “A way to capture, give shape to the idea of ​​the collection”. But if this principle is valid for all collections, Tweed de Chanel has something different and opens a new chapter, more abstract than the previous ones. After having explored the classic iconography of the Maison Chanel, drawing from the archives the key symbols of the Chanel universe such as the lion, the comet, the wheat, astral constellations, narrating its characters as in the Paris Russe de Coco Chanel, here the narrative stops, opening up to another challenge: transposing the lightness of the fabric into the solidity of the material, instilling the irregular vivacity of tweed into the structure of the jewel. An abstraction, but also a challenge in terms of technical possibilities that, thanks to the joint effort of the Studio de Création de Joaillerie and the Atelier de Haute Joaillerie, that finally arrives after two years of research, drawings, exchanges, reflections to translate “into volumes the texture, the effect of softness, the comfort of the fabric. The jewels are structured, the elements are articulated in a woven texture that evokes tweed”. Colliers that fray, open in a range of stalactites set with precious stones, as well as bracelets and manchettes that close in an orderly weave dense with different and irregular textures, all to guarantee what Leguéreau defines a non-geometric and rigid tweed but soft, sensual at the same time, that returns the yarn effect of the weaving, revealing the possibilities of this fabric that lends itself to every possible variation. From the same weave I created frayed, frayed and embroidered textures, more or less dense effects, shades of coloured or

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contrasting stones », she says.A collection in the pure spirit of Arts and Crafts, which carves the detail, which blends visionary creativity and savoir-faire, avant-garde and high craftsmanship, in the continuity of a legacy that enhances and protects Les Métiers d’Art. But also, a tribute to Coco Chanel’s creative audacity, to her fashion that challenged gender stereotypes since the 1920s and introduced tweed, sartorially linked to the male universe, as a key element in a new women’s fashion. A stylistic vocabulary based on freedom, movement, comfort for a dynamic woman who travels, who affirms her personality through the dress. “What I was trying to express was the richness of this material. And also, its femininity, just as Gabrielle Chanel wanted when she integrated tweed into women’s clothing of the 1920s. And since then it has constantly reinvented it ». A fabric symbol of this new vision, tweed continues to evolve, lending itself, in its richness, to the free play of interpretation. From men’s to women’s wardrobe, from the universe of fashion to the art of jewellery, it is in this fluidity between different horizons that the Tweed de Chanel collection reveals all its dimension. Patrice Leguéreau reactivates the movement. From the 1920s to 2020, from Scotland, of which it originates, to the ateliers of Place Vendôme, tweed never ceases to surprise, weaving the intricate and irregular texture of a free and borderless creativity.

P. 5 4 Misha Kahn interview When was your passion for art and design born? How did you start? Its hard to know! Ive made things since forever - as a kid I loved making miniature worlds for claymation films. Aardman studios and Tim Burton were of course big inspirations, and now I still make lots of miniatures but then also get to make them human size. Your works are placed on the fine line of art and design. How would you define your approach to design? I prefer not to think about them as disparate things or really try too hard to participate in either in the sense that I’m caught up in what that world desires. Theres a certain personality I want all my objects to embody, and its the kind of traits that make a person interesting. Sometimes they can be a bit dowdy, parts are relaxed, some parts are formal, aspects feel contemporary and other things might feel borrowed from an uncool aunt. I guess


its a kind of unforced complexity, and I’m trying to construct a world built entirely in this vernacular. What is your creation that introduced you to the world of collecting? I had made lots of pieces before this one - but the first scrappy cabinet which I showed at a design Miami fair was the first time Id felt like lots of people immediately wanted a piece of a new series - it was an exciting moment. In your works, organic elements overlap with abstract shapes. What are you particularly inspired by when you create? Sometimes In my head I go to a place called the shape library , where I imagine an endless shelf that has infinite shapes. There might be a pyramid, then a pyramid with a little dent, then with a hole, then with two holes, then with a little bump on top… etc, until its edging towards donut. The shape library is infinite, and I imagine trying to wander deep enough into this archive and bring back a new shape for us to see. Which artists and designers are you passionate about? Theres so many artists and designers I find inspiring. I love how Noguchi connects elements, I Love ron nagles sense of disparate textures, I love shiro kurumata’s sense of romanticism, the clunky confidence of Franz west, the freewheeling materials of Lynda Benglis, and the disjointed logic of a tadanori yokoo, the lava lamp-i-ness of Verner panton. What are the materials you love and which give you an emotion? I love all materials? I think the eye is trained to find something unusual, maybe this was to help us find berries in the wild. But - if we push past this impulse to be drawn to a rare sparkle or a special texture you can gaze at any material and become entranced. I think in terms of objects - we’ve been really limited in the types of textures we’ve seen, so I like to try to find elements that introduce an unexpected touch more than visual impact. Color is a determining element in your projects like in the sofa Pig of the Sea characterized with sinuous and cromatics volumes. What is the inspiration in this project? Which colors do you prefer and which represent you most? I guess I can’t say I like all colors right after saying I like all materials! Color is so driven by trends, and so many of the trends have been about putting together what “scientifically” equates to a pleasing palette, and many of these sets have been used historically so it becomes a lot of about revisiting them - I like to try to find sets that don’t work on that traditionally cohesive level but work in alternative ways. For instance, a sunset over the desert can be a striking red and purple mixed with lots of sandy tones - an odd combo “on paper” but in its stubborn existence its nonetheless compelling. I use a lot of bright, maybe off kilter tones in my

work because I think most homes are still devoid of them. I like imagining the color palette of a given situation and then gathering those. I also think quite a lot about all the colors we can’t see. When looking at colors I feel pretty deeply how many are missing because of the brevity of the spectrum humans can see. Some of your works combine different materials in one artifact: metal, terracotta, aluminum, steel, bronze. How do you put them in dialogue with harmony? I like using so many materials because so much work is mono-material, so it feels free-er in terms of not looking like other things and having to contend with that. I usually start by drawing the lines of the directions - how I want the piece to feel like its moving and its posture, and then fill in the shapes, and then assign them materials. So the materials are not driving the bus much at all. In the sculptural seat One Shoe seat, a fold of love handle, a rogue dog ball, different forms come together into one. Can you tell us about this work? This series I wanted to capture a sense of animation - but just with abstract shapes interacting with each other. Some are curious and sweet and others are violent. Its meant to be playful and feel more like a floating apparition than a chair. The use of colored glass and aluminum characterize some of your works including Storage for Light, Emotions and transiet thought. How are these pieces of furniture born? Its hard to know where to start on a piece like this ! I did a lot of huge pieces in stained glass that I never showed because I wasn’t happy with them, so it was an elment that was always in play in the studio. We started doing sand casting aluminum for other series - and I realized we could do stained glass backwards, by first making these chunky frames and then fitting glass into them. This opened up into this series - which I think is a merger of a lot of different ideas but definitely meant to feel like stained glass thats been contorted into 3d. You have recently exhibited in Chelsea, New York, at Friedman Benda’s location. How did your collaboration with one of the most internationally acclaimed galleries begin? We’ve been working together for many years, they found my work after showing in a group museum show in Nyc. I think it was mostly luck - but I wasn’t trying to get their attention - I was just having a lot of fun pouring cheap materials into molds I was sewing out of shower curtains. I think I was doing something so fucked up and illogical that they just wanted to get to the bottom of it and then got suckered into representing me! What are your other collaborations (galleries, design companies, private collectors)? Im working on some licensing projects now - whi-

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A bove Misha Kahn Portrait Below Storage for Light, Emotions, and Transient Thought, 2020, Aluminum, glass, 219 x 186 x 51 cm


T R A N S L AT I O N

ENGLISH TEXTS

ch is exciting. Im sure it will be a long time before they’re public though. Im also working on a few really large scale commissions - and Im thrilled to be making more of these big outdoor works. Can you describe your studio in Brooklyn, New York? My studio in Brookyln is a large tattered industrial space, theres a possum that comes in at night and sleeps on the work tables and knocks over my tools, but theres also a ton of amazing tools like 3d printers and a robot. I also have been making more of my own tools like this strange aparatus for a new series of hardened inflated silk pieces. What attracts you most about New York and what feelings does it inspire in you? What projects are you working on right now? I love the spontaneity of the city - that you always feel like theres someone interesting left to meet and then the show up. I spent the time during the shutdown drawing and sculpting in virtual reality - so the new projects are bringing these computer sculptures made in a gravity free virtual realm to life in tactile materials. Im thrilled to see a few of them nearing completion. P. 6 2

Sportmax chooses Joan Thiele young Italian singersongwriter as the protagonist of a special collection

Joan Thiele interview Born in Desenzano del Garda, she has toured and lived in some of the most evocative, creative and inspiring places on earth, from Great Britain to Colombia. Joan Thiele is the emerging talent of Italian music. Her artistic education, ranging from Led Zeppelin to Mina, to neo-melodic music, has made her global, like her Neapolitan and Swiss-Colombian origins, able to reflect her being a young citizen of the world. We joined her while she is in the studio in Milan, during the break from a recording session together with the group of Roman producers with whom she is collaborating for the new works, ready in the coming months. Here she tells us about the new project which together with the Sportmax fashion brand sees her as the protagonist of a special capsule collection. Joan, the collaboration with Sportmax gives you that allure of a versatile artist, but when did you realize that music would be your way? For me, music is a visceral question, my mother’s family is from Naples, and coming into contact with this lively, profound and engaging musical reality was truly formative. I’ve always loved performing in front of the public. For me, writing music and songs is an act of profound expression. In 2016, “Save Me” arrives, your great success that brought you under the label of Universal Italia. Today you are experiencing a creative period that has given birth to a new musical production. Tell us about it. The beauty of creating music is that there is a con158

tinuous evolution. “Save me” tells about me when I was younger. The new works represent a more confident and more mature version of myself. In my new songs there was the transition to the Italian language, I felt the need to express myself in this way and I didn’t let myself stop. In the future there will still be songs in English, this language is definitely a part of me. Your creative universe, your ability to be heard by a young audience and being a rookie pop icon have led Sportmax to choose you to create JT20, your special capsule collection. How did this meeting start? For me it was an incredible experience, an intense job made up of many months of work. About a year has passed from the first idea to the creation of the garments. Sportmax trusted me and there was great mutual respect, they left me free to express my idea. The soul of the capsule collection is denim. Through the reinterpretation of jeanswear in a couture key, I wanted to make a hymn to talent and Italy, fundamental in a period like the one we are experiencing now. The project was 100% shared between me and the company. We had many meetings in the Reggio Emilia office, working alongside the seamstresses and Grazia Malagoli, Sportmax’s Fashion Director: it was extremely exciting. We looked at and changed the garments together at every stage. What was the creative mood that inspired you for this capsule? I was inspired by the jet set and musical icons of the Sixties and Seventies. I thought about developing the garments that in my opinion, at that time, artists like Mina or Ornella Vanoni could have worn if they had chosen a denim garment. Music and Italian spirit have always been at the centre of this collaboration. What is the piece of the collection you love the most? Definitely the trouser suit and jumpsuit. All the garments represent my style and what I like. The silhouettes are precise, clean, but made spectacular thanks to the construction such as wide sleeves or flared trousers. The colors are also captivating. How was it to pose on set? Here too Sportmax trusted me and my musical creative team. The art direction was entrusted to Gio Positivo together with Roberto Ortu, the same ones who take care of the covers and the image of my albums or my video clips. The photography instead was curated by Carla Guler. A truly beautiful experience. During the lookdown you launched the new album “Operation Gold”. Why did you decide not to postpone its release? “Operation Gold” was born simultaneously with the collaboration with Sportmax, I looked at the iconographies for the capsule and in the meantime I wrote the lyrics of the songs. It was a continuous


creative flow and it affected both. The album was ready, and I didn’t feel like blocking this wave of creativity, so I wanted to launch it anyway. In a period like the one we are experiencing, in your opinion, what is the role of art and the artist? I translate what I live, what I feel and what I feel with music. I believe that the fundamental part is to express yourself, without neglecting positive and negative experiences. I express myself through songs, many would say that in this sector there must necessarily be an educational aspect, but honestly I don’t feel like defining it that way. I communicate my emotions which then coincide with the point of view of other people. This binds us. I think that music can be help us not to feel alone. Is there a state of mind that you want to share? I’ve always been a nostalgic person. Now all this period has spurred me to live the experiences in a different, perhaps lighter way. I focus on today. Focusing on the here and now is a nice message. You have travelled a lot. What are your places of the heart? Colombia is a recreational place for me. My dad lives in this wonderful country and the place where he lives is called Salento. There is a large coffee plantation, with truly inspiring views and scents. Colombian culture is so rich in folklore, where you can breathe non-stop music and rhythm. Then there is Milan that I love deeply, my new home. A city that welcomed me with love. Here there is an energy that always involves you.

P. 9 0 Invisible House, the residence that disappears in the desert. Luxury and respect for nature are the key values​​ of this unique structure. Located in Joshua Tree National Park, a few hours from Los Angeles, the building joins the desert that surrounds it thanks to the mirrored glass that surrounds the entire perimeter. A mirage, a horizontal skyscraper, the house that doesn’t exist. There is an embarrassment of choice regarding the definitions to be given to the incredible mirror palace that disappears in the California desert. Invisible House is an ultra-luxury home nestled in the wild beauty of Joshua Tree National Park. Rentable for stays, events, shooting and exhibitions, the residence comes to light after more than ten years of gestation. It was conceived by the mind of Chris Hanley, a film producer with a passion for art and architecture. Among his films, to be clear, there are American Psycho, The Garden of Virgins Suicides and Spring Breakers. Perhaps due to the film sensitivity of its creator, Invisible House is presented as a virgin film where the elements of the desert are impressed by its reflective surfaces. A futuristic steel skeleton that supports a tempered

glass structure, which welcomes everything and returns everything. The residence, located two hours southeast of Los Angeles, seems to almost disappear in the earthy silence of pristine nature. By harmonizing organically with the environment, this reverberates its magic and amplifies the possibilities. Also, thanks to Tomas Osinski, the architect who supported Hanley in the realization of the project. The result is a unique residence, which dialogues with the desert without impacting on it. In fact, the house adopts a minimal approach, devoted to the essential. Its shape is extremely linear - a long and thin parallelepiped of 510 square meters - and rests on an intelligent cantilevered structure. The cylindrical pillars that support it guarantee a minimum impact on the ground, despite the imposing size of the house. A sort of overturned skyscraper, placed horizontally, covered with mirrored glass like its metropolitan cousins. Understood in this sense, the project appears as a total semantic reversal: from city to nature, from conquest of verticality to earthly communion. Invisible House glides like a snake through the folds of the desert, hiding behind its stones until it blends in. The 90 hectares of land that surround it make it, among the private residences, the largest of all Joshua Park. Glass and concrete are the materials that generate pure and precise lines, within which the fluid environments are structured. Each room opens onto the landscape and at the same time receives it, absorbing light and energy. The interiors are elegant, minimal, almost essential; but, separated by an impalpable glass, here are the warm colors of the earth, the intensity of the lavender flowers and the sweet bulk of the sky. Within the walls, the prominent element is undoubtedly the swimming pool, which extends for over 30 meters along the west wall of the residence. A further mirror, even if made of water, in a flood of reflections. Its location is perfect for watching the desert slowly rise from the cold of the night and the glowing sky settling on it at the end of the day. Even in the evening, under the stars, the LED lighting perpetuates the play of light by fading from blue to green, from red to purple. At one end of the tub, the wall is completely bare, suitable for film projections. At the opposite end is the kitchen, whose modern style is signed by BOFFI. The shades of white modulate an essential environment but complete with everything that is necessary. The structure develops beyond the mirrored and sliding walls that separate the environment. There are even four bedrooms, all with their own bathroom. The rooms, including the Master Suite, are configured as a perfect combination of domestic intimacy and nature that is never tamed. You cannot miss the dining room, furnished with sofas, seats and several sliding doors that give access to the outside area. And here, inevitably, the path to the house ends, which is also a spiritual journey. The immediate surroundings of the building have been equipped with various points for observing the stars; others used for meditation and yoga; the159

PICTURES of

the Invisible House


T R A N S L AT I O N

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re is also a solarium point. A series of photovoltaic panels also allow the residence to self-sustain with regard to electricity and heating. A place of dreams that reflect themselves.

P.118 Interview - Laurice Rahmé, founder, creator and president, Bond No. 9 New York New York is a place in constant change, where creativity and energy are breathed. How did the idea of telling the city through fragrances come about? I launched Bond No. 9, an edgy, taboo-breaking fragrance collection for women, men and unisex in 2003. We made fragrance history by launching the first major full blown fragrance collection as an homage to a great city: New York City. Today, Bond No. 9 is New York’s most iconic fragrance house and a top selling globally recognized luxury brand. Bond No. 9 has produced over 90 fragrances that encompass many New York neighborhoods, beaches, places, citi scents, The Dubai Collection and also exclusive co-branded fragrance collections for Saks Fifth Avenue and Harrods. Beyond a brand, Bond is a singular force to be reckoned with in the world of luxury goods. Not only is Bond’s prizewinning repertory of eaux de parfum honored around the world for its wide, stunning, intoxicating range of women’s, men’s and unisex eaux de parfum, the brand is all about firsts. In an industry that has long been dominated by men, Bond No. 9 is the first American parfumerie to be headed by a woman – I oversee every aspect of Bond No. 9 – from creating the New York-centric concept behind Bond’s collection to guiding the development of each fragrance and bottle design, to designing the interior of each Bond No. 9 boutique. Your unique olfactory travel crosses different neighborhoods: from Central Park to Chelsea to bohemian Soho. How did you read the New York atmospheres and transfer them into your exclusive fragrances? Our mission is to restore artistry to perfumery and give a scent to each neighborhood. Each fragrance represents a specific downtown, midtown or uptown locale or city-wide sensibility. With new introductions each season, Bond No. 9 continues to infuse the island of Manhattan with scents. New York has incredible energy, like no other city and it’s those feelings that influence everything we do. In choosing the locations for Bond No. 9’s creations, our customer guides us on which neighborhoods they want to see next. Also, I stay up-to-date on the new and up and coming neighborhoods. The spirit of a specific area is the inspiration we aspire to capture and bring to life. Each Bond fragrance has been blended in New York by hand-picked master perfumers -- some of the greatest names in the business. Bond No. 9 fragrances are comprised of the highest quality ingredients, parfum oil sourced from all over the world.

in this picture

Bond No. 9 Tribeca

The design of the bottles is a silhouette “dressed” in an eclectic, pop, elegant way: what are 160

the stylistic and chromatic inspirations that identify the different neighborhoods? Each bottle is a beautiful work of art, a collector’s piece, setting Bond No. 9 apart from other perfume companies. Over the past 10 years, it is very hard to find vintage perfume bottles. Bond No. 9 is the alternative to vintage – women and men are collectors. Our packaging and our fragrances celebrate the uniqueness that is found in each neighborhood and the unique decorations on opaque paint, make them chic collectibles … we like to say we have collectors, not customers! The internationality of the city is now contained in the new creation My New York, an inclusive and global fragrance. Can you tell us about this olfactory experience? New York is and always has been an international phenomenon that means so much to so many people around the world. Bond No. 9 was conceived as a positive, progressive creation born to rise up during the post 9/11 period of hope. Fueled by a deep love for my home city, I wanted to celebrate New York’s courage and creativity by being courageous and creative. It was a big risk, of course, but we followed our intuition and our desire to be different. We began creating fragrances to celebrate NYC’s neighborhoods and showcase the city’s unbreakable spirit, and Bond No. 9 was born. What kind of atmosphere does My New York want to evoke? My New York conjures a magical aura of nostalgia made up of a spectrum of memories – past, present, and future – in its inherent concept. A first kiss under the arch in Washington Square Park. Your Sunday stroll down the Bowery. Or maybe it’s as simple and pure as that stirring rush of excitement as you hurtle across one of the iconic bridges that feed into the city. The looming skyscrapers grow closer and closer, and it doesn’t really matter whether you’re a local or visiting for the very first time. It’s that thrilling sense of, I’m home. We all know that feeling. In your words “My New York is a perfume that asks you: what is your New York?”. At this particular time, how would you define “your New York”? Bond No. 9 was originally conceived as a positive, progressive creation born to rise up during the post-9/11 period of hope. Today, we enter another time to pull together during a moment of intense change and ultimately, optimism, as we move forward. I honestly never thought that New York would experience a more challenging situation than 9/11. It feels like the right moment to celebrate the greatness of my New York -- it’s diverse, inclusive, vibrant and above all, resilient. What is the inspiration for the packaging wrapped in world flags? While the world was watching non-stop devastating news in the early days of the pandemic, something truly hopeful occurred in Brazil. Christ the Redeemer, Rio de Janeiro’s ever-present


symbol (not so different from our own Lady Liberty), stood solid as the images of flags from around the world were projected onlto the statue’s façade in a sign of solidarity among nations affected by the virus. This inspired My New York’s own packaging, which consists of a pastiche of various flags: among them: Japan, Great Britain, and Mexico, ranging to the tri-colored Pan-African flag developed in 1920, which represents not so much a territory but a symbolic union of Black people around the world. What are the distinctive characteristics of the TriBeCa fragrance that you created in collaboration with perfumer Michel Almairac? I created the unique TriBeCa scent in collaboration with Michel Almairac, the legendary nose behind a number of Bond’s blockbuster fragrances, such as Lafayette Street, Madison Avenue and Gold Coast. The style is a sexy, unisex, floriental, and it’s sophisticated and young, much like the residents of TriBeCa. The top notes have an irresistible gourmand appeal made of cacao and green hazelnut—cool and hip and somewhat reminiscent of the area’s many gourmet coffee houses—centered with the sultry and luxurious jasmine sambac from the South of France—another nod to the area’s global makeup—paired with a touch of grounding cedarwood. It’s not quiet, and has a lot of character! The neighborhood wrapped in its chic aura is transforming itself into the epicenter of creativity with its design galleries, sophisticated boutiques, historic buildings and avant-garde architecture. How did you interpret the TriBeCa Renaissance? Today, the area is experiencing a modern renaissance as it’s being hailed as the city’s next major creative center. Almost devastated after 9/11, the area has flourished thanks to endeavors such as the TriBeCa Film Festival, and more recently, the TriBeCa Gallery Walk, making the downtown neighborhood both a local and global destination. Celebrities and families alike call TriBeCa home, and numerous galleries are migrating to its streets during a return to the area’s ‘70s-era artistic roots. Architecture plays an important role on its streets, from its history of modernizing shipping warehouses and Art Deco buildings to creating internationally known landmarks such as One World Trade and the residential 56 Leonard Street, affectionately referred to as the “Jenga” building to residents. The area’s vast, inspiring spaces have long attracted artists of every level. TriBeCa as a quintessence of refined luxury is offered in a limited edition bottle with Swarovski. Can you tell us about this authentic beauty gem? Call it an objet d’art: TriBeCa is housed in a sleek white, croc-embossed print that looks and feels as soft as leather to the touch, and includes iconic Bond No. 9 gold lettering. The result is a sublime, chic rendering of one of New York’s most sophisticated areas in bottled-form. The limited-edition, 100 ml bottle is encrusted with 220 Swarovski sunflower and white crystal stones tracing the outlines of the iconic Bond No. 9 token, and sheathed in a box that features 486 Swarovski crystal stones.

In Manhattan, which area fascinates and inspires you the most? I’m interested in capturing the next big creative neighborhoods of New York City. Neighborhoods that are going through a true revolution; those that combine the old and the new interest me most. As New York is constantly evolving, we will continue to infuse New York City with scents. Preserving the old, capturing the present and bottling the future. Your boutique - a refined treasure loved by New Yorkers - is a place for a high-end beauty experience. Who did the interior design? Bond No. 9 scents take you to a place of unapologetic luxury, whether it be the glistening towers of Dubai or a seaside retreat in the Hamptons; one spritz and you are instantly transported. There is no better place for all of that to come together than at the Bond No. 9 fragrance boutiques. I designed the furnishings and décor with a nod to the Palais Versailles featuring crystal chandeliers, signature lacquer-red chairs and velvety sand-colored carpeting. The interior reflects both my Parisian heritage and my beloved adopted city, New York. Bond’s flagship boutique located at 9 Bond Street features smoky mirrors are everywhere—on the walls, lining the built-in wall-niches, and on the freestanding showcases throughout the 3,000 square foot long retail corridor. With our vividly colored fragrance boxes displayed and reflected multiple times throughout this gallery-space, the overall effect is kaleidoscopic. The centerpiece curved lacquer-lipstick-red bar and checkout desk. A lipstick bar. A 16 foot obling consultation and custom blending table. A mirrored library. A darkened recess with its own vanity stool for perusing our range of Swarovski crystal-studded bottles. A candle table. And just outside our front door, Bond Street is paved with cobblestones, as it’s been for well over a century. The walkways of Versailles, in case you’re wondering, are cobblestoned too—one of the reasons we chose this space in the first place. What are your dreams and plans for the future of Bond No. 9? Our customer is always looking for new notes, non-conformist formulas and likes to be surprised by new packaging concepts. Our consumers have a great sense of uniqueness and want their own signature fragrance and we will continue to deliver on this.

P.13 6 The Art of Fusion - Augusto Capitanucci interview

Today, Hublot is one of the brands that best interprets the modern codes of Haute Horlogerie, a precursor of an approach that has merged tradition and technology since its inception. The Art of Fusion celebrates today the fortieth anniversary of that intuition with a limited series by Fabrizio Rinversi The synthesis of the Maison of Nyon has always resided in the words “Art of Fusion”, that is, the fusion

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Bond No. 9 New York


T R A N S L AT I O N

Augusto Capitanucci Regional Director Mediterranean Countries di Hublot

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between watchmaking culture and cutting-edge technology. Hublot CEO Ricardo Guadalupe summed up this concept perfectly: “I can proudly say that having broken the traditional schemes and having placed the technological avant-garde as an essential cornerstone for the affirmation of contemporary watchmaking, has created proselytes in our sector “. This does not mean that there are not yet ample margins to improve and optimize this “fusion” as underlined by the Regional Director Mediterranean Countries, Augusto Capitanucci: “Hublot offers new products at a very fast pace, a strategy that allows it to always have an image “in touch with time ”and updated, in close connection with the needs of its audience. This, together with the launch of several limited series, creating aspiration and attention to the brand, leads to a high demand and, consequently, a strong product turnover. Turnover is substantial and is also fuelled by dynamic marketing, at the level of the product, based on sponsorships and partnerships of highly visible events “. Certainly, the fil rouge on which the Maison moves is that of technology and its harmonization with the classic approach of the haut-de-gamme watchmaking: “The role of technology is and remains fundamental for Hublot - confirms Capitanucci -, in referring specifically to research and development on new materials and innovative technical solutions, but never forgetting the fact that watchmaking means tradition. A mix & match that, I believe, Hublot has interpreted like no other in the world of Haute Horlogerie. Products made for the Scuderia Ferrari, of which we are Official Watch, such as the Techframe or the MP-05 LaFerrari, both in the structure and in the complications perfectly express the virtuous mix between technology and design on the one hand, function and precision on the other. As for the materials, I mention the gold processing, such as Magic Gold, absolutely scratch-resistant, carbon fibre, texalium and coloured ceramics, an area in which Hublot is a leader. These are results that the House would not have achieved in the absence of a virtuous verticalization process in Nyon, both as regards the cases and the in-house movements, such as the Unico caliber ». It is clear that a similar heritage of savoir-faire, synthesized on multi-complex pieces, is also transferred to a “series” production, not from a technical point of view, but certainly from a design and materials point of view. The iconic collections of the Maison, in this sense, are and remain Classic Fusion, Big Bang and Spirit of Big Bang. And the Classic Fusion is the protagonist, at this moment, with the exclusive 40th Anniversary collection, in a limited series, declined in different versions in yellow gold (100 pieces), in ceramic (200 pieces) and in titanium (200 pieces) . Capitanucci explains: «The aim is to present a watch that could contain all the chromosomes of Hublot’s DNA, reinterpreted in the name of tradition, but in a modern key. It is the result of a very clear ‘vision’ of the CEO Guadalupe, addressed, in particular, to Hublot’s ‘first hour’ enthusiasts, those, to be clear, who immediately appreciated the will of the founder Carlo Crocco, in 1980, to pro162

pose an alternative to the traditional customs of the sector, unprecedented and versatile in terms of practicality, by combining yellow gold with a less noble material such as rubber. And this echoing the stylistic features of the time, namely, the dial without indexes, the screws on the bezel and on the coupling plate between the lugs and, above all, the yellow gold that Hublot has long since replaced with interpretations such as the Magic Gold or King Gold, an alloy in which 5% platinum has been added. A stylistic dictum also faithfully followed in the strap and in the foldaway double folding clasp. These are not insignificant details, which require the destination of a specific production line, but the Maison deserved that the watch from which it all began was worthily honoured “. And he adds: “With this operation, in short, we return to talk to the original Hublot customers, who were a little lost due to the new dimensions and the technological and articulated imprinting of cases and bracelets, while maintaining, at the same time, the ones shaped in the era of the Big Bang. In this sense, to give an example, it should be emphasized that the diameter of the celebratory Classic Fusion is 45 millimetres ». In conclusion, the Big Bang Connected deserves a proper mention, currently available in its second configuration “E Uefa Champions League” in blue ceramic, a success, for a change, produced in a limited series of 500 units. Capitanucci confirms: «It is a complementary model to the first, smaller in size with its 42 mm, to adapt to all wrists. It is a ‘connected’ model, technically updated with an operating system developed specifically for Hublot and calibrated in addition to functional performance for our partnerships with the football universe, adaptable to both Android and iOS systems, which I would consider as a luxury benefit. an instrument before a watch, but with the dress of a real watch ».


POSH EXCLUSIVE LIFE

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STARRING

LORENA CESARINI

Assoluto

Luxury Edition 6

ANNA FOGLIETTA CHARLEY VEZZA MISHA KAHN JOAN THIELE FRANCESCO MONDADORI NICOLA RICCIARDI FATMA SAID IRENE FORTE CARO DAUR DAVIDE CARANCHINI DAVIDE GUIDARA DONATO ASCANI ISABELLA POTÌ MARTINA CARUSO MICHELANGELO MAMMOLITI PAOLO GRIFFA ORI KAFRI LUDOVICA DI GRESY

5€

Unique Media srl – Bimestrale N–93 ottobre / novembre / 30.10.2020 English text


POSH BIMESTRALE OTTOBRE-NOVEMBRE 5€

A € 11; B € 10; DK DKK 115; F € 10; D € 11; UK GBP 9,80; L € 10; N NOK 115; NL € 11; P € 10; E € 10; S SEK 130; CK CKF 13;

No.

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