L'Urlo- Novembre & Dicembre 2014

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Numero II - Novembre-Dicembre 2014


L’Urlo

Novembre-Dicembre 2014 - N.II Anno IX

DIRETTORI Marta Gerosa, Konrad Borrelli CAPOREDATTORI Attualità, Recensioni e Svago Federica Dalle Carbonare Cultura e Cronache del Beccaria Beatrice D’Anna REDATTORI Davide Almiento, Gianluca Amato, Armando Bavaro, Alessandra Bossoni, Alice Brenna, Silvia Butti, Chiara Carugati, Roberto Cervieri, Elena Ciocchini, Camilla Cracco, Beatrice D’Anna, Letizia Doro, Laura Fracaro, Maria Chiara Fusco, Riccardo Giannattasio, Alessandro Giglia, Francesca Ginelli, Aurora Gulli, Tommaso Levi, Debora Lombardo, Sofia Londero, Alberto Mangili, Ludovica Medaglia, Chiara Mentore, Chiara Minora, Luca Murgia, Sonia Nannavecchia, Rebecca Petrosino Spirito, Alessandro Piazzoni, Lucia Quacchia, Duncan Re, Giacomo Riccabono, Silvia Ricevuti, Arianne Roma, Ludovica Romeo, Eleonora Roversi, Chiara Solarino, Martina Somperi, ILLUSTRAZIONI & GIOCHI Duncan Re, Sara Vinci, Giacomo Santoro FOTOGRAFIE Chiara Borsatti, Emma Bovati, Daniela Brafa, Tancredi Pelà, Irene Regazzoni, Arianna Spagnolo

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EDITORIALE

Le caratteristiche che rendono l’essere umano più straordinario rispetto agli altri esseri viventi sono due: tende a conoscere ciò che gli sta attorno, e impara dai propri errori. Quando sbaglia, infatti, l’uomo si accorge del proprio errore, e cerca di comprenderlo, di capire perché quella determinata cosa sia sbagliata, in modo tale da non ripeterla più. E’ la combinazione di queste due caratteristiche che l’ha portato, nel tempo, a dominare sugli altri animali, a sviluppare regole di convivenza sociali molto sofisticate, a debellare malattie mortali, e a comprendere i moti celesti in modo così approfondito, da poter programmare dei viaggi spaziali con la precisione del secondo. Tuttavia, nell’essere umano, c’è qualcosa che contrasta queste due caratteristiche: un antagonista che lo porta a ignorare l’errore, pur essendone consapevole. Questo antagonista, prende il nome di “profitto”. Se qualcuno, infatti, non pensasse di ricavare un profitto, o comunque un vantaggio personale, perché dovrebbe ricadere due volte nello stesso errore? Infatti, è difficile pensare che, dopo diecimila morti nell’ultimo secolo, ci sia ancora qualcuno che non abbia capito che l’Italia è un paese ad altissimo rischio idrogeologico, e che di conseguenza non bisogna costruire in modo selvaggio. La tragedia che, purtroppo, si è verificata anche quest’anno in Liguria, è solo una delle tante catastrofi che hanno colpito, e colpiranno il nostro paese, e in generale il nostro mondo, se non cambiamo rotta. Il cambiamento verso un futuro migliore deve partire da ognuno di noi: tutti ci dobbiamo impegnare, nel nostro piccolo, per rendere l’esistenza di qualcun altro migliore. Quando riusciremo a sconfiggere questo antagonista, quando ogni uomo anteporrà il bene collettivo, dell’umanità e del mondo, al benessere proprio, e al lucro, allora avremo vinto tutte le nostre battaglie: dipende da noi, infatti, la speranza di un mondo felice ed estraneo alla sofferenza, non dalla religione, non da Dio. Riflettiamoci a pochi giorni dal Natale, la festività che più di tutte esalta l’animo buono, la volontà di mutuo soccorso, e la naturale socievolezza che sono presenti in noi, e che accomunano tutta l’umanità, dai gay agli etero, dai neri, ai bianchi, dai cristiani ai musulmani.

Buone feste! Konrad Borrelli -2-


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IN PIAZZA PER LA NOSTRA SCUOLA

Andare a manifestare a mio pensiero è qualcosa particolarmente vicino a noi studenti, un evento, che ci può coinvolgere o contrariare, e che non può lasciare indifferenti. Come si può non essere colpiti quando migliaia di persone, in buona parte studenti, scendono a manifestare per un comune ideale? Veniamo ai fatti. Venerdì 14 novembre, rinunciando a malincuore a un’entusiasmante giornata di scuola, mi reco con i miei compagni di avventura alla volta di piazza Cairoli. Non era la mia prima volta, ma trovarsi in mezzo a una manifestazione, mi lascia sempre impressionato: ragazzi e anziani, collettivi studenteschi e sindacalisti, bandiere, fumogeni cori. In questa atmosfera, arringati dai carri che guidano la manifestazione, si inizia a calare lungo le vie di Milano. Veniamo al principio, al casus belli di tutto ciò. Essendo le motivazioni numerose (il Jobs Act, l’austerità, il salario minimo, la legge di stabilità) mi limiterò a quelle che riguardano l’istruzione e che hanno spinto me e migliaia di studenti a scendere in strada. La forza scatenante è stata la Buona Scuola, una riforma attuata da Renzi, ricca di aspetti positivi o inediti come la consultazione online (che però ha dato esiti negativi, confermando gli umori della piazza) o come la stabilizzazione dei pre-

cari, argomento non esente da controversie; ma la riforma presenta alcune lacune che coincidono con priorità di noi studenti. In primis il diritto allo studio, il fatto che questo fondamentale diritto che prevede sovvenzioni a chi non può permettersi un percorso scolastico adeguato venga trascurato nella riforma – lacuna che rischia di rendere lo studio un lusso – ha sollevato molte perplessità. Un altro dei temi caldi era la privatizzazione della scuola, iniziativa importante e produttiva ma che sempre più incentivata dallo scuola corre il rischio di diventare sempre più vitale, prendendo mano a mano il posto di quelle sovvenzioni governative che, oltre ad essere nostro diritto come contribuenti, sono anche fondamentali per una scuola libera. La riforma cambierà radicalmente il nostro modo di vivere la scuola e io auspico che chi è sceso in piazza comprenda quanto questa riforma sia importante, ma che è anche nostra responsabilità aiutare il governo a migliorarla e renderla più vicina a noi. È stato triste vedere come il giorno dopo sulle pagine dei quotidiani la manifestazione convivesse con quei fatti di violenza che, seppur isolati, hanno riguardato buona parte delle manifestazioni in tutta Italia: si potrà condividere il disagio dei più “scontrosi” ma non bisogna rischiare che solo il lato più oscuro del movimento venga alla luce.

foto di

Pietro Moroni

Mattia Stefanutti -3-


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TRE RACCONTI E UN UOMO

SPECIALE PIAZZA FONTANA

Lunedì 17 dicembre 1969 Oggi a Milano era una giornata grigia, più grigia del solito. Alle 11 eravamo in Duomo per il funerale dello zio, non avevo mai visto piangere mio padre. C’era davvero tanta gente sul sagrato. A fatica sono riuscito a leggere la scritta a lutto appesa alla facciata “Milano s’inchina alle vittime innocenti e prega pace”. Attorno a me c’erano donne, operai, impiegati, studenti, vecchi e anche ragazzini come me. Mi sentivo parte di qualcosa. Quella sensazione ci univa tutti in mezzo a quegli sguardi. Il nonno dice che sono stati gli anarchici, che vogliono la guerra civile e uccidere gli innocenti come lo zio. Ora il governo ha messo una taglia di 50 milioni sugli autori del massacro. Il nonno dice anche che sono loro quelli che si meritano di essere appesi in Piazzale Loreto. Mamma invece è molto silenziosa in questi giorni, però mi ha detto che il nonno queste cose non le pensa veramente. Due notti fa l’anarchico colpevole si è suicidato buttandosi dal quarto piano della questura, si chiamava Giuseppe Pinelli. Giovedì 20 dicembre 1969 Una bara e tremila compagni si sono riuniti oggi per dar l’ultimo saluto a Pinelli. Stringevamo le nostre bandiere, ma in mano avevamo solo un senso di rabbia e impotenza. Si gela e il vento soffia freddo, ma quella sera a Milano era caldo, così caldo da dover aprire la finestra. Pietro Valpreda è innocente, Giuseppe Pinelli invece è un capro espiatorio: l’autore della strage è da cercare tra i potenti. Anarchia non vuol dire bombe, ma uguaglianza nella libertà. Un compagno è stato ammazzato per coprire una strage di Stato. Lunedì 15 dicembre 2014 A 45 anni dalla morte del ferroviere Giuseppe Pinelli troppe ombre attorniano la vicenda. Nel corso degli anni si è cercato di seguire la via della pacificazione e della mediazione: nessuna vittima, nessun carnefice. La ragion di Stato la si può capire - non condividere, ma capire sì: bisognava allentare un clima fin troppo teso in quegli anni. Al giorno d’oggi, però, non se ne

parla più. Tra i giovani miei coetanei, pochi, anzi pochissimi sanno chi era Pinelli. Non ci si pone neanche più le domande: il disinteresse è totale. Sebbene la visione ufficiale sancisca la tesi del suicidio, resteranno sempre troppi dubbi e incongruenze a riguardo. L’omertà ha vinto coprendo un omicidio di Stato e difendendo l’atto squadrista di quattro poliziotti. Conseguentemente, ciò ha portato ad ingigantire le già aspre polemiche fino all’uccisione del commissario Luigi Calabresi, al quale fu addossata la responsabilità morale, con eccessi accusatori da parte della sinistra extraparlamentare di quegli anni. Calabresi era innocente, non si trovava nemmeno nella stanza in quel momento. Il 27 ottobre del ‘75 tutti gli imputati furono prosciolti “perché il fatto non sussiste”. Di tutto questo non se ne parla più, e cosa ci rimane? Niente! Ecco perché bisogna tener viva la memoria! A tal proposito, un gruppo di ragazzi appartenenti a diversi licei milanesi, hanno deciso di lanciare da una finestra della rispettiva scuola, un manichino con stampata sul volto l’immagine di Pinelli. Questi ragazzi, appartenenti a Milano Attiva (un’associazione che si occupa di informazione e cultura a livello giovanile), hanno lanciato questa campagna “lancia il Pinelli”. L’iniziativa è stata colta con entusiasmo principalmente dai ragazzi appartenenti ai vari collettivi, e successivamente ha suscitato interesse anche negli altri. Manzoni, Vittorio Veneto, Parini, Bottoni, Brera, Boccioni, Virgilio: moltissimi sono i licei che hanno aderito. Ciò è servito ad informare tutti quei giovani che non sanno cosa accadde in quegli anni. Ogni scuola ha documentato il tutto con uno smartphone; i vari video sono stati assemblati e poi diffusi sul web ottenendo un discreto successo. “Aspetta a buttarlo giù, fagli avere prima un malore!”, grida un ragazzo che riprende la scena col telefonino mentre un altro lascia un cartello con su scritto: attenzione caduta anarchici. Con un gesto semplice e un pizzico di ironia si è riusciti a riportare nelle scuole un senso critico e coscienza storica. Una manifestazione del genere non poteva che colpire e suscitare interesse perché <<La memoria è un presente che non finisce mai di passare>>, o almeno così dovrebbe essere.

Tommaso Proverbio

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MILANO, 12 DICEMBRE 1969

il tentativo da parte di estremisti di destra di far dichiarare dall’allora presidente del consiglio Mariano Rumor lo stato di emergenza per poter tentare un colpo di stato. Fortunatamente Rumor, forse sbalordito dall’enorme e significativa affluenza ai funerali delle vittime della strage, si rifiuterà di dichiararlo, e, per questo, più volte ha rischiato di perdere la vita in attentati rivolti contro di lui. Scaramucci si è invece soffermato sul cosiddetto processo Pinelli: Giuseppe Pinelli, dopo essere stato trattenuto in commissariato per tre giorni, cade misteriosamente, la notte del 15 dicembre 1969, dalla finestra della stanza degli interrogatori. La stessa notte, il commissario Luigi Calabresi, responsabile dell’interrogatorio, indice una conferenza stampa nella quale afferma con altri quattro testimoni che Pinelli si è gettato dalla finestra vedendosi incastrato e i presenti non sono riusciti a fermarlo. Il giornale “Lotta Continua” denuncia pubblicamente il commissario Calabresi di essere il responsabile di ciò che accadde a Pinelli sperando che venisse aperta un’indagine che non c’era stata alla sua morte. Cosa che accadde. Nonostante le testimonianze dei presenti sui fatti di quella notte risultino contraddittorie e poco credibili, il caso fu archiviato. Calabresi fu ucciso sotto casa sua il 17 maggio 1972. Scaramucci conclude dicendo che, purtroppo, ad essere certi di quello che realmente è accaduto la notte del 15 dicembre, saranno solo gli unici cinque testimoni.

SPECIALE PIAZZA FONTANA

Milano, 12 dicembre 1969, piazza Fontana, ore 16.37, Banca Nazionale dell’Agricoltura. Scoppia una bomba che uccide diciassette persone e ne ferisce altre ottantotto. A quarantacinque anni dalla strage, il nostro liceo ha invitato due esperti per raccontarci questa vicenda: Piero Colaprico, giornalista di “La Repubblica” e scrittore che ha composto, con Pietro Valpreda, i primi tre libri della serie con il maresciallo Binda come protagonista, e Piero Scaramucci, giornalista, direttore di Radio Popolare dal 1992 al 2002 che ha pubblicato un libro-intervista con Licia Pinelli. Il primo a parlare è stato Piero Colaprico che ha focalizzato l’attenzione sulla cronaca di quell’orribile 12 dicembre: l’esplosione è stata causata da una valigia contenente una bomba di plastico regolata da un timer. Scoperta la causa della catastrofe, appena un’ora dopo il fatto, i sospetti sono subito ricaduti su gruppi anarchici della città, ipotesi, secondo Colaprico, da ritenersi inappropriata poiché usualmente il modus operandi anarchico non prevedeva esplosivo al plastico bensì esplosivi più semplici. Le numerose retate della polizia nelle ore subito successive portarono all’arresto di numerosi esponenti del movimento anarchico tra cui spiccano i nomi di Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda. In commissariato, continua Colaprico, Valpreda viene riconosciuto da un taxista, Cornelio Rolandi, che afferma di averlo accompagnato fino alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Questo gli bastò per essere incarcerato per ben tre anni. In seguito, dai frammenti della valigetta contenente la bomba è stato possibile risalire al suo acquirente: un neofascista di nome Giovanni Ventura. Anche l’acquisto del timer risale ad un neofascista. Colaprico conclude dicendo che una delle cause dell’attentato potrebbe essere

Giovanni Salaina -5-


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APPLE: FENOMENO SOCIOLOGICO

Nel 2013 i cellulari più venduti sono stati iPhone 5s e iPhone 5, con iPhone 5c in terza posizione. Inoltre in molte famiglie, sia in Italia, sia all’estero, sono presenti più di un apparecchio Apple, iPhone, Mac, iPod, iPad e così via… Cupertino è ormai così importante per le persone che per comperare uno dei suoi dispositivi si è anche giunti alle mani (fatto risalente a qualche anno fa, avvenuto in Cina ndr). Apple è conosciuta come la più importante società in ambito tecnologico con un fatturato 2013 di oltre 170 miliardi di dollari. Appena la gente legge in rete l’annuncio dell’arrivo di un nuovo prodotto, principalmente iPhone, iniziano a formarsi le lunghissime e snervanti file davanti agli Apple Store di tutto il mondo, per poter dire di essere una delle prime persone a possedere il nuovo telefono, che dopo poco più di un anno sarà riposto nello scatolone con quelli precedenti e ancora funzionanti, per essere rimpiazzato da un nuovo modello. Due dati importanti per il fenomeno sociale di Apple sono appunto questi, la lunghissima attesa in fila per avere il nuovissimo gingillo fra le mani il prima possibile e il ripetersi di questa azione ogni volta che un nuovo apparecchio viene annunciato. Normalmente le code sono viste come qualcosa di estremamente negativo, ma quando si tratta di aspettare per la Apple, tutto cambia. Una ricerca del Wall Street Journal afferma che scatta qualcosa nella mente di chi è in fila assieme ad altre persone per uno stesso obiettivo, non vedono più la fila come un problema, ma come un’occasione per socializzare e discutere su uno stesso argomento. Inoltre, come riporta invece Daniel M. Ladik, l’acquirente preferisce fare anche 10 ore di fila fuori da un Apple Store piuttosto che aspettare per settimane a casa. Il compratore quindi, vuole possedere subito il prodotto, appena ne viene annunciato uno nuovo si dimentica di quello che ha già ed è pienamente orgoglioso di sé se riesce ad averlo il primo giorno

che arriva nei negozi. L’ altro dato di cui abbiamo fatto menzione è il fatto che quasi ogni anno questa singolare pazzia si ripeta senza un motivo apparente. Solitamente si cambia un telefono, o un computer se questo si è rotto o non funziona più in modo corretto, invece i cosiddetti iSheep (i fan di Apple definiti iPecore perché le code fuori dagli Apple Store sembrano dei greggi di pecore ndr) cambiano telefono, o computer, e spendono immediatamente cifre importanti (700-800 euro per gli iPhone 6 e 6 plus, 1000-2000 per i Mac, dati riportati da Apple Store) anche se non ne hanno un bisogno imminente in quanto già possiedono un apparecchio appartenente alla generazione precedente, quindi molto vicina al dispositivo appena lanciato sul mercato. Pare quindi evidente che chi acquisti un prodotto Apple non lo acquisti perchè ne ha necessità, quanto piuttosto, oltre a comperare il logo Apple, la mela morsicata sul retro, una serie di valori che ricercano e che attribuiscono a questi prodotti. Parlo ad esempio dell’appartenenza ad una categoria o l’affermazione del proprio potere economico piuttosto che l’attenzione e l’invidia di chi o non può permettersi dispositivi così costosi o chi ricerca l’utilità in prodotti di uso quotidiano come telefoni e computer. È in questi termini quindi che si può definire fenomeno sociale, in quanto la società ormai ruota attorno a questo marchio, ci sono vere e proprie battaglie fra gli amanti di Apple e coloro che la odiano, basti pensare a un episodio avvenuto a Settembre, a Roma, quando una delle interminabili file all’ ingresso dell’Apple Store è stata assaltata da alcuni manifestanti con lanci di uova e farina con la motivazione di voler svegliare una generazione assuefatta dai costumi dettati dalle multinazionali. Abbiamo svolto un sondaggio sabato scorso, vi riportiamo i risultati: abbiamo interrogato 25 classi, per un totale di 553 studenti di cui 504 hanno e/o usano un dispositivo apple che va dalle cuffiette all’iPhon e al computer.

Roberto Cervieri -6-


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MAFIA CAPITALE

La giornata di martedì 2 Dicembre ha portato alla luce un sistema di dimensioni incredibili. 37 arrestati, 39 indagati, e l’ombra della banda della Magliana che ritorna sulla città eterna. Massimo Carminati, il guercio, colui che perse un occhio in uno scontro a fuoco, era a capo di un sistema di corruzione che arrivava fino ai piani alti della politica romana. Controllavano l’intera città, riducendo il sindaco Alemanno ad una marionetta. Con sequestri da 204 milioni di euro, poliziotti e carabinieri hanno perquisito ogni luogo: dal Campidoglio alla regione Lazio, dalle sedi della criminalità organizzata alle sedi di associazioni e delle municipalizzate. Er Guercio comandava tutto dagli appalti alla nomina di politici. Il cambio di sindaco non aveva intaccato il suo progetto in quanto, in una intercettazione, andava afferma che “sei sono dei nostri”. Roma era guidata da Destra o Sinistra? No: il capo era Carminati, ex camerata dei Nar, figlio ed epigono della banda della Magliana. Gli inquirenti l’hanno ribattezzato il capo del “Mondo di Mezzo” situato proprio tra il mondo della politica e la strada: per controllare il “Mondo di Sotto”, secondo l’accusa si avvaleva di Riccardo Brugia che nascondeva le armi e aveva il compito di coordinare le attività criminali e il recupero crediti. Per ammansire il “Mondo di Sopra “operavano Fabrizio Testa, manager che era nella Destra sociale di Alemanno, Luigi Gramazio, ex consigliere regionale PDL, e Salvatore Buzzi, condannato per omicidio con un passato nella Sinistra. Un sistema radicato che ha lasciato a bocca aperta milioni di italiani e soprattutto di romani che si sono sentiti anch’essi marionette vittime di questa faccenda che si avvicina moltissimo ad una trama di un film. La cupola aveva come referenti di Cosa Nostra i boss Ernesto Diotallevi e Giovanni De Carlo indagati ora per associazione a delinquere di stampo mafioso. La situazione ha creato un inevitabile vespaio e il prefetto ha delineato tre soluzioni possibili: l’accesso agli atti, lo scioglimento del comune oppure non intervenire essendoci in corso un procedimento giudiziario. Armi, appalti, nomine e giri di mazzette in una zona dove si è tornata a respirare l’aria di fine prima repubblica, l’aria di Mani Pulite, che sconvolse il sistema politico. Oggi come allora sembra che tutti sapessero e che tutti abbiano taciuto per preservare la propria immagine quella del proprio partito, per presentarsi in campagna elettorale con la faccia pulita. Francesco Guccini diceva in una sua famosa canzone che “la politica è solo far carriera”: era il 1967. Da allora è passato quasi mezzo secolo, ma l’aria non è poi tanto cambiata.

Armando Bavaro

IL GRANDE PROBLEMA DEI GRAFFITI

Il 6 novembre 2014 alle 5 del mattino un uomo, solitario e armato di bomboletta, riesce a rovinare il monumento più importante della nostra città: il Duomo. Il gesto è sicuramente dimostrativo, perché chi è riuscito in questa impresa voleva far capire come la nostra cattedrale fosse malamente sorvegliata e come fosse possibile commettere un atto di vandalismo del genere senza essere fermati. L’imbrattamento del Duomo è stato l’ultimo episodio di un fenomeno, il graffitismo, che assilla già da tantissimi anni la città di Milano. I primi episodi di graffitismo in Italia si hanno negli anni ‘70, proprio nel capoluogo lombardo, e da quel momento il fenomeno non si è mai fermato, anzi, si è diffuso sempre di più. La parte di Milano che soffre maggiormente di ciò sono i treni delle metropolitane, che vengono puntualmente assaliti da ragazzi provenienti da tutti i paesi europei: pare, infatti, che la nostra rete metropolitana sia la meno controllata d’Europa e che addirittura le persone vengano dall’estero all’unico scopo di imbrattare i nostri treni. L’aspetto scandaloso di questa vicenda è l’episodio che si è svolto a Villa Fiorita (una fermata periferica della M2) lo scorso aprile: dei vandali, entrando in un treno in servizio, hanno azionato i freni d’emergenza bloccandolo, e si sono messi ad imbrattarlo, incuranti della presenza dei passeggeri. I writers sono spesso ragazzi provenienti da situazioni difficili, che non sono stati educati e che sfogano in questo modo il loro malessere organizzandosi in gang. Non mancano però i casi di persone che semplicemente credono di avere un talento ma non trovano un’occasione per dimostrarlo: ultimamente, in risposta a questa esigenza, a Milano si sono moltiplicati i muri offerti dal Comune per disegnare e le serrande dei negozi dipinte dai graffitari. Le soluzioni potrebbero essere essenzialmente due: in primo luogo, aiutare i writers a diventare veri artisti, tattica messa in atto in molti paesi ma non sempre con l’effetto desiderato. La seconda soluzione, più drastica, è quella di pesanti multe e addirittura condanne ai graffitari, anche se si tratta di una procedura che, pur ottenendo quasi sempre esito positivo, è ritenuta esagerata e sbagliata dai più. La difficile attuazione di tali norme è dovuta, come al solito, al fatto che la confusione regni sovrana tra coloro che dovrebbero prendere decisioni efficaci. Di questo passo sarà molto difficile riuscire a eliminare definitivamente le tag dei writers dai muri di Milano.

Alessandro Piazzoni -7-


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È STATO NESSUNO (?!)

Stefano Cucchi è morto, ma non è colpa di nessuno. Stefano Cucchi è stato ucciso all’interno di una struttura dello Stato e nessuno sa niente. Tra le decine e decine di persone presenti, e che in quei sei giorni avevano in custodia il corpo del ragazzo, non si è riusciti a dare un volto. Non si è riusciti a dare dignità a questa vicenda, non si è riusciti a trattare con rispetto una madre alla quale vien detto “Mi spiace, ma non è stato nessuno”. La storia di Cucchi è diventata un po’ la storia di tutti, e lo si percepisce nelle parole della madre di Stefano: “C’era un giovane uomo di 31 anni e non c’è più, era nelle mani dei custodi della Legge lo hanno ammazzato ma non è stato nessuno dunque non è successo niente”. Vada a casa signora, ci dispiace. Suo figlio è morto mentre era nelle strutture dello Stato, una caserma poi un’altra, una cella di sicurezza poi un’altra, un ospedale poi un altro. È stato picchiato, è vero. Aveva le vertebre rotte gli occhi tumefatti: lo sappiamo, le perizie lo confermano, non potremmo d’altra parte certo negarlo. Le sue foto avete deciso un giorno di renderle pubbliche e da allora le vediamo ogni volta, anche oggi qui, ingigantite, in tribunale. Un ragazzo picchiato a morte. Ma chi sia stato, tra le decine e decine di carabinieri e agenti, pubblici ufficiali e dirigenti, medici infermieri e portantini che in quei sei giorni hanno disposto del suo corpo noi non lo sappiamo. Dalle carte non risulta. Nessuno, diremmo. Anzi lo diciamo: nessuno. Dunque vada a casa, è andata così. Dimentichi, si dia pace. Questo è un esercizio più facile per chi voglia provare a mettersi nei panni: nessuna madre, né padre, né sorella può dimenticare né darsi pace del fatto che un figlio debole, infragilito dalla droga come migliaia di ragazzi sono, ma deciso a uscirne, un figlio amato, smarrito, accudito possa essere arrestato una sera al parco con 20 grammi di hashish, portato

in caserma e restituito cadavere una settimana dopo. È anche difficile sopportare in aula l’esultanza e il giubilo dei medici e degli infermieri assolti, perché comunque quel ragazzo stava male, è morto che pesava 37 chili e quando è entrato ne pesava venti di più. Sembra impossibile poter perdere 20 chili in sei giorni ma se non mangi e non bevi perché pretendi un legale che non ti danno, se hai un problema al cuore e vomiti per le botte forse succede, di fatto è successo e qualcuno deve aiutarti a restare in vita. Uno a caso, dei cento che sono passati davanti ai tuoi occhi in quei giorni e hanno richiuso la cella. È difficile per un padre leggere il comunicato di polizia Sap che con soddisfazione dice “se uno conduce una vita dissoluta ne paga le conseguenze senza che altri, medici o poliziotti, paghino per colpe non proprie”. Perché, ricorda sommessamente Giovanni Cucchi, “ho rispetto per tutti, ma vorrei precisare che chi ha perso il figlio siamo noi”. Questa è una sconfitta per tutti noi, questa è una sconfitta per lo Stato; quello Stato composto da noi cittadini, non lo “Stato” che IN TEORIA dovrebbe difenderci e tutelarci. È stata una sconfitta vedere gli imputati gridare ed esultare di fronte ai volti rigidi dei magistrati. Quello di Cucchi è solo un altro della lunga serie di vergognosi massacri causati dallo squadrismo della nostra polizia statale. Come si può non ricordare i vari Aldrovandi, Rasman, Bianzino, Uva, Ferrulli, Magherini, ecc. Tutti questi omicidi di Stato, perché di veri e propri omicidi si tratta, vengono insabbiati. Ne esce vincitrice solo l’omertà, che ormai nel nostro Paese fa da padrona. Non avrà mai un volto il responsabile della morte di Cucchi, la sentenza parla da sola: è Stato nessuno. E come recita un grande uomo, in una sua celebre canzone: anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti.

Tommaso Proverbio

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L’UTOPISTICO GOVERNO SALVINI

Matteo Salvini messo a nudo in un’intervista su Oggi del 3 dicembre scorso. Letteralmente messo a nudo... L’intervista è corredata da foto del leader della Lega senza vestiti, compresa quella della copertina. In effetti in copertina non è completamene nudo: la cravatta verde la indossa. Salvini, oltre a rispondere a domande sulla vita privata, spiega il suo programma per la candidatura a primo ministro: si candiderà come premier tra tre anni, la Lega scenderà anche al Sud per trovare consensi e concentrerà l’attenzione sull’uscita dall’Unione Europea. Ora la domanda è se Salvini riuscirà a portare avanti la doppia carriera di primo ministro dell’Italia e fotomodello durante il governo del 2017: dopo il giuramento davanti al Presidente della Repubblica ci sarà una foto di gruppo con tutti i ministri con tema ancora da definirsi; a Natale verrà distribuito a ognuno dei senatori un calendario della collezione Italia&Salvini, con foto all’ultima moda del premier per ogni mese... è stato anticipato che quella di agosto, sarà in bikini! La collezione comprenderà anche tazze I love Salvini, Barbie Salvini e una bellissima sveglia per alzarsi al mattino al suono di “Va’ pensiero”. La prima, rivoluzionaria riforma abrogherà l’obbligo della giacca in Parlamento: tutti i parlamentari saranno tenuti a indossare felpe; questa legge, a detta degli esperti, aprirà le porte a uno stravolgimento senza precedenti dei canoni di bellezza, l’uomo elegante non porterà più camicia, giacca, scarpe di pelle e Rolex, ma tutone e scarpe da ginnastica o, a seconda dei gusti, pantofole. Infine alcune indiscrezioni rivelano che il leader della Lega stia già preparando le foto per quando diverrà Presidente della Repubblica e che in fondo quelle pubblicate su Oggi fossero solamente delle prove...

Silvia Ricevuti

FUGA DAL CAMPO 14

Così racconta Shin Dong-hyuk, ex detenuto del campo 14 in Corea del Nord, in una delle conferenze per presentare il suo libro “Fuga dal campo 14” di Harden Blaine: «Ora muoio, ho pensato quando le guardie mi hanno trascinato di fronte al campo delle esecuzioni». Aveva solo cinque anni e questo è il suo primo ricordo. «Dopo mesi di torture e isolamento, quella mattina ho pensato che stessero per uccidermi. Solo quando ho visto mia madre con una corda al collo, pronta per essere impiccata, e mio fratello legato ad un palo, per essere fucilato, ho capito che non ero io quello che stava per morire. Sono morti poco dopo. Ma in quel momento non ho provato nessuna emozione. Anzi, ho pensato che fosse giusto così. Del resto li avevo denunciati io agli agenti». Le regole sono dure, se si sospetta che qualcuno voglia evadere bisogna riferirlo alle guardie; nel caso non lo si facesse, la morte sarebbe certa. Così fece Shin Dong-hyuk, aveva sentito la mamma e il fratello escogitare un piano per fuggire; però le guardie, credendo che anche lui volesse scappare, lo tennero in isolamento e lo torturarono per vari mesi. Shin Dong-hyuk ora ha il corpo pieno di ustioni, le caviglie deformate, il basso ventre bucato, le braccia piegate ad arco per i lavori forzati e il dito medio mozzato. «Il più grande problema non era la violenza, ma la fame». Per questo Shin Dong-hyuk decise di scappare: per mangiare cibo buono. Motivato dal suo amico Park (arrivato dopo di lui al campo) che gli raccontava le meraviglie che c’erano fuori dalle mura. Così decisero di scappare. Park morì fulminato cercando di oltrepassare il muro, Shin Dong-hyuk riuscì ad oltrepassarlo, ad arrivare in Cina e, dopo, in Corea del Sud. Oggi Shin Dong-hyuk chiederebbe scusa a sua madre e suo fratello se fossero ancora vivi. La commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha denunciato il regime di Pyongyang per crimini contro l’umanità, eppure quest’estate Matteo Salvini (Leghista) e Antonio Razzi (Forza Italia) hanno definito la Corea del Nord una “Svizzera asiatica”. «E’ un’opportunità gigantesca per i nostri imprenditori - ha detto Salvini - l’embargo nei loro confronti andrebbe tolto». A chi gli faceva notare che quello coreano è uno dei regimi più feroci al mondo secondo Amnesty International, lui ha risposto: «Lì c’è una splendida comunità». Intanto però il presidente della Corea del Nord, Kim Jung Un ha proibito a tutti i cittadini di chiamarsi come lui: di Kim Jung Un ce ne deve essere solo uno.

Sofia Londero Rebecca Petrosino Spirito -9-


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IL GIOCO DEI MURI

“I can remember standing, by the wall and the guns shot above our heads and we kissed, as though nothing could fall and the shame was on the other side. Oh we can beat them, for ever and ever then we could be Heroes, just for one day.”

E’ con questo titolo un po’ provocatorio e con questi versi a dir poco struggenti di Bowie che vorrei iniziare questo mio “gioco dei muri”. Prima di iniziare però vorrei riassumere brevemente la storia del più famoso: il muro di Berlino, questa barriera di morte che esattamente a Novembre di venticinque anni fa ha spalancato simbolicamente le porte ad un futuro di fraternità, unità, pace, unicorni e arcobaleni. La Germania alla fine della seconda guerra mondiale era occupata dai vincitori e divisa in una zona di influenza russa (Est) e in una di influenza americana, inglese e francese (Ovest), diventando l’oggetto principale della guerra fredda. Col passare del tempo la qualità della vita tra i due settori si differenziava notevolmente, l’Ovest fu colpito da un miracoloso boom economico dovuto in parte agli aiuti di Mamma America che aveva sfruttato l’occasione per favorirsi degli alleati per la guerra fredda, mentre l’Est era stato indebolito dalle pretese russe che consistevano nel trasferire fabbriche e materiali dalla Germania alla Russia come risarcimento dai danni della guerra. In questo periodo molti , soprattutto giovani in cerca di fortuna, si spostavano dalla zona Est alla zona Ovest, dissanguando l’Est e impoverendolo sempre di più. Un bel giorno, precisamente il 13 Agosto del 1961 i governanti della Germania-Est ebbero la “brillante” idea di costruire un muro che avrebbe impedito ogni collegamento da tre due zone, dividendo di fatto nuclei famigliari e amici. I soldati dell’Est ricevettero l’ordine di sparare su tutti quelli che cercavano di attraversare la zona di confine che con gli anni fu attrezzata con dei macchinari sempre più terrificanti, con mine anti-uomo, filo spinato, corrente ad alta tensione anche nel pieno centro di Berlino. La Germaniaest, come tutti i paesi dell’Est-europeo, era un vero e proprio stato-satellite dell’Urss. Nel corso degli anni l’indebolimento economico-politico

dell’Urss si manifestò con l’avvento di Gorbaciov (detto affettuosamente Gorbi) come leader. Più arrivavano dall’Urss e dagli altri stati dell’est notizie di riforme economiche e democratiche, e più la popolazione della Germania-est chiedeva di fare lo stesso nel loro paese, più i leader della zona si chiusero ad ogni richiesta del genere. Si cominciarono a diffondere sempre di più i tentativi di “evasione” dalla Germania-est non più attraverso il muro (che poi equivaleva al suicidio) ma attraverso l’Est (Praga, Varsavia e Budapest rese “libere” dalla pesante presenza Russa dal mitico Gorbi che, consapevole dello sfaldamento che si stava verificando sia nell’Urss che tra gli stati del patto di Varsavia, continuava a concedere ampia libertà). L’affluenza di tedeschi dell’Est fu talmente abbondante che l’Ungheria aprì i confini con l’Austria che era collegata alla Germania-ovest, rendendo inutile il muro. E fu così chesi arrivò alla sera del 9 Novembre 1989 quando un portavoce del governo annunciò una riforma piuttosto ampia della legge sui viaggi all’estero, la gente di Berlino-Est lo interpretò a modo suo: il muro doveva sparire. Migliaia di persone si riunivano all’Est davanti al muro, ancora sorvegliato dai soldati, ma migliaia di persone stavano anche aspettando dall’altra parte del muro, all’Ovest, con ansia e preoccupazione. Nell’incredibile confusione di quella notte i soldati dei posti di blocco si ritirarono rimasti senza direttive in quanto il governo della Germania-Est si era dissolto.Tra lacrime ed abbracci, migliaia di persone dall’est e dall’ovest, scavalcavano il muro e si incontravano per la prima volta dopo 29 anni. Nonostante questa testimonianza che ci prova che un muro non é altro che un inutile e violento limite, ancora oggi esistono muri che contribuiamo a costruire. Vere e proprie barriere di cui vergognarci tanto quanto del muro di Berlino, si parla di muri ideologici, di pregiudizi, di razzismo che fanno tante vittime tutti i giorni. Esempi? In Cina nessuno si sogna di abbattere quel muro che separa il Tibet dalla libertà o il muro eretto materialmente da Israele. Ma senza andare troppo lontano l’Italia, nell’ultimo decennio soprattutto, é diventata un unico e immenso muro, basti pensare a chi predicava la liberazione del “casto e puro” Nord dalla corruzione del Sud o ai crescenti commenti sul desi-

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derio dei cittadini musulmani di avere moschee o sull’invasione di attività commerciali cinesi, o alle lamentele contro tutti quelli che sembrano anche minimamenti di etnia differente. Allora vi invito a pensare e a fare attenzione a quello che spesso

CULTURA SPORT RECENSIONI MUSICA SVAGO involontariamente pensiamo o diciamo affinché la canzone di Bowie sia realizzi sul serio, affinché la vergogna sia davvero dall’altra parte e finalmente potremo (ab)batterli questi muri dopo tanto tempo ed essere eroi.

M.Chiara Fusco

PROBLEMI AMBIENTALI Con le piogge autunnali in Italia si è ripresentato il problema delle alluvioni e delle inondazioni e tra le zone più colpite c’è di nuovo la città di Genova: in poco tempo sul capoluogo ligure e sulle zone circostanti sono caduti 600mm di pioggia. Come nel 2011, le abbondanti piogge hanno provocato la piena del torrente Bisagno, che è esondato causando circa un miliardo di euro di danni nella città, un morto e 320 sfollati. Perché in Italia continua a piovere così tanto? I meteorologi attribuiscono l’accaduto a celle temporalesche autorigeneranti, ovvero nuvole dense di pioggia che nascono dall’incontro di venti caldi da sud e freddi da nord. La catastrofe – dicono - sarebbe stata causata da una grande quantità di acqua precipitata in pochissime ore. La situazione è stata critica anche a Milano, allagata a causa dello straripamento dei fiumi Seveso e Lambro e nel Varesotto, dove una frana ha addirittura travolto un’abitazione causando la morte di un uomo di 70 anni e di una ragazza di 16. Alluvioni e frane sono calamità naturali da sempre frequenti, ma come mai negli ultimi anni stanno continuando ad aumentare e a intensificarsi in modo preoccupante? Quanto queste distruzioni siano naturali, è ormai molto dubbio. Molti studi evidenziano la relazione tra le recenti catastrofi e i cambiamenti climatici provocati dall’inquina-

mento; in particolare, l’aumento delle temperature nell’arco alpino sta provocando il progressivo scioglimento dei ghiacci e delle nevi, favorendo in questo modo frane, colate di fango, alluvioni e smottamenti che minacciano i centri abitati in fondovalle. “I danni sono dovuti all’edificazione”, dice il Professor Franco Siccardi. Da alcuni decenni, infatti, l’impatto che ha un evento climatico sul territorio è maggiore di quello che si avrebbe se il territorio non fosse urbanizzato: il disboscamento non razionale, per esempio, influisce sul deflusso delle acque, favorendo lo scorrimento superficiale, e così il territorio diventa estremamente fragile dal punto di vista ambientale e non è in grado di rispondere a qualsiasi tipo di crisi, sia essa una piena o un episodio di siccità. In che modo si può intervenire per migliorare la situazione? Risponde il Professor Giuliano Cannata “Non è certo possibile tornare a una situazione anche soltanto vicino a quella naturale. Ma si può agire con un intervento di tutela. La difesa del suolo si fa soprattutto con l’uso del suolo: cioè legiferando, incentivando, intervenendo, in una parola pianificando. Dall’uso del suolo dipende la risposta del territorio a una pioggia”. In sostanza, tutelando la nostra terra, tuteleremo noi stessi.

Debora Lombardo

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LA STRAORDINARIA BANALITÀ DEL MALE

Si è parlato recentemente di “globalizzazione dell’indifferenza”, del rischio cioè che i tanti conflitti che infiammano il mondo, insieme alla miseria ed alle disgrazie delle persone che cercano di sfuggirvi, lascino chi si limita a leggerne del tutto apatici e passivi. In questa occasione vorrei soffermare l’attenzione su un fenomeno assai più vicino alla nostra realtà quotidiana, che ci può toccare e riguardare in prima persona nel senso più vero e doloroso del termine, e dinanzi al quale non si può rimanere indifferenti. Negli Stati Uniti si chiama Knockout game, ed è un gioco violento che consiste nello sferrare pugni e calci ai passanti: a caso e senza alcuna ragione, in ogni zona, non necessariamente degradata o periferica, delle città. Il fenomeno è arrivato da tempo in Italia e a Milano, in piazzale Loreto, una ragazza di 30 anni è stata picchiata da uno sconosciuto, uscito all’improvviso da un’auto e dileguatosi subito dopo averle procurato la rottura del naso. Negli Usa si contano già tre morti, vittime inconsapevoli di delinquenti, pare perlopiù giovani, che aggrediscono in strada ignari passanti, con ferocia e senza alcun preavviso. Gli episodi si moltiplicano e una pericolosa emulazione si sta diffondendo ovunque, anche grazie all’aumentare del numero dei filmati postati su YouTube, i cui protagonisti sono proprio loro: persone di ogni età, uomini e donne, prese inaspettatamente a pugni e che la videoregistrazione di qualche telecamera nelle vicinanze ritrae poi stese a terra, prive di sensi, di solito nella noncuranza generale. Sconcertano la puntuale documentazione del gesto e i commenti online, che si riferiscono al “divertimento”, come motivazione che spinge a compierlo. Lasciano senza parole i rari filmati disponibili, in cui i malcapitati, una volta rialzatisi, appaiono più stupiti che terrorizzati, come se il sangue che li ricopre e il dolore che li sfigura appartenessero a qualcun altro, ma soprattutto come se faticassero ad accettare l’insensata gratuità dell’attacco di cui sono stati oggetto. L’eccesso come antidoto alla noia, l’indifferenza unita a una quasi assoluta mancanza di smarrimento da parte dell’opinione pubblica, l’impotenza degli amministratori dinanzi a questa spettacolarizzata e “facile” violenza urbana: è vero, il male riesce ad essere straordinariamente grave anche quando è così prossimo a noi e in apparenza banale. Ed è purtroppo vero che anche questo male a noi vicino merita in genere solo un commento di disappunto, solo di rado un frettoloso moto di empatia per chi ne è vittima.

Ludovica Medaglia

CORAGGIO DI DONNA

Il 25 novembre 1960 le sorelle Mirabal, volti della rivoluzione contro il regime di Rafael Leónidas Trujillo, si stavano recando in prigione a far visita ai loro mariti quando vennero rapite da agenti del Servizio di informazione militare che le torturarono e uccisero. Grazie al sacrificio delle loro vite la sensibilità verso il femminicidio aumentò visibilmente fino al 17 dicembre 1999, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite scelse il 25 novembre come Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, a cui è importante attribuire non solo ed esclusivamente il significato di atto fisico e, in ultimo stadio, di omicidio, ma anche di molestie verbali e psicologiche. Secondo i dati presentati all’Agenzia dei Diritti di Bruxelles, 1 donna europea tra i 17 e i 74 anni su 3 è vittima di molestie di ogni genere, da aggressioni verbali ad aggressioni sessuali, in casa, al lavoro e persino online. In Italia nel 2012 sono state assassinate 124 donne per mano maschile, 177 nel 2013, e da allora sono stati stanziati fondi, aperti centri antiviolenza (64 solo nel nostro Paese) e promosse iniziative di sensibilizzazione a livello televisivo e in rete. Ci si aspetterebbe dunque che, salvo casi particolari, le notizie riguardanti femminicidi e violenze fisiche e psicologiche nei confronti delle donne scarseggino, ma le statistiche confermano che il 2014 sta seguendo le orme degli anni passati, se non peggio: in Italia ogni 3 giorni una donna viene uccisa da una figura maschile, che sia il partner, il padre, il compagno o l’ex. Ormai gli spazi di cronaca nera sono sempre più spesso dedicati a donne innocenti uccise da uomini troppo possessivi o con personalità delineate da pericolosi eccessi di rabbia e mentalità fortemente instabili. Va ad aggiungersi alla brutalità di queste azioni l’approccio che ha l’assassino verso l’omicidio in certi casi, comportandosi in modo completamente normale facendo attività di tutti i giorni, come andare al bar a bere con gli amici. Una storia che ha colpito particolarmente la popolazione italiana é quella di Maria d’Antonio, 34 anni, uccisa a coltellate il 31 novembre dall’ex marito che, dopo aver compiuto l’atto, ha lanciato un ultimo insulto alla moglie su Facebook, in un post in cui si vantava apertamente di aver ucciso la ex moglie. Queste ferite alla società non guariranno mai finché non si esaurirà la convinzione che la donna sia sempre, in qualche modo, inferiore all’uomo e, di conseguenza, di sua proprietà anche quando la si perde.

Chiara Carugati - 12 -


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ALLA RICERCA DELLA CREATIVA DIVERSITA’

Per Steve Jobs essere creativi è un processo articolato, che implica il saper attingere dalle proprie esperienze per poi sintetizzarle in qualcosa di nuovo. Si è abituati a pensare che persone dalle idee contrastanti non possano collaborare e che il termine “diversità” debba essere associato solo ad un’accezione negativa, in quanto spesso questa conduce a liti, incomprensioni e scarsa comunicazione. Sono tutti pregiudizi che ci accecano, generati dal timore di veder crollare il nostro rassicurante universo di idee dentro cui ci barrichiamo. Quando invece diversità etniche, culturali e di genere si fondono in un unico gruppo di lavoro, la creatività che deriva da punti di vista differenti permette di risolvere problemi in maniera innovativa e suggestiva. Solo in questo modo le intuizioni possono diventare progetti geniali, direbbe Steve, attraverso la collaborazione di più individui con un proprio speciale bagaglio culturale. Dover interagire con persone differenti costringe ad uscire dai propri schemi, ad affrontare nuovi percorsi e metodi di lavoro che altrimenti sarebbero stati scartati a priori. Un gruppo omogeneo etnicamente, ad esempio, tende a lavorare meno duramente di uno eterogeneo, in quanto le aspettative di condividere uno stesso punto di vista sono più alte e, di conseguenza, non si considerano obiezioni e problemi che potrebbero sorgere durante il confronto. Per così dire, un gruppo di individui simili “si adagia sugli allori”, al contrario di uno all’insegna della diversità, in cui tutti collaborano al massimo delle loro possibilità per trovare le proposte più efficaci e fonderle insieme in un’unica innovativa soluzione. È essenziale per il progresso spalancare la propria mente alle differenze, provare ad analizzare le idee degli altri in maniera critica e soprattutto senza pregiudizi. Basta così poco, una sola persona che vada controcorrente rispetto al gruppo, per migliorare le interazioni personali attraverso ascolto e cooperazione. Nella vita quotidiana, capita spesso di trovarsi in disaccordo con le posizioni altrui, ma ci si limita ad una critica sterile piuttosto che ad un commento costruttivo, come se la soluzione più semplice fosse rimanere ancorati alle proprie visioni. Al contrario, si dovrebbe apprezzare la diversità in tutte le sue sfumature, come qualcosa che ci permetta di cambiare ed innovare, facendo un passo indietro tra le nostre esperienze personali, per poi procedere verso il futuro.

Marta Gerosa

COSA VUOL DIRE ESSERE GAY

La filosofa spagnola Beatriz Preciado scrive nel suo ultimo libro “L’omosessualità è un cecchino cieco come l’amore, scintillante come una risata, tenero e buono come un cucciolo.” E’ silenziosa, infallibile, mira dritto al cuore e può colpire chiunque, in ogni parte del mondo, ricchi o poveri, israeliani o palestinesi, agnostici o cattolici integralisti. Chi viene colpito custodisce per sempre il proiettile nel petto, non c’è modo di estrarlo, sarà sempre al suo fianco, per fornire aiuto e infondere speranza. Da parte mia non ho mai scelto di essere colpito né ricordo quando sia avvenuto: ero troppo piccolo o forse non ero ancora nato. Ho sempre avuto la mia cicatrice sul petto e ho sempre pensato che fosse un dono, qualcosa che mi rendesse speciale: mi ha guidato fin da bambino, ha giocato con me, ha popolato i miei sogni, ha volato nelle mie fantasie, spensierata e leggera, mai invadente, e così è cresciuta con me e l’ho ritrovata in me più forte e più matura nell’adolescenza; mi ha sorretto e guidato, restando nascosta a tutti, ricordandomi sempre discretamente la sua presenza. Ed è cambiata con me. Non dimenticherò mai la prima volta che sono stato davvero innamorato: gioiva con me facendo capriole nel mio cuore in sussulto e piangeva con me riempiendo di lacrime il mio petto appesantito, poi ha iniziato a gridare e a dimenarsi, un fischio ininterrotto mi feriva le orecchie, una fitta acutissima mi colpiva il petto, ma non potevo ancora lasciarla uscire, non ci riuscivo. Avevo paura, paura di essere abbandonato dalla mia famiglia, da miei amici e l’angoscia mi attanagliava la gola: quella sola, breve parola appariva semplicemente impronunciabile. Ma il peso della maschera che ero costretto a indossare diventava insostenibile, gravava su di me schiacciandomi al suolo e faceva sempre più male, troppo male. Ogni volta che scoprivo nell’animo delle persone dell’odio o del disprezzo, una lama gelida mi trafiggeva il cuore e avevo voglia di gridare, di gridare con quanto fiato avevo in gola, in modo che tutto, tutto il mondo fosse costretto a sentire quella parola così piccola eppure così pesante, quella parola che nessuno voleva sentire. L’esplosione. Il boato. E poi più nulla, solo la calma totale, il silenzio assoluto. Sempre di più il proiettile ardeva nel mio petto e asciugava le lacrime. E un giorno avvenne. Trovai la forza di dire basta, basta menzogne, basta solitudine, basta dolore. Tutto ciò che avevo provato in quegli anni fluì lento e deciso, condensato in una sola breve parola: mamma, papà, io sono gay. Mi sentivo indistruttibile, non piansi, non dissi nient’altro, ero finalmente libero.

Federico - 13 -


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ILVIAGGIO: METAFORA DELLA VITA UMANA

La vita di un essere umano è paragonabile ad un viaggio, dal momento che consiste nell’affrontare difficoltà, nell’imparare dalle esperienze vissute e nel relazionarsi con il prossimo. Un tipico esempio di viaggio metaforico presente nella letteratura classica è quello narrato nell’Odissea di Omero. Infatti il viaggio di Ulisse può essere visto non solo come l’itinerario di un uomo che dopo la guerra torna in patria dalla sua famiglia, ma anche come percorso di conoscenza attraverso il superamento di ostacoli e prove a cui è costantemente sottoposto. Successivamente, questo viaggio viene ripreso e modificato da Dante, il quale presenta Odisseo come un uomo contrassegnato da una sete conoscitiva sfrenata che porta alla morte. La violazione dell’ignoto è una delle minacce che attendono chi si inoltra nei territori oscuri ma eccitanti della scoperta; sono però le motivazioni relative alla ricerca esistenziale che rendono vitale tutto questo. Se un individuo è consapevole del fatto che un viaggio comporta non solo piacere e divertimento, ma anche impegno e fatica, comprende allora che questo tipo di esperienza è utile per arricchire se stesso e gli altri. Il viaggiatore, infatti, è disposto ad incontrare altre culture e a dialogare con altri popoli, che manifestano attitudini diverse dalle sue. Il turista, al contrario, quando viaggia si sofferma unicamente su oggetti e personaggi, senza preoccuparsi di dialogare con persone diverse da sé. È molto difficile entrare in contatto con gli altri, offrire loro aiuto e comprensione. Il turista gusta la vita come se fosse una vacanza, non si accorge di avere conoscenze superficiali e non è interessato a guardare in profondità. Quindi vive il suo viaggio senza lasciare una traccia significativa di sé. Il viaggio, inoltre, esalta la frattura tra certezza ed ignoto. Non a caso la nostalgia, spesso in letteratura legata al tema dell’esilio, è un sentimento comune a tutti i viaggiatori. Vi è nell’uomo, infatti, un bisogno di rimanere legato alle radici natali, in contrasto con l’incontenibile passione per la scoperta, motore della volontà umana a guardare al futuro come ad una sfida da affrontare per riflettere sulla propria interiorità. Il viaggio è quindi un’occasione per riflettere sulla propria esistenza per poi cercare di modificarla al meglio.

Federica Dalle Carbonare

IL PESO DELLE NOTIZIE

Avete mai notato in che modo le notizie ci vengono sempre somministrate? Solitamente, fateci caso, le informazioni sull’Italia e gli italiani risaltano molto più delle informazioni in generale. Per esempio, se dovesse precipitare un aereo, la notizia sarebbe “Aereo precipita, fortunatamente nessun morto fra i passeggeri italiani”, senza magari preoccuparci degli altri cento morti provenienti da nazioni diverse dalla nostra. Ma a chi importa? Se invece ci fossero vittime fra gli italiani la notizia verrebbe ingrandita, corredata di interviste alle famiglie, con le formali parole di conforto di qualche politico e magari, un anno dopo, la vicenda verrebbe ricordata come lutto nazionale. Si pensi anche ad un altro esempio, come la morte di un lontano parente che magari non abbiamo mai conosciuto e, pur non essendoci nulla che ci leghi a lui, ci sentiremo più vicini alla morte di questa persona rispetto a tutte le altre che accadono ogni giorno nel mondo. Questi esempi riflettono un comportamento sociale presente fin dall’antichità: dalla nascita della specie umana al giorno d’oggi si sono sempre creati dei gruppi di appartenenza, dei modi per comprendere la propria identità sociale. Verrebbe spontanea la domanda: cos’è l’identità sociale? Si tratta della concezione che un individuo ha di se stesso nella società o, più semplicemente, di cosa si è all’interno di un gruppo. La nostra intera esistenza si basa su gruppi: la nostra famiglia, la nostra classe, la nostra scuola, il nostro stato, le nostre idee politiche e religiose. Quasi ogni cosa che facciamo è per uno dei gruppi di cui facciamo parte. Negli anni settanta Henri Tajfel, noto psicologo britannico, eseguì un esperimento: preso un campione di persone, lo divise in due gruppi formati in modo totalmente casuale e notò che queste, dopo breve tempo, avevano iniziato non solo ad identificarsi con le altre persone del gruppo, ma anche a confrontarsi con quelle dell’altro gruppo ritenendosi “migliori”, nonostante in realtà non ci fosse nulla a differenziarli dagli altri. L’uomo è dunque un animale sociale e necessita di un gruppo a cui appartenere. Di conseguenza l’impatto di una notizia attraverso i mass media può essere amplificato attraverso un processo di identificazione di un soggetto ad un gruppo di appartenenza; in tal modo il peso di un’informazione può sembrarci più rilevante di quanto realmente essa sia.

Sonia Nannavecchia - 14 -


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CI SONO BAMBINI E BAMBINI?

La storia della fecondazione artificiale in Italia è davvero recente. Nel 2004 la legge n. 40 del 19 febbraio ha regolamentato questa pratica medica, ma ha vietato, tra altre pratiche quali la clonazione e la commercializzazione di embrioni, la fecondazione eterologa. A differenza di quella omologa, nell’eterologa uno dei due tipi di cellule, di solito quelle maschili, appartengono a una terza persona esterna alla coppia che alleverà il bambino. Nel 2005 si è tenuta in Italia una consultazione referendaria articolata in quattro referendum per abrogare alcuni punti della legge, ma l’affluenza alle urne del 25,9% non ha permesso di raggiungere il quorum. Il 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, ora sono le singole regioni a decidere se renderla lecita o meno. Attualmente mancano all’appello per l’approvazione solamente Trentino, Molise, Campania e Calabria mentre Valle d’Aosta, Sardegna, Basilicata, Lazio e Sicilia hanno dato l’annuncio del via libera, ma non lo hanno ancora attuato. Non passano neanche 12 ore dalla decisione della Corte che si scatenano le polemiche. Le critiche maggiori arrivano dal mondo cattolico dove si parla di “ultima follia italiana” e “mercato della vita”; in un editoriale del quotidiano Avvenire la scienziata e bioeticista Assuntina Morresi scrive che “anche nel nostro Paese si affaccia purtroppo una società in cui persino il legame più profondo che gli esseri umani conoscono, quello fra una madre e suo figlio, viene frammentato, sminuzzato nelle sue componenti ‘genetiche’, ‘gestazionali’ e ‘sociali’, e niente lo potrà sostituire nella sua pienezza”. E ancora il parere del cardinale Ruini: “Non può esistere un “diritto al figlio”, perché il figlio è una persona”. La domanda che mi sorge è: perché non può

esserci un “diritto al figlio”? Se un figlio è il naturale compimento dell’amore di due persone, perché alle coppie non può essere garantito il diritto di poter scegliere di ricorrere anche alla fecondazione eterologa se la donna non riesce a rimanere incinta naturalmente? Un bambino non nascerà diverso perché è stato concepito con l’aiuto della scienza, non sarà una persona meno dei suoi amici, i suoi genitori lo ameranno ugualmente, se non di più. Perché si deve credere che tra una madre, un padre e un figlio ci sarà un legame “frammentato”? L’amore della famiglia va al di là della genetica; esattamente come un bambino adottato chiama mamma e papà le persone che lo hanno cresciuto, così farà un bambino nato da gameti diversi da quelli dei genitori. Infine la Corte Costituzionale viene criticata ancora da una articolo su Avvenire che definisce indebito l’intervento della Corte poiché questo è un problema etico e politico, non giuridico. Sono pienamente d’accordo con chi sostiene che urge una legge per decidere quali pratiche legalizzare e quali no, per analizzare i differenti casi che possono presentarsi, per garantire diritti, tutele e controlli. Purtroppo nel panorama politico attuale non sembra che la reazione sarà abbastanza veloce e sorge il timore che la politica non voglia prendere una posizione per non scontentare nessuna delle differenti parti: cattolici, progressisti, conservatori... Quindi la Corte Costituzionale è intervenuta legittimamente dove il governo italiano allungava troppo i tempi e non concludeva assolutamente nulla. Ora la speranza è che questa legge arrivi presto, senza veti o dogmi, una legge che garantisca il diritto a scegliere.

Silvia Ricevuti - 15 -


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EREDITARIETA’EPIGENETICA

“Epigenetica”, ovvero, “lo studio dei cambiamenti dell’espressione genetica ereditabili che non sono dovuti a mutazioni nella sequenza del DNA”. Sappiamo che molti caratteri di un futuro individuo possono essere riconoscibili all’interno del suo DNA e in particolare nei geni che ordinano le proteine, siccome quest’ultime costituiscono le componenti che permettono alle cellule di funzionare. Ma negli ultimi vent’anni, i genetisti hanno quasi concretizzato l’idea che l’ambiente e lo stile di vita possano influenzare questo processo. Come è possibile tutto ciò? La risposta è molto semplice: l’informazione epigenetica, come il DNA, risiede nei cromosomi e regola le funzioni delle cellula, ma appare quasi certamente che questa, a differenza del DNA, reagisca all’ambiente. In un articolo su “Le Scienze” curato dal prof. re Michael K. Skinner¹, si riporta il risultato di alcuni studi condotti in modelli sperimentali (ratti e topi) proprio sull’eredità epigenetica che hanno rilevato come alcuni inquinanti –composti chimici, carburanti, plastiche comuni ecc.- o fattori di stress, abbiano indotto alterazioni epigenetiche che causano successive problematiche patologiche e riproduttive senza modificare la sequenza del DNA degli animali. È inoltre emerso che questi caratteri mutati risiedano anche all’interno delle cellule riproduttive, causando così mutazioni nelle generazioni successive. L’importanza di questi studi consiste nel verificare come negli esseri umani si manifestino tali mutazioni, dal momento che alcuni tratti umani sono condivisi anche con altri mammiferi: verificando in futuro con più certezza questo fenomeno, i rischi per la salute potrebbero risultare molto più evidenti. Parte delle patologie maggiormente diffuse, come l’obesità, sarebbero perciò causate dal contatto, da parte di genitori o nonni, con sostanze inquinanti, ma non solo. Si potrebbe infatti giungere alla conferma che la nostra salute, e di conseguenza anche quella dei nostri futuri figli, potrebbero venir modificate da fattori a cui è stata esposta la nostra bisnonna durante la gravidanza. L’ereditarietà, insomma, non è solo un processo sorprendente che si manifesta all’interno dei geni, ma anche al loro esterno. ¹ M.K.Skinner, Un nuovo tipo di ereditarietà, in “Le Scienze”, n 554, pp. 56-61, ottobre 2014.

Valentina Patassini

CAMERINI VIRTUALI: COSA SONO?

Di fronte ad una società che avanza tecnologicamente, di certo lo shopping non poteva restare indietro: a tenerlo al passo coi tempi ha pensato la California, con l’invenzione del camerino virtuale, o Swivel. Si tratta di un software dotato di una piccola webcam e di uno schermo-specchio, dal quale è possibile scegliere i capi di abbigliamento da indossare e consultare in tempo reale quali colori o taglie sono disponibili; grazie ad una fotografia digitale del cliente o dopo aver segnalato le proprie misure corporee (collo, braccia, torace, vita e tronco), il dispositivo sarà in grado di mostrare attraverso l’innovativo schermo come il capo d’abbigliamento “sta” su di noi, proprio come se lo stessimo provando realmente. Certo, nulla a che vedere con la sensazione dei tessuti sulla pelle, dei negozi affollati o dei consigli delle commesse, ma se abbiamo poco tempo a disposizione –come ormai accade spesso, soprattutto nella nostra frenetica Milano- o se acquistiamo da internet, quale miglior soluzione per risparmiare minuti preziosi? Come se non bastasse, il software acquisisce le caratteristiche di un social network: dopo aver “provato” gli indumenti con lo schermo virtuale, il cliente può condividere le sue scelte di capi con gli amici, facendo trasformare la sua immagine in un “avatar” all’interno della community dello shopping gestita dal negozio in questione. Tenetevi forti: il primo negozio attrezzato nella nostra città sarà l’OVS di via Dante, a partire dal 29 Maggio, accorrete a visitarlo!

Beatrice D’Anna

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Buongiorno! Forse qualcuno si starà chiedendo cosa sia Space Jerk. Space Jerk, in italiano “imbecille spaziale”, è una rubrica a cadenza mensile che nasce dalla mia passione verso tutto ciò che riguardi lo spazio. In questa, ogni mese, verrà trattato l’argomento, a mio giudizio, più significativo. Per quanto riguarda questo mese, devo ammettere che è stato difficile scegliere la scoperta, o l’avvenimento, da esporre: c’era davvero l’imbarazzo della scelta! Però, dopo un po’, ho deciso di parlare di un avvenimento, che spero sia a tutti ben noto: il lancio della prima donna italiana astronauta, Samantha Cristoforetti. Perché? Beh, i motivi della scelta sono tanti, ma il più importante è, senza dubbio, il fatto che Samantha Cristoforetti rappresenti un esempio. Ma un esempio per chi? Per tutti, secondo me. Per tutti coloro che ambiscono a qualcosa di grande, per tutti coloro che hanno un sogno, e per quelli che, quando vedono nel cielo la Luna piena, si fermano a guardarla, indipendentemente dal ritardo, dall’autobus che arriva, e dal ritmo incalzante al quale siamo sottoposti noi, che, purtroppo, abbiamo ancora i piedi per terra. Ma veniamo alle notizie, dopo questa lunga introduzione. Samantha Cristoforetti nasce nell’Aprile del 1977 a Milano, ma si sposta spesso: compie gli studi superiori dapprima a Bolzano, e quindi a Trento. Si laurea in ingegneria meccanica, con specializzazione in propulsione spaziale e strutture leggere, a Monaco. Tuttavia il suo percorso di studi tocca anche l’Ecole Nationale Supérieure de l’Aéreonautique et de l’Espace di Tolosa, e la Mendeleev Universty Of Chemical Technologies, dove scrive, dopo una permanenza di dieci mesi, una tesi sui propellenti solidi per razzi. Durante il percorso di studi, ha acquisito una completa padronanza di molte lingue, e in particolare il russo, la cui conoscenza é fondamentale per le comunicazioni tra l’ISS e la Terra. “Forse alcuni astronauti direbbero che una cosa più difficile dell’allenamento, per loro, è stata imparare la lingua russa. Da questo punto di vista avevo il vantaggio di conoscere la lingua prima di diventare astronauta”. Dice Samantha, sorridendo. Nel 2001 si è iscritta all’Accademia di Pozzuoli, entrando a far parte dell’aereonautica militare. Nel 2005 viene inviata alla scuola di volo Euro-NATO Joint Jet Pilot Training Euro, dove consegue il suo brevetto di pilota militare. Poi, nel 2009, venne selezionata dall’ESA (European Space Agency) e, infine, dopo due anni di addestramento e studio, venne assegnata, nel Luglio del 2012, alla missione ISS expetidion 42/43 “Futura”. Lo scopo di questa missione è quello di studiare gli effetti dell’assenza di gravità sul corpo umano, dalle ossa, alla circolazione del sangue, in particolare quella cerebrale, ma anche di provare a utilizzare una stampante tridimensionale in assenza di gravità. Il 23 Novembre 2014 alle ore 22.01, dal cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan, Samantha è partita a bordo del velivolo Soyuz TMA-15M, con gli astronauti Anton Shkaplerov, Russo, e Terry W. Virts, Americano, ed è arrivata sull’ISS alle ore 03:48. Ora è lì in alto, a quasi quattrocentocinquanta chilometri da terra, e viaggia alla velocità di ventisettemilaseicento chilometri all’ora, quasi sette chilometri al secondo, cosa che la porta a vedere quindici albe e tramonti ogni giorno. La missione si protrarrà per sei mesi: Samantha tornerà con i piedi per terra a Marzo, nel 2015. Fino ad allora, possiamo comunicare con lei e porle delle domande grazie al sito Avamposto 42, oppure, per vederla, ci basterà alzare lo sguardo, sperando che l’ISS ci stia sorvolando.

Konrad Borrelli

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L’URLO AL CINEMA di Luca Murgia

INTERSTELLAR

DUE GIORNI, UNA NOTTE

Credo di non aver mai atteso oltre un anno l’uscita di un film; quando però si parla di un progetto di Jonathan e Christopher Nolan si sa che sarà in grado di stupire tutti o perlomeno di far riflettere. È così: la sceneggiatura del primo unita alla sapienza registica del secondo crea un viaggio nello spazio profondo mai così affascinante. Anche qui Nolan è accompagnato da un cast di prim’ordine, su cui spicca Matthew McConaughey, qui nel ruolo di un ex pilota della NASA che in un futuro non precisato si ritroverà a guidare una spedizione con l’intento di trovare una nuova casa per l’umanità, dato che la Terra è scossa da cambiamenti climatici che non permettono la coltivazione. Per fare ciò McConaughey e compagni si “immergeranno” in un wormhole (reso il più verosimile possibile grazie alle teorie del fisico Kip Thorne) creato da esseri misteriosi che vanno oltre la nostra comprensione. Ma non c’è solo questo in Interstellar: anzi, il vero perno principale su cui ruota il film è il rapporto del protagonista con la figlia Murphy (chiamata proprio come la legge secondo cui tutto ciò che potrà succedere accadrà), un rapporto che non potrà che svilupparsi a distanza data la partenza del padre, ma che rimane comunque delicato e mai banale. Il tempo, fattore su cui Nolan gioca parecchio in modo sagace tirandolo e allungandolo a suo piacimento, avrà effetti molto diversi su di loro, ma allo stesso tempo li manterrà più uniti di quanto si possa immaginare. Dal lato tecnico, Nolan ricrea atmosfere kubrickiane nelle sue inquadrature, omaggiando sia 2001: Odissea nello spazio che altre space-opera mantenendo però il suo stile; encomiabile inoltre la sua volontà di usare pochissima CGI, ricorrendo a essa in modo non invasivo e creando ambientazioni che diano un senso di tangibilità allo spettatore anziché finti green screen. Nota di merito anche alle musiche di Hans Zimmer che rendono questo non solo un film, ma un’esperienza cinematografica come poche se ne potranno mai avere.

Non si può negare: in Europa, l’unico cinema che riesce ogni anno a creare prodotti di qualità è quello franco-belga. Merito di registi capaci come i fratelli Dardenne, che hanno scritto e diretto in questo caso un film non tanto bello o profondo, quanto attuale. La protagonista, Sandra, si ritrova senza lavoro poiché il proprietario della fabbrica in cui lavora ha offerto ai colleghi un bonus di 1000 euro in cambio del suo licenziamento, dato che è stata assente per un periodo di cura dalla depressione e si sono riorganizzati senza di lei. Il referendum deve però essere rifatto, così lei dovrà nel weekend precedente alla votazione (due giorni e una notte, appunto) convincere i colleghi a farla rimanere. In un ruolo così delicato è stata scelta Marion Cotillard, che si mostra nel suo lato più pulito e fragile e ci fa compiere un viaggio nella situazione di crisi che colpisce tutti i lavoratori. Il porta a porta compiuto da Sandra si rivela un saliscendi continuo di emozioni, portandoci dalle dimostrazioni di solidarietà di alcuni ad altre di minor altruismo. Non esiste però malvagità nel popolo di lavoratori: per quanto sembrino meschine alcune decisioni, non ci sentiamo di condannarle perché sono dettate dai bisogni più vari, come mantenere la famiglia e la casa oppure solo sentirsi gratificati nel proprio lavoro; alcuni dei personaggi mostrati sono anche condizionati dalla paura dell’atavico confronto datori-lavoratori. I Dardenne insomma non creano stereotipi da amare o odiare per come sono: creano delle persone con un passato e una situazione incerta che dettano le loro azioni. Anche Sandra non cerca pietà da nessuno, neanche dallo spettatore; non è sempre lineare nelle sue scelte e il suo turbamento emotivo è reso benissimo dalla grande espressività della Cotillard. Da apprezzare inoltre il finale assolutamente realistico e che si discosta da buonismi o facili soluzioni hollywoodiane. Un altro esempio della scuola europea che vale e si fa sentire.

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Letizia Doro, Arianne Roma - 19 -

L’ANGOLO DEL G RDO

Questo mese il Gordo vi porta in... Thailandia! È stato molto difficile per lui scegliere quale tipo di cucina sperimentare questa volta, ha sfogliato giornali, visitato siti e chiesto opinioni ma alla fine ce l’ha fatta. La particolarità della cucina di questo paese del sud-est asiatico è mischiare diversi elementi per dare enfasi a piatti davvero leggeri. Il cibo thailandese è conosciuto per il suo bilanciamento dei quattro sapori fondamentali per ogni piatto o per il pasto in generale: aspro, dolce, salato e amaro, ma ciò che caratterizza questa cucina, ma l’ingrediente che ha contribuito a renderla famosa in tutto il mondo, è senz’altro il peperoncino. Moltissimi piatti thai sono infatti davvero piccanti! Estremamente affamato, il Gordo è partito alla ricerca del ristorante orientale, partendo da Piazza VI Febbraio ha preso il bus 37, percorrendo alcune fermate fino a via Procaccini-via Messina Successivamente ha percorso tutta via Messina, trovandosi di fronte la sua terra promessa: Thai Square, in via Cenisio 6. Entrando nel locale il Gordo è stato gentilmente accolto da una ragazza thailandese, che poi è stata anche la sua cameriera. L’atmosfera orientale si percepisce già dal primo impatto: le sculture tipiche, la luce soffusa, i colori scuri e dorati dell’arredamento e i quadri caratteristici rendono questo grazioso ristorante un ottimo diversivo alla cucina italiana. Sfoglia quindi il menù e nota che il posto offre ben cinque proposte, composte da primo, secondo, acqua e caffè. Ognuno a 12 euro. Il Gordo decide quindi di ordinare, prendendo spiedini di pollo con salsa piccante alle arachidi e un piatto assai abbondante di tagliatelle di riso saltate con gamberi, verdura, nocciole tritate e uovo; il tutto in salsa agrodolce. Gli spiedini sono buonissimi e il contrasto con la salsa piccante è molto particolare e originale, riporta ai classici sapori thailandesi; lo stesso vale per le tagliatelle di riso, che non hanno nulla da invidiare (o quasi) a quelle italiane. Le porzioni sono abbondanti e questo invitante particolare piace molto al Gordo che ha sempre fame e da Thai Square è riuscito a saziare il suo appetito famelico. Ha terminato il suo pranzo con un caffè. Il totale è di 12 euro. Facciamo quindi un bilancio generale: buon cibo etnico, provare cose nuove e diverse è bello e ribalta la nostra routine. Pranzo decisamente economico! Solo 12 euro per un pasto all’insegna dei sapori e delle tradizioni orientali. Gentilezza: molte volte manca in tanti locali, mentre in questo ristorante sono tutti molto educati. Il consiglio è di andarci a cena, la scelta di piatti è più ampia, si parte dagli antipasti continuando con zuppe, carne, piatti vegetariani, bevande tipiche e dolci etnici, insomma si può comporre il proprio menù liberamente, anche se ad un prezzo leggermente più alto. Sul sito www.thaisquaremilano.com è possibile visualizzare tutte le pietanze offerte dal ristorante e vedere con i propri occhi la location. Anche sulla pagina Facebook è possibile visualizzare le ottime recensioni fatte al locale. Infine il Gordo spera di far venire l’acquolina in bocca a tutti voi con questa sua nuova esperienza thailandese.


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OLTRE ALLA MUSICA: TALKING HEADS

Era il 1974, l’America aveva appena ritirato le sue truppe dal Vietnam e nell’università di belle arti e design del Providence (Rhode Island) Rhode Island of Design si incontravano David Byrne, Chris Frantz e Tina Weymout; rispettivamente la voce, la batteria e il basso dei Talking Heads, uno tra i gruppi che hanno fatto la storia della musica. Scelsero poi Jerry Harrison come chitarrista, e non cambiarono più nulla fino allo scioglimento, avvenuto nel 1991. I Talking Heads furono il ponte tra la New Wave e la No Wave: la prima è un genere musicale influenzato dal punk (“...termine generico dell’industria discografica utilizzato per definire qualunque musicista che avesse influenze punk, senza però fare musica punk propriamente detta.” – Charles Shaar Murray a proposito dei Boomtown Rats); la seconda, la No Wave, è la ricerca dello sgradevole, dell’atonalità della voce e della cacofonia nell’accompagnamento. In poche parole, i Talking Heads furono la rivoluzione della musica di quel periodo. Ma, prima ancora, furono il genio assoluto; quello che solo pochi possono vantare. Il loro percorso musicale ebbe inizio nel 1977 con l’album TALKINGHEADS 77, che riscosse subito un gran successo grazie ad una canzone in particolare: “Psycho Killer”. Unica nel suo genere, con il bridge (la parte prima del ritornello) cantato in francese accompagnato da uno dei migliori lavori di basso nella storia del rock, possiede due versioni: quella più famosa, incisa sul lato A, e l’altra, la versione acustica e meno spiritata, quasi nascosta sul

lato B. Per molti la canzone è ispirata al famoso thriller firmato Alfred Hitchcock “Psycho”. Stando alle dichiarazioni di Byrne, invece, il testo si ispirerebbe ad un suo sogno in cui Alice Cooper si lascia andare in un ballo alla Randy Newman; mentre il ritornello omaggia Otis Redding e la sua Fa-Fa-Fa-Fa-Fa (Sad Song). Questa canzone sarà riletta da svariati artisti e ne influenzerà altrettanti, uno tra tutti: Ice-T. I testi ironici e cerebrali e la musica corrosiva dei Talking Heads fecero di loro un gruppo culto del rock; tant’è che Paolo Sorrentino si è ispirato ad un loro brano per il titolo del suo recente film “This Must Be The Place” (2011). La canzone, col medesimo titolo, secondo quanto detto da Byrne è l’unica con l’amore come protagonista, e quasi la odia per questo. Aggiungerà infatti un breve sottotitolo: “naive melody” (“melodia ingenua”). E’ un inno al vivere e ai sentimenti. Parla di quanto sia ingiusta la vita, perché hai sempre tanti sogni ma la realtà è un’altra, e alcuni, molti, non li vedrai mai realizzati. Parla della ricerca di un posto, “the place”, in cui poter stare assieme alla persona che ami. Quella che hai anche odiato per averti sconvolto la vita e per averti reso vulnerabile, ma di cui non potresti fare a meno. Parla di tutte le incertezze, molte, forse troppe. Ma una cosa invece è certa: la loro musica continua a vivere e lo farà per sempre.

Davide Almiento

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LE DUE POESIE DI ASJA

Chi si rifugia tra le ombre della notte, senza paura di giudizi né di stereotipi, chi decide di uscire di casa solo in quell’istante, dove tutti siamo uguali, indifesi, vulnerabili, pronti ad ascoltare e ad essere ascoltati, consumando nei minuti che avanzano le storie più importanti, lasciando che siano queste a consumarci, mentre negli occhi dell’altro troviamo la comprensione e il conforto di chi ha perso tanto, ma ha deciso di voler riprendere tutto.

Ho trovato me stesso sulla soglia della porta mi guardava sorrideva leggermente era il lato di me che avevo cercato di nascondere ma non ci ero riuscito come un terribile incubo rimaneva in me questa immagine

ho trovato me stesso e gli ho fatto domande, continuamente eppure non rispondeva non diceva niente ho trovato me stesso e gli ho teso la mia mano ma non l’ha stretta aveva paura delle conseguenze non ci siamo conosciuti non ci siamo visti come eravamo effettivamente ho trovato me stesso ho chiuso la porta con gli occhi velati di tristezza e di stupore di chi non si conosce e pensa di essere chi non è così mi son chiesto che maschera indosso?

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L’ANGOLO DEL G RDO

Per chi ama il cibo fresco e genuino ma è cauto nelle spese, questo mese il Gordo vi porta da Natural Break, un particolare locale che propone un pasto tutto naturale ma anche originale. Tutti sanno quanta sia la fame dopo una lunga giornata a scuola e per questo motivo Il Gordo, uno di noi, ha preso il tram 1 dirigendosi verso via Boccaccio 15, con l’intento di saziare il suo appetito (è anche vicino alla stazione Cadorna). Natural Break nasce nel 2005 e “fa della sana bontà la sua arma vincente”. Il Gordo ha scelto proprio questo posto perché ha un’atmosfera fresca ed è perfetto per i ragazzi che sono sempre di fretta. Entrando in questo grazioso posticino si nota subito l’atmosfera vivace e colorata, grazie anche all’arredamento, con gigantografie di insalate e piadine. Il Gordo guardandosi intorno, ha notato subito un grande riquadro che occupa una parete, con dentro illustrate le pietanze che offre Natural Break. Dando un’occhiata alle proposte elencate ha notato crepes salate o dolci, piadine, frullati, centrifugati, yogurt con frutta e macedonie per tutti gusti e molto altro ancora. Non riuscendo più a frenare la sua forchetta, ha deciso quindi di ordinare: 2 crepes, una con farcita con scamorza, rucola e speck, l’altra con prosciutto crudo, rucola e patè di olive. Davvero ottime e saporite. Desiderando un abbondante contorno, il Gordo ha optato per una porzione gigantesca di insalata aromatica che comprendeva, oltre al songino, chicchi di melograno, menta, semi di soia, mais e pomodori. Non potevano mancare le specialità del locale: due deliziosi frullati; uno con ananas, pompelmo rosa e pera, l’altro con un mix di agrumi. In un solo sorso era percepibile la freschezza con cui questi erano preparati. Per finire in bellezza, il dessert era d’obbligo: uno yogurt artigianale con frutta fresca aggiunta al momento. Il tutto per un totale di 27 euro. Ottima la qualità degli ingredienti con cui il tutto è preparato. Ma partiamo con i dati: il locale è aperta dal lunedì al sabato, dalle ore 9:00 alle 18:00. C’è anche la possibilità di ordinare il pranzo o lo spuntino a domicilio (anche su internet!). Il sito web è ww.naturalbreak.it, visitatelo per maggiori informazioni. Il Gordo ha valutato il suo abbondante pranzo e ha concluso che gli abbinamenti dei piatti e la qualità del cibo erano ottimi e interessanti. Guardando con occhio critico, lo staff non è esattamente accogliente come si sarebbe immaginato, essendo un posto di gran passaggio la sensazione provata è poco calorosa e l’atmosfera è un po’ impersonale. Il Gordo non è riuscito quindi a scambiare due chiacchiere con il proprietario o con il responsabile del locale per farsi un’opinione più completa dell’idea che ha portato a questo particolare posto. Detto ciò, è un particolare trascurabile. La cosa più importante è mangiare bene e tanto, soprattutto se è sano e in questo caso “light” è la parola d’ordine.

Letizia Doro Ludovica Romeo Zingarelli

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OROSCOPO di Silvia Butti e Arianne Roma

CAPRICORNO SEGNO DEL MESE (22 DICEMBRE-20 GENNAIO)

Un’ondata di energie vi travolgerà… magari avrete anche voglia di fare educazione fisica! In classe volete sempre essere notati e non va molto bene in questo periodo poiché i prof. potrebbero non darvi tregua con le interrogazioni. L’amore avrà il suo posto ma solo se frequentate posti nuovi; quindi, per esempio, partecipate a dei gruppi di studio! (non per studiare… si intenda)

SEGNI DI TERRA (TORO, VERGINE & CAPRICORNO)

Questo periodo vi porta via soldi e tempo, quindi all’intervallo ripassate per l’interrogazione invece di passare i vostri preziosi 15 minuti in coda al bar! Tanto si sa che alla fine non riuscireste a prendere nulla per placare il vostro stomaco! L’amore vive una fase di conferme, anche se qualcuno che avete appena conosciuto non si rivelerà la persona che vi aspettavate. Torna prepotente la voglia di trasgressione, quindi cercate di non rispondere male alla prof di greco/latino… non ne sarebbe molto felice!

SEGNI D’ARIA (GEMELLI, BILANCIA & ACQUARIO) Siete più stanchi del solito, in effetti tutte quelle scale la mattina sono faticose! Dovete vivere il presente, non fare programmi a lungo periodo e cercare di arginare la vostra tendenza a litigare con la prima persona che la mattina vi saluta. Dovreste provare a stilare una lista di buoni propositi. State vicini alle persone a cui volete bene: non è il periodo giusto per le nuove conoscenze a causa del vostro nervosismo, quindi se non vi siete ancora fatti amico greco, siete nei guai! SEGNI D’ACQUA (CANCRO, SCORPIONE & PESCI) Arriveranno molti riconoscimenti da parte dei professori e dei genitori. Forse il vostro grande amore è tra una di quelle persone che avete conosciuto da poco o che non vedete spesso, quindi cercate di stringere amicizia con quel/la tipo/a che vedete alle riunioni, al bar o per i corridoi! Sarete baciati dalla fortuna, magari questo può aiutarvi per quel famoso compito di greco riguardante tutta la grammatica. Dovrete alleggerirvi di molte zavorre che vi portate dietro da ormai qualche mese. SEGNI DI FUOCO (ARIETE, LEONE & SAGITTARIO) La vostra caratteristica è quella di non lasciare niente ininterrotto e avere sempre qualcosa da dire. L’amore vive una fase di tormento. Avete tantissimi desideri da realizzare (tipo un 9 in latino… ma questo è proprio un sogno). Dovete impegnarvi molto se volete davvero raggiungere i vostri scopi, come ad esempio smaltire tutti i panini alla cotoletta che avete mangiato! L’amore non è il vostro primo pensiero ma gli incontri non mancheranno: insomma, troverete qualcuno disposto a prestarvi i soldi per le caramelle alle macchinette (nel pacchetto ci sono i coccodrilli BLUUU!!!)

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Prof: Ci sono due uomini che prendono un aperitivo. Il primo cerca di prendere un ’oliva con lo stuzzicadenti, ma non ci riesce; all ora prova il secondo e riesce ad infilzarla; allora il primo dice “Beh certo che ci sei riuscito... Si era sta ncata!” pere gazzi, dovete sa ra é ch er p , o “N ico!” turismo scolast che qui...c’è il

Ragazzi... Voi dovete imparare il MA TEMATICHESE

Fai

. taci!

acito.. T e m o c

lla: da Non temo più nu ita sulla quando sono fin qualunBacoca, posso dire lemi que cosa senza prob

Alunno:“Pro f posso anda re in bagno? Prof:”Ma co ” s’è che avete fatto nell’ora precedente d i scienze...l’a cqua? Perch se volete fa é cciamo una p iccola pausa idrica!” - 24 -


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