Paolo Spoladore
Vieni Via Riflessioni sul Vangelo festivi anno C
INTRODUZIONE
Quando noi camminiamo, stiamo attenti a due cose, a dove mettiamo i piedi e se la strada che facciamo ci porta alla meta. Quando camminiamo, la mente è protesa ovviamente verso la meta e a tutti i segnali utili per avvicinarsi alla meta e non sbagliare strada. Quando camminiamo, diamo per scontata la realtà più importante e non ci accorgiamo che ancora prima della meta e dello scopo del nostro camminare c’è il camminare stesso. Camminare è il viaggio e la meta insieme. È il camminare che fa la via, che segna il sentiero, che traccia la strada. È il camminare che ha fatto le strade, non la meta, anche se la mente non sarà mai d’accordo con questo, è scontato. Le mete possono cambiare, le strade possono cambiare, ma il camminare resta ed è l’unica cosa che rimane dentro, oltre la meta e oltre lo scopo del camminare stesso. Certo che per camminare ci vuole una meta, ma la meta non è importante come il camminare. Una meta non è nulla se non puoi camminare, ma se puoi camminare, camminare è una gran ricchezza, a volte anche senza meta. Camminando si impara a orientarsi, a scegliere i percorsi, a stabilire dei ritmi, a scegliere la compagnia. È camminando che sperimenti la via, che conosci te stesso, che capisci l’universo. È il camminare che fa spazio alla via dentro di noi, che allarga gli orizzonti e acuisce il senso dell’orientamento.
A camminare si impara camminando e in verità non si cammina mai su una strada, ma si cammina dentro la strada, si percorre la via, e camminando, la via percorre noi. Ecco cos’è camminare una via, è il modo più bello ed efficace perché la via percorra noi. Per la mente è normale camminare verso una meta, e senza meta si fiacca e perde forza e intenzione. In qualche caso per la mente non vedere più la meta significa mollare, cedere, disperarsi. Per la mente e il corpo sfiniti e affaticati in ogni modo, dopo giorni e giorni di durissimo camminare in terre impervie e pericolose, non vedere più la meta, pensando addirittura che ci si è persi, significa fermarsi, gettare la spugna. È storia conosciuta di molti esploratori che, pensando di essersi persi, si sono lasciati morire a pochi chilometri dalla meta. Se la mente non vede la meta, perde il controllo e la forza, ma è pericoloso. Per la mente, la meta è tutto, ma la meta distrae dal presente, e concentra sul futuro, crea attese, delusioni, tensioni. Ma per lo spirito è diverso, per lo spirito è fondamentale non perdere la concentrazione sul presente, e il presente quando si cammina è il camminare stesso. La chiamano notte dello spirito, quando anche grandi santi e figure spirituali straordinarie sono entrati in confusione, in uno stato interiore dove anche la fede sembra cedere il passo al dubbio e alla paura: in verità non è la notte dello spirito, ma è la notte della mente, è quando Dio chiede allo spirito e attraverso lo spirito alla mente di cambiare meta e riferimenti. Non esiste la notte dello spirito, lo spirito di un santo non può perdere la luce di Dio, ma la sua mente sì. Anche nella migliore buona fede, qualsiasi sia la meta che anche il tuo santo cuore si può prefiggere, non è e non sarà mai completamente la meta di Dio, quello che Dio ha veramente in cuore per te e attraverso di te. Dio è oltre e con pazienza te lo farà capire. Ecco perché è fondamentale il camminare, oltre ogni meta e sicurezza.
La Via è camminare, non fermarsi mai, non cedere, non perdere la fede, non mollare. Se la meta è più importante del camminare, appena la meta non è chiara o si fa lontana o non si vede più, cede anche il camminare, ma se è il camminare che diventa la Via, allora nessuno può fermarti. Il Vangelo ci racconta spesso di questi due tipi di umanità. Una è l’umanità dalle grandi mete certe e sacre, ma dal camminare irrisorio, fiacco, immobile, pigro, spinto solo da interessi e convenzioni. L’altra umanità è quella dalle mete perse, povere, tradite, confuse, ma che cammina instancabilmente, che non molla mai, che non si ferma davanti a nulla, che non recede davanti a nessuno. Questa è l’umanità che si inginocchia davanti a Gesù, che non smette di implorare, che si affatica, si piega, ma non si deprime, non brontola, non si spezza. È l’umanità che magari senza meta e nel peccato, ma sale sul sicomoro, si inginocchia davanti a Dio per amore di un servo, entra prostituta in una casa dabbene ed esce redenta e santificata. È l’umanità di Paolo di Tarso e di tutti i santi ai quali è cambiata la meta, non la forza e la determinazione del camminare. La via non è solo una via, ma è il camminare stesso; smettere di camminare, la più grande tentazione. Gesù non propone solo una via, ma propone se stesso come la Via, l’unica Via dove camminare. Perché Gesù è la Via, anzi di più, Gesù è il camminare, il camminare di Dio verso l’uomo ed è l’Incarnazione, ma è anche il camminare dell’uomo verso Dio, ed è la Redenzione. Vieni Via, che vogliamo camminare.
ASCENSIONE DEL SIGNORE At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28;10,19-23; Lc 24,46-53 46
E (Gesù) disse loro: Così è stato scritto che il Cristo avrebbe sofferto e il terzo giorno sarebbe risorto dai morti, 47 e sarebbe stata annunciata nel suo nome a tutte le genti la conversione per la remissione dei peccati cominciando da Gerusalemme. 48 Voi siete testimoni di queste cose. 49 Ed ecco io mando la promessa del Padre mio su voi; ma voi restate in città finché non sarete vestiti dall’alto di potenza. 50 Poi li condusse fuori verso Betania, e alzate le sue mani li benedisse. 51 Ed avvenne che nel benedirli si separò da loro ed era portato in su nel cielo. 52 Ed essi dopo essersi prostrati a lui, ritornarono a Gerusalemme con grande gioia 53 ed erano di continuo nel tempio benedicendo Dio.
Arrotola Si arrotola sui libri per vestirsi di cultura. Si arrotola tra le chiacchiere per avere sempre qualcosa da dire. Si arrotola tra i pregiudizi per farsi un’opinione. Si arrotola dentro l’armadio per vestirsi. Si arrotola dentro le stravaganze d’ogni tipo per essere originale. La mente si arrotola. Si arrotola dovunque e comunque. Su se stessa, dentro ideologie, attraverso religioni, lungo principi e convinzioni. Si arrotola su umiliazioni, sensi di colpa, ferite, insulti,
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sconfitte, insuccessi, ma anche su elogi, successi, lusinghe, vittorie, trionfi. Si arrotola e si ammanta di se stessa e di tutto ciò che le altre menti attorno desiderano, si aspettano, cercano, attendono. La mente si arrotola e arrotolandosi si veste di ciò in cui si arrotola, e può essere tutto e il contrario di tutto. La mente si riveste di tutte le debolezze possibili e poi le chiama qualità. Si riveste di tutte le schiavitù possibili e poi le chiama nuove possibilità. Si riveste di tutte le porcherie possibili e poi le chiama virtù. Si riveste di ogni inganno che poi chiama diritti. La mente si arrotola, e non le basta niente. Le basta poco sale sulla minestra della sera per perdere il senso della gratitudine, alzare la voce, perdere la serenità, vedere tutto nero. La mente si arrotola sul niente ma con tempi e spazi simili solo alle misure cosmiche. È capace di arrotolarsi per decenni su una parola detta, una promessa, una calunnia, un giudizio, un’accusa. È capace di arrotolarsi per un tempo incalcolabile su un solo fallimento, un gesto disatteso, un ricatto subito. Può bastare una parola detta male in un istante, dopo decenni di vita matrimoniale, per estendere quel piccolo danno in uno spazio siderale che prende tutta la vita e tutto il cosmo, devastare ogni pace, rallentare ogni attività, chiudere ogni rapporto. E finché si arrotola, non molla. Finché si arrotola dentro una preoccupazione, un desiderio, una vendetta, una speranza, non molla, non molla un attimo. Così facendo si arrotola su se stessa e si veste di se stessa fino allo sfinimento, fino a creare un vortice in cui lei stessa viene fagocitata. Poi, saziata a morte di se stessa, esplode e impazzisce. Ma non è di questo rivestimento mentale che la nostra persona ha bisogno per vivere ed essere felice.
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La nostra persona si deve rivestire sì, ma di ben altro, è un altro tipo di veste che serve alla persona umana per vivere felice. Ci vuole qualcosa di nobile e profumato per rendere dignitosamente lode al Signore della vita, di forte e resistente contro le persecuzioni del mondo, di scivoloso come l’olio contro gli attacchi degli attaccamenti, di coprente contro le intemperie delle preoccupazioni, ma di leggero per mantenere ogni agilità. Gesù sale al cielo. La tentazione degli apostoli e dei discepoli è quella di cominciare ad arrotolarsi nei ricordi, nei rimpianti o in facili entusiasmi dal fiato corto. Niente di tutto questo. Gesù chiede di non muovere un dito finché non saranno tutti rivestiti dall’alto di potenza. Ecco cosa vince l’arrotolarsi devastante della mente, il rivestirsi di potenza dall’alto attraverso l’effusione dello Spirito, lo Spirito che ci viene donato senza misura. Gesù, all’arrotolarsi consueto della mente per vestirsi di convinzioni e convenzioni, oppone con determinazione e chiarezza il rivestirsi di potenza dall’alto. Se c’è una cosa in cui la nostra mente può restare fissa e inamovibile, determinata e decisa, giorno e notte, e senza danno, è la preghiera incessante allo Spirito Consolatore per essere rivestiti in ogni secondo di vita della potenza dall’alto. In ginocchio, a braccia alzate, in silenzio nell’intimità, tra le lacrime di gioia o di dolore, in comunità, con il canto più emozionante, per strada in città, tra le vette o negli abissi, implorare lo Spirito senza mai stancarsi di essere rivestiti della potenza dall’alto. Questo cambia la vita per sempre.
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Pensiero della settimana Quando ti rivesti della potenza dall’alto, tra tutto il bene che ne deriva anche la tua schiena gioisce.
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