10 oAnno Inserto mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile a “Luce e Vita” n.10 del 26 febbraio 2012 Piazza Giovene 4 -70056 Molfetta www.lucevitagiovani.it lev.giovani@gmail.com
83 Comunico dunque sono di mariella cuocci...................3
La rivoluzione sostenibile di mauro capurso...................4
Cose che nessuno sa
ACAB
di maria teresa mirante.........6
di silvia ayroldi........................7
COME UNA FENICE annarita marrano
Le immagini dei palazzi in fiamme nella culla di Aristotele e Platone e il volto copertina di Monti sul Time sono le due facce di una stessa medaglia chiamata crisi. Da un lato la ribellione di un popolo umiliato dalle misure salva-crisi, dall’altro un politico mascherato da tecnico che ha tra le mani il futuro dell’Italia. Mentre ascoltavo le notizie al telegiornale, mi sono soffermata a pensare su quante volte io abbia letto,
ascoltato e pronunciato la parola crisi negli ultimi anni: al supermercato, al benzinaio, all’università, al cinema, al pub con gli amici, al pranzo di famiglia. È entrata nel linguaggio quotidiano, è diventata il nuovo slang delle giovani generazioni, è la scusa pronta per qualsiasi problema si presenti e qualsiasi sacrificio si chieda. continua a pag. 2
Grandi uomini di manlio minervini.................5
o finta C’é qualcuno che c’ha voglia di cambiare
di giusy tatulli.........................8
2 COME UNA FENICE continua da pag. 1
Se non c’è lavoro è perché c’è crisi; se la benzina rincara, è perché c’è crisi; se i negozi sono vuoti nonostante i saldi, è perché c’è crisi; se l’obesità infantile aumenta, è perché c’è maggior consumo di prodotti ipercalorici ma economici… indi, è perché c’è crisi. La decadenza si è trasformata in una poltrona comoda su cui restare tranquillamente ad aspettare che qualcosa cambi, che qualcuno trovi la soluzione giusta per salvarci. Mi viene in mente un passo di Einstein sulla crisi, passato in rete negli ultimi giorni: il famoso fisico dalla pettinatura inconfondibile descrive la crisi come un’occasione, un treno da non lasciarsi sfuggire. Dalla crisi nasce la creatività, la voglia di mettersi alla prova e di superare se stessi, nasce l’ansia di inventarsi nuovamente, di riprogrammarsi. Egli dice: “Parlare di crisi è creare movimento; adagiarsi su di essa vuol dire esaltare il conformismo.” Dal suo
punto di vista la crisi è quasi necessaria per stimolare una persona, un intero Paese a cambiare, a crescere. Nella nostra vita si susseguono diversi momenti critici: ciascuno di essi è un mattoncino per la nostra crescita, contribuisce a plasmare il nostro modo di essere, a creare il nostro io più profondo. Quando la crisi è viva e forte, appare tutto nero, irrisolvibile. È come quando si fa una brutta caduta: le ferite e i lividi fanno male e sono restii a guarire. Nonostante ciò, li curiamo con tanta dedizione: cerchiamo la pomata giusta, il cerotto miracoloso. Non sono tanto importanti il come ed il perché della caduta, quanto la voglia di guarire, di rialzarsi. Crisi significa movimento, ansia, ricerca, scoperta. Significa propendere verso il nuovo progresso. È nella crisi che possiamo far affiorare il meglio di noi; è con essa che possiamo affrontare le migliori sfide e sfuggire alla lenta agonia di una vita di routine, perché, come dice il celeberrimo scienziato, “La creatività nasce dall’ansia, come il giorno nasce dalla notte oscura.”
EDITORIALE
PARLA PURE ADRIANO! Per quale incomprensibile motivo, il popolo televisivo deve indignarsi per le censure contro Celentano mentre Celentano può permettersi di chiedere in diretta televisiva la chiusura di “Famiglia Cristiana” e “Avvenire”? La libertà di parola di alcuni non vale quanto quella di altri? Non moriremo per sentirti parlare in televisione, ma abbiamo difeso e difenderemo il tuo diritto a farlo. E non ci aspetteremo che tu sia deciso a morire per la stampa cattolica ma difendi il diritto di Tutti ad esprimersi attraverso tutti i media.
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IO COMUNICO DUNQUE SONO mariella cuocci In occasione della XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, il papa Benedetto XVI ha lanciato un forte messaggio a tutti i cristiani, giovani e non: “Nei nuovi contesti digitali e con le nuove forme di espressione, il cristiano è ancora una volta chiamato ad offrire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui”. Pensiamo alla diffusione e all’uso, che a volte si trasforma in abuso, dei social network come Facebook o Twitter. Pensiamo a come, di conseguenza, sia profondamente e drasticamente cambiato il modo di comunicare e di relazionarsi dei giovani e non solo. Spesso, per molti, tutto questo ha un’accezione estremamente negativa ed è comprensibile se pensiamo che da sempre il nuovo, il cambiamento spaventa ed inquieta. In realtà, i social network non sono di per sé pericolosi o condannabili, piuttosto è l’uso o l’abuso che se ne fa che dovrebbero far riflettere. In fondo Facebook potrebbe essere un modo come un altro per comunicare, esprimere e condividere i propri pensieri, le proprie preferenze, i propri gusti musicali e non solo, con gli amici, vicini o lontani che siano, in tempi rapidissimi. Se consideriamo, quindi, i social network come mezzi di comunicazione sociale, è chiaro che in chi ne fa uso è implicita una responsabilità,
AMICI PER SEMPRE carmela zaza
N
egli anni ’90 l’antropologo inglese Robin Dunbar ha elaborato la teoria del “cervello sociale” secondo cui l’uomo ha sviluppato la parte più evoluta del cervello (corteccia cerebrale) grazie alla sua propensione a formare legami sociali. Le sostanze che ci permettono di coltivare questi rapporti sono gli oppioidi endogeni, dei neurotrasmettitori prodotti dai neuroni che rendono quindi l’amicizia come una droga, di cui non si può fare a meno per stare bene. La scoperta dell’acqua calda, penseranno molti. Senza essere esperti di antropologia o neurobiologia, anche i bambini sanno che avere degli amici è bello: l’amicizia riempie la vita e i legami genuini e sinceri vanno spesso oltre l’amore, sono più stabili e duraturi, sono per sempre. Ciò che mi ha fatto però pensare riguardo a questi studi è il fatto che essi tolgono un po’ di poesia ai nostri sentimenti e alle nostre emozioni. Ne spostano il baricentro dal cuore al cervello, rendendo tutto un po’ più freddo ed egoistico, un bisogno biologico
quella di essere onesti, coerenti con se stessi e testimoni del proprio stile di vita e di pensiero. Il cristiano, più di tutti, dovrebbe distinguersi dalla massa, non in quanto essere superiore o speciale ma in quanto portatore di un dono superiore e speciale che è la fede in Gesù Cristo. Il suo distinguersi potrebbe manifestarsi in vari modi, da quelli più espliciti a quelli più impliciti: in fondo non è la forma che conta ma la sostanza. La realtà virtuale e quella reale sono, in fondo, le due facce della stessa medaglia e non dovremmo
demonizzare la prima ed esaltare la seconda, l’importante è rimanere se stessi sempre e comunque. Su Facebook, su Twitter, in giro con gli amici, a scuola, a lavoro dovremmo semplicemente comunicare ciò che siamo e per noi cristiani questo significa essere sempre pronti ad offrire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi.
piuttosto che un modo di essere. “Cercoamiciperchénevadellamiasopravvivenza” è in fondo qualcosa che limita la nostra capacità di amare i nostri amici, circoscrivendo i rapporti a spazi e tempi limitati e a necessità quotidiane. Se poi si aggiungono i numeri al lavoro dei neuroni, tutto sembra peggiorare. Alcuni studi infatti dimostrano che senza social network un individuo impiega circa il 40% del suo tempo riservato alle pubbliche relazioni a soli 5 amici; con facebook e altri spazi virtuali, il limite si alza a 150, limite che non può essere superato. A me però non importano i numeri. Chiedo scusa per la licenza poetica, ma preferisco coniugare la parola amicizia con il verbo Essere piuttosto che con il verbo Avere. L’amicizia non deve essere una necessità di ordine sociale, ma una specie di vocazione, una chiamata per tutti, un invito a percorrere un cammino di formazione personale che è molto difficile ma che aiuta a crescere e a conoscersi meglio, a migliorare. Gesù, nel vangelo di Giovanni, ci chiama amici dando a questo termine un significato altamente spirituale: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”. Amicizia come dono, quindi. Per dare gratuitamente senza voler ricevere nulla in cambio. Un ideale forse troppo elevato per noi. Ma sappiamo che solo tendendo
alla perfezione, l’uomo riesce a migliorare se stesso e la società. Smentiamo la scienza…ogni tanto sì può fare.
4 LA RIVOLUZIONE SOSTENIBILE manlio minervini Provate a viaggiare in automobile spingendo solo sull’acceleratore, avendo come unico riferimento il tachimetro e ignorando il livello di carburante, il valore della temperatura e le varie spie di allarme presenti: è, più o meno, quello che stiamo facendo con il nostro pianeta! In un periodo di crisi come questo, l’unico modo per ripartire sembra essere la crescita economica: tutti, in Italia, ma anche nel resto del mondo, puntano a rimettere in moto l’economia avendo l’occhio (miope) fisso solo su determinati parametri, che rappresentano indicatori della crescita economica a livello nazionale e globale. Questo scenario, però, non è sostenibile da un punto di vista fisico: pur non essendo esperto, è chiaro che le risorse della Terra sono finite e non è possibile crescere infinitamente; proseguendo di questo passo si potrebbe arrivare ad un punto di rottura. Si stanno avvertendo già ora le prime avvisaglie, come gli ormai noti effetti del riscaldamento globale e dell’esaurimento delle risorse petrolifere, per le quali stiamo già pagando prezzi elevati, ma la situazione non può che peggiorare. Il cambiamento che stiamo attraversando può anche definirsi epocale,
quindi, richiede una rivisitazione altrettanto epocale degli obiettivi dell’uomo. Non è più possibile perseguire politiche di espansione economica, perché ciò implicherebbe un maggiore consumo delle risorse della Terra, ma occorre una moderazione degli stili di vita ed un utilizzo più efficace delle materie prime che la natura ci offre (specialmente se poi le trasformiamo in rifiuti). Dobbiamo, quindi, preparare il nostro futuro, attuando con tempestività una rivoluzione sostenibile che punti al soddisfacimento dei bisogni, finiti, e non a quello dei desideri, che sono infiniti e, in gran parte, futili. Questo periodo può rappresentare una buona occasione per invertire la tendenza, maturando, innanzitutto, la consapevolezza dei limiti ambientali imposti dalla finitezza del nostro
pianeta, senza la quale non riusciremmo ad avere l’evoluzione culturale sperata. Occorre, poi, ridurre i consumi di ciascuno di noi e mostrarsi più solidali gli uni con gli altri, in modo che la cooperazione prenda il posto della competitività. La soluzione alla crisi che stiamo attraversando non può corrispondere alla sua stessa causa, la crescita economica non potrà rappresentare il rimedio globale ai problemi che sono sotto gli occhi di tutti. Bisogna intervenire, prima che la nostra automobile si fermi, ed è più semplice di quello che sembra
FOTOBLOG
BOLLE DI SAPONE gian paolo de pinto
Sono veramente tanti i titoli che si potrebbero dare a questa foto che, a prima vista, sembra ritrarre un bimbo apparentemente sorridente tra diverse nuvolette di schiuma che richiamano alla mente uno dei nostri giochi d’infanzia preferiti: le bolle di sapone. Il contrasto tra un cielo decisamente plumbeo e il colore marrone dell’acqua che scorre sotto i piedi di questo bambino ci fanno calare nella foto per distinguere quelle che non sono bolle di sapone ma la schiuma provocata dall’inquinamento in un canale di Jakarta, in Indonesia. Se ‘’sostenibilitá’’ vuol dire lasciare alle prossime generazioni un pianeta migliore di quello che ci é stato lasciato dai nostri genitori, prego, guardate nella foto, il riflesso di quello che stiamo preparando loro.
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GRANDI UOMINI fabio tricarico
A
volte, quando si parla di grandi uomini, è facile che il nostro pensiero corra verso “nomi illustri” che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra storia: Madre Teresa, Martin Luther King, Gandhi, Giovanni Falcone, don Pino Puglisi, Giovanni Paolo II, don Tonino Bello… e potremmo continuare all’infinito. Le loro azioni, le loro parole, il loro esempio, han segnato la vita di tanti di noi e ancora lo faranno. Ma se chiedessero a me di parlare di una persona che ha segnato in modo profondo la mia vita, risponderei senza esitare M. S. (preferisco rimanga anonimo). Un giovane come tanti, con sogni e desideri, andati in frantumi a causa della tossicodipendenza. Una vita piena di speranze, completamente stravolte da scelte sbagliate e da attese frustrate. Delusioni che a volte ci portano ad imboccare un sentiero tenebroso in cui è molto facile perdersi e perdere ciò che abbiamo di più caro. E da lui che ho imparato che essere grandi uomini, non significa solo, non sbagliare mai, o essere capaci di scelte eroiche… si diventa grandi uomini anche quando si è capaci di rialzarsi, di ritrovare la via smarrita, di recuperare quella dignità che abbiamo barattato per una finta felicità. M.S. aveva completamente distrutto la propria vita e quella della sua famiglia, eppure con immensa fatica e straordinario coraggio ha saputo rimetterla in piedi, diventando agli occhi di quelle stesse persone che aveva ferito
e deluso, un esempio di tenacia e di speranza. Nessun uomo è perso per sempre, e colui che riesce a convincersene diventa capace di venir fuori dai baratri più profondi. Io ero poco più di un ragazzo e lo ascoltavo parlare di sè, della sua vita, dei suoi errori e della sua rinascita, commuovendomi; mi distribuiva consigli e lezioni di vita che non erano frasi fatte o luoghi comuni, ma il risultato sofferto di una vita sregolata che però aveva saputo ritrovare la strada della gioia e della speranza. I suoi occhi avevano una luce diversa, profonda e malinconica, di chi finalmente sapeva quanto preziosa fosse la vita e i legami con le persone a lui care. Era sempre sorridente, mai demoralizzato, con un sogno: poter formare una famiglia sua… Purtroppo la vita sregolata gli aveva lasciato un’eredità maledetta: era diventato sieropositivo. Non avrebbe mai potuto formare una famiglia sua, non ne avrebbe avuto il tempo, e poi chi si sposa una persona “così”. Vedevo nei suoi occhi questa triste consapevolezza, ma non riusciva a turbare quel sorriso che con estrema fatica e sofferenza aveva recuperato. Viveva la sua vita, i suoi giorni, con entusiasmo, passione e dedizione verso quella famiglia che aveva prima fortemente delusa e che ora era davvero fiera di lui. Questa era la sua gioia, fino a quando un giorno mia madre mi disse: “M. si sposa, il 31 dicembre”. Ero davvero strafelice. L’amore vero esiste, non è un utopia. Finalmente una
vita che aveva conosciuto l’inferno in terra, poteva assaporare il paradiso. Il 31 dicembre, guarda caso, finiva quella vita segnata da errori e delusioni e si apriva davanti a lui una vita nuova, piena di luce e di speranze. Ha vissuto il resto della sua breve vita con grande dedizione verso sua moglie e verso i suoi due figli, avuti nel precedente matrimonio con un finanziere, poi deceduto. Quando tornavo dal Seminario e potevo, lo andavo a trovare e anche quando ormai la malattia lo aveva reso quasi ceco e incapace di camminare, vedevo il suo volto disteso, sereno, e sorridente… Quando morì, all’inizio fui preso da una grande rabbia; mi chiedevo perché una persona che aveva vissuto quasi tutta la sua vita nel dolore, tra drammatiche liti e sbagli, non aveva potuto godere di più per quella nuova vita che aveva trovato. Ma poi quella rabbia lasciò subito spazio alla gratitudine. Si, forse non aveva potuto assaporare di più quella felicità finalmente trovata, ma l’aveva trovata e questo vale una vita intera. Cadere ed essere capaci di tornare in piedi più forti di prima, questo per me vuol dire essere “grandi uomini”, e questo lo devo a M. S. che non dimenticherò mai.
UN SORRISO PER UN CAFFÈ francesca messere
Ore 8:00 arrivo in stazione. Treno ovviamente in ritardo. Mi ritrovo lì ferma sulla banchina, difronte al binario due, in un turbinio di pensieri che dal mio volto traspare. Poco dopo incontro sul treno un uomo sulla settantina che mi chiede se il posto lì vicino a me è libero e, alla mia risposta affermativa, si accomoda. Il buon uomo è uno spirito semplice che ha voglia di chiacchierare e, così, inizia a raccontare delle sue avventure alla scoperta dei paesini del nord barese. I suoi racconti sono molto coloriti e subito suscita l’ilarità dei passeggeri dell’intera carrozza. Io, invece, resto assorta tra i miei affari, con la mia inconfondibile espressione accigliata. Ad un tratto l’uomo rivolge la sua attenzione a me e dice: “Singnorì e rdet n’ picc, c s no nscieun bel uagnaun v offr nu cafè”. Trattandosi di uno slang tipico della nostra terra non ci sarebbe
bisogno di traduzione, ma non essendo allenati alla sua lettura, traduco per dissolvere ogni dubbio: “Signorina sorridete un poco, altrimenti nessun bel ragazzo vi offrirebbe mai un caffè”. Inutile dire che, dinanzi a questa esortazione, non ho potuto che sorridere anche io. Si è trattato di uno dei più eclatanti incoraggiamenti a ridere di più ma, non l’unico. Ho sentito spesso dire che una risata al giorno, come la famosa mela, “leva il medico di torno”. Ma è davvero così? E’ sufficiente, cioè, una semplice contrazione dei muscoli facciali per migliorare le nostre condizioni di vita? E non parlo solo dell’umore ma, anche, delle condizioni di salute. Diversi studi di ricerca si stanno orientando in tale direzione. Senza interpellare, però, i massimi esperti, credo sarà capitato anche a voi di allentare lo stress con una risata tra amici o magari dare un risvolto diverso alla vostra giornata. Eppure il solo fatto di vedere una persona ridere non è sintomo di “buona salute”. Non significa necessariamente che sia sereno, che non abbia preoccupazioni o
che magari non abbia bisogno di scambiare due parole sincere con voi. Di fatto, però, si preferisce veder stampato sul volto altrui una bella risata e, la nostra coscienza è a posto. Perché, a volte, è meglio dissimulare i propri pensieri, che mostrare le proprie debolezze, i propri stati d’animo. Non è mia intenzione esortare alcuno di voi ad andare in giro solo con facce tristi e scure, né tanto meno dissuadere tutti coloro che hanno intrapreso la loro campagna di sensibilizzazione al ridere sempre e comunque. D’altro canto, però, non è sufficiente limitarsi ad emettere quel caratteristico suono che scaturisce da un’allegra risata o assumere l’espressione tipica di uno smile. Piuttosto, dovremmo preoccuparci di curare in noi stessi e negli altri, quel sorriso interiore, quella disposizione dell’animo che farebbe trasparire, persino dalla sola espressione degli occhi, quella serenità rassicurante per noi stessi e, perchè no, anche per gli altri. E’ allora sì, che sarebbe più naturale sorridere sempre e comunque!
6 UNO/A PER TUTTI\E TUTTI/E PER UNO/A giuseppe mancini
Che sia l’espressione di una “avanguardia” un po’ bizzarra per un sito on-line di incontri, potrei anche capirlo; ma arrivare addirittura a svilupparne una teoria lascia un attimo perplessi. Non molto tempo fa un sociologo parigino, Jacques Attali, ha sviluppato quella che ha chiamato teoria del “Poliamore”. Amare più persone contemporaneamente è possibile. Anzi, è naturale. Fa parte della natura umana. Ma su questo potremmo essere tutti d’accordo se ovviamente chiariamo quelli che sono i termini e il loro uso proprio all’interno della teoria. Facendosi forte di cambiamenti già esistenti nella nostra società, Attali, teorizza il crollo della famiglia tradizionale a favore di una pluralità dei rapporti sentimentali e sessuali, sovvertendo ogni tradizione e puntando le basi per un concetto in cui, anche desiderare relazioni sessuali con persone diverse o cercare esperienze nuove e stimolanti, sia ovviamente corretto. Solo la morale comune e le leggi si oppongono a queste esigenze dell’uomo e della donna contemporanei, generando una situazione di ipocrisia e ambiguità. Solo il pensiero che questo possa essere “il manifesto della società del futuro” mette i brividi, ma ignorare che ci sia comunque un modus operandi in questa direzione è da incoscienti. Non dobbiamo stupirci se si è giunti a fare questo “salto” concettuale visto che già da anni, da quando si parla di globalizzazione, alcuni sociologi parlano del “processo di contrattualizzazione dei rapporti sentimentali”, ovvero la fine
dell’amore eterno poiché tutto è come un contratto a tempo e non c’è più unilateralità. E’ un processo che muove da due fattori: una mobilità sociale molto elevata, visibile tuttora (cosa che spinge anche Attali a definire la società di oggi “liquida”) e il riconoscimento, maturato lentamente dagli anni ‘60 a oggi, che uno degli obiettivi sociali più importanti sia la felicità. Quello che si è affermato, è il diritto al desiderio di “felicità”. Si parte dall’idea che il sesso sia la base di un rapporto sentimentale, da vivere in libertà. Si parla di rapporti che possono essere anche contemporanei senza perdere la loro autenticità. La cosa fondamentale su cui Attali punta, è che il cambiamento venga inteso come un elemento in più a favore dei diritti. Poi il singolo è libero di decidere. A questo punto certamente qualcuno dirà: ma le cose potranno stare davvero così in un futuro breve? Che ne sarà dei sentimenti? A mio modesto parere, li dobbiamo ancora educare, i nostri sentimenti, e coltivare realmente, perché finora ci siamo aggrappati soprattutto a ruoli e comportamenti stereotipati, che non hanno fatto altro che solleticare e confermare una certa e diffusa immaturità. Credo che abbiamo sempre più il dovere di riflettere sulla vera natura e sulle implicazioni complessive delle relazioni affettive e di coppia. Personalmente, come poc’anzi ho accennato, la chiave di tutto sta nel chiarimento sul significato di amore e della sua purtroppo familiarità lessicale con la parola sesso. Voi come li declinereste nella vostra vita?
COSE CHE NESSUNO SA maria teresa mirante A quattordici anni Margherita sta per varcare la soglia del liceo. I cambiamenti che la attendono le fanno paura ma non troppo perché sa di non essere sola. La sua è una famiglia come tante, due genitori che si amano e che ogni mattina si alzano per andare a lavoro. La vita scorre tranquilla, ha il sapore dolce e leggero delle torte di nonna Teresa, i colori tenui come quelli con cui Andrea, suo fratello, disegna il mondo che si scopre a tre anni. Ma, in un giorno come tanti, dopo la scuola Margherita torna a casa e un messaggio sulla segreteria telefonica le annuncia che suo padre è andato via. Margherita sprofonda nel vuoto di chi non comprende perché da un giorno all’altro i propri genitori smettano di essere casa. E’ così che Margherita lascia entrare il dolore, la disillusione. Margherita è la conchiglia assaltata dal predatore del mare che tenta invano di difendersi chiudendosi. Quando ormai sembra che niente riesca a infrangere le pareti spesse della sua anima, un professore di lettere con la passione per l’Odissea salverà Margherita dallo stagno di abbandono in cui è caduta, risvegliando il lei il coraggio di cercare e affrontare suo padre, come aveva fatto Telemaco nel poema omerico. Attraverso quelle pagine, quelle parole, Margherita inizierà il suo viaggio con la determinazione di chi sa cambiare il dolore in bellezza. Come il mollusco, sconfitto il predatore, rilascia la madreperla intorno ai resti di chi ha tentato di distruggerlo, Margherita trasformerà il vuoto lasciato dal padre in un’occasione di crescita, conducendo in questo cammino anche chi adulto lo è già ma resta incapace di imprimere una direzione alla propria esistenza. Margherita intorno ai resti della sua famiglia, forgerà col tempo la sua perla, rara, unica, preziosa, quella che solo il dolore ha potuto creare. Quella perla è lei stessa, rinata quando tutto sembrava perso, quando persino la vita stava scivolando via. Quella perla é la sua famiglia che solo perdendosi avrà saputo ritrovarsi. Perché dal buio nasce il meglio che possiamo essere, il perché e il come sono cose che nessuno sa.
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ACAB:
CELERINI, VITTIME, CARNEFICI silvia ayroldi
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inema con papà…non c’è nulla di più speciale di un momento in cui ti sembra di tornare bambina e senti che i popcorn hanno il gusto di un capriccio assecondato. Il film che abbiamo visto però era ben lontano dall’essere un cartone animato. “A.C.A.B.” racconta la storia di tre celerini, Negro, Mazinga e Cobra, da sempre abituati al confronto quotidiano con la violenza di strada, sono intrappolati in un meccanismo perverso che li vuole quotidianamente carnefici e vittime di odio e violenza. Un cortocircuito che inevitabilmente si riflette nelle loro turbolente vite private. Poi entra in reparto una giovane recluta, Adriano; la sua educazione alla legalità, all’ordine, all’applicazione anche violenta della legge è la lente per raccontare il controverso “reparto mobile” della polizia, con un inedito sguardo dall’interno, sullo sfondo dei più sconcertanti episodi di violenza urbana accaduti in Italia negli ultimi anni, dal G8 di Genova fino alla morte di Gabriele Sandri. Uscita dalla sala ho pensato molto a ciò che avevo appena visto e mi sono imbattuta in una discussione costruttiva padre-figlia. Io, sempre incline alla giustizia, spesso non riesco a giustificare comportamenti poco etici, come alcuni di quelli mostrati nel film dove i celerini abusano del loro potere anche fuori dal servizio e poi si coprono tra di loro a vicenda anche quando qualcuno esagera. Mio padre, da buona guardia giurata, che forse può meglio capire le logiche emotive di quei lavori, mi ha però fatta riflettere sul lato
Un film di Stefano Sollima. Con Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo. Poliziesco, durata 112 min. - Italia 2011
umano del lavoro della polizia mobile, che spesso è consapevole che se vuole riportare la pelle a casa deve lasciare i sentimenti in un cassetto e picchiare senza guardare in faccia nessuno, in situazione estreme. Voglio riportarvi la frase di uno dei celerini che credo racchiuda un pò il senso del film: “Ma voi pensate che spaccare la faccia alla gente sia una cosa che mi piace? Prima di decidere chi sono gli innocenti e i colpevoli, dovreste almeno chiedervi come funziona il lavoro della celere. In quei momenti hai il cuore che te batte forte, l’adrenalina che sale a mille, la testa che ti rimbomba che sembra che debba scoppiare. Dentro il casco non senti niente. Hai solo i tuoi fratelli accanto... Solo su i tuoi fratelli puoi contare.” Già da queste parole si può leggere la frustrazione di gente che ogni giorno mette a repentaglio la propria vita e
dopo magari essere stato ferito, si ritrova l’aggressore di nuovo davanti allo stadio dopo pochi mesi perchè è già uscito per buona condotta o altri rimedi giudiziari. Il film sottolinea, infatti, soprattutto la sete di vendetta dei celerini, che nasce anche dal fatto che i protagonisti si sentono abbandonati dallo Stato che loro stessi si sono offerti di difendere; lo Stato non ti protegge, ma vuole solo essere protetto e l’unica forza su cui contare diventa per loro il compagno di reparto, quello che chiamano fratello. Ma tutta questa frustrazione può finire perché ingenera meccanismi di odio e violenza che spesso diventano un modus vivendi da cui nemmeno un poliziotto riesce a sfuggire e a frenare più, arrivando a commettere alcuni errori ingiustificabili, come le strane morti in carcere di alcuni detenuti. Il reparto mobile della polizia, insomma, esce dalla sala cinematografica ‘manganellato’ dal crudo realismo di cui la pellicola è permeata. Dimenticate i personaggi in divisa puliti delle classiche fiction Rai e Mediaset. Tuttavia il film non è un atto d’accusa nei confronti della polizia o delle forze dell’ordine (non per fare del facile perbenismo, bisogna ricordare che in tanti svolgono il loro mestiere in modo corretto) ma una feroce accusa alla società italiana in genere. Che si tratti di poliziotti, tifosi, o manifestanti il nostro Paese è fatto di individui solitari pieni di collera, che si radunano in branchi affamati, pronti ad un’inutile guerra tra poveri. Troppo facile sarebbe condannare il film; più difficile è invece capire le ragioni: non si propone né di demolire né di costruire ma solo di raccontare dei fatti orribili che troppo spesso sfuggono agli occhi distratti di noi osservatori televisivi e di far riflettere prima di puntare il dito contro qualcuno.
8 C’É QUALCUNO CHE C’HA VOGLIA DI CAMBIARE giusy tatulli Ascoltatela! Si è rapiti da un ritmo latino travolgente, e sicuramente “c’è qualcuno che c’ha voglia di ballare”. Leggetela! Si è inondati dall’attualità e dal pensiero di chi non è mai stato “qualunquista” e non è un “idealista”. Questo non vuole essere un elogio al cantautore e al suo brano. Nelle sue parole non trovo originalità. C’è chi ‘faceva finta di essere sano’ dal 1973, ed è straordinariamente attuale ancor oggi. Tuttavia, se è vero che la musica veicola dei messaggi perché è un mezzo che raggiunge tutti, allora il testo di Lorenzo Cherubini cantato da Adriano Celentano non può che essere un buon messaggio. Le sue parole non sono affatto quelle di un pessimista. Cerca piuttosto “qualcuno che c’ha voglia di cambiare”, e soprattutto crede che qualcuno ci sia, e che non appartenga all’attuale classe dirigente: sente tra i fermenti del popolo italiano un’aria di “innovazione” che non si respira da tempo. Ebbene sì, siamo tutti in attesa di innovazione e non si parla d’altro. In politica ci aggrappiamo a chiunque abbia idee nuove che diventino concrete. La scienza fonda la sua evoluzione sull’innovazione, che è possibile solo se si finanzia la ricerca. La chiesa deve rinnovarsi di continuo se vuole essere al passo coi tempi. Anche i rapporti d’amore e d’amicizia devono rinnovarsi per essere duraturi. C’è qualcuno che abbia voglia di ballare e di giocarsi tutto quanto? Voglio credere che ci sia perché “è proprio quando tutti pensano una cosa che trova spazio una versione differente”.
LUCEeVITA GIOVANI leggi e commenta su www.lucevitagiovani.it L’inserto è curato da : Vincenzo di Palo, Responsabile. Silvia Ayroldi, Vincenzo Bini, Mauro Capurso, Mariella Cuocci, Gian Paolo de Pinto, Giuseppe Mancini, Annarita Marrano, Fedele Marrano, Francesca Messere, Manlio Minervini, Maria Teresa Mirante, Antonio Tamborra, Giusy Tatulli, Carmela Zaza. Grafica: Valentina de Leonardis, Gian Paolo de Pinto. Collaboratori allestimento: Donato Magarelli, Milena Soriano
LA CUMBIA DI CHI CAMBIA Se c’è qualcuno che c’ha voglia di ballare, si faccia avanti, si faccia avanti. I funzionari dello stato italiano si fanno prendere spesso la mano, inizian bene e finiscono male capita spesso che li trovi a rubare. E fanno cose che stan bene solo a loro a usufruire di vantaggi esagerati, così abbandonano ogni tipo di decoro e si comportano come degli impuniti. Questa è la cumbia la cumbia di chi cambia. Io non sono mai stato un qualunquista quelli che dicono che sono tutti uguali quella non è la mia maniera di pensare, però lo ammetto certe volte l’ho pensato. I funzionari dello stato italiano sembrano spesso personaggi da vetrina sotto alla luce sono belli ed invitanti quando li scarti poi ti accorgi che eran finti Si dice sempre che ogni popolo assomiglia in tutti i sensi alla sua classe dirigente ma è solo un modo per generalizzare per scaricare la responsabilità, perché la storia invece è piena del contrario di gente brava che ha ispirato altra gente ed è proprio quando tutti pensano una cosa che trova spazio una versione differente. Io non ci credo che tutti gli italiani sotterrerebbero l’amianto nei campi; infangherebbero il nome degli avversari al solo scopo di non averli lì davanti; e comprerebbero la partita agli arbitri
ma in quanto arbitri si farebbero comprare; racconterebbero bugie su una disgrazia, è l’occasione che fa l’uomo criminale. Io mi inchino ai valori della resistenza ogni paese ha la sua rivoluzione, ma tra i valori che si stanno affievolendo quello più urgente è quello dell’innovazione. L’Italia è un punto esclamativo che si allunga dal centro Europa fino all’Africa del nord, siamo il paese che ha fondato un nuovo mondo un grande ponte tra il futuro ed amarcord. Se c’è qualcuno che si gioca tutto quanto si faccia avanti, si faccia avanti se c’è qualcuno che c’ha voglia di cambiare si faccia avanti, si faccia avanti. Posso affermare che non sono un idealista e la politica mi scalda poco il cuore, ma a volte penso che staremmo tutti meglio se pretendessimo qualcosa di migliore. Stiam diventando un popolo di anaffettivi, stiam diventando un popolo di compulsavi, stiam diventando o lo siamo sempre stati io mi domando forse ci siamo rassegnati personalmente non lo sono gli elementi per poter credere che in tanti non lo sono. Ognuno fabbrica da solo i cambiamenti e non c’è lampo che non abbia dopo un tuono. Se c’è qualcuno che si gioca tutto quanto si faccia avanti, si faccia avanti, se c’è qualcuno che c’ha voglia di cambiare si faccia avanti, si faccia avanti.