10 oAnno Inserto mensile di informazione e comunicazione del mondo giovanile a “Luce e Vita” n.5 del 29 gennaio 2012 Piazza Giovene 4 -70056 Molfetta www.lucevitagiovani.it lev.giovani@gmail.com
82 Perchè verità sia libera di carmela zaza.......................3
Austerità e lungimiranza: inizia la fase due di giuseppe daconto...............4
Tuttology
Le Idi di Marzo
di francesca messere..............6
di annarita marrano...............7
Non lasciate solo Farina di mauro capurso...................5 Facciamo finta Diversamente Normali di maria teresa mirante..........8
VIETATO SPORGERSI S DAL FINESTRINO
© davide olivi
giuseppe mancini
iamo in un’epoca di transizione, così dicono. Ma, quello che non dicono, è dove si va e da dove si viene. Perché ci sia transizione ci vuole destinazione e provenienza, mi pare. Parlano di transizione e basta, prendono un’aria misteriosa, rassegnata. Così mi è venuto in mente ciò che si dice della vita, ovvero che sia un viaggio. Un viaggio che supera tempo e luoghi per tornare a sé, mutato da conoscenze narrate che non sono altro che la nostra vita. Diventiamo, durante il viaggio, parte di quei luoghi, restando al finestrino del treno a guardare i pericoli, i territori, i “mai” e i “per sempre”. Passare sotto le pensiline di vecchie stazioni, alcune già recuperate e tirate a lucido, altre cadenti e in vendita; sfiorare grandi magazzini ferroviari, e piccoli scali merci che sembrano rubati ad un plastico di treni in miniatura. Il viaggio è, prima di tutto, una necessità del vivere contemporaneo: per lavoro o per piacere, l’esigenza di spostarsi da un luogo ad un altro rende indispensabile l’utilizzo dei mezzi di trasporto. Mentre spostarsi in automobile è un fatto privato, e la concentrazione richiesta nella guida non lascia molto spazio all’immaginazione, ed il viaggio in aereo è, per sua natura, asettico e controllato, sul treno è tutto diverso: una sorta di intermezzo pubblicitario da dimenticare non appena, arrivati in stazione, riprendiamo la nostra vita. Iniziando ad osservare, per pura curiosità, ciò che avviene, o non avviene, ...
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2 VIETATO SPORGERSI DAL FINESTRINO continua da pag. 1
nella carrozza su cui mi trovo di volta in volta seduto, mi sono pian piano reso conto che questo viaggio è in realtà una sequenza di momenti, di sguardi, di consuetudini, di bilanci su tutta l’improvvisata comunità dei nostri problemi, delle nostre aspettative, dell’andamento della nostra giornata. Nondimeno, intrattenuti dallo sferragliare delle ruote sui binari, vediamo fisso davanti ai nostri occhi un cartello fin troppo chiaro, scritto in quattro lingue: “Non sporgersi dal finestrino”. Ma quando si muore dalla voglia di ammirare il paesaggio, quando si vuole sentire il vento
tra i capelli, quando si è irrimediabilmente attratti dal profumo dell’erba appena tagliata nei campi o dall’odore dei rami secchi bruciati dai contadini, che si fa in questi casi? Il messaggio è chiarissimo: Pericoloso sporgersi; soprattutto se questo nostro “sporgerci” è inteso come il nostro uscire dagli schemi, non omologandoci ad un comportamento “corretto” che ci dicono di assumere. Sporgersi non è europeo; Standard & Poor’s ci potrebbe togliere la tripla A; sporgendoci potremmo notare particolari “scomodi” come sguardi di intesa tra calciatori; capire perché il prezzo della benzina sale. Qualcuno potrebbe intenderlo come un attacco alle istituzioni, una provocazione a cui deve seguire una risposta militare. Questa nostra curiosità nel mettere la testa fuori dal finestrino potrebbe essere intesa come un tentativo di spionaggio, un pregiudizio razziale, un precedente scomodo, un voler
cogliere a tutti i costi aspetti riservati solo a pochi potenti, soprattutto quando il “treno” si ferma di colpo e vorremmo capire come mai. E’ proibito affacciarsi perché si potrebbe anticipare con lo sguardo la direzione verso cui ci stiamo muovendo, mentre ciò che ci è concesso è solo quello di ammirare ciò che ci viene proposto nel “finestrino” con tempi e modi di cui non dobbiamo sapere. Per fortuna però abbiamo il dono della vertigine che non è la paura, ma la voglia di osare a tutti i costi, con un atteggiamento sociale che aspiri a bellezze che noi giudichiamo essere “politically correct”. Ma poi, in fondo, chi ha detto che la vita vera non sia proprio questo? Questo misto di curiosità ed incoscienza? Come si fa ad imparare che il fuoco brucia se non lo si tocca mai per paura?
ALZIAMO IL VOLUME AI NOSTRI PENSIERI giusy tatulli
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gni mese ci incontriamo in redazione. Ognuno di noi porta la propria idea per un articolo, per esporla e discuterla con gli altri componenti per decidere se va apportata qualche modifica o semplicemente per farla fruttare, per cogliere il senso della riflessione. Non vi nascondo che spesso mi accade di essere a corto di idee, e di sperare che presentandomi all’incontro senza un tema, questo possa ‘piovermi dal cielo’, o che io possa essere addirittura esente dallo scrivere l’articolo per il numero successivo. Tuttavia ogni qual volta si prospetta questa situazione, mi dico: “Ecco, stai perdendo un’occasione per far sentire la tua voce, per parlare ai tuoi coetanei”. Non considerate questo come un atteggiamento presuntuoso, perché, è vero, il nostro giornale non è a tiratura nazionale e certamente non arriveremo a tutti, e inoltre potremmo non essere interessanti per tutti. Ma è quello che ciascuno di noi redattori cerca di fare con il proprio umile inserto: dare voce ai propri pensieri lasciando scorrere la penna sul foglio bianco; farsi sentire e soprattutto far sentire alla Chiesa, che a volte non ascolta i giovani, che esistono; che hanno uno spirito critico; che riflettono sull’attualità, sulla politica, sull’economia, sulla società, perché ne sono capaci e soprattutto perché in tutto ciò sono loro, ad avere le mani in pasta, loro i veri protagonisti. Perciò, scrivendo come cantando, manifestando o vivendo attivamente una realtà, noi giovani ci siamo! Alziamo il volume ai nostri pensieri. Facciamoci sentire. Fatevi sentire! © vania barbato
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ANCORA BUON NATALE antonello tamborra
on è anacronistico, ma è l’eco di tanti auguri, spesso retorici e abituali, scambiati nei giorni di festa ormai terminati. Iniziamo questo nuovo anno con l’augurio teso a non dimenticare l’icona del Natale di Gesù. Nel numero di fine anno il tema trattato era concentrato sullo sconforto della crisi economica che incombe e che va vissuto e superato con segni concreti di speranza. Oggi, proiettati nel nuovo anno, dobbiamo guardare con speranza e ottimismo. Dobbiamo partorire segni di ripresa spirituale. E allora mi piacerebbe continuare con l’augurio del “Buon natale!”. Non dimentichiamo l’immagine del Cristo nascente; alimentiamo quel clima di pace nella nostra vita, ricordando sì, quanta tenerezza è intrisa nella realtà del presepe, ma anche quale segno di forza, progettualità e speranza Dio sta donando al suo Popolo. Un Dio che conclude il progetto di salvezza dell’uomo,
PERCHÉ VERITÀ SIA LIBERA
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I poveri sono stati la causa della mia vocazione, i poveri sono il contenuto della mia fede, fonte di ispirazione della mia poesia e della mia predicazione”. Sono parole di David Maria Turoldo (1916-1992): un poeta, un prete, un uomo, che ha fatto della sua vita una testimonianza di fede e di libertà. Ultimo di nove fratelli di una poverissima famiglia friulana, ha conosciuto intimamente i doni di “sorella povertà” e da essa ha tratto umiltà, coraggio, forza, speranza e fede. Vissuto a Milano durante la seconda guerra mondiale, ha visto con i suoi occhi la crudeltà e l’ignoranza delle idee e delle opere nazifasciste e ciò lo ha portato a difendere con tutto il suo essere la libertà dell’uomo e delle sue scelte anche in tempo di pace, nei confronti di tutti, anche agnostici e miscredenti, perché credeva nell’universalità della Chiesa e di Cristo. Egli voleva che la chiesa si riappropriasse del suo significato più profondo, che tornasse ad essere mistero di salvezza, chiesa con le altre chiese, tutte a cercare insieme Cristo, considerando la struttura istituzionale di cui è dotata come mezzo e non fine. Parole che oggi più che mai risuonano nella loro verità, nelle nostre città, e ancor più in quella stessa città dove Turoldo ha vissuto, Milano, turbata da accuse di tangenti, corruzioni e affari sporchi che hanno coinvolto altri presbiteri, che forse hanno invece avuto come scopo del loro operato qualcosa di basso, rispetto a quello per cui sono stati chiamati.
carmela zaza Al non senso dei campi di concentramento, al nulla della ragione umana sconfitta e impotente di fronte alle povertà moderne nonostante la tecnologia, padre Turoldo rispondeva con la speranza cristiana che traeva origine dalla Parola del Vangelo, unica finalità della presenza del cattolicesimo. Anche oggi, di fronte alla crisi e alle nuove povertà non solo materiali, credo che padre Turoldo avrebbe risposto con la Parola di Dio, con un abbraccio ai suoi amici atei, con uno dei salmi di Davide che tanto amava e che con i suoi versi ha cercato di rendere sempre vivi e attuali. E così termino anche io, con una delle sue poesie, sperando che saranno tanti a cercarne altre, per conoscere meglio questo servo di Dio e dell’Uomo.
‘‘Vivi di noi.
Sei La verità che non ragiona. Un Dio che pena Nel cuore dell’uomo.
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lo solleva dalla miseria, dal peccato e dalla crisi ed entra nella sua storia per salvarlo, utilizzando la strada più difficile: la condizione umana. Bellissimo! Allora ritorniamo all’essenzialità e alla semplicità affinché in esse possiamo trovare il trono o la “culla” del nostro nuovo anno. Apriamo le fessure della quotidiana incertezza con le chiavi della Provvidenza. Scandiamo il nostro tempo con il tempo degli “uccelli del cielo” e dei “gigli dei campi” che Dio ama e nutre con il suo gratuito amore. Scardiniamo la paura per il futuro. Evitiamo di cercare il superfluo nella nostra vita. Nell’anno della crisi e della sofferenza economica ribadiamo il nostro “si” a Dio, il quale, superando qualsiasi logica di mercato e di economia, fa quadrare sempre i conti della nostra storia, anche se sovente non lo vogliamo riconoscere. Buon anno allora, Buona Speranza e Buon Natale ancora per dodici mesi!
4 AUSTERITÀ E LUNGIMIRANZA: INIZIA LA FASE DUE giuseppe daconto
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e semplificazioni giornalistiche sono sempre un’arma a doppio taglio per eccesso o di semplificazione o di effetto evocativo. Tant’è. Ci si aspetta, con ansia, l’arrivo della seconda fase, quella della crescita ma, in sostanza, si peregrina attorno ad un’altra questione: non è ancora chiaro quando finirà la prima fase, quella che dura da tre anni abbondanti. Perciò, più che di prima o seconda fase sarebbe meglio discutere del complessivo sfasamento (nel senso dialettale del termine!) in cui siamo intrappolati da tempo. Non diremmo un’eresia se affermassimo che il sentire comune trasuda di completo disorientamento cui neanche le indicazioni commerciali per i saldi di questi giorni riescono a sopperire. La cocciutaggine dei decisori politici, dei grandi manager, dei grandi banchieri, dei grandi hedge fund manager, ecc… è così tanta e presente che deforma la realtà che ci circonda, agli occhi dei più. Insomma, si continuano a leggere i fenomeni economici con gli occhiali e le lenti rotte, anzi distrutte, dalla crisi, offrendo ricette che la Storia ha già bocciato, forse non solo una volta. Austerità, pareggio di bilancio incondizionato, supermoderazione salariale, politiche assolutisticamente deflattive, squilibri nella bilancia dei pagamenti e nei conti con l’estero, politiche monetari indipendenti da quelle fiscali, assenza di coordinamento fiscale tra gli Stati avanzati, boom della finanza derivata (CDS e mille altri marchingegni…), accumulazione di debito su debito, trading finanziario libero e illimitato, speculazione finanziaria, ecc… sono feticci di cui il mondo post-crisi (o “during” crisi) non riesce ancora a far a meno. Ma restiamo alle esemplificazioni giornalistiche. Il Governo Monti, salutare quanto “purgativo”, con evidenti inversioni di tendenza rispetto al governo precedente (e non solo in campo economico, come è chiaro a tutti), ha chiuso il 2011 con una manovra, a questo punto diremmo “ad U”, che ci ha permesso di ritornare a “galleggiare” e ha dato fiato all’Unione Europea, benché il fiato sia ancora abbastanza corto. L’economia italiana non cresce e l’Unione Europea è ancora imbrigliata da veti incrociati, timidi segnali di controtendenza nella governance e crisi economiche e di finanza pubblica abbastanza diffuse. Insomma, se Sparta piange, Atene non ride. Eppure la fase due dovrebbe raccontarci proprio una
storia diversa. Un’Unione Europea meno intransigente e politiche per la crescita condivise. Per ora il governo italiano sembra tramare sotto banco, dopo aver ricevuto la patente della credibilità e del rispetto degli impegni presi – in termini di saldi di finanza pubblica – per una nuova contrattazione e definizione, in sede europea, dei vincoli di spesa. Perciò la fase due italiana dovrebbe comporsi di nuove modalità di spesa delle risorse comunitarie, anche in deroga alle regole vigenti, di nuove liberalizzazioni (in cima ai pensieri del Governo ci sono trasporti pubblici locali, taxi, farmacie, poste, energia e professioni) e poi le blasonate riforme a costo zero per il bilancio pubblico, ossia leggi per semplificare l’attività imprenditoriale, per facilitare le opere pubbliche e le infrastrutture, per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici e, last but not least, la riforma del mercato del lavoro. Accanto a ciò non mancheranno le riforme onerose. In cima ai pensieri sembra esserci quella relativa agli ammortizzatori sociali. Per ognuna di esse
ci sono varie ipotesi, più o meno conosciute, e tutte più o meno complesse. L’equilibrio delicato, politicamente s’intende, che sostiene questo governo chissà alla fine cosa porterà di concreto, ma basterà? Senza eccessive risorse da spendere si potrà crescere? Un antico detto fiorentino, sarcastico e blasfemo come generalmente sono i fiorentini, dice “chi vuole Cristo se lo preghi”. Sembrerebbe che la filosofia dell’oggi sia “se vogliamo crescere dobbiamo trovare noi la forza e le risorse per farlo”. Nulla da eccepire. Anzi rimbocchiamoci le maniche perché le sorti del nostro Paese, tanto martoriato e bistrattato da speculatori esterni e corrotti/ corruttori interni, dipendono in gran parte dal nostro operare e dalle modalità con cui operiamo. Di certo, sperando di non intraprendere strade tanto battute nel tempo, quanto sbagliate, che ci hanno portato a questo punto. La sapienza di Salomone, scegliere ciò che bene e ciò che è male, non é ancora una virtù globale.
AAA. GIUSTIZIA CERCASI silvia ayroldi
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re 17.00: fine della lezione di diritto penale all’università ed una sola parola che ronza nella testa “SCHIFO”! Purtroppo non ci sono sinonimi adatti a sostituire questo termine e che possano allo stesso modo rendere l’idea di quella che è la giustizia italiana attuale, se di giustizia si può ancora parlare. Entra il professore e ci spiega che il corso sarà un pò diverso dal solito metodo cattedratico perchè analizzeremo principalmente i “buchi” del sistema penale italiano, cioè ciò che non funziona. Tutto sembra normale, nessun ordinamento è perfetto; finchè apre il codice penale ed inizia
a leggere alcuni articoli a caso dimostrandoci che ogni pena correlata può essere evitata. Tenterò di semplificare tutto: prendiamo ad esempio un reato che preveda una pena di massimo 3 anni: l’avvocato può chiedere il patteggiamento, laddove è possibile, con cui la pena si riduce di massimo un terzo, scendendo a 2 anni e in questo caso si potrà poi chiedere la sospensione condizionale della pena, e quindi il reo non è immediatamente condannato e forse non lo sarà mai. Se la pena ha un margine superiore a 3 anni, allora l’avvocato chiederà il processo abbreviato, che consente di avere una riduzione della pena al reo, perchè ha reso più celere il processo e, se sarà possibile, si riattiveranno i meccanismi detti poco fa. Quelli che vi ho descritto sono solo alcuni esempi di come nel nostro paese si arriva all’ineffettività della pena per effetto delle stesse regole da noi poste, il che è assurdo! Per rimediare allora si fanno progetti di legge, entrano in gioco l’arresto preventivo o custodia cautelare, che oggi spesso coincide con la spettacolarizzazione dei vari processi, e le misure ablatorie. Un giudice, che sa che non potrà dare la giusta pena al reo, a causa dei cavilli e le contraddizioni giudiziarie, è costretto ad usare la custodia cautelare, un mezzo pensato in extrema ratio, per punire in qualche modo il colpevole di un reato. Sono uscita dall’aula turbata, ho raccontato a tutti di quella lezione…in Italia non esiste giustizia. Assurdo chiedere ad un italiano di rispettare le regole perché noi viviamo la massima: “fatta la legge trovato l’inganno”,
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e lo si può vedere leggendo il nostro codice penale, di cui ancora e forse invano aspettiamo una riforma. Poi, stupita e incredula che anni di storia del diritto penale e di leggi possano essere affossati in venti minuti, e sperando di non trovare un riscontro reale di quello che avevo sentito a lezione, ho deciso di documentarmi ulteriormente e mi sono scontrata con la realtà: attualmente le carceri sono popolate per il 30% da immigrati, per il 30% da tossicodipendenti, il 20% hanno commesso un reato perchè hanno un disagio psichico; insomma per la maggior parte sono abitate da persone che dovrebbero avere cure differenti anzichè il carcere. Quindi è tutto vero. Si parla tanto di sovraffollamento delle carceri, ma si omette di dire che chi in realtà dovrebbe esserci dentro è ancora impunito e in prigione ci rimangono quelli che non possono permettersi un avvocato. Non so ancora perché studio materie come giurisprudenza tese al raggiungimento di qualcosa di utopico; forse perché nutro la speranza che in questo mondo si possa avere un po’ di giustizia.
NON LASCIATE SOLO FARINA mauro capurso
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ra lo sport più bello del mondo, il più avvincente, il nostro sport nazionale! Era lo sport grazie al quale, in occasione dei match con le altre nazionali, si riaccendeva tutto il nostro spirito di “italiani” e per 90 minuti ci si dimenticava di qualunque rancore. Questo però a volte non basta… perché arriva un momento in cui si finisce per vender l’anima al diavolo pur di raggiungere un obiettivo, personale o collettivo, perché ahimè, tutto ha un prezzo. L’avere un prezzo presuppone l’esistenza di un mercato, di un soggetto disposto ad acquistare qualcosa che un altro è disposto a vendere e, l’universo dei “beni” che si possono comprare sembra non conoscere limite. Quello degli ultimi mesi non è né il primo e tantomeno non sarà l’ultimo scandalo legato al mondo del calcio. Alcuni per fortuna vengono “scoperti” dagli inquirenti, ed altri, soprattutto nelle serie minori, risultano purtroppo difficili da individuare. Non è questo il luogo, né tantomeno spetta a noi rivelare i particolari di un’inchiesta ancora in corso, ma, quello che vogliamo ricordare in
questa occasione è il gesto di Simone Farina, l’uomo che ha rifiutato di vendere la propria lealtà. Ed è in situazioni come questa che la normalità e l’eccezionalità insieme di un
gesto abbandonano i loro significati originali per prendere l’una il posto dell’altra. Un gesto come quello di Farina, senza dubbio lodevole, dovrebbe far parte del dna di ogni calciatore, ed invece lo stesso giocatore del Gubbio vien visto come un “alieno”, come una specie rara da proteggere…Le parole del presidente dell’associazione calciatori, l’ex romanista Tommasi, parlano da sè. “Non lasciate solo Farina” ci fa’ capire che questo gesto ha dato fastidio a molti, e quindi che, quello delle partite truccate e delle scommesse è un universo ben più ampio di quello svelato in questi giorni dalla magistratura. Che fine ha fatto il nostro amato calcio? Varrà ancora la pena tifare la nostra squadra del cuore con il dubbio che il risultato dell’incontro sia già scritto? Secondo me si. È vero… forse ci ritroveremo ancora a parlare di queste cose, ma, fino a quando ci sarà anche solo un calciatore alla “Farina”, per me questo sarà ancora lo sport più bello del mondo.
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LA TV TECNICA manlio minervini
N TUTTOLOGY francesca messere
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eduta alla grande tavolata, per onorare, con un gran bel pranzo, la festività di turno, mi ritrovo ad ascoltare le chiacchiere di amici e parenti. Nel frastuono generale, però, noto che s’insinua una voce che riesce a prevalere sulle altre; proviene da colui, o colei, capace di esporre, con tono perentorio, la propria opinione su ogni argomento trattato. A quel punto comprendo che sono di fronte ad un esemplare, neanche troppo raro in questa nostra epoca, di “homo tuttologus”. Se sfogliate la rubrica del vostro cellulare, se analizzate i contatti del vostro profilo facebook, se pensate a tutti i vostri compagni di scuola, amici di comitiva, zii, cugini e quant’altro, sono sicura che anche voi ne conoscete almeno uno. Se così non è, allora devo cominciare a pensare di avere l’esclusivo piacere della loro conoscenza! Ma credo che, spesso, vi sarà capitato di trovarvi di fronte a qualcuno capace di impartirvi lezioni di vita, ma allo stesso tempo illustrarvi la migliore tecnica per una rasatura perfetta, consigliarvi la stampante multifunzione fatta per voi e, addirittura, spiegarvi quale mangime sia più salutare per il vostro pesce rosso. Dinanzi a cotanta onniscienza potete avere solo due tipi di reazione: stupirvi di tanta palesata competenza o cominciare a dubitare che tutto lo scibile umano possa essere racchiuso in un solo individuo! In realtà, potreste anche passare da un iniziale stupore ad una non troppo celata insofferenza nei loro confronti. Fate attenzione, però, che una volta innescato il processo di scoperta della suddetta tipologia di essere umani, potreste non fermarvi più. Alcune volte mi è capitato, persino, di denominare bonariamente quel mio conoscente, in grado di illuminarmi
sugli svariati argomenti, con l’appellativo di “tuttologo”. Solo una volta, finora, ho ricevuto la soddisfazione di una completa ammissione: “Si, è vero, sono un tuttologo!” Qui non si tratta di demonizzare nessuno, ma solo di evidenziare un’inclinazione dei nostri contemporanei a poter parlare di qualsiasi cosa, spesso anche di qualcosa di cui si ha una conoscenza superficiale, o addirittura nulla. A mio parere, invece, ben venga chi spazia oltre i limiti delle proprie competenze lavorative o scolastiche, ben venga chi coltiva anche svariati interessi; credo che coloro che non si limitano strettamente ad adempiere le proprie mansioni e allargano i propri orizzonti siano persone degne di ammirazione, con cui è anche più piacevole condividere il proprio cammino. Ma guai a “saperle proprio tutte”!
on mi capita spesso di guardare la tv, ma certamente non trovo tanti motivi che mi invoglino ad invertire questa tendenza. Negli ultimi anni stanno spopolando trasmissioni che trattano, con la stessa parvenza tecnica e rigorosa dei programmi di divulgazione scientifica, argomenti ben lontani dall’avere delle basi certe e provate. Misteri e leggende fanno parte delle tradizioni di qualsiasi cultura, ma sono tali proprio perché nessuno nella storia ha potuto mostrarli e verificarli, oscurati sempre da quella patina un po’ opaca che li divide dal mondo reale. Come abili venditori, però, questi programmi impacchettano i loro servizi televisivi, talvolta ambientandoli in luoghi che ci ricordano ambienti accademici o laboratori, abusando talora di termini tecnici, per dare un involucro accattivante e credibile a storie e racconti che non hanno alcun fondamento scientifico (nell’accezione più generale del termine), come, ad esempio, l’imminente fine del mondo, il metodo per predire terremoti, l’esistenza del chupacabra e altri argomenti che evito di elencare per non generare ulteriore ilarità nel lettore. Un altro fattore allarmante di queste trasmissioni è la presenza di pseudo - esperti che parlano dell’argomento in questione, conferendogli così quella maschera di credibilità che attrae il pubblico, cha dà adito al pericoloso concetto che tutti possano parlare di tutto, pur non essendo profondi conoscitori della materia, se di materia si può parlare in queste circostanze. Ecco, in un periodo in cui, per ragioni a noi tutti note, si è insediato un governo tecnico, nel quale un professore di economia è ministro dell’economia, un ex rettore di università è ministro dell’istruzione, un prefetto è ministro dell’interno e così via, non mi dispiacerebbe che in tv a parlare di scienza ci sia uno scienziato. Il desiderio di una società più “tecnica” (dove l’aggettivo tecnica sta per competente, abbandonando tutti i significati negativi che si attribuiscono a tale parola in questo periodo) va oltre l’ambito televisivo: dobbiamo essere stanchi di chi ci propina idee, opinioni e presunte verità senza competenza, di chi fa il “venditore di parole”, ma questa stanchezza può scaturire solo con l’approfondimento di ciò che vediamo e sentiamo. Nel frattempo, possiamo consolarci e sorridere guardando la parodia di Crozza.
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LE IDI MARZO annarita marrano
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a mia passione per la politica è nata da bambina: ricordo ancora la sigla del telegiornale all’ora di pranzo e la prima volta che mio fratello maggiore mi mise tra le mani un giornale. Durante le assemblee di classe al liceo non esitavo ad esprimere il mio punto di vista sui temi di attualità, arrivando spesso a scontrarmi con i miei amici più cari. Spesso non condividevano il mio ardire politico, la mia faziosità ed intransigenza. Mi accusavano di essere utopista e mi chiamavano la “temeraria” quando mi incontravano nei corridoi d’istituto. Ho sempre criticato l’indifferenza di fronte alle questioni politiche: mi indignavo quando qualcuno accanto a me rispondeva alle mie osservazioni dicendo: “a me la politica non interessa”. Si può non abbracciare una particolare ideologia, si può non aderire ad un movimento politico, si può non avere il mio stesso fervore politico, ma non si può essere estranei alla politica, perché per essa tu non sei un estraneo. Entra quotidianamente nella tua vita e stabilisce i tuoi orari lavorativi, il tuo stipendio, l’affitto della tua casa e le bollette, la tua spesa al supermercato, il tuo futuro. In passato ha anche deciso cosa dovevi dire, quando dovevi o potevi parlare, come dovevi vestirti e come dovevi essere. Inconsciamente influenza ancora oggi il tuo modo di essere, ciò che puoi ascoltare e guardare in tv e ciò che puoi leggere sul giornale.
Descritto in questi termini, potreste pensare di essere dei burattini nelle mani di pochi burattinai, di non essere liberi. La mia breve militanza in un movimento giovanile mi ha portato a conoscere la vera politica e presto l’ardore politico si è affievolito, l’utopia si è trasformata in realismo e, probabilmente, l’indifferenza ha colpito anche me. Lo scorso weekend al cinema, mentre guardavo il film “Le idi di Marzo”, oltre ad apprezzare il fascino di George
Clooney, ho pensato a come la politica in generale sia un vero e proprio “movie”, come direbbero gli americani. Sorrisi finti e capelli brillantinati, la giusta inquadratura e… ciak: si gira! Ho sempre pensato che la politica debba essere al servizio del popolo: in realtà è solo un insieme di intrighi e sotterfugi, di bastoni fra le ruote e di competizione malata. Il tutto per guadagnarsi l’inquadratura migliore, il ruolo di protagonista. Pur di restare sul palcoscenico immuni dalle proprie vicende private si risolvono problemi ingombranti con aborti o persino suicidi. Ho pensato agli scandali sessuali degli ultimi mesi, alle lacrime della Fornero, alle risate beffarde della Merkel e Sarkozy, e mi sono chiesta: facciamo anche noi parte di questo grande film? Siamo anche noi tra le nomination agli Oscar? Molti di voi penseranno che questi sono discorsi detti e ridetti; saranno ormai assuefatti e forse un po’ annoiati. Saranno tentati di cambiare articolo, di voltare pagina. La solita indifferenza dinanzi alla politica: il vero problema, la causa dei nostri polsi legati. Ripenso al mio fervore passato e al mio attuale disinteresse. La vera risposta non è il disinteresse, ma la partecipazione: ricerca, informazione, critica, espressione. Perché, come diceva il celeberrimo Giorgio Gaber: “libertà è partecipazione”.
IL PESO DEI RICORDI mariella cuocci
“Passeranno i ricordi del cuore e le strette di mano, chi si lega ai ricordi si sa non può andare lontano.” (Nel bene e nel male - Fabrizio de Andrè).
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’ proprio vero che nulla, nella vita, accade per caso. Quando ho ascoltato le parole di questa stupenda canzone di de Andrè riflettevo proprio sul ruolo dei ricordi e sul peso che questi hanno nella nostra esistenza. Si sa che i ricordi più belli ci aiutano a strappare un sorriso nei momenti difficili e ci ricordano che siamo stati felici e che probabilmente lo saremo ancora. I ricordi più tristi, invece, testimoniano la nostra vulnerabilità e ci mettono spesso in guardia dal ripetere gli stessi errori in futuro. Detto così, sembra quindi che i ricordi abbiano un ruolo e un peso fondamentalmente positivo nella nostra vita e non a caso li custodiamo gelosamente. Tuttavia c’è un rischio. Il rischio è che il peso dei nostri ricordi diventi
talmente pesante da immobilizzarci e ingabbiarci in un passato che ci impedisce di guardare al presente e soprattutto al futuro. “Chi si lega ai ricordi si sa non può andare lontano” nel senso che non possiamo vivere di ricordi, non possiamo pensare di legarci a questi per paura di cosa ci riserverà il presente o il futuro. La vita è un percorso in salita, ogni passo ci insegna qualcosa, bello o brutto che sia, ma non possiamo rimanere fermi o immobili in maniera nostalgica, dobbiamo andare avanti, continuare a salire. Ogni tanto ci potrà capitare di guardarci indietro ma solo per vedere quanta strada abbiamo percorso e quanta ancora, quindi, ne dobbiamo fare. Buon cammino a tutti…sempre in salita!
8 DIVERSAMENTE NORMALI maria teresa mirante
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eggere Alda Merini è qualcosa che ti interroga, a volte inquieta, spesso provoca. È un viaggio in una vita e una mente che invano psichiatri e istituzioni hanno tentato di classificare, inscatolare dietro etichette molto scientifiche e poco umane e chissà poi con quale diritto e che risultati. Delirii, quelli della poetessa, che sapevano di un passato lontano, di un qualcosa che le è mancato, qualcosa che le era dovuto e di cui è stata privata. Affetto, fiducia, rispetto, la possibilità di vivere un amore al di là del tempo e dello spazio, con un poeta come lei, un marito dal quale è stata allontanata per volere altrui, ancor prima che la sua vita finisse e la malattia lo consumasse: questo le è mancato ma i dottori non l’hanno capito. Delirio Amoroso è la biografia di una donna sola, che sfrutterà a sua volta un ospedale psichiatrico come rifugio da una vita che non le appartiene più. Un libro parabola di un’anima segnata dalla vita, da quella povertà che non le ha permesso di crescere le proprie figlie, da quei pregiudizi che non le hanno concesso di stare accanto a suo marito negli ultimi istanti della sua vita, da quel male di vivere che ha tanti nomi diversi, nevrosi, depressione, follia ma che ha solo un padre: la solitudine. Una solitudine che Alda ha combattuto solo con un’arma, la più soave e la più tagliente: la poesia, l’unica a non averla mai abbandonata, testimone immobile, insieme ad un Dio onnipresente nel suo silenzio, degli orrori e degli errori della psichiatria, dell’uomo e della storia. Una storia che, come troppo spesso accade, riconosce e riscatta i grandi solo quando non ci sono più, comprendendo quanto fossero solo diversamente normali.
LUCEeVITA GIOVANI leggi e commenta su www.lucevitagiovani.it L’inserto è curato da : Vincenzo di Palo, Responsabile. Silvia Ayroldi, Vincenzo Bini, Mauro Capurso, Mariella Cuocci, Gian Paolo de Pinto, Giuseppe Mancini, Annarita Marrano, Fedele Marrano, Francesca Messere, Manlio Minervini, Maria Teresa Mirante, Antonio Tamborra, Giusy Tatulli, Carmela Zaza. Grafica: Valentina de Leonardis, Gian Paolo de Pinto. Collaboratori allestimento: Donato Magarelli, Milena Soriano