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12 GENNAIO 2015

Cualacino Beda Romano

L’UCRAINA CHIEDE AIUTO A BRUXELLES. «SERVONO 10 MILIARDI DI EURO»

La crisi in Ucraina continua ad avere gravi ripercussioni politiche ed economiche. Mentre l’Unione Europea sta lavorando a nuove sanzioni contro la Crimea, la penisola oggetto di annessione da parte della Russia, oggi il primo ministro ucraino Yarseni Yatsenyuk ha chiesto un nuovo pacchetto di aiuti finanziari. La richiesta è giunta sulla scia di una simile presa di posizione di un rappresentante del presidente Petro Poroshenko. «Sì abbiamo bisogno di nuovi soldi – ha affermato in una conferenza stampa questa sera lo stesso Yatsenyuk, ricordando la grave recessione che l’Ucraina è chiamata ad affrontare –. Abbiamo fatto molto per rimettere ordine nell’economia, tagliando posti di lavoro, aumentando il gettito fiscale, abolendo privilegi

(…) L’Ucraina ha bisogno di un nuovo pacchetto di aiuti finanziari. Ci aspettiamo alla luce della nostra agenda di riforme di riceverlo».

«Senza nuove risorse non potremo far fronti ai buchi di bilancio», ha precisato da Kiev Valeriy Chaly, un rappresentante del presidente Poroshenko. «Stiamo discutendo» con possibili donatori internazionali «l’ammontare di cui l’Ucraina ha bisogno per adottare riforme economiche ed evitare il fallimento, così come la tempistica di questo sostegno. Non posso dire l’esatto ammontare, ma direi 10 miliardi di dollari. Altrimenti sarà molto, molto difficile risolvere la questione».

ha perso il 48% del suo valore contro il dollaro proprio mentre un primo pacchetto di aiuti internazionali da 17 miliardi di dollari si sta dimostrando insufficiente per rimettere ordine nell’economia nazionale. L’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha incontrato questa sera Yatsenyuk, che è a Bruxelles accompagnato da alcuni ministri economici e finanziari.

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La crisi in Ucraina è sempre molto grave. La moneta nazionale grivnia

ILVA: ADDETTI IN SCIOPERO, GRU ANCORA BLOCCATE

All’Ilva di Taranto continuano a restare bloccate, per lo sciopero degli addetti, le gru del secondo e quarto sporgente marittimo dopo il crollo improvviso, giovedì sera, di uno degli impianti, finito in parte in mare. Su decisione di Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm Uil e Usb, la fermata è infatti prorogata sino alle 7 di domattina e adesso c’è il rischio che l’Ilva, non avendo continuità di materie prime per la produzione - minerali e fossili vengono infatti scaricati dalle navi con le gru -, possa decidere di rallentare l’attività di altiforni e acciaierie con ripercussioni sul personale. Un rischio, questo, che l’azienda ha già evidenziato sabato pomeriggio, quando la situazione agli sporgenti cominciava a radicalizzarsi.

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Paolo Bracalini

Un animo sensibile non solo ai milioni da lucrare su rom e clandestini o agli appalti facili grazie agli amici in Campidoglio, ma anche al tema della donna nella società, davvero molto sentito dal sodale del «Cecato». Sempre, beninteso, che a farne uno spettacolo fosse qualche esponente del salottino intellettuale romano di marca Pd (ex veltroniani), quell’asse di ferro descritto anche da Bernardo Caprotti nel suo illuminante Falce e carrello - tra partito, coop, amministrazioni amiche, Cgil e poi anche artisti e intellettuali inseriti nel sistema. Così Serena Dandini, già veltroniana nella RaiTre in quota Pd, quando cerca sponsor per il suo spettacolo sulla violenza contro le donne, Ferite a morte, trova subito una schiera di coop rosse che fanno a gara per sostenerla: Coop Centro Italia, Unipol, Coop Adriatica, Coop Lombardia, Legacoop Veneto, Coop Estense, Coop Novacoop, Legacoop Fvg. E tra queste non poteva mancare, come racconta il sito Qelsi.it, la potente Coop 29 Giugno di Buzzi, iscritto al Pd e ras degli appalti al Comune di Roma. Quello che dice «Me li sto a comprà tutti, semo diventati grandi», appena fiuta l’occasione per stringere il legame col sistema di potere Pd ci si tuffa di testa, da buon uomo di a Roma, contino più di tutto per fare i soldi.

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IL BOSS FINANZIAVA GLI SPETTACOLI

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LA DENUNCIA DEL SINDACATO DI POLIZIA «Le grandi città, come Milano, Bologna e Trento, hanno fatto registrare anche nel 2014 un aumento significativo dei reati: le denunce per scippi ed estorsioni sono incrementate a Milano rispettivamente, del 16,7% e del 9,1%, mentre a Bologna nel secondo semestre 2014 le rapine sono cresciute del 10%. A Trento +15% per i furti. Non va meglio nelle piccole realtà, basti pensare che ad Arezzo lo scorso anno c’è stata una rapina ogni 4 giorni mentre a Cuneo le rapine sono aumentate del 42%. Incremento furti anche a Siracusa con un + 7%». Lo afferma Gianni Tonelli, segretario generale del Sap, che cita cifre elaborate dall’ufficio studi del sindacato sulla base di dati ufficiali del Viminale e delle altre

POPVICENZA: PER NOI COEFFICIENTI PIÙ BASSI Claudio Gatti Nell’articolo pubblicato in data 09.01.2015 dal titolo Bce scrive alle banche: soglie di capitale più alte, a firma di Claudio Gatti si legge: “Per la Popolare di Vicenza l’asticella” della soglia del “coefficiente patrimoniale minimo da rispettare” fissata dalla Bce in una Draft Capital Decision (provvisoria e come tale riservata) “è stata alzata oltre l’11,6%”. Banca Popolare di Vicenza, pur nel rispetto dell’obbligo di riservatezza verso la Bce precisa che la circostanza non corrisponde a verità e segnala che il target indicatole è ampiamente inferiore. Nell’articolo si riferisce che la fonte della notizia sarebbe “la copia di una” delle lettere inviate dalla Bce ad una (non meglio individuata) delle 15 banche italiane vigilate. Deve escludersi che la copia in questione possa essere quella indirizzata a Banca Popolare di Vicenza, perché ciò significherebbe che è stata intenzionalmente fornita ai lettori de Il Sole 24 Ore una notizia non veritiera. Peraltro, dalla copia indirizzata ad un’altra banca, non può ritenersi idoneamente verificato l’asserito dato relativo a Banca Popolare di Vicenza, che ivi non sarebbe riportato, tanto più in riferimento al raffronto con un non riscontrabile valore “medio al 10,5 per cento”. Lo scrupolo nella presentazione di dati, in particolare se sensibili, sta a cuore tutti noi giornalisti. Mi devo quindi scusare per un’imprecisione – di cui mi faccio carico in prima persona - nel mio articolo sulla lettera che la BCE ha inviato alle banche riguardo alle nuove soglie dei coefficienti patrimoniali.

La protesta era scattata dopo l’incidente nel quale sono rimasti coinvolti due dipendenti, entrambi dipendenti dell’Ilva, che hanno riportato contusioni. Insieme allo sciopero, anche le richieste dei lavoratori e dei delegati sindacali all’azienda: un immediato controllo sullo stato di efficienza delle gru e il potenziamento dei sistemi di sicurezza. Richieste fatte in considerazione del fatto che a novembre due anni fa, proprio al quarto sporgente, ci fu un gravissimo incidente. Un tornado abbattutosi sul siderurgico divelse una gru e la cabina e l’operatore che vi era dentro, il 29enne Francesco Zaccaria di Taranto, vennero scaraventati in mare. Il corpo senza vita dell’uomo fu recuperato qualche giorno dopo dai sommozzatori dei Vigili del fuoco. Una successiva perizia tecnica disposta dalla Magistratura ha evidenziato che la gru non era crollata tanto per gli effetti del tornado, quanto per l’assenza di misure di salvaguardia e di dispositivi di protezione. L’incidente del novembre 2012 è poi finito tra i capi di imputazione del processo “Ambiente Svenduto” che vede sotto accusa vertici societari e dirigenti dell’Ilva, processo per il quale oggi si tiene un’altra udienza a Taranto davanti al gup Wilma Gilli.

Domenico Palmiotti

UNA CURA DIMAGRANTE PER NOVE AUTORITÀ Valeria Uva Le Autorità di garanzia si mettono a dieta. Negli ultimi mesi del 2014 hanno, infatti, imposto un giro di vite sulle spese per le consulenze, su quelle per il trattamento accessorio dei dipendenti, sui costi per il funzionamento degli uffici e per il reclutamento di nuovo personale. La partita non è, però, chiusa: restano da centrare altri obiettivi, come il taglio ai costi per le sedi, razionalizzando le spese di quelle secondarie, e un’ulteriore restrizione sui consulenti esterni.

Sono le conseguenze della legge Madia di riforma della pubblica amministrazione - Dl 90/2014, convertito dalla legge 114 - che con l’articolo 22 ha richiamato le Authority a una maggiore austerità. Ed è così che nell’ultimo semestre dello scorso anno nove Autorità Anticorruzione, Comunicazioni, Antitrust, Consob, Covip, Energia, Privacy, Sciopero

SILENZIO-ASSENSO PER Si precisa che la del silenzio TUTTE LE PA disciplina assenso riguarda tutte Giorgio Pagliari

forze,dell’ordine. «Si tratta di dati che devono far riflettere - dice Tonelli - e che devono soprattutto far comprendere a chi ha responsabilità politiche e di Governo che così non possiamo andare avanti. Purtroppo anche l’ultima legge di stabilità “massacra” donne e uomini in divisa con tagli pesanti che incidono su organici, mezzi e strutture, senza contare l’ormai prossima chiusura di 251 presidi di polizia. I tagli agli organici,

in particolare, si riflettono soprattutto nei settori operativi: l’assenza di 18.000 operatori nella sola Polizia di Stato e di 40.000 uomini in tutte le Forze dell’Ordine debilita fortemente il potere di prevenzione e quello di repressione dell’apparato della sicurezza». «Non parliamo poi - conclude il leader del Sap - dei problemi legati al codice penale e alla procedura penale, oltre alle previsioni contenute nella legge delega 67/2014 depenalizzazione.

le amministrazioni pubbliche (e quindi non solo quelle statali). Inoltre, si prevede che, ai fini dell’acquisizione di assensi o concerti su provvedimenti normativi e amministrativi, è sufficiente che tali schemi di provvedimenti siano «corredati della relativa documentazione».

Il pacchetto di emendamenti al Ddl Madia depositati giovedì dal relatore, Giorgio Pagliari, tocca anche gli articoli 3 e 4 in tema di silenzio assenso e certificazioni di inizio attività. Sull’acquisizione di assensi e concerti, la modifica presentata «punta a scoraggiare rilievi capziosi da parte delle amministrazioni, che non dovranno più sindacare se l’atto trasmesso è compiutamente istruito o meno, e quindi rimandarlo indietro se non lo è. Nel pezzo ho scritto che “per la Popolare di Vicenza l’asticella è stata alzata oltre l’11,6 (per cento).” Quello che avrei dovuto scrivere è “circa l’11 (per cento)”.

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e Trasporti - si sono dovute impegnare a limare i bilanci. Già a inizio luglio c’era il primo traguardo da centrare: la riduzione di non meno del 20% del trattamento accessorio di tutto

il personale, inclusi i dirigenti. La base su cui agire è risultata variegata, perché si va dai 560 dipendenti della Consob ai 30 della Commissione di garanzia per lo sciopero (numero analogo all’Autorità dei Trasporti, con 31 addetti), passando per i 312 delle Comunicazioni, i 292 dell’Anticorruzione, i 276 dell’Antitrust, i 141 dell’Energia, i 113 della Privacy e i 64 della Covip. I risparmi ottenuti sono, dunque, differenziati e, in alcuni casi, risentono anche di politiche di spending review autonome attuate in questi ultimi anni. Nel bilancio 2014 i tagli si sono fatti sentire ma solo parzialmente, perché limitati all’ultimo semestre, ma a partire da quest’anno avranno effetto pieno.

NORMAN ATLANTIC, TERZA ISPEZIONE MENTRE IL TRAGHETTO BRUCIA ANCORA Continuano le indagini sul disastro Norman Atlantic, il traghetto prima in fiamme e poi alla deriva nell’Adriatico sulla rotta Igoumenitsa-Ancona. Mentre il comandante Argilio Giacomazzi ripete di avere «la coscienza tranquilla» e si dice «profondamente addolorato per le persone» che non ha potuto salvare (le vittime accertate sono 11) si è svolto il terzo sopralluogo all’interno del relitto attraccato alla banchina costa Morena Nord del porto di Brindisi. All’interno del traghetto vi sono ancora focolai e gli incendi «proseguiranno probabilmente per

alcune settimane, la combustione è lenta», ha fatto sapere il comandante dei vigili del fuoco di Brindisi, Michele Angiuli, al termine della nuova ispezione. Il fenomeno di combustione, infatti, a quanto spiegato da Angiuli, si rigenera con l’ingresso di ossigeno all’apertura dei locali. Sono stati ispezionati i ponti sei e quattro e parte del terzo ponte. È stato possibile l’accesso a parte del garage dove sono stati individuati i mezzi andati completamente distrutti. Non è ancora possibile rilevare al momento tracce di corpi: «Bisognerà ispezionare ogni singolo mezzo», ha riferito il comandante.


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C’È LA GUERRA FREDDA TRA ARABIA SAUDITA E IRAN DIETRO IL CROLLO DEL PETROLIO All’ultimo

vertice

Opec

così

divisa

politicamente.

Le

sauditi

essere

circondati

Roberto tenutosi a Vienna, l’Arabia primavere arabe hanno travolto dall’offensiva sciita orchestrata Bongiorni Saudita si è trovata davanti regimi, innescato feroci guerre, dall’Iran – sono dunque cambiato la geopolitica del Golfo. comprensibili. a un amaro dilemma: tagliare la produzione petrolifera per far risalire i prezzi, agevolando però gli altri produttori esterni al Cartello, e soprattutto beneficiando l’industria dello shale oil americana, oppure lasciarla invariata, affidando ai mercati, come ha sottolineato l’anziano ministro saudita del petrolio Ali al Naimi, il compito di riequilibrare il prezzo. Una mossa, quest’ultima, che avrebbe consentito a Riad di mantenere al contempo la propria quota di mercato.

La mossa saudita I sauditi da tempo sanno perfettamente che nel mondo c’è un eccesso di offerta. Ed erano altrettanto consapevoli che, se non avessero subito annunciato un vigoroso taglio produttivo, le quotazioni del barile sarebbero precipitate. Come infatti è avvenuto. Il desiderio di mettere in difficoltà lo shale oil e non perdere quote di mercato in favore dei rivali è la spiegazione più immediata, ma probabilmente non la sola. C’è un altro aspetto, passato in ombra, che, forse, è ancor più determinante. Poche volte nella sua storia, l’Opec è stata

OBAMA MINACCIA DI RIMETTERE LA COREA DEL NORD NELLA LISTA DEI PAESI TERRORISTI. Mario Platero La Cina, a cui gli Usa avevano chiesto aiuto per contrastare i pirati informatici nordcoreani, ha condannato l’attacco alla Sony Pictures, ma senza accusare esplicitamente l’alleato Pyongyang. In una nota, il ministero degli Esteri ha sottolineato la sua contrarietà a «qualsiasi forma di terrorismo telematico». Parole ripetute dal capo della diplomazia cinese Wang Yi in un colloquio telefonico con il collega americano John Kerry. «La Cina si oppone a qualsiasi Paese o individuo.

Che utilizza installazioni di altri Paesi per attaccarne un terzo», continua la nota diffusa da Pechino, che per la prima volta si pronuncia sull’attacco del 24 novembre che bloccò l’uscita nelle sale del film The Interview, commedia satirica sul leader nordcoreano Kim Jong-un. L’America cercherà di congelare ricchissimi conti esteri della leadership nordcoreana in ritorsione all’attacco alla Sony. Secondo fonti informate vicine alla Casa Bianca, ormai trasferita alle Hawaii per le vacanze natalizie, la decisione prevale su quella di un contrattacco informatico che metterebbe gli Usa sullo stesso piano della Corea del

Nord e soprattutto potrebbe rivelare i segreti dell’arsenale “digitale” in possesso degli Stati Uniti per un caso che riguarda un film e un’azienda, la Sony. Ma la tensione è forte oggi in America dopo l’attacco di venerdì del presidente Obama contro la Sony per aver ceduto ai terroristi e per aver ritirato il film dalle sale senza «chiedermi consiglio. Se lo avessero fatto gli avrei detto di tenere duro». Ma la Sony ha contrattaccato: ha rivelato di aver chiamato la Casa Bianca ma di non aver avuto risposta. Ci sono a questo punto tre ordini di problemi. Il primo è quello della ritorsione contro la Corea del Nord.

SOUTH STREAM, MOSCA: PROGETTO DEFINITIVAMENTE CHIUSO. SFUMA BUSINESS DA 14 MILIARDI Il progetto per la realizzazione del gasdotto South Stream è «assolutamente chiuso in maniera definitiva». Lo ha detto l’amministratore delegato del gigante russo del gas Gazprom, Alexiei Miller, in un’intervista all’emittente Rossia-1, esplicitando quanto già annunciato pochi giorni fa dal presidente russo Vladimir Putin. Tramonta, quindi, il progetto di portare il gas russo verso l’Ue aggirando l’Ucraina, nato più per ragioni politiche che economiche e - secondo vari esperti - diventato un peso per il Cremlino nel momento in cui il Paese cammina pericolosamente sull’orlo di una nuova recessione, considerata probabile già nel 2015. E in vista della riunione del 9 dicembre tra Commissione Ue e Stati membri dell’Ue, confermata malgrado il dietro front russo, da Mosca arrivano messaggi poco incoraggianti. «Il presidente russo ha approfittato del momento di tensione con l’Europa per mettere in stand by un piano supercostoso», spiega ad Askanews una fonte vicina al governo russo, «in questo senso, sì, come ha detto Juncker, la palla è nel nostro campo, ma l’Ue non potrà giocare alle sue condizioni, se dovesse ripartire la partita. Cosa che non è affatto probabile, sul breve o medio termine. La cancellazione del progetto per la Russia - e in diversa misura per gli azionisti del consorzio South Stream, Eni, Edf e Wintershall - significa non dover investire enormi somme in una condotta che, sostanzialmente, è stata pensata per ragioni politiche, per

sostituire il transito del gas russo sul territorio ucraino. Un progetto dai costi esorbitanti: solo per la parte offshore, dalla cittadina russa di Anapa lungo i fondali del Mar Nero, era previsto un investimento di almeno 14 miliardi di euro, più altri 9,5 miliardi per la tratta «europea», dalla costa bulgara sino all’Austria. Un bel risparmio, insomma, per le casse russe, si concorda da più parti. «La principale ragione per l’inversione di rotta di Putin sono i soldi», commenta anche l’Economist, facendo notare che il vero problema russo è rappresentato dai prezzi bassi del petrolio e relative basse entrate. In più «il colosso dell’energia statale Gazprom non ha mai amato questo progetto», proprio perché poco difendibile dal punto di vista economico. I Paesi dell’Europa che avrebbero dovuto partecipare, invece, stanno già facendo i calcoli in termini di perdite. La Bulgaria ha fatto notare che i mancati proventi dal transito della via del gas che non si farà sono di almeno 400 milioni l’anno, cifra ragguardevole per il Paese più povero dell’Ue. L’italiana Saipem, che aveva ottenuto due contratti per 2,4 miliardi di euro relativi a due linee del gasdotto e che ieri ha ricevuto la notifica della cancellazione del progetto, deve mettere in conto 1,25 miliardi di mancati ricavi, ha avvertito l’ad Umberto Vergine. I Paesi balcanici, Serbia in primis, sono da parte loro disperati dall’idea di perdere sia i proventi dal transito che quelli

prospettati da Mosca per lo stoccaggio del gas. in vista della riunione del 9 dicembre tra Commissione Ue e Stati membri dell’Ue, confermata malgrado il dietro front russo, da Mosca arrivano messaggi poco incoraggianti. «Il presidente russo ha approfittato del momento di tensione con l’Europa per mettere in stand by un piano supercostoso», spiega ad Askanews una fonte vicina al governo russo, «in questo senso, sì, come ha detto Juncker, la palla è nel nostro campo, ma l’Ue non potrà giocare alle sue condizioni, se dovesse ripartire la partita. Cosa che non è affatto probabile, sul breve o medio termine. La cancellazione del progetto per la Russia - e in diversa misura per gli azionisti del consorzio South Stream, Eni, Edf e Wintershall - significa non dover investire enormi somme in una condotta che, sostanzialmente, è stata pensata per ragioni politiche, per sostituire il transito del gas russo.

ANDREA FAUSTINI, L’IMMIGRATO DI TALENTO CHE SBANCA X FACTOR A LONDRA Sarà per gli amati carlini, cagnetti dal profilo infelice , sarà per l’aspetto rotondo da antidivo, sarà per la parlata romana ben camuffata nell’eccellente british accent o sarà solo per quel portento di voce, ma Andrea Faustini spopola. L’eroe di X Factor in Gran Bretagna, fucina di talenti divenute pop star a Londra e dintorni, è sempre più lui, il ventenne studente universitario specialista in cinese e coreano. È arrivato in semifinale sull’onda di un forte sostegno popolare e la sponsorizzazione della ex Spice Girl, Mel B. Lei, artisticamente lo adora e lui la ricambia al punto da aggirarsi con una bambola dedicata alla cantante. La storia di Andrea Faustini sbatte con le cronache dell’immigrazione italiana nel Regno Unito, un flusso continuo di studenti e non a caccia di qualifiche e occupazione nella città che David Cameron ha definito “una fabbrica di posti di lavoro”. Cronache non sempre a lieto fine, in realtà, perchè le opportunità si alternano a dolorose frustrazioni. Per Andrea, il destino ha

riservato qualcosa di molto diverso. Il successo è stato immediato e ora conferma di prolungarsi nel tempo. La competizione con alcuni fra i migliori talenti della musica nel Paese che della musica pop è patria incontrastata, è andata avanti verso la finale dopo un week end – otto giorni fa – in cui sembrava tutto perduto. È stato costretto a battersi in un testa a testa per evitare l’eliminazione e c’è riuscito sbarcando ai quarti. Fra sabato e domenica un altro balzo in avanti, quello più atteso. È arrivato in semifinale sulla scia di un fortissimo consenso.

E soprattutto hanno dato il via a un conflitto aperto tra il blocco sciita, guidato dalla potenza iraniana, e quello sunnita, dove sono presenti anche il Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, ma in cui Riad è la potenza incontrastata. Potenze regionali in competizione Iran e Arabia Saudita ambiscono entrambe ad assumere il ruolo di potenza regionale del Golfo Persico. Entrambi sono invischiati nel conflitto in Siria e in altri teatri di guerra minori. Insomma tra Riad e Teheran è in corso una guerra fredda. L’Iran sostiene il regime siriano del presidente Bashar al Assad, l’Arabia da tempo ne chiede la caduta. In Bahrein la primavera sciita aveva riscosso le simpatie dell’Iran, ma spinto Riad a intervenire con il suo esercito per domare la rivolta. In Yemen, altro Paese confinante con l’Arabia, la rivolta del movimento sciita Houthi, sponsorizzati dall’Iran, è stata travolgente ed ha portato alla conquista della capitale Sanah. In Libano il blocco sunnita è stato spesso messo nell’angolo dalla forza degli Hezbollah libanesi, grandi alleati di Teheran. Per non aprlare del vicino Iraq, una potenza petrolifera governata da un Esecutivo sciita le cui relazioni con Teheran sono decisamente buone. Il maggior timore dei

Petrolio come arma politica Usare il petrolio come arma politica e di rappresaglia contro il rivale Iran è quindi un’opzione che non è sfuggita a Riad. Anche se in misura minore, l’Iran soffre di un virus comune a molti paesi esportatori dell’Opec: la petrodipendenza: dagli idrocarburi infatti ricava il 60% del suo export in valore e il 25% del Pil. Un prezzo così basso del greggio, come quello attuale, rischia di mettere in ginocchio l’economia iraniana, già in grave affanno per le sanzioni internazionali e per le ingenti somme spese per sostenere gli alleati nel conflitto siriano. Basti pensare che per centrare il suo budget 2015 dovrebbe aver bisogno di una quotazione del greggio a 130, 7 dollari, quasi il doppio degli attuali valori.

AGENZIA ONU PER L’AMBIENTE: «SÌ ALLA CRESCITA MA È ALTO IL COSTO PER LE EMISSIONI» Roberto L’America Latina è cresciuta a tassi molti sostenuti per un decennio; Brasile, Argentina e altri Paesi della regione hanno inanellato record simili a quelli cinesi. Poi, negli ultimi due anni, la frenata del Pil è stata forte. In alcuni casi un vero e proprio hard landing. Quello attuale, secondo gli economisti, è il momento di riprogrammare la ripartenza, ma anche di ponderare le conseguenze ambientali dello sviluppo. I dati dell’ultimo rapporto del programma dell’Onu per l’ambiente (Gap emissions report 2014) sono allarmanti: uno degli economisti che ha lavorato al rapporto, Simone Lucatello, spiega al Sole-24Ore che la domanda energetica della regione latinoamericana dovrebbe cescere a una media del 3% all’anno con una tendenza all’aumento delle emissioni in un intervallo tra il 6 e il 10% nei prossimi 30 anni se non verranno attuate forti politiche di riduzione di gas serra nell’immediato. Gli scenari dello studio prevedono poi che la regione, giá vittima di convulsioni climatiche, potrebbe rilevare

Da Rin

cambiamenti compresi tra 1 a 4 gradi centigradi la propria temperatura nel 2050, con gravi conseguenze per l’agricoltura e le zone costiere a causa dell’aumento della siccitá da un lato e dalle precipitazioni piovose intense dall’altro (uragani). Inoltre la crescita economica dei paesi latinaomericani puó avere forti ripercussioni sul clima del pianeta se non viene accompagnata da politiche ambientali sostenibili. A Lima, durante la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, é stato raggiunto un accordo globale sulla riduzione delle emissioni serra; tuttavia, la regione latinoamericana presenta dati preoccupanti sull’aumento di emissioni proveniente dai processi di crescita industriale e dalla deforestazione. Per questo è urgente che l’America Latina viri verso modelli di economia verde che siano ambientalmente compatibili con la conservazione del patrimonio naturale della regione). La regione assiste ancora a gravi disastri ambientali dovuti ai modelli di crescita estrattivi, a esempio in Messico (con il fracking – fratturazione idraulica.

SILENZIO-ASSENSO PER TUTTE LE PA Si precisa che la disciplina del silenzio assenso riguarda tutte le amministrazioni pubbliche (e quindi non solo quelle statali). Inoltre, si prevede che, ai fini dell’acquisizione di assensi o concerti su provvedimenti normativi e amministrativi, è sufficiente che tali schemi di provvedimenti siano «corredati della relativa documentazione».

Il pacchetto di emendamenti al Ddl Madia depositati giovedì dal relatore, Giorgio Pagliari, tocca anche gli articoli 3 e 4 in tema di silenzio assenso e certificazioni di inizio attività. Sull’acquisizione di assensi e concerti, la modifica presentata «punta a scoraggiare rilievi capziosi da parte delle amministrazioni, che non dovranno più sindacare se l’atto trasmesso è compiutamente istruito o meno, e quindi rimandarlo indietro

Giorgio Pagliari

se non lo è. Nel pezzo ho scritto che “per la Popolare di Vicenza l’asticella è stata alzata oltre l’11,6 (per cento).” Quello che avrei dovuto scrivere è “circa l’11 (per cento)”. Si precisa che la disciplina del silenzio assenso riguarda tutte le amministrazioni pubbliche (e quindi non solo quelle statali). Inoltre, si prevede che, ai fini dell’acquisizione di assensi o concerti su provvedimenti normativi e amministrativi, è sufficiente che tali schemi di provvedimenti siano «corredati della relativa documentazione». Il pacchetto di emendamenti al Ddl Madia depositati giovedì dal relatore, Giorgio Pagliari, tocca anche gli articoli 3 e 4 in tema di silenzio assenso e certificazioni di inizio attività. Sull’acquisizione di assensi e concerti, la modifica presentata «punta a scoraggiare rilievi capziosi da parte delle amministrazioni, che non dovranno più sindacare se l’atto trasmesso è compiutamente istruito o meno, e quindi rimandarlo indietro se non lo è. Ma si dovrà solo prendere in considerazione la documentazione trasmessa», spiega Giorgio Pagliari. Anche l’emendamento sull’inizio attività punta a semplificare il quadro normativo: «Si intende cioè favorire la predisposizione di una nuova disciplina delle attività che i soggetti privati possono iniziare immediatamente, senza la preventiva autorizzazione dei pubblici poteri - aggiunge Pagliari -. Del resto, è ormai principio acquisito che la Pa non è più autoritativa, ma controlla ex post l’iniziativa una volta avviata». I lavori in commissione Affari costituzionali del Senato sul Ddl Madia (16 articoli per 10 deleghe) riprenderanno la settimana prossima. La commissione Bilancio ha emanato i pareri sugli emendamenti fino all’articolo 5. Il relatore ha annunciato la presentazione di ulteriori emendamenti, concordati con il Governo, e, da quanto si

apprende, l’intenzione è di chiudere l’esame del provvedimento entro metà/fine febbraio (elezione del nuovo Capo dello Stato permettendo). Nel nuovo pacchetto di emendamenti annunciato da Pagliari l’attesa è tutta per le correzioni sui temi più delicati, e più volte citati dal premier Renzi, del licenziamento disciplinare e della riorganizzazione della dirigenza. Tra le altre modifiche presentate giovedì dal relatore spicca anche la riscrittura dell’articolo 1 del Ddl che delega l’Esecutivo a modificare e integrare il codice dell’amministrazione digitale, secondo principi di semplificazione e razionalizzazione. In particolare, si sottolinea la necessità di definire il livello minimo di qualità, fruibilità, accessibilità e tempestività dei servizi online delle pubbliche amministrazioni e di garantire la disponibilità di connettività a banda larga, e l’accesso alla rete internet presso tutti gli uffici pubblici. I lavori in commissione Affari costituzionali del Senato sul Ddl Madia (16 articoli per 10 deleghe) riprenderanno la settimana prossima. La commissione Bilancio ha emanato i pareri sugli emendamenti fino all’articolo 5. Il relatore ha annunciato la presentazione di ulteriori emendamenti, concordati con il Governo, e, da quanto si apprende, l’intenzione è di chiudere l’esame del provvedimento entro metà/fine febbraio (elezione del nuovo Capo dello Stato permettendo). Nel nuovo pacchetto di emendamenti annunciato da Pagliari l’attesa è tutta per le correzioni sui temi più delicati, e più volte citati dal premier Renzi, del licenziamento disciplinare e della riorganizzazione della dirigenza.

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L’UCRAINA CHIEDE AIUTO A BRUXELLES. «SERVONO 10 MILIARDI DI EURO»

La crisi in Ucraina continua ad avere gravi ripercussioni politiche ed economiche. Mentre l’Unione Europea sta lavorando a nuove sanzioni contro la Crimea, la penisola oggetto di annessione da parte della Russia, oggi il primo ministro ucraino Yarseni Yatsenyuk ha chiesto un nuovo pacchetto di aiuti finanziari. La richiesta è giunta sulla scia di una simile presa di posizione di un rappresentante del presidente Petro Poroshenko.

«Sì abbiamo bisogno di nuovi soldi – ha affermato in una conferenza stampa questa sera lo stesso Yatsenyuk, ricordando la grave recessione che l’Ucraina è chiamata ad affrontare –. Abbiamo fatto molto per rimettere ordine nell’economia, tagliando posti di lavoro, aumentando il gettito fiscale, abolendo privilegi (…) L’Ucraina ha bisogno di un nuovo pacchetto di aiuti finanziari. Ci aspettiamo alla luce della nostra agenda di riforme di riceverlo».

di bilancio», ha precisato da Kiev Valeriy Chaly, un rappresentante del presidente Poroshenko. «Stiamo discutendo» con possibili donatori internazionali «l’ammontare di cui l’Ucraina ha bisogno per adottare riforme economiche ed evitare il fallimento, così come la tempistica di questo sostegno. Non posso dire l’esatto ammontare, ma direi 10 miliardi di dollari. Altrimenti sarà molto, molto difficile risolvere la questione».

La crisi in Ucraina è sempre molto grave. La moneta nazionale grivnia ha perso il 48% del suo valore contro il dollaro proprio mentre un primo pacchetto di aiuti internazionali da 17 miliardi di dollari si sta dimostrando insufficiente per rimettere ordine nell’economia nazionale. L’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha incontrato questa sera Yatsenyuk, che è a Bruxelles accompagnato da alcuni ministri economici e finanziari.

L’ipotesi di concedere un ulteriore sostegno economico all’Ucraina è scelta delicata. Da un lato, i Ventotto «Senza nuove risorse non potremo far fronti ai buchi dovranno soppesare ragioni umanitarie e considerazioni politiche, chiedendosi se nuovi aiuti non rischino di rivelarsi una giustificazione per non modernizzare Beda il paese. Dall’altro, la decisione di concedere nuovi potrebbe peggiorare i rapporti euro-russi, tenuto Romano aiuti conto che Mosca riterrebbe la scelta controversa, considerando l’Ucraina un paese nella sua zona d’influenza. La signora Mogherini sarà a Kiev questa settimana per discutere nuovamente con i rappresentanti dell’establishment ucraino, e toccare con mano la situazione nel paese, che nella parte orientale è ancora teatro di una guerra civile tra nazionalisti ucraini e esponenti russofoni. «Il mio obiettivo è discutere come aiutare il paese ad adottare riforme e come possiamo sostenerlo. Farò ai Ventotto una presentazione dei risultati del mio viaggio durante il Consiglio europeo» previsto giovedì e venerdì. Nel frattempo - ha aggiunto la signora Mogherini - proprio oggi i ministri degli Esteri dei Ventotto, riuniti a Bruxelles per un regolare Consiglio degli affari esteri, hanno ribadito di voler introdurre sanzioni contro la Crimea, la penisola annessa dalla Russia. «Mi aspetto decisioni definitive, completato il lavoro tecnico, nel corso di questa settimana», ha spiegato un esponente comunitario. Queste misure si aggiungeranno alle sanzioni europee che già oggi colpiscono la Russia. L’associazione dell’Ucraina alla UE non solo comporterebbe esborsi notevoli per sostenere l’economia ucraina ridotta al disastro: aumenterebbe il già abnorme numero di stati membri, allontanando ogni ipotesi di rafforzamento dell’Unione in senso federale; comporterebbe ulteriori contrasti con la Russia: bacino di espansione ad est dell’economia europea; importerebbe nell’Unione un focolaio di guerra civile; darebbe accesso alle istituzioni comunitarie a politici saliti al potere con un golpe e fedeli agli USA, non alla UE. Si da per scontato che la UE abbia interesse ad associare l’Ucraina ma: 1. nessuno ha chiesto il parere dei cittadini europei; 2. l’ingresso danneggerebbe obiettivamente l’Unione; 3. la UE non è la Croce Rossa: non ha alcun dovere di associare chiunque ne faccia richiesta. La UE, cioé chi la governa, avrebbe il dovere in primo luogo di difendere gli interessi dei suoi cittadini. Dei cittadini europei, non degli USA. Invece accade il contrario. Si facessero dare i 10 mld dagli americani? Beh, gli americani potrebbero usare i 10 mld che hanno sfilato

ad una banca europea: la BNP Paribas, come multa per aver violato un embargo deciso da loro, non dall’ONU. Ma gli americani mica sono scemi: ordineranno agli europei di provvedere loro alle spese di un’associazione che essi hanno deciso per portare l’Ucraina sotto la loro area di influenza. Lo schema in atto è: i cittadini europei ubbidiscono alla UE la quale ubbidisce agli USA. Se ci ponessimo direttamente agli ordini del dipartimento di stato USA si potrebbe togliere di mezzo l’intermediazione della burocrazia europea: quantomeno si risparmierebbero i non lievi costi per mantenerla, e anche il fastidio di sentirci dettare la misura dei cetrioli. Se li facessero dare dagli Americani,noi Italiani già stiamo sopportando enormi sacrifici e non abbiamo certo nessuna voglia di pagare i debiti degli Ucraini. Renzi prima di fare cavolate ci pensi due volte. «Senza nuove risorse non potremo far fronti ai buchi di bilancio», ha precisato da Kiev Valeriy Chaly, un rappresentante del presidente Poroshenko. «Stiamo discutendo» con possibili donatori internazionali «l’ammontare di cui l’Ucraina ha bisogno per adottare riforme economiche ed evitare il fallimento, così come la tempistica di questo sostegno. Non posso dire l’esatto ammontare, ma direi 10 miliardi di dollari. Altrimenti sarà molto, molto difficile risolvere la questione». La crisi in Ucraina continua ad avere gravi ripercussioni politiche ed economiche. Mentre l’Unione Europea sta lavorando a nuove sanzioni contro la Crimea, la penisola oggetto di annessione da parte della Russia, oggi il primo ministro ucraino Yarseni Yatsenyuk ha chiesto un nuovo pacchetto di aiuti finanziari. La richiesta è giunta sulla scia di una simile presa di posizione di un rappresentante del presidente Petro Poroshenko. «Sì abbiamo bisogno di nuovi soldi – ha affermato in una conferenza stampa questa sera lo stesso Yatsenyuk, ricordando la grave recessione che l’Ucraina è chiamata ad affrontare –. Abbiamo fatto molto per rimettere ordine nell’economia, tagliando posti di lavoro, aumentando il gettito fiscale, abolendo privilegi (…) L’Ucraina ha bisogno di un nuovo pacchetto di aiuti finanziari. Ci aspettiamo alla luce della nostra agenda di riforme di riceverlo». La crisi in Ucraina è sempre molto grave. La moneta nazionale grivnia ha perso il 48% del suo valore contro il dollaro proprio mentre un primo pacchetto di aiuti internazionali da 17 miliardi di dollari si sta dimostrando insufficiente per rimettere ordine nell’economia nazionale. L’Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini ha incontrato questa sera Yatsenyuk, che è a Bruxelles accompagnato da alcuni ministri economici e finanziari. L’ipotesi di concedere un ulteriore sostegno economico all’Ucraina è scelta delicata. Da un lato, i Ventotto dovranno soppesare ragioni umanitarie e considerazioni politiche, chiedendosi se nuovi aiuti non rischino di rivelarsi una giustificazione per non modernizzare il paese. Dall’altro, la decisione di concedere nuovi aiuti potrebbe peggiorare i rapporti euro-russi, tenuto conto che Mosca riterrebbe la scelta controversa, considerando l’Ucraina un paese nella sua zona d’influenza. Farò ai Ventotto una presentazione dei risultati del mio viaggio durante il Consiglio europeo» previsto giovedì e venerdì. Se li facessero dare dagli Americani,noi Italiani già stiamo sopportando enormi sacrifici e non abbiamo certo nessuna voglia di pagare i debiti degli Ucraini. Renzi prima di fare cavolate ci pensi due volte.

DAL MALI ALL’INDONESIA, ECCO LA MAPPA EURO PRONTO A SOSTITUIRE IL DOLLARO NEL CARRY TRADE: ECCO COSA SIGNIFICA PER LE TASCHE DEI RISPARMIATORI Vittorio Da Rold DEL TERRORE GLOBALE Alberto Negri Con la Federal Reserve pronta di sviluppo, fatto che lascia vulnerabile il Economi Bankasi AS. La storia non finisce con il duplice dramma nella campagna francese e nel cuore di Parigi. Siamo entrati in un’epoca che richiede una mappa diversa dal passato. Dimentichiamo anche la vecchia carta geografica perché in questi anni la Jihad ne ha disegnata un’altra, dal Medio Oriente alla penisola Arabica, dal Mediterraneo all’Africa.

È attraversando queste nuove frontiere, mobili e incerte, dove sono stati inghiottiti i confini degli stati dei vecchi raìs sostituiti da nuovi padroni, poteri e persino da una nuova economia, che hanno raggiunto i campi di addestramento in Siria e Yemen i fratelli franco-algerini Kouachi e viaggiano ogni giorno i combattenti della Guerra Santa. L’Europa confina con un Nuovo Mondo che sfugge al suo controllo, ampie aree grigie conquistate o sotto l’influenza di gruppi terroristi. “Hic sunt leones”, era inciso sulle antiche carte per indicare i territori sconosciuti. Il Califfato, che da Mosul rivendica la responsabilità del massacro a Charlie Hebdo, comincia a 500 metri dalla frontiera turca, a contatto di gomito con la Nato, da oltre 50 anni “ombrello” militare, o paravento, di Ankara. Nel cielo sopra Kobane, città curda assediata dai jihadisti dell’Isil, sorvolano gli aerei della coalizione internazionale anti-Califfato guidata dagli Stati Uniti ma a terra sono gli

islamisti che tengono sotto controllo la frontiera. E dall’altra parte dell’ex Siria, non c’è soltanto lo Stato Islamico del Califfo Abu Bakr Baghdadi che in Mesopotamia “governa” su un territorio vasto come la Gran Bretagna, scontrandosi con le truppe di due stati, i loro alleati e persino con le guardie di frontiera dell’Arabia Saudita. Sui valichi della Siria sventolano bandiere diverse, da quella dell’Isil al vessillo dell’Els, l’Esercito libero siriano sostenuto dalla Turchia, e di Jabat al Nusra, gruppo integralista legato ad Al Qaeda e al Qatar. Lungo questa frontiera turco-siriana, che si snoda per 911 chilometri, l’Occidente non solo non può controllare i suoi nemici ma neppure gli alleati. Nonostante Ankara affermi di non armare i ribelli siriani, i combattenti jihadisti sostengono di ricevere finanziamenti da ricchi siriani o arabi delle petromonarchie del Golfo con la complicità turca. La guerra ha sconvolto ma non estinto il commercio con la Turchia. Sono cambiati gli attori e le merci. Durante i tre interminabili anni di conflitto contro il regime di Bashar Assad che hanno divorato la Siria con 200mila morti, i posti di blocco sono stati tunnel naturali per l’entrata di armi e combattenti stranieri che si sono uniti ai gruppi jihadisti. Tra un combattente del Califfato o delle altre decine di gruppi islamici non si fa differenza. Paghi, entri ed esci dalla Turchia: 25 dollari per corrompere un doganiere.

GROENLANDIA AL VOTO. IL CALO Vittorio DEL PETROLIO UCCIDE I SOGNI Da Rold D’INDIPENDENZA DA COPENHAGEN

Il prezzo del petrolio oggi a 71 dollari al barile e cinque anni fa a 150 dollari potrebbe far mettere nel cassetto i sogni di indipendenza della Groenlandia dalla casa madre danese. Le richezze provenienti dal petrolio erano considerate il mezzo principale con cui gli abitanti della Greoenlandia, l’isola più grande del mondo, avrebbero potuto comprare l’indipendenza da Copenhagen. Ma oggi lo shale gas ha messo al tappeto emiri, oligarchi russi e i sogni indipendentisti della Groenlandia, un’isola che torna oggi alle urne pensando soprattutto all’economia e ai vantaggi di essere nell’Unione europea in momenti di crisi e di crescenti tensioni geopolitiche, piuttosto che stare da soli in balia dei venti. L’isola va al voto per scegliere il successore di Aleqa Hammond, travolta da uno scandalo che in settembre ha provocato il dissolvimento dell’esecutivo che guidava: l’uso a fini personali di 14 mila euro statali che sarebbero stati

ad aprile ad alzare i tassi di interesse è la fine del carry trade con la Turchia e in generale con i mercati emergenti ad alti tassi? E se sì, cos’è il carry trade? E’ quel fenomeno che si verifica quando gli investitori prendono in prestito in una valuta da un paese in cui i tassi di interesse sono bassi, come ad esempio dollari o yen. Poi investono in una valuta in cui i tassi sono più elevati anche perché percepita a rischio maggiore geopolitco o valutario. Più ampio è il divario tra gli oneri finanziari e il rendimento, maggiore è il profitto.

In teoria, la Turchia che ha un tasso di riferimento dal 4,5% al 10%, oggi al 8,25%, è stata una miniera d’oro per il carry trade. Una scommessa sulla lira con dollaro come valuta di finanziamento ha offerto nel 2014 agli investitori almeno tre punti percentuali di rendimenti annuali una volta scorporato dal tasso di inflazione della Turchia. Ma questo fenomeno sta per finire a causa del dollaro forte. Prendendo in prestito dollari per comprare azioni o bond in lire turche gli operatori hanno incassato il 5,8 per cento nel 2014 nel mese di novembre, il quarto maggior ritorno tra i 23 mercati emergenti monitorata da Bloomberg. Da oggi, i guadagni si sono ridotti al 2 per cento a causa del crollo del 4,2%o in valuta della Turchia contro il dollaro questo mese che ha eroso i profitti dall’investimento in bond sovrani. Come la maggior parte dei mercati emergenti più rischiosi, la lira è in sofferenza da quando il rafforzamento dell’economia statunitense ha spinto la Federal Reserve a prevedere un aumento dei tassi di interesse nel 2015, il che sarebbe il primo aumento in nove anni. La valuta della Turchia si è indebolita a dicembre a causa del più grande deficit delle partite correnti in un paese in via

utilizzati dai suoi familiari per pagare alberghi, cene e voli. Lei, leader di uno dei due maggiori partiti dell’isola, Siumut (Avanti), ha lasciato l’incarico senza accusare complotti internazionali o magistratura inquirente e ora 58 mila esquimesi sono chiamati a rinnovare i 31 membri della Dieta (il parlamentino locale) e un nuovo governatore. La campagna elettorale si è concentrata su alcuni temi fondamentali, come la difesa dell’ambiente, le prospezioni minerarie, mentre il consueto tema dell’indipendenza dalla Danimarca è passato in secondo piano rispetto ai temi economici. Il destino della Groenlandia è una questione che interessa l’intera Unione europa perché oggi l’isola fa parte, attraverso la Danimarca, dell’Ue che così estende i suoi confini molto avanti nelle regioni artiche, con conseguenze militari e di controllo dei giacimenti nascosti sotto i ghiacci.

paese ai deflussi di capitali.

«Questo è stato l’anno del dollaro», ha detto Murat Yardimci, il responsabile del trading a ING Bank a Istanbul, il 24 dicembre «Siamo lunghi sui titoli turchi con una copertura in valuta estera per il 2015. Dopo giugno ci aspettiamo che il debito si comporti bene , ma il dollaro raggiungerà nuovi record contro la lira», ha previsto. La lira si è indebolita a un record di 2,4146 per dollaroil 16 dicembre per poi recuperae leggermente. I rendimenti sui bond a due anni sono scesi di 222 punti base quest’anno al 7,88 per cento di oggi. L’inflazione sarà decisiva, visto che la crescita dei prezzi al consumo è balzata al 9,15 per cento nel mese di novembre, resistendo a un calo di quasi il 50 per cento del costo del greggio da giugno. Il calo dei prezzi delle materie prime, petrolio in particolare, sosterrà un rallentamento del trend dell’inflazione nella prima metà del 2015, ha fatto sapere la banca centrale turca dopo la sua decisione di mantenere il tasso di riferimento all’ 8,25 per cento il 24 dicembre. «L’inflazione sarà decisiva» perché il carry-trade ritorni l’anno prossimo, ha detto Evren Kirikoglu, uno stratega a Akbank TAS a Istanbul, il 24 dicembre. Rallentare l’inflazione potrebbe contribuire a sostenere la lira anche se la banca centrale dovesse ridurre i tassi di interesse, ha detto l’analista. Che la banca centrale turca sia costretta a ridurre i tassi è un’ipotesi plausibile vista la pressione dell’esecutivo sui vertici della banca per una politica monetaria poco rigida . In questo quadro l’euro potrebbe spodestare il dollaro come valuta preferita per il finanziamento del carry trade, se la Banca centrale europea dovesse aumentare l’acquisto di bond (QE) e il biglietto verde continuare a rafforzarsi, secondo Erkin Isik, uno stratega con sede a Istanbul a Turk

I trader che si sono finanziati in euro per i loro acquisti di debito in lire hanno guadagnato il 15,2 per cento di quest’anno, una performance battuta solo dal peso argentino, della rupia indiana e la rupia indonesiana tra i mercati emergenti, così come monitorati da Bloomberg. Gli investitori devono essere “grati” se riusciranno a ottenere dei rendimenti dal carry l’anno prossimo, ha scritto Burak Cetinceker, un gestore di fondi presso Strateji Menkul Degerler a Istanbul. «La lira scenderà un altro 10 per cento l’anno prossimo» contro dollaro, ha previsto l’analista. Una notizia buona a metà: bene per gli esportatori turchi, male per gli investitori internazionali a caccia di rendimenti stabili.

Molti lettori italiani ricorderanno “Il senso di Smilla per la neve”, un libro di successo di Peter Høeg pubblicato da Mondadori nel 1992, un giallo ambientato fra la Danimarca e la Groenlandia da cui è stato tratto un film, un testo che parlava proprio dei ghiacci dell’isola e dei tesori naturali nascosti sotto la coltre di neve e del rapporto tra equimesi e governo centrale danese. Territorio autonomo del Regno di Danimarca, la Groenlandia dispone di una vasta autonomia senza avere l’indipendenza in politica estera e di difesa; l’argomento è stato sempre al centro delle rivendicazioni politiche della regione ma questa volta, complici la crisi economica globale e i temi delle ricchezze dell’Artico che fanno ormai gola a molte potenze, Cina in primis, è passato in secondo piano. O meglio è stato messo nel cassetto secondo il parere del professor Ulrik Pram

Gad dell’Università di Copenaghen, raccolto dall’Ansa, che ha dichiarato ai giornali: «Non è ancora la fine del nazionalismo, ma questa volta il tema è la politica economica, gli investimenti stranieri, la diversificazione del portafoglio nazionale». Insomma decidere il proprio futuro senza strappi fughe in avanti demagogiche o populiste. Insomma una campagna dai toni pacati e senza più le bellicose intenzioni indipendentiste: gli ultimi sondaggi dicono che c’è la possibilità che chi vincerà (che sia Kielsen o la Olsvig) debba piegarsi ad un governo di coalizione il cui ago della bilancia potrebbe diventare il partito populista Naleraq, creato dall’ex primo ministro Hams Enoksen all’inizio dell’anno.


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12 GENNAIO 2015

IL BOSS FINANZIAVA GLI SPETTACOLI Paolo Bracalini

Un animo sensibile non solo ai milioni da lucrare su rom e clandestini o agli appalti facili grazie agli amici in Campidoglio, ma anche al tema della donna nella società, davvero molto sentito dal sodale del «Cecato». Sempre, beninteso, che a farne uno spettacolo fosse qualche esponente del salottino intellettuale romano di marca Pd (ex veltroniani), quell’asse di ferro - descritto anche da Bernardo Caprotti nel suo illuminante Falce e carrello - tra partito, coop, amministrazioni amiche, Cgil e poi anche artisti e intellettuali inseriti nel sistema. Così Serena Dandini, già veltroniana nella RaiTre in quota Pd, quando cerca sponsor per il suo spettacolo sulla violenza contro le donne, Ferite a morte, trova subito una schiera di coop rosse che fanno a gara per sostenerla: Coop Centro Italia, Unipol, Coop Adriatica, Coop Lombardia, Legacoop Veneto, Coop Estense, Coop Novacoop, Legacoop Fvg. E tra queste non poteva mancare, come racconta il sito Qelsi.it, la potente Coop 29 Giugno di Buzzi, iscritto al Pd e ras degli appalti al Comune di Roma. Quello che dice «Me li sto a comprà tutti, semo diventati grandi», appena fiuta l’occasione per stringere il legame col sistema di potere Pd ci si tuffa di testa, da buon uomo di a Roma, contino più di tutto per fare i soldi.

anticipazione. Papa Francesco e’ nella Cappella Sistina per celebrare la Festa del Battesimo del Signore e amministrare il sacramento del battesimo a 33 neonati, 20 bambine e 13 bambini, figli di dipendenti vaticani. Nell’occasione non e’ stato collocato sul presbiterio l’altare volante che consente di celebrare rivolti al popolo, come normalmente si fa dopo il Concilio Vaticano II e quindi Bergoglio per la prima volta celebra di spalle come avveniva con il rito antico. Lo stesso aveva fatto negli ultimi anni Benedetto XVI in occasioni analoghe, ma il nuovo Papa, fino ad oggi, in Sistina si era sempre servito dell’altare mobile (che oggettivamente non si inserisce in modo armonico nel luogo affrescato da Michelangelo con le sue opere piu’ importanti) ed e’ la prima volta dunque che celebra pubblicamente con le spalle al popolo dopo la sua elezione al Pontificato

Sono 300 i seggi aperti oggi in Liguria per scegliere il candidato governatore del centrosinistra. All’appuntamento si presentano in tre. Raffaella Paita, attuale assessore regionale alle infrastrutture; Sergio Cofferati, ex segretario generale della Cgil, ex sindaco di Bologna e ora europarlamentare; e Massimiliano Tovo del Centro democratico. La partita vera sarà fra i primi due contendenti che si sono affrontati in una campagna elettorale dai toni sempre più duri per la disputa sulle alleanze, diventata alla fine terreno di scontro nazionale.

A comporre questo numero contribuiscono due trend contrastanti: da un lato l’esecutivo Renzi ha dato un colpo di acceleratore allo smaltimento delle misure previste dai due precedenti inquilini di Palazzo Chigi (Mario Monti ed Enrico Letta) portando a casa due provvedimenti su tre; dall’altro lato le nuove riforme dell’ex sindaco di Firenze hanno portato con loro un bagaglio di nuovi decreti attuativi consistente, che solo da pochi mesi è sulle scrivanie degli uffici legislativi dei ministeri competenti.

La posta in gioco è il governo della regione dopo 10 anni di governo di Claudio Burlando, che sostiene la candidatura di Paita; mentre il segretario regionale Giovanni Lunardon si è schierato apertamente con Cofferati. A infiammare i toni fra i due candidati l’endorsement giunto a Paita da esponenti del centrodestra, in particolare dell’Ncd. Un “abbraccio” fortemente contestato da Cofferati che ha chiesto un pronunciamento del partito, richiesta alla quale si sono uniti ieri numerosi esponenti della minoranza del Pd nazionale.

Basti pensare all’ultima legge di Stabilità, entrata in vigore giovedì scorso. La ex finanziaria necessiterà di 119 interventi per rendere efficaci le sue misure, contro i 77 previsti dalla Stabilità varata dal precedente esecutivo Letta. Eppure, il testo uscito Consiglio dei ministri il 15 ottobre e varato dal governo aveva previsto solo 43 decreti attuativi. In linea con l’impegno preso da Renzi fin dai primi giorni del suo governo e rilanciato all’inizio di settembre presentando l’agenda dei mille giorni: «La grande sfida sarà delegificare e ridurre il procedimento normativo», mettere un freno ai decreti attuativi che rallentano il cammino delle riforme, rendendo il più possibile autoapplicative le leggi varate. Ma il successivo iter parlamentare ha portato il numero appunto a quota 119.

Per sgombrare il campo da ulteriori tensioni, l’organismo per le regole interne ha stilato un vademecum sull’accesso al voto di domani che esclude «i dirigenti nazionali, regionali, provinciali e locali, compresi gli amministratori, che ricoprono incarichi riconosciuti in partiti che non appartengono alla coalizione di centrosinistra» e gli appartenenti «a gruppi parlamentari e consiliari di partiti che non appartengono alla coalizione di centrosinistra». L’attenzione per i poveri è nel Vangelo e nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non va ideologizzata. La globalizzazione ha aiutato molti a sollevarsi, ma ne ha condannati tanti altri a morire di fame. Così papa Francesco in un’intervista in un libro di Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi di cui la Stampa pubblica oggi un’

Il nuovo anno inizia già con un carico di lavoro impegnativo: la messa a punto dei provvedimenti necessari a rendere efficaci le manovre varate dagli ultimi tre governi per rilanciare l’economia attende ancora 585 decreti attuativi da varare, oltre la metà del totale (1.102), e per 204 di questi è già scaduto il termine fissato dal legislatore per l’adozione.

In dettaglio, le misure del governo Monti sono ormai per più di tre quarti completate (75,8% rispetto al 74,2% di due mesi fa). Quelle di Letta hanno superato il 50% (per la precisione 52,7% rispetto al 48,6% di inizio novembre). Se poi si guarda non solo alle misure per la ripresa, ma all’intero pacchetto di leggi approvate dai due predecessori di Renzi, l’attuale esecutivo ha più che dimezzato i decreti attuativi presi in eredità: erano 889 il 22 febbraio, giorno dell’insediamento, sono scesi a 448 a fine ottobre, per arrivare a 383, come comunicato dallo stesso premier nel corso della conferenza stampa di fine anno. Lo smaltimento ha marciato anche perché

nel frattempo alcune misure sono state superate o riassorbite dalle riforme approvate da Renzi. Per quel che riguarda i numeri dell’attuale esecutivo, tuttavia, anche qui si è andati avanti, nonostante la mole dei nuovi decreti accumulati con le ultime riforme: il tasso di attuazione è arrivato al 10,4% (era l’8,2% due mesi fa), ma la cifra balza al 15,3% se si escludono le 119 misure della Stabilità. Che, anche se sono ancora tutte da scrivere, per alcuni atti importanti i tempi sono strettissimi. Entro gennaio dovranno infatti tagliare il traguardo i decreti per disciplinare l’anticipo del Tfr in busta paga e quelli per il bonus bebè. Ma anche il riordino dei crediti di imposta necessari per garantire risparmi di spesa. La strada resta dunque ancora in salita se si tiene conto che molti dei decreti ancora in stand by prevedono il concerto tra ministeri, che finora ha rappresentato il vero collo di bottiglia dell’attuazione. Tanto che il governo è corso ai ripari introducendo una norma-tagliola che prevede il meccanismo del silenzio-assenso nel caso di mancata risposta dell’amministrazione concertante. Rimedio però che per ora resta solo sulla carta visto che la disposizione è stata inserita nella delega di riorganizzazione della Pa (Ddl Madia) bloccata ancora in commissione al Senato. Il nuovo anno inizia già con un carico di lavoro impegnativo: la messa a punto dei provvedimenti necessari a rendere efficaci le manovre varate dagli ultimi tre governi per rilanciare l’economia attende ancora 585 decreti attuativi da varare, oltre la metà del totale (1.102), e per 204 di questi è già scaduto il termine fissato dal legislatore per l’adozione. A comporre questo numero contribuiscono due trend contrastanti: da un lato l’esecutivo Renzi ha dato un colpo di acceleratore allo smaltimento delle misure previste dai due precedenti inquilini di Palazzo Chigi (Mario Monti ed Enrico Letta) portando a casa due provvedimenti su tre; dall’altro lato le nuove riforme dell’ex sindaco di Firenze hanno portato con loro un bagaglio di nuovi decreti attuativi consistente, che solo da pochi mesi è sulle scrivanie degli uffici legislativi dei ministeri competenti. Il nuovo anno inizia già con un carico di lavoro impegnativo: la messa a punto dei provvedimenti necessari a rendere efficaci le manovre varate dagli ultimi tre governi per rilanciare l’economia attende ancora 585 decreti attuativi da varare, oltre la metà del totale (1.102), e per 204 di questi è già scaduto il termine fissato dal legislatore per l’adozione. A comporre questo numero contribuiscono due trend contrastanti: da un lato l’esecutivo Renzi ha dato un colpo di acceleratore allo smaltimento delle misure previste dai due precedenti inquilini di Palazzo Chigi (Mario Monti ed Enrico Letta) portando a casa due provvedimenti su tre; dall’altro lato le nuove riforme dell’ex sindaco di Firenze hanno portato con loro un bagaglio di nuovi decreti attuativi consistente, che solo da pochi mesi è sulle scrivanie degli uffici legislativi dei ministeri competenti.

BOOM DEL GELATO MADE IN ITALY ALL’ESTERO. AL SALONE DI RIMINI ATTESI 175MILA OPERATORI Natascia Ronchetti In Italia non è immune alla crisi dei consumi, ma all’estero la gelateria artigianale con il bollino del made in Italy acquista sempre più appeal. Cosa che contribuisce a spiegare i numeri da record di Sigep, il salone della gelateria, pasticceria e panificazione artigianale di Rimini prossimo allo svolgimento della 36esima edizione, prevista dal 17 al 21 gennaio nei padiglioni di Rimini Fiera.

Oltre mille espositori, 175mila operatori attesi da tutto il mondo. Dati che non si limitano a confermare il prestigio della manifestazione romagnola nei cinque continenti ma che danno anche la misura del fermento del settore. Tra Italia e resto del mondo le gelaterie artigianali italiane sono circa 25mila, delle quali 7mila all’estero, in una corsa all’internazionalizzazione che va di pari passo con l’investimento dei big del settore per la produzione di macchine – da Carpigiani a Cattabriga, punte di diamante dell’industria del gelato con un giro d’affari di 300 milioni di euro – nella formazione dei maestri gelatai, con vere e proprie accademie aziendali che sfornano le nuove leve. Tanto che proprio al prossimo Sigep sarà lanciato il progetto della certificazione del gelato artigianale italiano, una iniziativa promossa l’estate scorsa dal ministero degli Affari Esteri insieme a quello delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ad Assocamerestero, Isnart e lo stesso Sigep: il primo passo verso il marchio che all’estero identificherà le gelaterie italiane, garantendo una qualità certificata. In Italia i marchi dei produttori di macchine per gelato sono 15. E se si considerano anche i costruttori di arredamenti e attrezzature per gelato, il fatturato raggiunge gli 800 milioni di euro. A sua volta l’industria degli ingredienti e dei semilavorati conta circa 80 aziende (tra queste la leader mondiale Optima-Mec3 di Rimini) per 1.600 addetti e un volume d’affari di oltre 450 milioni di euro. La domanda è in crescita. Soprattutto quella proveniente dall’estero: oltre il 60% della produzione di ingredienti e semilavorati è destinata, oltreconfine, ai Paesi della Ue, seguiti da Usa, Est Europa, Middle e Far East, Australia. E grandi prospettive ancora in parte da esplorare arrivano proprio dagli Usa, in primo luogo, e poi dall’Estremo Oriente, con ricadute dirette sui produttori di macchine e semilavorati.

macchione e semilavorate.

Oltre mille espositori, 175mila operatori attesi da tutto il mondo. Dati che non si limitano a confermare il prestigio della manifestazione romagnola nei cinque continenti ma che danno anche la misura del fermento del settore. Tra Italia e resto del mondo le gelaterie artigianali italiane sono circa 25mila, delle quali 7mila all’estero, in una corsa all’internazionalizzazione che va di pari passo con l’investimento dei big del settore per la produzione di macchine – da Carpigiani a Cattabriga, punte di diamante dell’industria del gelato con un giro d’affari di 300 milioni di euro – nella formazione dei maestri gelatai, con vere e proprie accademie aziendali che sfornano le nuove leve. Tanto che proprio al prossimo Sigep sarà lanciato il progetto della certificazione del gelato artigianale italiano, una iniziativa promossa l’estate scorsa dal ministero degli Affari Esteri insieme a quello delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ad Assocamerestero, Isnart e lo stesso Sigep: il primo passo verso il marchio che all’estero identificherà le gelaterie italiane, garantendo una qualità certificata. In Italia i marchi dei produttori di macchine per gelato sono 15. E se si considerano anche i costruttori di arredamenti e attrezzature per gelato, il fatturato raggiunge gli 800 milioni di euro. A sua volta l’industria degli ingredienti e dei semilavorati conta circa 80 aziende (tra queste la leader mondiale Optima-Mec3 di Rimini) per 1.600 addetti e un volume d’affari di oltre 450 milioni di euro. E se si considerano anche i costruttori di arredamenti e attrezzature per gelato, il fatturato raggiunge gli 800 milioni di euro. A sua volta l’industria degli ingredienti e dei semilavorati conta circa 80 aziende (tra queste la leader mondiale OptimaMec3 di Rimini) per 1.600 addetti e un volume d’affari di oltre 450 milioni di euro. La domanda è in crescita. Soprattutto quella proveniente dall’estero: oltre il 60% della produzione di ingredienti e semilavorati è destinata, oltreconfine, ai Paesi della Ue, seguiti da Usa, Est Europa, Middle e Far East, Australia. E grandi prospettive ancora in parte da esplorare arrivano proprio dagli Usa, in primo luogo, e poi dall’Estremo Oriente, con ricadute dirette sui produttori di macchine e semilavorati.

Anche perché in Italia, con trentamila tra gelaterie e pasticcerie a cui si sommano altre attività commerciali che vendono gelati, si è giunti praticamente alla saturazione, con un indice di 62 gelaterie ogni 100mila abitanti e una lieve flessione della spesa annuale delle famiglie, che ammonta a circa due miliardi di euro. Grandi prospettive ancora in parte da esplorare arrivano invece da oltreconfine, dagli Usa, prima di tutto, e poi dall’Estremo Oriente, con ricadute dirette sui produttori di

RENAULT AUMENTA VENDITE E QUOTA DI MERCATO IN ITALIA Mario Cianflone Renault chiude il 2014 in Italia con una netta crescita di vendite e quota di mercato, e spera di fare ancor meglio nell’anno appena iniziato. Il gruppo francese, che comprende anche il marchio Dacia, ha aumentato le consegne a 130mila (+29%) compresi i veicoli commerciali, e poco meno di 120mila per le sole vetture, con una quota di mercato che per le auto e’ salita all’8,8% rispetto al 7,1% di un anno prima. “E’ la quota migliore dal 1986”, anche se all’epoca non c’era ancora la Dacia a sostenere le vendite del gruppo. La performance 2014 e’ stata di gran lunga la migliore fra quelle dei maggiori protagonisti del mercato; in valori assoluti, il gruppo e’ al quarto posto dopo Fca, Volkswagen e Psa Peugeot; quarto posto anche per Renault fra le marche, dopo Fiat, Volkswagen e Ford.

Renault ha a sua volta segnato un +24% a 81.400 unita’, grazie al successo di Clio (con oltre 40mila immatricolazioni e’ stata l’auto estera piu’ venduta) e di Captur.

Ancora piu’ incoraggiante la crescita delle vendite a privati, con una quota salita all’11%; gli ordini hanno raggiunto quota 145mila (+36%). La crescita delle vendite ha coinvolto entrambi i marchi del gruppo: se Dacia ha proseguito l’ascesa che l’ha portata in 8 anni dallo 0,1% al 2,7% di quota di mercato (con un balzo delle consegne da 28mila a quasi 40mila),

Un anno di belle auto. Lasciamo perdere la crisi molto italiana del mercato e pensiamo alle novità che il 2014 ci ha portato: dalla nuova Mini alla Fiat 500X e alla sua sorella Jeep Renegade, dalla prima Bmw a trazione anteriore, la Serie 2 Active Tourer, a una Mercedes, l’Amg Gt, che punta a insidiare la Porsche 911, fino alla Citroën Cactus, forse la vettura

Le prospettive per il 2015 sono positive, ma la congiuntura resta difficile. “Sarei contento se riuscissimo a migliorare anche di poco il risultato 2014” dice Bernard Chretien, direttore generale per l’Italia. Oltre alla Twingo, lanciata nell’autunno scorso e che ha raccolto finora 3.400 ordini, la gamma verra’ rinnovata con l’arrivo della nuova Espace. Nel corso dell’anno verranno poi presentati un crossover medio (verra’ mostrato ai primi di febbraio e sara’ poi al Salone di Ginevra) e una berlina di segmento D, erede della Laguna.

più simpatica e originale degli scorsi 12 mesi. Dalla Mercedes Classe C fino alle rinnovate tre citycar gemelline: Toyota Aygo, Peugeot 108 e Citroën C1.

fortuna con il risultato che il mercato si prosciugherà senza ricambio generazionale. Visto che ci siamo, ci piacerebbero polizze Rc auto un bel po’ più basse.

Sono solo alcuni esempi che testimoniano quanto l’industria dell’auto sia vitale e attiva su vari fronti. Il 2014 è stato un po’ l’anno delle ibride plug-in, che hanno conquistato regolarmente il palco nei saloni internazionali, ma è stato anche l’anno dei sistemi anti-collisione avanzati, quelli che prefigurano il futuro dell’autonomous driving, quello della macchina che guida da sola, tema caldo di questi 12 mesi che fa intravedere un affascinate futuro dell’automobile e della mobilità. E per i prossimi mesi?

E alle case automobilistiche che cosa chiediamo? Sicuramente auto meno costose, dove il design non vada a discapito della funzionalità, come spesso è tornato a succedere in questi anni. Va bene che c’è la telecamera posteriore, ma questa non va messa solo perché dietro la visibilità è quella di un carro armato, solo per fare una bella linea. E poi basta anche con gli schermi touch messi a sproposito solo perché sono di moda e aiutano a vendere o con le finiture in metallo sulle portiere (si sa, l’alluminio è premium) che d’estate si trasformano in una bistecchiera per l’avambraccio.

Sono in arrivo ancora tante novità (di cui parliamo nell’articolo a sinistra), ma che cosa ci piacerebbe chiedere come regalo? Sicuramente nel libro dei sogni rientrano patenti meno care, perché mettere un ragazzo di 16 anni su uno scooter o una moto è un salasso per una famiglia, e se il sedicenne non sale in sella, forse non prenderà mai la patente dell’auto, che comunque costa un’ingiustificata

Non vogliamo certo auto senz’anima come elettrodomestici, bensì vetture belle e ben fatte e, soprattutto, pensate avendo in mente prima la soddisfazione del cliente a lungo termine e non l’effimero effetto “wow” cercato dagli uomini del marketing quando si va in concessionaria.


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EBOLA: DALLA SANTA SEDE FONDI PER POTENZIARE L’ASSISTENZA IN AFRICA ©RIPRODUZIONE RISERVATA Incrementare l’impegno della Chiesa Cattolica nella risposta all’emergenza Ebola. È questo l’obiettivo di un documento pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in cui, tre le altre cose, la Santa Sede esprime il suo vivo apprezzamento alle Chiese Cattoliche locali di Guinea, Liberia e Sierra Leone per la loro tempestiva risposta alla crisi causata dall’Ebola. Per potenziare maggiormente i loro sforzi, e come risposta concreta all’emergenza, la Santa Sede offre quindi un contributo finanziario (secondo fonti di agenzia il contributo è di tre milioni). I fondi saranno a disposizione di strutture sostenute dalla Chiesa per migliorare l’assistenza che esse offrono attraverso istituzioni sanitarie, iniziative comunitarie e la cura pastorale dei malati e del personale sanitario. La Santa Sede incoraggia anche altri benefattori, privati o pubblici, a contribuire ad accrescere tali fondi in segno di solidarietà con chi soffre nelle regioni colpite dalla malattia. Le somme offerte dalla Santa Sede saranno utilizzate, tra l’altro, per l’acquisto di forniture sanitarie di prima necessità, per il trasporto dei malati e per il rinnovamento delle strutture. Parte del contributo della Santa Sede sarà destinato ai residenti di aree circoscritte al fine di sviluppare e potenziare strategie tese a fermare l’espansione dell’Ebola. Vi saranno anche fondi destinati ad aiutare le famiglie colpite dal virus e i minori rimasti orfani. Nella sua risposta pastorale, la Santa Sede contribuirà all’assistenza delle persone in aree colpite dal virus attraverso la formazione e l’aiuto fornito ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e ai laici impegnati in attività pastorali, affinché siano meglio preparati ad affrontare i bisogni di ordine fisico, psichico e spirituale dei malati e di quanti soffrono. La Santa Sede concentrerà i suoi interventi sulle parrocchie, in quanto gran parte dell’attività della Chiesa si svolge a livello della parrocchia, che è un’importante istituzione basilare nella lotta alle conseguenze causate dall’Ebola, che stanno emergendo come un problema serio, particolarmente per i sopravvissuti. L’accresciuto impegno della Chiesa Cattolica nella lotta alla diffusione dell’Ebola è descritto nel documento “Potenziare l’impegno della Chiesa Cattolica nella risposta all’emergenza Ebola”, che descrive, per la prima volta, una risposta pastorale a una malattia relativamente nuova che ha devastato individui, intere famiglie e anche comunità, specialmente nei Paesi dell’Africa Occidentale di Guinea, Sierra Leone e Liberia. Oltre all’attività della Chiesa nella regione, il documento presenta gli sforzi compiuti da numerosi Dicasteri della Curia Romana, tra cui il Pontificio Consiglio Cor Unum, il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, Propaganda Fide, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, come pure l’attività di Caritas Internationalis e le organizzazioni ad essa collegate. Questo si somma agli sforzi delle Agenzie Cattoliche presenti in molti altri Paesi, quali Catholic Relief Services (Usa), Missio (Austria), Misereor e Medical Mission Institute (Germania). «Gli intensificati sforzi della Chiesa permettono una maggiore risposta a livello parrocchiale - viene sottolineato - e di conseguenza rafforzano le misure atte a contenere la malattia»?

DECRETO FISCALE, VERTICE RENZI-PADOAN: «PIENO ACCORDO». IL PREMIER: «SUL 3% LA MANINA È LA MIA» «La manina è la mia». È quanto ha detto, secondo quanto si apprende, il premier Matteo Renzi nel corso dell’assemblea Pd alla Camera. Il riferimento è all’articolo 19 bis del decreto fiscale (soprannominato “salvaBerlusconi”) sull’abuso del diritto e il riordino dei reati tributari approvato dal Cdm alla vigilia di Natale, che stabilisce una soglia di non punibilità al 3% dell’imponibile dichiarato.

Renzi, che ha difeso l’impianto del decreto, ha assicurato che non rivendica la paternità della norma per “difendere” qualcuno dei suoi, ma che il provvedimento è stato «discusso e approfondito punto per punto» nel governo. E che il suo esecutivo «non mette la firma» su pacchetti di norme «preparate dai tecnici». Nella riunione Renzi ha poi confermato che dopo le dimissioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si riuniranno i gruppi Pd per condividere il metodo per la scelta del nuovo capo dello Stato. E ha aggiunto: «Se viene meno l’architrave delle riforme costituzionali viene giù tutto». Renzi: no modifiche ad personam ma per interesse italiani «Sulla questione del fisco voglio essere di una chiarezza esemplare e cristallina: la “manina” è la mia. La ritengo una normativa che non ha niente a che vedere con leggi ad personam. Quello che va modificato si modifica ma nell’interesse degli italiani». Così Renzi, durante l’assemblea dei deputati Pd, ha ribadito quanto fatto trapelare subito dopo lo scoppio della polemica sulla cosiddetta norma “salva-Berlusconi” (perché consentirebbe l’estinzione della condanna per frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediaset, facendo cadere il presupposto dell’incandidabilità del Cavaliere sancita dalla legge Severino). «La discussione avrà un momento chiaro, trasparente in cui si va a spiegare “queste sono le norme, questo abbiamo fatto”. E poi ci si assume la responsabilità di votare», ha aggiunto Renzi. articoli correlati Renzi: gennaio è bivio tra esistere e resistere Nel suo intervento il premier ha definito cruciale il mese di gennaio per capire la sorte della legislatura. «Il governo ha fatto un ragionamento politico che conferma gennaio 2015 è il bivio capire se questa legislatura esiste o resiste», ha detto il presidente del consiglio Matteo Renzi ai deputati riuniti a Montecitorio per discutere con lui di riforme. E ha aggiunto: bisogna «allacciare le cinture a gennaio» non per «paura», ma perché è il momento della «prova dei fatti». Poi ha concluso, ricordando il discorso di Napolitano in occasione dell’accetazione del secondo mandato: «Senza le riforme questa legislatura è fallita». Vertice a Palazzo Chigi Renzi-Padoan Stamane a Palazzo Chigi Renzi ha incontrato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Sul tavolo proprio il dossier sul fisco, dopo l’annuncio di ieri - attraverso la sua enews - che l’intero pacchetto, compreso il provvedimento di Natale su reati tributari

MAFIA A ROMA, TRIBUNALE DEL RIESAME: SALTO QUALITÀ DELL’ORGANIZZAZIONE CON GIUNTA ALEMANNO «A Roma operava da anni una organizzazione strutturale di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti con attività che si estendevano in diversi campi: propriamente criminale, economico e della pubblica amministrazione». Ecco che cosa è, per i giudici del tribunale del riesame di Roma, quella che la procura ha chiamato “Mafia Capitale”, e cioè «una ramificata organizzazione della quale Massimo Carminati (ex estremista nero, ndr) è il capo e il riconosciuto punto di riferimento degli altri sodali». Un’organizzazione che operava nella Capitale da anni nei settori criminale, economico e della pubblica amministrazione, che si espande in «seguito alla nomina di Alemanno quale sindaco di Roma».

Il collegio ha motivato in 87 pagine il rigetto delle richieste di revoca delle ordinanze fatte da Massimo Carminati, capo dell’organizzazione, Riccardo Brugia, braccio destro del “Guercio”, Emilio Gammuto, Fabrizio Franco Testa, Roberto Lacopo, tutti detenuti per associazione per delinquere di stampo mafioso. Si tratta del primo gruppo, dei 39 arrestati, ad essersi rivolti al tribunale del Riesame. Quest’ultimo ha spiegato perché debba essere condivisa l’aggravante mafiosa, considerata la natura della struttura guidata da Carminati e la diversità di questa rispetto ad altre organizzazioni mafiose. articoli correlati. Riesame: sodalizio sfrutta fama criminale «Non è indispensabile che i membri del sodalizio facciano uso concreto del potere intimidatorio di cui dispongono, ma occorre che intendano sfruttare la ‘fama criminale’ acquisita in precedenza». Anche con queste parole il tribunale del Riesame di Roma legittima l’aggravante mafiosa contestata agli indagati di Mafia Capitale. Nelle 87 pagine di motivazioni, il collegio, presieduto da Bruno Azzolini, fa proprio il concetto di associazione di tipo mafioso (che si avvale della forza intimidatrice del vincolo associativo e della conseguente condizioni di assoggettamento e di omertà), così come configurato dal gip Flavia Costantini secondo le indicazioni della procura. Un’associazione «in cui tutti i singoli sono perfettamente consapevoli di far parte di un sodalizio durevole e di operare per l’attuazione del programma criminoso comune». Spiegano i giudici del riesame: Carminati «gestisce i vari settori operativi dell’organizzazione così da una parte controlla il settore propriamente criminale avvalendosi della collaborazione di Roberto Lacopo, formale gestore di un distributore di benzina a Corso Francia, di Riccardo Brugia e Matteo Calvio, persone aduse alla violenza». Gli imprenditori collusi Sul versante economico, l’ex esponente dei Nar «si avvale della partecipazione criminale di quelli che sono stati definiti imprenditori

collusi e cioè di quegli operatori economici che, perfettamente consapevoli della natura dell’organizzazione che fa capo a Carminati e della sua forza di intimidazione e penetrazione anche negli ambienti politico-amministrativi, decidono scientemente di entrare a far parte del suo gruppo per ottenere vantaggi economici».

I rapporti con la Pa Ma «è nel settore della pubblica amministrazione - si legge nel provvedimento del riesame - che l’organizzazione criminale si manifesta al proprio meglio. In questo campo l’organizzazione opera attraverso le cooperative che fanno capo a Salvatore Buzzi e che detengono una posizione assolutamente dominante negli appalti, in numerosi settori dell’attività del Comune di Roma e di altri minori enti pubblici territoriali, che ottengono attraverso l’opera di corruzione dei pubblici funzionari e/o attraverso la loro intimidazione». In questo settore Carminati e Buzzi «lavorano in continuo contatto fra loro e con una sinergia di intenti efficiente e funzionale che porta a risultati ottimi per l’organizzazione in termini di commesse e guadagni».

e certezza del diritto, approderà al Consiglio dei ministri del 20 febbraio.

ai cronisti che lo interpellavano a Montecitorio sui decreti delegati in materia di fisco e jobs act.

Il nuovo testo sarà più ampio Fonti di Palazzo Chigi assicurano che tra Renzi e Padoan c’è stato «pieno accordo» e che il testo arriverà in Cdm modificato, «molto più ricco e più ampio». L’incontro è stato anche l’occasione per fare il punto sui provvedimenti in cantiere, tra cui il nuovo “decreto sviluppo” per stimolare gli investimenti che si chiamerà “Investment compact” e che il Governo intende varare entro fine mese. Delrio: nessuno si sottragga dalla responsabilità del testo Da Reggio Emilia, intanto, dove si celebra l’anniversario del Tricolore, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha ribadito quanto già aveva detto Padoan: non c’è «nessuna manina» dietro la norma del decreto fiscale ribattezzata “salva Berlusconi”, che prevede la non punibilità nel caso in cui la cifra evasa non superi il 3% dell’imponibile dichiarato. «I testi che escono dal Cdm - ha detto Delrio sono collegiali: entrano in una maniera, ne escono trasformati, altrimenti non ci sarebbe bisogno di fare i Consigli dei ministri. Talmente ovvio che è perfino difficile da spiegare». Avvertendo: «Nessuno si deve sottrarre alla responsabilità del testo uscito dal Cdm». L’ipotesi: niente sconti in caso di frode fiscale La strada al momento più percorribile per modificare il decreto sembra essere quella di prevedere l’inapplicabilità della soglia del 3% quando la violazione contestata configuri una frode fiscale e non tutti i reati tributari. Oggi riunione della commissione Gallo D’urgenza si riunisce oggi anche la commissione di esperti guidata dal presidente emerito della Consulta, Franco Gallo, che ha lavorato al testo entrato al Consiglio dei ministri, dunque quello senza la norma delle polemiche. Commissione fortemente critica con la soglia in sé, ritenuta comunque un aiuto ai grandi evasori. Bersani: proporzionalità solo nel diritto di evadere Intanto nel Pd la minoranza resta in fibrillazione. «Si parla tanto di proporzionalità per l’evasione fiscale, nel senso che chi ha di più può evadere di più, mentre per i licenziamenti la proporzionalità non vale più...» ha detto polemico l’ex segretario Pierluigi Bersani

Carlo Marroni

L’INNO ALLE MAMME DI PAPA FRANCESCO: ESALTATE SUL PIANO SIMBOLICO, POCO CONSIDERATE NELLA SOCIETÀ

«La madre, pur essendo molto esaltata in senso simbolico - penso ad esempio nelle poesie - è poco ascoltata e poco aiutata nella vita quotidiana, poco considerata nel suo ruolo centrale nella società. Anzi, spesso si approfitta del sacrificio delle mamme per risparmiare sulle spese sociali». A ricordarlo è stato Papa Francesco, nella prima udienza generale del 2015 nell’Aula Paolo VI, continuando il ciclo di catechesi sulla famiglia.

Cita omelia di Romero: «Madri vivono martirio» «Una società senza madri sarebbe una società disumana», ha affermato il pontefice, che ha letto brani di una omelia sul “martirio materno” scritta da monsignor Romero, il vescovo del Salvador trucidato nel 1980 da sicari del

regime militare, per il funerale di un prete assassinato dagli squadroni della morte: «Dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco? Sì, come la dà una madre, che senza timore, con la semplicità del martirio materno, concepisce nel suo seno un figlio, lo dà alla luce, lo allatta, lo fa crescere e accudisce con affetto». Una citazione non casuale: da quando Bergoglio è diventato Papa si è sbloccata la causa di beatificazione di Romero, che potrebbe giungere a conclusione nel corso dell’anno. articoli correlati Al centro della vita della Chiesa c’è la Madre di Gesù La scarsa considerazione delle madri nella società è un’ombra che non risparmia la Chiesa: accade anche nella comunità cristiana, ha osservato Papa Francesco, «che la madre

non sia sempre tenuta nel giusto conto». Eppure «al centro della vita della Chiesa c’è la Madre di Gesù»: sono le mamme che «sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione e la forza morale». Sono loro che «trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara è inscritto il valore della fede nella vita di un essere umano».

L’EUROZONA PIOMBA IN DEFLAZIONE: È LA PRIMA Riccardo VOLTA DAL 2009. Sorrentino Il dato temuto è arrivato: l’Eurozona è in deflazione. L’indice dei prezzi al consumo calcolato da Eurostat per i 19 Paesi che condividono la moneta unica è sceso in dicembre dello 0,2% rispetto allo stesso mese di un anno fa, in netto calo rispetto al +0,3% di novembre. Per trovare un altro dato negativo bisogna tornare indietro di oltre cinque anni, precisamente all’ottobre del 2009, quando il segno meno era arrivato al quinto mese consecutivo nell’Eurozona (qui la serie storica della Bce). Da allora non era più successo. Una notizia attesa dai mercati e dalla Bce, che ora non ha più alibi e deve cercare nuove misure di politica monetaria per far tornare l’inflazione vicina all’obiettivo del 2 per cento.

Italia, minimi dal 1959 L’Italia non è in deflazione per un soffio. L’Istat segna infatti variazioni nulle sia su base mensile che annua, dopo un novembre in positivo (+0,2% il tendenziale). L’azzeramento, spiega l’istituto, risente dell’ulteriore calo dei prezzi dei carburanti (-7,5% annuo per la benzina, -9,0% per il diesel). Il tasso d’inflazione medio annuo per il 2014 è stato dello 0,2%, in netta frenata rispetto al 2013, quando era all’1,2% . È il tasso più basso dal 1959,oltre mezzo secolo. Bruxelles: solo una contrazione provvisoria Eurostat spiega che il dato negativo di dicembre per l’area euro è l’effetto del crollo dei prezzi energetici (-6,3%, contro il -2,6% di novembre), mentre i prezzi degli alimentari sono rimasti stabili (contro +0,5% a novembre), così come i listini dei beni industriali. Unico segno positivo quello dei prezzi dei servizi (+1,2%, contro lo zero di novembre). La Commissione europea ha minimizzato: un «segno negativo provvisorio» del dato sull’andamento dei prezzi europei «è diverso da una chiara deflazione», ha detto un portavoce di Bruxelles, e la Commissione europea si aspetta un recupero. In Germania prezzi vicini allo zero Il dato europeo arriva all’indomani di quello della Germania, dove l’inflazione ha rallentato bruscamente a dicembre: secondo l’istituto di statistica Destatis, l’indice armonizzato europeo è stato pari a +0,1% contro il +0,5% di novembre, trascinato al ribasso dai prezzi dell’energia. Il dato è ai minimi dall’ottobre 2009 e sotto le attese degli analisti che lo indicavano a +0,2 per cento. Spagna in piena deflazione Nei giorni scorsi anche il dato spagnolo, sempre relativo al mese di dicembre, si è rivelato ben al di sotto delle attese, con un -1.1% su base annua che segna una decisa accelerazione al ribasso rispetto al -0,4% di novembre.


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QUADRANDOLARE DI CALCIO IN FAVORE DELLA COMUNITÀ DI SAN’EGIDIO: I MAGISTRATI BATTONO I PARLAMENTARI. I magistrati, ai rigori, hanno battuto i parlamentari. È il risultato del quadrangolare di calcio di beneficenza “Legalitalia………..tutti vincenti”, manifestazione in favore della Comunità di Sant’Egidio, organizzato dal Viminale al Centro sportivo Acqua Acetosa a Roma. Quattro le rappresentative in campo dinanzi a 300 bambini delle scuole calcio: parlamentari, Viminale, magistrati e giornalisti Rai. Obiettivo promuovere i valori della legalità, del rispetto e dell’educazione L’incontro, oltre allo scopo benefico, ha avuto l’obiettico di promuovere i valori della legalità, del rispetto e dell’educazione,

simboleggiati dal giovane arbitro Luigi Rosato, recentemente vittima di un’aggressione su un piccolo campo di provincia. Madrina della manifestazione è stata Emanuela Aureli, comica e coach di noti talent show e regina delle imitazioni. Presenti, oltre al “padrone di casa” Giovanni Malagò e il presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, Marcello Nicchi, il ministro dell’Interno Angelino Alfano e il Capo della Polizia Prefetto Alessandro Pansa. In campo anche la telecronaca in diretta La manifestazione è sta commentata in campo dai radiocronisti Giorgio Zanchini (Radio 1), Marco Rho (Isoradio), Stefano Pantano (atleta Fiamme Oro Polizia di Stato) e Italo Cucci (opinionista/ editorialista sportivo e attuale direttore del periodico “Primato”). Insieme al giovane Luigi Rosato, che ha arbitrato la finalissima, hanno diretto le gare gli arbitri del grande calcio Daniele Doveri e Claudio Gavillucci, designati per l’occasione. La somma raccolta è stata consegnata a don Vittorio della Cominutà di Sant’Egidio La somma raccolta – personalmente donata da tutti i componenti delle squadre coinvolte - sarà interamente devoluta alla Comunità di S. Egidio. «Le regole sono state osservate, per portare nei campi dello sport e della vita, il principio del rispetto», ha commentato il vicepresidente della Comunità di Sant’ Egidio, don Vittorio. «Abbiamo cercato di includere gesti di solidarietà a questa manifestazione sportiva sulla legalità e il calcio in vista del Natale», ha sottolineato il capo della Polizia Alessandro Pansa. Per il ministro dell’ Interno, Angelino Alfano, la giornata

WTA AUCKLAND, DOPPIO: È TRIONFO PER ERRANI-VINCI Il 2015 inizia con una solida conferma per Sara Errani e Roberta Vinci che, da regine del ranking di doppio e numero 1 del seeding, vincono l’”ASB Classic”, torneo Wta International dotato di un montepremi di 250mila dollari che si è concluso sul cemento di Auckland, in Nuova Zelanda, uno dei tre appuntamenti che hanno inaugurato la stagione. Sono serviti meno di 55 minuti alle azzurre per avere la meglio in due set 6-2, 6-1 sulla coppia formata dalla giapponese Shuko Ayoama e dalla ceca Renata Voracova. Sara Errani e Roberta Vinci, subito eliminate al debutto nel tabellone di singolare, rispettivamente dalla slovacca Daniela Hantuchova e dalla statunitense Coco Vandeweghe, si sono così rifatte nel doppio dove in semifinale hnno piegato le tedesche Julia Goerges e Anna-Lena Groenefeld prima di imporsi più facilmente del previsto in finale. Per le ‘Cichis’ si tratta del 22esimo titolo vinto insieme in carriera (25 quelli conquistati da ciascuna delle due), tra cui ben 5 trofei Slam, su 34 finali disputate.

DAKAR 2015, 6A TAPPA: ACUTO RODRIGUES, ALATTIYAH CALA IL TRIS La sorpresa Helder Rodrigues, la conferma Nasser Al-Attiyah: questo l’epilogo della sesta tappa della Dakar 2015, 688 chilometri complessivi da Antofagasta a Iquique. Il pilota spagnolo, in sella alla sua Honda, trionfa tra le moto davanti alla Ktm di Price, ma nella generale Barreda (sesto) allunga ulteriormente su Coma (ottavo). Tra le auto invece il principe del Qatar, al volante della sua Mini, trionfa per la terza volta ed è sempre più leader.

L’exploit di Rodrigues, già terzo nella Dakar 2011 e 2012, non è casuale: il motociclista portoghese proprio tre anni fa vinse la tappa da Antofagasta a Iquique. Questa volta, dopo un trasferimento di 322 chilometri e 318 di speciale, si mette alle spalle la Ktm di Price e la Honda dell’altro portoghese Goncalves. Sesto Barreda, che nella generale adesso è a 12’27” da Coma, oggi ottavo, mentre l’italiano Botturi chiude la tappa al 13.o posto.

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Tra le auto continua il dominio di Al-Attiyah, alla terza vittoria su sei tappe disputate: la Mini del principe del Qatar chiude con 37” di vantaggio sulla Honda di Giniel De Villiers, allungando così nella classifica

generale proprio sul driver sudafricano, ora a 11’12”. Tra i quad si impone il padrone di casa Casale che guadagna 8’15” sul leader della generale Sonik, secondo: il polacco conserva comunque un vantaggio di 16’08” sul cileno. Inter, altro colpo. Dopo Shaqiri e Podolski, il club guarda al futuro e blinda uno dei suoi giocatori più rappresentativi: Mateo Kovacic. E’ ufficiale infatti il rinnovo di contratto tra il ventenne croato e la Beneamata, con il centrocampista che vestirà la maglia nerazzurra fino al 2019. Due anni in più rispetto al primo contratto firmato da Kovacic con l’Inter, che scadeva nel 2017. L’ex Dinamo Zagabria, arrivato due anni fa esatti a Milano, nella stagione in corso ha firmato i primi gol ufficiali con la maglia dell’Inter (quattro in campionato, tre in Europa League). Per quanto riguarda l’ingaggio, non ci sono ancora dati certi, anche se Kovacic dovrebbe andare a guadagnare almeno il doppio rispetto agli 1,2 milioni di euro che percepisce attualmente. Ora per l’Inter il prossimo rinnovo in agenda dovrebbe essere quello di Icardi.

di oggi ha permesso di «contribuire tutti insieme a far sapere che la legalità e lo sport sono le stessa cosa e siamo felici di poter dare un piccolo contributo ad un pranzo di Natale per persone che non lo avrebbero avuto con serenità». Gli atleti delle Fiamme Oro hanno dato lezioni di sport ai bambini Si tratta del primo di una serie di incontri che nel 2015, per analoghi scopi benefici, vedranno affrontarsi in campo, negli stadi delle maggiori città d’Italia, le squadre del quadrangolare e altre rappresentative. Durante la manifestazione sono state esposte le auto storiche della Polizia di Stato, mentre atleti medagliati delle Fiamme Oro hanno dato “lezioni di sport” ai bambini presenti. I ragazzi delle scuole calcio intervenuti hanno assistito anche a dimostrazioni operative dei cani antidroga ed antiesplosivo della Polizia di Stato.

NBA: ATLANTA FERMA I PISTONS, WARRIORS IMBATTIBILI Notte ricca in Nba con ben 11 partite. E’ sempre più bagarre nella Western Conference: successo importante per i San Antonio Spurs che superano in volata i Phoenix Suns - 4 punti di Belinelli - mentre i Thunder battono i Jazz grazie a 32 punti del solito Durant e i Grizzlies cadono a New Orleans contro i Pelicans. I migliori a Ovest - e nella Lega - restano gli Warriors che stendono i Cavs sempre senza James mentre gli Hawks - i migliori a Est - fermano i Pistons dopo 7 successi. L’Ovest è selvaggio e ogni partita è una battaglia. Lo dimostra il match di San Antonio dove gli Spurs si impongono in volata 100-95 sui Phoenix Suns grazie ad un quarto periodo da 41-16: il protagonista è

Danny Green con 20 punti (4 su 7 da tre) mentre Marco Belinelli, partito in quintetto, produce 4 punti (2 su 9 al tiro) in 24 minuti. Agli Oklahoma City Thunder serve un Kevin Durant da 32 punti per avere la meglio 99-94 sugli Utah Jazz mentre i Memphis Grizzlies, quinta forza della Conference, cadono 106-95 a New Orleans contro i Pelicans di Holiday, 23 punti, e Evans, 21. I migliori di tutti restano i Golden State Warriors che centrano la 14esima vittoria di fila in casa superando 112-94 i Cleveland Cavs, sempre senza LeBron James. JR Smith segna 27 punti ma non bastano contro i 47 della coppia Curry-Thompson. A Est invece i migliori sono gli Atlanta Hawks che sbancano 106103 il Palace di Aubrun Hills e interrompono la corsa dei Detroit

Pistons, arrivati a 7 vinte di fila: spicca la prova da 19 punti e 16 rimbalzi di Al Horford. Alle spalle di Atlanta ci sono gli Washington Wizards che battono 102-86 i Chicago Bulls nel big match della notte: per la prima volta in carriera John Wall vince il duello diretto con Derrick Rose, i cui 19 punti non bastano ai Tori. Nella altre gare gli Indiana Pacers superano 107-103 i Boston Celtics in overtime, i Philadelphia 76ers vincono 90-88 a Brooklyn coi Nets, i Milwaukee Buck infliggono ai Twolves la 14esima sconfitta di fila (98-84), i Denver Nuggets passano 118-108 in casa dei Sacramento Kings mentre i Los Angeles Lakers, nonostante Kobe Bryant a riposo, battono 101-84 gli Orlando Magic con 18 punti di Jeremy Lin.

EUROLEGA, L’OLYMPIACOS BATTE MILANO 81-58. OGGI DOPPIO COMPLEANNO, PER L’OLIMPIA E PER COACH DAN PETERSON Chi sperava che la brutta confitta rimediata in casa contro i russi del Nizhny Novgorod, nella prima giornata della Top 16 di Eurolega, fosse solo un brutto sogno da dimenticare, si è risvegliato con la certezza che non si è trattato di un sogno, ma di una brutta realtà con cui fare i conti il più rapidamente possibile se Milano vuole ancora coltivare sogni di passaggio del turno per conquistare un posto tra le prime otto squadre del Vecchio Continente. Stessa partita, stessa bruttissima Olimpia nella seconda parte della gara e praticamente stesso risultato: i venti punti rimediati al Forum di Assago sono diventati 23, ed è questa l’unica differenza con quanto visto contro il Nizhny. Stessa partita e stessa bruttissima Olimpia perché di fatto, come era accaduto a Milano, gli uomini di Banchi hanno giocato solo per i primi due quarti, mantenendo il risultato in equilibrio fino all’intervallo lungo: a quel punto, con l’Armani sotto di soli 4 punti (39-35 per i greci) era lecito aspettarsi una ripresa testa a testa e una gara aperta fino alla fine. Anche perché nella prima frazione di gioco gli uomini di coach Banchi erano riusciti addirittura a costruire un vantaggio di sette punti, dimostrando che a questi livelli sono più che competitivi. Nei primi due quarti per Milano c’erano a referto 5 punti e 6 rimbalzi di un buon Nicolò Melli,6 punti per Alessandro Gentile e MarShon Brooks, 5 punti e 4 assist per Daniel Hackett, 4punti e 4 rimbalzi per Samardo Samuels. Insomma, quasi tutti gli uomini di peso dell’Olimpia stavano facendo quello che ci si attende da loro, sulla falsariga di un copione che li ha portati a dominare finora nel campionato italiano. E invece il rientro sul parquet, per la seconda frazione di gioco, è stato la replica di quanto vissuto al Forum: l’Olimpia è praticamente scomparsa, soprattutto nella fase offensiva. Da qui sono nati i parziali del terzo quarto (17-9 per i greci) e dell’ultima frazione (25-14) che hanno composto un impietoso 42-23 per l’Olympiacos nella seconda parte di gara. A pesare non sono tanto i punti subiti, perché concederne 80 a una squadra come quella greca è nella logica delle cose, ma la disastrosa prestazione di attacco, tanto più per un team come l’Olimpia che è abituato in Italia a superare la stessa quota con relativa facilità. I 23 punti dei secondi venti minuti sono un risultato da partita di minibasket, non da Top 16 di Eurolega. A fine gara i 12 punti di Alessandro Gentile sono stati il frutto di un brutto 4/14 al tiro, Samuels ha aggiunto solo 5 punti e 2 rimbalzi al proprio bottino, Hackett è rimasto fermo a quota cinque. Ma è ingiusto e inutile cercare qualche colpevole quando nessuno si è salvato. Nelle due gare della Top 16 Milano ha recitato lo stesso copione, con due black out totali che molto ricordano i passaggi a vuoto della scorsa stagione che consentivano agli avversari recuperi clamorosi dopo che l’Olimpia aveva raggiunto margini in apparenza di assoluta sicurezza. Le due sconfitte sono ancora recuperabili e la qualificazione non è ancora compromessa, ma già il prossimo 16 gennaio, sul parquet dell’Unicaja Malaga, ci sarà bisogno dell’Olimpia vera e non della mezza squadra vista finora. Per completare l’analisi in modo sereno e senza lasciarsi prendere dallo sconforto è giusto ricordare che per vincere sul campo dell’Olympiacos sarebbe stata necessaria un’impresa: cosa mai riuscita a nessuno quest’anno (bottino 11-0 per i padroni di casa) e accaduta solo 10 volte negli ultimi cinque anni. A dimostrazione di una forza che non a caso ha portato i greci a conquistare per tre volte la vittoria finale in questa manifestazione, le ultime due nel 2012 e 2013. Il lavoro di Banchi si concentrerà probabilmente sulla tenuta dei suoi per tutto il tempo di gioco, cosa che sembra ormai assimilata in Italia (dove il divario con gli avversari è spesso fin troppo evidente) ma che manca ancora sui parquet

europei. Vero anche che proprio la scarsa competizione in molte gare del nostro campionato rischia di creare una disabitudine e pesare, alla fine, quando il livello di gioco si alza e si devono affrontare avversari come l’Olympiacos. In chiusura, extra partita, è doveroso ricordare il compleanno della società (la cui fondazione viene fatta risalire proprio al 9 gennaio del 1936) ma soprattutto quello di coach Dan Peterson: quel Daniel Lowell Peterson che è nella storia dell’Olimpia come Cesare Rubini e Sandro Gamba, quel piccolo grande uomo che ha saputo guidare Meneghin, D’Antoni, McAdoo e tanti altri indimenticabili fuoriclasse alla conquista della Coppa dei Campioni, oggi Eurolega, e a tantissimi altri successi.

oggi, proprio nei giorni in cui il mondo è in lutto per un attacco terroristico a una città come Parigi sarebbe sconsigliabile sul piano emotivo. Cambia tutto anche perchè l’America aveva lasciato credere che avrebbe candidato Los Angeles, che ha già ospitato due giochi. La carta di Boston rimescola il gioco dunque con Roma che sarà costretta a giocare di contropiede invece che all’attacco. Il miglior passo immediato? Un telegramma di vivissime congratulazioni e auguri, persino di solidarietà. Poi la gara. E fra qualche anno, vinca il migliore.

Insieme agli auguri per Dan Peterson quelli per l’Olimpia di oggi, perché sappia ritrovare lo stesso spirito che proprio Peterson riassumeva nella sua famosissima espressione “sputare sangue”. Cominciamo dalla città: Boston ha subito un attacco terroristico proprio durante, la grande maratona del 2013 e ha pagato col sangue per aver ospitato un evento sportivo. Ma la città si è rialzata. Ha rifatto la maratona. E proprio in questi giorni ha avviato il processo per punire il colpevole, dell’attacco, Dzhokhar Tsarnaev, 21 anni, sopravvissuto al fratello complice. Ma Boston è anche la culla della democrazia americana ed è forse il centro universitario più importante del mondo con Harvard, l’MIT e il Boston College. Se poi aggiungiamo Camelot, la saga dei Kennedy e del Presidente assassinato, il quadro è completo. Il concorrente è temibile anche perchè quando scende l’America in campo la corsa è sempre difficile. In questo caso poi i vantaggi per gli USA si accumulano: le ultime Olimpiadi qui sono state quelle di Atlanta, nel lontano 1996 ( e l’America ha in genere un periodo di rotazione più elevato di altri paesi grazie alle tasche profonde degli organizzatori e delle reti televisive). Ma ci fu anche nel 2009 l’umiliazione del Presidente Obama, quando si recò personalmente in Danimarca per sostenere la candidatura di Chicago per le Olimpiadi del 2016 e fu bocciato, costretto a ritornarsene in America sul suo Air Force One con una sconfitta in tasca, proprio lui appena eletto alla guida della Nazione più potente del mondo. C’è dunque anche un piccolo debito. “Michelle ed io siamo felici - ha infatti subito detto Obama ieri sera dopo la scelta, fatta a Denver dal Comitato Olimpico americano - la città ha dimostrato di avere forza e coraggio dopo l’attentato ed è il posto migliore per ospitare nel 2024 gli atleti di tutto il mondo”. Come potremo rispondere noi italiani per restare in lizza con la nostra Capitale? Mancano anni alla decisione. Ci sarà tempo per distrarre dai recentissimi trascorsi di corruzione a confronto con l’eroismo bostoniano. Di certo, la strategia italiana a questo punto deve cambiare, farsi più morbida e di medio termine perchè reagire

RIDE PORTLAND, SAN ANTONIO KO AL TERZO OVERTIME Ancora una sconfitta al terzo overtime. Gli Spurs cedono 119-129 con i Trail Blazers, trascinati da un immenso Lillard: a San Antonio non bastano i dieci punti di Belinelli. Identico score per Gallinari, ma con successo: i Nuggets battono 109-106 i Clippers, grazie anche ad una tripla dell’azzuro sul 102-98, a due minuti dalla sirena. Vittoria per Cleveland (9591 sui Nets), nella notte in cui Miller da una grossa mano al solito LeBron James. Era dal 1951 che la stessa squadra non chiudeva due gare consecutive al terzo supplementare: nel dicembre di oltre sessant’anni fa ci erano riusciti i Baltimore Bullets. Dopo il ko contro Memphis ecco dunque arrivare un’altra sconfitta: Damian Lillard ne mette a referto addirittura 43, seguito dai 32 (con 16 rimbalzi) di LaMarcus Aldridge. Non è da meno Tim Duncan (32 punti e 10 rimbalzi), ma il terzo over time (7-17 il parziale) condanna gli Spurs. Gallinari c’è: dieci punti per l’azzurro, di cui cinque nell’ultimo quarto. I Nuggets si presentano al terzo quarto con 16 lunghezze di vantaggio sui Clippers, ma giocano un parziale disastroso (12-31), finendo sotto. L’ultima frazione, con la tripla del Gallo preceduta da quella di Wilson Chandler torna a sorridere a Denver. Non sbagliano i Cavaliers, dopo la batosta contro Atlanta: per una notte LeBron James (diventato 23o realizzatore di sempre in Nba) è costretto a condividere la copertina con Mike Miller: 21 punti per lui, frutto di ben sette bombe da tre (7/8). Bella sfida tra Chicago e Memphis, derby di casa Gasol: i Bulls vanno a vincere al FedExForum 103-97. Sei punti

per Pau, 13 per Marc, ma la prestazione da urlo è quella di Jimmy Butler, con 31 punti a referto e 10 rimbalzi, coadiuvato dall’altro spagnolo (montenegrino d’origine) Nikola Mirotic (27 punti e 6/6 da tre, dalla panchina). Colpo dei Raptors, vincenti 110-100 a Detroit, con i Pistons sempre privi di Datome. C’era curiosità per la prima senza Rondo di Boston: nessun problema contro Minnesota, superata in scioltezza 114-98. Anche senza Kevin Durant i Thunder battono i Lakers allo Staples Center, con il punteggio di 104-103, trascinati da un super Russell Westbrook, con Bryant in ombra. I Jazz si portano a casa il successo dal parquet di Orlando (94-101), così come gli Hornets riescono a vincere a Philadelphia (91109). Quinta sconfitta consecutiva in casa per Miami (priva di Bosh): passa anche Washington 105-103, grazie al duo Wall-Nenè. Sassari si inchina a uno straordinario James Anderson. La Dinamo chiude con una sconfitta a Kaunas la sua prima Eurolega: lo Zalgiris vince 80-79 grazie all’ex guardia di Spurs e Sixers, che mette a referto 26 punti e a pochi secondi dalla sirena realizza il gioco da 3 punti che vale il sorpasso. Un successo che regala allo Zalgiris una qualificazione col brivido alle top 16. Il miglior realizzatore di Sassari è Chessa (14 punti). La vittoria del Nizhny Novgorod sull’Unics (7874) costringeva lo Zalgiris a battere Sassari per andare avanti nel torneo. I padroni di casa partono senza indecisioni e dopo pochi minuti possono gestire già un vantaggio a due cifre: all’intervallo i lituani conducono 49-37. A metà del terzo quarto però si spegne la luce. Sassari piazza un incredibile parziale di 29-6 e all’inizio dell’ultimo parziale si

ritrova avanti di 9 (64-73). Oltre ai 14 punti di Chessa, per la Dinamo ci sono gli 11 di Logan e i 10 di Sosa. Il pubblico di casa è incredulo, ma per fortuna dello Zalgiris Anderson prende per mano la squadra. L’americano realizza 7 dei suoi 26 punti nei minuti finali, compresi i 3 infilati a 2 secondi e mezzo dalla sirena con Sassari sul +2 (67-69): Anderson penetra, subisce il fallo di Devecchi, realizza il canestro e anche il libero aggiuntivo. Kaunas tira un sospiro di sollievo e vola alle top 16 con Real Madrid, Efes e Nizhny Novgorod, Sassari esce dalla competizione a testa alta. Simone Pianigiani è sicuro: agli Europei del prossimo settembre anche i quattro giocatori Nba vestiranno la maglia dell’Italia. “Dal punto di vista delle motivazioni non mancano a nessuno di loro. Ognuno dei ragazzi vuole essere presente, su questo non ho assolutamente dubbi. E’ un Europeo di livello altissimo. Credo che anche tutte le star Nba saranno presenti, qualifica all’Olimpiade e questo girone stimolerà tutti ancora di più. Salute permettendo non ho dubbi che i ragazzi vengano”, ha detto il ct a margine della Santa Messa degli Sportivi celebrata a San Pietro. “Adesso si tratta di stringere ancora di più la comunicazione con i club, i ragazzi che in Nba, per quanto riguarda la loro condizione e fare un programma adeguato e individuale per arrivare piu’ o meno al 20 luglio, che dovrà essere indicativamente il giorno di raduno in grado di avere uno stato di condizione accettabile. Abbiamo bisogno di giocare molto e adeguarci a una pallacanestro europea”, ha concluso Pianigiani.

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I PEPERONI DIFFICILI E L’ELEGANZA DELL’OVVIETÀ DI ROSARIO LISMA La verità nuda e cruda è indispensabile o è lecito mediarla per rendere più accettabile l’irreparabile? E’ giusto usare definizioni senza filtri o più opportuno far uso di tattiche diplomatiche per non ferire? Sul quesito l’autore-attore-regista Rosario Lisma ha costruito la pièce “Peperoni Difficili”, tornata in scena al Franco Parenti di Milano dopo il successo della scorsa primavera. Il tema non è da strizzacervelli, non c’è da aspettarsi voli pindarici o discussioni filosofiche sull’argomento. Si tratta di uno spaccato di vita quotidiana che ha come epicentro la figura di Giovanni, giovane prete impegnato nel far girare la ruota della sua piccola comunità. Lo scambio dialettico fra i protagonisti dello spettacolo è quasi didattico, di buon livello professionale, i ruoli assegnati partono da semplici stereotipi, non vi sono colpi di scena, né un finale ad effetto e tutto si svolge nel modesto tinello di una piccola parrocchia. Si può tradurre in un elegante ‘esercizio di stile’ di quattro bravi professionisti, molto affiatati, che per due ore intrattengono il pubblico seduto nella stessa stanza, senza soluzione di continuità. La trama si riassume in due parole: la quotidianità di Giovanni, interpretato da Lisma, viene sconvolta dall’arrivo improvviso della sorella (Anna Della Rosa) di ritorno da una missione in Africa - peperoni difficili è la traduzione del piatto africano ‘momonguaieghè’ cucinato da Maria - che si porta appresso la sua dura esperienza, fatta di verità assolute ma anche di drammatiche testimonianze. La schiettezza e la determinazione della giovane scompaginano la routine dei tre amici, condita di commiserazione, buonismo, affetto e una buona dose di ipocrisia. Amico di Giovanni è il debole e tenero Filippo (Andrea Narsi), ottusamente innamorato della ex moglie che già si accompagna ad un altro uomo, e suo fratello Pietro affetto da ipertonia spastica, ma inconsapevole di essere diversamente abile, con buona pace degli altri due che ne condividono bonariamente la convinzione, definendolo semplicemente maldestro. La brava Anna Della Rosa (giovane attrice che ha partecipato al film La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino) piomba come un fulmine sulle loro vite, polverizzando la leadership spirituale del fratello prete, costringendo Filippo ad affrontare la realtà di una moglie che non lo vuole più e annientando le illusioni di Paolo come davanti ad uno specchio. Nulla di che si potrebbe dire. Ma il successo dello spettacolo sembra essere proprio la sua semplicità, costruire un canovaccio con pochi elementi può diventare impresa ardua se non compensata da sapiente regia e professionalità. In realtà la messa in scena ha un meccanismo quasi perfetto - a parte forse un troppo prolungato balletto-incubo di due preti mascherati - grazie ai quattro attori che si rivelano assai convincenti. Il pubblico ha apprezzato e, nonostante si trattasse di una ripresa, sono state diverse le chiamate agli applausi alla ‘prima’ milanese.

Fernando Mazzocca Questa mostra straordinaria, che raccoglie nei magnifici spazi espositivi della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma quasi duecento opere in parte attinte dalle proprie ricchissime collezioni e in misura maggiore radunate dai musei e da raccolte private di tutta Europa, ha un respiro davvero internazionale nel ricostruire con una sorprendente capacità di porre in relazione artisti e opere diversi, pitture e sculture, opere d’arte decorativa e grafica, dieci anni della nostra storia artistica. Si tratta del fatale decennio che vede spegnersi le luci della Belle Époque su eventi drammatici come il terremoto di Messina del 1908 o la sanguinosa guerra coloniale in Libia del 1912, e che si chiude con l’ingresso dell’Italia in guerra. Anche sul versante artistico gli anni dal 1905 al 1915 furono decisivi. Grazie al Futurismo, che rappresenta l’evento più clamoroso, l’arte italiana riconquistava la scena in tutto il mondo. Ma anche da altri versanti e da artisti che non aderirono a quell’avanguardia venne una diffusa spinta al rinnovamento e a contrapporre, come nel resto d’Europa, pensando soprattutto ai movimenti delle Seccessioni tra le grandi capitali culturali del mondo tedesco come Berlino, Monaco e Vienna, all’arte ufficiale e commerciale, ai gusti di un pubblico conservatore, nuovi orizzonti espressivi.

ANNUNCIATI I VINCITORI DEL PREMIO DANZA&DANZA 2014 Chiara Castellazzi Il 2014 si è appena concluso e la giuria del Premio Danza&Danza - uno dei più acuti riferimenti italiani nel settore - ha reso noto il palmarès degli spettacoli, dei ballerini e dei coreografi che maggiormente si sono segnalati sui nostri palcoscenici nel corso dell’anno. Riconoscimento annuale alle eccellenze della danza, il Premio istituito nel 1987 offre spesso una testimonianza della qualità e vitalità dell’arte coreutica in Italia. Se nessuna produzione classica dell’ultima stagione ha suscitato entusiasmi nella giuria presieduta da Marilù Buzzi, molti sono invece gli interpreti di grande caratura che si sono distinti e sono stati insigniti del premio 2014. A cominciare dalla protagonista di una luminosa rentrée dopo qualche anno di ritiro dal palcoscenico, Alessandra Ferri, che ha incantato tanto in After the Rain di Wheeldon all’inaugurazione della nuova Opera di Firenze quanto in Chéri al Ravenna Festival, dove ha dato realismo, anima e poesia al personaggio di Colette. Ancora nella sezione “interpreti”: il virtuoso russo dell’American Ballet Theatre, Daniil Simkin e il maestro di eleganza David Hallberg, principal sia dell’ABT che del Bol’šoj, capace di unire stile europeo, tecnica americana e perfezionismo russo. Entrambi applauditissimi in Italia. Premiate anche l’astro nascente del Mariinskij Oksana Skorik, ammaliante Odette/Odile a Ravenna e la giovane stella italiana del Piermarini, Nicoletta Manni.

nazionale “Sopra di me il diluvio” di Enzo Cosimi per la sua androgina musa Paola Lattanzi. L’ex bauschiana Cristiana Morganti è premiata come coreografa di se stessa in “Jessica and me”. Roy Assaf e Sharon Eyal, alfieri dell’acuminata, vitalissima e mai banale danza israeliana, sono i “coreografi dell’anno”, che hanno molto girato anche in Italia. Il “premio alla carriera” è per Trisha Brown e fra i “danzatori emergenti” troviamo: Vittoria Valerio, Carlo di Lanno e Angelo Greco, residenti in Italia, e Francesco Gabriele Frola e Sara Renda, accolti in compagnie estere. La sezione del premio che si occupa delle pubblicazioni di settore, intitolata a Mario Pasi, è stata attribuita a Roberto Giambrone.

C Nella categoria “miglior spettacolo contemporaneo” troviamo “Excursions” dell’intramontabile ex enfant terrible americano Mark Morris e sul versante

È stato dunque un decennio di sperimentazioni affidate allo slancio di quelle nuove generazioni, dei nati negli anni Ottanta del Novecento, i cui conflitti furono interpretati da I vecchi e i giovani, il romanzo di Pirandello uscito proprio nel 1900. Vittoria Marini Clarelli, nella sua appassionata apertura del catalogo intitolata a La giovane, giovanissima e futura Italia, lo evoca giustamente come un manifesto del sentire di quegli anni.

DALÌ NEL CIRCO CONTURBANTE

Sale e scende dalla graticciata del Piccolo Teatro Strehler La Forêt des idylles au printemps (La foresta degli idilli in primavera), il grande fondale firmato Salvator Dalí. No, non è un falso: i nove metri per quindici, dipinti dal pittore surrealista nel 1944 per il Tristan Fou, una propria versione del Tristano e Isotta di Wagner in forma di balletto “avanguardista e paranoico”, ora appartengono, almeno temporaneamente, a La verità di Daniele Finzi Pasca e alla sua compagnia.

L’opera conturbante e vivacemente macabra dell’artista catalano, con due grandi figure simili a tronchi d’albero, protese l’una verso l’altra da mani scheletriche, ma anche con tocchi vezzosi come il grande soffione sulla testa di Isotta (è Gala, l’inseparabile musa-moglie di Dalí che qui trasfigura anche se stesso), può ancora essere ammirata, nelle visite guidate, predisposte dal teatro milanese, indipendentemente dallo spettacolo di nouveau cirque del poliedrico autore, regista, coreografo e light-designer svizzero. Finzi Pasca racconta, nelle note di sala della sua Verità, come questo pezzo unico e raro sia stato ritrovato, chiuso in una cassa polverosa, nei meandri della Metropolitan Opera House, tornando alla luce solo sessant’anni dopo, nel 2010; e di come la Fondazione europea, ora sua proprietaria, lo abbia interpellato per mostralo di nuovo al mondo. Invece, in scena, il regista svizzero sembra voler confessare una sorta d’imbarazzo nel dover gestire un simile, prezioso, “ostaggio”. Nella follia di un bric à brac di sicuro anche bulimico, in specie quando tenta di rendere concreti certi spunti surrealisti (grandi soffioni installati dal gruppo diventato tribù tutta argentata...), ciò che più convince è l’idea di progettare acrobazie in alto e in basso. Qui l’accordo con il Tristan Fou – storia di «amore nella morte e morte nell’amore» e con il suo simbolico fondale, è perfetto. Le anime nobili si involano verso cieli inaccessibili ma ardenti, le altre camminano lungo pedestri sentieri quotidiani. © RIPRODUZIONE RISERVATA

ARTE PRIMA DELLA GRANDE GUERRA

Questa lotta tra la gioventù e l’«avara paurosa prepotente gelosia dei vecchi» si rifletteva nell’arena artistica in una serie di iniziative analoghe a quelle delle seccessioni tedesche, cui si rifecero anche nell’usare questa denominazione. Il variegato panorama del secessionismo italiano è stato ricostruito con grande coraggio e competenza da Stefania Frezzoti, da sempre una vera colonna della Galleria Nazionale romana, che ha ideato e curato con grande coraggio e competenza questa impresa. Va reso l’ onore delle armi a questa bella e riuscita sfida – ed è importante che le istituzioni non cedano alle sempre più pressanti lusinghe dell’ industria culturale – alle mostre precotte da troppo tempo dominanti nel Bel Paese. Può risultare curioso che il palcoscenico di questa ribellione, che significava anche allargare i propri orizzonti dialogando con quanto di più innovativo si andava affermando nel resto del mondo, siano state le due città “passatiste”, la Roma che andava traducendo la sua eredità classicista nei retorici fasti della capitale di una Nazione nata da poco e la decadente Venezia del chiaro di luna, contro cui avevano rivolto i loro strali i futuristi, innamorati delle metropoli moderne come Berlino, «meno pietre e più acciaio», prive «di ruderi e dei difensori di ruderi», come proclamava Marinetti. Ma Roma con le grandi esposizioni internazionali, come quella del 1910-11, e Venezia con le Biennali erano diventate il luogo del dibattito artistico e del confronto internazionale. Erano dunque l’ambito più congeniale anche per lanciare le provocazioni contro un sistema per cui la manifestazione veneziana si era «andata sempre più ufficializzando» e coinvolgendo nel «non pulito mercato internazionale», come sostenne un organizzatore delle mostre della Seccessione romana Cipriano Efisio Oppo. Nelle sale di Ca’ Pesaro a Venezia e, in maniera più sistematica negli

spazi, allestiti con particolare impegno, delle rassegne capitoline, organizzate annualmente dal 1913 al 1916, si consumò questa grande avventura che ha visto coinvolti i protagonisti del rinnovamento artistico di quegli anni, alcuni partiti dal Divisionismo e transitati nel Futurismo come Balla, Boccioni, Carrà, Severini, Soffici e Morandi; altri legati a ricerche più personali, come Cambellotti, Medardo Rosso, Andreotti, Wildt, Marussig, Rossi, Martini, Casorati, Viani, Cavaglieri, Ferrazzi e De Chirico; altri ancora che seppero navigare abilmente sul crinale tra arte ufficiale e sperimentazione, come Spadini, Carena, Nomellini e soprattutto Chini cui vennero affidate le grandi decorazioni sia stabili che effimere dei grandiosi padiglioni delle Biennali. Ai nomi appena citati ne vanno aggiunti altri che furono, forse, testimoni minori, ma che, giustamente rappresentati, rendono questa mostra davvero completa nel ricotruire un tessuto di esperienze variegato e straordinario. È la conferma della vivacità e dell’intraprendenza dei giovani artisti italiani che si riunirono a Venezia e a Roma per costruire la loro alternativa al gusto dominante e dialogare con i colleghi stranieri presenti tra le Biennali veneziane, che nelle pieghe dell’ufficialità diedero spazio in realtà a molte aperture, e le Secessioni romane nate invece per privilegiare la sperimentazione. Pensiamo, per esempio, all’influenza dei due più popolari secessionisti d’oltralpe, Klimt e von Stuck, presenti sia alle Biennali che dedicò loro due clamorose personali, sia a Roma nell’Internazionale del 1911. Furono anche l’occasione per non farsi sfuggire i loro capolavori, come la Salomè e Le tre età del primo acquistatate rispettivamente per la Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro e la Galleria Nazionale romana, o Oreste e le Furie e Il Peccato del secondo destinati uno ancora a Roma e l’ altro alla Galleria d’ Arte Moderna di Palermo.

FONDAZIONE VICO, PRIMO MEETING NAZIONALE SULLA «RESILIENZA RURALE» Appuntamento fino a domani a Vatolla, frazione di Perdifumo in provincia di Salerno, nel cuore del Parco nazionale del Cilento, con il primo meeting nazionale sulla “Resilienza Rurale”. A ideare e animare l’evento è la Fondazione Giambattista Vico, presieduta da Vincenzo Pepe. In questo borgo, che si affaccia sui golfi di Salerno e Napoli, si trova la sede storica della Fondazione Giambattista Vico, in Palazzo De Vargas. Ed è in questo antico castello che il giovane filosofo napoletano giunse come precettore nella nobile famiglia Rocca, e potè maturare il suo pensiero ed elaborare la “Scienza Nuova”, sua opera massima, che ispirò l’illuminismo e quindi le correnti filosofiche contemporanee.

«Da tempo - ricorda Vincenzo Pepe - la Fondazione Vico si dedica allo sviluppo locale con progetti innovativi che hanno contribuito ad avviare il processo di recupero degli elementi della biodiversità del territorio e delle diversità etno-antropologiche che nei secoli hanno generato un patrimonio di conoscenze e un equilibrio eco sistemico che nel Cilento ha dato vita, tra l’altro, alla Dieta mediterranea: non solo un regime alimentare, ma un insieme di fattori culturali e identitari che vanno preservati e riconsiderati anche in funzione della valorizzazione delle filiere produttive storiche». «Anche il Cilento, come altre aree rurali d’Italia e d’Europa, soffre oggi la piaga della desertificazione sociale - continua Pepe -. Infatti un galoppante spopolamento sta mettendo a rischio l’idea stessa di futuro per comunità un tempo floride.

La mancanza di politiche efficaci e la corsa alla globalizzazione stanno velocizzando questo processo che impedisce a migliaia di famiglie e soprattutto ai giovani di usufruire delle immense opportunità offerte dall’economia rurale, specie se legata alle tradizioni e all’eccellenza, anche grazie all’innovazione che potrebbe consentire di vivere una ruralità non emarginata, ma che si candida come motore del fenomeno ‘g-local’».

«La spinta - conclude Pepe - deve venire da una spontanea maturazione delle comunità rurali che devono impegnarsi nell’attuare percorsi sociali innovativi volti al ripristino delle funzioni produttive storiche dei borghi e delle connessioni territoriali. E questo fenomeno necessita di una capacità di adattamento alle difficoltà e di uno slancio reattivo non remissivo. Questa è, in pratica, la “resilienza”. La stessa ricetta è stata indicata, nel 2013, dal direttore generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), José Graziano da Silva, per i così detti “Paesi fragili”». La “tre giorni” in corso a Vatolla, nel Salernitano, fino al 13 dicembre, vede un fitto calendario di convegni, seminari, formazione, tra cui un training sull’europrogettazione ed uno sulla social innovation. L’intero paese sarà invaso, nelle diverse location attivate, di mercatini resilienti, di stand degli operatori pubblici e privati che

mostreranno il loro percorso resiliente. Saranno presentati i risultati degli studi inerenti gli elementi della biodiversità cilentana e i progetti innovativi delle Società di Sviluppo. Sarà allestito anche un padiglione del gusto, dove si potranno assaporare piatti tipici della ruralità cilentana. Non mancheranno testimonial di eccezione, rappresentanti del mondo politico e della cultura, tra cui lo scrittore Marcello Veneziani e il giornalista Alessandro Cecchi Paone. Al termine del meeting verrà redatto e sottoscritto un protocollo sulla resilienza rurale che mira a diventare un modello replicabile ed una buona pratica europea da cui cogliere spunto nelle azioni della programmazione 2014/2020.


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12 GENNAIO 2015

ANASTACIA E SKIN. IL 2015 LIVE PRENDE QUOTA CON LE SIGNORE DELLA MUSICA Archiviate le festività natalizie, il 2015 della musica dal vivo prende quota grazie a due signore che, partendo da coordinate musicali molto diverse, hanno dominato le classifiche degli ultimi 20 anni. La prima è «the little lady with the big voice», nota anche come «freak of nature», uno «scherzo della natura» partito da Chicago e arrivato a quota 85 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. In una parola Anastacia, la soul girl americana che l’anno scorso ha pubblicato «Resurrection», sesto album in studio, e a ottobre ha già fatto tappa nel nostro Paese. Rieccola domenica 11 gennaio all’Auditorium Parco della Musica di Roma, lunedì 12 all’Obi Hall di Firenze, mercoledì 14 al Fabrique di Milano. Se alle atmosfere pop e ai virtuosismi vocali preferite ambientazioni rock più ruvide ma riuscite comunque ad apprezzare le suggestioni elettroniche, la donna che fa per voi è Skin, già front leader degli Skunk Anansie che, a metà degli anni Novanta, rappresentarono al punta di diamante del cosiddetto fenomeno skunk rock. In pausa dalle attività con la band, sabato 10 gennaio alle Industrie di Catania tornerà al suo primo amore, il disk jockeying, con un dj-set articolati sulle sue passioni musicali. Tra gli appuntamenti cult della settimana si segnalano poi le esibizioni del poeta, cantautore e cantante nordirlandese Andy White, già membro degli Alt negli anni Novanta e adesso reduce dalla pubblicazione dell’album «How things are».

ECCELLENZE IN NOME DI QUADRI Stefano Massini, forse il più importante autore del teatro italiano oggi, paragona Franco Quadri al costruttore Solness di Ibsen, un uomo tormentato dal “proprio necessario tramonto”. Gli fa eco Renata Molinari, curatrice del 31esimo numero della rivista di Bompiani Panta, dedicata appunto al critico ed editore milanese scomparso nel 2011 e preziosa antologia di saggi, testimonianze, interviste, scritti autografi e inediti materiali iconografici (curati da Jacopo Quadri). Anche lei ricorda la «ricca raccolta di cartoline» di Quadri: «tanti tramonti per la sua collezione!». E ha sempre un po’ il colore del tramonto persino la cerimonia dei Premi Ubu, gli “Oscar” del teatro nostrano, inventati dall’intellettuale nel 1979, assegnati da 53 referendari e consegnati lunedì al Piccolo Teatro Grassi: è il “brillio disperato e finale” di un rito che sancisce la fine dell’anno (solare) teatrale.

e il 15 al Surfer Joe Diner di Livorno. Completano il quadro tre esibizioni (il 9 e il 10 gennaio) di Tania Maria, regina della nuova musica brasiliana, e i sette live act (dal 13 al 16 gennao) degli Incognito, band pioniera del movimento acid jazz che torna con l’album «Amplified Soul». Tutto al Blue Note di Milano.

A sbancare questa 37esima edizione è stata Emma Dante, che, con Le sorelle Macaluso, ha vinto ben due Ubu, uno per lo “Spettacolo dell’anno” e uno per la “Miglior Regia”. Sardonica, ha commentato: «È la prima volta che il premio alla regia viene assegnato a una donna. Lo dedico perciò alle mie colleghe, e a tutte le donne». “Miglior attrice” 2014 è Arianna Scommegna, mentre nella categoria “Under 35” è Licia Lanera; il corrispettivo maschile è andato a Roberto Latini, che ha coerentemente ringraziato con la più classica delle esclamazioni patafisiche: «Merdre!». Certo il fondatore della Ubu Libri e del Patalogo avrebbe apprezzato: a lui, da quest’anno, viene tributato un omaggio ulteriore, il “Premio Franco Quadri”, “destinato a un maestro della creazione contemporanea”. L’ha vinto la belga Frie Leysen, fondatrice e direttrice di blasonati festival e rassegne europee, nonché insignita in patria del “Premio Erasmus”. La “Novità straniera” dell’anno è, invece, Frost/Nixon di Peter Morgan, allestito dalla compagnia dell’Elfo, e “Miglior spettacolo straniero presentato in Italia” Glaube Liebe Hoffnung, diretto dallo svizzero Christoph Marthaler.

Venerdì 9 sarà al Can e Gato di Garda (Verona), il 10 al La Val di Costermano (Verona), il 13 al Marco’s Pub di Livigno (Sondrio), il 14 allo Spaziomusica di Pavia

“Miglior allestimento” scenico è stato giudicato quello di Alessandro Marzetti, Silvia Bertoni e Armando Punzo per Santo Genet; “Miglior progetto sonoro” quello di G.u.p. Alcaro per Quartett; “Miglior progetto artistico” è e la volpe disse al corvo. Corso di Linguistica Generale. Il teatro di Romeo Castellucci nella città di Bologna. I “Premi Speciali” sono andati alla Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli e a Michele Sambin e il Tam Teatromusica. Infine, l’Ubu per la “Novità italiana” è stato vinto da Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, pièce di struggente bellezza che si interroga sulla crisi finanziaria e, soprattutto, sulla inadeguatezza e frustrazione dell’artista in anni di tragedia economica e sociale. E se il poeta si domandava: «A che scopo i poeti in miseri tempi?», il critico affermava: «Ci sono poche possibilità di andare avanti, ma si può osservare da vicino. La scrittura non è necessaria». E qualche pagina più in là, sempre nella pensosa rivista, si legge: «Tu sei sempre il critico e sei solo, dall’altra parte. Loro ti chiamano, scongiurano perché tu sia presente agli spettacoli, ma quando poi sei lì, gli fai paura, anche agli amici». Così scriveva Franco Quadri, l’”aminemico” dei tramonti.

«LO SCHIACCIANOCI» DI AMEDEO AMODIO, TRIONFA ALL’OPERA DI ROMA Giuseppe Distefano

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È la strenna più preziosa di Tersicore, uno di quei classici del balletto che stanno in cima ai gusti e alle preferenze dei pubblici di ogni Paese: l’intramontabile e ciaicovskiano “Schiaccianoci”, che, immancabile, torna all’appuntamento delle feste natalizie. Andò in scena nel 1892 al Teatro Marinjinsky di San Pietroburgo, per la gioia dello Zar, dei suoi bambini, e del pubblico alto-borghese, ma snobbato, allora e per molti anni, dalla critica. Invece, in un secolo e più di infinite riprese, nuove edizioni, reinvenzioni, è diventato il balletto più amato di tutto il repertorio classico; quello che ci emoziona anche per le segrete inquietudini che serpeggiano nella storia.

Emanuele Luzzati. Un vero trionfo di colori. Una gioia per gli occhi e per il cuore. Lo “Schiaccianoci” di Amodio, considerato ormai un “classico”, nacque nel 1989 per l’Aterballetto, e rappresentò una delle carte vincenti della compagnia di Reggio Emilia da lui fondata e diretta. Più volte ripreso – l’ultima al Massimo di Palermo lo scorso anno – è tornato ora all’Opera capitolina raccogliendo un meritato successo. Un’edizione bellissima, che non conosce l’usura del tempo, da vedere e rivedere. A sipario chiuso Drosselmeier sul proscenio ci introduce nella fiaba, e ad apertura nella notte magica di Natale campeggia la proiezione dell’immenso numero 24.

Non a caso, seppur addolcito e amabilmente raccontato da Dumas padre, si ispira a uno dei racconti più sinistri dello scrittore tedesco E.T.A. Hoffmann: “Lo schiaccianoci e il Re dei Topi”. La fiaba si snoda attorno all’avventura notturna della giovane Clara che, alla vigilia di Natale, riceve in dono dal vecchio padrino Drosselmayer uno schiaccianoci a forma di soldatino che diventerà l’amuleto con cui la ragazzina immersa in mille viaggi e incontri, verrà iniziata alla vita adulta. Sappiamo bene come questo delicato soggetto si presti alle più varie e libere interpretazioni. foto

Amodio, fedele al racconto originale di Hoffmann, conserva il punto di vista dei bambini, liberando la fantasia nell’attesa dell’arrivo dei doni natalizi; con Drosselmeier l’artefice della magia delle ombre, l’imbonitore ambiguo e onnisciente che muove gli enormi giocattoli dando vita ai sogni, alle paure, ai desideri di Clara; e con gli adulti, dall’aspetto grottesco, osservati con occhio divertito. Nei divertissiments del secondo atto, col viaggio fantastico della ragazzina che incontrerà gli orientalismi della danza araba, le tazze e le teiere danzanti di quella cinese, i clown e le clownesse del circo, troveremo anche un’aggiunta dal mozartiano “Flauto magico”, con Papageno e due Papagene e la loro gabbietta d’oro.

Nureyev, ad esempio, ma anche lo stesso Bejàrt, espresse l’ambiguità degli sdoppiamenti tra sogni e realtà in chiave fortemente psicoanalitica. La magia dello Schiaccianoci avviene, comunque, ogni anno, anche nelle versioni più semplici e tradizionali. In questi giorni è alla Scala di Milano nella versione di Nacho Duato. All’Opera di Roma, invece, è in scena la bellissima versione di Amedeo Amodio nell’allestimento creato per il teatro capitolino nel 1997. La sua è una coreografia irta di simboli, di avvertimenti, di minacce, di simulacri, di esorcismi, che ci immerge nel più vistoso gioco di trasformazioni e di identificazioni che si moltiplicano in maniera quasi selvaggia. Veloce, incalzante, piena di ritmo, con scena dal taglio rapidissimo. E fantasiosa, raffinata, arguta, nelle scenografie e nei costumi di quel grande artista illustratore che è stato

C

ruolo di Drosselmeier. Lo schiaccianoci musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij, coreografia Amedeo Amodio, scene e costumi Emanuele Luzzati, direttore Nir Kabaretti, orchestra e Corpo di ballo del Teatro dell’Opera, con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera diretta da Laura Comi. In scena fino al 4 gennaio 2015.

Scenicamente Amodio si avvale anche delle affascinanti proiezioni del teatro d’ombra, a base di silhouettes animate, inventate dalla compagnia di Piacenza Teatro Gioco Vita, che arricchiscono il mondo onirico infantile; e della straordinaria voce – registrata – di Gabriella Bartolomei, che recita alcune parti del racconto di Hoffmann. Nei ruoli principali si alternano diversi interpreti. Noi abbiamo visto Ashley Bouder, principal dancer del New York City Ballet, con l’albanese Rezart Stafa della Compagnia Balletto Classico Cosi-Stefanescu: coppia eccellente. Nei panni di Carl, e dunque del principe, Stafa è morbido ed elegante, e Bouder, affascinante Clara, di musicale virtuosismo. Il loro “gran pas de deux” è un momento di grande perfezione classica. E, da segnalare, il sempre bravo Riccardo Di Cosmo nel

IL GO E L’ARTE DI VINCERE IN PACE

Sul finire degli anni ‘60 del secolo scorso, lo scrittore Georges Perec e i suoi amici Pierre Lusson e Jacques Roubaud, tutti e tre abili esperti di giochi linguistici e, più in generale, logici ed enigmistici, sentirono di doversi chiudere in un felice ritiro in Normandia per comporre il Breve trattato sulla sottile arte del go. In particolare l’autore di Vita, istruzioni per l’uso, romanzo costruito intorno all’idea del puzzle, fu colpito da istantanea illuminazione non appena venne a contatto con la più antica forma di gioco orientale, al punto che egli si sentì in dovere di rinnegare vigorosamente i «banali e grossolani» scacchi. Il go, inventato in Cina 4.000 anni fa circa alla corte dell’imperatore Ketsu, sin dalla sua importazione in Giappone, per mano dell’ambasciatore Daijin nel 735, è tradizionalmente divenuto l’emblema della cultura nipponica caratterizzata da un «miscuglio di impassibile soavità

e feroce sottigliezza»: a esso il monaco Honinbo dedicò una scuola alla quale si iscrissero tutti coloro che fossero intenzionati a dedicare la loro intera esistenza a questa arte sopraffina dell’estetica e della logica. In poche parole, il go è una summa perfetta della sapiente arte orientale della meditazione zen e del dominio di sé. Non deve sorprendere se il suo insegnamento è ancora previsto nei curricula degli studenti di molte scuole e università orientali. Sentire risuonare le pedine di madreperla bianca e di ardesia nera, mentre vengono adagiate sulla superficie cava del campo, è già di per sé un godimento. Ma il go è un duello, che si gioca in due, con pedine bianche e nere, su una “scacchiera” GOBAN ricavata da un unico pezzo di legno pregiato: su di essa sono segnate 19 linee orizzontali e 19 verticali che si intersecano in 361 punti, quelli su cui si sistemano le pedine. Alcune delle intersezioni, indicate con dei puntini neri, sono HOSHI, i punti su cui posare le pietre di vantaggio accordate al giocatore più debole. Solo un’allenata capacità immaginativa

e un esercizio alla meditazione, solo l’abitudine a sapere vedere le cose dall’alto con distacco può aprire alla “visione” del gioco e può svelare i misteri di configurazioni pericolose o vantaggiose che finora erano rimaste nascoste all’occhio ingenuo del giocatore distratto dalla vile bramosia di vincere; solo quando si armerà di pazienza, osserva Perec, «– e qui interviene una difficoltà non sempre colta dalle nostre grossolane menti occidentali – (…), allora egli comincerà a capire perché, poi come, poi quando, bisogna saper interrompere una battaglia locale e accenderne una più lontano, valutare una situazione nel suo insieme, saper scegliere tra possibili mosse, calcolare il proprio anticipo e il proprio ritardo, sapere se si è cacciatore o preda (ma il più delle volte si è cacciatore e preda nel medesimo istante, nel medesimo luogo!)». Per citare ancora Sen Tzu, «sottomettere l’esercito nemico senza combattere è prova di suprema abilità».

NASCITA E LIBERAZIONE DELLA DONNA NELL’«ORATORIO PER EVA» DI ROBERTO Giuseppe Distefano ZAPPALÀ Sembra aver abbandonato, almeno per il momento, quell’appassionata ricognizione mediterranea, profondamente culturale, e di sussulto civile, tesa a mappare con spettacoli espliciti – il progetto “Re-Mapping Sicily” -, e titoli eloquenti – uno per tutti: “Sudvirus. Il piacere di sentirsi terroni” -, territori ancestrali e popolari tipici delle sue radici, sempre supportato dalla collaborazione con il drammaturgo Nello Calabrò. Il coreografo catanese Roberto Zappalà con la nuova creazione “Oratorio per Eva” (appena reduce dal successo al festival ImpulsTanz di Vienna) cambia registro e oggetto d’indagine con un assolo esclusivamente al femminile, creato per, e con, la danzatrice della sua compagnia Maud de la Purification, teso a indagare bellezza e sofferenza, nascita e liberazione. Artefice di coerenti e corpose trilogie, anche qui Zappalà persegue il lavoro a step, un percorso a tappe del progetto “Transiti Humanitatis” che ha già visto in scena “Invenzioni a tre voci” e avviato allo spettacolo finale “I am beautiful” previsto per gennaio 2016 al Comunale di Ferrara. Prendendo spunto dalla donna biblica nei giorni della creazione del mondo narrata da Mark Twain nel “Diario di Eva” - descritta come figura soave, ciarliera, romantica - dal quale attinge alcune parole pronunciate in alcuni passaggi dalla performer, Zappalà tesse nel corpo della danzatrice una vibrante e nervosa partitura di gesti e movimenti ora lenti ora veloci, ora sporchi ora armoniosi, che scolpiscono lo spazio vuoto mentre bagliori di luce soffusa o abbacinante la bagnano bloccandola in posture scultoree. Come la vediamo nell’inizio, ben piantata a terra: una nascita larvale fatta di avvitamenti e allungamenti di braccia mani dita gambe e piedi, rivolti sempre verso l’alto, quasi una pianta che, toccata dalla luce, si risveglia e si anima. Conquistata la posizione eretta con fierezza avanza in proscenio. Si benda gli occhi. E, mentre pronuncia parole di affermazione di se stessa, si sveste del costume bianco per indossarne uno rosso. foto E intraprendere un’altra danza, un altro racconto personale che le farà svelare violenze subite in ambito famigliare e il percorso di liberazione conquistata attraverso paure e dubbi, smarrimento e, infine, consapevolezza. Una danza aguzza la sua, spigolosa, poi flessibile, leggiadra, con salti repentini, e sempre più aperta nelle tensioni delle braccia e nelle arcate delle gambe. Ad accompagnarla, quasi un contrappunto, è un ensemble vocale di madrigali di Monteverde e, nel finale, di un violinista che si unisce al coro, nel frattempo subentrato, di “otto corpi in transito”. Sono figuranti di età e fisici diversi che, osservando la donna e avvicinandosi a lei, la indicano con appellativi che ne esaltano le prerogative: bellezza, conoscenza, inganno, seduttrice, gioia, paradiso. E, in ultimo, “mamma”, pronunciato e ripetuto da un ragazzo. Seduti in un angolo, poi in piedi, la osservano. Lei si muove tra loro, barcollando, cadendo, rialzandosi, aiutata dal loro protendersi. Infine affermando la sua bellezza conquistata, cosciente di essere “un esperimento unico, meraviglioso, sacro”, si libera in una danza entusiasta mentre tutti scompaiono. Lasciandoci impresse la grazia e l’energia condensate nella strepitosa interprete. “Oratorio per Eva”, da un’idea di Nello Calabrò e Roberto Zappalà. Coreografia e regia Roberto Zappalà, danza e collaborazione Maud de la Purification, al violino Giovanni Seminerio, voci Quintetto Zefiro. Una produzione Compagnia Zappalà Danza. A Catania, Scenario Pubblico, dal 19 al 21/12.


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