A...periodico 14

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volantino di informazione e diffusione delle attivitĂ culturali, sociali e sportive

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Un pensiero alla memoria di Sergio Collalti Il 2015 ha visto, tra gli eventi che ritengo meritino di essere segnalati, la dipartita del concittadino Sergio Collalti, personaggio di rilievo nel panorama cittadino. Lo voglio ricordare con alcune righe tratte dal libro di Giuseppe Coppotelli: “In Ordine Sparso – sognando l’alba di un nuovo giorno” edito dall’assessorato alla cultura del comune di Ferentino nel 1998. Per la verità a lui non piaceva il ritratto che ne usciva dal libro ma resta un documento cartaceo che ritengo meriti di essere letto nella sua brevità (consta di 62 pagine). La vicenda da cui ho estrapolato quanto segue è a pag. 55 e seg. in un paragrafo dal titolo “dalle macerie fumanti un anelito di libertà” in cui si narrano eventi sul finire della guerra del 1940-45. “Un altro sabotaggio, consistente in un furto d’armi poste all’interno di un camion dell’esercito italiano, ce lo racconta Sergio Collalti, gestore del bar omonimo. “la notte tra il 12 e il 13 settembre 1943, con Enzo Cellitti e Angelo Coppotelli, dal camion OM parcheggiato lungo Viale Elena (ora Guglielmo Marconi) portammo via pistole Berretta cal. 9, fucili, bombe a mano Balilla. Armi e munizioni che nascondem-

mo sotto il bar Vascello. Quando venimmo a sapere che nella zona di Monte Scalambra (Serrone) operava un gruppo di partigiani del GAP, comandato da Antonello Trombadori, organizzammo il trasferimento caricando le armi su un camioncino”. Esistono altre versioni di questo racconto con ulteriori particolari nel libro “Vicende di Guerra” di Virgilio Reali o nelle registrazioni che ho ripreso dalla viva voce del registrazioni, appartenenti alla mia collezione, sono tuttora inedite e aspettano che mi decida ad omogeneizzarli per la diffusione. Prima di chiudere questo pezzo voglio però aggiungere un aneddoto che mi raccontò lo stesso Sergio Collalti che lo aveva appreso da un anziano che aveva assistito alla scena. L’evento riguarda il passaggio in Ferentino di Giuseppe Garibaldi prima che il paese divenisse italiano, ricordo dalle sue parole lo sconcerto dell’eroe dei due mondi per la fredda accoglienza ed il distacco che i nostri concittadini gli riservarono nella zona di borgo Sant’Agata. Non so se in futuro questa figura avrà onori di cronaca ma sicuramente Sergio Collalti resta un personaggio ed il simbolo di un periodo per la mia generazione.

La “Paura” - notizie e formula.... di Andrea Fontecchia

p. 5

Qualche notizia sugli usi e sul malocchio... di Andrea Fontecchia

p. 6-7

Il Testamento di Aulo Quintilio Prisco nell’equinozio... di Luigi Pro e Andrea Fontecchia

p. 8-9

Genealogia dei Fontecchia... di Andrea Fontecchia

p. 10

Concetto di Performance... di Francesco Savelloni

p. 11

A...periodico

Volantino di informazione e diffusione delle Attività Culturali, Sociali e Sportive www.aperiodico.info facebook/volantino.aperiodico www.chicory.eu

Coordinamento: Andrea Fontecchia Venanzio Cellitti

Hanno collaborato: Antonio Cappucci Luigi Pro Francesco Savelloni Luogo della pubblicazione: Ferentino Anno pubblicazione: 2015

Immagine di Copertina: Opera di Giancarlo Canepa

Ferentino anni cinquanta di Antonio Cappucci

p. 4

delle leggi n.47/48 e n. 62/01

Impaginazione e Grafica: Venanzio Cellitti

Indice p. 3

informazioni ai sensi

Disclaimer e copyright:

La presente pubblicazione è soggetta ad aggiornamenti non periodici e non rientra nella categoria del prodotto editoriale dif- fuso al pubblico con periodicità regolare come stabilito dalla legge 8 febbraio 1948, n. 47 e legge 7 marzo 2001, n.62. Le fo- tografie pubblicate sono di esclusiva proprietà dei singoli autori, pertanto tutto il materiale pubblicato è coperto da copyright ed il suo utilizzo è consentito esclusivamente previa autorizzazione scritta del titolare e/o acquisto dei diritti di utilizzo. Le fotografie ove compaiono delle persone sono state realiz- zate cogliendo momenti di vita quotidiana in luoghi pubblici e sono state realizzate senza scopo di lucro, con intento esclusi- vamente culturale e artistico, come consentito dalla normativa vigente sulla privacy. I soggetti ritratti potranno in qualsiasi mo- mento e senza nessuna spiegazione chiedere che vengano ri- mosse dalle gallerie e nodal database se lo ritenessero necessario.

A TUTTE LE ASSOCIAZIONI!!

Poesie... di Giancarlo Canepa

Si ricorda a tutte le associazioni operanti nel- l’ambito culturale, sportivo o sociale che gli spazi sull’A...periodico sono gratuiti. Basta inviare un articolo tramite e-mail: aperiodico@email.it

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Ferentino anni cinquanta

Ho un ricordo vivo e chiaro di Ferentino degli anni cinquanta, un ricordo della vita del mio paese fatto di flash nitidi che mi si ripropongono frequentemente e quasi prepotentemente e che non nascondo di favorire perché mi raccontano il suo passato illustre e mi parlano della sua gente laboriosa e fiera.

Il mio è un ricordo di un adolescente, non attratto dalla televisione o distratto dai videogames, non disturbato dai rumori dei motorini, che fruiva liberamente del suo territorio cittadino, giocava nelle piazzette del vicinato, faceva scorribande ovunque, comunicava spontaneamente con tutto e con tutti.

Ancor più, nel percorrere le strade, poteva osservare gli artigiani al lavoro, ascoltare le voci, i discorsi dei passanti, assorbire la vita e coglierne, sia pure inconsapevolmente, l’essenza.

Ferentino, negli anni dei miei ricordi, che si riferiscono all’immediato dopoguerra, era senza dubbio una città ferita ma nonostante tutto un certo fermento la percorreva e la animava grazie alla naturale umana volontà di ricominciare e soprattutto alla fierezza dell’anima ferentinate che favorirono tante iniziative di carattere professionale, artigianale e commerciale. Lungo Via Consolare e vicoli adiacenti, insistevano quasi duecento botteghe, laboratori ed uffici che la rendevano una cittadina viva ed attiva che, con mio giustificato orgoglio, merita un resoconto più approfondito della sua realtà economica.

Infatti le strade, che oggi sono quasi sempre vuote o percorse da gente frettolosa, erano un palcoscenico gremito di persone che vivevano liberamente fuori delle abitazioni tutte le loro vicende e tutti i loro rapporti umani.

Pertanto con l’aiuto della memoria remota che, come sappiamo, si sviluppa con il passare degli anni, con il supporto di un’antica mappa di Ferentino, tratta dall’archivio dello studio tecnico di mio padre Gaetano Cappucci, alimentato dall’amore da lui trasmessomi per Ferentino di cui fu sindaco e podestà, tenterò una passeggiata lungo la principale strada e la ricostruzione dell’economia di metà secolo.” Antonio Cappucci

Basti pensare che gli usci delle case e le porte delle botteghe e degli uffici erano quasi sempre aperti e così voci, rumori, canti, discussioni e talvolta anche litigi, riempivano la strada dove la vita fruiva nella sua completezza. 3

prefazione e immagini tratte dal libro: Ferentino anni cinquanta - passeggiata per via consolare - ricordi della Ferentino del dopoguerra e delle attività economiche a cura di Antonio Cappucci illustrazioni di Piero Cellitti


La “Paura” Notizia e formula di una tradizione popolare

Q

ualche anno fa, in questo stesso contesto pubblicammo l’antica formula per togliere il “malocchio”, ora è la volta di quella de “la Paura”. Non posso in questo contesto affrontare la cosa a 360 gradi, sia per mancanza di competenze, sia di spazi. Cosa siano e quale importanza avessero nella popolazione “il malocchio” e “la paura”, debbo darlo per scontato. Se finora però non se ne erano trasmesse le formule, oltre alla riservatezza delle stesse ben conservata dalle ciarmatrici popolari, è a causa della particolare trasmissione delle formule stesse che avviene oralmente ed esclusivamente la notte di Natale (24 dicembre). Così è stato nei secoli con una predominanza di trasmissione di tipo matriarcale e, appunto nella notte di Natale del 2014, dopo averci provato per anni, ho ricevuto questo importante tassello di tradizione popolare. Non lo scrivo scriteriatamente ma nel rispetto del sostrato culturale da cui provengo e con il fine di salvare dall’oblio una tradizione che va sparendo. Come per quella contro il Malocchio la formula sarà leggibile con uno specchio, per evitarla a chi eventualmente dovesse risentirsene, mentre i movimenti saranno “in chiaro” perché visibili a chi presenzia a questo rituale. Qualche osservazione che mi è sorta durante questo lavoro l’aggiungo dove ritengo opportuno, a conoscenza dei posteri. Questo rito ha lo scopo di “togliere la paura” e viene praticato dopo uno spavento o un fatto ritenuto spaventevole per evitare, dicono gli anziani, che di punto in bianco al malcapitato “si geli il sangue”. Il rito in sé consiste nel massaggiare energicamente la schiena del paziente ripetendo la nenia e segnando la parte con il segno di croce. Massaggiare poi un braccio del paziente, ripetendo la nenia e segnandolo con la croce a fine procedimento. Stessa procedura per l’altro braccio, con una gamba e poi con l’altra, infine unendo le gambe del paziente si ripete il procedimento e si se-

gnano insieme. Questo rito va ripetuto per 3 sere consecutive (o per 3 volte secondo alcune tradizioni). Ogni volta che si pratica il rito bisogna farsi dare qualcosa dal paziente per validare l’effetto dello stesso. Il “compenso” non deve essere necessariamente in denaro anzi, non in questa accezione era in voga nel popolo. La “paura” va tolta dalle 12 alle 17 (prima del tramonto, specificò la fonte), mentre per mantenere efficace il “potere” di toglierla bisogna “ricaricare” di energia la mano strusciandola sul muro della scalinata della Santissima Trinità, nel santuario omonimo sul monte Autore in Vallepietra, facendo il percorso e ripetendo il modo per 3 volte. La nenia, trasmissibile solo nella notte del 24 dicembre, mi fu trasmessa in dialetto e cerco di riportarla fedelmente. atseuq ossap ic oI .em allehc iop e atnas onam al amirP“ amissitnaS alled atnas arum ella atats è ehc atnas onam elos li noc aruap atseuq ]adn oglot =[ ossap ic oI .àtinirT ehc elataN id assem 005 el av ren 005 el noc anul al noc e atalac allA .etted onoruf arret ni e ettircs onoruf oleic ni -ac allA .erolod ots ùip ]eresse=[ ats eved ic non elos ilged alled emon nI .aruap ats ùip ats eved ic non anul alled atal ni ,àtitnas ni av en es aruap atseuq àtinirT amissitnaS e m o n n i e ù i p a t s e v e d i c n o n ar u a p a t s e u q ù s e G i d e m o n . ”ai v eradna eved en es aruap atseuq airaM enigrev alled

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Sono convinto che, sia questa formula che quella per togliere il malocchio, abbiano diverse varianti dovute non solo all’oralità della trasmissione, ma anche alle diverse provenienze (di aree, di paesi ecc…), non è facile però - e se ne intuisce il motivo - riuscire a farne un lavoro omogeneo e completo magari paragonandone diverse. Lo stesso dicasi delle provenienze mescolatesi nei secoli con incontri, parentele, legami e contaminazioni varie.


Qualche notizia sugli usi e sul malocchio in Ferentino

H

o avuto la fortuna, recentemente, di trovare un libro: Medicina popolare e civiltà contadina – ricettario – formule magiche – soprannaturale – credenze popolari. Scritto da Domenico Torre (1913-1992), medico di origine siciliana che visse per circa 50 anni ad Anagni. Il libro pubblicato postumo nel 1994, l’ho trovato cercandone un altro dello stesso autore (Medicina popolare, usi, costumi e tradizioni della Ciociaria) che purtroppo non sono ancora riuscito a reperire. In questa opera ho incontrato un interessante paragrafo sul malocchio dove sono pubblicate notizie e curiosità anche del nostro paese. Ne riporto qualche estratto che potrebbe interessare altri ricercatori. «… A Ferentino, durante un forte temporale, per allontanare i fulmini dalla casa o dalla stalla, si usava gettare lontano un ferro di cavallo perché attirasse i fulmini. Il colpito dal malocchio o dall’”occhio cattivo” accusa una cefalea nucale o frontale, persistente, causa del malessere e di uno stato depressivo, dimagrisce, e persino può anche morire. In questi casi il popolo ciociaro ricorre ad una “guaritrice”, che fa sulla fronte del sofferente con il pollice destro un segno di croce e, sottovoce, dice: “Signo in nome di Maria, chistu male se ne va via! Signo in nome di Gesù, chistu male se ne va giù! Signo in nome della Santissima Trinità, Chistu male se ne và in santità!» E qualche guaritrice aggiunge: “Secondo il Vangelo di S. Luca”. Subito dopo, chi ha recitato l’orazione, bagna il polpastrello del mignolo destro in una tazzina contenente dell’olio di oliva e fa in modo che una goccia d’olio cada dentro un piatto pieno di acqua. Se la goccia a contatto con l’acqua scompare e si sparge repentinamente nell’acqua del piatto disegnando “come delle serpi”, o, in qualche caso, la “faccia della morte”, allora significa che il malocchio è stato fatto sul serio! In tali casi l’orazione va ripetuta più volte

ed il malocchio sarà stato tolto solo quando la goccia d’olio rimarrà più o meno tonda e ben visibile, sul piatto, solo allora finirà l’orazione. Questa è la cura che si fa ad Anagni. «…A Ferentino contro il malocchio usano recitare il seguente scongiuro: “Chisti so du occhi c’au fatt gli malocchi dui tu fau caté dui tu fau rizzà. In nome della Santissima Trinità chisti malocchi su nu vau ‘n santità. In nome della Vergine Maria chisti malocchi vadùnù via. In nome di S. Giovanni e di S. Liberatore alla calata digliu sulo se ne vata via chisto dolu-

ro” (Questi sono due occhi che hanno fatto il malocchio due ti fanno cadere due ti fanno alzare. Nel nome della Santissima Trinità [questo malocchio ndA] se ne vada in Santità. Nel nome della Vergine Maria questi malocchi vadano via. Nel nome di S. Giovanni e di S. Liberatore al tramonto del sole se ne vada via questo dolore!)» [Domenico Torre: Medicina Popolare e Civiltà contadina, Cangemi editore, 1994 – pg 174 e seg.] Un’altra formula, simile a una in uso in Amaseno, raccolta a Ferentino ha una variante laddove sostituisce S. Michele con S. Eutichio. La riporto in breve presa dallo stesso libro precedente: “Segni la tempia, segni la fronte Tu segni l’occhi, segni la uocca. Si sò malocchi du mala gente Cu jetta gli affitti [sibili] accome a 5

surpente, si è che nnudo [nodo] si è fattura, si è malannu du curpuratura je chiedo alla Madonna i a San Damiano cu stu dulore passi a ‘stu cristiano; i pù ‘l putere cù mù dà ‘l Signore je t’ordino da gnirtunu, dulore. … Je chiedo a San Michele i a San Redento Cu ‘stu dolore su gli porti ‘l vento” [Amaseno] … Je chiedu a S. Uticchi a S. Redentu Cu stu duloru su gli porti via gli véntu [Ferentino] Questa formula riportata da Emidio Affinati fu raccolta da Zà Clutilda, 85enne casalinga di Ferentino. Lo stesso Affinati (ancora dal libro menzionato) riporta anche quest’altra formula: Quattru i quattr’occhi levumu ‘sti malocchi In nomu dulla Santissima Trinità, chistu malu Su nu vada ‘n santità. N’occhi fa gli malocchi Dui gli fau puru, tre so’ sicuri. Quattru gli malocchi è fattu. Occhi niri, occhi bianchi Fatuvu aretu, no annanti. In nomu dulla Santissima Ternità Chistu malu su nu vada ‘n santità. In nomu dulla Verginu Maria Chistu malu su nu vada via. Su queste formule e sicuramente su altre varianti che non sono ancora note, ci sarebbe da scrivere e studiare, dai termini ai significati alla numerologia insita ed esplicita. Per ora basti questo sperando in tempi migliori per la cultura che ci permettano di aggiungere qualche altro tassello a questi misteri della tradizione popolare.


S

Il Testamento di Aulo Quintilio Prisco nell’equinozio d’autunno i è voluto esaminare, lo scorso 23 settembre 2015,

varie attitudini storicamente riscontrate nella civiltà

l’effetto dell’equinozio d’autunno in relazione con

pagana. Il primo raggio di sole feconda l’immagine

il Testamento di Aulo Quintilio Prisco, documento

del Mito illuminando la via della solennità mistica

epigrafico del I sec. a.C. situato nel lato sud del colle

al fedele.

di Ferentino (poco fuori la

Il

porta denominata Archi di

offerta al Patrono suggerisce

Casamari).

la natura di un Tempio

L’esperimento empirico è

monumento

Iniziatico

eretto

in

conclamato

stato materialmente eseguito

dal

il 23 settembre alle ore 7.03.

riferimento al sorgere del

Il primo raggio di sole al

sole (est).

suo spuntare all’orizzonte

Nessun

est, ha illuminato in pieno il

segna i festeggiamenti in

Monumento!

onore del solstizio d’estate

Dal

23

di

settembre,

punto

nella

cardinale

rito

in

pubblico

tradizione

romana

timidamente il sole si sposta

tuttavia, si svolgeva una

verso sud per raggiungere

festa l’11 giugno alla DEA

il

REGOLATRICE

punto

massimo

il

23

DEL

dicembre con il solstizio

TEMPO: MATER MATUTA

d’inverno

AURORA.

dal

quale

poi

Mentre

il

risale verso il meridiano

solstizio d’inverno veniva

raggiungendolo il 21 marzo,

rappresentato da Angerona

data

con la fine dell’inquietante

dell’equinozio

di

primavera. Incrementandosi

processo

di

diminuzione

da tale data le giornate di luce, si giunge all’alba

della luce e grazie al suo divino intervento si

del solstizio d’estate il 21 giugno. Si chiude così un

ampliava il giorno. Infine il 9 gennaio era festeggiato

epiciclo temporale o anno solare di osservazione

l’AGONIUM di Giano (inizio dell’anno).

ritornando nuovamente all’equinozio d’autunno il 23

La vita di una Mitologia deriva dalla vitalità sociale

settembre. Questa in breve la ciclicità solare con cui

dei suoi simboli in quanto metafore che comunicano

l’Uomo, dalla notte dei tempi, ha dovuto fare i suoi

non semplicemente l’idea, ma il senso di una reale

conti.

partecipazione alla realizzazione della trascendenza

Nello specifico. Il Monumento è orientato ad Est

verso l’infinito. Il primo messaggio cosmogonico di

quale punto cardinale.

infinito immortale, lo ritroviamo nella Upanisad,

L’equinozio d’autunno, importante nel calendario

IX sec. A.C. Nella rappresentazione artistica del

astronomico, è una realtà che non trova solidarietà

guardaporta del palazzo di Assurnasirpal II a Nimrud

nel panorama attuale dove la coscienza, atta ad

dove il corpo di un toro con piedi di leone, ali e petto

includere la parte spirituale della realtà, latita ai

di aquila e testa di uomo antropomorfo, rappresenta

margini della consapevolezza percettiva. Ci sono utili

un rimando ai 4 segni zodiacali dei 2 equinozi

parametri per effettuare un palese confronto tra le

(primavera-autunno). 6

I

4

segni

rappresentano


un’unica forma simbolica dietro la quale risiedeva

l’esistenza di pratiche d’incubazione, prevedevano

il dio Assur.

il conferimento del messaggio garantista per il

Nella visione del profeta Ezechiele (1, 5-11) della

fedele portando il gesto di riverenza alla lode nei

fine del VI sec. A.C. abbiamo la presenza degli

confronti delle autorità filantropiche. Nei pressi del

stessi quattro animali davanti al trono divino.

monumento di Aulo Quintilio Prisco sono emersi

Nell’iconografia cristiana gli stessi animali sono il

nel tempo vari oggetti votivi. Non ci confrontiamo

simbolo dei 4 evangelisti e, con la chiara allusione ai

con le fonti oracolari di Patrasso, et similia, quanto

4 punti cardinali rappresentano la Creazione.

al monumento in rappresentanza di un tramite con il

Per maggiore chiarezza riassumiamo così:

Divino. Fra i luoghi eletti in Grecia, i fedeli salivano

Marco, leone, segno di Fuoco – Sud

a Delfi per consultare l’oracolo nei santuari profetici.

Luca, toro, segno di terra – Ovest

A distanza di tempo, nello spazio occupato dalla

Matteo, uomo, segno umanità – Nord

tradizione di una Roma imperiale in continua

Giovanni, aquila, segno di aria – Est

espansione

Quattro sono i simboli evangelici, quattro i venti

i riferimenti pervenuti dall’analisi del nostro

principali, quattro i pilastri della Chiesa (secondo

Monumento epigrafico, ci conducono a considerare

Ireneo vescovo in Gallia nel II sec. D.C.).

l’allineamento

L’iconografia popolare designa un luogo divinatorio

devozionale per le attività di supporto giuridico/

per il culto devozionale. La continuità del sito

sacramentale.

sul

piano

territoriale

astronomico

quale

e

culturale,

messaggio

sacro non implica necessariamente né persistenza

Luigi Pro

rituale, né perennità di credenza. Ciononostante,

Andrea Fontecchia 7


Genealogia dei Fontecchia in Ferentino

C

ostruire un albero genealogico non è mai di per se un lavoro facile spesso anzi, ci si arena proprio davanti ai primi problemi. Questo se si protende verso un lavoro approfondito e non ci si accontenta dei “titoli nobiliari” che tutti abbiamo stando ai sistemi per assonanza che possiamo trovare anche nei centri commerciali. Un percorso serio inizia ascoltando gli anziani della famiglia e continua spulciando carte e registri di nascite e morte. Una buona fonte sono le chiese, qualora si riesca ad accedere ai loro archivi. Nella mia esperienza non sono riuscito ad accedere a documenti di prima mano e quello che sono riuscito a mettere insieme è anche frutto di congetture personali, valide fino a prova contraria. L’input è stato dato dai ricordi di famiglia e quindi partono e arrivano a me: Fontecchia Andrea, nato ad Anagni il 21.04.1977 primo di 3 figli (Paola 27.11.1978 e Luigia 30.12.1988); mio padre Franco; nato a Ferentino il 30.06.1949, primo di 5 figli (Luciano, Pasquale, Antonietta e Laura). Sposato con Di Marco Ida quinta figlia di Antonio e Rosa Fontecchia (02.03.1915 -figlia di Mariano); Il padre, Luigi (10.05.192410.06.1982), sposato con Elena Caliciotti (13.11.1925), quarto figlio di seconde nozze (settimo su otto totali) di Ambrogio (‘Mbrosi) nato 05.02.1889 (m.1964). Sposò Rosa e ne ebbe 3 figli: Fernando, Bruno, Angela (‘ngilina). In seconde nozze sposò Barbara De Santis da cui ebbe 5 figli: Rosa, Giovanni (Giuvagni), Domenico (Memmo), Luigi e Maria. Tra i Fratelli ricordo Mariano, mio bisnonno ma-

terno che ebbe 2 figlie Palma (Palmina) e Rosa, subì 9 anni di carcere dal 1916. Il padre, Nicola (15.07.1848) sposò Lucrezia Calabrese figlia di Filippo. Tra i primi abitanti del quartiere Tofe viveva nella casa (oramai rudere) poco sopra l’attuale chiesa dove lavorava per “soccida” per sor Pippo Lucaccini era figlio di Amedeo 17.02.1818 sposò Anna Vittoria Coppotelli fu Lorenzo figlio di Domenico sposato con Piruzzo Antonina, facevano parte della parrocchia di S. Ippolito. Da qui non ci sono elementi per continuare cronologicamente. Ho preso un’altra strada che riporta 2 possibili opzioni: 1. Domenico, nato nel 1763 (55 anni prima di Amedeo, comunque in età fertile), quinto figlio di Ambrogio dopo: Camilla (1755), Fortunato (1758, ci sono noti i nomi dei figli; Barbara n 1786, Filippo n 1787, Vittorio n 1790, Giuseppe n 1793), Pasquale (1760) Francesco Antonio (1762) e prima di Arcangelo (1765 di cui ci è nota una figlia, Benedetta, 1788); 2. D o m e nico, nato nel 1786 (32 anni prima di Amedeo), secondo figlio di Nicola dopo Maria Antonietta (1784) e prima di Francesca (1788), Caterina (1790), Leonardo (1792), Leonarda (1793), e Giovanni (1795). Da qui, grazie alla disponibilità di Giuliana Martini della cattedrale di S. Giovanni e Paolo, abbiamo ritrovato tutti i “Fontecchia” presenti a Ferentino fino alla prima attestazione. Questi i risultati secondo l’antichità dei ceppi familiari: 8


1. Fontecchia Eleuterio di Antonio, n 1668 il più antico nato in Ferentino. 2. Della famiglia Fontecchia Vincenzo di Capistrano (torneremo successivamente a questa provenienza) abbiamo: Clelia (1681), Domenico Antonio (1690), Loreto (1693), Domenico Antonio (1697), Angela (1701), Francesco Antonio (1758), Felice (1766), Sebastiano (1769), Domenico Antonio (1773). Ovviamente non tutti figli ma riportati come un’unica famiglia. 3 . Fontecchia Giuseppe di Capistrano nella cui famiglia abbiamo: Basilio (1718), Francesco (1719), Maria Rosa (1730). Per Completezza di informazione, siccome possibile, aggiungo queste ulteriori famiglie: 1. Fontecchia Donato, nota una figlia Eleonora (1761) 2. Fontecchia Angelo di cui è noto Pietro Antonio (1764) 3. Fontecchia Giovanni Battista alla cui famiglia sono ascritti: Elisabetta (1770), Giovanna Maria (1777), Maria (1784), Nicola (1788) 4. Fontecchia Giovanni di cui ci è nota Benedetta (1794).

1987. Purtroppo però in questo libro non ho trovato informazioni inerenti la mia ricerca. Capistrano è un piccolo paese di collina di circa mille abitanti ad oggi, si trova intorno ai 350 metri slm ed è ad alta sismicità. Non offre oggi, e non sembra lo facesse prima, grandi opportunità. Questo ha interrotto il percorso preso nella ricerca e sto valutando altre strade. La richiesta di conferma del luogo la chiesi per via della somiglianza tra il nome di questo paese con Capestrano in Abruzzo, provincia di L’Aquila. Paese di meno di 900 abitanti nella valle del Tirino a circa 450 metri di altezza slm. La propensione verso questo paese piuttosto di quello calabrese era dovuta alla vicinanza con il paese di Fontecchio, anch’esso in provincia di L’Aquila e a una distanza di circa 25 Km in linea d’aria. Fontecchio lo avevo associato per via dell’uso cinquecentesco di usare il nome del paese di provenienza per gli emigranti (quest’uso è noto soprattutto per la contestuale epopea degli ebrei che in quel secolo venivano allontanati dai paesi di residenza). Nei fatti, tutti e 3 i paesi che ho nominato sono paesi a tendenza agricola e questo mi ha portato a esaminare il motivo degli spostamenti (fino a quello verso Ferentino). Nella mia idea, tenendo in considerazione i costi per spostare un’intera famiglia piuttosto che solo le forze lavoro, i movimenti sono stati causati da bisogni economici piuttosto che da persecuzioni o conseguentemente a eventi politici. Ulteriori strade potrei averle esaminando le situazioni politiche del tempo e mi riservo di farlo qualora se ne presenti occasione. Intanto grazie a Leda Virgili ho saputo che nel 1668 il vescovo in Ferentino era Ottavio Roncioni di Roma, già governatore di Rieti, il predecessore era Enea Spennazzi di Siena (imparentato con Innocenzo XI). Diffondo questa ricerca perchè sia fruibile per quanti ne possano trarre spunto o magari essere d’aiuto nel proseguirla.

Questo è quanto sono riuscito a trovare, considerato che purtroppo le fonti non sono state sempre di prima mano e che il libro dei morti nel duomo cittadino non è ancora stato indicizzato e quindi non se ne è potuto far uso. La signora Giuliana Martini è stata gentilissima nel supportare questa ricerca e non ha nascosto che sui registri delle nascite, in quelli che non sono andati perduti, ci sarebbe da studiare e lavorare. Il rinvio delle attestazioni di provenienza, laddove presenti, sono dovute a mie personali osservazioni. Ho chiesto esplicitamente e mi è stato confermato che i testi riportano Capistrano, località di 20,94 Kmq in Calabria, provincia di Vibo Valentia. Ho reperito, grazie al signor Mario Pasceri che me ne ha fatto omaggio un’opera di storia locale relativa a questo paese, scritta da Giovanni Manfrida dal titolo “Capistrano ieri e oggi” edita nel 9


CONCETTO DI PERFORMANCE E WORKSHOP

Circa vent’anni fa ritorna alle sue radici GIANCARLO CANEPA a Ferentino presentandosi come artista e performer introducendo il concetto di workshop e performance e proprio da queste due parole parte l’avventura di questo eclettico signore. Ovviamente trova un paese impreparato alle suddette nozioni artistiche ma con tenacia e abnegazione inizia una serie di rassegne artistiche (come ad esempio 8arte). L’arte non è più pittura ma inizia a essere interattiva e incomincia a prendere “fisicità”. ISTALLAZIONI, SCULTURE, PERFORMACE, WORKSHOP ecc. ecc. … tutto è realizzato con materiali di riciclo, riesce così a dar vita alle sue opere. GIANCARLO porta avanti il concetto di PERFORMANCE con il suo corpo, ricrea nuove forme e tragitti nello spazio ridefinendo il luogo e coinvolgendo il pubblico; una sorta di “satiro danzante” vestito di bianco coinvolge non solo gli astanti ma interagisce anche con gli elementi presenti sul posto. Rispetto alle arti figurative la performance nasce e muore sul posto con lo scopo di lasciare gli spettatori con un accrescimento emotivo… Il corpo ha sostituito la tela, si ritorna a una danza ancestrale insieme al ritmo scandito da qualche rumorosa bandella di metallo, un arte effimera che lascia interrogativi e dopo tutte queste convulse evoluzioni fisiche il PERFORMER finisce per terra come fosse ritornato alle origini in posizione fetale… Nel WORKSHOP Giancarlo e i suoi collaboratori cercano sul posto materiali poveri e in disuso per dargli vita nelle INSTALLAZIONI che rimangono sul posto per un determinato tempo. Esse sono composte da: TUBI, BIDONI, MOBILI, FERRO… Gli artisti ridanno nuova vita agli scarti della società denunciando il consumismo e il degrado ambientale. 8 ARTE è stata un impegno sociale oltre che artistico e GIANCARLO sempre in prima LINEA, CONTROCORRENTE e fiero di essere “SCOMODO”. Ha lasciato questi concetti e speriamo che i nuovi artisti riprendano l’AURA e lo spirito creativo di GIANCARLO creando sempre un mondo migliore e pieno di colore…

ST 3T CAFFE’ ELETTRICO 10


Lo scalatore Chi percorre la strada dell’Amore è come impavido scalatore, prima o dopo viene notato per il suo ardire o per il suo perire. Mai per il suo mentire.

L’architetto inesistente Intarsi di poesia per ideali architetture: cascate di fiori affrescate sulle ampie facciate; finestre aperte su piccoli universi; portoni ridenti per i loro bianchi scaloni; bizzarri tetti, simili a cappellini di scanzonati ragazzetti. Tutto questo progetta nella propria mente l’architetto inesistente, la cui architettura non può essere pertinente con quella del potente.

Poesie tratte da “Cinquanta frammenti per undici rossoblu” di Giancarlo Canepa stampato in proprio nel 1990, in occasione dei 50 anni dell’autore.

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Mecca Ferentino, mio dolce paese natio, Mecca della mia vita, per lasciare angosce e sofferenze, per trovare soave conforto nel sentire l’eco non ancora spento del richiamo materno, sospeso tra i quieti ulivi dove l’ombra della mia infanzia mi riconduce a itinerari smarriti.


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