n. 1 - anno 1 - marzo/aprile 2014
Adolescenza InForma
Speciale online di VeronainForma dedicato ai gioVani, alle Famiglie e a chi Si occupa di adoleScenza
www.adolescenzainforma.it
L’ adolescenza e i disagi del cambiamento Il testimone assente
Il corpo tra oneri e onori. Sovrappeso ed obesita’ in adolescenza
Via Giardino Giusti 4, Verona - tel.045 8013574 - verona@fidadisturbialimentari.it
Sommario 07
. Editoriale
14
. Esperienza
08
. Progetto editoriale
18
. Progetto editoriale
22
. Arte e terapia
24
. associazioni
Informare? La nostra mission di Alberto Cristani
Nasce Adolescenza InForma di Prisca Ravazzin
10
. Consultazione
12
. Adolescenza
Il Servizio di Informazione e Consultazione Psicologica gratuita di Adolescenza InForma a cura della Redazione
Il testimone assente di Claudia Bartolucci
Un adolescente «ribelle» di nome Gesù di Martino Signoretto
Arte Terapia con gli adolescenti: creatività che favorisce la mentalizzazione di Giuliana Magalini
Sinergia 2004-2014: 10 anni di solidarietà insieme di Alessandra Donatelli
L’adolescenza e i disagi del cambiamento di Luca Ravazzin 2014 marzo, aprile - 3
Verona InForma N. 11 - ANNO 3 - MARZO/APRILE 2014
CONSIGLI E INFORMAZIONI PER VIVERE MEGLIO
/
M A G A Z I N E
D I
M E D I C I N A ,
P S I C O L O G I A ,
S A L U T E
E
B E N E S S E R E
ITA U T A GR A I P CO
PROGETTO ONLINE Adolescenza InForma il portale per i giovani e per le famiglie ANNIVERSARIO I 30 anni di Just Italia ONCOEMATOLOGIA Sinergia vincente
Sommario
26
34
37
. brevi
38
. disturbi alimentari
40
. online
42
. alimentazione
. Evento
Charmet a Verona: “La difficile relazione col corpo degli adolescenti attuali. La paura della bruttezza e il rifugio nella realtà virtuale senza corpo” a cura della Redazione
FIDA con “Fiocchetto Lilla” alla giornata contro i disturbi del comportamento alimentare a cura della Redazione
Sovrappeso ed obesità in adolescenza di Dott.ssa L. Chiesa
I disturbi alimentari sul web: chi è Ana? di Carlo Tregnaghi
Educatore a pranzo: chi vede il cibo dall’esterno di una piadina di Cristiano Zanetti
. scuola
Il Progetto S.O.S. (Scuola Orientata alla Sostenibilità) di Gianfranco Caoduro
2014 marzo, aprile - 5
Numeri utili Emergenza
113 Soccorso pubblico di emergenza 112 Carabinieri 115 Vigili del fuoco 118 Emergenza sanitaria 045 500333 Polizia stradale 045 8078411 Polizia municipale 045 8075511 Centralino ULSS 20 045 6138111 Centralino Presidio Ospedaliero “G. Fracastoro” San Bonifacio 045 8075111 Centralino Presidio di Marzana 045 8121111 Ospedale di Borgo Trento 045 8121111 Ospedale di Borgo Roma 045 8121212 Ufficio Prenotazioni CUP (Centro unico prenotazioni) 848242200 CUP ULSS 20 840000877 Disdette visite ed esami (no di radiologia) 045 7614565 Guardia medica - Servizio di Continuità Assistenziale (ascoltare segreteria) 045 8041996 Farmacie di Turno 045 6712111 Ospedale di Bussolengo 045 6207111 Centro Sanitario Polifuzionale di Caprino Veronese 045 6648411 Ospedale di Isola della Scala 045 6589311 Ospedale di Malcesine 045 6338111 Ospedale di Villafranca 045 6338666 Servizio di Continuità Assistenziale 045 6338181 Centro Unificato Prenotazioni 045 6712666 Ufficio Relazioni con il Pubblico
pubblica utilità 117 Guardia di Finanza 1515 Servizio antincendi boschivo del corpo forestale dello Stato 045 8090411 Questura di Verona 045 8090711 Polizia Stradale di Verona 045 8078411 Polizia Municipale 045 8077111 Comune di Verona 800016600 Drogatel 19696 Telefono Azzurro 803803 Soccorso stradale 064477 Automobile Club d’Italia 803116 Soccorso stradale
6 - marzo, aprile 2014
n. 1 - anno 1 - marzo-aprile 2014
Adolescenza InForma S p e c i a l e o n l i n e d i V e r o n a I n F o r m a d e d i c at o a i g i o va n i , a l l e fa m i g l i e e a c h i s i o c c u pa d i a d o l e s c e n z a
Speciale online di Verona InForma Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n° 4035/2012
Proprietario ed editore: Verona Informa s.a.s. di Giuliano Occhipinti & C. Sede legale e Redazione: Via Giardino Giusti, 4 - 37129 Verona
n. 1 - anno 1 - marzo/aprile 2014
Adolescenza InForma
Speciale online di VeronainForma dedicato ai gioVani, alle Famiglie e a chi Si occupa di adoleScenza
www.adolescenzainforma.it
L’ adolescenza e i disagi del cambiamento Il testimone assente
Il corpo tra oneri e onori. Sovrappeso ed obesita’ in adolescenza
Direttore responsabile: Alberto Cristani Coordinatore scientifco: Prisca Ravazzin Redazione: Laura Chiesa, Prisca Ravazzin Contatti: - Mail: redazione@adolescenzainforma.it - Web: www.adolescenzainforma.it Hanno collaborato per questo numero: Claudia Bartocci, Gianfranco Caoduro, Alessandra Donatelli, Giuliana Magalini, Luca Ravazzin, Martino Signoretto, Sinergia - Ass. di volontariato e solidarietà con il mondo, Carlo Tregnaghi, Cristiano Zanetti. Foto: Archivio Verona Informa s.a.s., opere di Giuliana Magalini, Archivio Associazione Sinergia, Martino Signoretto
editoriale
a cura del direttore
Informare? La nostra mission! A poco meno di due anni dall’uscita del primo numero di Verona InForma, e grazie all’intuizione e all’idea di un gruppo di psicologi ed esperti in materia, siamo a presentare un nuovo progetto informativo e informatico chiamato Adolescenza InForma. Perchè informativo? Perchè la mission di questa nuova pubblicazione sarà in primis quella di analizzare, raccontare e conoscere - e quindi informare a tutto tondo - il mondo giovanile e adolescenziale, un vero e proprio universo parallelo nel quale noi adulti, molte volte, facciamo fatica non solo ad entrare ma anche semplicemente capire da dove vi si accede. Un’età, l’adolescenza, dove accade tutto e il contrario di tutto, dove si può essere spensierati ma allo stesso tempo trovarsi di fronte a difficoltà e problematiche che possono sembrare irrisolvibili. Non sempre, vuoi per la frenesia del vivere quotidiano, vuoi per inadeguatezza o semplicemente per inesperienza, gli adulti (genitori) riescono a sintonizzarsi sulle frequenze dei giovani (figli). Ecco le difficoltà, i silenzi, le frustrazioni e in alcuni casi, purtroppo, i drammi. Sia chiaro Adolescenza InForma non è la bacchetta magica grazie alla quale si possono scoprire i segreti e risolvere i problemi adolescenziali. Lungi da noi! Crediamo però che l’esperienza e la competenza di uno staff di altissimo livello possa fornire un aiuto o semplicemente uno spunto su cui riflettere e confrontarsi con i nostri ragazzi. Per quanto riguarda l’aspetto informatico Adolescenza InForma - a differenza di Verona InForma - punta molto (per ora) sulla rete, pubblicando online la rivista. Una scelta che è stata dettata da due esigenze: una prettamente economica (ad oggi non siamo in grado di sostenere una nuova pubblicazione cartacea), l’altra perchè crediamo che la diffusione online possa arrivare con maggiore velocità e capillarità soprattutto a chi, come gli adolescenti, che vivono e ci dialogano con il web praticamente “h24”. Non escludiamo però di poter arrivare con il tempo, soprattutto se qualcuno crederà e investirà nel progetto, anche alla rivista, perchè, nonostante l’informatizzazione, la carta riesce ancora ad essere un veicolo comunicativo di grande impatto. Per ora proponiamo vi rimandiamo al nostro nuovissimosito www.adolescenzainforma.it dove potrete sfogliare e scaricare la rivista in formato pdf e consultare un archivio di articoli, recensioni e video. Iscrivendovi alla nostra newsletter sarete aggiornati, in modo discreto e non invasivo, sulle nostre attività. Inoltre, sempre grazie alla nostra newsletter, grazie la quale avrete la possibilità di comunicare direttamente con un servizio di informazione e consultazione psicologica gratuito. La pagina Facebook, infine, (www.facebook.com/AdolescenzaInForma) è rivolta direttamente agli adolescenti e a tutti coloro che hanno più dimestichezza con i social network. Non ci resta che augurarvi quindi una buona lettura e ringraziarvi per la vostra preziosa attenzione. Alberto Cristani
nuovo progetto
Nasce Adolescenza InForma un progetto per giovani e famiglie veronesi Da questo numero di Verona InForma inizia una nuova rubrica, un vero e proprio speciale online, dedicato ai nostri ragazzi. Ma non solo a loro...
D
a alcune settimane è online un nuovo progetto editoriale dal titolo Adolescenza InForma, inserto speciale di Verona InForma. Si tratta di una rivista online dedicata esclusivamente all’adolescenza e rivolta a tutti coloro che, in vario modo, si occupano di questa fase della vita così delicata e così ricca di possibilità. La rivista raccoglie i contributi e le esperienze di psicologi, psicoterapeuti, arteterapeuti, medici, sacerdoti, insegnanti, educatori, associazioni, cooperative, nella convinzione che confrontarsi su questo tema possa arricchire e diffondere una sempre maggiore consapevolezza delle dinamiche caratteristiche di questa fase. Scopo di questa iniziativa è proporre un contenitore che possa stimolare una riflessione e un dialogo tra i diversi mondi che l’adolescente attraversa e lega. Il sito www.adolescenzainforma.it, al quale la rivista fa riferimento, raccoglie anche i contributi più significativi già presenti sul web per far conoscere realtà che operano in questo settore, eventi relativi all’adolescenza, articoli, immagini e materiale audiovisivo di particolare interesse. Permette di sfogliare la rivista online, di iscriversi alla newsletter in modo da ricevere i prossimi nu8 - marzo, aprile 2014
meri nella propria casella di posta, di attivare una collaborazione inviando articoli o segnalazioni. Offre un servizio di informazione e consultazione psicologica gratuito rivolto a ragazzi, genitori, insegnanti, educatori nel quale operano professionisti con diverse competenze: psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, neuropsichiatri infantili. La pagina Facebook legata alla rivista è rivolta direttamente agli adolescenti perchÊ ci sembra che non si possa parlare di adolescenza senza la voce dei protagonisti. Prisca Ravazzin coordinatore scientifico di Adolescenza InForma
2014 marzo, aprile - 9
consultazione
Il Servizio di Informazione e Consultazione Psicologica gratuita di Adolescenza InForma
L’
adolescenza è una fase della vita caratterizzata da un cambiamento che può generare instabilità e conflittualità. Per questo motivo è difficile parlare di adolescenza normale o patologica. Le forme di disagio che i ragazzi possono esprimere sono legati a diversi fattori tra i quali le dinamiche proprie della nostra società, dominata dal culto dell’immagine, da relazioni che rimangono facilmente in superficie, da un complesso rapporto con il corpo, da una realtà ideale, o virtuale, che spesso sostituisce, almeno in fantasia, quella più concreta e quotidiana fatta anche di frustrazioni, di conflitti e di esperienze dolorose.
10 - marzo, aprile 2014
Il tempo che viviamo sembra cercare di escludere dalla vita l’impegno, i contrasti inevitabili e la sofferenza, in nome di un’apparente benessere che non può essere messo in discussione. La difficoltà diffusa ad accogliere la complessità dei vissuti, a porre dei limiti e ad accettarli, in noi e negli altri, favorisce la diffusione di nuove forme di un disagio che può esprimersi in modi molto diversi: - Abuso di sostanze - Ansia e attacchi di panico - Bullismo - Comportamenti autolesivi - Comportamenti trasgressivi - Conflitti con la famiglia
- Depressione - Difficoltà scolastiche - Dipendenze dalle nuove tecnologie - Disturbi alimentari - Disturbi dell’immagine corporea - Rischio suicidale - Ritiro sociale Adolescenza InForma offre, gratuitamente, un Servizio di Informazione e Consultazione rivolto ai ragazzi, alle loro famiglie, agli insegnanti, agli educatori e a tutti coloro che, a vario titolo, si confrontano con il mondo dell’adolescenza. I professionisti coinvolti in questo progetto sono psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti, neuropsichiatri infantili, che hanno svolto o svolgono tuttora vari compiti e funzioni all’interno di strutture istituzionali dislocate sul territorio. Tali esperienze, una volta condivise, hanno permesso di maturare una comune conoscenza dei diversi servizi psicologici e socio-sanitari presenti nel Veronese. La consultazione si propone di incoraggiare la comprensione della situazione di disagio di cui la persona è portatrice. Dopo un colloquio approfondito, volto ad individuare e a definire la natura della richiesta, l’operatore consultato esprimerà un parere in riferimento all’esito del colloquio. Nel caso in cui si individuasse l’opportunità di svolgere un percorso terapeutico, l’operatore consultato adempirà le seguenti funzioni: - indicare i tipi d’intervento ritenuti più adeguati
(colloqui di sostegno, psicoterapia individuale, sostegno alla funzione genitoriale, terapia di gruppo, sostegno farmacologico, ecc…) - fornire chiarimenti sui diversi indirizzi ed orientamenti della psicoterapia (psicoanalitico, cognitivocomportamentale, familiare-relazionale, ecc…) - fornire indicazioni sulle varie possibilità di supporto psicologico offerte dai servizi pubblici e privati presenti sul territorio. Il Servizio di Informazione e Consultazione si rivolge inoltre ad insegnanti, medici, educatori e a tutti coloro che sono in contatto con l’adolescente, fornendo l’opportunità di un confronto con un professionista della salute mentale. In questo ambito, a seconda delle necessità, il colloquio individuale potrà essere allargato ad incontri collettivi o a gruppi di lavoro intorno ai temi proposti. Il Servizio di Informazione e Consultazione si attua presso gli studi dei professionisti. Coordinatore del Servizio è il Dott.Luca Ravazzin - psicologo, psicoterapeuta. Per ulteriori informazioni telefonare al numero 347.2235507 o compilare il form presente sul sito www.adolescenzainforma.it sotto la voce “Servizio di Consultazione Psicologica”.
Redazione 2014 marzo, aprile - 11
adolescenza
L’adolescenza e i disagi del cambiamento Si tratta di una metamorfosi, del passaggio dall’infanzia all’età adulta. Segnali da “capire”
L’
adolescenza è una fase della vita che inizia come risposta ai cambiamenti indotti dalla pubertà, e si conclude verso i 20 anni, con il raggiungimento di una nuova identità. Questo periodo è caratterizzato da sentimenti di incompiutezza e contraddizioni: convivono, infatti, in modo goffo e sgraziato, il bambino e il giovane adulto, il desiderio e la paura del cambiamento, il senso di perdita, per ciò che si lascia e il senso d’incertezza, per ciò che si “troverà”. Si rompe, dunque, un equilibrio e si apre una crisi, caratterizzata anche da profondi mutamenti fisici,
12 - marzo, aprile 2014
dall’emergere di un nuovo funzionamento mentale, oltre che da radicali cambiamenti nelle relazioni sociali, sia interne che esterne alla famiglia. L’adolescente, dunque, è colui che deve integrare i cambiamenti del suo corpo e modificare i legami familiari, sino ad accettare il “lutto” della separazione dal mondo infantile, per poi ritrovare una nuova fiducia in se stesso. Una vera metamorfosi, una rinascita che avviene contemporaneamente a una “morte”: con l’adolescenza muore infatti il bambino e nasce un uomo. Inizia così una stagione della vita turbolenta, che ciascuno vive tra indugi e precocità, secondo un ritmo individuale che va rispettato. È un’età unica, in cui coesistono sentimenti conflittuali, emozioni intense e contraddittorie, rinnovate istanze pulsionali, bisogni di rassicurazione e insieme di libertà, ciò che genera molteplici espressioni e situazioni di vita. È il periodo degli sbalzi di umore, delle infatuazioni, delle amicizie esclusive, del senso di inadeguatezza. È il periodo in cui si chiudono le porte della camera, i muri si riempiono di poster e i cassetti di diari segreti. Ma è anche il periodo in cui si esce dalla camera, in cui il gruppo dei pari diventa una nuova famiglia, sciami di motorini invadono le strade della la città; muretti, panchine, piazze diventano i luoghi dove ritrovarsi. È il periodo in cui ci si spaventa della propria immagine riflessa, in cui lo sguardo ipercritico si posa a volte su di sé, a volte sugli altri. È il periodo della vulnerabilità: basta poco per “perdere” i confini, per sentirsi invasi, perseguitati, e tutto ciò è causa di ferite. È anche un periodo “eroico”,
fatto di sfide, pericoli corsi per nulla, trasgressioni e opposizioni violente; ma è anche il tempo dei sogni ad occhi aperti, della fuga dalla realtà. È il periodo dell’amore, in cui si scoprono le attrazioni, legami da conquistare accettando competizione e rischio del rifiuto. Ed è anche, infine, il periodo in cui irrompe il pensiero della morte, come angoscia della fine, e talvolta come limite insopportabile da sfidare pericolosamente. Tutti questi aspetti non spiazzano solo i ragazzi, ma anche chi gli sta intorno, in particolare gli increduli ed inquieti genitori. L’adolescenza, quindi, come evento critico globale, un’impresa evolutiva congiunta di figli e genitori. Di fronte all’adolescenza è necessaria, infatti, un’abilità genitoriale totalmente diversa da quella esercitata nel periodo infantile. Ciò significa che deve esserci, per così dire, un’adolescenza anche degli adulti, un cambiamento del loro modo di porsi, di interpretare i bisogni, di dare risposte. C’è bisogno, insomma, di figure genitoriali di riferimento capaci di tollerare la frustrazione, l’attacco, la squalifica e un certo grado di separazione: per l’adolescente si tratta di costruire la propria autonomia; per i genitori si tratta, invece, di accettare la diversità e l’alterità del figlio. È importante, a questo punto, sottolineare come questo complesso periodo di crisi abbia in sé un doppio potenziale: maturativo e patogeno. Il primo ha come sbocco un tipo di funzionamento psichico nuovo, il secondo può portare invece a forme di adattamento
disfunzionali e problematiche. L’instabilità, la conflittualità e contraddittorietà di questa particolare stagione della vita fa sì che sia molto difficile parlare di adolescenza normale o patologica. Non è infatti facile riconoscere quali aspetti sono fisiologici e quali degni di attenzione clinica, in un periodo in cui la personalità dell’adolescente si sta evolvendo in modo disomogeneo e imprevedibile. Ciò che possiamo dire, in sostanza, è che in adolescenza difficilmente si rileva un’organizzazione patologica definita: si tratta di situazioni in cui “i giochi non sono ancora fatti”, in cui si trovano più spesso patologie “in fieri”, con aspetti qualitativi e quantitativi che si differenziano da un’evoluzione “normale”, ma che non sono ancora strutturati in patologie simili a quelle dell’età adulta. La sfida, dunque, è riuscire a cogliere quelle “comunicazioni particolari” che gli adolescenti, in situazioni di sofferenza psicologica, usano come segnali di disagio e silenti richieste di aiuto. Un disagio che può esprimersi mediante: disturbi del comportamento e della socializzazione, difficoltà scolastiche, disturbi psicosomatici, comportamenti a rischio (abuso di sostanze, atteggiamenti autolesivi, ecc.), disturbi alimentari, ecc. In tutti questi casi, un intervento psicologico può essere di grande importanza per arginare derive patologiche e trovare risposte più adeguate ad una sofferenza spesso misconosciuta dallo stesso adolescente. Si dice che in adolescenza “tutti i nodi vengono al pettine”; questo è vero, ed è una fortuna: infatti il giovane è costretto a confrontarsi nuovamente con gli aspetti irrisolti della propria personalità. Ecco che allora l’adolescenza può essere una seconda, grande occasione per riorganizzare e rimettere in moto le linee evolutive interrotte, ponendo in essere risposte più mature ed efficaci a pregresse situazioni di disagio. Ed è proprio quando ci si accorge che questi movimenti maturativi spontanei si interrompono, che può essere opportuno offrire un sostegno psicologico esterno, un intervento finalizzato a favorire nell’adolescente l’assunzione di una posizione attiva nei confronti di ciò che sta accadendo dentro di sé e nel rapporto con la realtà esterna, così da riattivare quei processi di separazione-individuazione, indispensabili al raggiungimento di una chiara soggettività identitaria.
Dott. Luca Ravazzin
psicologo, psicoterapeuta
2014 marzo, aprile - 13
esperienza
Il testimone assente Un tempo gli adolescenti incontravano adulti spesso incapaci di ricordare di essere stati a loro volta adolescenti e bambini. Oggi si ha l’impressione di trovarsi in un mondo che viaggia al contrario
p
ensando all’adolescenza, agli adolescenti, a quelli che incontro “fuori” e ai tanti che vedo nel mio studio, mi trovo ricorrentemente ad interrogarmi rispetto ad un’impossibilità. Essere adolescenti implica una transizione ed uno scontro. Il passaggio dal mondo dell’infanzia all’età adulta. La lacerante separazione dalle figure familiari di riferimento e l’immersione nel gruppo dei pari, dei coetanei. L’adolescenza è un periodo di radicale e potente trasformazione. Le scariche ormonali sono come bombe che cadono a distanza di pochissimi secondi, la crescita è velocissima, turbinosa, le trasformazioni corporee richiedono una metabolizzazione che spesso né l’adolescente né il suo ambiente sono pronti a realizzare. Nel corso di questa delicatissima fase l’adulto dovrebbe funzionare come un paracadute durante il lancio. Consentire il volo e garantire che l’atterraggio non sia mortale. L’adulto dovrebbe funzionare anche come sponda. Lasciarsi attaccare ed abbandonare per consentire all’adolescente di trovare se stesso, dopo aver contestato e dissacrato tutto quello che da bambino ha assorbito. Mentre il suo corpo si trasforma, mentre lo specchio gli rimanda un’immagine sempre più distante da quella in cui aveva imparato a riconoscersi, l’adolescente dovrebbe riuscire ad esplorare anche il proprio mondo interno, a costruire un campo di 14 - marzo, aprile 2014
coscienza in cui includere, tra i tanti insegnamenti ricevuti, quelli che diventeranno poi le sue norme e la sua etica. Per dirigersi verso se stesso deve poter andare contro, deve potersi differenziare per arrivare ad individuarsi. è necessario uno scontro con l’ambiente di provenienza affinché il neo-adulto possa affermare se stesso. Ma c’è ancora, in questa nostra epoca, per l’adolescente la possibilità di sentirsi “contro”? “Una volta quando avevo sei anni, in un libro sulla foresta vergine che si intitolava “Storie della natura”, vidi un disegno stupendo. Raffigurava un serpente boa che ingoiava un animale. I serpenti boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopo non riescono più a muoversi e dormono per i sei mesi chi gli occorrono per digerire. Mi colpì molto. Fu allora che feci il mio primo disegno. Era più o meno così:
Lo mostrai ai “grandi”. “Ti fa paura?” “Perché dovrei avere paura di un capello?” “Non è un cappello. È un serpente che digerisce l’elefante.” “Cosa?”
“Faresti meglio a pensare alle cose serie […]”. (A. de Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, Bompiani 1998, pag.85). Nel bellissimo testo di Saint-Exupéry il Piccolo Principe cercava così di scoprire se ci fossero adulti in grado di ricordare di essere stati bambini. è fondamentale poter ricordare di...essere stati... bambini prima e adolescenti poi. Nell’articolo “Ricordare, ripetere, rielaborare” del 1914, Freud affronta il tema dell’ “eterno ritorno”, da lui tecnicamente definito “coazione a ripetere”, scrivendo che la ripetizione (di azioni e comportamenti) sostituisce l’impulso a ricordare e che tanto più marcata sarà la resistenza, tanto più il ricordare verrà soppiantato dal ripetere. I comportamenti che vengono messi in atto ripetutamente sono le inibizioni, gli atteggiamenti inservibili, i tratti patologici del carattere.
Le persone ripetono i loro sintomi. Un tempo gli adolescenti incontravano adulti spesso incapaci di ricordare di essere stati a loro volta adolescenti e bambini. Adulti forse troppo irrigiditi nel loro ruolo, spesso non empatici. Capaci magari di funzionare come sponda ma non come paracadute. Oggi si ha l’impressione di trovarsi in un mondo che viaggia al contrario. Sembra che siano gli adulti ad inseguire i teenager. Non c’è più “eccesso” che tenga. Qualunque comportamento l’adolescente metta in atto per differenziarsi, viene messo in atto allo stesso modo dai “grandi”. Oggi sembra che anche gli adulti ripetano, senza poter ricordare. Adolescenti quindi senza paracadute e senza sponda. “Telemaco, invece, coi suoi occhi, guarda il mare, scruta l’ orizzonte. Aspetta che la nave di suo padre - che non ha mai conosciuto - ritorni per riportare la Legge nella sua isola dominata dai Proci che gli hanno occupato la casa e che godono impunemente e senza ritegno delle sue proprietà [...] egli cerca il padre non come un rivale con il quale battersi, ma come un augurio, una speranza, come la possibilità di riportare la Legge sulla propria terra. Se Edipo è la tragedia della trasgressione della Legge, Telemaco incarna l’invocazione della Leg2014 marzo, aprile - 15
ge; egli prega affinché il padre ritorni dal mare e pone in questo ritorno la speranza che vi sia ancora giustizia per Itaca[...]. Non è una domanda di potere e di disciplina, quella di Telemaco, ma di testimonianza. Sulla scena non ci sono più padripadroni, ma solo la necessità di padri-testimoni”. (M. Recalcati) Testimoni nella doppia accezione del termine. Capaci cioè sia di passarlo, il testimone, rimanendo sullo sfondo, sia di offrire quello sguardo indispensabile alla costruzione della propria identità. J. Lacan descrive “Lo stadio dello specchio” come il momento in cui, tra i sei e i diciotto mesi, il bambino arriva a riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio ed elabora un primo abbozzo di Io. In questa fase il bimbo ha bisogno che un adulto, alle sue spalle, confermi con il proprio sguardo che l’immagine che lo specchio rimanda è la sua, che è il suo riflesso: che è l’IO. Sguardo e contatto sono inseparabili e fondano il senso di identità. Quando ci sono difficoltà nella relazione visuo-sensoriale con il primo oggetto d’amore (generalmente la madre) diventa impossibile sentirsi a casa nel proprio corpo e percepirlo come “integro”. Queste precoci difficoltà tendono a manifestarsi durante l’adolescenza, quando il corpo energicamente si impone alla mente sotto la pressione della pubertà. In questi casi il corpo viene percepito come causa di disagi interiori e diviene “la tela” su cui tali disagi vengono “disegnati”. In alcuni casi si tratta di patologia franca. Ano16 - marzo, aprile 2014
ressia, disturbi alimentari, somatizzazioni di differente entità. In altri casi si assiste a significative e variegate modificazioni del corpo (dal tatoo a vari interventi di chirurgia plastica) con cui al corpo viene delegata la rappresentazione di problematiche interne non verbalizzabili. Al cospetto di adulti incapaci di offrire uno sguardo che favorisca il riconoscimento di Sé; di adulti in corsa contro il tempo, gli adolescenti sembrano rifugiarsi nell’onnipotente illusione di potersi ricreare da soli. In qualche caso, il movimento che sposta dal mondo interno al corpo, può essere intercettato. Qualche paziente si ferma e, al posto del tatuaggio o della rinoplastica in cui il dolore indicibile si sarebbe incistato, emergono angosce profondissime che, grazie al linguaggio e alla presenza di un interlocutore, possono trovare una collocazione mentale. Un paziente dopo il suo “non-tatoo” ha cominciato a chiedersi il senso. “La mia amica si è fatta tatuare una libellula. Simbolo di libertà ha detto. Poi è tornata a vivere con il marito etilista che la picchia. Se l’è fatta tatuare sul collo. Per farla vedere deve abbassare la testa.” Prigioniere entrambe di un’impossibilità e di una mancanza. Claudia Bartocci psicoterapeuta, psicoanalista responsabile Fida Verona
Per informazioni e prenotazioni: 348 4510995 - info@sinergias.eu
www.sinergiaitalia.org
vangelo e adolescenza
Un adolescente «ribelle» di nome Gesù A dodici anni, Gesù è presentato in una dimensione nuova: prende un’iniziativa all’insaputa dei genitori. Come un adolescente qualunque...
P
ossiamo dire che Gesù è stato un «adolescente ribelle»? Dal vangelo secondo Luca (2,41-50) sappiamo di quando Gesù dodicenne è rimasto a Gerusalemme a insaputa dei genitori, mentre tornavano a Nazaret, tanto che hanno impiegato tre giorni per trovarlo. Al loro incontro i genitori erano preoccupati, Gesù invece diede una risposta dove ha ostentato molta sicurezza … tanto da sembrare un figlio ormai perso, un figlio che sa il fatto suo e sul quale i genitori «hanno perso» ogni loro potere. Proviamo a leggere quell’episodio, versetto per
versetto, avvertendo il lettore che è stato scelto un certo taglio, cioè sono state tralasciate una serie di questioni molto accademiche, rimanendo sul piano narrativo ed esistenziale.
“I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa...” Queste prime battute lasciano intendere che la famiglia di Gesù segue un costume religioso, tipico
Tintoretto, La disputa di Gesù con i dottori nel tempio di Gerusalemme 1541 ca. - Museo del Duomo, Milano
18 - marzo, aprile 2014
del proprio tempo. L’evangelista Luca riporta altri episodi in cui la famiglia di Nazaret compie dei riti giudaici secondo le norme di Mosè (Lc 2,21.39). Questo significa che all’interno di un contesto di abitudini, accade qualcosa di insospettabile:
in cui il padre lascia il figlio, nel senso che non è più responsabile delle eventuali trasgressioni del figlio. Da qui in poi Gesù potrà leggere la torah in sinagoga, partecipare ai dibattiti. Dall’episodio pare che si sia messo subito all’opera …
“Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero...”.
“Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo»...”.
A dodici anni, Gesù è presentato in una dimensione nuova: prende un’iniziativa all’insaputa dei genitori.
“Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme...”. Trovarsi spiazzati dopo un giorno di cammino, mette in moto i genitori: inizia una ricerca. Si deve tornare da dove si è partiti, Gerusalemme, dove si è svolto un rito. Si può già intuire una comprensibile ansia in questo spiazzamento dei genitori. Abituati ad avere un figlio che li segue, ora i genitori si trovano ad avere un figlio da cercare.
“Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte..,”. La scena è curiosa. Il fanciullo è tra persone sapienti: la prima cosa che fa è «ascoltare», la seconda è «fare domande», la terza è «stupire» con le sue risposte. Poche righe possono lasciar intendere che dietro questo episodio si nasconde un rito ebraico che si chiama bar-mitzwa, che significa «figlio del precetto». Con questo rito il fanciullo è chiamato a passare all’età adulta, è reso capace di leggere la torah (la «legge») e di conseguenza di rispondere delle proprie azioni. È un momento
I genitori non nascondono i loro sentimenti ed è curioso che sia la mamma a prendere la parola e non il padre. Per altre due volte ritorna il verbo «cercare». Questo figlio è sfuggito e per un genitore non è facile vivere questo momento. Però i genitori sono onesti: il loro può essere un rimprovero ma nello stesso tempo è una domanda. Non giudicano, nemmeno indagano su cosa è successo al figlio in quei tre giorni, esprimono la loro preoccupazione e si rivolgono al figlio con il loro desiderio di ascoltarlo. Gesù è interpellato e cosa fa? Risponde con queste parole:
“Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»...”. La risposta sorprende: innanzitutto è una domanda, proprio come aveva appena fatto con i dottori della legge. La domanda può aiutare i genitori a collocarsi, a ricomprendere la loro nuova posizione: sono genitori chiamati più a cercare che a farsi seguire. Il tempo in cui avere un figlio che ti segue è finito. Ciò è coerente con il rito del bar-mitzwa, perché comportava che il figlio fosse in grado di rispondere delle proprie azioni, e il figlio Gesù lo sta facendo. È diventato adulto. Il rito svincolava dal padre: Gesù parla di un nuovo padre, il Padre celeste. Si tratta di Dio. Leggendo i vangeli si nota come l’intimità di Gesù è abitata da questa relazione con Dio, che vive in modo del tutto speciale. I genitori si trovano con un figlio in grado di avere una propria intimità, presso la quale non possono entrare e uscire a piacere. Spetterà al figlio abbassare il ponte levatoio 2014 marzo, aprile - 19
A Nazaret è stata trovata una casa con vicino una tomba del primo secolo, chiamata la «tomba del giusto», dove è presente sia lo strato bizantino che crociato. Qualche studioso pensa che possa essere la casa dove Gesù ha trascorso la sua giovinezza
del proprio castello interiore.
“Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro...”.
come soggetto. A. Scese con loro: il figlio è adulto e quando si diventa grandi i genitori possono essere riscelti, accolti. B. Venne a Nazaret: Gesù accetta di essere casa dei suoi, anche i genitori sono chiamati ad accogliere un figlio che scegli di stare a casa non avvertendola come la casa della propria vita. C. Stava loro sottomesso: esistono le «regole di casa» che possono essere negoziate ma solo fino a un certo punto, perché il figlio sa che non è casa sua. Mettersi in ricerca del figlio, nella sua nuova configurazione di «figlio ribelle», non significa averlo perso. Quei genitori non sono privi di sorprese … anche belle; l’episodio infatti conclude con queste parole:
Come in ogni normale famiglia, è difficile capirsi tra generazioni diverse. I genitori si scoprono in un nuova situazione: «non comprendere». Il figlio è proprio da cercare e chiede un nuovo atteggiamento di rispetto nei confronti del suo mondo intimo, dei suoi pensieri. I genitori si accorgono in concreto che l’iniziazione, il rito, ha avuto il suo vero effetto: il figlio è diventato adulto, ha preso la sua iniziativa e li ha spiazzati. Di fronte alle sorprese del figlio cosa fare? È giusto cercare di comprendere tutto? O è meglio fare un passo indietro e lasciare che il figlio prende una sua strada? Anche scegliere di non capire subito può essere un atto di maturità.
“Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
“Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso...”. Ed ecco l’iniziativa del figlio Gesù, descritta con tre verbi interessanti, perché hanno sempre Gesù
Martino Signoretto Biblista
20 - marzo, aprile 2014
2014 marzo, aprile - 21
arte e terapia
Arte Terapia con gli adolescenti: creatività che favorisce la mentalizzazione Questo tipo di cura nasce negli anni quaranta nei paesi anglosassoni e si diffonde negli anni ottanta anche in Italia
S
i sono diffuse negli ultimi anni forme di intervento riabilitativo (sia per handicap fisico che per disagio psichico) volte a facilitare l’espressione del soggetto: teatro, musica, arte figurativa, ecc. L’espressione e la comunicazione diventano gli assi portanti di questo tipo di cura: l’Arte Terapia si colloca in questo indirizzo. Nasce negli anni quaranta nei paesi anglosassoni e si diffonde negli anni ottanta anche in Italia. Oggi l’Arte Terapia in Gran Bretagna è una professione regolamentata, con corsi di specializzazione post-laurea che si svolgono presso atenei statali; uno di questi è il Goldsmiths’ College di Londra che riconosce il diploma rilasciato dall’Associazione Art Therapy Italiana, con sede a Milano e a Bologna, in conformità alle norme che regolano la pratica di questa come di altre professioni in tutti i paesi della EPC ( E u ro p e n Professio-
22 - marzo, aprile 2014
nal Certification); attualmente in Italia è iniziato un iter di risconoscimento della professione di arteterapeuta. Il laboratorio di Arte Terapia, così come lo imposto secondo la formazione della Scuola Art Therapy Italiana (Golsmiths’s College di Londra), mette a disposizione in un luogo, frequentato con cadenza ritmica settimanale, tutti i materiali artistici convenzionali e non, in modo che l’individuo abbia modo di esprimersi secondo la modalità che preferisce. L’intervento può essere individuale o di gruppo. Può avvenire in ambito clinico o in un laboratorio espressivo. Diversi sono gli stili e le modalità di utilizzo della proposta: c’è chi desidera controllare il lavoro con pennarelli e matite, chi vuole espandersi con tempere e colori a dita, chi lavora in tridimensionale con creta o materiali strutturato (legni, cartoni, ecc) e nel frattempo avvengono trasformazioni durante il percorso di conoscenza di sé e di maggiore fiducia nel gruppo. Nella produzione di immagini prende forma la rappresentazione di temi che vanno a definire un codice rappresentativo personale che esprime i contenuti interni del soggetto e la particolare modalità di comunicazione con l’esterno.
Perché Arte Terapia con gli adolescenti L’adolescente vive un momento “creativo” nel corpo e nelle relazioni e cosa, meglio dell’arte, può rappresentarlo? L’arte permette di “dar forma” e trasformare, di fare al di là della dimensione relazionale e di inserire in un’immagine opposti difficili da concepire; l’immagine
permette altresì che si tolleri l’incertezza, l’ambiguità, che si sospenda il giudizio, e che si superi quell’atteggiamento anticreativo che cerca normative sicure, schemi da imitare, tecniche precostituite. L’adolescenza è un tempo di crisi che si presenta più o meno acuta a seconda dei background socio-affettivi dell’adolescente, e se, sfortunatamente, nell’infanzia alcune cose non sono andate bene, l’adolescente le fa esplodere: se il disagio viene elaborato diventa un tempo di trasformazione, altrimenti può strutturarsi in psicopatologia. Oggi, come è stato descritto da più parti, questa crisi adolescenziale assume forme diverse a causa di nuovi stili di vita, di comportamenti e di identità sociale; questa condizione è stata ampiamente illustrata da Z. Bauman che descrive la società ed il nuovo modello di personalità “liquida”. L’adolescente contemporaneo è un “non contenuto” (ciò che caratterizza i liquidi è la ricerca del contenitore), contraddistinto dalla paura dell’inadeguatezza a fronte di una libertà potenzialmente infinita accoppiata all’infinita insicurezza del soggetto. Il laboratorio di arte terapia costituisce la possibilità di stare in un contenitore di stati emozionali non nominabili, né tantomeno facilmente riconoscibili. è evidente come in questo periodo esistano per i ragazzi/e del nostro tempo delle problematiche legate alla scarsa offerta di spazi collettivi per sperimentare modalità di relazione e di scambio reali. L’adolescente vive il difficile compito di dover “mentalizzare” il cambiamento corporeo, emozionale, relazionale, e d’altro canto, il contesto sociale in cui viviamo, caratterizzato dall’agire compulsivo e dall’imperativo del “dover godere”, non facilita i processi del pensiero. La diffusione degli strumenti di comunicazione tecnologica (internet, chat) ha modificato le abitudini e gli stili di vita degli adolescenti in modo
evidente e questi strumenti possono portare con sé il rischio di forme nuove di disagio: l’isolamento, la povertà affettiva, l’impoverimento del carattere “esperienziale” della vita con i suoi aspetti affettivo-relazionali. è necessario per i ragazzi “fare esperienza” con la possibilità di mentalizzare la sensazione. Si assiste invece nei ragazzi/e alla perdita del gusto del gioco per una fuga nell’agire concreto, nella forza, nella sfida o all’opposto nella sottomissione gregaria o nella strutturazione di fantasie private completamente separate dalla realtà esterna. M. Recalcati parla di “monadi di godimento”, in questo contesto di “realtà virtuale”. Il virtuale deve essere integrato con altre esperienze di scambio reale. In un’epoca in cui tutto è immagine, dalla pubblicità che incoraggia ad un certo look, a certi stili di vita diffusi “omologanti”, alla diffusione dei video-games, gli adolescenti sono prede sicure di questo mercato. Assistiamo spesso ad immagini indotte che non facilitano la creazione propria di idee figurative, ad immagini in serie che squalificano ogni rappresentazione personale; si può notare come la creatività individuale (intesa come realizzazione propria, unica e irripetibile) ne risenta profondamente. L’Arte Terapia si contrappone all’atteggiamento diffuso negli adolescenti che al posto della mentalizzazione vivono evacuazione, scarica continua che non lascia traccia. Considero potenzialmente contro corrente, rispetto al “trend” dominante, lavorare ora con l’Arte Terapia: creando l’immagine si approfondisce lo spazio psichico entro cui si configura l’esperienza, si aggiunge la metafora, la rappresentazione di cose che non si vedono, si connette al mondo esterno un mondo interno, si favorisce la creazione della soggettività. L’arte inoltre – in questo caso figurativa – permette l’espressione di tutti quei movimenti interiori difficilmente nominabili, ma riconoscibili e riconducibili alla possibilità di scambio. La creazione artistica che nasce dall’adolescente stesso è un elemento che fonda la sua soggettività a fronte di un bombardamento esterno di immagini che gli chiedono omologazione ed identità di mero consumatore. Giuliana Magalini arteterapeuta, pittrice, Verona www.giulianamagalini.it Opera pag. 20 : Giuliana Magalini, Anima, 2014 – tecnica mista Opera pag. 21 : Giuliana Magalini, Identità, 2014 – tecnica mista
2014 marzo, aprile - 23
associazioni
Sinergia 2004-2014: 10 anni di solidarietà insieme Sinergia è costituita da un gruppo di persone con un sogno in comune: contribuire con progetti concreti alla realizzazione di un mondo più giusto
Q
uest’anno Sinergia, Associazione di volontariato di Verona, festeggia 10 anni di solidarietà. Sinergia è costituita da un gruppo di persone con un sogno in comune: contribuire con progetti concreti alla realizzazione di un mondo più giusto. Attualmente sostiene un progetto a favore dei ragazzi di strada a Lima (Perù) e gestisce direttamente una casa famiglia che ospita una decina di ragazzi. Alessandra, la fondatrice, ricorda, attraverso la sua esperienza e le storie di alcuni adolescenti, come sia nato il desiderio di aiutare i ragazzi di strada e quali motivazioni profondamente umane ed universali abbiano animato fin dall’inizio l’opera dell’Associazione.
24 - marzo, aprile 2014
La mia attività, con e per gli altri, è iniziata nel 2001, quando decisi di fare una prima esperienza di volontariato all’estero. Arrivai in Paraguay, in una casafamiglia per bambini orfani o provenienti da famiglie estremamente disagiate. Fu bello, significativo, umanamente profondo: mi sentii “madre” di quei ragazzi che ancora oggi ricordo con immenso affetto. Quello fu il primo momento del cammino che poi ho percorso, importante per capire che nella mia vita volevo dare uno spazio speciale a chi, soprattutto se piccolo e indifeso, non aveva avuto dalla vita le mie stesse opportunità. Nel 2002 arrivai in Perù per la prima volta. Conobbi varie organizzazioni, ma una mi colpì in modo folgorante. Innanzitutto per la presenza di Jenny, la responsabile di una casa-famiglia per ragazzi di strada con una vocazione eccezionale per l’aiuto disinteressato agli altri. Ricordo sempre con emozione il nostro primo incontro. Lei che esce in pigiama dalla casafamiglia, perché non aveva neppure avuto il tempo di cambiarsi, presa dalle mille esigenze dei ragazzi, e io che sento battere forte il mio cuore, capendo da quel pulsare che l’incontro con lei mi avrebbe cambiato la vita. Così è stato. Tramite Jenny sono uscita in strada, di giorno e di notte. I ragazzi di strada sono diventati persone reali, non più volti che si perdevano fra tanti altri, ma ognuno col suo nome, ognuno con la sua storia, ognuno con le sue caratteristiche peculiari. E dal contatto diretto, che cancella l’anonimato, è nata la mia “passione” per loro: come era possibile che delle creature così giovani dovessero patire i soprusi della polizia? Come la gente poteva guardarli senza fare
nulla, buttati come sacchi di spazzatura sui marciapiedi? Potevano dei ragazzi dormire nei buchi formati dalle acque sulle rive del fiume? Come accettare che per la disperazione qualcuno di loro tentasse il suicidio con il veleno per topi? Come potevano morire di tubercolosi a soli 18 anni? Capii subito che l’importante per me era fare qualcosa di concreto per loro, e che volevo farlo “in presenza”, rimanendo al loro fianco, anche se non sarei riuscita ad alleviare tutte le loro sofferenze. Così tornai in Perù, dopo un paio di mesi, per fermarmi come volontaria nell’organizzazione di Jenny. Furono otto mesi intensissimi, dove cambiai molto di me: mi sentii scavare dentro dalle situazioni di vita dei ragazzi che sembravano spesso avere una sofferenza senza fine; diventai più flessibile e tollerante, imparai a non giudicare certi stili di vita che inevitabilmente erano legati alla loro permanenza in strada: gravidanze precoci, sessualità promiscua, uso di droghe; nella condivisione con loro sentii più volte di toccare l’essenza della vita nella sua nudità: solo la relazione tra persone, senza spazio per finzioni ed apparenze, solo il legame forte di due anime che si incontrano e si scambiano frammenti di sé. Ricordo quando accompagnai per vari giorni M. in ospedale: 16 anni e incinta di 5 mesi. Capelli ricci con migliaia di pidocchi. Non aveva nulla da mettersi: recuperai per lei dei capi di intimo e un pigiama e la domenica mi misi di buona lena a cercare di togliere dalla sua testa un po’ di quei pidocchi: fu una situazione buffa, surreale. Io, straniera, in un ospedale di Lima, seduta con M. nel bagno comune del reparto, con i pidocchi che saltavano letteralmente da una parte all’altra. Mi bastarono le parole di lei, che mi raccontava la sua storia, e il grazie che mi disse alla fine con un abbraccio. Ricordo che sentii che quella domenica era stata una bella domenica: non avrei voluto essere da nessun’altra parte, con nessun altro, per quanto M. fosse un’estranea. Ci eravamo incontrate, nella nostra umanità, e ci eravamo sentite vicine. La stessa sensazione di vicinanza e amore profondo che sentii la vigilia di Natale per S., un cucciolo di neanche un anno che per qualche giorno tenni con me finché alla madre non fosse passata la sbornia e fosse rientrata nella casa-famiglia dove io prestavo servizio volontario. Lo trovai disidratato tra le braccia della madre, ubriaca, e fu per me istintivo prenderlo fra le mie e riportarlo in casa-famiglia: non so ancora se fu la scelta più giusta, ma il tragitto su quell’autobus, con Sebastian fra le braccia, fu un momento
di alta ispirazione per me. Capii che in quell’esatto momento stavo “celebrando” il mio Natale nel migliore dei modi: cullando fra le braccia una creatura indifesa, che ben assomigliava al bambinello povero e infreddolito della nostra tradizione cristiana. La differenza era che per la prima volta nella mia vita la celebrazione del Natale era reale, concreta: ero lì ad aiutare con la mia presenza, mettendo a disposizione tempo, energie, intelligenza, risorse. Era quello che mi aveva spinto ad andare in Perù: volevo che la mia vita acquistasse un significato più profondo mettendo a disposizione degli ultimi fra gli ultimi la mia sensibilità e le mie capacità, non restando indifferente. Oggi, a distanza di anni, è ancora così. Ho conosciuto tantissimi altri ragazzi, abbiamo fondato con Martin e con gli amici italiani associazione e progetto, l’aiuto che riusciamo a dare è diventato più concreto e strutturato, ma le motivazioni e la gioia profonda dell’incontro con l’altro sono le stesse. E’ indescrivibile la gioia che ho provato quest’anno nel riabbracciare la prima delle ragazze ospitate nella nostra casa-famiglia che ha raggiunto la vita autonoma: sento per lei sentimenti di “madre” e sono così orgogliosa che oggi sia una donna con sogni e opportunità reali e che non sia appassita fra le crepe delle strade di Lima, entrando nei giri dello sfruttamento sessuale o drogandosi come è successo e continua a succedere a molte bambine e ragazze di Lima. E’ indescrivibile l’emozione che ho sentito ad agosto quando ho accompagnato E. a vivere con zii e cugini paterni: dopo cinque anni vissuti nella nostra casafamiglia, con alle spalle situazioni tragiche come l’assassinio della madre, è cresciuto con noi, si è allontanato dal gruppo di teppisti al quale si era unito, ha ritrovato sogni e speranza ed oggi sono orgogliosa di lui, come una mamma, quando gli parlo al telefono e mi racconta dei suoi studi, del lavoro, delle sue attività sportive, del rapporto con i familiari. Ha ritrovato se stesso, la sua famiglia, la sua vita. I ragazzi di Lima sono entrati nella mia vita, in profondità, arricchendola e interrogandola sulle priorità davvero importanti per me, e continuano ed essere al centro della mia vita, valendo ogni sforzo e sacrificio, perché ognuno di loro è un fiore che ha il diritto di sbocciare in tutta la sua bellezza, anziché appassire ignorato nelle strade di Lima. Alessandra Donatelli Info: www.sinergiaitalia.org 2014 marzo, aprile - 25
evento
Charmet a Verona: “La difficile relazione col corpo degli adolescenti attuali. La paura della bruttezza e il rifugio nella realtà virtuale senza corpo” L’Unità Complessa di Psichiatria, Centro di Riferimento Regionale per i Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, il 21 febbraio 2014 ha organizzato la Conferenza “La difficile relazione col corpo degli adolescenti attuali. La paura della bruttezza e il rifugio nella realtà virtuale senza corpo”. Il relatore, Prof. Gustavo Pietropolli Charmet, ha descritto alcune caratteristiche della fase adolescenziale calandole nell’attuale contesto socio-culturale
N
el corso del tempo la società è profondamente cambiata e con essa i suoi valori di riferimento basati oggi sulla spinta alla precocità sociale e alla realizzazione. Da una visione del neonato come “selvaggio da civilizzare” siamo passati all’idea di un essere ricco di competenze innate di cui seguire la naturale inclinazione affinché possa esprimere tutte le sue potenzialità. Da una scuola sui cui banchi sedeva Edipo siamo passati ad una scuola frequentata da Narciso. Da disagi legati al senso di colpa a un dolore legato alla vergogna. Da un confronto tra il corpo e il Super-Io, ad uno con l’ideale dell’Io. Il conflitto oggi non è etico, ma estetico. Questa trasformazione radicale trova particolare espressione nella delicata fase adolescenziale, du-
26 - marzo, aprile 2014
rante la quale il giovane vive una serie di mutamenti fisici, psichici, relazionali, sociali, che possono metterlo duramente alla prova soprattutto se associati ad una sottostante fragilità narcisistica. L’adolescenza è il momento in cui avviene l’incontro con un corpo sessuato. I valori etici ed educativi trasmessi dalle figure di riferimento possono entrare in conflitto con l’eccitazione, il desiderio e la sessualità. Il corpo rappresenta la natura, istanza difficilmente integrabile con la famiglia, la scuola, la società. Il potenziale conflitto tra natura e cultura, può produrre un senso di colpa verso il desiderio o la ricerca di un compromesso e il corpo può divenire il luogo in cui questo conflitto si esprime e cerca una risoluzione. In questa fase è difficile per il giovane sentire il
Immagine tratta dal sito www.minotauro.it
suo nuovo corpo come integrato. Pur essendo l’oggetto più vicino al Sé e alla propria identità, per un certo periodo rimane anche un cantiere aperto che richiede prove e verifiche continue. Questa difficoltà di simbolizzazione e di mentalizzazione del proprio corpo e delle sensazioni che produce, possono causare una sofferenza, più o meno consapevole. Il disagio che l’adolescente vive può esprimersi attraverso un attacco al corpo che rischia di cronicizzarsi e di dare origine a nuove patologie o ad una sospensione della simbolizzazione del corpo che rimane imprigionato nella rappresentazione preadolescenziale. è proprio questa difficoltà di integrazione che talvolta rende presente solo un aspetto parziale della corporeità, come nel caso del “corpo alimentare” letto esclusivamente come grasso o magro, che complica l’identificazione di genere e lascia in sospeso le successive identificazioni. Oggi il conflitto non è più di natura superegoica, ma legato ad un senso di inadeguatezza e di vergogna. Mentre il senso di colpa, per quanto doloroso, tende ad avere un esito depressivo ed è circoscritto ad un gesto, la vergogna è più pervasiva perché non è parcellare, ma riguarda il Sé
nel suo complesso, non è legata ad una situazione momentanea, ma la supera penetrando in profondità. Per questo in ogni occasione in cui i ragazzi debuttano in società, o si espongono allo sguardo dell’altro, rischiano di soccombere. Questa evenienza può divenire fonte di ansia e di disagio al punto da spingere l’adolescente a cercare soluzioni estreme nel tentativo di “sparire” o nella ricerca di una vendetta capace di riscattarlo. Senza corpo, come un avatar, riesce ad entrare più facilmente in relazione perché nella realtà virtuale corre meno il rischio di incontrare la propria vergogna. I tentati suicidi, il ritiro sociale o la manipolazione del corpo sono tutti tentativi estremi di sottrarsi simbolicamente allo sguardo dell’altro. Ma non è lo sguardo degli adulti che “uccide”, ma quello dei coetanei ritenuti competenti ad esprimere una valutazione in base al look, alle connessioni Internet, ai valori del gruppo. In questi casi, se il soggetto è narcisisticamente fragile, potrebbe sentire lo sguardo dell’altro come intollerabile perché filtrato attraverso i suoi ideali crudeli. Poiché non c’è limite al bisogno di successo, basta poco per provare umiliazione e vergogna per il non riconoscimento da parte del gruppo. Una reazione alternativa è quella di cercare una 2014 marzo, aprile - 27
vendetta, concreta o immaginata, quale illusoria soluzione “imperiale” in grado di riscattarlo, di restituirgli la bellezza e di mortificare chi lo ha mortificato. Ma i bisogni che sono alla base di questi comportamenti sono difficili da saturare e queste soluzioni risultano insoddisfacenti. L’unica situazione davvero mutativa potrebbe essere un’esperienza di rispecchiamento sereno da parte della nuova famiglia sociale unita alla capacità del soggetto di accettarsi più benevolmente. Se, al contrario il corpo rimane saturo di proiezioni, estraneo al sé, mai utilizzato, può divenire il luogo in cui si esprime il conflitto, luogo che non appartiene al soggetto e che quindi può farne quello che vuole, come fosse una cosa. L’autolesionismo, il cutting, il branding sono oggi alla moda come il piercing e il tatuaggio. Rappresentano ferite profonde che cercano voce attraverso il corpo, ferite segrete, clandestine, al riparo dallo sguardo dell’altro, necessario per placare la disforia di adolescenti depressi e pieni di rabbia. Queste pratiche possono venire ripetute e diventare dipendenza in un uso del corpo privilegiato rispetto al pensiero. Un corpo che esprime l’im-
Prof. Gustavo Pietropolli Charmet
28 - marzo, aprile 2014
possibilità di essere belli e felici. Quando il corpo non è integrato, non è mentalizzato e viene sentito come un oggetto separato da sé che l’adolescente “si porta dietro”, può essere considerato il responsabile del proprio fallimento e quindi può essere ucciso vendicandosi di tutti i soprusi. Molti adolescenti che arrivano a compiere tentativi suicidari pensano di “uccidersi senza morire”. Credono che si possa uccidere il corpo senza uccidere il Sé. Questo fallimento del processo di realtà li porta a scherzare con la morte che non viene mai simbolizzata. Il tentato suicidio è un gesto vendicativo teatrale e radicale per sparire, un modo per riscattarsi, un “viaggio chiuso in una cisti narcisistica”, un gesto imperiale che la fa pagare a tutti. L’impossibilità di essere belli e felici si esprime anche nel bisogno di modificare il corpo perché non è accettabile così com’è. Perché solo modificandolo può divenire compatibile con le aspettative ideali. La paura della bruttezza immotivata è caratteristica della preadolescenza. I ragazzi faticano a tollerare la bellezza, il piacere, il successo, l’amore, la famiglia e cercano di diventare brutti per abbassare il livello di responsabilità e allontanare da sé queste “possibilità spaventose”. Un corpo cadaverico difficilmente potrà attrarre lo sguardo eccitato del maschio tenendo le ragazze alla larga da sensazioni intollerabili. Lo sguardo dell’altro, l’altro viene cancellato. Il conflitto con il proprio corpo può avere una motivazione sessuale che, pur essendo meno forte di un tempo, può conservarsi a causa del legame narcisistico e simbiotico con la madre rispetto al quale il corpo sessuato viene sentito come sovversivo poiché minaccia una rottura. La difficoltà ad accettare il nuovo corpo porta ad una nostalgia verso il corpo “innocente” dell’infanzia cancellando nuovi oggetti e nuovi legami. Corpo piccolo, minuto, leggero. Corpo di figlia. Rimanere ancorati al corpo dell’infanzia rende il corpo incomprensibile. E’ riconoscendolo non più bisessuato e onnipotente, ma complementare ad un altro corpo che diviene comprensibile. è nella complementarietà che si può trovare un senso al perché “il corpo è fatto in questo modo”.
Ma nell’adolescenza, le caratteristiche condotte di avvicinamento verso le ragazze da parte del maschio, e gli atteggiamenti seduttivi da parte delle femmine, sono inaccettabili per un’adolescente narcisisticamente fragile che non può sottomettersi a queste strategie. Le trasformazioni del corpo devono essere controllate. Il corpo stesso può divenire un contenitore di affetti spostati e di elementi persecutori, luogo della dismorfofobia e dell’orrore. Rifiutare il corpo significa negare l’altro e la generatività materna, ogni significante della femminilità erotica e seduttiva. La mancanza di amicizie con coetanee rende ancora più difficile una possibilità di identificazione già precaria. In generale nei disturbi del comportamento alimentare si può cercare di ricostruire “dove è morto l’altro”. La ragazza anoressica “nasce sulla tomba della possibilità di amare”. Quando il corpo dovrebbe entrare in gioco e questo non può avvenire avviene un’esclusione del rapporto con l’altro, della coppia, dell’amica, del gruppo. Non si riesce ad entrare in una relazione, né ad appartenere al proprio ambiente. Senza corpo non si può accedere al linguaggio degli affetti e
del desiderio. Senza amiche, senza coppia, senza gruppo rimangono solo il padre e la madre con il relativo conflitto. In alcuni casi il trattamento residenziale può essere importante perché le ragazze sono costrette a relazionarsi forzatamente con altre ragazze con corpi simili ai loro, un corpo oggetto passivo di una trasformazione non voluta, e perché i sintomi anoressici senza interlocutori e destinatari dei sintomi, come la famiglia, perdono una parte del loro significato. Ma la via verso la guarigione comporta anche l’elaborazione del lutto per la perdita dei vantaggi secondari della scelta anoressica. In questo contesto la terapia deve saper raccogliere il dolore che produce e dargli un senso. Infine, anche la scoperta della mortalità è legata al corpo. Viaggiare verso la consapevolezza che il corpo può dare la vita conduce al riscoprirne anche la mortalità. Il corpo mortale, complementare e sessuato apre alla separazione dai genitori e per l’adolescente può comportare elementi non pensabili. Per questo la crescita può essere vissuta come un risultato da arrestare. Redazione
2014 marzo, aprile - 29
evento
Recalcati a Verona: “Il padre” La Fondazione Centro Studi Campostrini di Verona il 28 febbraio ha organizzato un incontro sul tema del padre tenuto da Massimo Recalcati, psicanalista lacaniano, e moderato dal dott. Davide Assael. Recalcati ha descritto i diversi volti del padre nella società contemporanea e risposto alle numerose domande del pubblico
L
a società senza padri è un’onda lunga di cui Lacan parla dal 1938, epoca in cui la fragilizzazione dell’autorità del padre è stata compensata da regimi autoritari in cui padri onnipotenti compensavano la fragilità di quelli reali. Ma la prima rottura radicale può essere rintracciata ancor prima, quando Nietzsche, ne “La Gaia scienza”, annuncia la morte di Dio aprendo alle incertezze e alle inquietudini della modernità. Inquietudini che hanno trovato espressione nei movimenti del 1968 in cui i figli, per la prima volta in Occidente, riescono a prendere la parola liquidando tuttavia in modo troppo semplicistico la questione della paternità con il risultato di ottenere un nuovo padrone nel capitalismo. L’immagine della notte dei Proci, descritta da Omero nell’Odissea, può essere presa a prestito per rappresentare il capitalismo nichilista e pervasivo che ha reso centrale il profitto, non il lavoro, che vede nelle merci la salvezza e che pratica il feticismo 30 - marzo, aprile 2014
Massimo Recalcati
dell’oggetto. L’appetito senza freno vince sull’appetito tenuto a freno. Nella società attuale stiamo assistendo ad una nuova rivoluzione antropologica: il rapporto tra figli e famiglia si è invertito. Oggi è il figlio, bambino divino visto come un idolo, a dettare le regole alla famiglia, non più la famiglia a dettare le regole al figlio. è venuta meno la capacità dei genitori di sopportare l’odio dei figli e di tollerare il proprio e il loro impatto con l’impossibile, trauma necessario che l’adulto deve imparare ad accettare. Oggi i genitori vogliono solo essere amati dai propri figli e faticano a far sentire loro lo scarto generazionale di cui invece hanno bisogno. In questo contesto sociale Recalcati fa emergere i diversi volti del padre che si succedono lungo il percorso dei loro figli verso la crescita. Volti, tutti, di cui il figlio ha bisogno per poter divenire adulto.
Il “volto della Legge”
è il volto della castrazione che introduce l’esperienza del limite e dell’impossibile, esperienza necessaria perché rende la vita “umana”, differenziandola da quella animale. I bambini non nascono soggetti, devono diventarlo attraverso l’educazione e le regole che insegnano a rinunciare alla violenza e all’incesto, attraverso una legge in grado di umanizzare la vita che impedisca il ripetersi del gesto di Caino. E’ un volto che nel nostro tempo appare particolarmente indebolito rendendo difficile l’esperienza dell’impossibile che è invece fondante. E’ infatti solo attraverso l’accettazione e l’esperienza del limite che diviene possibile una vera conoscenza e una vita libera. Il “volto del desiderio”
Il padre introduce il limite e, contemporaneamente, la possibilità del desiderio mostrando che l’interdizione rappresenta una donazione. La legge sostiene il desiderio che, dove non ci sono limiti, non può esprimersi. Ma nell’affermare la legge non deve esserci godimento. Il “volto della presenza”
è il volto più materno del padre. Perché ci siano una madre e un padre è necessaria una disponibilità alla responsabilità. Con la nascita di un figlio il padre riconosce che la sua esistenza non è più come prima, che il mondo non è più lo stesso. Quando il neonato viene alla vita lo fa attraverso un urlo. Responsabilità dei genitori è non lasciare sola questa vita e rispondere al grido che, se non viene accolto, si perde nel vuoto come il grido di Munch. È la risposta della genitorialità che trasforma il grido originario in una domanda. Freud nei “Tre saggi” scrive: «Il chiarimento sull’origine dell’angoscia dei bambini lo devo a un maschietto di tre anni che una volta sentii dire alla zia in una camera al buio: Zia, parla con me; ho paura del buio. La zia allora gli rispose: Ma a che serve? Così non mi vedi lo stesso. Non fa nulla - ribatté il bambino, - se qualcuno parla c’è la luce.” La parola salva dal buio. Compito della genitorialità non è impedire il buio, ma mantenere una presenza. 2014 marzo, aprile - 31
Il “volto della libertà”
Durante l’infanzia il bambino necessita dello sguardo del genitore per abbassare la sua angoscia. I cambiamenti che avvengono nella pubertà portano invece alla ricerca della libertà. Il corpo diviene sessuato e l’adolescente inizia ad avere un proprio odore. Non è più l’odore “del campo”, un odore neutro e comune ai coetanei, ma un odore proprio. La sessualità introduce così la separazione tra figli e genitori. In questo delicato momento di passaggio, la domanda del figlio non è più una richiesta di soccorso, ma di libertà. Il genitore non è più quello che salva dall’angoscia, ma che può provocare l’angoscia. Il rapporto si inverte, adesso è il genitore ad essere angosciato dalla libertà richiesta dal figlio. Françoise Dolto parla della necessità, in questa fase della vita, di una genitorectomia. Tuttavia è il legame familiare che inscrive la vita. Un difetto di inscrizione nel luogo dell’altro genera sofferenza poiché l’appartenenza fonda l’identità. Avere una provenienza, una discendenza è dunque una necessità, ma l’adolescenza ha anche bisogno di erranza. C’è un contrasto tra l’appartenenza e l’erranza, eppure l’una non basta senza l’altra. I ragazzi che chiedono, con diritto, la rottura del 32 - marzo, aprile 2014
legame familiare devono conservare la consapevolezza che possono tornare. Abramo che accetta di sacrificare Isacco rappresenta il gesto del genitore che deve sacrificare la sua proprietà sul figlio e lasciarlo andare dopo averlo accudito. Non prima. Recalcati chiude il suo intervento chiedendosi se, in un mondo come quello che viviamo è davvero possibile lasciare andare i figli. Non tutti, come Telemaco, ereditano un regno. Tuttavia, quello che può permettere di lasciarli andare è la fede in loro che non significa avere progetti su di loro, poiché questi diventano destini, il più delle volte infelici, ma scommettere sul loro desiderio, sulla loro attitudine, sulla loro stortura che è il punto di differenza, di discontinuità, che rappresenta la loro unicità. Per quanto un genitore possa aver protetto il figlio, infatti, non ne può garantire la felicità. La vita è fatta anche di tsunami e di cattivi incontri, non è custodita in una serra, ma è una contingenza che non si può governare. Non c’è un nesso di causalità deterministico tra genitori e figli. Non siamo responsabili del trauma che abbiamo subito, ma di quello che ne faremo. Quello che viviamo è il tempo del figlio. Il figlio “giusto” è quello che non pensa di farsi da sé, poiché è un mito del nostro tempo pensare che la vita si autocostituisca. Per oltrepassare i genitori bisogna imparare a farne uso. Riconoscerli. Telemaco sulla spiaggia attende il padre. Tutti, in qualche modo, abbiamo atteso il padre. È la dimensione della provenienza. Ma Telemaco non vuole la pelle del padre. Per fare luce a Itaca deve riconoscere il debito con chi lo ha preceduto. Freud, citando Goethe, dice che “ereditare è riconquistare”. Nell’epoca in cui il padre è evaporato, è il figlio che fa esistere il padre. Il figlio “giusto” è quello che ha il coraggio di intraprendere il viaggio, anche se rischioso, è il figlio “orfano” che accetta di mettersi in movimento perché nessuno può farlo al posto suo, esponendosi senza più protezione e senza garanzie. Redazione
scuola
Il Progetto S.O.S. (Scuola Orientata alla Sostenibilità) Cibo sano nelle scuole veronesi: una risposta concreta per lo sviluppo sostenibile
D
i fronte al bivio tra degrado socio-ambientale e sviluppo sostenibile, la Scuola deve diventare protagonista e promuovere una maggiore consapevolezza del ruolo che ciascuno può rivestire nella tutela dell’ambiente. La Scuola, veicolo attivo nell’educazione dei cittadini, può diventare “motore” di un cambiamento di prospettiva per la tutela delle risorse naturali, dell’aria, dell’acqua e del suolo. Lo stesso programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) prevede per la Scuola un ruolo attivo nella diffusione dei temi della sostenibilità ambientale: “Inspiring, informing, mentoring, supporting, and facilitating institutions of higher learning to undertake curriculum innovations for sustainability. Additionally, institutions of higher learning are encouraged to reorient their curricula in support of sustainable development.”
ti più responsabili, ma di sperimentare realmente processi di sostenibilità nel vissuto quotidiano di studenti e operatori scolastici. Per far ciò nel 2012, anno di attivazione del Progetto, sono stati individuati i settori cruciali sui quali può essere “misurata” la sostenibilità di un Istituto scolastico: energia, rifiuti, alimenti, materiali di consumo e responsabilità ambientale.
Il Progetto S.O.S.: dall’educazione alla pratica
Riscaldamento, energia elettrica, mobilità
Il Dipartimento di Scienze Naturali del Liceo “Carlo Montanari” da anni promuove nella Scuola una maggiore consapevolezza sull’importanza dello sviluppo sostenibile. Col Progetto S.O.S. si è voluto passare dalle parole ai fatti: dall’“educare alla sostenibilità” a “praticare la sostenibilità”. L’obiettivo è quello non solo di formare le nuove generazioni a comportamen-
Progetti-pilota sui consumi energetici condotti da altre scuole veronesi dimostrano che il risparmio energetico in una scuola di un migliaio di studenti può raggiungere alcune migliaia di euro all’anno, che si traducono e in tonnellate di CO2 non immesse in atmosfera. E’ indispensabile, quindi, motivare studenti e operatori scolastici verso una scrupolosa riduzione delle dispersioni termiche e
34 - marzo, aprile 2014
dell’energia elettrica, senza rinunciare al comfort. La Scuola, inoltre, deve impegnarsi nel sostenere fattivamente la mobilità sostenibile per ridurre gli impatti ambientali, sociali ed economici generati dall’uso di veicoli motorizzati privati. È fondamentale incentivare il raggiungimento della sede scolastica a piedi, in bicicletta, con mezzi di trasporto pubblici o privati condivisi (car pooling, car sharing). Da un questionario sottoposto a studenti, docenti e operatori scolastici all’inizio del Progetto, nella primavera del 2012, risultava che ben l’88% di questi raggiungeva il Liceo Montanari in modo sostenibile (mezzi pubblici, in bicicletta o a piedi). Rifiuti
La raccolta differenziata di carta, lattine, vetro, plastica e batterie, può essere efficiente attraverso un’adeguata motivazione e una distribuzione capillare dei punti di raccolta. Il rispetto delle modalità di raccolta dei diversi materiali di rifiuto viene garantita soprattutto dal referente ambientale eletto dagli studenti in ciascuna classe. All’interno di ciascuna classe sono presenti tre contenitori per diversi rifiuti: secco, carta, plastica e lattine, che periodicamente vengono svuotati dagli stessi alunni. Per le altre tipologie di rifiuti (tappi in plastica, lattine) sono posizionati nei corridoi specifici contenitori. Alimenti
La qualità del cibo e delle bevande che vengono giornalmente distribuite a Scuola non riguarda solamente la salubrità dei prodotti e la salute dei consumatori. Com’è ormai noto, l’utilizzo indiscriminato di ingredienti di pessima qualità organolettica (es. olio di palma) in numerosissimi alimenti, non determina solamente gravi problemi alla salute (come ribadito anche dall’OMS), ma contribuisce in modo determinante alla distruzione delle foreste tropicali e alla perdita di biodiversità nel pianeta. La Scuola deve vigilare sulla scelta degli alimenti e delle bevande distribuite al suo interno perché siano al contempo salubri e più rispondenti a requisiti di responsabilità ambientale.
I contratti con le ditte distributrici sono sottoposti al vaglio della Commissione S.O.S., formata da docenti, studenti, genitori e personale ATA, affinché i prodotti distribuiti a Scuola rispondano a nuovi e più attenti requisiti di sostenibilità. A tal proposito la stessa Commissione S.O.S. ha elaborato un “Protocollo di ristorazione responsabile” nel quale sono applicati i suddetti principi. Beni di consumo
La Scuola quotidianamente consuma carta, plastica e altri materiali dei quali molto spesso è ignota la provenienza. In particolare la carta (fotocopie, moduli, registri, ecc.) rappresenta sicuramente il bene di consumo più utilizzato. La Scuola richiede ai fornitori di carta una certificazione di origine (FSC o PEFC), in modo da assicurarsi che essa non sia stata prodotta da foreste tropicali. Parte della carta acquistata può essere riciclata, per ridurre i costi in termini di materie prime e di gas serra prodotti. Il Collegio Docenti ha inoltre approvato una mozione che invita le Case Editrici a produrre libri scolastici utilizzando esclusivamente carta certificata. Negli ultimi due anni nel Liceo Montanari sono spariti i registri di classe e i registri dei docenti, sostituiti da registri elettronici. Inoltre la tendenza è di ridurre progressivamente il consumo di carta utilizzata per veicolare le informazioni all’interno della Scuola (circolari, avvisi, comunicazioni, materiale didattico, ecc.). Anche l’acquisto di saponi e detergenti deve essere indirizzato verso prodotti “sostenibili al 100%”, escludendo prodotti contenenti olio di palma o con potenziale azione nociva o allergenica e non testati su animali. Responsabilità ambientale
La Scuola per dimostrare il proprio impegno verso una gestione responsabile delle risorse naturali sostiene azioni e iniziative dirette alla conservazione della natura e della biodiversità. Ad esempio, ha adottato meccanismi di compensazione degli impatti sull’ambiente mediante l’acquisto diretto di porzioni di foresta equatoriale ai fini della conservazione (oltre 50 ettari di foresta sono stati 2014 marzo, aprile - 35
Altre attività che possono impegnare la Scuola sul fronte della responsabilità ambientale sono: l’organizzazione di conferenze, assemblee, corsi di aggiornamento, e la partecipazione ad eventi e concorsi sui temi della sostenibilità. Punti forti e punti deboli del Progetto S.O.S.
Il progetto ha permesso di: - consentire ai ragazzi di conoscere l’importanza e il valore di comportamenti sostenibili attraverso attività che prevedono un coinvolgimento anche a livello emotivo (realizzazione spot, uscite didattiche mirate, conferenze, ecc.) - permettere di constatare direttamente l’utilità di un’azione comune: ci impegniamo in un’azione e raggiungiamo alcuni risultati (risparmiare energia e materiali, differenziare i rifiuti, conservare foresta vergine, aiuto economico a popolazioni lontane, ecc.); - collaborare con altri Istituti (es. Messedaglia, Copernico) e Istituzioni extra-scolastiche (es. WBA, MLAL, Fundacion Otonga) che operano nell’ambito della sostenibilità. Tali collaborazioni permettono contatti con persone e realtà che arricchiscono il bagaglio culturale e le conoscenze dei ragazzi, non solo sui temi della sostenibilità; - permettere momenti di aggregazione e confronto con figure esterne alla Scuola e con ragazzi di altri Istituti con i quali portare avanti una esperienza comune, condividendone spinte e motivazioni. Tuttavia sono ancora scarsi l’adesione del corpo docenti, le risorse economiche e l’adesione di altri Istituti. acquistati in Ecuador). Inoltre, nel caso la Scuola possieda uno spazio verde (giardino, cortile, ecc.), può utilizzare questo spazio in modo da favorire la presenza di specie animali e vegetali attraverso piantumazione di specie vegetali arboree e arbustive autoctone, il posizionamento di cassette nido per uccelli e chirotteri o altre azioni. Anche l’uso di tali spazi a scopo didattico nella trattazione dei temi della conservazione e della sostenibilità può essere riconosciuto come attività che testimonia l’impegno della Scuola verso la sostenibilità. 36 - marzo, aprile 2014
Prof. Gianfranco Caoduro Coordinatore del Progetto http://www.liceomontanari.it/Progetto_S_O_S_.html
BREVI
FIDA con “Fiocchetto Lilla” alla giornata contro i disturbi del comportamento alimentare
La Federazione Italiana Disturbi Alimentari (FIDA) aderisce alla terza Giornata nazionale del fiocchetto Lilla, dedicata alla prevenzione di anoressia, bulimia, obesità e di tutte le patologie legate ai disturbi del comportamento alimentare (DCA). La Giornata è stata istituita grazie all’iniziativa di Stefano Tavilla, presidente dell’associazione “Mi Nutro di Vita” e padre di Giulia, vittima dei DCA a soli 17 anni, il 15 marzo del 2011. FIDA è una Federazione che si occupa di DCA secondo una prospettiva psicoanalitica e un modello multidisciplinare integrato. E’ presente in 8 città d’Italia (Torino, Alessandria, Milano, Verona, Firenze, Ancona, Roma, Salerno) e riunisce associazioni costituite da Psicologi, Psicoterapeuti, Medici, Nutrizionisti e Psichiatri. Promuove l’informazione, la prevenzione, la formazione specialistica, l’organizzazione di eventi culturali e il trattamento dei Disturbi Alimentari (anoressia, bulimia, obesità, disturbo da alimentazione incontrollata, ortoressia, vigoressia, disordini alimentari in età evolutiva e negli adulti, problemi di allattamento-svezzamento nella prima infanzia) avvalendosi di equipe composte da diverse figure professionali. L’approccio psicoanalitico, condiviso dagli specialisti di FIDA, non mira primariamente a eliminare il sintomo, ma prende in carico la persona nella sua globalità: il trattamento psicoterapeutico ha
come obiettivo l’equilibrio individuale e la libertà personale. L’associazione Psicopatologie Contemporanee – Il Corpo Specchio è il centro di riferimento per il Veneto e membro fondatore di FIDA. Tra le sue attività l’associazione: organizza incontri; promuove la diffusione dell’informazione sui disordini alimentari e altri sintomi di ordine psicologico; propone colloqui informativi e di valutazione; supporto psicologico per adolescenti e adulti; sostegno alla genitorialità pre-post partum; psicoterapie individuali o di gruppo; Gruppi Balint per genitori; supporto medico-psichiatrico; attività di prevenzione nelle scuole, negli asili, nei Comuni; corsi di Formazione per medici, insegnanti, psicologi, educatori. In occasione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla le sedi FIDA mettono a disposizione le proprie équipe per un primo colloquio gratuito nei giorni vicini al 15 marzo 2014 e organizzano una serie di eventi per sensibilizzare ai problemi dei disturbi alimentari. Per tutto il mese di Aprile è possibile fissare un colloquio informativo gratuito presso la sede di Verona chiamando per un appuntamento il numero 0458013574. www.fidadisturbialimentari.com www.fidadisturbialimentari.com/corpospecchio
2014 marzo, aprile - 37
disturbi alimentari
Sovrappeso ed obesità in adolescenza L’aumento di peso spesso è causato da uno stile alimentare scorretto, in molti casi con una dieta ipercalorica, associato ad una vita sedentaria
L’
obesità può rappresentare una patologia cronica determinata da un insieme di fattori, anche psicologici (caratteristiche di personalità) e ambientali (società, famiglia, rapporti affettivi). Per molto tempo è stata curata come patologia prettamente medica, tuttavia dietologi e medici di base evidenziano spesso una significativa difficoltà delle persone con problemi di sovrappeso e obesità a chiedere aiuto e a seguire diete e stili di vita adeguati; nell’obesità grave vengono addirittura richieste valutazioni psicologiche per accedere a interventi chirurgici che, senza un adeguato trattamento psicologico, rischiano di essere inefficaci o addirittura dannosi. L’aumento di peso spesso è causato da uno stile alimentare scorretto, in molti casi basato su una dieta ipercalorica (iperfagia), associato ad una vita sedentaria. Nel 30% dei casi l’aumento di peso è dovuto a un vero e proprio Disturbo da Alimentazione Incontrollata: ricorso a frequenti abbuffate, senza condotte compensatorie, nelle quali si ha la sensazione di perdere il controllo. È una ricerca di cibo senza freni, ingurgitato voracemente, in quantità eccessiva, spesso anche in assenza di fame e in un contesto di segretezza. L’abbuffata tendenzialmente si accompagna a stati di non pensiero, ma poi 38 - marzo, aprile 2014
getta in una situazione di sconforto e di autocritica. In un lavoro di psicoterapia che funziona, le persone prendono il coraggio di provare a capire il senso del loro sintomo alimentare e molto spesso si rendono conto che il meccanismo che innesca la ricerca compulsiva di cibo è un meccanismo emotivo: inizialmente infatti l’abbuffata dà l’illusione di eliminare emozioni spiacevoli (ansia, inadeguatezza, dipendenza emotiva intollerabile,
senso di vuoto…). Ciò che spesso emerge nei disturbi alimentari è la traccia di un rapporto affettivo conflittuale nelle esperienze di dipendenza: la vicinanza affettiva è molto spesso ricercata, con la sensazione di una vicinanza infantile poco goduta, di un bisogno troppo grande, impossibile da soddisfare, che non è degno nemmeno di essere considerato, ma contemporaneamente questa vicinanza così intensamente desiderata è terribilmente temuta, il bisogno affettivo viene percepito come un punto di vulnerabilità personale intollerabile, che espone ai capricci, alle invadenze ed alle bizzarrie di un Altro poco rispettoso dell’individualità. In adolescenza il corpo incontra dei fisiologici cambiamenti, che possono causare transitori stati di sovrappeso, inoltre i cambiamenti corporei impongono ai ragazzi nuove identità che potrebbero non sentirsi pronti ad assumere, o non sentirsi in grado di gestire…talvolta in ambito psicoanalitico si sente dire che il grasso copre e nasconde il corpo sessuato. Il corpo adulto rischia di demolire in modo potenzialmente dirompente l’equilibrio dei legami affettivi costruito nell’infanzia: “sono in grado di allentare il legame di dipendenza con i miei genitori? Se mi allontano loro spariscono o mi abbandonano? Rimane un vuoto? È un vuoto che mi schiaccia? Rimango con le spalle scoperte? Mi sento sguarnito e incapace di affrontare i coetanei? E’ colpa dei miei genitori che non mi hanno attrezzato come gli altri? È pericoloso se sento la loro mancanza? Significa che non riuscirò mai a
diventare autonomo? I coetanei mi trovano interessante? Sono una persona che può piacere? Per essere amato come mi devo comportare? Devo assecondare tutte le aspettative degli altri?...” E a seguire altre domande, che accompagnano una sfida, quella del cambiamento. Non è certamente facile per chi, da adulto, affianca la crescita dell’adolescente, capire il peso di quei chili di troppo; il rischio è di rendere trasparente la situazione, bloccati dal timore e dall’angoscia nascosti sotto quel peso: un adolescente invitato a chiedere una consulenza psicologica potrebbe anche reagire con rabbia, se la proposta muove angosce significative. Una paura (erronea) che molte volte può impedire di chiedere una consulenza specialistica, è legata all’idea che lo psicologo possa creare una relazione di dipendenza inutile e negativa, dalla quale non sì è sicuri di poter uscire, se non con delle rotture o delle fughe. Un’altra paura è legata all’idea di essere giudicati male, come persone incapaci di controllarsi o, nei panni dell’adulto, dei genitori colpevoli. O ancora ci può essere il timore che chi suggerisce una consulenza si voglia intromettere nello spazio privato del ragazzo attribuendogli un’identità malata. La consulenza specialistica invece è fondamentale: è lo strumento che permette di effettuare diagnosi precoci che porteranno a trattamenti più rapidi ed efficaci (il disturbo alimentare non curato ha un elevato rischio di cronicizzarsi). Consulenza specialistica non significa automaticamente inizio di una psicoterapia, in situazioni transitorie possono essere sufficienti pochi colloqui per assecondare o favorire un processo evolutivo già in atto, che non ha bisogno di interventi esterni. L’intervento psicologico ha sempre come fine la libertà personale, non solo “libertà da” (cibo, corpo sofferente, rapporti soffocanti o insoddisfacenti,…) ma soprattutto “libertà per”, per esprimersi e godere di ciò che si è. Dott.ssa L. Chiesa psicoterapeuta
2014 marzo, aprile - 39
online
I disturbi alimentari sul web: chi è Ana? Se i mass media rappresentano la femminilità come seducente e snella, tale rappresentazione diverrà automaticamente oggetto di desiderio per la stragrande maggioranza del pubblico femminile
U
ltimamente, vagabondando per il web mi sono imbattuto in un fenomeno di cui ignoravo l’esistenza ma di cui il popolo della rete comincia a render conto ormai da qualche anno, tanto che già si può scovare l’esistenza di un certa letteratura in proposito. L’oggetto di tanto parlare sono i cosiddetti blog “Pro Ana”, ovvero una sorta di diari online aperti a chiunque li voglia visitare, tenuti da adolescenti che propagano e sostengono l’anoressia - di cui Ana sembra l’impersonificazione - come stile di vita, oltre che, ovviamente, come obbiettivo da perseguire. Come in ogni blog che si rispetti anche qui assistiamo a uno scambio di informazioni, le quali da un lato veicolano consigli e stratagemmi per dimagrire, dall’altro instaurano una dinamica di sostegno vicendevole tra le autrici dei post e coloro che li commentano. è questo, a mio avviso, l’aspetto più interessante. Perché se da un lato la superficie è permeata solo da fotografie di ragazze magrissime e da post che d’impatto non possono che lasciare atterriti o addirittura infastidire, nel sottobosco dei commenti scorgiamo il crearsi di una rete di socialità, in cui si scambiano numeri di telefono, si creano gruppi e si cerca la relazione, dimenticandosi (!) del movente da cui tutto ha preso origine. 40 - marzo, aprile 2014
Se è vero infatti che ogni disagio psicologico è figlio del suo tempo, è vero anche che questa equazione è particolarmente verificata per le problematiche legate al cibo, e questo soprattutto perché la corporeità e l’estetica sono sensibilità che il singolo sviluppa in celebrazioni collettive, dove a farla da padrone è l’im-maginario comune. Banalmente: se i mass media rappresentano la femminilità come seducente e snella, tale rappresentazione diverrà automaticamente oggetto di
desiderio per la stragrande maggioranza del pubblico femminile. Inutile negarlo. Sulla scorta di queste premesse, viene dunque da chiedersi quale può essere - da un punto di vista esclusivamente sociale - la lezione che possiamo portare a casa dalla com-parsa del fenomeno Pro Ana. A mio avviso essi suggeriscono principalmente due spunti interpretativi. Anzitutto ci dicono la passività cui si è ridotta l’adolescenza che sembra aver perduto “la ribellione” come elemento costitutivo. Oltretutto tale dinamica sembra riallacciarsi a un fenomeno più vasto, che non riguarda solo i casi di anoressia. Gustavo P. Charmet, ad esempio, nelle sue ultime pubblicazioni, riduce il desiderio di “essere alternativo”, presente in molti adolescenti, a pura manifestazione estetica svuotata di ogni sostanza di ogni contenuto effettivo. Altrimenti, per tornare a noi, basta pensare alle autrici dei sopracitati blog che si bevono passivamente tutte le sinfonie sull’essere belle e magre che vengono loro proposte in cui la componente nar-cisistica è tanto evidente quanto innegabile, così da incarnare l’essenza di un trend assai noto, nonché efficacemente riassuntivo del tempo che viviamo. Ma quello che più mi ha colpito è il secondo aspetto, quello inerente alla rete di collegamenti che i frequentatori di tali blog sviluppano, e che sembra voler far da contrappeso all’immagine vuota di quel grido colmo di un fastidio che appare senza perché. è una richiesta d’aiuto, anche se si sforza
di restare nascosta, che esprime il desiderio di una relazione, in primis con chi in fondo vive lo stesso problema. è interessante, a tale proposito, quanto dice L. Binswanger riguardo alla figura dell’alienato come portatore di una diversità simile a quella appena tratteggiata. «L’alienato non è più colui che vive fuori dal mondo, ma colui che nell’alienazione ha trovato l’unico modo per lui possibile per stare nel mondo». Dietro alle pieghe della stranezza che tali blog inizialmente comunicano, dietro al loro esprimere un apparente desiderio di alienazione, possiamo infatti trovare un’ardente voglia di stare nel mondo. Stare nel mondo a qualunque costo, anche incarnando un eccesso che appare privo di senso, ma che in fondo è solo scudo o lasciapassare ai commenti che stanno sotto. Allora credo che il dramma vada letto in questi termini: si rifiuta il cibo perché non si ha effettivamente un orizzonte di riferimento in cui riconoscersi. Rifiutare il cibo vuol dire rifiutare il più istintuale legame con la vita e con l’orizzonte sociale di appartenenza: forse proprio perché non se ne percepisce uno. Ecco allora la ricerca d’ascolto, la ricerca di contatto umano. Qualcuno potrebbe dire che stiamo riducendo un fenomeno – di solito interpretato come l’esigenza di controllo sul proprio corpo – a qualcosa d’altro. E pur tuttavia l’asetticità cui la nostra società troppo spesso ci costringe non può essere ignorata, dinnanzi a un fenomeno che di sociale ha parecchio. Ricordo che durante una conferenza di psichiatria tenutasi qualche anno fa in Granguardia rimasi stupito dall’incipit di uno dei relatori: “Siamo forse noi custodi dei nostri fratelli?” La domanda della Genesi suona ancora attuale, forse perché al nostro progresso tecnologico non è corrisposta un’analoga crescita umana. A voi l’incombenza di questo interrogativo, a ciascuno di noi l’impegno di essere non solo spettatore, ma anche attore responsabile della realtà che ci circonda. Carlo Tregnaghi animatore
2014 marzo, aprile - 41
alimentazione
Educatore a pranzo: chi vede il cibo dall’esterno di una piadina La consapevolezza del ruolo di adulto che educa, che mette in risalto il lato nascosto delle azioni quotidiane, permette di offrire un pensiero sui riti, dare un senso di appartenenza, di condivisione del cibo e del tempo Da sempre, o più precisamente da quando ho scelto di fare questo lavoro, la mia modalità di avvicinarmi agli altri è stata quella di guardare le due facce di una medaglia, una che educa e una che diseduca, o mal-educa. Spesso, negli ultimi tempi, mi sono trovato a vivere momenti di ristoro, durante l’orario dei pasti, insieme a ragazzi e ragazze adolescenti e mi sono ritrovato a pensare a questi momenti come a occasioni di educazione a più livelli. Lavoro da quasi vent’anni con ragazzi a partire dai 14 anni. Attualmente svolgo la mia attività presso due centri educativi che si differenziano per organizzazione e per orario di apertura. Uno è un Centro pomeridiano diurno (C.D.), aperto 5 pomeriggi alla settimana, che offre 3 pranzi a 10 ragazzi/e; l’altro è un Centro serale per Ragazzi (C.R.), aperto tre sere alla settimana, che offre conforto, ascolto e un po’ di ristoro a più di 25 ragazzi tra i 15 e i 25 anni. La mia idea e il mio atteggiamento critico si sono soffermati sul pensiero che le azioni sono spesso, molto spesso, il nostro modo di relazionarci e modificare il mondo. Il mondo dei significati e delle spiegazioni che ci diamo da spettatori. Sia esso un mondo globale o locale, quello della nostra vita stretta, personale, che coinvolge i nostri amici, la famiglia, sia quello dei social network in cui incontriamo di-
42 - marzo, aprile 2014
verse persone rispetto alle quali possiamo ricoprire un ruolo. Mi sono ritrovato quindi a riflettere: “quali sono le azioni che permetto di compiere a me stesso? E quali sono le azioni che non mi sono nemmeno permesso di poter pensare? Quali sono le possibilità che posso dare a ragazzi di 15, 16 anni e oltre, che magari solo per ora, solo per un paio d’anni, incontro nel momento dell’adolescenza, che li rende confusi e spesso influenzabili?”. Rispetto a queste riflessioni, che guidano la mia attenzione nell’osservare il modo di agire dei ragazzi, ritengo che il corpo sia il primo spazio di espressione. Vedo i loro agiti, come l’alzare la voce per attirare nuova attenzione, la mia, per dirmi “sono qui e sono diverso da te, adulto, e simile ai miei compagni e coetanei”. In tutte queste interazioni una delle situazioni che in questo periodo mi ha maggiormente incuriosito è stato il mangiare insieme. Spesso penso a come mangiano: c’è chi arriva al C.D. ponendosi in maniera critica sul modo di cucinare, sugli alimenti proposti, sulla mancanza di bibite o di alcolici, lamentandosi sempre per il gusto o la cottura o per il fatto che spesso manca il buon sapore di un ricordo che loro hanno di un piatto della nonna. Alcuni chiedono cura, non cibo, chiedono di essere ascoltati anche se
le loro idee sono confuse, anche se il ricordo è legato al solo fatto di trovare un piatto pronto, perché il sapore non lo sanno ricordare né spiegare. Criticano i piatti e non li mangiano fino in fondo, ma dopo un po’ di tempo che frequentano il centro, smettono di aspettarsi il cibo, e cercano la compagnia. Il cibo diventa argomento di approfondimento delle proprie preferenze e delle proprie gioie, conquiste e delusioni. Altri vogliono solo merendine semplici e veloci, ma ricche di energia perché non sono abituati a mangiare in modo regolare a casa e devono consumare molti zuccheri essendo superattivi e sempre in giro durante il giorno. Non si fermano che alla sera, quando arrivano al Centro Ragazzi dove trovano un po’ di calma, il tempo per aggiustare un po’ le cose della giornata e il momento del ristoro. In entrambe le situazioni l’educatore è l’adulto attento, attento ai tempi lunghi di un pasto importante come il pranzo o alla quantità di cibo che i ragazzi assumono in un orario vicinissimo alla cena. La consapevolezza del ruolo di adulto che educa, che mette in risalto il lato nascosto delle azioni quotidiane, permette di offrire un pensiero sui riti, dare un senso di appartenenza, di condivisione del cibo e del tempo. Il pranzo presso il C.D. è divenuto anche un momento di attenzione al luogo dove si svolge, alla possibilità di accogliere i ragazzi con una tavola già pronta, preparata con tutte le posate utili e con tutte le spezie che esaltano piccole sfide di resistenza al piccante, al salato e allo speziato, attenzione ad escamotage salutari come le verdure già tagliate e pronte, come nella fiaba di Pinocchio. Attenzioni che sono sempre espressione della personalità dell’educatore. Per alcuni dei ragazzi l’attenzione per il pranzo, fatta di attesa e di ascolto, è un segno di riconoscimento,
un essere considerati persone che possono esprimere la loro preferenza in un gruppo allargato, come il gruppo di un Centro Diurno, facendo accrescere la loro stima e facilitando una connessione tra pensieri, parole e azioni che si riflettono su di loro. La sera invece il ristoro è veloce, legato alla necessità urgente di energia. Quindi l’attenzione è rivolta al gruppo, al fatto che non vi siano sopraffazioni o appropriazioni indebite, alla collaborazione in prima persona dei ragazzi per preparare le bibite, servire le patatine o disporre i biscotti su un vassoio, un piccolo buffet che diventa occasione conviviale di scambio di parole e di emozioni. Talvolta l’educatore porta del cibo più curato e cerca di sottolineare che mangiare seduti ad un tavolo agevola gli scambi di opinioni e permette a tutti i commensali di osservare il cibo, non nascondendolo dentro a una super piadina o ad un panino enorme. Il cibo selezionato, mostrato ed esposto agli occhi degli altri, diventa un modo per esporsi, per rappresentare il proprio sé, accettando il confronto e iniziando uno scambio curioso che permette di mettersi in gioco raccontandosi. Nasce un pensiero che non è solo “ho fame, quindi mangio”, ma “ho fame, cosa mangio, cosa avrei voglia di mangiare” e che consente di riflettere su come quello che mangio mi modifica. Quando si riesce a far fare questo passaggio a degli adolescenti, ad aiutarli a fissare nel pensiero un’azione che si presenta come quotidiana, quasi banale, come il “mangiare”, poi diventa più semplice approfondire e chiedere cosa cercano nel cibo, come si rapportano con esso modificando il pensiero per iniziare a “nutrirsi”. Se il dialogo è un’occasione sentita anche da loro per dare più voce ai loro punti di vista, si può provare a risignificare il senso del cibo come energia, come mezzo per dare una direzione e creare una possibilità, in modo che ognuno possa realizzare una nuova consapevolezza di sé. Da una conoscenza dei propri gusti, delle proprie scelte, dalle azioni semplici che hanno luogo in momenti troppo spesso lasciati liberi e scontati, dovrebbe radicarsi il cambiamento, come primo passo per un esercizio di protagonismo ricco di costruzione di identità.
Cristiano Zanetti educatore
2014 marzo, aprile - 43