Adolescenza InForma_3

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N. 3 - ANNO 1 - LUGLIO/AGOSTO 2014

www. ad o le sce n zainf orm a .i t

Adolescenza InForma

S P E CI A LE ONL I NE DI VER ONA I NF OR M A D ED I C ATO AI GIOVAN I, ALLE FAMIGLIE E A C H I SI O C CU PA D I A D O LS C EN ZA

ARTETERAPIA Così vicino, così lontano DISTURBI ALIMENTARI

Corso formazione FIDA

A partire dal corpo


ADO INF - ALIMENTAZIONE

Perchè le donne faticano di più a dimagrire rispetto agli uomini? Dopo un fine settimana di esagerazione alimentare agli uomini basta poco per tornare in forma mentre le donne devono faticare il doppio per liberarsi dei chili presi. Con questo articolo cerchiamo di capire perchè...

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o scopo dell’articolo è aiutare le lettrici a sviluppare una visione realistica del proprio corpo, attraverso una presa di visione, che tenga in considerazione i molteplici aspetti che intervengono e influenzano le variazioni del peso corporeo: gli aspetti psicologici, una alimentazione consona al metabolismo, una attività fisica e rilassante, inoltre, alcuni consigli finalizzati ad aiutarci a perdere peso, senza privazioni e rinunce. Quando si tratta di mettersi a dieta per dimagrire, la natura non conosce giustizia: dopo un fine settimana di esagerazione alimentare con gli amici, agli uomini basta mettersi in riga per poco tempo per smaltire il paio di chilo di troppo accumulati:

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una nuotata in piscina, una corsetta, niente alcolici dal lunedì al venerdì ed ecco che l’ago della bilancia ricomincia a scendere. Le donne, invece, devono faticare il doppio per liberarsi dei chili presi. Tuttavia, ciò che di primo acchito può sembrare una grande ingiustizia è progettato nel dettaglio da madre Natura e da milioni di anni. Come ben sapete, il nostro organismo nella sua evoluzione si è dovuto adattare a varie situazioni. Quando i nostri antenati abitavano ancora nelle caverne, l’uomo era solo un cacciatore e viveva nella precarietà. La possibilità di accumulare grasso poteva essere determinante per la sopravvivenza, li aiutava a superare inverni gelidi e periodi di carestie. Chi resisteva poteva riprodursi e trasmettere i propri geni. Questa “legge della natura” ha conservato a lungo la propria validità, oggi però le cose sono cambiate. Tuttavia, al contrario del cervello, il metabolismo dell’uomo non sa che “ragioniamo in circa 70 anni di pace”, che possiamo aprire un frigorifero e mangiare quello che vogliamo. Il metabolismo dell’uomo è rimasto essenzialmente lo stesso dall’età della pietra. La facilità con cui ingrassiamo, le zone in cui si accumulano i chili indesiderati e la ragio-


ne di tutto questo, dipendono in modo decisivo dal genere sessuale. Ognuno di noi, nel proprio corpo, possiede una mappa di distribuzione del grasso (contenuto nel tessuto adiposo e nel fegato), in generale negli uomini il grasso si accumula nella parte alta (pancia e torace). La muscolatura maschile, però, riesce a bruciare i depositi adiposi piuttosto rapidamente non appena l’uomo pratica un qualunque tipo di attività fisica. L’attività muscolare determina il rapido scioglimento dei “rotolini“ adiposi addominali. La maggior parte delle donne, invece, accumula il grasso in eccesso, perlomeno in età giovanile, a livello dei glutei e delle cosce, da dove (purtroppo) è più difficile farlo scomparire. Anche questo è sapientemente progettato da madre Natura: noi siamo dei “funzionari di specie”, cioè il nostro compito è crescere, riprodurci e morire (per la specie ha senso che noi moriamo per lasciare posto agli altri). Ma per quanto riguarda il compito riproduttivo, vi è una grande diversità tra l’uomo e la donna: per l’uomo potremmo dire che “basta un po’ di piacere”, mentre per la donna il compito è assai più complesso e cioè deve mettere a disposizione il proprio corpo per far crescere il feto. La donna, quindi, può aver bisogno di riserve per allattare un neonato o per mantenere la temperatura corporea durante un inverno freddo. L’organismo femminile è programmato sulla massima parsimonia soprattutto rispetto alle riserve di grasso. L’informazione genetica per questa funzione rimane impressa per tutta la vita nel controllo ormonale delle cellule adipose di ogni donna, indipendentemente dal fatto che la gravidanza si presenti o meno. Il grasso di deposito tende a resistere ostinatamente al digiuno o allo sport anche a prescindere dalla gravidanza e dall’allattamento. Una piccola consolazione, il grasso in questi punti del corpo non è nocivo e con esercizi di potenziamento mirati e un paio di “trucchetti“ alimentari (che vedremo più avanti) può essere tenuto perlomeno sotto controllo. Ma allora chi o che cosa nell’organismo umano impartisce i segnali per l’accumulo e l’eliminazione del grasso? Non si tratta della ragione,

né della coscienza o del libero arbitrio. Gli impulsi sono generati da sostanze quasi invisibili di durata limitata: gli ormoni. Non appena vengono rilasciati nell’organismo, gli ormoni si dirigono verso i rispettivi obiettivi (particolari cellule del corpo) ai quali impartiscono ordini precisi: metabolismo, sviluppo e non da ultimo l’umore. Il corpo umano produce circa 200 ormoni diversi, dall’insulina, nel pancreas, che regola la glicemia (il livello di glucosio nel sangue) e ingrassa le cellule adipose, all’ormone dello stress, il cortisolo, nelle ghiandole surrenali, che ci aiuta a trovare soluzioni adeguate anche sotto pressione, e tanti altri…. Se non esistessero gli ormoni tutte le funzioni organiche si arresterebbero. Gli ormoni, in collaborazione con il sistema nervoso, regolano ogni processo metabolico: lo sviluppo del feto nell’utero, la trasformazione di un adolescente in adulto, l’ingrassamento e perfino la sfera sentimentale. La funzione principale degli ormoni è quella di messaggeri. Giunti a destinazione, attraverso la circolazione sanguigna e agganciati a una cellula adeguata, gli ormoni impartiscono i propri ordini, o meglio impartiscono i propri messaggi. Sono, ad esempio, gli ormoni a muovere i fili anche quando una donna, generalmente di buon umore, viene colpita improvvisamene dalla depressione. Gli ormoni attraverso l’interazione con il cervello influenzano il comportamento, il pensiero e le sensazioni, quindi, il nostro modo di abitare il presente... (continua) Dott. Luigi Bergamo 2014 luglio, agosto- 51


ADO INF - SCUOLA

Gli studenti del Montanari: protagonisti attivi Le nuove tecnologie in adolescenza: paura o fiducia?

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ll’interno di una classe quinta del Liceo delle Scienze Umane Carlo Montanari di Verona, in corso d’anno abbiamo cercato di analizzare un po’ più a fondo uno dei fenomeni che precipuamente stanno coinvolgendo la collettività nel sua interezza, vale a dire l’Uso e/o l’abuso delle nuove tecnologie. Dopo aver visionato ed esserci, di conseguenza, documentati su alcune fonti quali “Le nuove macchine sociali – Giovani e scuola tra internet, cellulari e mode” a cura del sociologo Silvio Scanagatta e della psicologa Barbara Segato, edizioni FrancoAngeli, “Vivere con il telefonino: inchieste sociali multimediali su consumi e culture” a cura dell’esperto in co-

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municazioni Bruno Sanguanini, edizioni Qui-Edit, “I giovani in Veneto” report di approfondimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sui giovani di 11, 13 e 15 anni a cura di Daniela Baldassari, Stefano Campostrini, Massimo Mirandola, Massimo Santinello, Cierre edizioni, abbiamo voluto osservare dall’interno di un focus privilegiato quale quello di un istituto secondario cittadino, utilizzando un questionario strutturato a mo’ di intervista, se i risultati, le tabelle statistiche e le proiezioni per il futuro asseverate dalle fonti di cui sopra corrispondessero o meno e se si discostassero poco o tanto dalla realtà quotidiana relativamente alle conclusioni emerse dalle letture. Ebbene, tralasciando i vari ostacoli incontrati ed anche quelle piccole delusioni con le quali gli studenti e le studentesse hanno dovuto, loro malgrado, scontrarsi, possiamo affermare che quasi tutti i parametri presi in esame, con relativa dotazione di dati allegata, seppur ancora incompleti, tendono a rientrare nella “gaussiana” ipotizzata. Ecco, di seguito, alcuni “flash riflessivi” prodotti ed estratti dalle relazioni dei lavori di gruppo conclusivi, come una sorta di fotografia della situazione in tempo reale: riflessioni, significative ed intriganti, con le quali sarebbe opportuno, in un prossimo futuro, confrontarsi in vista di un ulteriore step progettuale: “Escludendo social network fondamentalmente inutili se non per spiare e/o farsi spiare in maniera da sfiorare quasi la patologia, la rete è il mezzo diffusore per eccellenza” “Il rischio oggi dilagante nell’utilizzo di tutti questi


dispositivi è il conformismo, in quanto noi adolescenti acquisiamo tratti della personalità comuni perdendo di vista quell’originalità che, invece, dovrebbe caratterizzarci in un’età per certi versi memorabile della vita” “Il vero problema sono gli adulti … sono loro restii ad accettare le nuove tecnologie restando impantanati nelle sabbie mobili della loro ormai trascorsa gioventù non rendendosi conto di perdere così un contatto con i propri figli nel momento più problematico della loro esistenza” “I ragazzi hanno paura a guardarsi veramente in faccia, che è come dire guardarsi dentro, perché con questi strumenti è diventato facile e comodo nascondersi” “Per mezzo delle nuove tecnologie si ha la possibilità di essere ciò che si vuol essere, di mostrare i lati o presunti tali migliori di sé senza correre il rischio di incappare in brutte figure o in cocenti delusioni” “Noi giovani siamo i veri attori della cosiddetta rivoluzione informatica e, quindi, i protagonisti delle nostre speranze e dei nostri sogni” “Gli adulti spesso e volentieri si lamentano con i giovani adolescenti per l’uso eccessivo delle tecnologie non rendendosi conto che è stata proprio la loro generazione a condurci a ciò” “Quello che sta purtroppo accadendo è un vero e proprio mutamento culturale dove la bellezza e il mistero legati alle relazioni si stanno trasformando in semplici click o in convulsivi movimenti del pollice, con buona pace dei chirurghi della mano!” “Se la tecnologia dovesse progredire esponenzialmente, come sembra, dove andremo a cogliere e a raccogliere tutti gli aspetti tipici dell’umanità che hanno contraddistinto l’evoluzione umana?” “In un mondo dove l’individualità viene sempre più osannata ed esaltata, dove la società tende ad ignorare se non ad emarginare le relazioni fisiche, sentirsi unici ed irripetibili è di fondamentale importanza” “Le nuove tecnologie hanno avviato e sviluppato un processo tale da poter ormai definirsi come una sorta di catalessi della mente o un impigrimento comunicativo” “Fondamentale e quasi di vitale importanza è saper utilizzare la tecnologia in modo critico e responsabile” “La doppia faccia della tecnologia: pericolo di perdi-

ta di veri contatti umani o preziosa ed infinita fonte di conoscenza?” “Le nuove tecnologie come le piattaforme sociali o i dispositivi multimediali creano una forte attrazione negli adolescenti che non padroneggiando ancora convincenti forme di autocontrollo e di autoregolazione comportamentale finiscono per creare futuri soggetti a rischio di molteplici tipologie di dipendenza” “Sono venuto a conoscenza di più adolescenti con problematiche legate al sonno per il continuo svegliarsi a controllare se c’erano messaggi in segreteria del cellulare posto sul comodino …” “Però è una gran bella soddisfazione sentirsi sempre e comunque parte di una rete di persone quasi del tutto sconosciute che può, se vuole, interagire con te!” Dopo questa carrellata di opinioni spontanee sul tema, da educatore, ma anche su suggerimento di un collega, ho individuato e proposto come lettura “estiva” ad altre classi inferiori l’agile volumetto “Non è un mondo per vecchi- Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere” dell’epistemologo francese Michel Serres con l’intenzione di “ri-cominciare” il viaggio, mai interrotto, attorno al mondo delle nuove tecnologie. Tale “manifesto del cambiamento che ci riguarda tutti”, come recita la fascetta del testo edito da Bollati Boringhieri, mi auguro serva da sorta di ice-breaker per le scolaresche dei prossimi anni scolastici al fine di scandagliare più in profondità questo vero e proprio “mare magnum” della gnoseologia contemporanea … ma questa è già un’altra storia!

Prof. Paolo Guarise 2014 luglio, agosto- 53


ADO INF - ARTETERAPIA

Così vicino, così lontano: arteterapia con gli adolescenti Per un arteterapeuta insegnare al paziente l’uso di materiali e tecniche che gli sono sconosciute, diviene possibilità di comunicare ciò che sta dentro con un mezzo insolito

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rendo a prestito “così vicino - così lontano” dal titolo di un film di Wim Wenders per affrontare un tema molto importante per l’adolescente: la distanza tra sé e l’oggetto. E qui, in particolare, nell’osservazione dell’uso dei materiali, degli stili e della capacità di simbolizzazione che

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vengono espressi all’interno di un gruppo di arteterapia. Jeammet (2002) descrive il funzionamento psichico fisiologico specifico dell’adolescenza come caratterizzato dalla difficoltà nel trovare la giusta distanza nelle relazioni oggettuali: “Per essere sé, bisogna nutrirsi degli altri e al tempo stesso, differenziarsi dagli altri”. Nell’adolescenza, infatti, il superamento della dipendenza dagli oggetti esterni costituisce una delle parti più complicate e dolorose del lavoro di elaborazione psichica. Quanto più le basi narcisistiche sono fragili tanto più sarà grande la fame di oggetti: “se l’altro è importante è una minaccia al mio equilibrio narcisistico e mette a rischio la mia identità”. Il compito del conduttore del gruppo è quello di gestire la distanza e rendere tollerabile all’adolescente ciò di cui ha bisogno con un lavoro sui confini e sulla differenziazione dentro/fuori. E’ peculiarità delle arti quella di costruire ponti che uniscono realtà interiore ed esteriore e l’immagine rappresenta questo ponte, incarnando pensieri ed emozioni. In arteterapia, spesso ci si trova a confronto con una riluttanza a produrre un’immagine, poiché la richiesta di mettere stati d’animo sul foglio può essere percepita come troppo rischiosa. Abbiamo d’altra parte i grandi vantaggi di un’espressione non-verbale: la metafora parla alla psiche e nel suo linguaggio stimola risonanze interne, evoca stati emotivi, suggerisce luoghi da esplorare; crea movimento, suggerisce un’ulteriore esperienza, che la descrive e


la svolge, in cui la distanza ed il legame tra vissuto e rappresentazione permettono la visione, l’apprendimento e la conoscenza. Cito Maria Belfiore, che era docente al corso di A.T.I. (Art Therapy Italiana) per suggerire un comportamento da tenere rispetto all’immagine: “L’immagine è un universo sconosciuto da esplorare con la curiosità dello straniero, la discrezione dell’ospite”. Nel pensare al tema dello spazio emergono delle domande: lontano/vicino a che cosa? Al proprio corpo, in primo luogo, alle emozioni, all’affettività, all’immagine prodotta da parte dell’autore, al gruppo dei pari, all’adulto. Per analizzare il tema del “vicino-lontano” dal punto di vista dell’arteterapia è necessario considerare: - con quali mezzi si rappresenta? cioè l’uso dei materiali, che indica la qualità sensoria e la vicinanza al corpo - come si rappresenta? ovvero l’aspetto formale del prodotto artistico, stile ed organizzazione spaziale - che cosa si rappresenta? ovvero la qualità simbolica. Come si mette in relazione l’adolescente con la propria opera.

I materiali: con quali mezzi si rappresenta? Il laboratorio di arteterapia, secondo l’impostazione di Art Therapy Italiana, mette a disposizione nel setting tutti i materiali convenzionali (matite, gessi, acquarelli, tempere, colori a dita, materiali plastici come das, pongo, creta) e materiali non convenzionali (cartoni, spaghi, compensato, legni, lana, stoffe, ecc…). Ciascun materiale si adatta all’esigenza espressiva del momento: c’è un modo in cui ciascuna persona ha di avvicinarsi al mezzo artistico, di sceglierlo o di impossessarsene o in cui, viceversa, di farsi consigliare, ispirare e condurre dal terapeuta nella scelta del mezzo più opportuno. L’arteterapeuta facilita il riconoscimento di quel mezzo che permetterà all’adolescente di parlare simbolicamente della sua esperienza. Cosa esprime ciascun materiale e qual è il suo linguaggio? Se i materiali controllabili garantiscono sicurezza e dominio sul lavoro ed hanno la funzione di contenere l’ansia, è attraverso i materiali morbidi e la loro mescolanza che si può raggiungere una nuova negoziazione trasformativa. La pittura, in quanto materiale fluido, è più ansiogena ma offre più pos-

sibilità trasformative rispetto al pennarello. D’altra parte una tecnica morbida può ad esempio “spogliare troppo”. La scelta del materiale ci parla della capacità di godere o non delle sensazioni tattili: ho visto nella mia esperienza con gli adolescenti che la capacità ed il piacere di sporcarsi le mani o toccare la creta sono processi che avvengono nel tempo e con l’abbassamento dei livelli di ansia. Plasmare la creta stimola il corpo e rilassa i movimenti; è uno strumento potente: può anche agire in modo contrario. L’utilizzo dei colori a dita, ad esempio, mette in contatto con aspetti pulsionali, facilitando quindi anche l’espressione dell’aggressività. In ogni caso, attraverso l’uso dei materiali, e la possibilità di essere caotici e confusi, si apre anche l’occasione per creare un nuovo e diverso ordine; processo grazie al quale avviene una regressione che permette una integrazione ad un nuovo livello di funzionamento. La paura è quella dell’indifferenziato e comporta la capacità di poter sopportare abbastanza a lungo l’incertezza di ciò che verrà alla luce; comporta anche il timore di regredire ad uno stato indifferenziato, paura di abbandonarsi completamente all’emozione. “Per un arteterapeuta insegnare al paziente l’uso di materiali e tecniche che gli sono sconosciute, diviene possibilità di comunicare ciò che sta dentro con un mezzo insolito, a volte sconosciuto, che appartiene si al mondo esterno, ma è anche mezzo malleabile, che si situa tra il sé e l’oggetto di potenziale creazione (Milner, 1950) Spesso, se all’inizio i ragazzi preferiscono tenersi lontani da materiali e stili che possono metterli troppo in relazione con il corpo, le emozioni e l’affettività, pian piano lo svelamento, a se stessi e nell’immagine, avviene in un processo graduale, per alcuni molto lento, all’interno di un piccolo spazio. E’ solo nel tempo, almeno tre-quattro incontri, attraverso la relazione con il conduttore e con il gruppo, che i ragazzi possono acquistare fiducia e utilizzare lo spazio del laboratorio per esprimere, più che per controllare i contenuti emotivi. Inizialmente si presenta un autocontenimento nell’espressione: strutture rigide, molto pensate, e rigoroso controllo nella costruzione dell’immagine, cautela nell’uso di materiali morbidi. Poche le presentazioni con l’utilizzo della tempera, pochissime con l’uso di materiale plastico. 2014 luglio, agosto- 55


Le prime immagini dei ragazzi, dal primo incontro sulla consegna “un’immagine che ti presenti” o “un’immagine che ti piace” avvengono nello stile lineare in forma tradizionale dove le forme sono più purificate dal coinvolgimento emotivo, se non in alcuni casi, in lavori “ossessivi” con l’uso del righello. L’introduzione di materiali e tecniche più prossime alle emozioni e al corpo (tempera, colori a dita, action painting, scarabocchio…) o comunque “più libere” avviene nel tempo, spesso su mio invito. Ho proposto l’uso dell’action painting, del dripping (*) dello scarabocchio nelle situazioni di blocco, di eccessivo controllo dell’espressione - nei casi in cui ritenevo che il ragazzo/a potesse “tollerare” un materiale o una tecnica più vicina al corpo. Particolarmente apprezzata poi nel tempo la tecnica dell’action painting che - attraverso l’agire - permette l’emersione di elementi “non pensati” e allo stesso tempo, con l’invito poi ad osservare e mettersi in comunicazione con l’immagine creata, stimola la riflessione ed il pensiero. C’è da considerare però che il materiale artistico può essere usato in modi diversi. Ho osservato un diffuso utilizzo “grafico” (controllato) della tempera; o ancora: tempera per

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la costruzione di forme geometriche - per controllare i contenuti - o per scritte di auto definizione. Abbastanza utilizzato l’uso del collage, di immagini-manifesto identificatorie, la copia di immagini. Alcuni tentativi di rappresentazione di visi. Le dimensioni dei fogli scelti sono generalmente di piccola-media grandezza. Pochi i lavori tridimensionali. Nei prossimi numeri riprenderemo il nostro discorso su come si rappresenta l’adolescente.

Giuliana Magalini ARTETERAPEUTA, PITTRICE,

VERONA

www.giulianamagalini.it (*) Commenta Roberto Pasini in “Forme del ‘900: occhio, corpo, libertà” sul tema Corpo e Pittura, Edizioni Pendragon, Bologna, 2005, pag. 85: “… Con Pollock in particolare, e con l’Informale in generale, la corporeità non si sublima più nell’opera, ma ne è il movente: dipingere non è più rappresentare, ma agire…”


ADO INF - BREVI

Sinergia ONLUS racconta la storia di Maria

Ti raccontiamo una breve storia, realmente accaduta in questi anni a Lima. Abbiamo conosciuto Maria in strada, dove lavorava vendendo caramelle sugli autobus. Siamo diventati amici e ha condiviso con noi la sua storia, che poi si è intrecciata indissolubilmente al nostro progetto. La sua famiglia era molto povera e numerosa, tanto che il cibo non era sempre assicurato e tra fratelli dovevano condividere lo stesso materasso. Suo padre, quando era depresso perché non trovava lavoro, abusava degli alcolici per dimenticare e qualche volta picchiava lei, le sorelle o la mamma. Per aiutare la sua famiglia, Maria ha cominciato a vendere caramelle sugli autobus e in strada, così alla fine della giornata portava a casa qualche soldo. All’inizio lavorava solo dopo la scuola, ma poi ha visto che riusciva ad aiutare la sua famiglia con quello che guadagnava e allora ha deciso di non andare più a scuola e vendere solo caramelle in strada. In strada si è fatta tanti amici, con cui si trovava bene perché anche loro avevano gli stessi suoi problemi, così quando il papà beveva ed era violento, preferiva dormire con loro per strada, sui marciapiedi o sotto i ponti, invece di tornare a casa. C’era freddo ed era scomodo dormire sui cartoni, ma almeno non c’era pericolo che il padre la picchiasse e le urlasse contro. Con il passare del tempo ha cominciato a dormire sempre più spesso in strada, finché non è più tornata a casa: stava sempre con gli altri ragazzi che come lei lavoravano e dormivano in strada, si sentiva bene perché era libera di fare quello che voleva, all’ora che voleva, poteva guadagnare qualche soldo e spenderlo come voleva…insomma non c’erano adulti che la trattassero male e le dicessero cosa fare. Purtroppo però con il passare del tempo ha scoperto che la gente non li guardava tanto bene, perché erano sporchi e vagabondi; spesso di notte la polizia li veniva a cercare per picchiarli e mandarli via dai luoghi in cui dormivano; inoltre i ragazzi più grandi usavano anche qualche droga e così an-

che lei ha cominciato ad usarla quando stava male o era triste. Un giorno, sotto l’effetto della droga, non ha guardato prima di attraversare una strada trafficatissima, è stata investita da una macchina e si è rotta una gamba. Poteva andarle peggio! Un suo amico qualche tempo prima per lo stesso motivo era rimasto paralizzato. Martin, il nostro educatore di strada che cerca di aiutare ragazzi come Maria, l’ha portata in ospedale e l’ha aiutata tutto il tempo che è stata ricoverata. Sono diventati amici e Martin le ha raccontato che avevamo una casa dove avrebbe potuto venire a vivere, con la possibilità di studiare, imparare un lavoro e soprattutto di stare lontana dai pericoli della strada. Lei ha voluto conoscere la nostra casa e Martin l’ha accompagnata. Maria ha poi deciso di venire a vivere con noi, nella nostra casa, dove si è sentita accolta come in una famiglia. Non è stato facile per lei dimenticare gli amici che aveva in strada, la droga che a volte l’aiutava a sentirsi falsamente più forte, la libertà di cui godeva quando non c’erano regole e adulti, ma poco a poco con il nostro aiuto ci è riuscita. Oggi Maria ha 20 anni, ha vissuto nella nostra casa per 5, ha potuto finire le scuole elementari e anche le medie; ha poi trovato lavoro in una fabbrica nelle vicinanze. Ha preso in affitto una stanza, dove vive da qualche mese con la sorella maggiore, che a sua volta aveva vissuto nella nostra casa per un periodo più breve. Con il nostro aiuto ha ripreso i contatti con la sua mamma e i fratelli più piccoli che vede regolarmente. Oggi Maria è una ragazza più serena, più preparata per affrontare una vita da sola, lontana dalla strada e dalla droga. Noi le staremo sempre vicino, perché ogni ragazzo che come lei viene a vivere nella nostra casa è come un figlio a cui vogliamo bene e che cerchiamo di aiutare in tutti i modi possibili. Sinergia ONLUS

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ADO INF - LINGUAGGIO CORPO

A partire dal corpo Il disagio che via-via si fa malattia, prende forma, i sintomi si definiscono, coprono tutta la persona, la persona si confonde con il sintomo

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espressione del disagio Propongo di collocare la riflessione in una visione evolutiva e globale dell’individuo, al fine di favorire il superamento di un approccio orientato esclusivamente all’emergenza (fatti di cronaca, coinvolgimento personale, delinquenza) o al sintomo. Troppo spesso, infatti, ci troviamo a confrontarci con un’attenzione esclusivamente sintomatologica: ciò facilita l’innescarsi di una dinamica perversa per cui la cura centrata sul sintomo viene

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ad essere assimilata, dall’adolescente, come il modo - talvolta l’unico - per sentirsi curato e amato: con il conseguente inevitabile rinforzo ed organizzazione del sintomo. La mia esperienza professionale mi ha fatto incontrare con molti adolescenti e, nella fase attuale, mi porta a lavorare con ragazze e ragazzi che vivono un disagio profondo che viene urlato o che sparisce nel buio di una stanza. La vita stessa viene urlata o viene spenta. Il disagio


che via-via si fa malattia, prende forma, i sintomi si definiscono, coprono tutta la persona, la persona si confonde con il sintomo. Famiglia, scuola, lavoro, coetanei, la strada, la piazza sono i contesti dove si manifesta il disagio. Spazi della rappresentazione dello star male, oltre che dell’incontro, della trasgressione, della protesta, del confronto, della scoperta. Noi portiamo l’attenzione sulla vita intera, sul Sé. E assumiamo l’adolescenza non come la fase dei problemi, ma, seguendo l’assunto teorico di J. L. Moreno, anche come processo di liberazione, sulla via dell’assunzione di ruoli connessi con l’autonomia psicologica. Ognuno è costantemente in cambiamento, ma l’adolescente è in subbuglio. Sta organizzando gli elementi che lo faranno diventare un uomo e una donna, un adulto. Organizzare progressivamente le diverse componenti, interne ed esterne della personalità significa dare forma a quello che con Jung chiamiamo processo di individuazione. Un processo dinamico per sua natura basato sull’azione. L’azione viene riconosciuta come spazio dove avviene la riorganizzazione e, così pure, come recupero della modalità primaria di conoscenza e di crescita che caratterizza l’essere umano. Essa, al tempo stesso, non va confusa con il sintomo, con l’acting out o con un’agire poco adattivo e sintomatico. Un’azione pregnante di significato che, come è stata alla base della vita e della crescita di ognuno, va valorizzata in ogni forma, anche quando è “azione malata”. L’approccio teorico e metodologico cui faccio riferimento prevede che l’azione possa anche costituire strategia terapeutica. Nell’affrontare le situazioni di disagio, riscontriamo come venga frenata la spinta vitale, si tenda al ritiro, oppure si drammatizzi l’esistere, si urli, attraverso azioni esasperate e disperate, apparentemente prive di senso, certamente allarmanti, spesso angoscianti. L’adolescente di cui ci occupiamo è come se fosse impegnato in un gioco tra esserci e non esserci; egli vive un disagio esistenziale e lo manifesta attraverso varie modalità, alcune delle quali coinvolgono in maniera travolgente il corpo.

L’adolescente e il suo corpo Quelli che ci vengono affidati per i sintomi e il disagio che esprimono vanno riconosciuti come ado-

lescenti “veri”, caratterizzati dalle specificità proprie del periodo che vivono: in primis, la vita di gruppo e la centralità del corpo in cambiamento. L’adolescente non può più contare su un adeguato equilibrio corporeo, vive in pieno la precarietà derivata dalle modificazioni che egli subisce. Il suo corpo manifesta contrasti e contraddizioni: può essere esibito anche in modo provocatorio, oppure mortificato o, per lo meno, poco valorizzato. Possono essere molte e significative le variazioni riscontrabili anche nel periodo di durata del trattamento: ne notiamo moltissime ma esse non sembrano trovare spazio nelle annotazioni delle cartelle cliniche! Affrontare le tematiche inerenti alla corporeità dell’adolescente ci impone un’attenzione del tutto particolare: egli infatti si trova a dover rinunciare alla sua identità e al suo corpo di bambino. Un corpo che assume un’importanza enorme. Da una parte, la maturazione sessuale lo colloca nel mondo degli adulti: si è avviato un processo di graduale 2014 luglio, agosto- 59


in¬tegrazione e si rende necessaria la costruzione di un nuovo equilibrio che riguardi i bisogni, i desideri, le pulsioni, l’intero sistema relazionale, le istanze psi¬chiche, gli oggetti interni e gli oggetti esterni. Il riequilibrarsi del rapporto fra questi ultimi contenuti del Sé, oggetti interni ed esterni, è tutto giocato sul rapporto tra il “dentro” e il “fuori” dell’adolescente. Il limite è costituito dalla pelle che può diventare il territorio erotizzato dell’incontro, oppure una pelle da “aprire” per tentare, disperatamente, di mettere in connessione ciò che è rappresentazione interna e ciò che altro da sé, ambiente e o persona che sia. Da un’altra parte, le trasformazioni subite dal corpo sono il segnale di come l’adolescente sia coinvolto in un processo di cambiamento irreversibile, che lo costringe a rinunciare a una visione onnipotente di sé e ad affrontare l’angoscia di morte che deriva da tale rinuncia e dalla crescente consapevolezza dei limiti propri del vivere umano. Il corpo dell’adolescente parla. Come avviene nelle prime fasi di vita, non è facile tenere distinti mente e corpo, soggetto e oggetto, investimento narcisistico e investimento oggettuale. Ogni attività, ogni manifestazione, ogni vissuto corporeo è così carico di significati da costituire un vero lessico; il corpo dell’adolescente ci parla del suo processo evolutivo, delle difficoltà, degli ostacoli, delle scoperte, dei legami tra le sue azioni e le difese intrapsi¬chiche. La conoscenza dell’altro e del mondo passa per la conoscenza (e la riappropriazione) del corpo. Di Benedetto (1997) ci ricorda: “I fenomeni corporei nell’ampio spettro che va dalla sensazione al sintomo e/o all’azione sono spesso assai più densi di significato di quel che non possa apparire, ed il terapeuta analitico è confrontato con la difficoltà di co¬gliere il versante simbolizzante anche di eventi corporei ed agiti prevalentemente evacuativi”. Come afferma Hillman (1975), ”in ogni atto concreto ci sono significati che vanno oltre la letteralità dell’azione; non è l’astrazione che determina il significato. L’assenza di simboli e di metafore non dipende dall’uso del corpo, ma dal non tenere conto che la carne concreta è una splendida cittadella di metafore”. Per l’adolescente, il sentimento di avere una struttura e la percezione dei suoi limiti sono istanze non ben definite, oscillanti. È obbligato a dare un profilo

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a ciò che non ce l’ha, a trovare uno spazio a ciò che è sfuggente, per rendere possibile il processo che porta alla configurazione di una forma e di un ritmo, anzitutto corporei. L’agire è l’espressione di questo bisogno di definizione e di identità, e solo gradualmente, come dice Ladame (91), “potrà essere sostituito, attraverso una funzione di nominazione e di specchio fornita dall’ambiente, dalla riflessione e dalla messa a fuoco interna”. La conclusione dell’adolescenza vedrà come “prodotto finito” un soggetto che ha scoperto la possibilità di vedersi, raccontarsi, rappresentarsi. Di percepirsi collocato nella tridimensionalità spaziotemporale e di essere consapevole dei processi di cui è protagonista.

Quale corpo? Per cogliere in modo adeguato le possibilità di intervento, non possiamo evitare di tracciare una visione, per quanto sintetica, delle diverse istanze corporee che entrano in gioco nelle dinamiche di cui ci stiamo occupando. La corporeità definisce la qualità della relazione fin dal momento del primo incontro. Per il suo aspetto, i suoi significati e i messaggi che esprime arriva a coincidere con l’identità stessa della persona. Come ci suggerisce Kohut, “la relazione fra sé e gli altri costituisce l’essenza della vita psicologica della persona dalla nascita, durante tutto il corso della vita”. Poiché il corpo dei pazienti che incontriamo può essere assunto come compendio e metafora di quanto essi vivono, sarà fondamentale non prendersi cura del corpo solo quando esprime sintomi o necessità, né considerarlo solo come oggetto da interpretare, ossia, come esclusiva proiezione in superficie di aspetti profondi. Riconoscendo il fatto che non esiste un corpo stabile e definito una volta per sempre e che, in particolare, nella fase adolescenziale va inquadrato all’interno della dinamica dello sviluppo, mi pare importante conoscere i significati e le esperienze del corpo che mi limito a elencare, consapevole che ciascuno di essi poterebbe essere oggetto di una trattazione articolata: le sue modalità espressive; la comunicazione interpersonale; la molteplicità dei linguaggi; le terapie a mediazione corporea; le strategie pedagogiche e riabilitative; la cultura, gli stili e i modelli.


“Il mio corpo sono io di fronte al mondo” ci ricorda Merleau-Ponty, invitandoci a considerare il corpo nella sua globalità e nelle sue varie accezioni di corpo che illustrerò in modo succinto.

Il corpo organico. È il corpo oggetto, l’insieme di organi e di apparati che per¬mettono la vita fisiologica dell’individuo. Un’entità fisica inter¬prete di un divenire incessante che oltre a modificarne l’aspetto lo vede passare da una dimensione in cui è “agito” dall’azione di altri (neonato), a quella in cui il corpo assume ruoli di agente e di trasformatore. Intorno ad esso si sviluppa l’identità. Il corpo vissuto. È il corpo divenuto soggetto, espressione del Sé nella sua globalità, dei pensieri, dei desideri, delle intenzioni che una persona produce nella relazione con l’ambiente fisico ed umano di cui è parte. Immagine del corpo. Con tale termine possiamo definire sia l’immagine figurativa del corpo che la sua rappresentazione modificata dall’agire. Essa si realizza grazie all’incontro del corpo organico e del corpo vissuto: di tale incontro è luogo e risultato. L’immagine del corpo è la rappresentazione dinamica delle relazioni, dei legami, del riconoscimento del “mio corpo” in relazione con me stesso, con gli altri, con la realtà sia circostante che trascendente. Il corpo totalità. Possiamo parlare di totalità come caratteristica peculiare del corpo sia in senso fisico che psicologico. Il corpo funziona e si esprime come totalità: inizialmente diffusa e disseminata al punto che l’individuo si può confondere con l’altro. Ma, in un crescendo evolutivo, si passa per fasi successive dalla frantumazione vissuta alla scoperta della totalità e alla consapevolezza che le diverse parti rispondono a tale dimensione. Il Sé corporeo. Consideriamo l’uomo nella sua unità mente-corpo e riconosciamo l’indissolubile legame fra corpo, affettività e attività mentale, come nucleo centrale dello sviluppo e della strutturazione della personalità dell’individuo. Il corpo percepito come l’abitacolo delle proprie sensazioni ed emozioni, situato nello spazio, esperito e vissuto nell’azione, conosciuto e simbolizzato nella relazione con l’altro da sé. Interventi terapeutici e riabilitativi a mediazione corporea fanno sì che il corpo divenga il luogo dove far nascere o rina¬scere sensazioni arcaiche dimenticate o non conosciute, dove vivere

emozioni impresse nella memoria cinestesica, dove dar voce ai propri desideri e fantasie e scoprire tracce della propria storia personale, in una relazione attiva con l’altro. Ogni azione, ogni movimento si origina nel corpo, inizial¬mente come pulsione e successivamente come desiderio e come intenzione ed è attraverso il linguaggio corporeo (le posture, i gesti, il tono, lo sguardo, la mimica) che l’essere umano percepisce, vive e si rapporta con la realtà, sia in termini oggettivi che emotivi e relazionali. Winnicott definisce il Sé come l’esperienza o la autorappresentazione della propria persona: termini come “localizzazione del Sé nel proprio corpo” ed “integrazione del Sé” si riferiscono all’esperienza del soggetto, in rapporto alla propria vita vissuta ed alla propria interiorità. Il Sé è la persona intera con tutto il suo corpo, la sua strutturazione psichica e la rappresentazione di sé, cioè le rappresentazioni consce e inconsce del Sé corporeo e mentale nel sistema dell’Io (Hartman). Il sé corporeo può essere definito come la matrice psicosomatica da cui prende vita ed intenzione l’azione umana durante tutto il processo di crescita: dalla dipendenza all’autonomia. Il feto svolge un’intensa attività motoria manipolativa sulla parete dell’utero. Le azioni di contatto-distacco sono le prime esperienze che prefigurano l’acquisizione della funzione di contenimento corporeo. È l’esperienza prima dei confini del corpo: il Sé-pelle arcaico (Winnicott). Confini corporei che verranno consolidati dalla manipolazione materna sostenitrice e dal dialogo tonico arricchito da intense sensazioni emotive. Il Sé corporeo si origina, quindi, nel contatto fisico con la madre: l’esperienza della pelle consente questa prima conquista e, successivamente, permette la distinzione fra il “dentro” ed il “fuori” da sé. La pelle diviene lo spazio della relazione. Da queste riflessioni si può partire per approfondire il significato degli attacchi al corpo che l’adolescente mette in atto con frequenza e intensità di grande rilievo.

Giampaolo Mazzara PSICOTERAPEUTA. DIRETTORE DELLO STEP (STUDIO DI TERAPIA CREATIVA E PSICODRAMMA). VERONA. 2014 luglio, agosto- 61


ADO INF - BREVI

Corso di formazione sui disturbi del comportamento alimentare

L’associazione di Psicoterapia Il Corpo Specchio, sede veronese della Federazione Italiana Disturbi Alimentari, propone un Corso di formazione rivolto a medici, che si terrà nei mesi di ottobre e novembre, per diffondere un approccio ai disturbi del comportamento alimentare multidisciplinare e integrato. Obiettivo del corso è offrire ai partecipanti elementi che possano utilizzare concretamente nella loro pratica clinica. Il progetto formativo si concentrerà sugli aspetti esperienziali di un approccio necessariamente complesso, nella convinzione che l’unione delle competenze e delle culture consenta una presa in carico più ampia sia della persona che manifesta il disturbo che di coloro che le sono vicini. A tal fine verranno utilizzati i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) come esempi di situazioni cliniche nelle quali l’approccio medico non può prescindere da quello psicologico. Il necessario inquadramento teorico costituirà lo sfondo di un percorso eminentemente clinico. Gli specialisti coinvolti cercheranno di presentare una modalità di lavoro che, superando le diagnosi meramente descrittive (DSM V), consenta di collocare e comprendere la patologia nella storia della persona, della famiglia e del più ampio contesto transgenerazionale e culturale, favorendo l’individuazione precoce dei fattori di rischio. Ai partecipanti sarà fornita l’opportunità di sperimentare direttamente questa modalità di lavoro sia presentando casi per loro problematici che intervenendo rispetto al lavoro dei colleghi. In particolare, argomenti del Corso saranno: - la prevenzione dei disturbi alimentari nelle relazioni precoci, nell’infanzia e nell’adolescenza - l’importanza della diagnosi precoce per evitare la cronicizzazione del disturbo - il significato del sintomo e una sua lettura transgenerazionale - il rapporto con la famiglia Il Corso, rivolto a medici di base, pediatri, nutrizionisti, psichiatri, neuropsichiatri infantili, si

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svolgerà in tre giornate pensate anche come moduli autonomi: - 18 ottobre: ”I disturbi del comportamento alimentare nella pratica clinica” (inquadramento diagnostico, aspetti nutrizionali, i primi colloqui con il medico/psicoterapeuta, i primi colloqui con i genitori, approccio al paziente, progetto di cura) - 15 novembre: “I disturbi del comportamento alimentare nell’infanzia e la pratica clinica” (il disturbo della relazione primaria, il lavoro del pediatra, ascolto e relazione) - 29 novembre: “Il lavoro con i familiari e il lavoro in equipe nella pratica clinica dei DCA” (prospettiva transgenerazionale, il lavoro con le famiglie) In ciascun modulo è previsto un inquadramento teorico con esemplificazioni cliniche, un gruppo Balint per sperimentare in prima persona il rapporto medico-paziente e la discussione di materiale clinico. La partecipazione al Corso è gratuita, l’iscrizione obbligatoria. Il numero massimo di partecipanti è 25.

Per maggiori informazioni: FIDA Verona – Il Corpo Specchio Via Giardino Giusti, 4 – 37129 Verona tel. 045 8013574

verona@fidadisturbialimentari.it www.fidadisturbialimentari.it/corpospecchio


Via Giardino Giusti 4, Verona - tel.045 8013574 - verona@fidadisturbialimentari.it

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ADO INF - PET THERAPY

Cavalli ed emozioni Viaggio all’interno di un’attività di mediazione equestre

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ario, Luca, Francesco e molti altri, sono ragazzi che vanno a scuola, ascoltano musica, organizzano feste e litigano con i loro genitori, amano, praticano varie discipline sportive, sono adolescenti come tutti gli altri, ma accomunati da una passione intensa, il cavallo, per il quale si ritagliano uno spazio settimanale fra i molteplici impegni per, come lo definiscono loro, “ossigenarsi”. Corte Molon, dove svolgo l’attività è a due passi dal centro, e lo stile che caratterizza i nostri incontri non risponde a statuti formali o cosa peggiore competitivi, ma vede un modo di fare equitazione che

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parte da un ascoltarsi e ascoltare il cavallo, per rivedere il nostro modo di relazionarsi con il mondo. Il cavallo è un essere senziente, capace di smuovere quelle staticità che talvolta opacizzano il quotidiano, una noia motivazionale che deprime i vari impulsi sulla realtà concreta. L’emotività che nasce da un’esperienza mediata da questo animale permette di entrare nel mondo delle nostre emozioni e ci invita a conoscere meglio noi stessi, opera per incentivare una capacità costruttiva di rimetterci in discussione, migliorando i nostri rapporti interpersonali. L’emozione è un fenomeno interno che genera sentimenti dinamici esterni. Piaget sostiene che l’emotività costituisce probabilmente la fonte energetica da cui dipende il funzionamento dell’intelligenza, le emozioni quindi rivelano la loro capacità di interpretare e valutare la realtà. In troppi campi della vita sociale si considerano le persone per la loro capacità di emulare modelli collocando l’individuo in uno schema gerarchico; le persone diventano personaggi e si antepone la prestazione alla relazione, alterando l’immagine che abbiamo di noi stessi e lasciandoci un senso di disagio. L’esperienza con il cavallo, e non sul cavallo, prende le distanze da ogni criterio di valutazione, e si concentra nello sperimentare l’armonia con il proprio modo di essere, anche nell’accettazione dei propri limiti. Il riconoscimento e la cura del proprio contatto emotivo, amplificato dalla percettibilità sensoriale, diventa significante per l’elevato contenuto affettivo; le differenze individuali lasciano il posto alle risorse personali e ne scaturisce una adesione partecipata al proprio processo di crescita personale. Nell’immaginario collettivo il cavallo precede, a livello simbolico, un “saper essere” rispetto ad un “saper fare”, la


tecnica è in funzione per acquisire un nuovo modo di sintonizzarsi con la realtà circostante colmando il divario che in certe situazioni si crea fra le mutue aspettative. Il cavallo, preda per natura, ci aiuta ad acquisire un nuovo modo relazionale in quanto è necessario far tabula rasa del nostro paraverbale. Se il nostro agire è spento, per compiacimento personale verranno innescate aree che attivano energie inedite; se il nostro “stare” risulta essere troppo “irruento”, per antagonismo e forza muscolare il cavallo ha la meglio, inducendo anche in questo caso a rivedere il nostro comportamento. Il nostro fare sarà coniugato con il nostro essere, cercando di entrare in contatto con il suo linguaggio attraverso una grammatica dei comportamenti empatica e rispettosa dell’altro. Inoltre un ampio spazio di lavoro interattivo è mutuato dal rispecchiamento che riflette la nostra mascolinità o femminilità nell’andare a cavallo. Il modo in cui ci si rapporta con l’animale denota le nostre peculiarità, favorendo una consapevolezza nuova. E’ facilmente osservabile che la figura maschile, per citare un esempio, si avvicina all’equide con le mani aperte e il dorso rivolto verso l’alto, per analogia con i predatori, la figura femminile invece con il palmo aperto. La riflessione che nasce spontanea è nell’ambito di come ci confrontiamo con gli altri! Come sottolineato, la tecnica equestre è il punto di giuntura fra le emozioni che nascono e le sensazioni che entrano, come dimostrano le neuroscienze. La voce, il dialogo tonico e l’intenzionalità dei gesti, trovano applicazione ed espressione nelle tre fasi del: Teaching: - Conoscenza dell’ambiente (Scuderia, box, paddock) - Selle, bardatura, elementi di etologia Grooming: - Finimenti - Governo alla mano/lunghina Riding: - Gestione del cavallo in sella - Aiuti naturali (mani, gambe, voce, assetto) Il movimento del cavallo all’andatura del passo, riproduce fedelmente il cammino analitico in tutte le sue proiezioni spaziali con frequenze simili a quelle delle deambulazione umana. Se volessimo scomporre le forze che agiscono sul baricentro del ca-

vallo, e di riflesso sulla persona in sella, potremmo valutare: 1) Un movimento laterale sul piano frontale 2) Un movimento latero-posteriore sul piano sagittale 3) Un movimento con componenti rotazionali sul piano orizzontale Queste dinamiche favoriscono l’attivazione di alcuni canali di stimolazione: - Fisico: forza, coordinazione, capacità cinestetica, propriocezione nella ricerca dell’equilibrio - Cognitivo: sviluppo dello schema corporeo, ripetuti esercizi di lateralità, riproduzioni nello spazio e nel tempo, M.B.T. - Psichico: soddisfazione, disciplina, autocontrollo, autocoscienza In chiusura l’esperienza ci permette di affermare che la stimolazione, la crescita emozionale e l’autostima, promuovono efficacemente la qualità della vita attraverso uno star bene generalizzato.

Michele Marconi COMPETENZE E.N.G.E.A.: QUADRO TECNICO EQUITURIST - E.R.D. IN FORMAZIONE C/O UNIVERSITÀ DI VERONA 2014 luglio, agosto- 65


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