Verona InForma n. 10 - anno 3 - GENNAIO/FEBBRAIO 2014
consigli e informazioni per vivere meglio
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Intervista Mirella Ruggeri
DIPENDENZE Il gioco d’azzardo
Shiatsu & yoga relax per corpo e mente
Sommario psicologia
Lettere alla direzione
Intervista alla Professoressa Mirella Ruggeri Patrizia Zanetti
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Natale sereno grazie anche all’Istituto del Pancreas ed Endocrinologia del G.B. Rossi di Borgo Roma 26
psicologia
Fratelli disabili, un legame che dipende
28
Irene Colizzi
Chirurgia
Fast Track surgery e alimentazione in chirurgia Dott. Gerardo Mangiante Dott. Giovanni De Manzoni
BREVI - ULSS 22
All’Orlandi di Bussolengo esami del sangue anche sabato mattina
endocrinologia
15
ULSS 20
Muovimondo come imparare a scuola uno stile di vita sano Dott.ssa Susanna Morgante
16
chirurgia della mano
Alta specialità in chirurgia della mano pediatrica
Acromegalia: cosa c’è di nuovo? Dott. Giuseppe Francia
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stress post trauma
Rewind Trauma Terapy: e la vita torna a sorridere CEMS Verona
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estetica
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IStruzione
Dalla fusione di due scuole un grande progetto educativo Patrizia Zanetti
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Faccia a faccia con la nostra pelle Dott. Alessandro Gatti
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22
ricerca
Ragazzi, in piedi. Pronti, partenza ...via!
24 Brevi
La Medicina dello Sport Coni di Verona compie 50 anni Dott. Pierluigi Tregnaghi
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Sommario CORPO e mente
artrosi
Lo yoga... è benessere! Gianna Tessaro
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corpo e mente
F. Cortese, G. Piovan, C. Zorzi
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arte in ospedale
Shiatsu, il piacere di sentirsi sotto pressione Flavio Ceschi
Combattere l’artrosi con la terapia viscosupplettiva orale
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Con Gianni Lollis si è chiusa “Arte in Ospedale” 2013 Marifulvia Matteazzi Alberti
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dipendenze
Gioco d’azzardo patologico, un GAP da eliminare Dott. Fabio Lugoboni
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psicologia
Perchè le diete non funzionano e il punto di vista somato-relazionale Dott. Luigi Bergamo
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brevi - libri
“A tu per tu con te” manuale di auto-aiuto per il rilassamento
occhi
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mater salutis legnago
Nuova tecnica mini invasiva per operazioni di protesi d’anca
La cataratta
68
brevi
56
Villa dei Cedri e Hellas Verona partnership sana e vincente!
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Stampata su carta ecologica ecologica 100% riciclata con 100% riciclata con inchiostri inchiostri a base a base vegetale vegetale prodotta senza uso di prodotta senza uso di cloro cloro
2014 gennaio, febbraio - 5
Numeri utili Emergenza
113 Soccorso pubblico di emergenza 112 Carabinieri 115 Vigili del fuoco 118 Emergenza sanitaria 045 500333 Polizia stradale 045 8078411 Polizia municipale 045 8075511 Centralino ULSS 20 045 6138111 Centralino Presidio Ospedaliero “G. Fracastoro” San Bonifacio 045 8075111 Centralino Presidio di Marzana 045 8121111 Ospedale di Borgo Trento 045 8121111 Ospedale di Borgo Roma 045 8121212 Ufficio Prenotazioni CUP (Centro unico prenotazioni) 848242200 CUP ULSS 20 840000877 Disdette visite ed esami (no di radiologia) 045 7614565 Guardia medica - Servizio di Continuità Assistenziale (ascoltare segreteria) 045 8041996 Farmacie di Turno 045 6712111 Ospedale di Bussolengo 045 6207111 Centro Sanitario Polifuzionale di Caprino Veronese 045 6648411 Ospedale di Isola della Scala 045 6589311 Ospedale di Malcesine 045 6338111 Ospedale di Villafranca 045 6338666 Servizio di Continuità Assistenziale 045 6338181 Centro Unificato Prenotazioni 045 6712666 Ufficio Relazioni con il Pubblico
pubblica utilità 117 Guardia di Finanza 1515 Servizio antincendi boschivo del corpo forestale dello Stato 045 8090411 Questura di Verona 045 8090711 Polizia Stradale di Verona 045 8078411 Polizia Municipale 045 8077111 Comune di Verona 800016600 Drogatel 19696 Telefono Azzurro 803803 Soccorso stradale 064477 Automobile Club d’Italia 803116 Soccorso stradale
BCC
Valpolicella Benaco BANCA
Radici diverse... valori comuni Sant’Anna d’Alfaedo
Caprino Veronese Costermano Garda
Marano di Valpolicella
Albarè
Bardolino
Valgatara Sant’Ambrogio di Valpolicella
Negrar
S. Pietro in Cariano Arbizzano Pescantina
Colà Sandrà Verona
Verona InForma consigli e informazioni per vivere meglio
n. 10 - anno 3 - gennaio-febbraio 2014
editoriale
a cura del direttore
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Testata giornalistica registrata al Tribunale di Verona n° 4035/2012 Proprietario ed editore: Verona Informa s.a.s. di Giuliano Occhipinti & C. Sede legale e Redazione: Via Giardino Giusti, 4 - 37129 Verona
Verona InForma n. 10 - anno 3 - GEnnaIo/FEBBRaIo 2014
consigli e informazioni per vivere meglio
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IntervIsta Mirella ruggeri
DIPenDenZe Il gioco d’azzardo
shIatsu & yoga relax per corpo e mente Foto di copertina: disegno Ponte Pietra - Verona
Direttore responsabile: Alberto Cristani Coordinatore scientifco: Luca Ravazzin Redazione: Alberto Cristani, Luca Ravazzin, Giuliano Occhipinti, Patrizia Zanetti Grafica: Silvia Sorio Stampa: Mediaprint Relazioni esterne e marketing: Giuliano Occhipinti Contatti: - Redazione: +39 345 5665706 - Mail: veronainforma@gmail.com - Web: www.verona-in-forma.com - Pubblicità: +39 347 4773311 Hanno collaborato per questo numero: Claudio Capitini, Michele Triglione, Ufficio Stampa AOUI Verona, Dott.ssa Susanna Morgante, Marina Soave, Marifulvia Matteazzi Alberti, Irene Colizzi, Dott. Gerardo Mangiante, Dott. Giovanni De Manzoni, Dott. Giuseppe Francia, Dott. Alessandro Gatti, Gianna Tessaro, Flavio Ceschi, Dott. Luigi Bergamo, F. Cortese, G. Piovan, C. Zorzi, Dott. Fabio Lugoboni Foto: Archivio Verona Informa s.a.s., Ufficio stampa AOUI Verona, Ufficio stampa Azienda Ulss 20, Ufficio stampa Azienda Ulss 21, Ufficio stampa Azienda Ulss 22, CEMS Verona, Ufficio Stampa parco termale Villa dei Cedri
In forma dopo le feste? Buonsenso in primis! Terminate le festività natalizie e in vista della primavera - anche se, ahimè, mancano ancora diverse settimane - come ogni anno inizia la corsa alla dieta miracolosa. La bilancia segna qualche chiletto in più, i vestiti si tendono un po’ dappertutto e si ha l’impressione di essere gonfi come palloni. La colpa è ovviamente da attribuire all’impennata delle calorie ingurgitate, all’overdose di cibi troppo dolci, grassi e salati che hanno costretto fegato e reni a un superlavoro, “zavorrando” fianchi e girovita. Dimagrire, specialmente e possibilmente in poco tempo, è quindi una grossa tentazione per tutti. Spuntano per l’occasione un po’ ovunque le “mitiche” diete fai da te che, se affrontate senza criterio, possono creare più danni che benefici. Come comportarsi quindi? Senza dubbio la prima regola da seguire - banale ma purtroppo spesso ignorata - è quella di affidarsi ad un esperto dietologo il quale, dopo un’accurata visita, saprà senz’altro aiutarvi. È evidente che un conto è perdere un paio di chili, un conto è perderne 15-20. Non si può, anzi non si deve, mai generalizzare e banalizzare. Per chi deve solamente “ritornare in carreggiata” e smaltire semplicemente gli eccessi, esistono alcune semplici regole, un vero e proprio ABC alimentare che si dovrebbe seguire a prescindere: 1) Non saltare alcun pasto: meglio porzioni piccole e che non manchino mai frutta e verdura. Vietato digiunare e, allo stesso tempo, mangiare fuori pasto. 2) No ai consigli di amici o alle diete di moda. Ogni variazione di regime alimentare deve essere personalizzato. 3) No alle diete sprint, stile “7 chili in 7 giorni”. Non esistono diete miracolose che garantiscono risultati in tempi immediati. 4) Non rinunciare mai completamente a un alimento. Occorre intervenire sulle quantità di cibo ma mantenere sempre la loro varietà. 5) Corretta alimentazione tutto l’anno. Evitare di cambiare regime alimentare soltanto in vista del periodo estivo allo scopo di superare la fatidica prova costume. 6) Tenersi sotto controllo. Prima di accingersi a iniziare qualsiasi dieta sottoporsi sempre a una serie di controlli medici. 7) No alla vita sedentaria. È necessario svolgere un programma di attività fisica di intensità almeno moderata al fine di prevenire alterazioni metaboliche e cardiovascolari. 8) Non assumere farmaci, a meno che non sia stato prescritto da uno specialista in casi di effettiva necessità. 9) Imparare a mangiare bene. La corretta alimentazione è fondamentale per una buona qualità di vita e per invecchiare bene. Alla fine “Mangiar bene per sentirsi in forma” - parafrasando lo slogan di un famosissimo olio - è l’unica vera regola da seguire. Se poi non abbiamo l’addominale “tartarugato”, beh... pazienza! Alberto Cristani
intervista
Studi psichiatrici e benessere psicofisico Verona InForma ha intervistato in esclusiva la Prof.ssa Mirella Ruggeri Direttore della Clinica Psichiatrica del DISM di Verona
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al 1° ottobre 2013 il Direttore della Clinica Psichiatrica, Prof.ssa Mirella Ruggeri, è anche Direttore del DISM (Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale di Verona), dove il termine interaziendale rimanda all’accordo tra Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata (AOUI), ULSS 20 e Università di Verona. Prof.ssa Ruggeri, quanti sono gli iscritti alla facoltà di Medicina con specializzazione in Psichiatria, presso il nostro ateneo veronese? Il numero è chiuso e dipende annualmente dal
Prof.ssa Mirella Ruggeri
10 - gennaio, febbraio 2014
Ministero della Salute. Negli ultimi anni abbiamo avuto un numero variabile da 8 a 9 borse; in questo momento i 5 anni attivi della scuola contano in totale una quarantina di studenti nei diversi anni. Le richieste però sono molte di più, circa 10 volte tanto… Nel corso degli anni la scuola di specializzazione di Verona si è caratterizzata per tre elementi qualificanti: - la formazione dei futuri psichiatri nel contesto del mondo reale; i nostri specializzandi lavorano con un approccio di “psichiatria di comunità” e vengono formati in modo da essere immediatamente operativi quando terminano la scuola. Questo fa sì che i nostri giovani, una volta specializzati, trovino con facilità una occupazione. - l’approccio “evidence based” della nostra scuola, che privilegia una formazione basata su interventi per gli specifici problemi della salute mentale che siano di dimostrata efficacia. La psichiatria, disciplina di grande complessità, deve affrontare l’ostacolo di posizionarsi su un asse centrato sulle evidenze, soprattutto per ciò che riguarda i risultati. Fare studi di efficacia nel nostro settore non è semplice; ciò non toglie che questo sia un dovere, un’etica professionale, che va tenuta in primo piano; - l’ottima reputazione della scuola, che richiama giovani medici provenienti da tutte le regioni italiane.
Che prospettiva di carriera ha un giovane psichiatra? In generale l’area della medicina e della psichiatria, nonostante i tempi non facili, non soffrono di particolari problemi, anche perché il numero chiuso ha ridotto molto gli accessi, mentre la richiesta di personale formato in questo ambito resta nel frattempo piuttosto alta. Gli studenti che escono dalla nostra scuola hanno una formazione che li rende competitivi. Dopo 6 mesi dalla specializzazione la grande maggioranza è occupata, sia a tempo determinato che indeterminato, sia in libera professione. Di questo risultato andiamo naturalmente molto fieri. Addirittura alcuni nostri specializzandi sono diventati primari in sedi straniere, per esempio nei servizi della salute mentale dell’area londinese. Come medico psichiatra, quali sono le patologie più ricorrenti che lei si trova a dover curare? È necessario fare una distinzione tra frequenza e gravità: le patologie più frequenti sono quelle legate ai disturbi dell’umore - come la depressione oppure ai disturbi d’ansia, che non rientrano nello spettro dei disturbi psichiatrici più gravi, come invece possono essere considerate le psicosi, fortunatamente più rare. I disturbi psicotici richiedono una presa in carico di lungo periodo, mentre i disturbi di ansia e depressione richiedono una presa in carico ciclica, legata a momenti particolari della vita, dove si mira a fornire interventi efficaci, possibilmente di breve durata. Da anni svolgo, con i miei collaboratori, attività di ricerca sugli esordi, cioè sui primi sintomi di manifestazione del disturbo, e sui trattamenti maggiormente efficaci per le persone che chiedono aiuto per la prima volta e in particolare all’esordio delle psicosi coinvolgenti i giovani nella tarda adolescenza. Per gli adolescenti le recenti evidenze dimostrano che vi sono degli approcci di tipo psicosociale che se associati fin da subito, con determinati criteri, ad approcci farmacologici, possono migliorare notevolmente l’esito nel medio-lungo periodo. Questi dati provengono da studi di efficacia condotti in servizi sperimentali. La tappa successiva, che
a mio avviso è ora professionalmente ed eticamente essenziale, è favorire la loro applicazione in maniera sistematica nella routine. E i tempi sono maturi. Attraverso piccoli finanziamenti a noi attribuiti dalla Regione Veneto volti a quantificare la tipologia del problema e gli interventi attuati nella routine, risalenti a qualche anno fa, e inoltre grazie a un importante finanziamento del Ministero della Salute erogato nel 2007, per un Programma di Ricerca denominato GET-UP - Genetics Endophenotypes and Treatment: Understanding early Psychosis – è stato possibile coinvolgere i Centri di Salute Mentale (CSM) presenti su un territorio di 10 milioni di abitanti dell’Italia centro-settentrionale, con un complesso coordinamento di cui ho avuto la titolarità in rappresentanza della AOUI di VR e della Regione Veneto. Su 126 centri di salute mentale esistenti in quell’ampio territorio, 117 hanno partecipato attivamente, arruolando tutti i nuovi casi di psicosi che si presentavano nel corso di un anno e trattandoli per 9 mesi con modelli innovativi di trattamento, basati sulle evidenze, sull’intervento psicosociale, e formando gli operatori dei CSM stessi (psichiatri, psicologi, infermieri) prima di attuare tale intervento. Questa esperienza, svolta in servizi rappresentativi di quelli esistenti nel contesto reale della psichiatria di comunità italiana, ha avuto ottimi esiti. Gli esiti in termini di miglioramento del funzionamento dei pazienti e nel diminuire l’impatto della sintomatologia sulla vita quotidiana e limitare le ricadute sono stati buoni. Ora stiamo lavorando nell’ottica del consolidamento di tale lavoro, mettendo a punto i trattamenti di mantenimento più appropriati per il periodo che copre i primi cinque anni dall’esordio; si cerca di metterli in atto a Verona e di favorire la formazione degli operatori e l’attuazione di questi interventi anche sull’intero territorio regionale. Come risponde la psichiatria ai nuovi disagi sociali (ludopatie, depressioni, disturbi alimentari)? In qualità di Direttore del Dipartimento di Salute Mentale penso che sia un dovere dei Servizi di Salute Mentale dare ai cittadini un messaggio di disponibilità all’aiuto nell’affrontare questi problemi 2014 gennaio, febbraio - 11
emergenti, questi nuovi disagi, sia direttamente che indirettamente, indirizzando le persone agli altri servizi del settore pubblico preposti a prestare il loro sostegno. Una difficoltà davvero drammatica che noi affrontiamo è quella dello stigma, cioè la tendenza ad esitare nella richiesta di aiuto. Paradossalmente più lieve è il disagio, più grave è il cosiddetto autostigma; si vive il disagio psichico come una “vergogna”; a volte anche i familiari tendono ad oscurare queste realtà. Il problema riguarda tutti i disturbi psichici. I quadri clinici dei pazienti affetti da psicosi, per il loro riflesso sui comportamenti dei pazienti affetti, portano ad uno stigma importante da parte della società. Ma il problema esiste anche per disturbi di minor gravità, quali la depressione, i disturbi alimentari, le reazioni di disagio psichico rispetto ad eventi negativi della vita: in queste situazioni le persone tendono a non chiedere aiuto, ad autogestirsi, a soffrire in silenzio, a volte giungendo anche a compiere i gesti estremi che spesso vediamo nel-
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le cronache quotidiane. Non penso che sia bene considerare come disagio psichico tutte le reazioni di ansia, depressione, preoccupazione che riguardano la vita quotidiana; tuttavia preservare la salute mentale dei cittadini e favorire una maggior consapevolezza sulle problematiche psicologiche in senso lato, dovrebbe permeare la nostra società, soprattutto in un’ottica di prevenzione. A noi operatori della salute mentale spetta un ruolo importante: avviare il più precocemente possibile gli interventi di dimostrata efficacia per i casi di nostra pertinenza, indirizzare chi soffre di qualche disagio psichico presso i servizi dove il paziente possa ricevere le cure più appropriate, e lavorare per favorire un abbattimento dello stigma. Quanto incide il fattore genetico sui comportamenti psicotici o meritevoli di presa in carico? Dopo un periodo in cui la componente biologica e quella psicosociale dei disturbi mentali venivano visti come filoni separati, a volte fonte di scontri
ideologici tra i sostenitori dei diversi ambiti, i dati della letteratura ora mostrano che i disturbi mentali originano da un complesso mix di fattori biologici - tra cui quelli genetici - e fattori ambientali e psicologici legati alla specificità di ogni individuo e al suo vissuto. Entrambe le componenti debbono essere considerate. Certamente la componente genetica, che non significa solo ereditarietà e familiarità in senso stretto, ma è anche alterazione del corredo genetico che può caratterizzare uno specifico individuo, può aumentare la vulnerabilità dell’individuo stesso all’insorgenza di disturbi psichici. La sola “vulnerabilità” non comporta però necessariamente l’insorgenza di disturbi psichici: altri fattori debbono sommarsi, quali eventi negativi di vita, del contesto ambientale. Vi è anche la possibilità che le situazioni di vita e del contesto ambientale agiscano come fattori “protettivi” che prevengono l’insorgenza dei disturbi. Individuare precocemente fattori di “vulnerabilità” può consentire di lavorare per rinforzare gli elementi protettivi, offrire strumenti psicologici affinché le persone comprendano e governino il proprio disagio. In ogni caso, il ruolo protettivo di un contesto sociale che sappia comprendere e non stigmatizzare, non etichettare, né giudicare, è fondamentale. La vergogna di farsi curare spesso nasce dalla paura del giudizio. Altri elementi squisitamente sociali interferiscono con l’insorgenza dei disturbi psichici: mi riferisco ad esempio ai disturbi del comportamento alimentare. La patologia di per sé esiste anche per colpa di modelli sociali che riguardano il corpo femminile e che hanno molto acuito tali disagi, alimentando l’idea che “si vale finché si è magre”, favorendo così il dilagare tra le ragazze più giovani di diete assurde ed esercizio fisico esagerato per raggiungere un ideale standardizzato. Per poi scoprire che anche modelli di bellezza esageratamente perfetti sono frutto di potenti accorgimenti e interventi tecnologici come il miracoloso Photoshop. Nei nostri centri gli interventi su questo tipo di disturbo puntano a evitare che la vita delle pazienti ne risulti irrimediabilmente compromessa.
Si ammalano di più gli uomini o le donne? Per quanto riguarda i disturbi nel comportamento alimentare le donne sono le più colpite, in quanto maggiormente vittime di un ideale fisico legato alla magrezza. È tuttavia in crescita anche il numero degli uomini affetti da un analogo disturbo. Anche le ludopatie sono un male dei nostri tempi... È un fenomeno in crescita: si sfida la sorte, soprattutto nei momenti di crisi. È un problema anche più ampio, legato alla crisi dei valori. In una società in cui il denaro è lo status symbol che misura il tuo valore di persona, i cambiamenti di status – una diminuzione del livello di benessere economico che non necessariamente coincide con una condizione di povertà – possono mettere in crisi l’identità dell’individuo. Mi interessa in particolare un lavoro di prevenzione che riguarda i giovani, per cui nel nostro servizio vorrei attivare, dopo aver condotto per molti anni ricerche nel settore, interventi il più possibile specifici per questa fascia d’età. Lavorare con i giovani significa sapersi porre a ponte tra la realtà interna della persona e il contesto sociale. Abbiamo toccato il pianeta giovani e quello degli adulti. Qual è invece il malessere più diffuso tra gli anziani? Come viene affrontata la terza età a livello psico-fisico? In questo ambito abbiamo avviato varie iniziative in cui agiamo all’interno di un team multidisciplinare per gestire il supporto psicologico-psichiatrico. Si tratta degli ambulatori multidisciplinari integrati (AMID), uno degli input che l’AOUI ha dato ai medici per la loro operatività, al fine di favorire una presa in carico “a tutto tondo” di pazienti affetti da patologie di lunga durata. Il trattamento nell’anziano è il tipico esempio in cui questa forma di raccordo sarebbe fondamentale: l’anziano è un soggetto vulnerabile in relazione alle malattie organiche di cui può soffrire, che inevitabilmente hanno delle interferenze negative sull’umore. La depressione dell’anziano è uno dei problemi spesso misconosciuti che, una volta trattati, possono dare buoni risultati, sia sul 2014 gennaio, febbraio - 13
piano fisico, sia su quello della collaborazione ai trattamenti. E poi c’è il versante del sociale, del coinvolgimento dei familiari, mirato a garantire presenze nella quotidianità, che possano aiutare ad affrontare i momenti più critici, spesso legati a lutti, malattie e graduale perdita delle proprie personali funzionalità. Quanto è globalizzata oggi la psichiatria? Gli studi in tutto il mondo in questo settore vanno di pari passo o ci sono paesi di eccellenza e altri che faticano ad arrivare agli stessi standard? Se gli orizzonti della tecnologia ci inducono a guardare ad altri Paesi, quali ad esempio gli Stati Uniti come modello d’eccellenza, va detto che il migliore modello del mondo nella presa in carico della salute mentale è con ogni probabilità quello italiano. Sin dalla fine degli anni Settanta tale modello ha definito gli standard della presenza capillare sul territorio con servizi per la cura della salute mentale, che si sono organizzati all’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale. Anche se la realizzazione della legge di Riforma psichiatrica – la famosa legge 180 – è stata analoga in tutte le regioni d’Italia, il modello ha consentito la realizzazione di centri di salute mentale (uno ogni 100-120 mila abitanti), di centri diurni aperti per almeno 12 ore al giorno al fine di accogliere le persone con meno risorse, favorendo la loro riabilitazione. E ancora piccole strutture residenziali– con personale di supporto - che consentono una vita il più dignitosa possibile alle persone che non hanno una famiglia, o che non riescono ad essere gestite dai familiari. Ed infine le strutture di ricovero per l’acuzie, collocate all’interno degli ospedali generali (meno stigmatizzanti), favorendo un ricovero che sia gestito con la continuità di cura rispetto al resto del processo terapeutico. Questo è il cardine della legge 180 ed è il modello applicato in toto nella routine delle attività del nostro Dipartimento di Salute Mentale a Verona: in questo di fatto siamo un’eccellenza. Per esempio l’Italia è il Paese che a livello mondiale registra il minor numero di Trattamenti Sanitari Obbligatori (ricovero contro la volontà dei pazienti); è uno dei Paesi del 14 - gennaio, febbraio 2014
mondo in cui i trattamenti attuati sul territorio per pazienti affetti da disturbi psichici hanno fatto sì che le giornate di degenza all’interno dell’ospedale siano ai minimi livelli. In generale la capacità di stare vicino ai pazienti e ai loro familiari è molto elevata e capillare. Tuttavia il problema legato alle risorse e al loro buon uso esiste innegabilmente. In questo periodo di crisi economica, vanno evitati tagli che non tengano conto della specificità della nostra disciplina. A fronte di un apparente beneficio economico immediato, tali tagli sono destinati ad alimentare disagi che non solo impatterebbero negativamente sul futuro delle persone affette da disturbi psichici, ma finirebbero col produrre costi maggiori nel medio e lungo periodo. Che cosa si fa all’estero che risulta senz’altro migliore rispetto a quanto si fa in Italia? Direi che altre nazioni del mondo, quali ad esempio la Gran Bretagna e i Paesi Nord Europei hanno una maggiore tendenza ad aggiornarsi rispetto alle evidenze. Da noi il ponte tra le evidenze di efficacia e le pratiche cliniche non è abbastanza efficiente: è un fronte a cui dovremmo dedicare un impegno maggiore. Rispetto al tema degli esordi delle psicosi, ma in generale in fase iniziale di qualunque disturbo psichico, ci sono dei modelli di dimostrata efficacia che all’estero vengono più frequentemente attuati nella routine. Questa è una sfida su cui l’Italia si deve ora impegnare in maniera prioritaria. Il nostro assetto di servizi caratterizzato da una presenza così capillare sul territorio ci consentirebbe di attuare questi interventi in maniera adeguata con un cambiamento organizzativo relativamente piccolo. In questo ambito il nostro centro di Verona ha prodotto ricerche di assoluta rilevanza; è ora giunto il momento di applicarne i risultati nella routine clinica in maniera sistematica. I dati già dimostrano che tali interventi possono rivelarsi vantaggiosi per il benessere dei pazienti ma anche dal punto di vista economico. Si tratta di investimenti a lungo termine che non possiamo fare a meno di considerare. Per il bene di tutti. Patrizia Zanetti
BREVI - ULSS 22
All’Orlandi di Bussolengo analisi del sangue anche il sabato mattina
Esami del sangue anche il sabato mattina presso il servizio di Laboratorio Analisi dell’Ospedale Orlandi di Bussolengo. La novità ha preso il via da questo mese. Per accedere al servizio occorre prenotarsi telefonando al numero 045 6338181 del CUP, il Centro Unificato di Prenotazioni, dal lunedì al venerdì, ore 8.00-17.30, e il sabato dalle 8.00 alle 12.30. «L’apertura mattutina del sabato si inserisce nel percorso di potenziamento dei servizi territoriali che stiamo perseguendo per andare incontro alle esigenze della gente – ha detto il direttore generale dell’Ulss 22 Alessandro Dall’Ora –, si tratta infatti di un’opportunità in più per i cittadini che lavorano e che durante la settimana sono impegnati. Un particolare ringraziamento va al personale tutto coinvolto nella riorganizzazione del Servizio che anche in questo caso ha manifestato grande professionalità, motivazione e sensibilità verso le esigenze dei cittadini». L’ampliamento dell’offerta è in linea con le indicazioni del Piano socio sanitario regionale. dei farmaci era approdata quest’estate anche al Senato con una interrogazione parlamentare che
puntava il dito contro l’esportazione parallela (farmaci destinati all’Italia che vengono dirottati all’estero per interessi economici), mentre Federfarma Roma aveva presentato un esposto alla Procura della Repubblica chiedendo di fare luce sulla mancanza nel circuito distributivo anche di farmaci innovativi per gravi patologie ad elevato valore terapeutico, nonché ad alto costo, e senza equivalente alternativo.
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ULSS 20
Muovimondo come imparare a scuola uno stile di vita sano La pubblicazione - rivolta agli insegnanti - si pone anche l’obiettivo di facilitare l’integrazione degli alunni delle diverse nazionalità
é
stato pubblicato “Muovimondo”, manuale per la didattica interculturale del movimento e degli stili di vita sani nelle scuole. Il volume è rivolto agli insegnanti delle scuole primarie e secondarie di primo grado e ha come tema il lavoro didattico in classe sul movimento e la sana alimentazione. I contenuti sono stati pensati per facilitare il coinvolgimento e l’integrazione degli alunni delle diverse nazionalità e per incentivare la promozione degli stili di vita sani nei bambini stranieri, oltre che in quelli italiani, attraverso attività didattiche, giochi e laboratori volti a valorizzare l’approccio in-
16 - gennaio, febbraio 2014
terculturale, l’attività ludica e l’interdisciplinarietà. Muovimondo nasce da una collaborazione interdisciplinare tra il Programma di promozione dell’attività motoria della Regione Veneto (di cui l’ULSS 20 è capofila), il Servizio di Promozione ed Educazione alla Salute del Dipartimento di Prevenzione e la rete Tante Tinte dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Verona; quest’ultima raggruppa le scuole del primo e secondo ciclo di tutta la provincia e si occupa dell’inserimento e dell’integrazione degli alunni stranieri. Per la parte sull’alimentazione ha collaborato anche il Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione dell’ULSS 20.
perchè nasce muovimondo
I contenuti del manuale sono suddivisi in : - un’introduzione che spiega gli obiettivi didattici del materiale - un set di unità didattiche di apprendimento per la scuola primaria e secondaria di primo grado, con esercitazioni, schede e laboratori sul tema del movimento (giochi, promozione del Pedibus, uso della bicicletta, elementi di orienteering, studio di mappe, conoscenza del territorio e molto altro) e della sana alimentazione - la raccolta “Giochi dal mondo”, con 24 giochi tradizionali di altre culture (che va a completare la raccolta di giochi italiani “Patapunfete” pubblicata qualche anno fa) - 12 giochi didattici di movimento pensati per facilitare l’apprendimento della lingua italiana negli alunni non italofoni. Il 17 gennaio 2014 si è tenuto un incontro presso l’Ufficio Scolastico Territoriale di Verona, durante il quale il manuale è stato distribuito gratuitamente ai docenti interessati, insieme ad altri materiali didattici che il Dipartimento di Prevenzione ha messo a disposizione. Per ulteriori informazioni è possibile contattare lo staff del programma regionale scrivendo a lvalenari@ulss20.verona.it o al numero telefonico 0458076034 - 36. Muovimondo si può anche scaricare online in formato elettronico dal seguente link: www.newsletterattivitamotoria.info
Susanna Morgante Servizio Promozione Salute, Dipartimento di Prevenzione ULSS 20
1) Per combattere l’emergenza obesità, legata a comportamenti come passare gran parte della propria giornata seduti, magari davanti al computer o alla TV, o mangiare troppi cibi a basso valore nutrizionale (ricchi di zuccheri, grassi e calorie e poveri di fibre) 2) Per educare bambini e ragazzi ai corretti stili di vita: ad esempio giocare all’aria aperta, andare a scuola a piedi o in bicicletta, mangiare frutta e verdura in abbondanza, non abusare di dolciumi o bibite, consumare una prima colazione nutrizionalmente adeguata… 3) Per promuovere il lavoro interdisciplinare, anche nel campo dell’educazione alla salute 4) Per sensibilizzare gli insegnanti sull’importanza che il movimento venga garantito, sfruttando sia le ore curricolari che il tempo della ricreazione e utilizzando anche gli spazi aperti della scuola 5) Per fornire strumenti di prevenzione anche e soprattutto ai gruppi socio-economicamente svantaggiati, ad esempio i bambini stranieri e le loro famiglie; infatti in Italia (a fronte di un miglioramento globale nella salute dei giovani) consistenti minoranze hanno problemi crescenti di soprappeso o obesità – e spesso, di conseguenza, anche scarsa autostima, scadente qualità di vita, uso di sostanze o bullismo 6) Per sfruttare al meglio le potenzialità del gioco come momento di divertimento ma anche di apprendimento: per conoscere il mondo, sperimentare il valore delle regole, stare con gli altri, imparare a gestire le proprie emozioni, scoprire nuovi percorsi di autonomia.
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chirurgia della mano
Alta specialità in chirurgia della mano pediatrica Al G.B. Rossi in questi ultimi anni sono stati visitati 430 bimbi con tali patologie all’arto superiore con un provenienza extraregionale del 20%
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resso l’Unità Operativa Complessa di Chirurgia della Mano del Policlinico G.B.Rossi di Verona, diretta dal dott. Roberto Adani, è attivo da cinque anni un servizio che si pone come obiettivo la cura e presa in carico di patologie pediatriche dell’arto superiore. Questa attività, coordinata dal dott. Massimo Corain, dirigente medico con incarico di “alta specialità in chirurgia della mano pediatrica”, si pone come obiettivo la presa in carico di bambini con esiti di traumi all’arto superiore o con malformazioni congenite che necessitano di cure mirate per il miglioramento della funzione dell’arto e la correzione di eventuali deformità. A questo scopo
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si sono voluti dedicare degli spazi ambulatoriali e delle sale operatorie specifiche per i pazienti più piccoli, in modo tale da poter essere nelle condizioni ottimali per dedicare le attenzioni che un bimbo richiede, al di fuori della quotidianità, spesso macchinosa, di un reparto che svolge una chirurgia ad alta complessità. In questi ultimi anni sono stati visitati 430 bimbi, selezionati con tali patologie all’arto superiore, con una provenienza extraregionale del 20%, segno di una forte capacità attrattiva del servizio. L’aumento della richiesta chirurgica ci ha permesso di organizzare 2 o 3 sale operatorie al mese esclusivamente di patologie pediatriche, con un anestesista dedicato e un reparto maggiormente organizzato all’accoglienza dei piccoli pazienti. Dedicandosi a patologie genetiche rare, che richiedono spesso di essere riconosciute e inquadrate correttamente, per programmare una strategia chirurgica il più mirata possibile, è fondamentale l’aggiornamento continuo e il contatto con strutture analoghe che sono di riferimento mondiale. Il dott. Corain ha potuto negli anni, frequentare una struttura dedicata alla cura delle malformazioni congenite dell’arto superiore a Dallas, in Texas (U.S.A.), ed entrare così in contatto con professionisti di fama mondiale con cui mantiene una collaborazione scientifica e una frequentazio-
ne indispensabile per un confronto costruttivo. La U.O.C. di Chirurgia della Mano dell’ Azienda Ospedaliera di Verona è infatti riconosciuta come “Hand Trauma Center” validato dalla Federazione Europea delle Società di Chirurgia della Mano (FESSH), a certificazione di una attività aggiornata e in linea con gli standard europei.
Recentemente, il 16 novembre 2013, è stato inoltre organizzato presso la lente didattica dell’Università di Verona, un corso dal titolo: “L’approccio multidisciplinare alle patologie scheletriche del bambino”, coordinato dal dott. Corain e destinato alle figure professionali di medico, infermiere e fisioterapista, con lo scopo di divulgare linee guida e confrontarsi con specialisti in altre branche che quotidianamente si trovano ad affrontare ,da punti di vista diversi, le patologie ortopediche pediatriche. è stato un momento di interazione importante dove si sono affrontati temi legati alle patologie traumatiche e alle patologie congenite del bambino, consentendo un confronto immediato e un’ apertura al territorio dell’organizzazione presente in Azienda Ospedaliera. L’obiettivo nel prossimo futuro è quello di organizzare sul territorio veronese e veneto una campagna di sensibilizzazione sulla prevenzione dei traumi alla mano in ambiente domestico, ludico e scolastico. Si tratta di un’ iniziativa alla quale si sta lavorando con il patrocinio della Società Italiana di Chirurgia della Mano, che prevederà degli incontri informativi ed educativi con lo scopo di coinvolgere e sensibilizzare il bambino al trauma alla mano.
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Dalla fusione di due scuole un grande progetto educativo La sinergia tra Istituto Virgo Carmeli e Scuola S. Teresa mira a un insegnamento serio, approfondito e sereno. Per far sentire gli alunni... come a casa!
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al prossimo settembre 2014 l’Istituto Virgo Carmeli (nido integrato, scuola materna ed elementare) e la Scuola S. Teresa (scuola media primaria) accoglieranno gli alunni nell’unica sede di via Carlo Alberto 26, a Verona. Una grande novità nel panorama scolastico veronese è rappresentata dall’unione dell’Istituto Virgo Carmeli con la Scuola S. Teresa. A Damiano Ceschi, responsabile della Cooperativa Cultura e Valori che gestisce questa operazione, chiediamo: quali sono i motivi che hanno spinto a tale sinergia?
In questo periodo di crisi economica diventa davvero fondamentale un principio di mutuo soccorso: aiutarsi reciprocamente, condividere difficoltà ma anche mettere insieme le energie positive! Uni-
re le forze significa potersi sostenere vicendevolmente, ed è questo il motivo per cui si può anche crescere, in un momento in cui vediamo molte realtà simili alla nostra costrette invece a chiudere. Quali sono i principi comuni che ispirano queste due realtà scolastiche?
Gli stessi principi cristiani, quelli per cui ognuna di queste scuole è nata: la tradizione cristiana che vuole si insegni anche un’educazione al trascendente, in senso verticale, oltre a quella indubbiamente fondamentale di tipo orizzontale, rappresentata dall’istruzione delle diverse discipline ministeriali. Avere un respiro più ampio, mentre si spiega ad esempio la storia, significa conoscere la disciplina ma anche capire che questa nostra storia ha un senso molto più grande, perché è desiderata e voluta da un Altro, che in fondo in fondo è colui che guida veramente la storia, come ci ha insegnato Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi”. Quale proposta educativa troveranno i genitori che iscriveranno i loro figli all’Istituto Virgo Carmeli e alla Scuola S. Teresa?
I nostri istituti sono anzitutto scuole: quindi dev’essere garantita una preparazione seria e approfondita, con particolare attenzione ai nostri 22 - gennaio, febbraio 2014
tempi. Lo studio della lingua inglese proposto in maniera approfondita per chi lo desidera; un approccio mirato al mondo delle tecnologie informatiche; attività extracurricolari per chi ama dedicarsi all’arte (strumenti musicali, corsi di teatro) e allo sport (es. scherma, nuoto). Ma il tutto dev’essere condotto anche in un clima sereno e piacevole, senza che i ragazzi sentano “il peso di andare a scuola”: chi frequenta le nostre scuole si sente
un po’ come a casa propria e questo plus rende la nostra realtà ancor più piacevole agli alunni e un grande punto di riferimento per i loro genitori. Patrizia Zanetti info per appuntamenti e per visitare la scuola: Scuola Media S. Teresa - 045.505369 Istituto Virgo Carmeli - 045.500465
UNA NOVITÀ PER TUTTI I GENITORI: L’ISTITUTO VIRGO CARMELI
(nido integrato, scuola dell’infanzia e primaria) a partire dal prossimo SETTEMBRE 2014
accoglierà la SCUOLA
MEDIA “SANTA TERESA” presso la stessa sede di via Carlo Alberto 26 (VR). Settimana corta con sabato libero.
• Attività pomeridiane con orari flessibili, per coniugare le esigenze della didattica a quelle delle famiglie. • Riduzione delle quote di iscrizione (per tutte le famiglie) e della retta scolastica (per famiglie con più figli iscritti). • Ricche proposte opzionali pomeridiane per stimolare la curiosità e le attitudini personali di ogni alunno. • Percorso educativo dalla prima infanzia fino alla scuola secondaria di I° grado centrato sul carisma delle due realtà educative e ispirato alla spiritualità carmelitana.
Nuova gestione di tutte le scuole a cura della Cooperativa Sociale “Cultura e Valori”: vent’anni di esperienza per la crescita dei vostri ragazzi.
Info e appuntamenti per visitare la scuola: Scuola Media S. Teresa: tel. 045/505369 - Istituto Virgo Carmeli: tel. 045/500465
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ricerca
Ragazzi, in piedi. Pronti, partenza...via! Dalla ricerca realizzata da Ipsos per Save the Children si evince che i giovani italiani sono dei pigroni. è arrivato il momento di darsi una mossa!
S
altano la colazione, concentrano i pasti o mangiano con la tv accesa. E per di più sono pigri. A documentarlo è la ricerca su “Lo stile di vita dei bambini e dei ragazzi” realizzata da Ipsos per Save the Children e Mondelèz in Italia e presentata oggi, in occasione dei 3 anni di attività di “Pronti, Partenza, Via!”, progetto promosso da Save the Children insieme a Mondelèz International Foundation nelle aree periferiche di 10 città italiane (Milano, Torino, Genova, Napoli, Catania, Sassari, Palermo, Bari, Ancona, Aprilia) a favore della pratica motoria e sportiva e dell’educazione alimentare dei bambini. Dalla ricerca emerge che un minore su 4 nel tempo libero non fa moto e non pratica uno sport a causa di problemi economici. E ancora che 4 ragazzi su 10 si
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muovono in auto, pochi (24%) a piedi, ancora meno (9%) in bici; il 73% sta in casa nel tempo libero. Tra le cause dell’inattività dei ragazzi - secondo il 35% di genitori intervistati - la mancanza di voglia e di interesse, quindi il costo eccessivo delle strutture, per il 28% di madri e padri, con un aumento del 13% rispetto al 2012, l’incompatibilità degli orari - per il 13% del campione. A conferma dell’impatto crescente delle difficoltà economiche sugli stili di vita di minori e famiglie anche il dato su cosa fanno gli stessi genitori nel tempo libero: fra le attività che registrano un ridimensionamento (non lo praticano mai o raramente) vi è infatti lo sport a cui rinuncia il 44% dei genitori (a fronte del 37% nel 2012). Analizzando l’opinione dei ragazzi, sono sempre più numerosi
coloro che danno scarsa rilevanza all’attività fisica. Alla domanda “Tra i tuoi amici e compagni come viene considerato uno che pratica sport, fa attività fisica?”, il 39% (in crescita rispetto al 2012) risponde “in nessun modo particolare, non se ne parla quasi”, a fronte invece di un 40% (in calo sul 2012) di under 18 che dichiara un’opinione positiva. Rilevante si conferma il ruolo della scuola nella promozione delle attività sportive anche se si registra un calo nella disponibilità di spazi dedicati: il 91% dei ragazzi pratica attività a scuola, prevalentemente con la classica frequenza bi-settimanale. Un 9%, tuttavia, non fa pratica motoria a scuola e ciò, nel 39% dei casi, per l’assenza di uno spazio attrezzato (in aumento sul 2012). A incentivare la sedentarietà dei bambini e adolescenti italiani ci sono i media: il tempo trascorso davanti alla tv si conferma significativo: quasi la metà (47%) la vede per un tempo compreso fra 1 e 3 ore al giorno. E aumenta, anche se di poco, il tempo dedicato ai videogame: dell’85% che vi gioca, il 57% lo fa mediamente per un tempo compreso fra una e 3 ore. Internet è legato all’età: lo utilizza il 100% degli over 14 e il 30% vi passa anche più di 3 ore, contro un 80% degli 11-13 enni e il 59% dei minori di 10 anni, che ne fanno un uso più morigerato: rispettivamente in media un’ora e mezz’ora. In generale, i minori italiani stanno moltissimo a casa: il 73% vi trascorre (a casa propria o di amici) il tempo libero, a fronte di un 27% che lo trascorre fuori casa all’aperto con gli amici. Peggiorano inoltre le abitudini alimentari dei ragazzi italiani. Dall’indagine emerge infatti una flessione nel numero dei bambini e adolescenti che mangia frutta e verdura ad ogni pasto (35% a fronte del 37% nel 2012) o una volta al giorno (35% contro il 39% dell’anno precedente) e un aumento di colo-
ro che non l’assumono o lo fanno un massimo di 2 volte a settimana (31% contro il 24% del 2012). Per quanto riguarda il numero e regolarità dei pasti, dalla ricerca emerge un dato particolarmente critico circa la prima colazione che ben un quarto dei ragazzi non consuma regolarmente: in particolare il 9% mai e il 16% a volte sì, a volte no; inoltre con il crescere dell’età questo pasto perde il suo fondamentale ruolo e ben il 14% dei 14-17enni non lo consuma mai a casa ma al bar. Quanto al pranzo, circa metà dei ragazzi ha l’opportunità di consumarlo con almeno un genitore (49%) o comunque a casa in compagnia di qualcuno (14%). La mensa scolastica serve solo un quarto dei ragazzi intervistati, che sale a metà circa (48%) tra i 6-10enni. La presenza della famiglia intorno al tavolo a cena risulta invece una costante nel tempo per quasi il 90% delle famiglie con bambini e ragazzi, anche se un convitato che risulta spesso presente è la tv, accesa sempre in 4 famiglie su 10, occasionalmente nel 35% dei casi e assente soltanto in un quarto dei casi. Il fuori pasto è un’abitudine che riguarda il 70% circa dei giovani intervistati, con maggiore occasionalità al crescere dell’età. Pomeriggio e metà mattina risultano alternativi per circa il 40% dei ragazzi intervistati, mentre solo 1 ragazzo sui 5 fa due break al giorno.
fonte: http://www.savethechildren.it 2014 gennaio, febbraio - 25
lettera alla redazione
Un Natale sereno grazie all’Istituto del Pancreas ed Endocrinologia del G.B. Rossi di Borgo Roma Pubblichiamo la lettera inviataci dal nostro lettore Sig. Tagliareni con la quale ringrazia l’equipe dell’Istituto del Pancreas ed Endocrinologia del “Rossi” di Borgo Roma ed elogia la professionalità e la competenza
e
simio Prof. Bassi, mi permetto di rubare qualche minuto prezioso del suo tempo e di quello dei suoi pazienti per congratularmi con Lei e tutto il suo staff per l’eccezionale lavoro che quotidianamente fate presso l’Istituto del Pancreas ed Endocrinologia del Policlinico G.B. Rossi (detto da noi Veronesi Ospedale di Borgo Roma). Sono stato operato in data 20 Dicembre e dimesso il 24, qualche giorno fa per la rimozione di una ghiandola surrenale che causava da oltre 15 anni la mia pressione alta. Avendo “soli” 40 anni, grazie all’intuito e alla preparazione della dr.ssa Pizzolo della Medicina B, grazie all’appoggio ed alla fama del dr. Brazzarola, ho deciso di effettuare tale intervento presso il suo Istituto. Tutto è andato bene ma oltre al fondamentale lavoro dei suddetti dottori, ci tengo personalmente a ringraziare tutto il personale, dai medici alle infermiere alle donne delle pulizie che durante la mia degenza hanno dimostrato di essere dei seri professionisti e delle fantastiche persone. Grazie alla loro costante e vigile presenza, alle loro cure continue, alle loro attenzioni e alla loro capacità di ascoltare i pazienti sono riusciti in poco tempo a rimettermi in piedi e mandarmi a casa per la vigilia di Natale. Sono rimasto piacevolmente sorpreso nel vedere la stessa disponibilità dal primo all’ultimo, incluso il dr. Brazzarola che alle 7 del mattino faceva capolino al mio letto per vedere come stavo. Forse sarà un dovere del medico ma non sempre risulta cosi spontaneo. Non saprei nemmeno quali parole usare per il personale infermieristico che mi ha letteralmente deliziato di attenzioni e cure in ogni attimo della giornata, e con
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ogni mezzo trovando sempre le parole giuste per darmi coraggio e forza. Dal primo momento in cui la sofferenza e lo scoramento sono presenti dopo l’operazione ed in ogni tappa di avvicinamento alla “guarigione”. Complimenti poi per la pulizia del reparto, ineccepibile in ogni suo aspetto. Anche la gestione dei parenti, pur sempre complicata, mi è sembrata corretta e sensata, lasciando il giusto spazio alle famiglie dei degenti. Unico neo, forse, ma non dipende credo da Lei, la mancanza di strutture per i parenti e amici che spesso devono fermarsi per parecchie ore o giorni e hanno a disposizione solo una stanza ristretta con pochissime sedie e comodità. Qui andrebbe speso qualcosina per renderla più accogliente e comoda. Forse anche per gli stessi degenti di lunga durata e che possono deambulare, per avere una comodità in più fuori dalla loro stessa stanza. Essendo uno dei pochi Veronesi presenti in quella settimana in Istituto, mi piacerebbe portare a conoscenza tutti i cittadini dell’eccellenza e del primato del Vostro reparto non solo nel nostro territorio ma in tutta Italia se non nel mondo. Credo sia giusto anche dare merito al merito e onore a tanta professionalità e umanità. A testimonianza della mia soddisfazione una volta tornato a casa ho “postato” questo commento ed augurio nella mia pagina facebook. “Finalmente a casa! Ringrazio tutti gli Angeli che mi hanno amorevolmente accudito in questi giorni, famiglia in primis, sempre presenti al mio fianco, Silvia (mia compagna ndr) che si è triplicata per dare attenzioni a me e Zeno (figlio ndr) in egual misura, ai suoceri che Le hanno permesso qualche secondo di pausa. Permet-
tetemi, inoltre, di ringraziare di cuore tutti i veri EROI che ogni giorno, ad ogni ora, accudiscono fisicamente e psicologicamente tutti i degenti del reparto di chirurgia generale B istituto di Pancreas ed endocrinologia presso il Policlinico G.B. Rossi di Verona. Il loro lavoro è mostruoso, per impegno, cuore, tenacia, sensibilità e buon umore, che è, a dir poco, fondamentale nel processo di guarigione. Senza di loro saremmo persi. Ringrazio lo staff medico per la competenza e professionalità in particolare il dr. Brazzarola che unisce ad uniche doti professionali e chirurgiche anche spiccate qualità umane, cosa voler di più da un chirurgo? Li ho lasciati per ultimi, volutamente, per dar loro maggior risalto, i PAZIENTI di questo istituto. Qui è evidente la caducità del nostro essere ma tutti i degenti dal più giovane al più anziano, lottano ogni ora ed ogni minuto per la guarigione. Qui ci sono i SUPEREROI del nostro tempo, persone che partono per viaggi della speranza con la forza di chi sa che dovrà combattere e trascorrere giornate dure, momenti terribili, lotte continue tra piccoli progressi e ricadute, tra dolore e momenti di agognato benessere. Sempre all’erta a percepire qualche segnale che il corpo manda e che potrebbe risultare determinante per le sorti della battaglia. Il mio vicino di letto e’ un ragazzo di 35 anni che ha lottato, nella speranza di aver debellato, un tumore al pancreas. Da 21 giorni lotta per tornare a casa e non perde occasione per sollevare gli altri, per aiutare gli operatori nel rendere più semplice il loro compito di accudirlo. Straordinario, d’esempio per chi come me in fondo aveva “solo” un operazione programmata. Quindi, a tutti quelli che sono arrivati in fondo a questo post auguro di passare un felicissimo Natale in salute e serenità circondati dai Vostri Cari. Credetemi di meglio non posso augurarVi. BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO!” Voglia perdonare eventuali errori di competenze o un eccessivo entusiasmo del giudicarvi ma ritengo giusto spendere due parole in piu per complimentarmi piuttosto che per criticare, prassi ahimè oggi molto comune nella società e nel tempo in cui viviamo. La pregherei vivamente di inoltrare questa email a tutti coloro coinvolti nella gestione del reparto e a tutto il personale infermieristico che Vi lavora. Con l’augurio di un 2014 Sereno, In salute e fruttuoso per tutto. Vive cordialità,
Claudiano Tagliareni
INFO ISTITUTO PANCREAS AOUI VERONA L’Istituto del Pancreas con le Unità Operative che ne fanno parte si trova all’Ospedale Policlinico GB Rossi di Verona (Borgo Roma). Per informazioni: 045-812 6350 dalle 9.00 alle 12.00 dal lunedì al venerdì, o scrivere a istituto.pancreas@ospedaleuniverona.it Responsabile dell’Istituto Prof. Italo Vantini Unità Operative U.O di Chirurgia B Prof. Claudio Bassi (Direttore) Dr. Giovanni Butturini Dr. Roberto Salvia Dr. Alessandro Esposito Dr. Giuseppe Mascetta Signora Beatrice Personi (coordinatrice reparto) Signora Rosa Marchi (coordinatrice DH) U.O. di Gastroenterologia dU Prof. Italo Vantini (Direttore) Prof. Luigi Benini Prof. Luca Frulloni Dr. Antonio Amodio Signora Silvia Adami (coordinatrice reparto) Signora Roberta Gasparini (coordinatrice Day Service) U.S.O. di Endoscopia Digestiva Dr. Armando Gabbrielli Dr.ssa Laura Bernardoni Dr. Armando Castagnini Dr. Alberto Fantin U.O. di Oncologia Medica dU Prof. Giampaolo Tortora (Direttore) Dr.ssa Alessandra Auriemma Dr. Davide Melisi U.O. di Radiologia dU Prof. Roberto Pozzi Mucelli (Direttore) Prof. Riccardo Manfredi Prof. Giancarlo Mansueto Prof. Marco Ferdeghini Dr. Mirko D’Onofrio Dr. Enrico Martone U.O. di Anatomia Patologica e Patologia Molecolare* Prof. Marco Chilosi (Direttore) Dr.ssa Paola Capelli *Prof. Aldo Scarpa (Direttore) 2014 gennaio, febbraio - 27
psicologia
Fratelli disabili, un legame che dipende Un argomento ricco di spunti di riflessione, punti di vista diversi e interrogativi che necessiterebbero di una - o più - risposte
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uando si parla di disabilità solitamente ci si riferisce alla persona disabile o alla definizione di disabilità (su cui si discute ormai da molto). Si parla inoltre molto spesso di integrazione del soggetto disabile nella società e, in fine, della famiglia del disabile mettendo in luce soprattutto la diade madre-bambino. Poco spazio rimane per discutere su argomenti considerati, in qualche modo, “marginali” tra cui il legame fraterno. In fondo però il legame fraterno è il legame in assoluto più duraturo nel corso dell’ esistenza, i fratelli dei soggetti disabili vivono la disabilità tanto quanto gli altri familiari e, soprattutto, i fratelli e sorelle sono, con molta probabilità, coloro che si sostituiranno alle cure parentali nel famoso e terrifico “dopo di noi”. Quindi, in virtù di queste considerazioni, perché ritenere questo speciale legame un argomento
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marginale? Perché non parlare anche dei fratelli di soggetti disabili e coinvolgerli, fin da subito, in quel delicato e difficile processo, conseguente alla comunicazione della diagnosi, che porta la famiglia verso la conoscenza e l’accettazione della diversità? Spesso per altro, i genitori di soggetti disabili, riportano alcune importanti preoccupazioni relative al fratello “sano”: sono ad esempio preoccupati che il fratello possa “subire” la disabilità e tutte le sue più spiacevoli manifestazioni, oppure si sentono colpevoli per il fatto di non poter dedicare le stesse attenzioni che riservano al fratello disabile, temono che il rapporto tra fratelli sia “contaminato” dalla presenza di disabilità e che quindi non possano esserci quell’ affetto e quella complicità tipiche. è sicuramente un argomento ricco di spunti di riflessione, punti di vista diversi e interrogativi che necessiterebbero di una risposta. Cosa riporta la (seppur scarsa) letteratura sull’ argomento? Fino agli anni Ottanta l’ atteggiamento degli studiosi nei confronti di questa relazione era sicuramente pessimistico: venivano infatti raccolti principalmente vissuti negativi dei fratelli nei confronti della disabilità. Successivamente l’ accento è stato posto sulla possibilità di identificare caratteristiche peculiari di questo legame rispetto ad un
comune legame fraterno, arrivando alla conclusione che, tutto sommato, non esistono poi così tante differenze! Per quel che riguarda l’ aspetto negativo della relazione, partendo dalle testimonianze di questa particolare popolazione si può notare come emerga spesso un vissuto contraddistinto da esperienze di negazione e invisibilità in virtù di un’attenzione rivolta in maniera predominante nei confronti del fratello svantaggiato. Qualcuno potrebbe osservare: qual è la novità? Tra fratelli rivalità e gelosia sono all’ ordine del giorno! Qualcun altro direbbe inoltre che la gelosia (tra fratelli) è normale e salutare (cit. Winnicott). Quello che fa la differenza è il vissuto, spesso presente, di colpa nei confronti del fratello disabile, vissuto che non concede l’ espressione della gelosia o della rabbia conseguente, creando inoltre un eccessivo criticismo verso se stessi. Una sorta di “colpa del sopravvissuto” insomma che non cancella la gelosia e la sensazione di non essere “visti” dai genitori ma che può innescare
circoli viziosi di scarsa autostima. A volte il fratello, che non si sente in diritto di chiedere maggiori attenzioni, potrebbe mettere in atto comportamenti “indiretti” come atteggiamenti perfezionistici (con l’ idea magari che “se farò tutto alla perfezione allora meriterò amore e attenzioni”), oppure con sintomi fisici (una sorta di competizione con la malattia del fratello, messa in atto inconsapevolmente). L’ altra spina nel fianco che la famiglia, fratelli compresi, deve affrontare è la relazione con il mondo esterno. All’ interno delle mura domestiche infatti la disabilità può essere vissuta in modo “privato” e per questo, più libero ma, varcata la soglia di casa, tutta la famiglia deve affrontare gli sguardi impietosi delle persone, la paura della diversità, l’ignoranza, l’ esclusione sociale: barriere invisibili che potrebbero contribuire a costruire una fortezza entro cui rifugiarsi, soli e diversi. I fratelli potrebbero vivere questa situazione in modo ancor più amplificato, soprattutto in adolescenza, a causa delle prese in giro dei compagni. 2014 gennaio, febbraio - 29
Potrebbe nascere quindi un atteggiamento ambivalente nei confronti del fratello disabile: la tendenza a nascondere la sua presenza, a non parlarne, a vergognarsi di lui; oppure potrebbe esserci, viceversa, la tendenza ad isolarsi considerando i coetanei degli “idioti” da cui stare alla larga. Entrambe le situazioni possono essere molto dolorose per il ragazzo. Tuttavia, sempre in adolescenza, l’ esito positivo del processo di comprensione e accettazione della disabilità, potrebbe spingere il fratello a fare della propria esperienza addirittura una professione e orientarsi quindi, nella scelta scolastica, verso indirizzi di tipo sociale, educativo o sanitario. E questo ci introduce anche ai risvolti positivi che la relazione con un fratello o una sorella disabili può portare. Bank e Kahn (1982) ad esempio evidenziano, tra questi: una maggiore empatia, tolleranza, sensibilità, maggiore apprezzamento del valore della salute, maggiori competenze sociali e comprensione delle problematiche legate al pregiudizio, ovviamente. Ricordo sempre con molto piacere il colloquio con “Sara” la sorellina di un ragazzo autistico e di come lei mi avesse descritto il fratello come il personaggio di un fumetto, con alcune difficoltà ma anche con un potere speciale: la super-vista! Spesso infatti nell’ autismo i disturbi percettivi permettono ai soggetti di vedere anche particelle infinitesime.. Sara inoltre, all’ età di cinque anni, era stata l’ unica della scuola materna a preoccuparsi di invitare alla sua festa di compleanno, senza il suggerimento di nessun adulto, anche un compagno disabile, dimostrando grande sensibilità. 30 - gennaio, febbraio 2014
La relazione fraterna è descritta dagli studiosi come una sorta di palestra che favorisce l’ abilità di perspective taking, ovvero la capacità di assumere il punto di vista di un’ altra persona, da cui dipende la capacità empatica, dimostrata ampiamente dal comportamento di Sara. Aspetti positivi e negativi quindi, caratterizzano la relazione tra fratelli nella disabilità. Similitudini e anche differenze, ma non tali da considerare tale relazione un elemento di disturbo nella crescita dell’ individuo. La relazione fraterna con un disabile non è perciò, per sua natura, negativa e patogena, pur comportando maggiori difficoltà e responsabilità da parte del fratello non disabile. (Valtolina, 2004). Da cosa dipende dunque il fatto che questo legame possa portare maggiori capacità empatiche o evolvere in vissuti cronici di colpa e torto subito? Ancora una volta, per rispondere a questo importante quesito, la psicologia si affida al caro e vecchio relativismo sostenendo quindi che... dipende. Dipende sicuramente da alcuni “fattori protettivi” come per esempio il fatto che il fratello disabile sia il primogenito (il che aumenta le probabilità di adattamento del fratello sano che arriverà in famiglia in una situazione già organizzata). Dipende anche da quanto è numerosa la famiglia: più fratelli ci sono e meglio è. Dipende inoltre da quanto la famiglia è sostenuta socialmente, da parenti, amici, associazioni ecc.. Dipende da come tutta la famiglia si rapporta alla disabilità, dalla serenità con cui i genitori sono riusciti a comunicare, in modo chiaro, realistico ma empatico, circa la problematica del fratello. Dipende insomma dal significato che la disabilità assume all’ interno della famiglia mettendo in gioco la resilienza, cioè la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà Irene Colizzi Psicoterapeuta
BUON GUSTO
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Chirurgia
Fast Track surgery e alimentazione in chirurgia Dalla metà degli anni 90 esistono protocolli di fast track, pubblicati in Danimarca e Scozia, che hanno portato alla revisione di quasi tutte le linee guida delle Società Anestesiologiche
è
inevitabile che quando si tratta di alimentazione in chirurgia oggi il discorso cada sui concetti di “fast track surgery”. Concetti che in qualche modo hanno rivoluzionato il procedere anestesiologico e chirurgico, primo per ridurre enormemente i costi ospedalieri, che sono legati prevalentemente al soggiorno del paziente, e poi per dimostrare la validità di certe argomentazioni, tipo laparoscopia Vs laparotomia, anestesia peridurale Vs generale, ripresa immediata dell’alimentazione e del movimento, dimissioni appena il paziente ha soddisfatto a tutta una serie di eventi, come se fossero le caselle di un immaginario gioco dell’oca, che lo porta come premio alla dimissione. Punto fondamentale e probabilmente non ancora “digerito” è l’informazione completa ed esaustiva del paziente di quello che sarà il suo ”salto nel buio”, che crea e creerà sempre apprensione. Il medico dovrà essere estremamente semplice e chiaro, mestiere difficile, e farsi comprendere, senza usare termini latini o anglosassoni, ma parole chiaramente comprensibili da qualsiasi paziente ci fronteggi. I primi fautori di queste pratiche perdevano, e perdono, diverse ore in chiare spiegazioni prima di ottenere il consenso del malato all’intervento e al periodo postoperatorio. Primo: eliminare l’ansia naturale del paziente. Ottenibile più con le parole del curante che con i far32 - gennaio, febbraio 2014
maci, ma questo comporta tempo e lavoro in più che spesso il medico non è disposto a “sprecare”. In alcuni Centri vengono mostrati video esplicativi dell’intervento, per evitare al paziente il salto nel vuoto, nell’ignoto, in quello che gli succederà in quel limbo dove finirà senza avere la possibilità di modificare il proprio destino. Il consenso non riguarderà solo l’intervento, ma si estenderà anche al momento della dimissione concordata. Necessaria inoltre una completa ed amichevole informazione al curante, che dovrà prendere in carico il malato, quando tornerà a casa e dovrà sentirsi abbandonato dal medico. Nella discussione seguita ad un intervento di Lijunqvist lo scorso anno a Cannes al primo Congresso ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) molti hanno sollevato la questione a chi andassero i soldi risparmiati, e soprattutto le nurses presenti indicavano nel personale il beneficiario dei soldi risparmiati. Nella nostra situazione politica ed economica non è un problema irrilevante. L’impegno dei Colleghi Infermieri è infatti rilevantissimo, come già più di 10 anni fa ebbi modo di constatare alle prime esperienze di fast track in Borgo Roma. Nonostante anni di fast track e lampanti esperienze e casistiche, si registarno ancora molte resistenze soprattutto dei colleghi anestesisti, nell’applicazione di queste metodiche.
Ma si tratta in realtà di mantenere alcuni usi solo come una copertina di Linus, che il collega indossa per tradizione, ma che non hanno e non possono più avere un senso logico oggi, come ci hanno abbondantemente spiegato e soprattutto dimostrato i Colleghi Scandinavi. L’”aspiration pneumonia”, la nostra polmonite ”ab ingestiis” (ci rifugiamo nel Latino, quando non abbiamo argomenti atti a controbattere allo scorrere del tempo e alla logicità ed al pragmatismo dei protestanti Anglosassoni), rappresenta sempre, uno spauracchio durante l’atto chirurgico. Nessuno arriva a dire che non esiste, ma la reale portata del problema spesso è sovrastimata o esagerata, e in effetti la cosiddetta sindrome di Mendelsson, dall’ Ostetrico che l’aveva descritta nel 1946, ha un’ incidenza abbastanza negligibile (1.7 su 10000 anestesie secondo casistiche statunitensi controllate, Kallar, 85), ma con una mortalità estrema. Quando non esiste la paura della magistratura, incombente, come nei casi urgenti, tipo incidente stradale, come per incanto del ”ab ingestiis “ non ci si ricorda quasi più, e senza aumento della complicanza. Il coinvolgimento del curante diventa improrogabile, soprattutto nei pazienti da sottoporre ad un intervento di resezione colica. Ma identificare un’ipertensione o un diabete consente anche di iniziare a domicilio una specifica terapia.
Curiosamente stesso discorso vale per la preparazione intestinale: indispensabile quando si opera il colon, diventa improbabile di fronte ad un evento acuto. Le casistiche di resezioni per trauma incidentale ci sorprendono con dati che evidenziano come i non preparati abbiamo un outcome migliore dei preparati, soprattutto in termine di infezione postoperatoria Dalla metà degli anni 90 esistono protocolli di fast track, pubblicati in Danimarca e Scozia, che hanno portato alla revisione di quasi tutte le linee guida delle Società Anestesiologiche, l’ultima del 99 dell’ASA: i termini di digiuno da cibi solidi si sono ridotti a 6 ore di digiuno completo prima dell’intervento, sulla base fisiologica di svuotamento gastrico e sulla diversa dinamica dei componenti del cibo, la dove i lipidi rallentano notevolmente lo svuotamento gastrico. Beveroni di maltodestrine vengono oggi abitualmente, ed in piena sicurezza, somministrati fino a 2 ore prima dell’anestesia, con eloquenti, benefici risultati sull’outcome postoperatorio dei pazienti. La pratica di sopperire all’ipotensione con generose infusioni di “salina”, come la chiamano gli Anglosassoni, di fisiologica, come diciamo noi, tende ad aumentare l’acqua nell’extracellulare, e tende ad “ingolfare” il tessuto polmonare come il tessuto intestinale non consentendo la trasmissione dell’impulso nervoso. Per questo Fearon, Rianimatore a Edimburgo, considera la “salina” al pari di un veleno! è un invito al Collega Anestesista ad informarsi, come ha fatto il Chirurgo, su queste “nuove”, “antiche” esperienze, che già erano propugnate da Lord Joseph Lister nella seconda metà dell’800. L’impegno in questa pratica che si richiede è massimo per tutti gli operatori sanitari, ma il gioco vale la candela e il problema diventa allora a chi va la candela? Il risparmio dovrebbe essere diviso tra gli operatori. I paramedici hanno un ruolo fondamentale in queste pratiche, il medico diventando un vero e proprio coordinatore, una pedina di una vasta e composita equipe. C’è proprio qualcosa di nuovo oggi in chirurgia, anzi di antico, per dirla col Poeta. 2014 gennaio, febbraio - 33
“A light meal is mandatory just before surgery !”, sosteneva il padre della chirugia Inglese e a metà 800, ma ce lo siamo sempre dimenticato, forse anche per questo è nata ed ha prolificato, quella assurda patologia da restrizione di procedure nata e proliferata per paura della Magistratura. Kehlet, danese (e conviene sottolinearlo perchè gli Scandinavi sono noti per il loro rispetto del paziente), già dal 1997 ha stilato la pratica del suo procedere chirurgico, stabilendo che il paziente può alimentarsi per via orale con liquidi trasparenti (clear fluid, il latte è opalescente perchè contiene grassi, mentre il caffè dei Nordici è trasparente, e quindi può essere somministrato, così come il succo di mela contrariamente a quello di arancia che è torbido per la presenza di fibre) fino a due ore prima dell’intervento, con ripresa di un’alimentazione appena il paziente è in grado di alimentarsi. If the gut works, use it or loose it! Bengmark, Svedese, ripeteva nel 1997.
“Bisogna nutrire l’intestino sempre”, per evitare l’insorgere dell’infezione e l’ipotensione capace di necrotizzare la delicata struttura del villo intestinale e dare la stura alla traslocazione batterica. Il villo intestinale defunto e responsabile delle diarree del marciatore, per eccessiva riduzione di apporto di ossigeno sotto sforzo in anareobiosi. Ormai molti anni fa questa volta un Calabrese, mi ripeteva che si incomincia a morire sempre dall’intestino, intendendo tanto prima che venisse sottolineato da molti nutrizionisti, che il nostro apparato enterico non è così negletto come ci hanno sempre spiegato, e che rappresenta una fonte endogena di infezione, oggi come ai tempi di Semmelweiss. L’infezione, la più importante fonte di mortalità in chirurgia!
E non bastano i farmaci antibiotici, anzi non bastano più, perchè i batteri la cui popolazione ci sopravanza di 10 : 1 nel nostro corpo, diventano sempre più resistenti a questi farmaci, tanto che ormai le Ditte Farmaceutiche non impiantano più 34 - gennaio, febbraio 2014
linee di produzione di nuovi farmaci antibiotici, che sanno già divenire resistenti in pochi mesi d’uso, o di abuso. Già nel 1994 la World Health Organisation (WHO) promulgava la fine dell’era antibiotica. Ponendo lo spettro di una sanità priva di efficaci difese dall’attacco dei banali microbi che ci avevano falcidiato in passato. Quali farmaci avremmo potuto usare ? Ad esempio, nella pancreatite grave ha fatto di più il ricorso alla nutrizione enterale immediata di tutti quegli anti-proteasici che sono serviti solo alle casse delle ditte produttrici ed ai medici che li pubblicizzavano. La nutrizione del nostro intestino significa nut il principale organo immunitario del nostro corpo. Ne aveva parlato Wilmore, quando enunciava nei primi anni ‘70, che l’intestino è il motore della sindrome da shock, un concetto ribadito da Marshall nel 90, che definiva il nostro colon, l’ascesso non drenato. Si rischia di tornare ai concetti espressi da Metchikoff nel 1907, vinse peraltro il Nobel con quei concetti, che il nostro colon è un organo”inutile” e sicuramente dannoso almeno dopo i 60 anni, e che perciò andava asportato a tutti dopo quell’età. Molti ignorano che l’elemento importante e indispensabile è il muco intestinale, che ricopre come un tappeto tutte le cellule intestinali, e non è un elemento statico, ma in perenne divenire come un fiume verso la foce, suo destino, e in questo viaggio si trascina con sé batteri, cellule morte, frammenti di nutrienti. Rappresenta un po’ un nastro trasportatore di detriti non più utilizzabili.
Allora siamo sicuri che sia proprio così necessario preparare con clisteri “abrasivi” o con liquidi alcoolici lo strato mucoso intestinale ? O non è meglio rispettare il suo”ecosistema”, cioè in pratica mi ha risposto Kehlet a una mia precisa domanda a precisa domanda “il clistere lo si fa per il chirurgo, non per il paziente !” Il nutrimento.
In ultima analisi, il nutrimento deve essere considerato un beneficio per la cellula uomo nella sua globalità, sia esso un paziente normale, sia esso un paziente chirurgico. Già affrontata la chirurgia epatica e pancreatica, con l’adozione anche in situazioni critiche e di urgenza, come una pancreatite grave, o una resezione epatica maggiore, dove abbiamo risolto molte intricate situazioni con l’adozione della nutrizione enterale, non ci rimane che affrontare la chirurgia esofagea, per ottenere una alimentazione rapida più che per enterale per via naturale, cioè orale. La ripresa di una alimentazione”naturale” cioè orale, serve a spianare la via della dimissione al paziente, determinando la riduzione dei costi. Ridurre la degenza senza danno per il paziente, di questa chirurgia estremamente difficoltosa che coinvolge due fondamentali distretti corporei come il respiratorio ed il digerente, rappresenta un grande traguardo per il terapeuta, come per l’amministratore ed il politico. L’interesse verso la nutrizione in campo chirurgico è sempre molto viva, e lo dimostra il fatto che abbiamo quest’anno dovuto triplicare il nostro Convegno sulla nutrizione in chirurgia per le troppe adesioni. Molti colleghi sono stati esclusi perché le loro adesioni sono giunte quando ormai avevamo raggiunto il numero stabilito per avere crediti. E di questo ci dispiace, ma in un certo senso ci inorgoglisce e ci fa pensare di allestirne nel futuro altre edizioni
Dott. Gerardo Mangiante Dott. Giovanni De Manzoni
Bibliografia essenziale - Feng F, Ji G, Li JP, Li XH, Shi H, Zhao ZW, Wu GS, Liu XN, Zhao QC. Fast-track surgery could improve postoperative recovery in radical total gastrectomy patients.World J Gastroenterol, 2013, 21: 3642-8 - Fearon KC, Ljungqvist O, Von Meyenfeldt M, Revhaug A, Dejong CH, Lassen K, Nygren J, Hausel J, Soop M, Andersen J, Kehlet H. Enhanced recovery after surgery: a consensus review of clinical care for patients undergoing colonic resection.Clin Nutr. 2005, 24(3):466-77 - Azawi NH, Christensen T, Petri AL, Kehlet H Prolonged length of hospital stay in Denmark after nephrectomy. - Dan Med J. 2012, 59(6):A4446 - Kehlet H. Improving surgical outcome: combine evidence from unimodal interventions. Anesth Analg. 2012, 114(1):241 - Mendelson CL. The aspiration of stomach contents into the lungs during obsteric anesthesia. Am J Obst Gynecol 1946, 52: 191-205 - McFie J. Enteral versus parenteral nutrition: the significance of bacterial translocation and gut barrier function. Nutrition 2000: 435-44 - Kehlet H, Dahl JB. Anasthesia, surgery , and challenges in postopeative recovery. Lancet 2003 ; 3622, 1921-8 - Livingston EH, Passaro EP. Postoperative ileus. Dig Dis Sc 1990; 351 : 121-32 - Wiest R, Rath HC. Bacterial translocation in the gut. Best Practice & Research Clinical Gastroenterology 2003: 17: 397-425 - Barzoi G, Carluccio S , Bianchi B, Vassia S, Colucci G, Mangiante GL, Morphine plus bupivacaine Vs morphine peridural analgesia in abdominal surgery. The effects on postoperative course in major hepatobiliary surgery. HPB Surgery 2000, 11 : 393-9 - Dive A, Russo A, Fraser R, Horowitz M. The effects of hyperglicemia on small intestinal motility in normal subjects. Diabetologia 1996 ; 39: 984-9 - Zaloga GP, Roberts PR, Marik P. Feeding the hemodynmically unstable patient: a critical evaluation of the evidence. Nutrition in Clinical Practice 2003; 18: 285-293 - Bengmark S, Anderson R, Mangiante G. Uninterrupted perioperative enteral nutrition. Clin Nutr 2001, 20: 11-9 - Metchinkoff E. The prolungation of life . London, New York 1907 2014 gennaio, febbraio - 35
endocrinologia
Acromegalia: cosa c’è di nuovo? La prevalenza di questa patologia nella popolazione oscilla tra 40-60 casi/ milione. La causa? Un eccesso di ormone della crescita GH
L’
acromegalia è una rara malattia endocrina, descritta per la prima volta nel 1886 dal neurologo francese Pierre Marie che ne coniò il termine, ispirandosi al greco antico (ακροσ=estremità e μεγαλοσ=ingrandimento). Nella figura 1 è raffigurata in una litografia quella che potrebbe essere la prima immagine di un paziente acromegalico nella storia dell’umanità. La prevalenza di questa patologia nella popolazione oscilla tra 40-60 casi/milione, anche se da recenti indagini epidemiologiche sembra essere assai più elevata, se si considerano le forme “subcliniche” e/o “atipiche”, che vengono riconosciute con sempre maggior frequenza grazie al perfezionamento delle tecniche diagnostiche e alla
Dott. Giuseppe Francia
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maggiore conoscenza della malattia. L’incidenza è di 3-4 nuovi casi/milione all’anno. La causa è da ricondurre ad un eccesso di ormone della crescita (GH), che viene secreto da un tumore benigno (adenoma) dell’ipofisi, ghiandola endocrina situata alla base dell’encefalo, di piccole dimensioni ma importantissima perchè svolge un ruolo centrale nella regolazione del sistema endocrino. Il GH stimola l’accrescimento dell’osso attraverso l’induzione della sintesi epatica di una molecola, la somatomedina C, che ne media gli effetti. Il nome della malattia definisce solo un aspetto del fenotipo, che è quello più tipico e che più frequentemente richiama l’attenzione, e cioè l’aumento delle dimensioni delle mani e dei piedi, che costringe i pazienti ad allargare l’anello e/o ad aumentare il numero delle scarpe. Questi sintomi e la cosiddetta “facies acromegalica” (prognatismo, zigomi e fronte sporgenti) sono quelli che caratterizzano la presentazione clinica della malattia (figura 2). Nelle ultime due decadi tuttavia è emerso con sempre maggiore evidenza che la malattia è sistemica in quanto gli effetti dell’eccesso di GH non sono limitati all’apparato osteoarticolare, ma interessano gran parte degli organi e apparati. Ne viene come conseguenza che il quadro clinico è assai complesso e proteiforme, per la coesistenza di complicanze cardiovascolari,
Figura 1 - Bassorilievo del faraone Akhenaton 1365 ac
respiratorie, neurologiche e metaboliche. Queste alterazioni e la probabile maggiore predisposizione a sviluppare neoplasie spiegano perché la mortalità dei pazienti acromegalici, in assenza di un adeguato trattamento, è da 1,5 a 2 volte superiore a quella di soggetti normali di pari età e sesso. Nonostante il progredire della cultura medica, la durata del periodo di latenza tra l’insorgenza dei primi sintomi e la diagnosi, anche se diminuito negli ultimi anni, è da considerarsi tuttora eccessivo (3-8 anni) e può influire negativamente sulla prognosi. La possibilità di prevenire le conseguenze dell’ipersecrezione ormonale, che sono talvolta irreversibili, dipende infatti dalla precocità della diagnosi e dalla tempestività degli interventi terapeutici. I medici di medicina generale e gli specialisti, a cui questi pazienti spesso si rivolgono per sintomi attribuiti erroneamente ad altre patologie (gli ortopedici, i reumatologi, i cardiologici, i chirurghi maxillo-facciali, gli otorinolaringoiatri) sono chia-
Figura 2 - Tratti tipici di acromegalia
mati a svolgere un ruolo prioritario nel sospettare precocemente la malattia. All’endocrinologo invece spetta il compito successivo di completare l’iter diagnostico e di programmare la strategia terapeutica, che deve essere multidisciplinare e personalizzata. Di qui la necessità di sensibilizzare gli operatori sanitari a questa patologia, forse non così rara come si riteneva in un recente passato. è stato questo lo scopo principale del convegno sull’acromegalia, che si è tenuto a Verona il 13 dicembre 2013 presso il Policlinico G.B. Rossi. L’incontro è stato organizzato dalla Struttura di Endocrinologia della Medicina D della AOUI di Verona, che da anni si sta dedicando con passione a questa patologia, approfondendone alcuni aspetti fisiopatologici e clinici peculiari e ancora poco studiati, quali l’apnea notturna, l’apparente paradosso della fragilità ossea e le disfunzioni del sistema nervoso autonomo. I risultati sono stati pubblicati su importanti riviste scientifiche e presentati a congressi nazionali ed internazionali. L’evento ha rappresentato una occasione di confronto tra alcuni dei più qualificati specialisti del Triveneto e della Lombardia, che hanno discusso le problematiche ancora aperte e hanno illustrato le più recenti acquisizioni, con particolare riguardo alle novità terapeutiche, basandosi sulla propria esperienza oltre che sui dati della letteratura. La speranza è che il convegno abbia corrisposto alle aspettative di aggiornamento dei numerosi partecipanti, non solo endocrinologi ma anche medici appartenenti ad altre discipline. L’auspicio è che l’iniziativa abbia contribuito a rafforzare quel clima di collaborazione scientifica e di condivisione di esperienze cliniche che è essenziale per il progredire delle conoscenze e per il raggiungimento dell’obiettivo finale che, in ultima analisi, è quello di offrire al paziente uno standard di cura sempre più elevato. Dott. Giuseppe Francia Specialista in Medicina Interna Specialista in Endocrinologia Struttura funzionale semplice di Endocrinologia Ospedale Policlinico AOUI Verona 2014 gennaio, febbraio - 37
stress post trauma
Rewind Trauma Terapy: e la vita torna a sorridere Presso il CEMS di Verona è sorto il primo Centro per il trattamento dei disturbi da stress post traumatico con la tecnica ideata e sperimentata dal Dott. Muss
C
apita spesso di sentir parlare di incidenti gravi sia stradali (forse i più comuni), di terremoti, alluvioni e altre catastrofi naturali. In altro ambito, poi, non passa giorno in cui non riceviamo notizie di violenze fisiche, aggressioni, stupri, rapine nelle abitazioni con pestaggi e minacce, o di scontri a fuoco tra malavita e Forze dell’Ordine. Cronaca quotidiana quindi. Ma cosa accomuna tutti questi eventi, peraltro solo esemplificativi in quanto l’elenco sarebbe ben più lungo? Tutte le persone coinvolte porteranno dentro di loro immagini indelebili dell’accaduto per tutta la loro vita. Alcuni si riprenderanno, faticosamente, progressivamente e in qualche modo riusciranno ad inte-
Dott. David Muss
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grare gli eventi vissuti nella loro vita e lentamente rientreranno in un’esistenza regolare accettabile,f orse anche serena. Una gran parte invece - stimata fino al 25% - avrà grandi difficoltà a riprendere attività e relazioni normali. Alcuni non riescono più a lavorare o ad avere relazioni affettive o anche solo sociali come prima dell’evento traumatico. Quando noi leggiamo di questi fatti sui giornali siamo colpiti, costernati, indignati ma, dopo alcuni minuti, qualche ora al massimo, i nostri pensieri ritornano giustamente al quotidiano, ai nostri impegni, ai progetti. Questo non per indifferenza,superficialità,ma per un naturale meccanismo della mente che si protegge dal dolore e dalla paura rivolgendosi ad altro e permettendo così una vita più serena e non condizionata dalla sofferenza. Ma proviamo ad immaginare, al contrario, che a seguito di un vento sconvolgente la nostra mente non riuscisse più a staccarsi dalle immagini, dalle sensazioni, dai vissuti di un evento del tipo descritto sopra. Immaginiamo che a seguito di un evento traumatico particolarmente incisivo o di una serie di eventi ripetuti,non riuscissimo più a percepire la realtà intorno a noi come prima e che i ricordi di questi eventicontinuassero a fare irruzione nella mente occupando la memoria e la concentrazione indipendentemente dalla nostra volontà. Nemmeno il sonno, quando anche riesce a venire, è una via di fuga
in quanto gli elementi traumatici si incistano nel sogno e ritornano sotto forma di incubi facendo rivivere in modo ancora più realistico proprio ciò che vorremmo dimenticare. Può sembrare la trama di un film dell’orrore invece è proprio ciò che accade a moltissime persone ogni giorno. Gli effetti collaterali sono molteplici e spesso inducono a far ricorso all’uso e talvolta all’abuso di farmaci, di alcool o droghe per lenire (non risolvere) l’angoscia quotidiana, la paura irrazionale che ciò è accaduto potrebbe ripresentarsi in qualunque momento. è stato per dare risposta questo problema che da quest’anno è sorto a Verona presso il CEMS Centro Medico Specialistico il primo Centro per il trattamento dei disturbi da stress post traumatico (questo è il nome tecnico di questa sindrome) con la tecnica ideata e sperimentata dal Dott. David Muss. Il Dr.Muss dirigente a Birmingham del Post Traumatic Stress Disorder Unit presso l’Edgbaston Hospital e fondatore dell’A.R.T.T.,Association for Rewind Trauma Therapy ha iniziato, in collaborazione con il Dott. Sergio Poletti psicoanalista di Verona, a diffondere la sua tecnica utilizzata su un’ampia casistica,sia attraverso seminari in cui viene insegnato a Psicosi e Medici a trattare questo problema, sia occupandosi direttamente di pa-
zienti affetti da tale sindrome. Le peculiarità di questo approccio consiste, oltre che nella remissione della sintomatologia anche a lungo termine,nella rapidità dell’intervento stesso. Sono infatti sufficienti poche settimane di trattamento per ottenere una risoluzione totale nella maggior parte dei casi e un notevolissimo miglioramento, nel senso di un ritorno ad una vita comunque normale, nella peggiore delle ipotesi. Va da sè che questo servizio è diretto sia ai privati che a strutture il cui personale si trovi esposto ad eventi traumatici di varia tipologia (esempio Esercito, Forze Dell’Ordine, Vigili del Fuoco, Protezione Civile, ecc.) in quanto il trauma non coinvolge solo chi lo subisce ma anche tutti coloro che si trovano ad assistere in qualche modo. Presso il CEMS.di Verona - che si propone come riferimento per tutta Italia e per tutti i Medici, Psicologi e Psichiatri che si trovano ad incontrare tra i loro pazienti persone con problemi di questo tipo - è quindi possibile dare un ulteriore contributo per affrontare un disagio che per le implicazioni che comporta oltre che soggettivo ormai si presenta anche come problema sociale. CEMS Verona info: www.cemsverona.it 2014 gennaio, febbraio - 39
estetica
Faccia a faccia con la nostra pelle Con questo articolo il Dott. Gatti mette un po’ di ordine in merito ai trattamenti estetici, per stimolare a comprendere il valore delle singole metodiche
I
n un mondo difficile, in una società in cui bisogna sgomitare per trovare un piccolo spazio di manovra, ogni dettaglio che consenta una chance in più non viene più sottovalutato. In questo contesto è inutile negare che anche l’aspetto esteriore diventa, quindi, un mezzo per “conquistare “ una posizione migliore, oltre che favorire un buon rapporto con il nostro Io. Da ciò è facilmente intuibile, come la parte più esposta del nostro corpo, il viso, sia uno dei punti a cui viene rivolta maggior attenzione, indistintamente maschi e femmine cercano, quindi, di presentare un armonica immagine di loro stessi, che garantisca loro quell’attenzione da parte “degli altri” a cui può conseguire un maggior successo, sia nel lavoro che nella vita privata.
Dott. Alessandro Gatti
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I mass media e quella che oramai viene definita tv popolare accentuano questa tendenza, sia attraverso ospiti importanti sia attraverso persone comuni, ordinary people, che per un attimo vengono proiettati davanti a milioni di loro simili. Da qui la corsa, ora calmierata dalla crisi, verso tutto ciò che rende più belli: creme, peeling, filler (punturine), botox, massaggi, per arrivare agli interventi chirurgici (blefaroplastica, rinoplastica, lifting). Con questo articolo vorrei porre un po’ di ordine su tutti questi trattamenti, al fine di stimolare gli interessati a comprendere il valore delle singole metodiche così come i loro limiti; oltre 25 anni di esperienza chirurgica nel campo della Chirurgia Estetica, mi hanno insegnato che la chiarezza del chirurgo e la comprensione del paziente sono basi fondamentali per ottenere i migliori risultati possibili. La medicina estetica con i suoi trattamenti base e le famose “punturine” svolge essenzialmente un’azione di prevenzione e di “accompagnamento” dell’invecchiamento, sostanzialmente rallentandolo, i filler possono riempire le rughettine, anche se oramai mirano principalmente a ridare volume ai segmenti del volto più “svuotati”, il botox, invece, riduce l’attività di alcuni muscoli detti mimici e conseguentemente gli effetti da essi determinati, cioè le tipiche “rughe d’espressione” della fronte e della zona laterale degli occhi, le cosiddette crow’s feet. Rivitalizzanti, biostimolanti, skinboosters, creme, eccetera, mantengono ad un buon livello il trofismo dermo-cutaneo, garantendo la tonicità, l’elasticità e
la lucentezza del nostro miglior vestito: la pelle. In sostanza, l’assieme delle metodiche non invasive soprariportate e di facile esecuzione in ambulatorio, garantiscono un progressivo controllo dell’inevitabile invecchiamento, con dei risultati, che se accompagnati dalla costanza nell’applicazione dei trattamenti possono allontanare il momento in cui sarà necessario l’intervento chirurgico. Tutto ciò però non porta a risultati eclatanti, come certi visi di alcuni personaggi famosi del mondo del cinema e della tv, che intervistati negano pratiche chirurgiche, ma dicono di affidarsi solo alle creme prodotte in casa su ricetta della nonna Matilde, per quei risultati, invece, è proprio necessaria la chirurgia estetica!... e quanto più sono naturalmente belli e armonici, tanto più è stata fatta un’ottima chirurgia! D’altronde, pensate e magari provate a riassettare il letto usando il piumino per spolverare …. è impensabile un risultato anche banale, invece, se buttate tutto in aria e pian piano ridistendete lenzuola, coperte e copriletto, il risultato ci sarà eccome! Questo è ciò che avviene nel lifting moderno, quello più evoluto, non ci si limita a “togliere la pelle in più”, ma si riposizionano i muscoli mimici responsabili oltre che della rugosità del volto anche dello scivolamento dello stesso verso il basso, con la trasformazione, poco gradita, del viso, che in origine appare come un triangolo con l’apice in basso in un triangolo con
l’apice in alto. Il lifting moderno riporta il triangolo del volto in posizione ideale ed unitamente alla blefaroplastica, intervento che interessa la regione perioculare e che può esser disgiunto dal face-lifting, produce un reset dell’immagine del nostro viso che “ritorna al passato”. Rinoplastica e otoplastica sono interventi correttivi che non sono legati ai processi di invecchiamento, ma sono per così dire collegati ad un progetto costruttivo (patrimonio genetico) che ripropone forme non consone all’interno della propria discendenza; questo tipo di interventi correttivi sono definitivi, riportano l’armonia del volto verso un ideale fisionomico ben preciso. Tutti gli interventi sopra descritti si eseguono in anestesia locale assistita, che in parole semplici significa una dormitina (senza intubazione) con l’aggiunta di una anestesia della parte da trattare chirurgicamente, non è quindi necessario un ricovero notturno, ma solo di poche ore per verificare che non vi sia il minimo problema. Le tecniche moderne oltre che fornire dei recuperi veloci permettono una assenza dalla propria vita di relazione molto limitata, per cui è facilmente gestibile un tale tipo di correzione chirurgica in ogni periodo dell’anno.
Dott. Alessandro Gatti 2014 gennaio, febbraio - 41
BREVI
La Medicina dello Sport Coni di Verona compie 50 anni
L’ Istituto di Medicina dello Sport del CONI di Verona vanta una gloriosa tradizione. Venne inaugurato, come Centro di Medicina dello Sport, nel settembre 1963 per l’iniziativa di alcuni medici, veri pionieri della Medicina dello Sport: il dottor Giovan Battista Fraccaroli e il dottor Sinibaldo Nocini. Da allora ha costituito e costituisce un punto di riferimento per la moltitudine di ragazzi che si approcciano allo sport agonistico e per gli atleti adulti che praticano, nelle varie espressioni dell’attività amatoriale, l’agonismo. è stato anche una delle palestre formative per i giovani medici sportivi, alcuni dei quali hanno successivamente raggiunto importanti incarichi presso le Federazioni Sportive Nazionali del CONI e presso blasonate società sportive. Lo scorso sabato 14 dicembre 2013, presso la sede del CONI Provinciale in via Forte Tomba (Cadidavid), è stato celebrato il 50° anno dalla sua fondazione. All’evento sono intervenuti, oltre al delegato provinciale del CONI Stefano Gnesato ,il vice presidente nazionale e i presidenti della Federazione Medico Sportiva del Veneto e di Verona, rispettivamente Gabriele Petrolito, Lorenzo Spigolon e Roberto Filippini. In rappresentanza dell’Ordine dei Medici ha parlato Lucio Cordioli. è stata fatta memoria della intuizione da parte di un nucleo di medici precursori di creare una struttura per la medicina dello sport, disciplina allora agli albori ma che in Italia ha conosciuto un discreto sviluppo, alla pari con
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la domanda crescente di attività sportiva da parte della popolazione. Alberto Ciacciarelli e Pierluigi Tregnaghi hanno condotto e cadenzato i vari momenti della lunga storia dell’Istituto di Medicina dello Sport fino ai giorni odierni, avvalendosi delle testimonianze del prof. Pierfrancesco Nocini, di Letizia De Battisti, di Landino Cugola, di Alberto Manganotti e di Pietro Allegri. In sala erano presenti le varie generazioni di medici sportivi che vi hanno svolto l’attività, oltre ad alcune gradite presente esterne come il dott. Vincenzo Lamberti e la dottoressa Susi Campi, rispettivamente direttori del Centro di Medicina dello Sport di Vittorio Veneto e di Rovigo. Attualmente l’Istituto di Medicina dello Sport del CONI ha sede in via Filopanti n.3 a Verona e, nel solco della sua gloriosa tradizione, continua ad operare offrendo il suo competente e rigoroso servizio. Dott. Pierluigi Tregnaghi
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corpo e mente
Lo yoga... è benessere! Questa antica disciplina mette in moto l’energia di cui siamo costituiti, distribuendola in modo armonico in tutto il corpo attraverso i chakra
T
utti noi vogliamo stare bene, cerchiamo il benessere ovunque, spesso illudendoci di trovarlo fuori di noi. Molte sono le tecniche e le discipline, antiche e moderne, che possono aiutare l’individuo a ritrovare il proprio benessere. Lo yoga è una di queste: si tratta infatti di una disciplina sviluppatasi in India nel corso di cinquemila anni con l’obiettivo di educare il corpo, la mente e lo spirito. Oggi le sue antiche tecniche sono diventate uno dei metodi più diffusi per mantenersi in salute e per ritrovare un angolo di serenità nel panorama frenetico di ogni giorno. Dal punto di vista pratico, lo yoga
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mette in moto l’energia di cui siamo costituiti, distribuendola in modo armonico in tutto il corpo attraverso i meridiani usati anche in agopuntura e i chakra, specie di ‘porte rotanti’ che fanno entrare ed uscire l’Energia disponibile ovunque e di cui siamo espressione; attraverso le posizioni (asana) e il controllo del respiro (pranayama), lo yoga va a sbloccare l’energia ristagnante in alcune parti del corpo, la rende fluida e la porta laddove è meno presente, in tutte le direzioni e verso tutti gli organi, energizzandoli e migliorando così, complessivamente, la salute psico-fisica e la capacità di auto guarigione del corpo. Lo fa partendo dal corpo fisico, rendendolo più elastico e più sciolto grazie agli stimoli generati dalle posizioni da mantenere da pochi secondi a diversi minuti, dall’ascolto del corpo, dalla concentrazione che scaturisce dall’utilizzo consapevole del respiro. Sul piano fisico, il praticante impara così ad utilizzare solo i muscoli che in quel momento sono necessari a mantenere l’asana e a rilassare tutti gli altri, a raggiungere nuovi step con gradualità, a rilassarsi anche nelle situazioni di tensione; sul piano mentale invece inizia a sperimentare la possibilità d’essere presente a sé stesso nel qui ed ora. Quando avviene ciò anche la vita quotidiana cambia prospettiva per-
ché rimanendo nel presente non vi è più conflitto interiore tra i continui rimandi al passato e le proiezioni verso il futuro che costantemente l’uomo mette in atto; si inizia a vivere coerentemente nel presente, ascoltando il proprio corpo e le proprie emozioni ed imparando a fluire con ciò che c’è. Lo yoga, infatti, armonizza l’individuo unendo il corpo, la mente e l’energia che anima tutto ciò. Il termine yoga, che deriva dalla parola sanscrita yui ( “giogo”, “unione”) esprime l’intento di coordinare, attraverso la disciplina, le forze naturali, fisiche e mentali insite nella natura umana, armonizzandole con l’energia universale. Per raggiungere tale armonia il corpo è il punto di partenza, perché il recupero e la conservazione della salute fisica è la premessa per l’evoluzione spirituale. Il dolore, il decadimento fisico, le preoccupazioni, la sofferenza morale e la miseria sono infatti degli impedimenti a tale evoluzione. Per inoltrarsi nella via spirituale è quindi necessario rimuovere dapprima gli ostacoli che la impediscono. Il proverbio latino mens sana in corpore sano sintetizza questo principio di corrispondenza tra psiche e physis. Con la pratica costante dello yoga, infatti, non si soggioga solo il corpo ma anche la mente perché un’autocoscienza fisica induce un’autocoscienza psichica. In sostanza si attua un’unione tra corpo,
mente e spirito. Restando concentrati nella posizione (asana) e nel respiro si impara ad ascoltarsi, a conoscersi, a riconoscere i propri limiti e a superarli, ad essere coerenti con il proprio sentire perché nel momento in cui la mente si placa la voce del cuore può emergere. Strumento fondamentale per sperimentare unione ed armonia è il respiro che nello yoga viene impiegato abbinato alle asana o controllato con tecniche di pranayama. Il respiro è il leit-motiv di tutta la nostra vita, dalla prima inspirazione, quando veniamo alla luce sino all’ultima esalazione. Tutta la nostra vita è ritmata dal respiro. Un respiro che però è perlopiù meccanico ed inconsapevole. Ebbene, lo yoga traduce in consapevolezza questa meccanicità. Diventare consapevoli del respiro significa essere consapevoli di sé. Soffermarsi nell’intervallo tra un’inspirazione ed un’espirazione significa mettersi in contatto con quell’istante in cui non c’è né la vita né la morte ma una dimensione dell’anima che va oltre tutto ciò. Lì, in quell’istante di consapevolezza l’anima si dilata e va oltre lo spazio ed il tempo, va oltre la vita e la morte per raggiungere quella pace data dall’Unione con l’energia universale che tutto è. Gianna Tessaro 2014 gennaio, febbraio - 45
corpo e mente
Shiatsu, il piacere di sentirsi sotto pressione Questa antica tecnica giapponese scioglie le tensioni muscolari, libera il movimento articolare e agisce sulla circolazione energetica riequilibrandola
L
o Shiatsu (dal giapponese Shi = dito e atsu = pressione) è un prezioso strumento di prevenzione e mantenimento della salute che, attraverso pressioni eseguite prevalentemente con i pollici, le dita e il palmo delle mani su punti precisi del corpo detti punti vitali o Tsubo, migliora lo stato del nostro corpo. Scioglie tensioni muscolari, libera il movimento articolare, agisce sulla circolazione energetica riequilibrandola, l’individuo diventa consapevole del proprio corpo, delle proprie emozioni e pensieri. Le radici dello Shiatsu sono nel patrimonio culturale dell’ estremo-oriente, ma ha ricevuto in Giappone nei primi decenni del secolo scorso la codifica dei principi operativi su cui si fonda ad
Flavio Ceschi
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opera del M° Tokujiro Namikoshi. Dal Giappone si e’ affermato prepotentemente nel mondo, Italia compresa, a partire dagli anni Settanta. La caratteristica principale dello Shiatsu è la pressione portata dall’operatore sul ricevente, mantenendo la perpendicolarità ossia attraverso un respiro lungo e profondo, la costante nella quantità di peso portato sul punto, la concentrazione identificata come consapevolezza …... Tutto questo, unito ad un ritmo lento armonizzato da un respiro lungo, permette di agire non solo sul fisico ma anche sulla dimensione emotiva e psichica del ricevente. La forza di questa pressione deriva dalla centratura dell’operatore in Hara, quella zona sotto l’ombelico di grande importanza per gli orientali e che costituisce il vero baricentro fisico ed energetico del corpo umano e dei suoi movimenti. Abbiamo parlato di punti vitali, dobbiamo tenere in considerazione anche dei meridiani, che secondo la Medicina Tradizionale Cinese (MTC) sono una serie di canali (non anatomici) nei quali scorre l’energia vitale di ogni individuo, che si estendono in senso longitudinale per tutto il corpo. Il trattamento Shiatsu deve essere effettuato in una condizione di tranquillità, l’operatore si relaziona al ricevente con un dialogo non verbale, affidato unicamente alle mani ma intenso ed efficace. Pertanto lo Shiatsu può essere definito non solo un
trattamento manuale o una pratica per il benessere della persona, ma una disciplina, un arte, uno stile di vita. Shiatsu e sport
Una normale attività sportiva, può essere praticata indistintamente da uomini e donne, da bambini, adulti e anziani. Chi pratica sport in maniera costante e assidua può rischiare col tempo di usurare tendini, articolazioni e muscolatura, molto spesso, pur essendo “in forma”, soffre di affaticamento o di stanchezza generale. Per questo il mantenimento del tono muscolare e di una buona flessibilità può prevenire eventuali traumi. Per un atleta prevenire gli infortuni significa mantenere nel miglior modo il proprio stato di salute, mantenendo in equilibrio l’energia del nostro corpo, in mancanza del quale (secondo la MTC) possono venir meno le condizioni di salute. E sono in quei momenti in cui l’atleta sarà più soggetto ad infortuni o eventualmente se l’infortunio è già avvenuto il suo recupero sarà molto più lungo. Per mantenere il giusto equilibrio energetico si può far ricorso allo Shiatsu, con la finalità di sostenere, mantenere e migliorare lo stato di salute, di stimolare e
rinforzare in modo non invasivo le risorse vitali della persona, intesa come entità globale e indivisibile. I trattamenti Shiatsu diretti agli atleti si basano sulla prevenzione ristabilendo l’equilibrio energetico ed in caso di infortunio già avvenuto il trattamento si baserà sulla riduzione del dolore della zona interessata e sul recupero. Nel caso di infortunio e quindi di impossibilità di trattare direttamente la zona colpita, si potranno adottare tecniche per la riduzione del dolore. Scomparso il dolore, individuato il meridiano colpito e quindi scarico energeticamente, si andrà a trattare direttamente il meridiano o determinati punti sul meridiano stesso. L’applicazione delle tecniche shiatsu può essere estremamente utile in molteplici campi dello sport dilettantistico e agonistico, in quanto rappresenta un ottimo supporto nella prevenzione e nel trattamento di disturbi o infortuni nei quali incorrono sovente gli atleti, permettendo il riequilibrio psicofisico necessario a un adeguato svolgimento dell’attività sportiva. I trattamenti shiatsu permettono di agire con effetti benefici sui fattori primari che influenzano l’attività e la prestazione sportiva del soggetto praticante, tra i quali lo sta2014 gennaio, febbraio - 47
to mentale e psichico dell’individuo, la resistenza allo sforzo, il recupero delle energie impiegate, l’incremento della concentrazione, la riduzione degli stati d’ansia, il potenziamento della tonicità ed elasticità muscolare, l’aumento della mobilità articolare. Quindi utile non solo per un aspetto puramente fisico, infatti il nostro corpo tende a mantenere una condizione di equilibrio generale, nel caso in cui forze esterne quali stress fisici, emotivi e mentali inducano a qualche squilibrio o blocco interno si dovrà cercare di ristabilire l’equilibrio naturale. Durante la seduta l’atleta si rilassa, scioglie le tensioni muscolari ed emotive che riguardano il pre e il post attività, armonizza la respirazione e regolarizza il battito cardiaco, ha la percezione di ricevere una piacevole sensazione defaticante e 48 - gennaio, febbraio 2014
riequilibrante. Attraverso la pressione portata dall’operatore avviene un rilassamento della muscolatura, liberando il sangue che si trova nei muscoli contratti, maggiore quantità di sangue nelle zone fredde, migliora l’apporto di ossigeno, permettendo l’eliminazione delle tossine, le sostanze responsabili della fatica. I trattamenti di stimolazione energetica devono essere praticati almeno alla vigilia della competizione sportiva. Meglio se viene applicata anche durante tutta la settimana di allenamento. Le tecniche di stiramento, mobilizzazione, apertura e rilassamento, utilizzate nello Shiatsu sono particolarmente efficaci per tutti i dolori o contrazioni muscolari, tendinei ed articolari: il lavoro svolto è in grado di allungare la muscolatura, diminuendo la tensione sulle articolazioni e giunture, ridando mobilità e scioltezza agli arti. Inoltre, la pressione perpendicolare, costante e concentrata su particolari punti del corpo (tsubo), permette il rilassamento sia muscolare che psichico della persona, facendone diminuire la tensione che va a ripercuotersi sulla muscolatura. Unendo lo stiramento dei meridiani energetici con la pressione su determinati punti è la tecnica perfetta che unisce stretching e trattamento del meridiano, portando l’atleta a fruire del massimo beneficio ottenendo sia maggiore elasticità muscolo tendinea, che maggiore mobilità delle articolazioni e sappiamo quanto l’allungamento muscolare riveste un ruolo fondamentale per atleti praticanti sport sia a livello amatoriale che agonistico. Lo shiatsu può essere di supporto per il superamento di alcune situazioni perché prende in considerazione l’intero sistema uomo, cioè oltre l’aspetto esteriore anche l’aspetto interiore. Inoltre aiuta a recuperare più facilmente le energie anche dopo gare estremamente dure: durante la seduta avviene infatti un cambiamento visibile dell’espressione e dello stato energetico anche perché l’atleta si rilassa, lascia uscire la tensione, respira in modo lento e profondo e non pensa alla gara, ma solo al proprio corpo. I trattamenti Shiatsu permettono di ridurre il livello d’ansia e le paure prima della gara dell’atleta consentendogli un maggiore controllo psicofisico
dei suoi mezzi durante competizione, evitando livelli di elevata tensione, principali cause di dispendi irregolari di forze e di diminuzione del grado di concentrazione. Dopo un trattamento Shiatsu l’atleta, anche a distanza di ore, si sente più leggero, maggiormente equilibrato e prova un piacevole senso di calma, condizione che gli permette di essere più lucido mentalmente e con un buon livello di concentrazione. Questo, inoltre, aiuta l’atleta ad evitare tutti quegli infortuni o incidenti dovuti a disattenzione. Non è necessario “essere malati” per fare ricorso allo shiatsu: se praticato con una certa regolarità, lo shiatsu rappresenta un ottimo sistema di medicina preventiva per preservare e mantenere l`energia psicofisica nel suo stato di equilibrio ottimale. Il trattamento si adatta alla persona, non è standardizzato ma si confà alla persona in quella determinata seduta. Nonostante lo shiatsu sia conosciuto in Europa da diverse decine di anni, è poco diffuso in ambito sportivo. Solo recentemente si sta diffondendo maggiormente l’utilizzo di questa “arte per la salute” nelle discipline sportive. Il lavoro proposto è rivolto ad atleti amatori, ma anche ad atleti più evoluti, nella prevenzione degli infortuni e nel riequilibrio dello stato energetico. Ricevere con regolarità dei trattamenti shiatsu può ulteriormente aiutare sia un amatore che un professionista a migliorare e ottimizzare il suo stato di salute psicofisica e il suo rendimento. Lo shiatsu inserito un programma di allenamento costituisce un valido aiuto per potenziare i risultati sportivi ed esprimere al meglio i talenti individuali. Un trattamento Shiatsu dura circa un’ora e generalmente è sufficiente una seduta a settimana per garantirsene i benefici. Flavio Ceschi Operatore Shiatsu iscritto A.P.O.S. e D.B.N. Associazione Professionale Operatori Shiatsu e Discipline Bio-Naturali info: flaviomarathon@libero.it
L’origine dello shiatsu A partire dal VI secolo giunsero e si stabilirono in Giappone dei monaci buddisti che favorirono una larga diffusione dei princìpi della medicina tradizionale cinese e ne costituiscono il fondamento teorico. Dopo secoli di diffusione, nel 1911 venne emanata una legge che riconosceva ufficialmente l’agopuntura, l’an-ma e la mo-xa. La stessa legge lasciava la possibilità di praticare anche altre forme di trattamento non riconosciute e questo avrà una particolare rilevanza nella nascita e nello sviluppo iniziale del metodo Shiatsu. Infatti nel 1964, una nuova normativa definì lo Shiatsu come una forma di cura autonoma e distinta dalle altre tecniche venendo così definito: “La shiatsuterapia è una forma di manipolazione che si esercita con i pollici, le altre dita e i palmi delle mani senza l’ausilio di strumenti, meccanici o d’altro genere. Consiste nella pressione sulla cute intesa a perseguire e conservare lo stato di salute dell’individuo nella sua interezza”. Cominciano così a ricoprirsi di prestigio le prime scuole specifiche per il suo insegnamento e tra queste quella creata nel 1940 da Tokujiro Namikoshi, che ha avuto il merito di essere stato il primo a dare una organizzazione didattica essenziale alla metodologia Shiatsu. Successivamente il Maestro Shizuto Masunaga, inizialmente collaboratore di Namikoshi, ha elaborato una metodologia di Shiatsu che si basa sulla visione energetica del ricevente in quanto persona, fondando l’associazione di Shiatsu Iokai. L’apporto di Masunaga in termini di evoluzione è stato determinante per il successivo sviluppo dello Shiatsu oltre i confini del Giappone. Fin dalla sua nascita, che risale al periodo tra le due guerre mondiali si è caratterizzato per la staticità della pressione che viene portata perpendicolarmente alla superficie del corpo. Infatti non esistono nello Shiatsu sfregamenti, impastamenti, manipolazioni, utilizzo di oli o altro; le pressioni entrano in profondità senza scivolare sulla pelle e producono uno stimolo a cui l’organismo della persona trattata “risponde”, recuperando e manifestando dal profondo le proprie risorse vitali. In Italia come nel resto d’Europa lo Shiatsu si diffonde all’inizio degli anni settanta, quando trova un ambiente particolarmente favorevole alla propria diffusione ed al proprio sviluppo, come “terapia alternativa” in risposta alla crescente domanda di salute ed alla difficoltà a fornire risposte della medicina istituzionale.
psichiatria
Perchè le diete non funzionano e il punto di vista somato-relazionale La questione alimentare è solo un aspetto della complessità dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare
L’
Organizzazione Mondiale della Sanità classifica l’obesità nell’ambito delle Malattie endocrine, nutrizionali e metaboliche; dal punto di vista clinico l’obesità s’intreccia tuttavia con la storia del soggetto e con il suo stile di vita, aprendo uno scenario nuovo che mira a riformulare l’approccio usuale all’obesità con un approccio globale e multidisciplinare in grado di gestire la complessità della patologia. Molto spesso è con la forza della ragione che la persona obesa intraprende una dieta dimagrante, ma, a distanza di tempo, non solo non riesce a mantenere i risultati raggiunti, spesso peggiora la situazione, riprendendo i chili persi con gli interessi. La questione alimentare è però solo un aspetto della complessità dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare: la dimensione più visibile e superficiale seppur capace di incidere il corpo in profondità. L’immagine di un corpo troppo magro o eccessivamente appesantito nasconde infatti una molteplicità di tematiche che non si possono ridurre al rapporto col cibo ma che interrogano la sfera delle relazioni interpersonali: il rapporto con i genitori, con l’altro sesso, con i propri desideri, con il proprio ideale di corpo. Per questo ritengo che l’obesità e i disturbi alimentari non siano malattie dell’appetito che problematizzano il rapporto col cibo, ma malattie “della relazione” che nascondono la paura dell’incognita che rappresentano i legami affettivi e sociali. I nostri 50 - gennaio, febbraio 2014
tempi propongono in modo incalzante “l’oggetto” e il consumo dell’oggetto come rimedio alla difficoltà di esistere: l’oggetto droga, l’oggetto cibo, lo psicofarmaco, il gioco d’azzardo, la realtà virtuale. Gran parte delle persone che soffrono di obesità utilizzano l’oggetto cibo come risposta alla fatica di vivere, fondamentalmente come un antidepressivo, senza però valutare che questo presunto ri-
medio si ribalta poi in una dipendenza patologica, che aumenta, anziché ridurre, il sentimento di svalorizzazione di sé stessi. L’oggetto è utilizzato per riempire un vuoto, ma gli esseri umani non possono riempire davvero il vuoto esistenziale con gli oggetti, bensì con i legami affettivi, con l’amore. E se le cose stanno così, significa che non è possibile curare davvero il corpo se non ci si occupa nello stesso tempo della relazione mente e corpo e della relazione soggetto e ambiente. C’è inoltre, a mio avviso, un altro problema molto importante, che riguarda la nostra cultura e che influenza negativamente i buoni propositi dietetici, e cioè che noi, per cultura, “abitiamo” nel mentale e questo comporta che noi trattiamo il corpo come “altro da noi”, da ricercare quando desideriamo che ci dia piacere, oppure quando si ammala, oppure quando non corrisponde alle aspettative della nostra mente. Noi siamo figli di una lunga tradizione dualistica che pensa che siamo fatti di Anima e corpo. Da dove viene questa
impostazione? Viene dalla Grecia antica, da Platone. Il concetto di Anima è introdotto da Platone per una ragione molto importante. Dice Platone: “...se vogliamo costruire un sapere che sia valido per tutti non possiamo far riferimento alle manifestazioni corporee, cioè alla certezza sensitiva”. Se dovessimo chiedere a varie persone, ad esempio, che temperatura c’è in questo momento, e ciascuno dovesse far riferimento al proprio corpo, nascerebbero tante temperature quanti sono i corpi. Perciò, secondo Platone, il nostro corpo non è assolutamente un criterio di verità, non possiamo fare affidamento sul corpo per costruire un sapere universale e valido per tutti, ma sui costrutti della mente, e quindi su numeri e idee. In questa maniera Platone imposta quello che oggi chiamiamo il pensiero scientifico. Il corpo è quindi svalutato per un’esigenza di metodo, di conoscenza, non perché spregevole, ma semplicemente perché non è affidabile nelle sue 2014 gennaio, febbraio - 51
informazioni. Agostino, nel 400, raccogliendo l’eredità platonica, introduce il concetto di Anima come luogo della verità facendo nascere il concetto di interiorità. L’anima diviene luogo dell’identità personale, luogo della rivelazione della verità e dell’accoglimento della parola di Dio. Agostino usa il dualismo di Platone, lo sottrae a un problema metodologico di conoscenza e lo inserisce nel problema della salvezza. Salvare l’Anima diventa l’imperativo categorico dei cristiani. Qui comincia la mortificazione del corpo perché impedimento dell’Anima. Questa tradizione occupa tutto il percorso del medioevo fino al 1600 con la nascita della scienza moderna: Cartesio. Cartesio fa un’operazione che radicalizza il dualismo di Platone: noi possiamo fare scienza solo con idee chiare e distinte, le idee della fisica, che allora era la scienza emergente. Nasce quello che noi conosciamo come corpo della medicina. Ma cosa c’entra tutto questo con le diete che falliscono, con il peso e l’equilibrio alimentare? C’entra eccome, perché riappropriarci del corpo, imparare ad ascoltarlo e a interpretarlo, significa, 52- gennaio, febbraio 2014
ad esempio, comprendere quanto il corpo, attraverso la contrazione muscolare sia somatica sia viscerale, entri prepotentemente nella regolazione delle emozioni. Noi non possiamo evitare lo stress, possiamo solo imparare a gestirlo, quindi, per evitare che le emozioni ansiogene e depressive derivanti dallo stress creino in noi una contrazione muscolare cronica e per evitare che questo stato di tensione si scarichi inconsapevolmente sotto forma di un’alimentazione incontrollata, oppure sotto forma di malattie psicosomatiche (torcicollo, gastrite, colite, cefalea muscolo tensiva, lombalgia ecc…), dobbiamo imparare ad ascoltare il nostro corpo, percepirne lo stato di tensione e magari organizzare un modo di stare al mondo che tenga in considerazione una attività fisica regolare, degli spazi di libertà che permettano di scaricare la tensione che accumuliamo nella nostra vita quotidiana. Dott. Luigi Bergamo Medico Chirurgo, Psichiatra, Psicoterapeuta, esperto in disturbi del comportamento alimentare, dietologia
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BREVI - libri
“A tu per tu con te”:manuale di auto-aiuto per il rilassamento
Grazie alla sua capacità di guardare le persone, “vedendole davvero”, unita alla passione di “far comprendere”, lo psichiatra veronese Paolo Martelli presenta “A Tu Per Tu Con Te” un manuale di divulgazione e approfondimento delle tematiche concernenti il rilassamento. Paolo Martelli è Medico Chirurgo, Psichiatra e Psicoterapeuta (iscritto all’Albo della Regione Veneto), vive, opera ed esercita tutt’ora la libera professione a Verona. Esperto in tecniche ipnotiche (si è formato presso l’Istituto Italiano di Studi di Ipnosi Clinica e Psicoterapia di Verona), Operatore di Training Autogeno (studi effettuati presso il Centro Italiano Studio Sviluppo Psicoterapia a Breve Termine di Padova), e cultore di Musicoterapia (con frequenza presso la Scuola di Musicoterapia Immaginativa di Trento). Questo manuale di auto-aiuto è molto utile perché in maniera semplice e chiara fornisce informazioni sulle tecniche di rilassamento facilmente applicabili dalle persone che intendono avvalersene. L’efficacia del rilassamento è ampiamente documentata da numerosi studi clinici e non si insiste mai abbastanza sulla necessità dell’allenamento quotidiano affinché il rilassamento possa veramente funzionare. Per questo fornire indicazioni precise sulla tecnica diventa uno strumento indispensabile per favorire l’autonomia delle persone nella pratica giornaliera. Inoltre il manuale fornisce informazioni precise sulla funzione di ogni esercizio, sulle parti del corpo interessate e prevede una gradualità che è sicuramente indispensabile per approfondire il rilassamento stesso. Utili sono anche gli accenni alla
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musicoterapia e alla scelta dei brani. Le caratteristiche principali di tali tecniche sono: la facilità di esecuzione, l’immediatezza di apprendimento, la rapidità d’azione e la possibilità di essere riprodotte in qualsiasi momento e condizione, in totale autonomia dal terapeuta. Il libro descrive vari approcci, spunti ed esempi per poter collegare tra loro le varie tecniche e poterle strutturare in un’unica esperienza : esercizi di rilassamento, respirazione consapevole, immagini di calma, cenni di musicoterapia e brevi note di mindfulness. “A tu per tu con te” è una lettura scorrevole, molto chiara, facilmente “assimilabile” e le tecniche riportate sono davvero efficaci per migliorare la qualità della nostra vita. Dottor Martelli, da dove nasce l’esigenza di comunicare qualche rimedio antistress al pubblico? Semplicemente ho cercato di riportare sulla carta una serie di esperienze di rilassamento che ho notato essere di migliore efficacia clinica e di maggiore fruibilità da parte delle persone che hanno deciso di effettuare un percorso con me. In che modo le tecniche proposte possono migliorarci la qualità della vita? Condizione essenziale è dedicarsi al rilassamento con convinzione e regolarità. Anche pochi minuti al giorno sono sufficienti. In secondo luogo tali esercizi ci aiutano a riprendere confidenza con noi stessi e a dedicarci del tempo prezioso. Tutto ciò si traduce in benessere psicofisico , in maggiore tranquillità ed in un approccio più sereno alla vita. Dopo la stesura di questa opera prima, ha già in mente qualche argomento per un eventuale prossima pubblicazione? Mi piacerebbe approfondire e riflettere con i miei lettori sul senso di colpa e sulle sue devastanti ripercussioni sulla nostra psiche. Cercherò sempre di mantenere un taglio divulgativo , utilizzando un linguaggio comprensibile per tutti.
mater salutis legnago
Nuova tecnica mini invasiva per operazioni di protesi d’anca Nell’ambito degli accessi chirurgici meno invasivi, sono stati recentemente introdotti dei nuovi approcci chirurgici all’anca come l’accesso anteriore
L’
Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia di Legnago, diretta dal Dott. Marco Cassini, ha messo a punto nuove procedure nella chirurgia dell’anca. “Grazie all’impegno e alla professionalità dei nostri medici specialisti ortopedici sempre alla ricerca di ciò che è meglio per i pazienti - afferma Massimo Piccoli, Direttore Generale dell’Azienda Ulss 21 di Legnago - sono stati fatti ulteriori passi in avanti nell’ambito della chirurgia dell’anca. Esprimo il mio apprezzamento a tutta l’equipe chirurgica ortopedica e all’iniziativa del Dott. Michele Trevisan che ha appreso nuove tecniche, inizialmente presso gli ospedali italiani ed esteri, per poi sperimentarle e perfezionarle in centri di anatomia e dissezione anatomica
Dott. Marco Cassini
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in Austria e Germania”. “La chirurgia dell’anca nell’ultimo decennio ha subito un’importante evoluzione - spiega Marco Cassini, Direttore dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Mater Salutis di Legnago - se prima era considerata solo come trattamento della patologia degenerativa nell’anziano ora è diventata anche chirurgia preventiva. Se infatti un tempo le indicazioni chirurgiche per l’articolazione coxo-femorale erano prevalentemente di tipo protesico, attualmente, laddove possibile, si considerano sempre più interventi conservativi che rispettino l’articolazione e permettano di prevenire o ritardare procedure chirurgiche maggiormente invasive prima riservate solo alle persone anziane. Questo è stato possibile grazie all’introduzione di nuove procedure quali l’artroscopia dell’anca che consente in alcuni casi di ritardare l’evoluzione verso forme di artrosi conclamata. Tale intervento è indicato nelle persone giovani in casi selezionati con quadri di preartrosi. L’introduzione inoltre di nuove tipologie di protesi, con nuovo design come gli steli corti, consente un “risparmio di osso” ed in ultima analisi una minor invasività. Tale tipologia di protesi va ad affiancare le cosiddette protesi di rivestimento (indicate nel paziente giovane) già in uso da diversi anni presso la nostra Unità Operativa. Nell’ambito degli accessi chirurgici meno invasivi, sono stati recentemente introdotti dei nuovi approcci chirurgici all’anca
come l’accesso anteriore. I vantaggi di tale accesso chirurgico sono rappresentati da una cicatrice cutanea ridotta a circa 8-9 cm di lunghezza, un minor dolore post operatorio ed una più rapida ripresa funzionale. È una tecnica chirurgica non adatta a tutti i pazienti come, ad esempio, gli obesi o con alterazioni morfologiche importanti del femore e del bacino”. Prosegue Cassini: “Sempre nell’ambito della chirurgia protesica ma con attinenza alla protesica di ginocchio che sta registrando un grande impulso nel nostro dipartimento seguendo il trend mondiale, una importante novità introdotta già da tempo riguarda la cosiddetta Patient Specific Instruments (PSI) in altre parole una Strumentazione Specifica per il Paziente. Questo consente attraverso uno studio TC preoperatorio la costruzione delle guide di taglio su misura per ciascun paziente superando gli svantaggi della chirurgia computer assistita ma conservandone i vantaggi.
Questi sono rappresentati da una maggior accuratezza del posizionamento della protesi, da una minor invasività con riduzione del sanguinamento, un ridotto tempo chirurgico, un ridotto tempo di degenza ed una ottimizzazione dei risultati”. “è altresì chiaro - conclude Direttore dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Mater Salutis - che tutte queste procedure non sono utilizzabili per tutti i pazienti ma sarà solo il chirurgo che, sulla base della sua esperienza, potrà porre la corretta indicazione per l’utilizzo di tali tecniche che vanno ad affiancarsi a quelle in uso da tempo sia per le protesi primarie che nella chirurgia di revisione”. “La nuova tecnica - evidenzia il Dott. Michele Trevisan, specialista ortopedico - consente un approccio conservativo e rispettoso dell’anatomia dell’articolazione. La procedura anatomica permette di risparmiare i muscoli e i tessuti con un danno minimo degli stessi consentendo così una perdita ematica minore rispetto alle tecniche tradizionali e una ripresa funzionale del paziente più rapida. Tale procedura chirurgica è stata utilizzata anche nelle fratture di collo femore riportando gli stessi vantaggi ottenuti nella chirurgia degenerativa. Per l’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia di Legnago questa nuova tecnica rappresenta uno strumento in più riservato a casi clinici scrupolosamente selezionati”. Mi. Tr. 2014 gennaio, febbraio - 57
artrosi
Combattere l’artrosi con la terapia viscosupplettiva orale Quando non si può intervenire chirurgicamente questa terapia permette di trovare un equilibrio tra il mantenimento della funzione articolare ed il rallentamento della progressione dell’artrosi
L’
artrosi è una malattia articolare ad evoluzione cronica caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico della cartilagine articolare. Può colpire tutte le articolazioni, ma si manifesta più spesso in corrispondenza di anche, ginocchia, alluce e dita delle mani. Nei Paesi Occidentali essa è presente nella maggior parte delle persone sopra i 65 anni e in circa l’80% di quelle oltre i 75 anni. L’artrosi del ginocchio, o gonartrosi, è caratterizzata da altissimi tassi di prevalenza ed è una importante causa di disabilità nella popolazione generale; a causa dell’allungarsi della vita media, questo tipo di patologia è sempre più frequente: si pensi che se nel 1997 negli USA si stimavano esserci circa 43 milioni di pazienti affetti da gonartrosi, nel 2020 saranno oltre 60 milioni. Clinicamente il sintomo chiave della patologia artrosica è il dolore: questo si verifica quando si sottopone l’articolazione interessata a sforzi anche lievi ed è generalmente accompagnato da rigidità, specialmente al mattino. Possono essere inoltre presenti gonfiore e, nelle fasi più evolute, la deformità del segmento affetto. L’eziologia o causa della patologia è multifattoriale: vi concorrono fattori genetici (artrosi primarie), flogistici (artrosi in corso di artriti), dismetabolici
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(diabete, gotta), stili di vita (obesità, fumo) o meccanici (artrosi da abuso articolare o instabilità). Bisogna sempre considerare che l’artrosi è correlata al fisiologico processo di invecchiamento del tessuto cartilagineo, unito all’usura che inevitabilmente si verifica nel corso degli anni. La metafora con i pneumatici di un auto è forse la più adatta per comprendere come avvenga il consumo delle nostre articolazioni: la durata di un penumatico dipende da molti fattori tra cui la quantità di strada che percorre, la velocità a cui si conduce l’automobile, il tipo di terreno su cui si viaggia, la corretta pressione delle camere d’aria. Allo stesso modo le nostre ar-
ticolazioni subiscono un consumo progressivo che può venire accelerato da fattori quali l’obesità, il sovraccarico da sport, patologie metaboliche, eventi traumatici. Senza dimenticare che con il passare del tempo il pneumatico tende a perdere le caratteristiche di elasticità e tenuta di strada che aveva in principio, così come la nostra cartilagine tende a divenire più fragile e meno elastica dopo la quinta decade di vita. Ma cos’è la cartilagine? La cartilagine è un tessuto presente all’interno di tutte le nostre articolazioni che riveste il tessuto osseo sottostante e lo protegge dalle forze di attrito e dagli stress legati al carico. Possiede speciali proprietà di elasticità, resistenza e lubrificazione, grazie ad una caratteristica composizione chimica: essa è costituita da cellule altamente specializzate, i condrociti, e da una sostanza che li circonda detta sostanza fondamentale. La sostanza fondamentale è composta di macromolecole di proteoglicani raccordati da molecole di acido Ialuronico che le conferiscono proprietà simili ad una spugna, in grado cioè di assorbire grosse quantità di acqua (circa il 70% della sua composizione); ciò le garantisce un eccezionale resistenza agli stress compressivi. La cartilagine articolare agisce in sinergia con il liquido in cui è immersa, il liquido sinoviale. Di
aspetto chiaro e viscoso, esso è costituito da un filtrato plasmatico contenente, tra le altre cose, acido ialuronico. Il liquido sinoviale agisce come lubrificante e garantisce l’apporto nutritivo alla cartilagine articolare. Ciò che rende la cartilagine così preziosa sono le sue scarsissime capacità rigenerative: proprio per questo la cura delle patologie cartilaginee e dell’artrosi è oggetto di numerosi dibattiti tra la comunità scientifica internazionale, impegnata a sviluppare terapie sempre più efficaci per la sua cura e rigenerazione. Le lesioni cartilaginee possono venire classificate in gradi sulla base della loro gravità; in tal senso la classificazione più diffusa è quella postulata da Outerbridge nel 1961, che distingue 5 gradi di danno espressi sulla base delle dimensioni della lesione, della qualità del tessuto cartilagineo e della profondità della lesione. Secondo questa classificazione, lesioni di primo grado sono caratterizzate da alterazioni nella qualità del tessuto condrale; i gradi più elevati sono contraddistinti dall’ulcerazione della superficie cartilaginea e, via via che aumenta la gravità, dall’aumento delle dimensioni e della profondità della lesione. Il grado V, il più grave, è caratterizzato dall’esposizione dell’osso subcodrale, che significa l’assenza completa del rivestimento cartilagineo. 2014 gennaio, febbraio - 59
La terapia viscosupplettiva. Sulla base di questa classificazioni numerosissime strategie terapeutiche sono state sviluppate negli ultimi decenni, garantendo all’ortopedico una ampia gamma di “armi” per guarire i propri pazienti. Fine ultimo della terapia dell’artrosi è eliminare il dolore e garantire una funzionalità articolare sufficiente a ripristinare una qualità della vita adeguata alle esigenze di ogni singolo individuo. In questo senso la terapia viscosupplettiva riveste un ruolo fondamentale in quei pazienti in cui non sia indicata la terapia chirurgica e si voglia trovare un equilibrio tra il mantenimento della funzione articolare ed il rallentamento della progressione dell’artrosi. Per viscosupplementazione si intende limitare l’azione erosiva a carico delle superfici articolari promuovendo il ripristino delle caratteristiche fisiologiche del liquido sinoviale. In un paziente sano il liquido sinoviale è altamente viscoso e questo garantisce la lubrificazione e l’attenuazione dello stress da cari-
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co, proteggendo quindi la superficie articolare. Nel paziente artrosico vi è una riduzione della concentrazione e del peso molecolare dell’acido ialuronico che provoca una riduzione dell’elasticità e della viscosità del liquido sinoviale. Il concetto di viscosupplementazione è stato introdotto da Balazs e Denlinger negli anni ’70 quando per primi descrissero l’iniezione di Acido Ialuronico all’interno dell’articolazione del ginocchio. L’Acido Ialuronico (HA) è il principale glicosamminoglicano della sostanza fondamentale del tessuto connettivo; chimicamente è un polisaccaride di residui di acido glucuronico e N-acetilglucosamina, che si ripetono in una lunga catena lineare ad alto peso molecolare (2000-10000 kDa). A livello articolare, grazie alle sue caratteristiche viscoelastiche, ha un effetto ammortizzante e lubrificante incrementando la viscosità del liquido sinoviale. Possiede inoltre degli effetti condroprotettivi: ricopre la superficie articolare ed esercita protezione meccanica sui sinoviociti della cartilagine articolare, prevenendo il danneggiamento delle cellule da stress meccanico. Qualsiasi evento in grado di modificare le caratteristiche fisiologiche di questo polisaccaride può determinare gravi ripercussioni funzionali ed anatomiche. Esso costituisce l’elemento focale della patologia cartilaginea degenerativa o traumatica. Come si attua. La viscosupplementazione classica prevede l’iniezione intra-articolare di acido Ialuronico esogeno: è dimostrato come questo eserciti un’azione multifattoriale con un effettivo beneficio sulla progressione dell’artrosi. Il limite è rappresentato dalla durata d’azione dell’acido Ialuronico esogeno che risulta ridotta a causa della sua rapida degradabilità, rendendo necessarie ripetute iniezioni che aumentando il rischio di intollerabilità, reazioni avverse ed infezioni. Recenti studi hanno preso in considerazione la possibilità di somministrare per via orale l’acido Ialuronico, evitando in questo modo i rischi connessi all’infiltrazione articolare. L’ipotesi che l’assunzione per via orale del polisaccaride possa essere efficace nel ripristinare le “scorte” articolari di acido Ialuronico è stata vagliata da un recente studio su animali condotto da L.Balogh e collaboratori; i risultati di
questo studio dimostrano che acido ialuronico ad alto peso molecolare introdotto per via orale viene assorbito dall’organismo e si distribuisce a ossa, pelle ed articolazioni, dove si mantiene per lunghi periodi. In accordo con questi risultati, altri studi condotti su umani hanno dimostrato che dopo somministrazione orale l’acido ialuronico che viene a distribuirsi a livello cutaneo mantiene inalterate le proprie caratteristiche biologiche; ciò significa che non solo l’ingestione del disaccaride ne aumenta la concentrazione nei tessuti in cui è fisiologicamente presente, ma che esso non viene degradato durante il processo digestivo ed è quindi in grado di svolgere le sue funzioni meccaniche e biologiche a livello tissutale. A questo proposito va citato uno studio condotto da T. Sato e collaboratori nel 2012 sugli effetti di una terapia con acido Ialuronico ad alto peso molecolare somministrato per via orale per 12 mesi in pazienti affetti da gonartrosi. Lo studio possiede un alto livello di evidenza poichè placebocontrollo randomizzato a doppio cieco su una popolazione di ben 60 pazienti affetti da gonartrosi. I risultati sono molto incoraggianti, dimostrando un generale miglioramento della sintomatologia dolorosa nei pazienti a cui era stato somministrato l’acido ialuronico; l’effetto risulta particolarmente significativo nei pazienti con meno di 70 anni. Sulla base di queste scoperte è stato recentemente sviluppato un nuovo integratore alimentare a base di acido Ialuronico ad alto peso molecolare denominato Syalox™ somministrabile per via orale sottoforma di capsule rigide. Il dosaggio di 150mg delle compresse è in linea con l’articolo di T. Sato e garantisce, con l’assunzione di una capsula al giorno, di favorire il ripristino dei livelli articolari di acido ialuronico fisiologici. Questo tipo di integratore è indicato in numerose condizioni patologiche, ma riveste un ruolo fondamentale in quei pazienti relativamente giovani affetti da un artrosi di grado medio-grave per la quale l’unica soluzione terapeutica è la sosituzione protesica dell’articolazione. In questo tipo di soggetti è fondamentale riuscire a mantenere una condizione di benessere per poter posticipare il momento della chirurgia. L’associazione di Syalox™ a cicli di infiltrazioni intrarticolari con acido ialuronico e ad un corretto regime di attività fisica può, nei pazienti predisposti, garantire lunghi periodi di benessere
articolare in assenza di dolore. In conclusione, la patologia artrosica è ad oggi il più grande nemico dell’ortopedico; nonostante le numerose strategie terapeutiche disponibili, la medicina moderna non ha ancora sviluppato un modo per preservare efficacemente la cartilagine articolare. In questo senso, il perfezionamento e la diffusione di terapie integrative orali come Syalox™ sono un ulteriore passo avanti verso la tutela delle nostre preziose articolazioni. BIBLIOGRAFIA - Centers for Disease Control and Prevention, “Prevalence of arthritis-United States,” Morbidity and Mortality Weekly Report, vol. 50, pp. 334–336, 1997. - Ogston, A.G. e Stanier, J.E. (1953) ‚The physiological function of hyaluronic acid in synovial fluid; viscous, elastic and lubricant properties, J. Physiol, 119: 244-252; - Pelletier, J.P. e Martel-Pelletier, J. (1993) ‚The pathophysiology of osteoarthritis and the implication of the use of hyaluronan and hylan as therapeutic agents in viscosupplementation, J Rheumatol Suppl, 39: 19-24; - Balazs, E.A. e Denlinger, J.L. (1993) ‚Viscosupplementation: a new concept in the treatment of osteoarthritis, J Rheumatol Suppl, 39: 3-9; - Balazs, E.A. (2004) ‚Viscosupplementation for treatment of osteoarthritis: from initial discovery to current status and results, Surg Technol Int, 12: 278-289; - L. Balogh, A. Polyak, D. Mathe et al., “Absorption, uptake and tissue affinity of high-molecular-weight hyaluronan after oral administration in rats and dogs,” Journal of Agricultural and Food Chemistry, vol. 56, no. 22, pp. 10582– 10593, 2008; - O. Kajimoto, Y. Odanaka, W. Sakamoto, K. Yoshida, and T. Takahashi, “Clinical effects of dietary hyaluronic acid on dry skin,” Journal of New Remedies and Clinics, vol. 50, no. 4, pp. 548–560, 2001; - T. Sato, W. Sakamoto, W. Odanaka, K. Yoshida, and O. Urushibara, “Clinical effects of dietary hyaluronic acid on dry, rough skin,” Aesthetic Dermatology, vol. 12, pp. 109– 120, 2002. - T. Tashiro, S.Seino,T.Sato,R.Matsuoka,Y.Masuda and N.Fukui, Oral Administration of Polymer Hyaluronic Acid Alleviates Symptoms of Knee Osteoarthritis: A Double-Blind, Placebo-Controlled Study over a 12-Month Period. The ScientificWorld Journal Volume 2012, Article ID 167928.
. F. Cortese G. Piovan C. Zorzi 2014 gennaio, febbraio - 61
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Con Gianni Lollis si è chiusa “Arte in Ospedale” 2013
Con la Personale dell’Artista Gianni Lollis, inaugurata il 6 novembre, si è concluso in bellezza il ciclo di mostre 2013 “Arte in Ospedale”. Il pittore, friulano di Palmanova e veronese d ‘adozione, ha alle spalle un lungo e articolato percorso artistico, ed è personalità poliedrica:insegnante di Storia dell’Arte, intellettuale colto e preparato che ha allevato al Bello schiere di allievi, che ancor oggi ha una sua scuola di pittura, che è presidente della SBAV(Società belle Arti di Verona), Storica Associazione che ha superato i 150 anni di attività, che dipinge con particolare attenzione all’Arte Sacra commissionatagli come arredo liturgico, abilissimo disegnatore di mirabili vetrate, restauratore promosso alla Ca’ d’Oro di Venezia. Pittoricamente ha maturato una ricerca che ripercorre i canoni della tradizione, ma che si misura con i fermenti maturati nel Novecento: fa propria l’innovazione con equilibrio, con misura, assumendo e rielaborando creativamente il nuovo, sempre pronto a rivedere, a rimettersi in gioco. Nelle Opere presentate in Ospedale rivede la costruzione della forma resa ariosa da un segno morbido e fluente in perenne movimento, che induce il lettore ad allungare lo sguardo e perdersi entro gli avvolgimenti, le spirali, le volute, le matasse abitate dall’aria, dal vento. Lo sguardo
così viene rapito dalla suggestione di fusioni, di compenetrazioni, di sovrapposizioni che offrono una visione onirica di grande forza dinamica. C’è qualcosa di assoluto in questi dipinti che viene interpretato dalla forma che si svolge, si riavvolge e dal colore perlaceo, lattiginoso, fluido: è un azzurrino che sboccia nel verde fluviale o lacustre, è quasi una cadenza segreta nata nei solchi profondi dell’intimo come eco arcana del passato che caratterizza il nostro presente, il nostro essere qui e ora. Nelle composizioni più recenti il colore diventa il fattore luminoso e costruttivo dei quadri di Lollis che con stile inconfondibile fa vibrare l’aria con un filo mobilissimo di luce adagiata sul bordo delle cose, per rifrangere in un gioco delicatissimo di raggi, di riflessi che si insinuano nel paesaggio arricchendo e amplificando le emozioni dello spettatore. E chi guarda riceve solarità ed armonia e un’importante carica vitale liberatoria da tutto quello che appartiene alla Bellezza, che aiuta a far star bene le persone, in quanto tutto ciò ha un’innegabile influenza sul nostro animo: è un’emanazione di positività che rende palesi sentimenti nascosti, fa emergere emozioni e sensazioni positive a tutti coloro che passano per l’Ospedale. Marifulvia Matteazzi Alberti
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DIPENDENZE
Gioco d’azzardo patologico, un GAP da eliminare In Italia, secondo i dati del Ministero della Salute, circa il 54% della popolazione gioca d’azzardo. La stima dei giocatori patologici varia dallo 0,5 al 2%. Le donne rappresentano circa un terzo dei gamblers patologici
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l gioco d’azzardo patologico (GAP) è un disturbo mentale molto frequente e fortemente disabilitante. Va fatta subito una distinzione tra propensione al gioco d’azzardo ed il GAP. Infatti se, negli USA, il 65% della popolazione ha partecipato, nel corso della vita, a qualche forma di gioco d’azzardo (corse, giochi di carte, lotterie, slot machines, etc.), non più del 7% della popolazione adulta è da considersi affetta da GAP, anche se la prevalenza sembra essere in crescita, con un incremento maggiore negli stati in cui vi sono maggiori opportunità di gioco d’azzardo legalizzato. In Italia, secondo dati del Ministero della Salute, circa il 54% della popolazione gioca d’azzardo. La stima dei giocatori patologici varia dallo 0,5 al 2%.
Dott. Fabio Lugoboni
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Le donne rappresentano circa un terzo dei gamblers patologici e, di esse, il 18% ha un genitore che è stato a sua volta giocatore (nel 14% il padre e nel 4% la madre). L’ influenza familiare può quindi rappresentare un importante fattore di rischio per lo sviluppo del GAP. I giocatori d’azzardo patologici sono un gruppo eterogeneo, anche se si è notata una più elevata incidenza di GAP in alcune categorie. Alcuni ricercatori hanno infatti individuato nel basso status socio-economico, basso reddito e bassa scolarità, fattori correlati ad un aumentato rischio di GAP. Le categorie più svantaggiate sono più dedite a giochi da bar come le slot machine. Particolarmente a rischio sono i soggetti svantaggiati ed emarginati dai cambiamenti economici nazionali ed internazionale tra cui i giovani ed i disoccupati maschi extracomunitari. Coloro che si rivolgono ai video giochi o slot machines, in genere, iniziano a giocare da giovani, intorno ai 19 anni, ed hanno una condizione socio-economica peggiore, rispetto ai giocatori di roulette ed altri giochi da casinò. Sono risultati più a rischio anche i soggetti che vivono in una grande città e i singles. Quelli che si dedicano alla roulette hanno più spesso disordini di personalità ed uno stile di vita disturbato dal punto di vista psicosociale (solitudine, declino sociale, debiti, condotta criminale) rispetto ai giocatori di video giochi.
Il GAP genera forti introiti al Monopolio di Stato e, naturalmente, ai gestori, quantificabili in 8,7 milirdi di euro per le casse dello stato nel 2011. Ai concessionari rimane una quota del 12% del giocato. Le slot machine, con il 56%, rappresentano il volume di denaro più cospicuo, seguito dalle lotterie (12%). Le regioni che spendono più denaro nei gioco sono la Lombardia, seguita da Lazio e Campania. I costi sociali del gioco d’azzardo patologico sono dovuti all’impatto negativo sulla salute fisica e mentale del giocatore, sulle sue prestazioni professionali, in aggiunta ai costi derivanti dai crimini commessi, più frequentemente furto ed appropriazione indebita, e dal trattamento del disturbo. I problemi interpersonali tra il giocatore patologico e coloro che gli stanno vicino sono dovuti alla violenza domestica, alla rottura di rapporti, all’abbandono della famiglia ed alle conseguenze negative sulla salute fisica e mentale dei membri della famiglia. Inoltre è comune la comparsa di seri problemi psicosociali nei figli dei giocatori patologici come abuso di sostanze, delinquenza, depressione, suicidio ed altri problemi psicologici e comportamentali. Il GAP può essere difficile da identificare e diagnosticare come disturbo psichiatrico e spesso non viene riconosciuto. Quando lo è, il soggetto affetto da GAP fatica a ricevere le cure del caso, sia per scarsa
offerta terapeutica, non adeguatamente attrezzata. Per tutti questi motivi, è un disturbo frequentemente sottodiagnosticato e misconosciuto. L’intervallo di tempo tra l’esordio e la perdita di controllo va da 1 a 20 anni, in media 5 anni. Non si sa ancora perché alcuni soggetti possano giocare per anni prima che compaia un vero e proprio comportamento patologico, mentre altri sviluppano il problema quasi subito. Sembra però che iniziare a giocare ad un’età avanzata sia un fattore predittivo dello sviluppo del GAP rapido. Fin dal 1984 Custer ha individuato tre fasi di evoluzione clinica. La prima è riferita come “fase delle vincite” poiché l’iniziale fortuna del principiante viene ben presto sostituita da una accresciuta abilità nel gioco che produce frequenti episodi di vincita. Questi a loro volta incrementano l’euforia, suscitano sempre più eccitamento, portando il soggetto a giocare più spesso e a puntare cifre sempre più elevate. Questa fase può durare da alcuni mesi ad alcuni anni. Nella storia del GAP invariabilmente compare una grossa vincita, che insinua nella mente del giocatore che questa possa accadere di nuovo e che la somma possa essere ancora più alta. Segue poi la “fase delle perdite” caratterizzata da un lato da irragionevole ottimismo riguardo alle possibili vincite, dall’altro dal fatto che il gioco perde il suo contesto sociale, portando il soggetto a giocare da solo. Le perdite lo inducono a depauperare i risparmi e a 2014 gennaio, febbraio - 65
chiedere prestiti. Diminuisce la produttività sul lavoro e si deteriorano i rapporti con i familiari, a cui il soggetto dedica sempre meno tempo o attenzioni, e a cui inizia a raccontare menzogne per nascondere il problema. In questa fase le gravi difficoltà finanziarie possono portare il giocatore patologico alla ricerca di denaro per vie illegali, anche a costo di commettere azioni antisociali. A questo punto il soggetto è costretto a compiere almeno una parziale confessione ai familiari, a cui ne seguiranno altre, sempre accompagnate dalla promessa, esplicita o tacita, di smettere di giocare. Si giunge, quindi, alla “fase della disperazione”, in cui il tempo ed il denaro dedicati al gioco sono sempre più consistenti. Il soggetto non riesce mai a rilassarsi, è costantemente agitato, irritato, in continua tensione per via dell’ossessivo bisogno di fare scommesse e di guadagnare denaro per giocare e pagare i creditori. E’ fisicamente e psicologicamente esausto, senza speranze, pieno di debiti, isolato da tutti e sull’orlo del divorzio. In questa fase sono frequenti depressione e tentativi di suicidio. Come nelle tossicodipendenze, i giocatori d’azzardo patologici riportano sensazioni euforiche, tolleranza e sintomi di astinenza, spesso intensi (inquietudine, nervosismo, tremori, nausea, vomito, insonnia). Alcuni studi hanno osservato ampie variazioni di frequenza cardiaca durante il gioco e un senso di euforia che accompagna l’esperienza della vincita simile a quello dato da anfetamine ed oppiacei, caratterizzato da riduzione della stanchezza, eccitamento ed innalzamento del tono dell’umore. Di conseguenza, i gamblers riportano, come 66- gennaio, febbraio 2014
ragioni per il gioco, l’eccitamento, il divertimento, il miglioramento dell’umore, l’avere qualcosa da fare e da attendere con ansia, la sfida ed il tentativo di evasione dalla realtà. Il gioco viene quindi visto come mezzo per modificare il proprio stato d’animo. Le forme di gioco in cui è brevissimo il tempo tra una puntata e il suo risultato (slot machines) inducono più facilmente ad una perdita di controllo rispetto a quelli in cui passa più tempo tra i due momenti (lotterie, ad esempio). Inoltre, per i soggetti con GAP sono più attraenti i giochi in cui il pagamento è immediato, poiché provoca una maggiore gratificazione. Il trattamento psicoterapeutico. La terapia comportamentale, la più studiata e quella con i risultai più incoraggianti nel GAP, prevede il controllo degli stimoli, tenedosi lontani da luoghi di gioco ed occupati con attività alternative. La combinazione di diverse tecniche può risultare ancor più efficace: l’utilizzo di interventi che hanno lo scopo di ridurre l’impulsività e di proporre strategie alternative soprattutto in termini di “problem solving”, acquisizione di abilità sociali e rilassamento. Gruppi di auto-aiuto.
Anche per i problemi dei gamblers si sono costituiti gruppi d’autoaiuto, inizialmente negli USA con i “Gamblers Anonymous” modellati sulla base degli Alcolisti Anonimi, poi via via anche in altri Paesi e nel nostro. Sono la fonte di aiuto più facilmente disponibile per molti giocatori patologici, anche se le percentuali di successo non sono molto elevate. Consistono in associazioni di volontari che mettono a disposizione di altri le loro esperienze di ex-giocatori allo scopo di aiutare chi vuole ad abbandonare il gioco. Se i gruppi vengono gestiti da operatori professionali, con supporto alle famiglie, assistenza sociale, legale ecc. le probabilità di astinenza sono notevolmente più elevate, come ha dimostrato l’esperienza leader di Udine. Dott. Fabio Lugoboni Responsabile Medicina delle dipendenze AOIU Verona
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La cataratta Trattasi di patologia tipica della senescenza che può interessare anche i giovani
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a cataratta è un processo di progressiva perdita di trasparenza del cristallino. Questo processo, legato a fenomeni di ossidazione delle proteine che lo costituiscono, è il risultato di un fenomeno biochimico che si verifica con l’aumentare dell’età. L’allungamento della vita media ha portato a un aumento del numero di casi, tanto che oggi l’intervento di asportazione della cataratta è uno dei più eseguiti in tutto il mondo. Anche se si tratta di una patologia tipica della senescenza, può interessare anche età meno avanzate, ma in questi casi si tratta di cataratta legata a fattori secondari (diabete, fenomeni infiammatori, esposizione eccessiva a radiazione infrarossa o ultravioletta, cause iatrogene e congenite). I sintomi sono generalmente caratterizzati da un offuscamento visivo globale, ma il disturbo della vista è tanto più evidente quanto più estesa e più intensa è l’opacizzazione del cristallino. Pertanto gli oculisti classificano le cataratte a seconda della
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loro posizione all’interno degli strati del cristallino, ma dal punto di vista pratico è più utile classificarle a seconda dell’età della comparsa: La cataratta senile è la forma più comune, legata al rallentamento dei processi biochimici che mantengono la trasparenza del cristallino. Dopo i 65 anni è normale una leggera colorazione giallastra del nucleo del cristallino, che spesso non viene percepita soggettivamente; questa colorazione diventa sempre più intensa (cataratta nucleare) il che, nelle fasi iniziali, può determinare la comparsa di una refrazione miopica a causa dell’aumento dell’indice di refrazione del nucleo stesso. Capita in tal caso che il paziente presbite noti un effettivo miglioramento nella visione da vicino, al punto da riuscire, a volte, ad abbandonare l’uso di occhiali nella visione per vicino. In altri casi appare una “smerigliatura” dello strato posteriore del cristallino (cataratta sottocapsulare posteriore) il che porta a un calo visivo che può, nel tempo, divenire totale.
La cataratta giovanile compare in età più precoce, ma di solito è legata a un problema di metabolismo come il diabete mellito, o a malattie dermatologiche. Anche molte malattie di altre strutture dell’occhio come l’uveite o il glaucoma possono dare una cataratta come conseguenza. La cataratta congenita o infantile è presente alla nascita o si sviluppa nei primissimi anni di vita come conseguenza di malattie metaboliche come la galattosemia o reumatiche come l’artrite reumatoide giovanile. Queste cataratte interferiscono con lo sviluppo della funzione della vista, ancora immatura e l’eventuale impianto di un cristallino artificiale in un occhio ancora in crescita pone gravi problemi e comporta in ogni caso la perdita del
potere di accomodazione dell’occhio interessato. La cataratta totale rende praticamente ciechi ed è necessario intervenire chirurgicamente, sostituendo il cristallino opacizzato con una lente artificiale intraoculare, posizionata dietro all’iride, secondo la tecnica sviluppata dal noto chirurgo russo Fyodorov. L’intervento di cataratta è, come dichiarato dalla SOI (Società Oftalmologica Italiana) un intervento oculistico maggiore, in quanto prevede l’ingresso nel bulbo oculare e l’asportazione di una parte dello stesso (il cristallino). Pertanto è un intervento delicato con una lunga curva di apprendimento da parte del Chirurgo Oculista. La durata dell’intervento è variabile: da 10 minuti a circa un ora. L’intervento di cataratta non sempre dà risultati positivi, ed esistono pazienti che non hanno recuperato più la vista, ma presenta una percentuale di successi superiore al 95%. Tutte le possibili complicanze sono elencate nei consensi informati ospedalieri che il Paziente operando di cataratta deve necessariamente leggere e controfirmare prima dell’intervento. fonte: ttp://it.wikipedia.org/
di Degani Francesco
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BREVI
Villa dei Cedri e Hellas Verona partnership sana e vincente!
Il Parco Termale del Garda-Villa dei Cedri di Colà di Lazise e l’Hellas Verona FC hanno stipulato un accordo di collaborazione per la stagione sportiva 2013-14. Lo scopo della partnership è di finalizzato al supporto degli atleti dell’Hellas Verona FC per la fase di recupero attivo che verrà svolta nelle acque termali del parco. La collaborazione si avvale anche della consulenza scientifica del Centro Bernstein di Verona. Il Parco Termale del Garda-Villa dei Cedri ha, infatti, ampliato la sua tradizionale offerta nel campo termale con servizi di qualità nel settore delle attività motorie, riabilitative, fisioterapia, osteopatia e chinesiologia sotto la denominazione di “Acqua Medical Fitness”. Il tutto all’interno di un parco che si estende per 13 ettari con piante rare e alberi secolari e che comprende 2 laghi termali, una piscina anch’essa con acqua termale, oltre che centro benessere, hotel, appartamenti e servizi vari di ristorazione. Nello specifico gli atleti dell’Hellas Verona FC concentreranno i loro programmi nella zona della piscina termale particolarmente adatta per il lavoro di defaticamento e la rieducazione. “Abbiamo voluto portare innovazione ai concetti del termalismo e del benessere - spiega Vittorio Nalin, presidente della società Villa dei Cedri - e per questo motivo abbiamo sviluppato programmi in grado di coniugare al meglio le proprietà
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benefiche e terapeutiche dell’acqua termale con protocolli di esercizi specifici”. Soddisfatto anche Giovanni Gardini, direttore generale Hellas Verona FC: “Siamo felici di aver chiuso questo importante accordo, ci permette di continuare a seguire gli atleti in maniera specifica, soprattutto in campo medico. Oggi, nel calcio, è fondamentale raggiungere l’eccellenza in questo settore e non possiamo tralasciare nessun dettaglio”. L’acqua del Parco Termale è un’acqua alcalina (ph 7,8) composta in gran parte da bicarbonato, calcio, magnesio e silicio. La temperatura dell’acqua viene mantenuta costante tutto l’anno attorno ai 33 gradi proprio per favorire il recupero fisiologico, mentre all’interno di alcune vasche raggiunge i 37/39 gradi.