La parola ai giovani n.12 - Anno 2010

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La Parola ai giovani NUMERO 1

SUPPLEMENTO A CURA DELLA REDAZIONE DELLA VOCE DEI BERICI - ALLEGATO AL N. 46 DEL 5 DICEMBRE 2010

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Input LA PAROLA AI GIOVANI. Uno strumento nuovo per proseguire un antico cammino, quel percorso fatto di attenzione, ascolto, dialogo, accompagnamento, annuncio e testimonianza, nel quale la Chiesa si apre alle nuove generazioni e condivide con loro i tesori della fede. Il documento conclusivo del Sinodo dei giovani traccia le linee di fondo di un laboratorio che rimane attivo, un cantiere ancora aperto. Se preferite immagini più delicate, potremmo parlare di un giardino che deve essere coltivato e ha bisogno di molta cura. In collaborazione con La Voce dei Berici, l’Ufficio diocesano per i giovani ha deciso di proporre questo periodico per approfondire le intuizioni del sinodo e continuare a lavorare insieme nel “cantiere” della pastorale giovanile. Lo strumento offre stimoli di riflessione, suggestioni, racconti, idee, spunti operativi rivolti agli educatori, ai pastori, a quanti operano all’interno di associazioni, gruppi, movimenti, e a tutti coloro che desiderano coltivare un’attenzione ai giovani. Lo schema potrà essere il seguente: • Input. Un semplice editoriale introduttivo, un’ouverture. • Il fatto. Prendendo spunto da un fatto di cronaca che riguarda i giovani del nostro territorio, vengono proposti un punto di vista critico, che provochi la riflessione, e alcuni appunti pedagogici per il lavoro di gruppo (appunti di metodologia della formazione). • Laboratorio della fede. Un testo del vangelo viene riletto in chiave laboratoriale, in modo tale che l’annuncio entri in dialogo con la vita dei giovani d’oggi. • Potere dei segni. In collaborazione con l’Ufficio liturgico esploriamo il linguaggio dei segni, dei gesti e delle parole che la liturgia ci offre. • Pro-vocazione. Storie di vocazione, in collaborazione con il Centro vocazionale diocesano e il Centro “Ora Decima”. • Coffee break. Raccogliendo l’eredità preziosa e il metodo dell’inchiesta “C’è campo?”, i giovani “interni” alla Chiesa invitano al bar i coetanei che hanno preso le distanze dalla comunità cristiana • Special Guest. Gli amici di Radio Vigiova raccontano le loro interviste ad artisti significativi, con cui è stato possibile un dialogo in profondità. • Il graffio. Diamo la parola a un artista del nostro territorio. Quest’anno ospiteremo i racconti e le provocazioni di Luca Bassanese, cantautore vicentino. • ViGiova news. Gli appuntamenti della pastorale giovanile. Il Sinodo dei giovani si è concluso. Il cammino continua. don Andrea Guglielmi

Il graffio

Laboratorio della Fede

di Luca Bassanese

Seguendo la Stella Immaginate di dover presentare un brano del vangelo a un gruppo di giovani. Azzardo un’ipotesi: la visita dei Magi, che si trova in Matteo 2,1-12. Nel tempo di Avvento e Natale questo brano si presta a essere riascoltato e riletto. Il racconto è stimolante, suggestivo. Ma come è possibile proporlo in modo dinamico ed esperienziale? Questa breve storia ci dà la possibilità di fare insieme un “laboratorio della fede”? (riprendendo l’efficace espressione di Giovanni Paolo II durante la Gmg del 2000). • Partiamo dai giovani; partiamo dalla loro vita! Possiamo aprire un dibattito sul tema della ricerca e chiederci se è possibile, oggi, andare in profondità, coltivare sogni e progetti, mettersi in moto per cercare il senso della vita, oppure se siamo condannati a rimanere immobili, eterni spettatori e consumatori passivi di tutto ciò che la società ci fa ingoiare. Si può prendere spunto da un confronto fra i testi di due canzoni: Il negozio di antiquariato di Niccolò Fabi e Un senso di Vasco Rossi. Descrivono entrambe l’esigenza di cercare il senso, ciò che è prezioso e ha valore. Ma gli atteggiamenti sono diversi: la prima canzone esprime fiducia nella possibilità, che ogni essere umano ha, di andare oltre la superficie delle cose e mettersi alla ricerca di ciò che è raro e speciale; tutto ciò richiede impegno personale e capacità di attendere, superando la pretesa di avere tutto e subito. La canzone di Vasco si muove su un crinale: c’è il desiderio di cercare, ma anche l’inerzia di chi è disilluso in partenza e fa fatica a muoversi.

Creare una dialettica a partire da queste due canzoni potrebbe essere stimolante. Si può proporre a ciascuno di scegliere la canzone in cui si riconosce maggiormente. Il gruppo, dunque, si divide in due schieramenti, tra i quali può accendersi un dibattito, un confronto. Attivando la fantasia, per i ragazzi più giovani si potrebbe inventare una caccia al tesoro, con una meta finale che richiami la grotta di Betlemme. Sarebbe interessante rileggere insieme le dinamiche che questa attività provoca: la ricerca del tesoro funziona quando ci si mette in gioco e si partecipa con impegno; non si cerca da soli, ma insieme, in gruppo; per trovare il tesoro bisogna mettersi in cammino, muoversi e fare strada; la ricerca richiede attenzione e intelligenza, chi è distratto o superficiale non coglie i segnali e non arriva alla meta. Tutti questi elementi li ritroviamo nel racconto dei Magi. • In un secondo momento è possibile leggere il brano di Matteo. Un primo elemento molto significativo da prendere in considerazione è la stella. Storicamente potrebbe trattarsi della congiunzione di Giove con Saturno (7 a.C.), ma a noi interessa il carattere simbolico. È molto luminosa: accompagna per un lungo tragitto, indicando la giusta direzione. È in perfetta sintonia con le Scritture: permette a questi sapienti orientali di camminare se-

condo la Parola di Dio. Provoca una gioia immensa; il testo originale andrebbe letteralmente tradotto così: “Gioirono molto di gioia grande” (v. 10); è una gioia al superlativo! Infine, la stella non concentra l’attenzione su di sé, ma orienta gli sguardi verso Gesù. Altro elemento da evidenziare è il contrasto tra Betlemme e Gerusalemme, tra il re appena nato e il re Erode. Erode, soprannominato “il grande”, era un re molto ricco e potente; Gesù è il re più piccolo che si possa immaginare: un neonato che si trova in condizioni precarie! Sono radicalmente diversi anche gli stati d’animo: Erode ha paura; i Magi andando a Betlemme scoprono una gioia infinita. A Gerusalemme domina la logica del potere senza scrupoli. Erode è stato un re crudele e sanguinario: pensiamo alla strage degli innocenti! Gesù sarà il re che muore sulla croce, il servo che si dona senza misura. I Magi sono figure meravigliose; hanno il coraggio di inginocchiarsi davanti alla creatura più debole. A Betlemme decidono di aprire i loro scrigni. Lì si conclude la caccia al tesoro!

Il ragno e la formica Un giorno la piccola formica andò dal vecchio ragno e gli chiese: «Perché hai due zampe più di me?». Il ragno le disse: «Se ti avvicini saprai la verità». La formica salì sulla ragnatela senza nemmeno pensarci un momento. Si avvicinò incurante, così vicino al vecchio ragno che poteva osservare le sue fauci e i suoi mille occhi che la scrutavano senza perderla di vista un momento. A un tratto, il vecchio ragno, si alzò su tutte le sue zampe e senza nemmeno lasciare un secondo di respiro alla piccola formica: «Sono un aracnide - le disse -, non sono un insetto!» Poi le fece una carezza e la lasciò giocare tutto il giorno sulla sua grande ragnatela che, se non lo sapete, è perfetta per saltare, rimbalzare e fare mille capriole

(A chi avesse pensato • A questo punto i “microfoni” che il vecchio ragno vanno riconsegnati ai giovani per avrebbe mangiato chiedere se nella loro vita hanno la piccola formica incontrato una ‘stella’. Altra do- traendola in inganno manda: nella nostra quotidianità quale città prevale, Betlemme o sulla sua ragnatela si consiglia di avere Gerusalemme? A.G. più fiducia nel prossimo).

Ufficio Diocesano per i Giovani Piazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenza - telefono 0444-226556 - e-mail: giovani@vicenza.chiesacattolica.it sito internet: www.vigiova.it - Aperto dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 12.30 e dalle 14 alle 17.30; il sabato dalle 9 alle 12.30


La Parola ai giovani 2

Il fatto

“Donne non si nasce, lo si diventa” Questa storia risale al 3 settembre scorso. Per alcuni giorni è stata alla ribalta delle cronache di quotidiani locali e nazionali, nonché di trasmissioni televisive pomeridiane di Rai e Mediaset. Ora, come molte notizie che necessiterebbero di approfondimento, tutto cade nel silenzio e non è dato di sapere che seguito abbia avuto Per me la storia ha inizio con un volantino trovato da una mia collega sul parabrezza dell’auto in un parcheggio centralissimo della città di Vicenza, peraltro adiacente a un luogo di “cultura”. Lo prendo, lo guardo: è molto colorato e accattivante. Lo giro e rimango colpita; qualcosa non mi torna, il primo sentimento è di rabbia, poi indignazione e frustrazione. Il volantino raffigura l’immagine di una donna completamente nuda sdraiata immobile sopra un tavolo; sul suo corpo è posto del cibo. La pubblicità recita: Buffet omaggio RAGAZZE VASSOIO. Sento un nodo allo stomaco che non riesco a sopportare se non con il pensiero, con la razionalità. Mi interrogo. Comincio a confrontarmi con colleghe, colleghi e amici che condividono il mio sconcerto. Assieme abbozziamo considerazioni più o meno rassegnate sulla direzione che sta prendendo la cultura del corpo della donna, del rispetto per la persona umana e per le relazioni di genere nella nostra società. Ma non mi basta, comunque non capisco. Devo agire. Sarà che da circa quindici anni mi occupo di prostituzione e di

sfruttamento della prostituzione, conosco la realtà dei locali a intrattenimento notturno, ma qui mi sembra che la situazione stia ulteriormente peggiorando e che non possa essere ignorata. Ho voglia di capire, così telefono al numero che trovo sul volantino e mi risponde un uomo, il titolare del locale. Con molta calma gli esprimo il mio disagio, il sentimento di offesa che ho provato nel leggere quelle due parole “ragazze vassoio”; gli dico che una ragazza è una persona e un vassoio è un oggetto e l’equivalenza mi sembra contraria al rispetto della dignità dell’essere umano. Anzi, l’intero volantino è decisamente contrario alla cultura dei diritti umani. Dall’altro capo del telefono mi sento rispondere che sono stata la prima a chiamare, che nessuno si è lamentato, che la sua è solo una pubblicità. Mi viene posta pure la domanda: «Ma lei, come l’avrebbe tradotto body food?». Quel signore mi offre poi un sacco di altre informazioni per il mio lavoro, interessanti ma allo stesso tempo inquietanti, come quella relativa al fatto che il suo locale è un luogo importante per molti uomini che, a detta dell’interlocutore, non potrebbero mai parlare e intrattenersi con una bella ragazza, o che sono stanchi e non vogliono pensare ai problemi che hanno al lavoro e a casa, che non potrebbero mai permettersi di portare a cena una ragazza come me, perché sarebbero spaventati dal mio parlare “troppo difficile”, che non riescono a relazionarsi con le donne italiane perché sono troppo aggressive, prevaricatrici e pensano solo al lavoro. Ah già, perché - dimenticavo - tutte le ragazze che lavorano nel suo locale non sono italiane. Il mio lavoro mi ha portato tante volte a viaggiare nei racconti di persone straniere, racconti dolorosi, di disperazione, di sopraffazione e violenza, ma anche di gioia e speranza. Mi viene da dire di ricordare che dietro ogni vassoio c’è una persona, con una storia unica e irripetibile che viene da lontano, non solo in senso fisico, ma anche mentale e di scelta personale. Perché per ognuna di queste donne la storia che l’ha portata a fare il vassoio è sicuramente complessa. E nello stesso tempo semplice: è la

storia di una madre che deve provvedere al suo bambino, o di una figlia ai suoi genitori. Dall’altra parte c’è la nostra società che ha deciso di proporre questo “lavoro”; dice il proprietario: un lavoro come un altro che le ragazze hanno scelto liberamente. È bizzarro che di questi tempi ci siamo ormai abituati a considerare lavoro tutto ciò che non è previsto da un contratto, pur di guadagnare e sostentarsi. Sta di fatto che queste donne corrispondono a un bisogno, ed è questo, credo, che dovrebbe meritare una riflessione da parte nostra, dei nostri giovani. A quale bisogno personale e collettivo rispondiamo nel mangiare da un vassoio umano? Detto così, può quasi ricordare un sacrificio, un rituale comunitario in offerta del consumo, nostro unico imperativo e nostra unica fede. Ma allora, credo, dopo avere consumato questo pasto, non so se ci sentiremo più sazi o più affamati. Solo una cosa è sicura: non avremo innalzato il valore di quella persona, non le avremo donato nulla di noi stessi, perché il considerarla un vassoio non può lasciare spazio al rispettarla in quanto persona e viceversa.

Vu o i c o n t n u are i l c o nf r

onto

n t o? s u l l’a rg ome u m de dic at o I n te r v i e n i s u l f o r a l l e r a g a z ze v a s s o i o .i t s u w w w. an i m a t t i v i

Diceva Simone De Beauvoir che “donne non si nasce, lo si diventa”. A voler sottolineare come la nostra identità sia un processo in continua costruzione, oggi lo estenderei anche al maschile e proporrei che assieme si costruisse un terreno di confronto e di dialogo in cui certi episodi non rimangano taciuti, ma diventino patrimonio di discussione e di crescita culturale per tutta la comunità. Elisa Bedin

Metodologia di conduzione dei gruppi

Le ragazze vassoio: un argomento limite per provocare formazione Le ragazze vassoio rappresentano uno dei tipici argomenti che nel giro di pochi giorni si diffondono a macchia d’olio tra le compagnie di adolescenti e di giovani. Pensate per un pubblico adulto, o almeno maggiorenne, risvegliano inevitabilmente la curiosità degli adolescenti e le fantasie che vengono alimentate dalla goliardia tipica dello stare insieme. È uno di quei fenomeni che, come educatori, possiamo trascurare o far finta di non conoscere. Ma può anche diventare motivo di attenta ed equilibrata riflessione, se lanciato nel modo più opportuno. Anzi, è uno di quegli argomenti che possono destare dall’assopimento ragazzi, altrimenti assenti e “liquidi” nei confronti della realtà che li circonda. Come farlo diventare argomento formativo nel gruppo, momento di riflessione sul proprio e altrui corpo? Si tratta di una situazione-limite e come tale deve essere considerata. Per questo potrebbe essere proposta in contrapposizione con un’altra situazione limite, caratterizzata da valori e finalità comunque estreme, ma fondate sui valori della delicatezza e della dignità nel rapporto con il proprio e altrui corpo. Fate in modo di dividere i ragazzi in due gruppi, l’uno idealmente posto di fronte al corpo di una ragazza-vassoio, l’altro ai bordi di un letto di un malato terminale o in coma. Situazioni geometricamente identiche, spazialmente senza differenze. Persone che sfiorano corpi, con finalità profondamente diverse e motivazioni opposte. Chiediamo ai ragazzi di immedesimarsi nella situazione, di sollecitare la propria fantasia nell’una e nell’altra situazione senza paura di farli esprimere. A ognuno, facciamo scrivere in un post-it la motivazione che lo porta a essere lì e poi, una volta scritti, ricomponiamo il gruppo e chiediamo a ciascuno di appiccicarsi addosso il post-it scritto da sé stesso e di domandarsi come si sentirebbe se gli altri mettessero in pratica nei suoi confronti quanto scritto. Può essere un bell’esercizio per mettersi al posto delle ragazze vassoio, ma nello stesso tempo una occasione per rivalutare il valore del corpo nelle relazioni. Situazioni simili, corpi distesi, gente che si siede accanto a loro con motivazioni completamente diverse: l’uno per consumare, l’altro per vivere in pienezza e dare continuità a un contatto fisico che è parte fondamentale della relazione e dell’affetto e come tale merita dignità. Mirco Paoletto

Pro-Vocazione

Ora Decima: spazio aperto… spazio per aprire

Una premessa necessaria: non siamo qui a Ora Decima per vendere un prodotto vocazionale in una vetrina che sembra allettante, pensata apposta per i giovani, quanto piuttosto per intrecciare idee e luoghi dove queste stesse idee possano prendere forma. Ecco allora l’idea dalla quale vorremmo partire oggi, e che abbiamo trovata nella presentazione di C’è Campo. Si dice che uno degli aspetti centrali dei percorsi individuali, che ogni giovane si trova a fare, è la consapevolezza che la costruzione della propria storia e identità passa attraverso scelte personali. Più che rifarsi a una tra-

dizione più o meno importante, si sente dunque tutto il fascino e, allo stesso tempo, il peso di porsi nei confronti del proprio futuro come di fronte a un foglio bianco che ognuno deve scrivere in prima persona. È la sfida della libertà! Noi a Ora Decima ci sentiamo stimolati da questa intuizione e ci siamo chiesti quali ricadute possa avere per la nostra proposta. Ci sembra che per scrivere sul foglio della propria vita non servano solo carta e penna e, a pensarci bene, non è necessario neanche un tavolo. Per scrivere servono idee, tempo, calma… Per parlarci chiaro: le varie

esperienze che viviamo devono essere decompresse, riviste alla moviola come si fa con le partite di calcio, confrontate con altre esperienze diverse dalla propria, rimesse insieme in modo inedito e creativo a partire dalla sensibilità di ciascuno. Così pensiamo all’esperienza di Ora Decima che in prima persona viviamo: un luogo abitato e aperto; un luogo per accogliere, per ascoltare, per rallentare il tempo; un luogo per aprire spazi nuovi, per dare la possibilità di percorrere insieme strade inedite, per accompagnarci ai confini del conosciuto. Uno spazio aperto... uno spazio

per aprire... Pensiamo all’avventura della vita, della nostra vita, di ogni vita. Ma si potrebbe pensare allo stesso modo anche al rapporto con Dio. Non diamo risposte a chi sa quali domande, non abbiamo verità da comunicare. Abbiamo invece la vita, quella normale fatta di studio e lavoro, di belle chiacchierate e di incomprensioni, di gioia e pesantezza, di un bicchiere di coca o di birra. Abbiamo questa vita che ci parla di noi e dei nostri desideri banali o profondi, comunicabili o meno. Abbiamo, poi, una Parola che cerchiamo di ascoltare e che ci

pro-voca; abbiamo Lui che ha con ciascuno un rapporto singolare, unico. È per questo che la nostra offerta si ferma sulla soglia della proposta e della vita. Ognuno deve poi arrangiarsi con Lui. È un affare che lo riguarda personalmente. Se ci è chiesto, potremo al massimo dire qualcosa sulla nostra esperienza, unica e diversa come lo è ogni esperienza. Il vescovo Cesare ha fortemente voluto questo spazio lasciandoci libertà creativa per farlo crescere. Non sappiamo come cambierà nel futuro, ma questa avventura ci affascina e ci fa crescere. Gli amici di Ora Decima


La Parola ai giovani 3

Potere dei segni

Focus Liturgia

Una veglia per prepararci al Natale

Betlemme, casa del Pane

Nel corso della Commissione diocesana di Pastorale giovanile del mese di ottobre è stato elaborato un progetto per un appuntamento molto diffuso nelle nostre parrocchie, nelle unità pastorali e nei vicariati: la Veglia in preparazione al Natale. La proposta che riportiamo è sembrata rispettosa di alcuni criteri di fondo molto importanti: l’annuncio della Parola, la scelta di segni eloquenti, la possibilità di pregare con invocazioni spontanee… Volutamente non prevede il tempo per celebrare il Sacramento della Penitenza: qualora questa fosse una intenzione precisa nel preparare la Veglia, si possono, con accortezza, ridurre alcuni passaggi e prevedere anche questa possibilità.

Betlemme, casa del pane. Solo un gioco di parole? Ad ascoltare il buon patriarca di Aquileia, Cromazio (morto nel 408), direi tutt’altro. Perché? Stiamo a sentire l’omelia tenuta in un Natale di 1.600 anni fa: “Dunque al tempo in cui ebbe luogo il censimento di tutta la terra, il Signore nacque secondo la carne. Nacque a Betlemme, e non poteva nascere certo più opportunamente a Betlemme, perché Betlemme significa «casa del pane». Questo luogo era stato già denominato così in modo profetico, perché colui che nacque da una vergine a Betlemme era il pane del cielo. Che poi il Signore e Salvatore nostro sia stato adagiato in una mangiatoia, significava che egli doveva essere il nutrimento dei credenti. La nostra mangiatoia è l’altare di Cristo, attorno al quale ci riuniamo ogni giorno per prendervi il corpo di Cristo, alimento della nostra salvezza”. Ogni chiesa, dunque, ha un altare, che è la mensa del Signore, dove egli si offre a noi. Allora, se Cristo è cibo, l’ostia si presenti veramente e chiaramente come tale: pane. Di frumento, certo, az-

1. Accoglienza con un piccolo buffet a base di pane (per esempio: bruschette, pane e nutella, pane e marmellata, tramezzini, toast, e quant’altro la fantasia e l’appetito suggeriscano). 2. La chiesa è già aperta, all’interno luci e musica d’atmosfera, preferibilmente canoni a cui ci si possa accodare. Molto importante: a ogni porta ci siano persone che accolgono, consegnando il sussidio e invitando a prendere posto e unirsi al canto. Meglio se ci sono anche alcune persone già all’interno dell’aula impegnate nella preghiera. 3. Quando tutti sono entrati, si comincia con il saluto del presidente, il segno di croce e una preghiera da fare insieme. Nel saluto il presidente sottolineerà il rapporto pane-Eucaristia, citando il nome di Betlemme “casa del pane”; nell’Incarnazione il Padre ci ha preparato una mangiatoiabuffet piena di pane saporito e nutriente: Gesù. Segue un canto. 4. Parola di Dio (possibili Lc 2,120 oppure Lc 2,41-50): attenzione alla proclamazione, affidata a lettori veramente capaci di farsi ascoltare e di interpretare i testi proposti. 5. La Parola viene commentata da una testimonianza di casa-famiglia della Papa Giovanni XXIII, o si-

mile, che mostri cosa significa farsi casa, dove il pane viene spezzato per tutti. 6. Breve spazio di silenzio con melodia di sottofondo. Si è invitati a meditare e pregare intimamente. 7. Introduzione del segno: alcune grandi pizze di carta i cui spicchi vengono distribuiti a tutti. Su di esse si è invitati a scrivere da un lato un ringraziamento per qualcosa che abbiamo ricevuto (un pezzo di pane che è stato spezzato per noi), dall’altro un impegno per il Natale (il pane che noi siamo disposti a spezzare). 8. Accompagnati da un canto, tutti portano all’altare il loro spicchio e ricompongono le pizze, sottolineando la volontà di condividere gratitudine e impegno. (Se la tipologia di giovani che si riunisce lo rende possibile, si può inserire a questo punto l’Esposizione eucaristica, sottolineando di nuovo che Gesù è il pane della vita. Si accompagna il rito con un canto adatto). 9. Si propone la condivisione orante. Ad alcune persone sarà stato chiesto prima di cominciare, dando il tono appropriato alle invocazioni; un canone scelto con cura e proposto ogni due, tre interventi, dà il ritmo e crea un clima corale.

10. Padre nostro, a conclusione delle intenzioni condivise: chi presiede invita tutti a mettersi in piedi (l’atteggiamento dei figli) e ad aprire le mani vuote davanti a sé (gesto del povero). Si prega l’orazione del Signore con calma e convinzione. (Se si è esposto il Santissimo Sacramento: benedizione eucaristica e canto di riposizione). 11. Saluto, nel quale il presidente avverte che all’uscita si riceverà uno spicchio delle pizze ricomposte nel gesto. Si è invitati a pregare per colui che lo ha realizzato, perché possa completare fedelmente il suo impegno, e se ne può trarre ispirazione per la propria vita. 12. All’uscita è possibile allestire un ulteriore rinfresco (stavolta più vario e sostanzioso), segno della festa natalizia ormai prossima e occasione per scambiarsi gli auguri. don Fabio Sottoriva

Special Guest

“Radio ViGiova” incontra Carmen Consoli Prima del suo arrivo avevamo lanciato uno sguardo furtivo a quel camerino improvvisato: un piccolo spazio alle spalle del palco, un divanetto, un tavolo con un frugale buffet, pareti che avrebbero avuto bisogno di una pennellata di bianco leggero. Sulla porta un semplice foglio con scritto il suo nome. Poi Carmen è arrivata e si è chiusa in quel camerino. Abbiamo atteso nervosamente che quella porta si riaprisse per entrare e intervistare finalmente la “Cantantessa”. Le settimane precedenti il concerto erano state frenetiche, spese in gran parte a immaginare quell’incontro e a pensare un’intervista che potesse raccontare Carmen agli ascoltatori di Radio ViGiova. In realtà non è andata come ci aspettavamo, non abbiamo intervistato Carmen come avevamo pensato, l’abbiamo più semplicemente “incontrata”. Ci ha aperto la porta del camerino come fosse stata la porta di casa sua, ci ha accolti e fatti accomodare sul divano intravisto poco prima. Ci ha sorpresi offrendoci da bere, chiedendo se avevamo fame, proprio come si fa con amici e familiari. Si è creato da subito un clima impensato di condivisione e pochi gesti hanno narrato, più di tante parole, la semplice umanità, il calore di chi dà valore alle persone e alla bellezza dell’incontro con l’altro, chiunque esso sia. L’attesa intervista si è trasformata, di fatto, in un dialogo intessuto di domande e risposte che hanno svelato la contiguità di punti di vista ed esperienze in apparenza lontani. Carmen ci rac-

“In questa attesa interminabile di ore “aggrovigliate” e incerte un’improvvisa ondata di rondini disegna voli strabilianti”

conta come ad allontanare persone, religioni o culture non siano le idee o i valori in cui ciascuno crede, ma piuttosto gli stereotipi che prescindono dall’ascolto e generano pregiudizi e incomprensioni. Partendo proprio dalla sua presenza sul palco dell’Asolo Free music festival, che raccoglie fondi per un’associazione benefica, Carmen ci ha raccontato l’importanza del dono, l’urgenza di non pensare solo a noi stessi, di accogliere le richieste di aiuto, condividendo con gli altri ciò che si ha perché, per dirla con lei, «se tu accendi una luce per qualcun altro, ci vedi meglio» ed «è una gioia immensa vedere negli occhi di qualcun altro un attimo di sollievo, un sorriso procurato da te». Carmen si dichiara buddista, ma non è un caso che abbia accet-

tato l’intervista di Radio ViGiova e, quindi, il confronto con una realtà cattolica. Dalle sue parole traspariva la convinzione che nella contaminazione di pensieri ed esperienze risieda una risorsa straordinaria per vincere ipocrisia e intolleranza. Critica nei confronti di alcuni aspetti della Chiesa cattolica, ma affascinata dal messaggio e dalla figura di Cristo, Carmen sottolinea la fecondità del dialogo e dell’ecumenismo e la necessità di lavorare all’unisono contro quello che definisce l’impoverimento delle coscienze. Anche per questo, per dar voce a chi troppo spesso non riesce farsi ascoltare e a trasmettere il suo punto di vista, sopraffatto dal frastuono quotidiano, le canzoni di Carmen raccontano spesso storie difficili, che hanno per protagoniste persone che si ritrovano ai

margini della società, al di fuori della cosiddetta normalità, persone spesso emarginate, in lotta, perdenti. Nei suoi testi, Carmen parla anche della sua terra, la Sicilia: ci regala l’incanto di paesaggi profumati di zagare e gelsomini, ma ci spezza il fiato ricordandoci il dramma della mafia che insanguina quelle terre, dell’omertà che tenta di nascondere e proteggere quel male profondo. Di tutto ciò Carmen ha parlato anche con noi, in un fluire di ricordi personali ed emozioni difficili da frenare, impossibili da non trasmettere. Abbiamo sentito in lei la sofferenza per questa realtà, l’esigenza di denunciarla ancora una volta e, contemporaneamente, la speranza incrollabile che tutto questo possa finire con l’impegno e la volontà di tutti. Quest’intervista trasformatasi in dialogo ci ha lasciato un piacevole sapore di intimità e condivisione e ci piace l’idea di regalare, anche a chi sta leggendo queste righe, l’augurio di Carmen per un mondo fatto di «più gioia, più speranza, meno aspettative, più desiderio, più sorriso», in cui il giudizio ceda il passo alla comprensione. Alessia Frigo

zimo, certissimo, ma pane! Fragrante, così che in bocca se ne senta la consistenza e la dolcezza; profumato, così che se ne riconosca la bontà e bellezza; brunito e croccante, ruvido al tatto, consistente, vero alimento! Spesso, invece, la particola è ridotta a una cialda, rigida, trasparente, difficile da mangiare, che, non essendo gustosa per il corpo, a stento viene riconosciuta gustosa per lo spirito. Partiamo dai fondamentali, amici! Controlliamo i dettagli del libretto canti fino allo spasmo grafico? Sì? Ben fatto. Ma poi ci curiamo di dare degna accoglienza al Protagonista? Aggiungiamo un altro dato. Perché la partecipazione «all’unico pane spezzato» abbia evidenza, è bene compiere il gesto della «frazione del pane» in modo veramente espressivo e visibile a tutti. Prepariamo allora il pane azzimo, in modo tale che possa essere davvero spezzato in più parti da distribuire almeno ad alcuni fedeli. Cari panettieri, cari giovani, largo all’estro culinario. Tra le troppe cose che ci ostiniamo a portare all’altare e che non hanno nessuna attinenza con la Messa che celebriamo, si abbia cura che sulla mensa eucaristica venga posto un dono di qualità. Almeno a nostro Signore sia permesso di essere buono… come il pane! don Gaetano Comiati


La Parola ai giovani 4

Coffee breack

Al bar con Alessandra a parlare di fede La linea rossa che separa i credenti praticanti dai credenti non praticanti a volte è davvero sottile In un bar del centro ho incontrato Alessandra, 24 anni, vicentina, laureata in “Scienze della formazione primaria”. Si definisce persona credente, ma non praticante. Davanti a due caffè abbiamo parlato quasi un’ora della sua esperienza di Fede. Mi ha molto colpito notare che per lei era un’occasione, dopo alcuni anni, parlare nuovamente dell’argomento in maniera approfondita. «Sono nata in una famiglia credente e praticante - mi ha raccontato - anche se con disparità di comportamento tra i miei genitori. Mentre nella famiglia di mia mamma sono tutti molto credenti, mio padre non ha mai praticato molto. Lui ha affidato a mia madre il compito di curare la spiritualità di noi figli (due maschi e due femmine) assicurandosi che portassimo a termine un percorso di Fede che potesse esserci utile anche per la nostra crescita personale e lasciandoci liberi di scegliere, una volta diventati abbastanza grandi per decidere, se e in che modo avremmo voluto vivere il nostro rapporto con Dio. Ho vissuto un cammino di Fede “tradizionale”, frequentando il catechismo e ricevendo i sacramenti del Battesimo, della Comunione e della Cresima come naturali momenti di un percorso di crescita spirituale. Poi ho continuato a frequentare i gruppi giovanissimi, ma il mio gruppo si è sciolto dopo pochi anni. Questo mi ha fatto allontanare dalla vita parrocchiale. Penso, però,

che il vero motivo sia stato un altro: il mio rapporto con i sacerdoti non è mai stato il massimo; più di qualche volta esprimevano idee che non condividevo. Crescendo, e soprattutto in questi ultimi anni, ho elaborato un distacco dalla Chiesa come istituzione, ma un sempre maggior legame con Dio, soprattutto dopo la morte di mio padre, avvenuta qualche anno fa». A quanto capisco, nonostante ti sia allontanata dalla pratica religiosa, cerchi di mantenere un dialogo aperto con Dio. «Certo. Mi rivolgo spesso a Lui. Percepisco chiara la Sua vicinanza non solo nei momenti importanti della mia vita, ma anche nella quotidianità. C’è una certa perfezione nel susseguirsi degli eventi, che non può essere frutto del caso. Mi sento molto fortunata per le persone a cui voglio bene, i miei animali, il lavoro, la possibilità di coltivare i miei interessi, la salute. Quante cose mi ha dato Dio! Dietro a cose così belle non può che esserci Lui! Ogni passo verso Dio è sicuramente un passo avanti per la mia Fede, ma sento che Lui ci conosce così bene da aspettarci, da capire i nostri tormenti. Sento che Dio con me è paziente, come lo dovrebbe essere un padre che aspetta la crescita dei propri figli e che non li giudica negli errori, ma ne loda le conquiste. Non sai quanto mi senta vicina alla figura di Suo figlio, Gesù Cristo! È stato un uomo così forte da dimostrare le proprie debolezze in un modo tremendamente onesto. Un uomo puro, pulito, umile, capace di raggiungere una profondità di pensiero incredibile. Una persona dalla Fede “semplice” e sincera e, proprio per questo, tanto grande e irraggiungibile: la Fede in un Padre che ha

amato in modo incondizionato. Cosa può esserci di più profondo? Ecco, è il suo il modello di Fede che vorrei cercare di raggiungere, anche in minima parte. La sua apertura verso gli altri, che dovrebbe essere parte fondante della vita del cristiano, è un esempio per tutti noi». Sorseggiando il caffè e sempre più incuriosito, mi viene spontaneo chiedere ad Alessandra se frequenta la messa domenicale. «Non in modo costante, non trovo stimoli reali nel farlo. Talvolta, in un impeto di autocritica, mi chiedo se non sia per pigrizia, ma poi capisco che c’è qualcosa in più. Temo che il mio distacco dalla messa possa essere una naturale conseguenza della mia disaffezione al “mondo” della Chiesa: ai sacerdoti, alle loro idee, al fatto che durante la predica non mi possa alzare per ribattere…. Inoltr, non mi sento parte di una comunità, non mi sento utile alla mia parrocchia. Mi sono allontanata dal rito, ma giudico in modo positivo i giovani che frequentano la messa». Prendendo spunto dalla ricerca “C’è campo?”, chiedo ad Alessandra se, secondo lei, la Chiesa imponga più obblighi da assolvere o proponga più tracce e valori da seguire. «La Chiesa fa la sua parte: cerca di occupare un ruolo nella società e di adeguarsi ai tempi. Oggi non mi pare che imponga, come un tempo, obblighi da assolvere; sembra lasciare i propri fedeli più liberi, anche di sbagliare. Di certo, su alcuni temi la Chiesa è rigida e arretrata. Penso all’eutanasia o all’uso dei contraccettivi. Non voglio, però, demolire quella che è l’importanza della Chiesa come garante di valori fondamentali che sembrano a volte

19 dicembre ore 9 - 12.30 - Liceo Quadri in via Carducci 17 a Vicenza S.O.S. SESSUALITÀ (parte seconda) Giornata studio per animatori dei giovanissimi promossa dal Settore Giovani di Ac, con la presenza di Manola e Giampietro (educatori di sessualità) 26-28 dicembre a Villa San Carlo di Costabissara ESERCIZI VOCAZIONALI GIOVANI “Date loro voi stessi da mangiare” (Mc 6,37)

dimenticati (e meno male che qualcuno li tutela!), ma in alcuni ambiti l’arretratezza è così palese, che è impossibile ignorarla». Parli mai di Fede con i tuoi amici? «Devo ammettere che non capita spesso. È più facile in famiglia. Talvolta discuto di religiosità con le mie amiche più strette, con le quali è capitato di dibattere alcuni temi in cui la Chiesa è stata coinvolta. Nella mia cerchia di amicizie l’attenzione alla parte spirituale è tenuta poco in considerazione. Mi chiedo se sia proprio tutta colpa nostra. Noto svogliatezza e disinteresse per tutto ciò che comporta una certa fatica (come può essere, appunto, coltivare la propria spiritualità), ma il tutto non si può limitare a questo. Un tentativo di recuperare questa “gioventù perduta” non sento sia fatto “dall’altra parte”. E se avessimo bisogno di essere ancora coinvolti? Di sentirci utili?». Alla fine mi sorge spontaneo chiederle se pensa che un domani po-

trebbe ricominciare a frequentare la parrocchia. «Assolutamente!», risponde senza esitare. «Quando avrò raggiunto una maturità spirituale tale per farlo, sì. Dovrò riuscire a mettere in secondo piano l’idea negativa che mi sono fatta della Chiesa per avvicinarmi a essa in quanto tassello fondamentale per rafforzare la mia Fede. Il mio riavvicinamento, però, dovrà provenire da un bisogno reale che dovrò sentire nascere dentro di me e non da una forzatura. Sono molto aperta al confronto e mi auguro di incontrare persone che mi diano gli stimoli giusti per la mia crescita, anche scontrandomi con i miei limiti per poterli superare». Alessandra e io ci salutiamo con l’augurio di rivederci presto. Per lei è stato importante tornare a parlare di Fede, per me è stato confortante constatare che la linea rossa che separa credenti praticanti da credenti non praticanti a volte è davvero sottilissima. Sandro Pupillo

31 dicembre a Vicenza ULTIMO CON GLI ULTIMI, PRIMO CON IL PRIMO Ultimo dell’anno alternativo (www.ultimoconultimi.tk) Agosto 2011 a Madrid XXVI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (Col 2,7) Affrettatevi a iscrivervi!


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