#ascolto #prossimità #annuncio #parola #eucarestia #comunità #racconti #testimonianze
La Parola ai giovani SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 1 DEL 12 GENNAIO 2014
Generazione invisibile o sentinelle del mattino? “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Sette volte viene ripetuta questa frase nei primi capitoli dell’Apocalisse. Vi sembra realistico immaginare che anche adesso, in questo frangente della storia, lo Spirito Santo voglia comunicare qualcosa alle Chiese e agli uomini di buona volontà? Io credo di sì! E mi commuove pensare che lo Spirito ci possa parlare oggi attraverso la testimonianza di una sedicenne, una giovanissima ragazza pakistana di religione islamica, candidata al premio Nobel per la pace. Mi è sembrato di sentire la voce dello Spirito risuonare con la forza dirompente di una profezia, quando il 12 luglio 2013 ho acceso distrattamente la TV. Malala Yousafzai compiva sedici anni; era stata salvata miracolosamente dopo aver subito un attentato rivendicato dai talebani. La causa di quella aggressione era il suo impegno in favore dell’istruzione femminile, bandita dal fondamentalismo islamico. Nel giorno del suo compleanno Malala parla a New York, nel palazzo delle Nazioni Unite, da-
vanti alle telecamere di tutto il mondo. «Cari amici, il 9 ottobre 2012, i talebani mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato ai miei amici, anche. Pensavano che i proiettili ci avrebbero messi a tacere, ma hanno fallito. Anzi, dal silenzio sono spuntate migliaia di voci. I terroristi pensavano di cambiare i miei obiettivi e fermare le mie ambizioni. Ma nulla è cambiato nella mia vita, tranne questo: debolezza, paura e disperazione sono morte; forza, energia e coraggio sono nati. (…) Cari fratelli e sorelle, io non sono contro nessuno. (…) Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato». «Anche se avessi una pistola in mano e lui fosse in piedi di fronte a me, non gli sparerei. Questo è il sentimento di compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questa è la spinta al cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Mohammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è ciò che la mia anima mi dice: stai in pace e ama tutti». Nelle parole di questa ragazza così giovane respiro il profumo del vangelo, ricevo l’energia di una carica profetica inaudita. La forza della sua testimonianza
mi ricorda la grande visione di Giovanni Paolo II: “Vedo in voi le sentinelle del mattino, in quest’alba del terzo millennio”. Ilvo Diamanti aveva coniato un’espressione geniale e triste per fotografare il mondo giovanile: “generazione invisibile”, costretta a vivere nei “ghetti”, in esilio, perché non c’è spazio per i giovani in questa società. Più di dieci anni fa, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, il sociologo affermava: “La società attuale ha isolato i giovani, li ha chiusi nelle riserve come gli indiani, ha smesso di dialogare con loro. Li conosciamo pochissimo”. Malala è diventata un simbolo per me. Nella sua voce avverto l’eco di tante parole scambiate in questi anni con adolescenti e giovani; colloqui personali, momenti di confronto in gruppo, esperienze condivise, chiacchiere informali… occasioni preziose per intuire la ricchezza seminata nel cuore di queste nuove generazioni, che attendono con ansia di incontrare adulti disposti a lasciarsi sorprendere da loro. Malala è un “segno dei tempi”. È tempo di ascoltare “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Ai giovani non mancano le parole. Forse è agli adulti che mancano gli orecchi! Andrea Guglielmi
Dinamiche di gruppo
Non solo psicologia
In God we tunes
Primo passo costruire relazioni
Quando un’intuizione s’accende
Canzoni come radar di emozioni pag. 3
pag. 2
Settimanale di informazione della Diocesi di Vicenza
Direttore responsabile: Lauro Paoletto Testi a cura di: Ufficio Diocesano per i Giovani Piazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenza telefono: 0444-226556 sito web: www.vigiova.it Impaginazione a cura di: la Voce dei Berici
pag. 4
La voce dell’arte
Community
Arcabas ci fa sognare la vita
Un laboratorio per parlare di omosessualità pag. 5
pag. 6
La Parola ai giovani
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Dinamiche di Gruppo
a cura di Marcello Manea - Centro Studi Ce.I.S.
Curare le relazioni Pianificare i compiti Il tema del gruppo attraversa moltissimi momenti della nostra vita; siamo infatti multiappartenenti a gruppi sociali come ad esempio la famiglia, la classe, il team di lavoro, il gruppo degli amici, la squadra. In alcune culture o subculture la parola “io” non esiste, viene utilizzato prevalentemente il “noi”. Come a dire che la dimensione “gruppale” è prevalente nella vita delle persone. Nella nostra cultura l’”io” assume invece una valenza centrale, a volte prevaricante rispetto alla istanza sociale. Individualità e collettività dovrebbero invece essere intesi come aspetti complementari del vivere umano e non antagonisti. Anche nell’animazione in parrocchia si “utilizzano i gruppi” per poter formare ed educare giovani e adulti, a volte con una parziale consapevolezza che si ha a che fare con il dualismo individuo-gruppo. Come l’individuo nasconde dietro l’immediata apparenza una grande complessità e mistero, anche il gruppo cela dimensioni profonde oltre le visibili parvenze. Possiamo parlare di dinamiche di gruppo, di processi di gruppo.
Connecting the dots
Chi si occupa di animazione ed educazione deve acquisire delle competenze per poter leggere, intravedere cosa muove un gruppo, come interpretare alcuni comportamenti e programmare attività adeguate. Il primo concetto fondamentale che trattiamo durante i corsi di formazione per animatori è quello che in gruppo ci sono due aspetti interconnessi: il “compito” e la “relazione”. Per un gruppo giovanile parrocchiale di quattordicenni, ad esempio, il compito è quello di ritrovarsi settimanalmente per trattare il tema dell’amicizia. La relazione, ovviamente, è quella che si instaura con i coetanei e con gli animatori. È molto probabile che se chiediamo ad un adolescente il motivo per cui frequenta i gruppi giovanili, ci risponda “perché ci sono gli amici”. Allora se un’equipe di animatori fonda la propria programmazione esclusivamente sui contenuti, non incrocia il bisogno e l’appartenenza al gruppo di molti adolescenti, creando incomprensioni, malumori e talvolta disgregazione del gruppo stesso. Curare le relazioni vuol dire chiedersi: qual
è il clima del gruppo? Come interagiscono i ragazzi tra loro, con gli animatori e tra maschi e femmine? Ci sono ragazzi esclusi, che non intervengono? Sono presenti delle conflittualità tra i ragazzi? Le risposte a queste domande dovranno diventare parte integrante delle programmazioni successive. Laddove il clima di un gruppo si rivela sereno e “caldo” allora si può dare molta più attenzione ai contenuti da trattare, non dimenticando comunque di curare gli aspetti relazionali. Dove invece il clima di gruppo è disturbato, caotico, conflittuale è necessario programmare delle attività per portare il gruppo ad uno stato di benessere. Quali attività fare? Dipende dall’obiettivo specifico che ci si pone e poi ci può avvalere di molti testi che spiegano le attività per animazione dei gruppi. Leggere la tecnica di un’attività può non essere sufficiente se l’animatore non ha anche competenze di lettura e conduzione di gruppo. Ma questo lo vedremo nel prossimo numero.
Imparare a chiedersi: Com’è il clima nel gruppo? Come interagiscono i ragazzi tra loro? Ci sono esclusi? Sono presenti conflittualità?
marcellomanea@centrostudiceis.it
a cura di Andrea Frison
Lettera a un italiano “sopra la media” “Mamma, li forconi!”. Sono stati, per molte settimane,la notizia da prima pagina dei giornali. E l’oggetto delle ingiurie degli automobilisti. Non di tutti, in realtà, perché i “forconi” (è semplicistico chiamarli così, ma andiamo più veloci), con la loro protesta eclatante, hanno messo sotto i riflettori un’esasperazione che si fatica a non comprendere. Più difficile è stato decifrare cosa il movimento vuole (“tutti i politici a casa”… sì, ma poi?) e più complicato ancora è capire chi sono questi forconi, perché c’è dentro di tutto. Ora, non è questo lo spazio per un analisi seria. Qui
ci occupiamo di “dots”, di puntini, di “minuzie”. E c’è un puntino, in particolare, sul quale vorrei concentrarmi. Prima di Natale, sul web, ha riscosso un certo successo un articolo intitolato “Sciopero del 9/12: lettera aperta all’italiano medio”. In estrema sintesi, l’articolo passa in rassegna gli ultimi dieci anni di storia italiana, mettendo a confronto chi si interessava ai problemi del Paese e l’italiano “medio” che, invece, era più preoccupato del calcio o del Grande fratello. A questi, la lettera rimprovera il fatto che la sua in-
dignazione sarebbe fuori tempo massimo (era appena iniziata la protesta dei “forconi”) e che bloccare strade, lanciare molotov o tirare sassi non serve a niente. “I politici possono anche andare tutti a casa - scrive l’autore -, ma finché tu non inizierai a sbattere la testa contro i libri il Paese continuerà ad andare a rotoli”. Parole sacrosante, senza dubbio, però c’è qualcosa, in questa lettera, che non mi convince. E che non mi fa essere d’accordo. Non lo sono per un vizio di fondo che serpeggia nel testo, una specie di “visione del
mondo”. Questa: «Sai, italiano medio, in fondo in fondo, io, sono migliore di te. E la colpa è solo tua se oggi tutto va male». Forse, in mezzo al movimento dei forconi c’era proprio l’italiano medio a protestare. Quello che non si è sbattuto sui libri e che, oggi, non ha parole da dare alla sua rabbia e alla sua disperazione. Non ha strumenti per trasformarle in forme di lotta efficaci, significative, che lasciano il segno. Con un rischio, grande come una casa: di non essere padroni della protesta, di venire strumentalizzati se non,
addirittura, manovrati. Ora, mi chiedo. È giusto? È giusto che i disperati non abbiano parole e strumenti di partecipazione e lotta? Ma soprattutto: è giusto ritenersi sufficientemente “sopra la media” da guardare l’italiano medio dall’alto in basso? No, non è giusto. Sarà semplicistico, ma dove un italiano medio non si sbatte sui libri, c’è anche un italiano “sopra la media” che lascia le cose così come stanno. Tanto, che gliene frega di chi è sotto la media? Sarà anche una minuzia, un “puntino”, ma per me non lo è.
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La Parola ai giovani
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Non solo psicologia
a cura di don Andrea Peruffo
Quando si accende la lampadina Capita nella vita che un fatto, un’immagine, una battuta, una lettura ci apra improvvisamente gli occhi. “Non ci avevo mai pensato, ma ora capisco! Come ho fatto a non pensarci prima...”. È qualcosa che ha il gusto di una scoperta, di una novità che era lì, dietro l’angolo, ma che per un qualche motivo ci era nascosta e che poi improvvisamente ci appare come ovvia. Non è ancora la chiarezza di chi sa mettere tutte le cose al loro posto ma una traccia, un sentiero che apre vie nuove cercate, sperate e che ora si possono provare a percorrere. È il sapore di un’emozione che rallegra il cuore, che allarga lo sguardo, che mette in moto il pensiero, superando quel girare su se stessi di chi è incapace di trovare una via d’uscita. È come quando entri in una rotatoria e non sai che uscita prendere.
Ti trovi così a girare a vuoto una, due, tre volte in modo ridicolo. Poi decidi di uscire in quella che ti sembra la strada migliore: procedi lentamente cercando i punti di riferimento che l’amico ti aveva indicato; senti che dovrebbe essere quella la strada, finché quella che era solo un’intuizione diventa certezza. Così procede spesso la vita, per intuizioni che via via diventano certezze; così anche la ricerca vocazionale, la ricerca della verità di se stessi. Un’idea che dà gioia e ansia allo stesso tempo e che un po’ alla volta si chiarisce. Qualcuno ha scritto che l’intuizione è come un lampo. Una scintilla. Uno squarcio nella foschia del nulla. Ma non arriva da sola, l’intuizione, no. È come l’ispirazione, l’estro, il momento creativo. Non arriva da sola! Si sembra pro-
Educare alla sessualità
prio che sia così nel senso che ci deve essere un clima, una disposizione interiore che la rende possibile. Mi spiego. L’intuizione è sempre legata ad un aspetto della vita che ti sta a cuore, ad una consapevolezza che si traduce in domanda, in un’inquietudine, in un desiderio di capire che al momento ti sembra negato. È questo il clima dal quale può arrivare l’intuizione come scintilla, come squarcio nella foschia. Questo livello più profondo della vita deve essere risvegliato, educato e sviluppato. Non si tratta allora, come di solito si pensa, di qualcosa di casuale che capita nella maniera più spontanea e inaspettata. Tutt’altro. C’è un percorso che porta ad entrare in contatto con livelli più profondi della vita, in una capacità di ascolto di se stessi alla quale non siamo troppo abituati. L’intuizione che va certamente col-
tivata e cercata, non sarà solo il frutto di un lavoro personale sulle proprie doti e qualità ma l’esito di un incontro profondo, l’intreccio di sguardi premonitori di novità. E’ un vedersi e scoprirsi ri-conosciuti come mai prima di quel momento. L’intuizione non è allora un puro fatto cognitivo; il capire nuovo da cui siamo partiti non è solo un insieme di concetti o di ragionamenti. Questi ci sono ma l’intuizione è qualcosa di globale sulla propria vita che tocca anche i livelli emotivi e che ci aiuta a sentirci parte di una realtà più grande, sensata che stimola anche il rischio di scelte importanti. Ma attenzione non sarà l’intuizione a farti scegliere. Essa si pone come il punto di svolta in un cammino di ricerca che ha un prima e un dopo e che ha bisogno di interagire con tanti altri aspetti della vita.
a cura di Manola e Giampietro
La prima volta vista da lui Stiamo assieme da un anno. La mia ragazza studia e vive a Modena da qualche mese. Un giorno parto da Padova e la raggiungo per trascorrere con lei il fine settimana. Durante il viaggio mi faccio il mio “film”, mi immagino quali potrebbero essere i particolari di questo fine settimana speciale. Noi maschi siamo più bravi di Stanley Kubrik quando si tratta di immaginare la sceneggiatura di un incontro amoroso. È la prima volta che abbiamo l'occasione di trascorrere la notte assieme, tutti soli, lei ed io. Quando apre la porta mi trova così: zaino in spalla e tre gerbere da rianimare in mano. Dalla sua espressione capisco che Kubrik non è il suo regista preferito. Nello zaino ho tutto quello che mi serve: sono uno scout! «Dove dormo?» Le chiedo. Il fatto che io mi preoccupi di questo particolare alle dieci del mattino la dice lunga. «Ho portato il sacco a pelo - dico - potrei dormire sul divano o sopra i pensili della cucina se fosse necessario». Ci ridiamo su e ci fa bene ridere, sprigiona la luce dei nostri volti, quella luce che è prova inconfondibile di felicità. Trascorriamo una bella giornata e a mezzanotte srotolo il mio sacco a pelo e le chiedo di nuovo: «Dove dormo?». «Sul letto, con me!» dice lei ridendo. Poi si ritira nel religioso silenzio della toilette. Ne esce solo dopo aver indossato il suo pigiamone intero, medievale, inespugnabile, ignifugo e idrorepellente. Tocca a me. Mi lavo i denti col dito. Tolgo il superfluo e resto solo
con il mio slip d’assalto, quello rosso con stampigliata sul davanti la scritta “premo e fremo”. È la nostra prima notte assieme. Immobile, coperta dal piumone fino al mento, lei mi dice: «Buona notte». Buona notte? Nonostante sia pieno inverno, io ho caldo. Muoio dal caldo. «Ma non hai caldo?» Le chiedo. No, dice, sono freddolosa. Io mi giro e mi rigiro. Sono agitato. Una voce dentro di me dice: «Ma che fai? Non ci provi?» Un’altra voce mi chiede: «Cosa penserà lei se non le mostro il mio interesse? Penserà di non piacerti. Penserà che sei un buono a nulla. Penserà che si un “mezzo uomo”». Un mezzo uomo? Questa voce la riconosco: è quella del mio papà. «Papà, cosa ci fai qui? Ma quanti siete?». Dai e dai a un certo punto mi decido. Mando la mia mano in avanscoperta... «Dove corri?» dice lei. «Sono un esploratore!» dico io. «Sono contenta per te - risponde Ma prima di arrivare in cima alla montagna la strada è lunga, e siamo solo all'inizio. Buona notte!». In quel preciso istante mi rendo conto che è inverno, che fa un freddo insopportabile e mi sento solo. Solo e stupido. Mi rannicchio e penso che non dovevo dar retta a mio padre, ai miei amici e a tutti i miei modelli di uomo “vero”. Mi porto il piumone fin sotto agli occhi e respiro piano per non far rumore, più piano del più piccolo grande amore. Vorrei sparire. Ma stranamente inizio a provare un imprevisto sentimento di sollievo.
Non capisco, è come se quel “no” mi stesse facendo bene. Le voci tacciono. Sono sprofondate nella mia vergogna. Ora sono davvero solo. Sono davvero io. È come se mi accorgessi soltanto ora che accanto a me c'è lei, sotto lo stesso piumone, respirando lo stesso freddo umido buio di una indimenticabile notte di gennaio. È la nostra prima volta. La prima volta che dormiamo assieme. La prima volta che mettiamo alla prova la nostra intimità. L’io fa spazio al tu e finalmente cominciamo ad avvicinarci. La abbraccio. Sento nella pancia tutta l’emozione del mondo. Con il mio abbraccio voglio dirle che ho il coraggio e la forza di sopravvivere a tutti i no che servono per arrivare nella terra del sì. Voglio dirle che ho
paura di perderla. Voglio dirle che le sono grato. Voglio dirle «Ti amo». Il bello degli abbracci è che dicono molto più di ciò che noi vorremmo dicessero e lo fanno molto meglio di come lo faremmo a parole. È la prima volta che le pareti della mia intimità si aprono a quelle dell’intimità di qualcun altro e formano uno spazio solo. Quel “no” mi ha messo di fronte a lei senza mediazioni. Senza i falsi miti del come dovrebbe essere. Quel “no”, è solo un no apparente. Dietro quel no, ho sentito il desiderio di vivere un’intimità solo nostra, dove ciò che succede non si può raccontare, perché non ci sono parole per farlo. Quel “no” è stato il miglior “no” della nostra vita.
La Parola ai giovani
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In God we tunes
Seg u “In la rubr i asco God w ica rican ltando e tune o pun do il p nline o s” tate odca scadi Ra s dio V t delle i www giov a: .radio
a cura di don Andrea Guglielmi
Canzoni come radar Coldplay Jovanotti Elisa
vigio va.it
Diamo alle canzoni la possibilità di attraversare i territori dell’anima. A quel punto la musica diventa specchio della nostra interiorità, una specie di “radar” che legge le nostre emozioni, le esperienze che abbiamo vissuto e i ricordi che ci portiamo dentro. E ancora una volta ci chiediamo, da credenti o da cercatori di infinito: il testo di una canzone può entrare in dialogo con il testo biblico, quella “Scrittura” in cui troviamo le tracce della Parola di Dio? Radio Vigiova ci sta provando.
Paradise Coldplay La conosciamo bene questa canzone dei Coldplay; un successo planetario! Io avrei alcune domande da fare a questa ragazza. Vorrei chiederle che idea ha del paradiso, quali erano i suoi sogni, quali attese sono andate in frantumi. Cosa significa questa frase: “She expected the world”? Si aspettava di “avere il mondo ai suoi piedi”? Era un adolescenziale delirio di onnipotenza, crollato al sopraggiungere delle difficoltà, quando ti arrivano in faccia i primi proiettili (the bullets catching the teeth), quando ogni lacrima diventa una cascata (Every tear a waterfall)? Che cosa significava per lei sognare il paradiso? Era la fuga da un mondo divenuto ostile, fuori dalla sua portata (it flew away from her reach)? Era un modo per evadere dalla vita reale, quando la vita diventa pesante (Life goes on it gets so heavy)? Mi chiedo se alla fine questa ragazza sia riuscita a cogliere il senso della vita. Forse avrà capito che il paradiso non arriva da solo, che è necessario agire qui ed ora da persone responsabili, generose, affidabili, audaci. Mi viene spontaneo connettere un testo come questo ad altri testi, come la frase illuminante che trovo in una canzone dei The Sun: “Se non muoviamo un passo verso il paradiso lui non verrà da noi” (L’alba che vuoi). Italo Calvino conclude così Le città invisibili: “L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è in-
ferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Nell’ottica cristiana, il paradiso è un intreccio di presente e futuro, è simultaneamente dono e impegno. È frutto dell’amore di Dio e conseguenza del nostro cammino, del nostro lavoro, di una lotta continua contro le forze infernali e demoniache che corrodono il cuore dell’uomo, che rovinano i rapporti tra le persone. “The sun’s set to rise”. Il sole è destinato a sorgere ancora. Si conclude con questo sguardo di speranza la canzone dei Coldplay. A me vengono in mente le parole di Gesù: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Credo sia questa la porta del paradiso: nello stile di vita di Gesù si apre per ognuno di noi il cammino verso una felicità piena.
Nella terra degli uomini Jovanotti È affascinante lo spazio che abitiamo, il mondo che ci ospita, la “terra degli uomini”. È affascinante non solo per noi, ma anche per Dio! È proprio questa la grande scommessa della fede cristiana: nella terra degli uomini Dio stesso ha posto la sua dimora, la sua tenda. Ha scelto di essere il nostro co-inquilino, il partner di un’alleanza, il nostro compagno di viaggio e di avventure. Proprio qui, “dove suona la musica e governa la tecnica”, “dove si sperimenta la pratica e si forma la lacrima”, “dove ridono i salici” e “piangono i comici”. Questa mondo è teatro di contraddizioni assurde: trovi arbitri indifferenti che si limitano a “leggere i monitor con le facce impassibili”, ma fuori “c’è sempre un gran sole a sorprenderci”. “Sotto ai miei piedi c'è un bara-
tro, e sulla mia testa c'ho gli angeli, e qui siamo proprio nel mezzo, nella terra degli uomini”. Mi lascio cullare dal testo magnifico di questa canzone e dalla melodia vellutata che lo accompagna; sento che mi arriva l’eco sempre più chiaro di quella “Parola” che proprio qui - nella terra degli uomini - ha edificato la sua dimora: “E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Ci viene detto che la Parola di Dio ha scelto di vivere “in mezzo a noi”, proprio nel mezzo, nella terra degli uomini, tra il pozzo e il cielo, tra il baratro e gli angeli. E quale sarebbe lo scopo di questa incarnazione? Detto in modo più semplice: qual è il senso della vita e della missione di Gesù? Ce lo dice indirettamente il buon ‘Jova’, alla fine della canzone: aiutarci a scoprire l’amore vero, quello che non è “una trappola”, l’amore che
“ti libera”, che ti fa stare in pace nella terra degli uomini; e proprio perché stai bene “ti senti una favola” e capisci che “tutta la vita non è solamente retorica, ma sostanza purissima che ti nutre le cellule”. È quell’amore che sprigiona le tue migliori energie e “ti fa venir voglia di vivere, fino all’ultimo attimo”. I cristiani si mettono in ascolto di Gesù, Parola diventata carne nella terra degli uomini, perché è grazie a lui che impariamo a fare di questa terra un luogo ospitale; impariamo a trovare “un posto per chi ci sorride da un angolo”. Leggere il vangelo significa apprendere l’arte della fraternità, creare non trappole, ma legami, come insegna la volpe al piccolo principe. “Che cosa vuol dire addomesticare?”. “È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”. E anche Dio - così fortemente attratto dalla terra degli uomini - ha voluto creare con noi questo legame: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Per dirla ancora con le parole del caro Lorenzo, “Io sono con voi tutti i giorni, fino all’ultimo attimo... fino all’ultimo attimo”.
L’anima vola Elisa Era da un po’ di anni che non mi emozionavo così fortemente all’ascolto di una canzone di Elisa. L’anima vola è una magnifica fotografia dell’interiorità umana, colta nel suo essere in movimento, nella sua apertura al mondo, alle relazioni. Proprio questa visione dinamica dell’anima mi fa pensare a tante possibili connessioni con una parola biblica: “spirito”. C’è lo spirito umano e lo Spirito di Dio, ma credo sia questo il termine più adatto per tradurre l’idea di anima che la canzone descrive. Lo spirito nella bibbia è vento, forza, energia... al tempo stesso è
alito, respiro, intimità. “Un bacio è come il vento; quando soffia piano però muove tutto quanto”. È suggestivo pensare che questo innesto di forza e dolcezza sia il regalo più grande che Dio abbia fatto all’uomo: “Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita” (Genesi 2,7). Nel testo della canzone si dice che “l’anima è forte”. È intrigante pensare che il nostro spirito diventi ancora più robusto e grintoso quando incontra il Santo Spirito di Dio: “Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso” (Atti 2,2). Bella l’idea di un’anima capace di volare. la Genesi inizia così: “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gn 1,2). Lo Spirito appare più volte, nei testi biblici, in forma di colomba. I passaggi più intensi nel testo di Elisa riguardano la dimensione relazionale, quella sete di autenticità, di verità, di profondità nei rapporti di amicizia e di amore “Se mi guardi negli occhi cercami il cuore, non perderti nei suoi riflessi. Non mi comprare niente; sorriderò se ti accorgi di me fra la gente. Sì che è importante che io sia per te in ogni posto, in ogni caso quella di sempre. L’Anima osa (...) e come balla quando si accorge che sei lì a guardarla. Non mi portare niente; mi basta fermare insieme a te un istante, e se mi riesce poi ti saprò riconoscere anche tra mille tempeste”. Lo Spirito rompe le barriere, abbatte i muri, e crea la comunione, la relazione, la comunità. Paolo scrive: “camminate secondo lo Spirito” (Galati 5,16). Camminare secondo lo spirito significa superare l’egoismo e andare incontro all’altro, per essere artefici di amore, di cura, di tenerezza, di responsabilità verso la persona che ami... verso ogni fratello. Lo Spirito nel giorno di Pentecoste è fuoco che scende dal cielo, quel fuoco che nella bibbia evoca sempre l’amore, il coraggio, la passione e l’entusiasmo. “Le grandi acque non possono spegnere l’amore”. Così si conclude il grande poema amoroso, il Cantico dei Cantici. E proprio così si conclude la canzone di Elisa: l’anima vola… mica si spegne. Volete un piccolo suggerimento? Ascoltate la canzone di Elisa e poi rileggete la famosa preghiera di don Tonino Bello Dammi Signore un’ala di riserva: “Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un'ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati...”.
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La Parola ai giovani
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Buio in sala
a cura di don Alessio Graziani
La bicicletta verde Un desiderio di libertà La bicicletta verde è un piccolo grande sogno di libertà. Wadjda è una bambina di dieci anni che vive nella periferia di Riyadh, capitale dell’Arabia Saudita. Per molti aspetti assomiglia ai preadolescenti di ogni altro luogo della terra: preferisce le
La protagonista del film
La voce dell’arte
scarpe da ginnastica e la musica rock, assiste pensosa ai litigi dei genitori, non sempre ama andare a scuola. Ma il suo desiderio di indipendenza deve scontrarsi con un sistema culturale e religioso che inibisce fortemente la donna e le sue aspirazioni. Dopo una sfida lanciatale da Abdullah, inseparabile compagno di giochi, Wadjda inizia a sognare un oggetto proibito al genere femminile: la bicicletta. Per poterla comprare arriva addirittura ad iscriversi ad una gara di cultura coranica, la cui vincita in denaro le permetterebbe - paradossalmente l’acquisto di ciò che la stessa religione le proibisce. Il film (il primo girato in Arabia Saudita grazie ad una coproduzione arabo-tedesca e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2012) affronta, senza mai essere superficiale, tematiche diverse legate al ruolo della donna nel mondo arabo, alla religione e al rapporto tra Islam e modernità, all’adole-
scenza con le sue contraddizioni e i suoi sogni di libertà. Gli oggetti in questo film (la bicicletta, ma anche le scarpe o un vestito alla moda, la radio e le cuffie per ascoltare la musica) acquistano evidentemente una forte valenza simbolica. Fuori da un contesto di consumismo esasperato in cui le cose materiali sfumano fino a perdere il proprio valore, la contrapposizione tra avere ed essere viene meno e la reale possibilità di affermare un’identità diversa passa anche attraverso il possesso, anzi la conquista di alcuni beni capaci di esprimere emancipazione e libertà. Wadjda - con il candore dell’infanzia e la tenacia dell’adolescenza - sfida apertamente un sistema chiuso e maschilista, in cui le donne sembrano assumere valore sempre e soltanto in funzione dell’uomo, delle loro funzioni di mogli e di madri. L’abbraccio con la madre e la corsa spensierata con Abdullah alla fine del film divengono il segno che
forse gli affetti più semplici e veri possono fare breccia e aprire spazi di vita anche all’interno dei sistemi più rigidi e oppressivi. Wadjda, senza particolari rivendicazioni, riesce a tracciare l’idea che un futuro diverso per i giovani è possibile e che gli sforzi e i s a c r i fi c i non sono mai vani. La bicicletta verde e un delicato inno alla speranza. Un film da vedere per capire le diversità culturali e religiose, ma forse anche per capire meglio noi stessi e ridare valore a quanto ogni giorno rischiamo di dare per scontato.
a cura di Francesca Rizzo
Vita da proteggere, vita da sognare Con una piccola tela ad olio, l’artista francese Arcabas (pseudonimo di Jean-Marie Pirot, nato a Trémery nel 1926) ci parla di vita. E di molto altro ancora... Apparentemente innocua, silenziosa, l’opera ha in se un messaggio che urla in modo dirompente. La donna che si presenta ai nostri occhi nuda, con i seni accennati da semplici tratti di pennello, dritta e stabile come una colonna, ci fissa muta negli occhi. Non riusciamo a vedere con chiarezza i tratti del volto perché si trova in una luminosa atmosfera. Le tonalità sono quelle dell’azzurro e del violetto. Il monte alle sue spalle la protegge come un mantello. È serena e le labbra rosee accennano un sorriso. Ci sono anche delle colombe che le volano attorno, ma il suo sguardo è solo su di noi perché vuole condurci a guardare il tesoro che protegge con le mani. E come non notarlo? Il suo ventre gonfio si trova proprio al centro della composizione: un sole raggiante che illumina ogni cosa. Persino nelle profonde oscurità, nella parte bassa del quadro, sono presenti piccole scintille dorate che vibrano con la luce. Evidentemente la donna sta aspettando un figlio e tutta la creazione è con lei. Ma chi sarà questo bambino? Che vuol dire questa
presenza? Con lo sguardo la donna cerca in noi una complicità, un appoggio, vuole essere ricoL’artista nosciuta nel Arcabas suo essere madre. Proviamo a chiederci come poterla aiutare. Che cosa, nel mondo di oggi, può favorire la sua creatura? E cosa invece ne ostacolerebbe la vita? Ogni nascita è una benedizione, come l’inaspettata gravidanza di Elisabetta, anziana e sterile (Lc 1,36) segno che Dio compie ciò che è impossibile all’uomo. Vale a proposito il racconto del cantante cieco Andrea Bocelli: “I dottori le dissero che avrebbe fatto meglio ad abortire perché il bambino sarebbe venuto al mondo con qualche forma di disabilità. Ma la giovane sposa decise di non interrompere la gravidanza e il bambino nacque. Quella donna era mia madre e il bambino ero io”. Ci siamo mai chiesti cosa sarebbe successo se qualcuno avesse provato ad abortire noi, te? Per Dio ogni vita è preziosa: "Prima ch’io ti avessi formato nel seno di tua madre, io t’ho conosciuto”(Geremia 1,5). Papa France-
sco ce lo ricorda: “Guardiamo a Dio come al Dio della vita. Il Dio Vivente ci fa liberi. Diciamo sì all’amore e no all’egoismo, diciamo sì alla vita e no alla mor te, diciamo sì alla liber tà e no alla schiavitù dei tanti idoli del nostro tempo”. Dobbiamo essere portatori di vita ogni giorno. “La fede è una mano che ti fa partorire, - scriveva Alda Merini partorire un frutto buono! Quando Dio si avvicina, la vita diventa feconda e nessuno è più sterile”. È lui che permette speranze nonostante le macerie, frumento buono nonostante la erbe cattive del nostro campo. Dio viene nel cuore della vita, nella passione e nella fedeltà d’amore, nella fame di giustizia, nella tenacia dell’onestà, quando mi impegno a ridurre la distanza tra il sogno grande dei profeti e il poco che abbiamo fra le mani. Perché il peccato non è trasgredire delle regole, ma trasgredire un sogno.
L’urlo della vita Arcabas 2009, olio e foglia d’oro su tela
La Parola ai giovani
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a cura di Beatrice Brogliato e Damiano Migliorini
Chiesa e Omosessualità Parlarsi per capirsi La proposta di affrontare in un incontro-laboratorio un tema spinoso come il rapporto tra Chiesa e omosessualità, nasce dall’esperienza della sofferenza e dei disagi (familiari, sociali, relazionali) che spesso si riscontrano nelle piccole realtà del nostro territorio, dove temi di questo tipo a volte non vengono affrontati con la dovuta serenità e competenza. Nasce quasi per caso, dall’incontro delle nostre due sensibilità: quella di Beatrice Brogliato (psicoterapeuta, specializzata in Psicologia Clinica) e quella di Damiano Migliorini (filosofo, laureato in Scienze Religiose). Un incontro forse non poi così casuale,
I segni della liturgia
per chi è abituato a vedere nelle cose che accadono la manifestazione di una Bontà che ci supera, mettendo i semi nelle cose e lasciando alla nostra libertà la capacità di coglierli e di farli germogliare. Insieme, attraverso strade diverse, ma condivise nel dialogo, siamo giunti alla conclusione che la mentalità comune nelle nostre parrocchie riguardo l’omosessualità è ancora fortemente intrisa di pregiudizi, è che è un nostro dovere metterci in cammino per aprire delle strade di speranza per le persone e le famiglie coinvolte. Come già scriveva Mons. Valter Danna: «La difficoltà delle persone omosessuali a vivere nelle
comunità ecclesiali è accresciuta da una pastorale che si trova normalmente impreparata o presa alla sprovvista di fronte alla presenza di un omosessuale nei gruppi giovani, nelle associazioni, nei movimenti. [...] Capire la diversità è sempre difficile, ma favorirne l’accettazione per una convivenza più serena è possibile e doveroso, soprattutto nelle famiglie e nelle comunità cristiane [...]. Si tratta di accogliere, ascoltare, comprendere ciò che agita il cuore dell’uomo contemporaneo nelle svariate situazioni in cui si trova». È maturata così la decisione di cominciare ad entrare nelle piccole
realtà parrocchiali a parlare del tema, attraverso contatti personali e grazie alla disponibilità di alcuni sacerdoti. Da un po’ di tempo, quindi, proponiamo dei momenti di riflessione e di scambio di opinioni nelle parrocchie del vicentino. L’obiettivo che ci prefiggiamo non è quello di risolvere con una parola definitiva le complesse questioni che ruotano intorno a questa tematica, bensì quello di fornire alcune indicazioni (teoriche, pastorali e umane) che possano limitare l’impatto spesso sconvolgente che può suscitare lo scoprirsi parte dei due mondi: cattolico e omosessuale. Gli incontri sono rivolti al singolo, giovane o adulto, che si scopre omosessuale, ma anche - soprattutto - alle famiglie, al mondo degli affetti e alla comunità, troppo spesso impreparate ad accogliere una tale, dirompente, novità. Nessuna pretesa ideologica, quindi, ma un dialogo franco: un momento in cui parlare, parlarsi, porsi e porre delle domande accompagnati da chi ha avuto modo, nel suo corso di studi e nella sua attività professionale, di approfondire problematiche così complesse, e la cui soluzione - in fin dei conti - è ancora tutta da scrivere.
Il progetto: Un momento di riflessione e scambio di opinioni nelle parrocchie
a cura di don Pierangelo Ruaro
Tutto il corpo comunica Quando comunichiamo, lo facciamo sempre con tutto il corpo; non può essere altrimenti. Eppure troppe volte lo dimentichiamo. Se ne può scordare il prete che durante la celebrazione, a più riprese, si rivolge all’assemblea; il lettore quando va all’ambone; il coro, soprattutto ora che è chiamato a trovare il suo posto all’interno dell’assemblea (cf documenti sulla progettazione di nuove chiese), visibile da essa, per poter svolgere il suo compito di guida e traino. La verità o meno, di quello che diciamo, leggiamo, o cantiamo, è data dal nostro corpo, dal nostro modo di stare davanti agli altri. Perché anche le parole (dette o cantate) hanno un corpo. Ne facciamo continuamente esperienza nella nostra vita. La verità espressa dalle parole non coincide semplicemente con il concetto in esse contenuto. Per capire bene il concetto, abbiamo bisogno di ascoltare il suono della voce e guardare l'espressione del viso di chi ci parla. Quello che rende manifesto il senso autentico e vero delle parole è normalmente nascosto nella luce degli occhi, nei timbri della voce, nella mimica del volto, nei movimenti del corpo. Le parole dicono perché il corpo parla. Basta un tono, una inflessione, una piega delle labbra, un lampo negli occhi: e una frase che pareva scortese si rivela un gioco affettuoso, o, al contrario, quel che aveva tutta l'aria di essere un complimento può apparire in un istante una sottile malignità.
L’idea che ci guida, nel mettere umilmente a servizio le nostre competenze, è che solo parlandosi, in un dialogo aperto e rispettoso delle rispettive posizioni - spesso lontane e difficilmente conciliabili - si possa arrivare a capirsi; il risultato di un confronto serio può portare a confermare le proprie idee o ad addolcirle, e - nel migliore dei casi - a convergere su azioni comuni che alleggeriscano la sofferenza di chi si trova in situazioni di conflitto interiore. Chiunque fosse interessato, può scrivere a damigliorini@gmail.com oppure a brogliato29@gmail.com.
Per cui può capitare che il corpo non sia in sintonia con le parole che si dicono o si cantano. Così pure, da parte delle persone che formano l’assemblea, si pronunciano testi di preghiera, o si compiono i gesti della liturgia senza un supporto adeguato del corpo. Non è raro, per esempio, vedere ragazzi mettersi in fila per la comunione e camminare con le mani in tasca... Oppure, ancora in molte comunità c’è l’abitudine di sedersi al canto del gloria: le parole in una direzione, il corpo da un’altra... Il modo con cui le cose vengono dette, la maniera con cui ci si atteggia con il corpo, appartengono in profondità al contenuto che si intende esprimere: è sempre l'uomo intero che parla, canta, celebra.
Celebrare insieme la fede e l’amore
Disegno di S. Erspamer Clip Sacra Ars, Elledici
Camminare Nel rito della messa celebrato fino al Vaticano II le prime parole pronunciate dal sacerdote dopo il segno della croce erano: Introibo ad altare Dei («Verrò all'altare di Dio»). Se nella liturgia il camminare è, da sempre, uno degli elementi più importanti, presente in quasi tutte le celebrazioni, il motivo è proprio questo: è il segno più eloquente dell'uomo che avanza, progredisce verso Dio. Lo stesso Concilio Vaticano II, per esprimere l'identità della chiesa ha scelto l’immagine del popolo ebreo in cammino verso la terra promessa: i cristiani non sono un popolo di persone 'sedute', simili ai custodi di un museo; sono un popolo in cammino, sulle orme del nomade Abramo e dell'itinerante Gesù. Nel Vangelo, è autenticamente discepolo di Cristo colui che segue il maestro e cammina dietro a lui: «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me;
chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me» (Mt 10,37-38). Per questo, il Sinodo celebrato qualche anno fa dalla Chiesa Vicentina, ha voluto come titolo programmatico “la Chiesa di Vicenza, in cammino sulla strada del Regno di Dio, incontra l’uomo e il mondo”. Fin dai primi secoli, i cristiani hanno privilegiato il gesto della processione per esprimere celebrativamente la loro identità. Le più antiche processioni sono quella del 2 febbraio (presentazione di Gesù al tempio) e della domenica delle palme (ingresso di Gesù in Gerusalemme). Purtroppo, in queste circostanze la preoccupazione dei cristiani è quella di portare a casa la candela o il ramo di ulivo; in realtà candele e ulivo sono prima di tutto strumenti per la processione: la liturgia ci chiede la disponibilità a
muoverci processionalmente, per ricordarci che la vita cristiana è un cammino continuo, dal battesimo fino all’ultimo esodo. La liturgia è il luogo in cui andiamo incontro a Dio con il nostro corpo. Per cui una liturgia caratterizzata dall'immobilità dei corpi non meriterebbe questo nome. Purtroppo, invece, ancora troppo spesso, i fedeli si comportano da ascoltatori e oranti passivi... Come l'Eucaristia ci fa tendere verso il Regno dei cieli «dove con tutte le creature, liberate dalla corruzione del peccato e della morte» potremo glorificare il Padre (Preghiera eucaristica IV), il camminare fa desiderare a noi, pellegrini su questa terra, la locanda dell'eternità, dove speriamo di essere colmati della gloria del Padre, tutti insieme e per sempre, quando egli asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi.
La Voce dei Berici ha raccolto nel volume Glorificate Dio nel vostro corpo (isg edizioni), gli articoli curati da don Pierangelo Ruaro, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, e apparsi nella rubrica “I segni della liturgia”. L’intento della rubrica era quello di accompagnare i fedeli a riappropriarsi di segni, luoghi, gesti e canti che vengono vissuti nelle liturgie e nelle celebrazioni. Con La Parola ai giovani, ripubblichiamo gli interventi di don Pierangelo. Invitiamo gli animatori dei gruppi giovanili e tutti coloro che hanno ruoli di responsabilità nelle associazioni e nei movimenti, a favorire nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani, la riscoperta dei segni della liturgia e il gusto di celebrare insieme la fede e l’amore di Dio. Per acquistare o ordinare copie de Glorificate Dio nel vostro corpo, contattare la redazione de La Voce dei Berici allo 0444.301.711.
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La Parola ai giovani
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New York - 12 luglio 2013. Il discorso di Malala Yousafzai all’Onu
Onorevole Segretario Generale dellOnu Ban Ki-moon, spettabile presidente dell’Assemblea Generale Vuk Jeremic, onorevole inviato speciale delle Nazioni Unite per l’istruzione globale Gordon Brown, rispettati anziani rispettati e miei cari fratelli e sorelle: Assalamu alaikum (la pace sia con voi, n.d.t). Oggi è un onore per me tornare a parlare dopo un lungo periodo di tempo. Essere qui con persone così illustri è un grande momento nella mia vita ed è un onore per me che oggi sto indossando uno scialle della defunta Benazir Bhutto. Non so da dove cominciare il mio discorso. Non so cosa la gente si aspetti che dica, ma prima di tutto voglio ringraziare Dio per il quale siamo tutti uguali e ringraziare tutti coloro che hanno pregato per una mia veloce guarigione e una nuova vita. Non riesco a credere quanto amore le persone mi hanno dimostrato. [...] Cari fratelli e sorelle, ricordiamo una cosa: il Malala Day non è il mio giorno. Oggi è il giorno di ogni donna, ogni ragazzo e ogni ragazza che hanno alzato la voce per i loro diritti. Ci sono centinaia di attivisti per i diritti umani e operatori sociali che non solo parlano per i loro diritti, ma che lottano per raggiungere un obiettivo di pace, educazione e uguaglianza. Migliaia di persone sono state uccise dai terroristi e milioni sono stati feriti. Io sono solo uno di loro. Così eccomi qui, una ragazza come tante. Io non parlo per me stessa, ma per dare una voce a coloro che meritano di essere ascoltati. [...] Cari amici, il 9 ottobre 2012, i talebani mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato ai miei amici, anche. Pensavano che i proiettili ci avrebbero messi a tacere, ma hanno fallito. Anzi, dal silenzio sono spuntate migliaia di voci. I terroristi pensavano di cambiare i miei obiettivi e fermare le mie ambizioni. Ma nulla è cambiato nella mia vita, tranne questo: debolezza, paura e disperazione sono morte; forza, energia e coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Le mie speranze sono le stesse. E i miei sogni sono gli stessi. Cari fratelli e sorelle, io non sono contro nessuno. Né sono qui a parlare in termini di vendetta personale contro i talebani o qualsiasi altro gruppo terroristico. Sono qui a parlare per il diritto all'istruzione per tutti i bambini. Voglio un’istruzione per i figli e le figlie dei talebani e di tutti i terroristi e gli estremisti. Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano e lui fosse in piedi di fronte a me, non gli sparerei. Questa è il sentimento di compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, da Gesù Cristo e Buddha. Questa è la spinta al cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Mohammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non violenza che ho imparato da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è ciò che la mia anima mi dice: stai in pace e ama tutti. Cari fratelli e sorelle, ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando vediamo le tenebre. Ci rendiamo conto dell'importanza della nostra voce quando ci mettono a tacere.
Un bambino un insegnante e una penna Per cambiare il mondo
Allo stesso modo, quando eravamo in Swat, nel Nord del Pakistan, abbiamo capito l’importanza delle penne e dei libri quando abbiamo visto le armi. [...] Gli estremisti hanno paura dei libri e delle penne. Il potere dell’educazione li spaventa. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. Questo è il motivo per cui hanno ucciso 14 studenti innocenti nel recente attentato a Quetta. Ed è per questo uccidono le insegnanti donne. Questo è il motivo per cui ogni giorno fanno saltare le scuole: perché hanno paura del cambiamento e dell’uguaglianza che porteremo nella nostra società. Ricordo che c’era un ragazzo della nostra scuola a cui un giornalista chie-
se: “Perché i talebani sono contro l’educazione dei ragazzi?”. Lui rispose molto semplicemente: indicò il suo libro e disse: “I talebani non sanno che cosa c'è scritto in questo libro”. Loro pensano che Dio sia un piccolo esseruccio conservatore che punterebbe la pistola alla testa delle persone solo per il fatto che vanno a scuola. Questi terroristi sfruttano il nome dell'islam per i propri interessi. Il Pakistan è un Paese democratico, amante della pace. I Pashtun vogliono educazione per i loro figli e figlie. L’Islam è una religione di pace, umanità e fratellanza. Che dice: è un preciso dovere quello di dare un'educazione a ogni bambino.
Malala Yousafzai (nata a Mingora, Pakistan, il 12 luglio 1997) è una studentessa e attivista pakistana. All’età di tredici anni è diventata celebre per il blog, da lei curato per la BBC, nel quale documentava il regime dei talebani pakistani, contrari ai diritti delle donne, e la loro occupazione militare del distretto dello Swat. Il 9 ottobre 2012 è stata gravemente ferita alla testa e al collo da uomini armati saliti a bordo del pullman scolastico su cui lei tornava a casa da scuola. Ricoverata nell'ospedale militare di Peshawar, è sopravvissuta all’attentato dopo la rimozione chirurgica dei proiettili. Ihsanullah Ihsan, portavoce dei talebani pakistani, ha rivendicato la responsabilità dell’attentato, sostenendo che la ragazza “è il simbolo degli infedeli e dell'oscenità”; il leader terrorista ha poi minacciato che, qualora sopravvissuta, sarebbe stata nuovamente oggetto di attentati. La ragazza è stata in seguito trasferita in un ospedale di Londra che si è offerto di curarla. Il 12 luglio 2013, in occasione del suo sedicesimo compleanno, parla al palazzo delle nazioni unite a New York lanciando un appello all’istruzione dei bambini di tutto il mondo.
La pace è necessaria per l’istruzione. In molte parti del mondo, in particolare il Pakistan e l'Afghanistan, il terrorismo, la guerra e i conflitti impediscono ai bambini di andare a scuola. Siamo veramente stanchi di queste guerre. Donne e bambini soffrono in molti modi in molte parti del mondo. In India, bambini innocenti e poveri sono vittime del lavoro minorile. Molte scuole sono state distrutte in Nigeria. La gente in Afghanistan è colpita dall’estremismo. Le ragazze devono lavorare in casa e sono costrette a sposarsi in età precoce. La povertà, l’ignoranza, l’ingiustizia, il razzismo e la privazione dei diritti fondamentali sono i principali problemi che uomini e donne devono affrontare. Oggi, mi concentro sui diritti delle donne e sull'istruzione delle ragazze, perché sono quelle che soffrono di più. C’è stato un tempo in cui le donne hanno chiesto agli uomini a difendere i loro diritti. Ma questa volta lo faremo da sole. Non sto dicendo che gli uomini devono smetterla di parlare dei diritti delle donne, ma il mio obiettivo è che le donne diventino indipendenti e capaci di combattere per se stesse. Quindi, cari fratelli e sorelle, ora è il momento di alzare la voce. Oggi invitiamo i leader mondiali a cambiare le loro politiche a favore della pace e della prosperità. Chiediamo ai leader mondiali che i loro accordi servano a proteggere i diritti delle donne e dei bambini. Accordi che vadano contro i diritti delle donne sono inaccettabile. Facciamo appello a tutti i governi affinché garantiscano un’istruzione gratuita e obbligatoria in tutto il mondo per ogni bambino. [...] Invitiamo le nazioni sviluppate a favorire l’espansione delle opportunità di istruzione per le ragazze nel mondo in via di sviluppo. Facciamo appello a tutte le comunità affinché siano tolleranti, affinché rifiutino i pregiudizi basati sulle casta, la fede, la setta, il colore, e garantiscano invece libertà e uguaglianza per le donne in modo che esse possano fiorire. [...] Esortiamo le nostre sorelle di tutto il mondo a essere coraggiose, a sentire la forza che hanno dentro e a esprimere il loro pieno potenziale. Cari fratelli e sorelle, vogliamo scuole e istruzione per il futuro luminoso di ogni bambino. Continueremo il nostro viaggio verso la nostra destinazione di pace e di educazione. Nessuno ci può fermare. Alzeremo la voce per i nostri diritti e la nostra voce porterà al cambiamento. Noi crediamo nella forza delle nostre parole. Le nostre parole possono cambiare il mondo, perché siamo tutti insieme, uniti per la causa dell’istruzione. E se vogliamo raggiungere il nostro obiettivo, cerchiamo di armarci con l’arma della conoscenza e di farci scudo con l’unità e la solidarietà. Cari fratelli e sorelle, non dobbiamo dimenticare che milioni di persone soffrono la povertà e l’ingiustizia e l’ignoranza. Non dobbiamo dimenticare che milioni di bambini sono fuori dalle loro scuole. Non dobbiamo dimenticare che i nostri fratelli e sorelle sono in attesa di un luminoso futuro di pace. Cerchiamo quindi di condurre una gloriosa lotta contro l'analfabetismo, la povertà e il terrorismo, dobbiamo imbracciare i libri e le penne, sono le armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione. L'istruzione è la prima cosa. Grazie.
La Parola ai giovani
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Formazione per animatori e educatori
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