La parola ai giovani n.3 - Anno 2011

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La Parola ai giovani 27 MARZO 2011 - A CURA DELLA REDAZIONE DELLA VOCE DEI BERICI

NUMERO 3 1

Input

Il graffio

La prima immagine è quella dell’albero, fermamente piantato al suolo tramite le radici, che lo rendono stabile e lo alimentano. Senza radici, sarebbe trascinato via dal vento, e morirebbe. Quali sono le nostre radici? Naturalmente i genitori, la famiglia e la cultura del nostro Paese, che sono una componente molto importante della nostra identità. La Bibbia ne svela un’altra. Il profeta Geremia scrive: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti” (Ger 17,7-8). Stendere le radici, per il profeta, significa riporre la propria fiducia in Dio. Da Lui attingiamo la nostra vita; senza di Lui non potremmo vivere veramente. “Dio ci ha donato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio” (1 Gv 5,11). Gesù stesso si presenta come nostra vita (cfr Gv 14,6). Perciò la fede cristiana non è solo credere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con Gesù Cristo, è l’incontro con il Figlio di Dio, che dà a tutta l’esistenza un dinamismo nuovo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Cristo ci rivela la nostra identità, e, nella sua amicizia, la vita cresce e si realizza in pienezza. (dal Messaggio di papa Benedetto XVI per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù)

Non c’è forse magnificenza nella morte? A cosa dovrei tendere se non allo splendore della fine, alla ricerca dell’oltre?

di Luca Bassanese

Sulla morte

Tutto è così vano che a volte anche il volo di un gabbiano può sembrare un’apparenza; invisibile è la traccia del suo percorso, ma è il senso di respiro che mi dona lo sguardo di quel volo a farmi capire che l’oltre è già in tutte le cose, nell’invisibilità delle cose, nell’impercettibile, nell’indescrivibile, nell’assoluto vuoto che si colma d’ogni nostro sentire. Ascoltare l’essenza della vita è veder morire la vita stessa in ogni istante, in ogni luogo, è raccogliere con il cuore e con la mente il continuo ed incessante andare che necessita della morte per esistere (dal libro di Luca Bassanese Soltanto per amore, poesie lettere e momenti di vita Buenaonda Edizioni www.lucabassanese.com)

Jan Vermeer, Cristo in casa di Marta e Maria In alto: Diego Rodríguez de Silva y Velazquez, Cristo in casa di Marta e Maria. A destra: Tintoretto, Cristo in casa di Marta e Maria

Laboratorio della Fede

Gesù nella casa di Marta e Maria In questo tempo di quaresima, potremmo lavorare su un brano di Luca molto conosciuto: Gesù entra nella casa di Marta e Maria (Lc 10,38-42). Entriamo anche noi in quella casa attraverso tre quadri di pittori affermati, che ritraggono la scena evangelica a partire da diverse intuizioni e angolature. Le suggestioni che vi proponiamo sono tratte da una conferenza di don Dario Vivian.

Tintoretto Il primo piano è di Maria, sedutasi nella posizione del discepolo e guardata quindi dalla sorella con aria di rimprovero. Il problema non riguarda primariamente le faccende da sbrigare affidate alla serva sullo sfondo -, ma l’arditezza di fare quanto affidato esclusivamente ai maschi. Tutti ne sembrano meravigliati

e forse scandalizzati: l’uomo che la osserva a braccia conserte, la donna che ne parla stupita con quello in piedi, il gruppo che se ne sta fuori: che siano i suoi discepoli? Può essere; visto che nel racconto dell’incontro con la Samaritana si osserva: “In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna” (Gv 4,27). Gesù è come assorto nel suo discorso, sta enumerando con le dita a significare (secondo una tradizione iconografica medievale) che sta insegnando con autorità. Gli occhi di Maria sono fissi su di lui, quasi non presta ascolto a quanto le va dicendo la sorella. Come dice la Lettera agli Ebrei, “anche noi corriamo perseveranti nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2).

Velazquez La vecchiaia non sempre è saggezza, soprattutto quando trasuda risentimento trasformato in maldicenza. Chi sarà mai la vecchia che comprende così bene Marta, ridotta a “cenerentola” della situazione, mentre la sorella Maria se ne sta beatamente in ascolto dell’amico Gesù? Sussurra qualcosa alla giovane serva, suscitandone la stizza; e le due sorelle sullo sfondo sono come duplicate dalle due donne in primo piano. La mano sul mortaio pesta in modo deciso, forse frantumando sogni e alimentando invidie. La scena di fondo è assai diversa, ma è vista come un quadro in cornice, proiezione di un desiderio che non si ha il coraggio di inseguire; qualcuno dovrà pur pensare al cibo, fare la brava donna di casa come si conviene.

Se tutti facciamo come Maria… Eppure ci vuole poco a decidersi di passare dall’altra parte, sentire risuonare anche per sé le parole dette da Gesù ai primi discepoli: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini! E subito, lasciate le reti, lo seguirono” (Mc 1,17-18). Quei bei pesci, una volta cucinati, vanto di ogni brava massaia, vuoi o no lasciarli o donna, che ti senti condannata a fare da Marta? Siediti anche tu, come Maria. La rabbia svanirà e gli occhi torneranno a sorridere.

Vermeer La casa quasi sparisce, siamo, infatti, immersi in un mondo di interiorità; è la cella del cuore, che viene rappresentata tutta racchiusa nel gioco degli sguardi dei tre personaggi. Similmente all’iconografia an-

tica, Maria poggia una mano sulla guancia. Così si rappresenta in particolare il discepolo che Gesù amava. La mano dell’amico si tende verso la parte buona, indica la fame non di pane, ma di Parola, che ha colto in Maria; la indica soprattutto a Marta, alle prese con il pane nella cesta e con lo sguardo interrogante rivolto verso Gesù. Ma sulla bianca tovaglia eucaristica, la donna sta portando un pane che dall’insieme del contesto non appare più solamente materiale. C’è una luce, una pace, un’intimità che sembrano già aver superato il momento di crisi. “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo” (Gv 6,51). La casa che accoglie ce la prepara lui. “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

Ufficio Diocesano per i Giovani Piazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenza - telefono 0444-226556 - e-mail: giovani@vicenza.chiesacattolica.it sito internet: www.vigiova.it - Aperto dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 12.30 e dalle 14 alle 17.30; il sabato dalle 9 alle 12.30


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Il fatto

Silenzio e meditazione: esperienze in monastero In questo tempo di Quaresima, ci lasciamo provocare dalla testimonianza di due gruppi di giovani educatori, che hanno vissuto esperienze particolarmente significative di interiorità e preghiera: il vicariato di Dueville, in uscita nel monastero di Pra ’d Mill, e la parrocchia di Nove e l’incontro con i monaci di Fonte Avellana

“F

uge, tace, quiesce: fuggi, taci, rappacificati”. Così Enzo Bianchi, priore di Bose, riassume le condizioni necessarie per una vita interiore. Questi tre consigli, noi giovani del vicariato di Dueville, abbiamo provato a seguirli durante un’esperienza straordinaria di vita spirituale a Pra ’d Mill, in provincia di Cuneo, dove si trova un monastero cistercense abitato dai monaci di Lérins. La fine settimana nel monastero è stata la conclusione di un percorso formativo sulla ricerca di una regola di vita spirituale. Questi giorni ci hanno dato la possibilità non solo di conoscere monaci che hanno fatto della preghiera, del silenzio e della condivisione fraterna la loro vocazione, ma anche di farne, in prima persona, esperienza autentica, seguendo i ritmi monastici nella preghiera. Abbiamo vissuto momenti significativi che ci hanno permesso di approfondire il nostro rapporto con Dio, ricavandoci spazi di silenzio e di riflessione personale. Particolarmente interessante è stato l’incontro con Paola, un’eremita che ha scelto con coraggio di seguire la sua vocazione, lasciando

la famiglia per dedicarsi alla preghiera nella solitudine di un eremo tra i monti. Nella sua testimonianza, Paola non ha esitato a raccontarci le difficoltà incontrate, ma il suo totale abbandono nelle mani di Dio l’ha resa una persona felice. Infatti, ciò che più traspare dalle sue parole nel raccontarci la storia della sua vita è un senso di piena felicità e realizzazione. Torniamo da Pra ’d Mill con il desiderio di ricavarci più spesso momenti di quiete per abitare con noi stessi, leggere la Parola, instaurando sempre più un rapporto sincero e profondo con Dio. I giovani del vicariato di Dueville

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S

ilenzio, preghiera, riflessione, ospitalità e accoglienza: questi sono gli ingredienti del nostro soggiorno nel Monastero camaldolese di Fonte Avellana. Caratteristica di tutti i monasteri è il silenzio, cosa che potrebbe preoccupare i visitatori: per alcuni è facile starsene da soli in silenzio, per altri meno. Come ci ha detto padre Alessandro, il priore, questo momento di tranquillità, di pace, non deve essere vissuto in modo forzato, ma come tempo di riflessione personale dove ognuno ha la possibilità di trovare la propria preghiera, il proprio salmo, come fecero a loro volta la Vergine Maria con il Ma-

gnificat, Giuditta, Simeone e altri. I vari monasteri non vivono il silenzio e la preghiera nello stesso modo e questo l’abbiamo capito grazie alla visione di alcuni filmati, come per esempio Il grande silenzio, e dalle risposte che il priore ha dato a tutte le nostre domande e curiosità. Riguardo alla preghiera, questa veniva principalmente cantata ed era praticata in diversi momenti: lodi, media ora, vespri, che abbiamo condiviso con i monaci, e poi, la compieta, che invece recitavano in solitudine. Come si pregava nella cripta, la vecchia chiesa del monastero, assieme ai monaci, così si può pregare in solitudine in qualsiasi luogo, in automobile, a scuola, al lavoro, come suggerito da padre Alessandro. Viviamo in un tempo segnato da ritmi frenetici e tante distrazioni. Grazie ai monasteri costruiti in mezzo alla natura e lontani dai centri urbani, ogni persona, al di là del proprio orientamento religioso e della propria nazionalità, può trovare un luogo di accoglienza e ospitalità dove poter, attraverso il silenzio e la preghiera, riflettere sulla propria vita. Nonostante i pochi giorni trascorsi a Fonte Avellana, i momenti vissuti assieme hanno lasciato in noi l’entusiasmo di continuare il nostro cammino di animatori, coltivando in profondità la fede e la vita interiore. Il gruppo animatori di Nove

Metodologia di conduzione dei gruppi

L’interiorità del quotidiano È proprio di questo tempo di Quaresima il brano evangelico della Trasfigurazione, che racconta il desiderio dei discepoli di fermarsi con le capanne sulla cima del monte, per prolungare l’esperienza di intensa relazione sperimentata con il proprio Maestro. È un passo della Parola nel quale è facile riconoscersi, se ripensiamo a tutti i momenti speciali di incontro con la nostra interiorità. Oggi, le esperienze spirituali “forti” rappresentano nella programmazione delle attività di gruppo una grande opportunità. Ritiri nei monasteri, esperienze in luoghi animati da figure carismatiche, contatti con l’esperienza della clausura, diventano sempre più spesso occasioni di incontro forte con la propria interiorità. Si tratta senza dubbio di sani e quanto mai opportuni momenti di distacco dai ritmi di tutti i giorni e di “eccezionale” contatto con alcune dimensioni di noi stessi altrimenti dimenticate. Il problema nasce quando si torna alla vita di sempre, alla quotidianità, che porta con sé le abitudini e la fatica di ricreare condizioni utili a una relazione intensa con il proprio bisogno di interiorità e di spiritualità. Come creare le condizioni per vivere al meglio l’interiorità del quotidiano? Proviamo a raccogliere tre piccole riflessioni che possono ispirare altrettanti accorgimenti metodologici per i gruppi.

L’INTERIORITÀ È UN’ESPERIENZA FISICA

La chiesa del monastero Dominus Tecum a Pra ’d Mill

La prima attenzione da tener presente è forse la meno scontata. Pensando all’interiorità e alla spiritualità, spesso ci dimentichiamo che queste dimensioni sono strettamente legate alla nostra fisicità: in questo, le grandi religioni orientali sono scuole eccezionali. Anche noi possiamo favorire questa consapevolezza nei nostri “animati”, curando nei dettagli i momenti di preghiera e di approfondimento personale della Pa-

rola che proponiamo in gruppo. Si tratta di piccoli accorgimenti, come la cura delle luci, l’ascolto dei suoni, la disposizione della stanza, la prossimità e la distanza dagli altri, la postura del corpo, l’espressività, il respiro, l’utilizzo di icone, immagini, oppure di segni che hanno un richiamo alla liturgia e ai sacramenti (acqua, olio, luce, pane, vino…).

IL DIALOGO INTERIORE

HA BISOGNO DI ALLENAMENTO

Spesso ci troviamo a “predicare” l’importanza dell’interiorità. Ma sappiamo benissimo quanto sia difficile fermarsi per far risuonare dentro di noi esperienze, situazioni, parole, relazioni. Lo stile di vita tipico del nostro tempo è caratterizzato dal “tutto e subito”. Il dialogo interiore vive di tempi lunghi, di profondi silenzi e vuoti, della capacità di stare nell’assenza di risposte per molto tempo. L’interiorità non è sempre pienezza, è spesso attesa, e questa è sopportabile se ci alleniamo a viverla e a riconoscerla come una dimensione fondamentale dell’ascolto del nostro io più intimo.

L’INTERIORITÀ PERSONALE È INTENSA RELAZIONE

I ragazzi che incontriamo nei gruppi sono spaventati dalla solitudine: la ricerca spasmodica di “connessioni!” con gli altri ce lo dimostra. Quando li accompagniamo all’incontro con la loro dimensione interiore è fondamentale far cogliere loro che si tratta di uno spazio di relazione. Anzi, è lo spazio dove le relazioni più importanti della nostra vita possono emergere in tutto il loro valore, dove la presenza delle persone da noi amate si manifesta in modo intimo, dove possiamo gustare e prendere consapevolezza che noi stessi siamo relazione e siamo le persone che incontriamo. Mirco Paoletto Vuoi continuare il confronto sull'argomento? Intervieni sul forum www.animattivi.it.

Pro-Vocazione

Svuotiamoci di ciò che è inutile Tempo forte, tempo impegnativo, “favorevole”, opportunità da non perdere: questa può essere la Quaresima! Per rimettere il cuore nel suo centro. Per permettere a sé stessi di fare il punto, cioè di interrogarsi ascoltando la vita che batte dentro di noi, prestando ascolto a un “messaggio”, a una Parola diversa dalle solite chiacchiere, che sono brandelli di pensieri troppo umani. Ma per entrare nel mio centro devo darmi del tempo, cercando uno spazio di tranquillità, di solitudine, e mettere a tacere tutte le fantasie, calmando le emozioni per fare posto allo stupore e lì, nel silenzio, interrogarsi: “Chi sono io per te, Signore? Chi sei tu per me?”. Posso con te passare dalla

morte alla vita autentica? Il Salmo 84, a un certo punto, dice: “Ascolterò che cosa dice Dio”. Sì, Dio parla e parla a me che mi sono messo in ascolto e mi manifesta che la sua è volontà di pace per il mio cuore, che viene purificato dalle sue parole di vita. È proprio questa l’esperienza che facciamo noi monaci e monache; uomini e donne, attratti da Gesù, che vogliono realizzare al massimo la loro personalità offrendola a Dio per il mondo, silenziosi, ma attivi cercatori del Tesoro che il Signore dona a tutti gli uomini di buona volontà: l’amicizia con Lui, il vivere alla Sua Presenza gioiosamente, cantando le sue lodi e lavorando con le proprie mani per rimuovere ogni giorno gli ostacoli dal proprio cuore, perché

la fonte, che portiamo dentro, zampilli sempre più abbondantemente per il bene dei fratelli. Anche l’artista si dà del tempo in solitudine, per dare corpo ai suoi pensieri, creare armonie, tesori di immagini e offrire così un messaggio di valore. Ai tanti “perché” che spesso assillano il cuore umano, può dare risposta l’abbandonarsi a Colui che tiene la nostra vita nelle sue mani. “Ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Is 49, 16). La Quaresima, dono sempre nuovo di Dio al suo popolo, ci può davvero ricondurre alla casa del Padre. Tutto sta nel cogliere l’occasione offerta, l’opportunità nuova che l’oggi, svuotato da ciò che è inutile, propone nell’incontro con “Colui da cui sappiamo di

essere amati” (S. Teresa di Gesù). La gioia è solo nel sentirsi chiamare “figlio mio” dal Padre del cielo, ed essere parte della sua vita con tutto ciò che si è, niente escluso. Il cammino pasquale di Gesù è, in fondo, il segno visibile della tenerezza di Dio, che ti ha cercato per quello che sei, anche là dove non vorresti farti trovare. II monaco e la monaca rivivono quotidianamente questo desiderio di familiarità con Dio, in perenne ricerca di quella identità di figlio, appannata e da molti dimenticata. E lo sperimentiamo non solo per noi, ma per ogni fratello. La cella spoglia, il tempo non più mio, ma ritmato dal suono della campana, senza le preoccupazioni e il traguardo dell’efficienza a tutti i

Il tempo ritmato dalla campana costi, fanno spazio nel dialogo silenzioso al Signore e diventano strada su cui l’umanità si incammina per tornare alla vera patria, il volto di Gesù. Le monache del Carmelo


La Parola ai giovani 3

Potere dei segni

Focus Liturgia

Un’ora con Lui (Mt 26,40) L’

«Custodisci il silenzio»

adorazione eucaristica con i giovani del gruppo o della parrocchia è una sfida che si ripresenta “affascinante e tremenda” a ogni approssimarsi della Settimana Santa. Proviamo a fare alcune considerazioni operative che orientino nella preparazione di una esperienza proponibile; ci guiderà una “quaterna” formulata in modo pro-vocatorio, adatta a funzionare come schema per ogni tipo di celebrazione: teste - testi - contesto - gesti.

“Teste”:

sono quelle dei soggetti coinvolti, siano essi i giovani attesi, ma anche gli animatori organizzatori e l’eventuale prete o suora presenti. Si dovrà avere un’idea precisa dei partecipanti, per calibrare linguaggio, tempi e ritmo della preghiera; ma sarà importante anche chiarire bene le forze disponibili all’animazione, per sapere fin dove si potrà “osare”… Con “testi” si intende anzitutto la tipologia (modalità e contenuto) dei canti e dei brani da ascoltare, da leggere e da pregare (insieme o coralmente). Dato il primato da assicurare al Santissimo Sacramento, è bene non prevedere interventi di tipo omiletico (proprio, cioè, delle omelie) e i commenti siano pochi ed essenziali! Si lasci il posto d’onore a un brano del Vangelo scelto con cura in base al tema della preghiera ed eventualmente accompagnato da un altro “suggestivo” testo del

È importante far emergere la continuità con la liturgia eucaristica. L’ostensorio sia rispettoso del segno del pane, che non va mai “spiritualizzato” nuovo o dell’antico Testamento (la proclamazione sia molto curata!). All’inizio e alla fine ci sia una preghiera in forma dialogica tra solista-solisti e assemblea, sui temi proposti. I canti saranno di tipo meditativo, conosciuti da tutti, ma attenti al gusto e alla sensibilità dei presenti (senza perdere di vista la serietà dei contenuti).

Con i giovani non si possono rischiare tempi troppo lunghi di silenzio: risulta più efficace prevedere più momenti piuttosto brevi e accompagnati da spunti di riflessione o domande provocatorie riportate sul sussidio. A questo proposito “testo” può richiamare anche l’importanza di fornire a ciascuno uno strumento ben preparato per partecipare tranquillamente alla preghiera: un fascicoletto (da preferirsi ai fogli interi, ingombranti e dispersivi) con caratteri ben visibili (soprattutto se la luce sarà soffusa) e disponibile in quantità abbondante (o almeno largamente sufficiente… gli ultimi sono già… “ultimi” e lasciarli senza sussidio significa escluderli e farli sentire non attesi! Anzi: ci sia chi si ferma accanto all’ingresso per accogliere e introdurre nell’ambiente). Il “contesto” è appunto l’ambiente preparato in tutti i suoi particolari: luci, fiori (profumi),

posto per i partecipanti… Per lo specifico dell’adorazione è importante far emergere la continuità con la liturgia eucaristica (esposizione sull’altare della celebrazione, lasciato il più possibile simile a quando c’è la Messa, senza mortificare la mensa con una concentrazione di fiori o di candele che falsano il messaggio complessivo). L’ostensorio, possibilmente, sia bello e decoroso, ma semplice e rispettoso del segno del pane, che non va mai “spiritualizzato”. I “gesti”, come sempre, sono particolarmente importanti e coinvolgenti! Per trasmettere la modalità dell’adorazione è importante recuperare la postura dello stare in ginocchio (può giustificare una opportuna spiegazione) e l’uso dell’incenso (il braciere nel quale ciascuno può deporre un grano di resina è una felice alternativa al turibolo). don Fabio Sottoriva

Special Guest

Dentro la musica di Niccolò Fabi RadioViGiova ha sempre programmato le canzoni di Niccolò Fabi. Perché? Musica e parole nei suoi brani si fondono in una profonda esplorazione del mondo meraviglioso racchiuso dentro ognuno di noi; talvolta rifulgono di scintille di spiritualità o si tingono delle tinte sfumate della ricerca di senso. La trasmissione radiofonica della Pastorale Giovanile ha incontrato Niccolò a una presentazione all’Università di Padova della sua esperienza con Cuamm Medici con l’Africa; e in quell’occasione ha scoperto che dietro le sue note e parole ci sono sudore e rughe: i segni del viaggio, della volontà di capire, di vedere, di assaporare. “Come cercare l’ombra in un deserto o stupirsi che è difficile incontrarsi in mare aperto, prima di partire si dovrebbe essere sicuri di cosa si vorrà cercare, dei bisogni veri”: ogni incontro lascia un insegnamento e questo è stato il messaggio di Niccolò; il viaggio più importante e difficile è quello dentro di sé, l’esperienza che rende uomini vivi e veri. La sabbia e il fango dell’Africa non sporcano solo la pelle, ma la-

Niccolò Fabi (a destra) con lo staff di Radio Vigiova sciano un segno che traccia una rotta tra le vene e il cuore; la propria Africa, poi, può essere il lavoro, una relazione, una scelta.

Ogni passo importante costa meditazione e il coraggio di non lasciarsi trascinare dalla corrente: “Il tesoro è alla fine dell’arcoba-

leno che, trovarlo vicino nel proprio letto, piace molto di meno”. Mauro Maruzzo (per lo staff di RadioViGiova)

«Basta! State zitti! Ragazzi fermi! Ehi, vi ho detto di tacere! Smettetela o vi caccio fuori, non se ne può più di sentirvi!». Chi ha detto questa frase? La risposta è aperta: l’insegnate, la catechista, il professore, la maestra, il parroco, la suora, il cappellano. Tutti lo dicono! Appena sentiamo la parola «silenzio», ci indispettiamo e ci viene in mente una situazione nella quale dobbiamo rimanere bloccati nella nostra energia, nella nostra vitalità. Il silenzio fa anche paura e crea imbarazzo: allora via con gli auricolari del nostro lettore mp3 o con lo stereo a palla in camera. Eppure, “nell’amore, il silenzio vale più di un discorso” (B. Pascal). Cosa c’entra con la liturgia questa frase? Per quanto possa sembrare esagerato, se vogliamo celebre la Messa e i sacramenti con buon frutto, dobbiamo entrare nel linguaggio misterioso degli amanti. Sapete qual è il primo gesto che compie il sacerdote quando arriva all’altare? Dare un bacio! Il silenzio sgorga da qui: prima di ogni parola, dopo ogni parola, prima di ogni regola e messaggio, dopo ogni regola e messaggio, quello che Dio desidera è far percepire alla sua Chiesa l’intensità dell’amore che prova. E chiede poi di essere ripagato con la stessa moneta. Perché il Signore non parla per dare delle “comunicazioni”, ma si comunica per dare sé stesso, offrire una presenza, accendere un incontro, aprire all’amicizia. La liturgia conosce allora molti silenzi, tra loro diversi, ricchi delle molte sfaccettature che fanno nascere e custodiscono un rapporto vivo tra persone che si cercano e si accolgono, tra Dio e la sua famiglia, tra Cristo e ciascuno di noi. Il Messale ci dice: “Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica. Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione”. Il silenzio, allora, è raccoglimento: Dio ci fa entrare in noi stessi, ci compone, permette di non disperdersi. È anche meditazione: Dio chiede il coraggio di ascoltare e ascoltarsi, di sentire nel profondo, desiderio di trovare la verità, di stabilire l’equilibrio, di uscire dal coro del “così la pensano tutti e fanno tutti” per trovare una sintesi personale. Il silenzio è lo spazio di incontro: per la preghiera, il “tu per tu” con il Signore, che ci spinge alla lode e fa proprie le nostre lacrime. Infine: chi ama attende, chi attende ha la bocca chiusa e gli occhi spalancati, le orecchie pronte e il cuore in fibrillazione. Prima della Messa osservare il silenzio è disporsi all’incontro tra il Risorto e la sua Chiesa, tra lo Sposo e la Sposa. Per noi, per la nostra liturgia: custodisci il silenzio e il silenzio ti custodirà. don Gaetano Comiati


La Parola ai giovani 4

Coffee break

Una Fede in cammino Oggi più che mai, un vero cammino di avvicinamento alla proposta cristiana ha bisogno di coinvolgimento e di una forte socializzazione Al bar con Margherita, animatrice e responsabile del coro parrocchiale. Le ho chiesto di raccontarmi come vive il tempo di Quaresima, prendendo spunto da una frase di Benedetto XVI, che ha ricordato quanto questo “sia un tempo fecondo per la conversione; un tempo di ‘agonismo’ spirituale da vivere insieme con Gesù, attraverso la preghiera, l’ascolto della Parola, il discernimento”. Ho iniziato a fare l’animatrice proprio durante la Quaresima. I ragazzi, che seguivo, sapevano giusto che era il tempo antecedente la Pasqua, che durava 40 giorni e che il venerdì era meglio

non mangiare carne, ma nulla più. Anch’io, nonostante avessi qualche anno di più, mi sentivo poco preparata, forse perché non coglievo quell’aura di mistero e attesa che percepivo maggiormente durante l’Avvento. La Quaresima è un tempo di rinuncia, di prova. Se non lo vivi intensamente arriva la Pasqua, ti emoziona un po’ e passa lasciandoti come ti aveva trovato. A me, per più di vent’anni, è capitato questo. Mi sono chiesta, allora, come fare in modo che l’alba della Pasqua mi potesse trovare un po’ cambiata: dicendo a Dio “sia fatta la tua volontà”, lasciando morire quella parte di me, affinché a Pasqua potesse risorgere nuova, rigenerata, trasformando i buoni propositi in vissuto concreto. Per concretizzare questi propositi c’è bisogno di esperienze! Non parlo di fare, ma di “vivere” qualcosa. La routine nelle parrocchie ti porta più a “darti da fare”, tutto è imperniato sul “fare”. Ciò non basta, bisogna vivere! In Quaresima cadiamo in questo tranello: “Facciamo la veglia, l’adorazione, il deserto”, ma viviamo cosa? Come posso riconoscere gli aspetti che sono

in me da rigenerare se non mi fermo per riconoscerli? Allora la Quaresima può essere quel tempo fecondo per pregare, per ascoltare quello che Gesù prova a dirmi, per riflettere se si sia accumulato dentro di me un fardello di piccole o grandi mancanze d’amore da gettare via così che a Pasqua possa in un certo senso risorgere anch’io. Queste mancanze sono come i chiodi della Croce e la Quaresima mi può servire per prepararmi a scendere dalla Croce, a liberarmi dai chiodi della mia disattenzione verso il prossimo, del mio egoismo, della mia scarsa sensibilità verso chi mi sta vicino, del mio preferire me stessa agli altri. La Quaresima è un momento propizio per chi volesse riaccostarsi alla Fede. I vescovi lombardi hanno promulgato un documento nel quale evidenziano come il matrimonio, la nascita di un figlio, un lutto, definite “soglie”, possano essere occasioni importanti per un riavvicinamento alla Fede. Tu cosa ne pensi? Per avvicinarsi alla Fede è necessario essere in ricerca. Le

“soglie” ti possono aiutare a capire che quello che stai cercando si trova lì, dove c’è qualcuno che ti annuncia la Parola. Per chi non è in ricerca sono, invece, momenti passeggeri, “slanci di Fede” effimeri. Credo che queste occasioni siano da cogliere per cercare di avvicinare chi si sente in cammino - o chi lo è inconsapevolmente - per fargli capire che è possibile trovare una risposta. È una sfida, che deve essere affrontata con discrezione e sensibilità. Un canale fondamentale - lo dico per esperienza personale - può essere la comunità: le persone hanno bisogno di socialità soprattutto in queste situazioni particolari della vita; bisognerebbe far capir loro che la comunità è

pronta ad accoglierle, ad accettarle, a coinvolgerle. Un vero cammino di Fede, oggi più che mai, ha bisogno di un forte coinvolgimento, di una forte socializzazione. Solo dopo, è possibile iniziare un’opera di educazione alla Fede. Un’educazione che secondo me dev’essere affrontata “da zero”, da persone formate, esperte, capaci, perché molto spesso chi è stato lontano per molti anni dalla pratica religiosa si ritrova ad essere una “tabula rasa”. Saluto e ringrazio Margherita per il tempo trascorso insieme, augurandole di vivere il tempo quaresimale come occasione autentica di conversione. Sandro Pupillo

Buio in sala: il film del mese

C’è un “Cuore Sacro” in ciascuno di noi “Ho tentato di raccontare in forme laiche il forte bisogno di spiritualità che si sente in questo momento in tutto il mondo”: con queste parole, nel 2005, il grande maestro del cinema Ferzan Ozpetek ha presentato il suo Cuore Sacro. La protagonista del film è Irene (interpretata dalla brava Barbara Bobulova), una giovane donna costretta dagli eventi della vita a intraprendere il viaggio più faticoso, quello verso la propria interiorità, quel luogo “sacro” che c’è

in ciascuno di noi e in cui, solo, si cela il significato dell’esistenza. Questo viaggio verso la verità di sé, per Irene passa, da un lato, attraverso la riconciliazione con il passato - in particolare con la figura materna - e, dall’altro, attraverso l’incontro scioccante con i poveri, in un cammino che richiama in misura rilevante quello dei grandi mistici e convertiti del passato. All’inizio della storia, Irene è una giovane manager rampante. La morte della mamma trasforma

ai suoi occhi, abituati al calcolo e al profitto, il fatiscente palazzo di famiglia, in una grande opportunità di speculazione immobiliare. Ma proprio nelle stanze oramai buie e deserte della sua infanzia, Irene incontra Benny, un’adolescente vivace e irrefrenabile che le spalancherà davanti un mondo prima di allora ignorato: quello della povertà e dell’indigenza. La scoperta sconvolge la giovane donna, che progressivamente decide di dedicarsi completamente ai poveri, pronta a

cambiare vita, rinunciando a tutti i suoi averi in favore dei bisognosi. La nuova scelta di vita trova la sua manifestazione plastica la sera in cui Irene, nella metropolitana, si spoglia completamente di ogni oggetto che indossa. Qualcuno la ritiene pazza, esattamente come accadde a Francesco d’Assisi. In realtà, quel gesto assume il valore di una rinascita, avvenuta all’interno, in quel “cuore sacro” in cui Irene ha alla fine ritrovato sé stessa. Alessio Graziani

La Pastorale Giovanile organizza per tutti i giovani della diocesi alcuni pullman per partecipare a:

SABATO 2 APRILE A VALDAGNO: Esperienza di evangelizzazione di strada

BEATIFICAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II DOMENICA 1 MAGGIO A ROMA

SABATO 16 APRILE, ALLE ORE 20.30, IN CATTEDRALE: GIOVANI CHIAMATI A VEGLIARE Veglia diocesana per i giovani Veglia diocesana per le vocazioni

CELEBRAZIONE EUCARISTICA PRESIEDUTA DA BENEDETTO XVI 8 MAGGIO A MESTRE I moduli di iscrizione possono essere scaricati dal sito www.vigiova.it

tutte le info su www.vigiova.it

Numero dei partecipanti alle proposte diocesane: 550 Iscrizioni: ancora aperte fino a esaurimento posti pullman


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