La Parola ai giovani NUMERO 2
SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 9 DEL 4 MARZO 2012
“Chi dite che io sia?” A un certo punto del Vangelo Gesù pone ai suoi discepoli una domanda imbarazzante; vuole sapere cosa pensano di lui: “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mc 8,29).
1
Il graffio
Un annuncio che si rinnova
di don Dario Vivian
Gesù di Nazareth sta navigando, non nel lago di Tiberiade con i suoi discepoli, ma tutto solo in internet. Ha un profilo su facebook, non molto raccomandabile, a dire il vero; d’altra parte la sua amicizia la dà e la chiede a tutti, con predilezione per le persone più strane, diverse, straniere.
Il contesto in cui accade questo dialogo - secondo il racconto di Marco - è altamente significativo per noi oggi: Cesarea di Filippo, anticamente chiamata Banjas, città dedicata prima al dio “Pan” e poi a Cesare. Siamo nel cuore del paganesimo, in una terra religiosamente confusa, dove si mescolano templi e tradizioni spirituali molto diverse. È una località che ci rappresenta: abitiamo anche noi, in un certo senso, a Cesarea di Filippo! Se Gesù provasse a formulare la stessa domanda oggi, quale sarebbe la nostra risposta? Cosa risponderebbero i giovani vicentini?
Ad un certo punto qualcuno chatta con lui; un giovane, che vedendo dal profilo che si tratta di un rabbì, gli fa una domanda impegnativa: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?»
Sfogliamo ancora una volta le pagine di C’è campo, l’indagine sulla religiosità dei giovani vicentini. Alcuni hanno appreso a leggere il Vangelo nei gruppi e nei movimenti, si fidano, è il loro punto di riferimento, in certuni la fonte cui ricorrere quando l’insegnamento delle autorità religiose lascia perplessi - si legge nel volume -. Quasi tutti gli altri, che pure non lo leggono, ne conservano l’idea che in esso siano custoditi valori in cui si riconoscono, una buona saggezza, per qualcuno un codice delle leggi supreme. Ma quanto al contenuto di fede, sull’esistenza effettiva di Gesù, su quello che avrebbe operato e vissuto, sul fatto che sia realmente figlio di Dio, e infine (e soprattutto) che sia risorto, la situazione di stallo si ripresenta in molti (pag. 589). Mentre camminiamo verso il convegno ecclesiale di Aquileia 2 ci interroghiamo sul significato dell’espressione “Nuova Evangelizzazione”, che da decenni risuona nei documenti ufficiali della Chiesa Cattolica. Cosa significa nel 2012 educare i giovani alla vita buona del vangelo, comunicare loro il vangelo in un mondo che cambia? Lasciamo che a interrogarci sia ancora una volta lui, il falegname di Nazareth, che in punta di piedi attraversa i territori pagani del mondo postmoderno, in attesa che qualcuno abbia fame e sete di una Parola viva, capace di aprire i sepolcri e guarire le ferite. Parole che in tempo di crisi riconsegnino, a chi si sente abbattuto, un’inedita speranza. Don Andrea Guglielmi
Continua a pag. 7
SABATO 21 APRILE
Giovani chiamati a vegliare
Weekend di Spiritualità Giovani
Voce di silenzio sottile 9-11 marzo con don Aldo Martin
Veglia di preghiera con i giovani per le vocazioni presieduta dal vescovo Beniamino Pizziol
16-18 marzo con Antonella Anghinoni
Cattedrale di Vicenza, inizio alle 20.30 info su www.vigiova.it
Per informazioni contattare la segreteria diocesana allo 0444.544599 o visitare il sito www.acvicenza.it
oppure
La Parola ai giovani 2
L’esperienza
di Enrico Zarpellon
Si chiama GiAC, ma la prima parola che mi viene in mente è: tessuto, vale a dire fili diversi che intessuti insieme si rinsaldano e possono creare colorate fantasie, vale a dire qualcosa che segue una trama che instancabilmente si intreccia, in un telaio potenzialmente senza limiti. Ciascun filo resta tale, ma soltanto nell’incontro con altri fili può comporre disegni, o anche soltanto riuscire a scaldare. Forse al GiAC ci sentiamo, o sempre più vorremmo sentirci, proprio così, fili diversi che si incrociano, si conoscono, si rinsaldano, si aprono a nuove, incessanti tessiture; tra di noi, nel territorio bassanese, nell’AC vicariale. Rewind. Il GiAC è il gruppo Giovani di Azione Cattolica del vicariato di Bassano del Grappa, giunto al terzo anno di cammino. Il nome è venuto dalla semplice consuetudine d’uso, e siamo un gruppo di circa quindici giovani che condividono un percorso fatto di incontri mensili dedicati al confronto, all’approfondimento di temi e situazioni fra le più varie, al cammino di fede e ad allegre cene in compagnia (perché è proprio intorno alla tavola che noi prepariamo che riusciamo a confrontarci di più e meglio). Una tag cloud degli incontri del primo
anno conterrebbe parole come: accoglienza, culture, laicità, migranti, dialogo, convivenza. Il tema conduttore del secondo anno si è invece innervato a partire dalla parola “giustizia”. Ogni incontro un ospite, in parte relatore per il tema, in parte amico per come la condivisione della cena e di un felice stare insieme, restituiscano poi la bellezza del confronto sincero. Economisti, persone impegnate nell’accoglienza ai migranti, insegnanti, la comunità islamica bassanese, magistrati, Casa Progetto Jonathan, biblisti, sindacalisti, la carrellata di ospiti è lunga e multiforme. Il gruppo è nato come un piccolo esperimento, ma riteniamo il GiAC un’esperienza realmente significativa, nella sua semplicità, proprio per la combinazione di incontro, stile della compagnia, dialogo, approfondimento della complessità, con uno sguardo integrale che valorizzi le cose all’interno del loro contesto; un’esperienza che è occasione importante di formazione come cristiani cittadini, e allenamento di un pensare insieme che sia anche un ripensarsi – come persone, gruppo, associazione, società – in modo aperto, liberandoci dagli orpelli (pure talvolta nobili e interessanti).
Il GiAC di Bassano, un tessuto di relazioni Giustiza, dialogo, Concilio, cittadinanza, laicità: sono i temi affrontati dai giovani dell’AC bassanese All’inizio di questo terzo anno pensavamo di muoverci in una galassia fatta di parole come: cittadinanza, lavoro, stili di vita, precarietà, giovani, valori... Ma visto che temi e proposte nascono in uno spazio di disponibilità a farsi interpellare dalle persone ed esperienze che incontriamo, abbiamo scelto di dedicare un’uscita al Concilio Vaticano II, cinquant’anni dopo il suo inizio nel 1962. E dunque: “Il ruggito del Concilio”. Questo il titolo di un weekend di gennaio vissuto insieme in una casa della parrocchia di Camporovere, sull’altopiano, accompagnati, come di consueto, dai giovani assistenti del vicariato e da don Simone Zonato, ospite del gruppo per aiutarci a lavorare sul tema. Non si è trattato di un discorso nostalgico su un decisivo evento ecclesiale, né ci siamo limitati ad un approfondimento dei contenuti e dei documenti. Abbiamo scelto di
dare priorità alla comprensione dello stile conciliare, metodo essenziale per come custodisce in sé l’idea di una Chiesa che si pone in atteggiamento di empatia e speranza verso l’umanità, in rapporto ad una verità che va vissuta più che difesa, e con atteggiamento di ascolto di venti secoli di Chiesa ma anche di una modernità che grida alla Chiesa stessa. Un insegnamento di metodo anche per noi come gruppo, che con differenti modalità di approfondimento, ci siamo lasciati stimolare. Dal momento che il Concilio dovrebbe essere un processo, uno stile che instancabilmente abita la chiesa, cosa potrebbe dire oggi? Il mondo anche oggi grida (in vario modo, va detto) alla Chiesa: come accogliamo quelle grida? Cosa fanno le nostre orecchie, come reagisce il nostro cuore? Noi - anche in quanto gruppo, associazione, rete di relazioni - cosa facciamo risuo-
nare? Grazie a momenti personali di riflessione e a laboratori, il confronto tra noi è stato addirittura emozionante, per partecipazione, profondità, schiettezza, ascolto. Abbiamo individuato alcune questioni, ecclesiali e che proprio per questo interpellano ciascuno di noi, che ci paiono particolarmente urgenti (capacità di ascolto delle persone, senso di comunità, consapevolezza del laicato, formazione di coscienza e libertà di scelta, i linguaggi che usiamo, ecc), germe e lavoro in prospettiva per i prossimi incontri del GiAC. Quest’uscita rappresenta per noi un gesto importante, e speriamo apra una strada nella quale il gruppo possa investire tempo, creatività, intelligenza e voglia di confronto e condivisione con quanti incontreremo. Fili diversi, pronti a lasciarsi intrecciare per rinsaldarsi in tessuto, instancabilmente.
Appuntamento mensile per i giovani bassanesi con don Aldo Martin, biblista
Dio? Uno “di Parola” Pregare Dio, come entrare in contatto con Lui, interpretazioni personali e condivise delle Sacre Scritture, Vangeli canonici e Vangeli apocrifi... Sono questi alcuni degli argomenti “spinosi” finora trattati nel corso dell’iniziativa “Un Dio di Parola”. Si tratta del titolo dato agli incontri che si svolgono una volta al mese al Centro Giovanile di Bassano del Grappa, e rivolti a tutti i giovani del vicariato. A condurre le serate è don Aldo Martin, biblista e insegnante di Sacra Scrittura.
I prossimi appuntamenti
15 marzo 26 aprile 10 maggio 7 giugno Bassano del Grappa Centro Giovanile (Piazzale Cadorna 34) inizio alle 20.30
Aperte a tutti i giovani che vi volessero prendere parte (proprio così, prendere parte: non somigliano affatto a noiose conferenze “frontali”), queste serate hanno lo scopo di affrontare i temi riguardo ai quali molti di noi, se non tutti, hanno numerosi punti interrogativi. Un approccio che ci mette a nostro agio «L’approccio di don Aldo ci mette da subito a nostro agio, ma prende poi una piega quasi schematica: passo passo ci spiega come sarà strutturato l’incontro è la testimonianza di Laura Ceresa, una giovane che ha seguito gli incontri - Ad aprire la serata è sempre un elemento vicino a noi, come un film o un sms, un qualcosa che conosciamo da cui far partire tante domande e riflessioni. Segue un momento che ha per protagonista la condivisione, prima a gruppetti e poi tutti assieme, dei nostri dubbi, delle nostre opinioni. Si rivela così l’eterogeneità del gruppo: chi è più saldo nelle sue convinzioni, chi fa ancora fatica a capirci qualcosa, chi è troppo timido per esporsi e preferisce ascoltare. La conclusione di don Aldo, però, ci aiuta a vederci un po’ più chiaro: con quel suo modo di fare quieto, ma determinato, riesce a fissare dei punti di arrivo, che sono al tempo stesso punti di partenza per nuove discussioni, per illuminare
ogni volta un po’ di più quegli angoli bui della fede e segnare il cammino da seguire alla scoperta della Scritture e dei loro significati più difficili e talvolta contraddittori». Una proposta che ha riempito un vuoto «Tante volte, aprendo la Bibbia, mi sono posto domande quali “chi ha scritto questi libri?”, “per quale motivo sono stati scritti?”, “sono racconti affidabili?”, o ancora, “cosa vogliono trasmettere o raccontare questi scritti?”, “che significato possono avere per me?”. - racconta invece Giulio Zilio, un altro giovane bassanese -. Queste e altre domande, oltre al desiderio di approfondire le Scritture, mi hanno spinto a partecipare al cammino “Un Dio di Parola”. È una proposta che, dal mio punto di vista, ha riempito un vuoto, offrendo a molti giovani la possibilità di avvicinarsi a testi che ormai siamo più abituati a sfogliare che a gustare. Tre le serate proposte finora, nelle quali abbiamo esplorato i significati che la Parola può assumere: la dimensione della ricerca, del mettersi in contatto, della preghiera; il ricordare, il fare memoria di un avvenimento, un’emozione che ha lasciato un segno; il raccontare una storia, anche da diverse prospettive. Partendo da noi, dalle nostre storie, siamo arrivati alle storie
narrate dalle Scritture e agli eventi che ne hanno segnato le persone. Così da un messaggio conservato da anni, che ci ricorda una persona, un’emozione, si arriva alle Lettere e agli Atti, libri ispirati che, facendo memoria, diventano testi fondanti e vere regole di vita per la comunità dei credenti. Un film visto e poi raccontato da tanti di noi con modalità, prospettive e stili differenti, ci ha invece portati a scoprire gli scritti evangelici tanto nelle loro differenze quanto nella loro unicità. Questo tipo di approccio, che parte dalla semplicità della nostra
vita, ma arriva ad una grande profondità, mi ha lasciato positivamente stupito. Oltre a ciò, questi incontri rappresentano, per i giovani, uno spazio inedito di approfondimento e confronto, un'occasione unica per la formazione personale. È un itinerario che mi sento di suggerire ad altri giovani, perché ritengo che sia fondamentale, al giorno d'oggi, di fronte ai tanti interrogativi che il mondo e la società ci pongono, indagare e conoscere a le Sacre Scritture e non accontentarsi di una conoscenza parziale e superficiale dei testi fondanti della nostra Fede cristiana».
La Parola ai giovani 3
Educazione sessuale
a cura di Manola Tasinato e Giampietro Borsato
LA STORIA
Marco balla la vita «Dedichiamo tutti gran parte del nostro tempo e delle nostre energie a cercare la persona giusta e ci chiediamo se saremo in grado, quando ci innamoreremo, di capire che si tratta proprio dell'amore della nostra vita! C'è solo un problema: spesso (fin troppo spesso) ci affanniamo in questa ricerca perché siamo convinti che quando troveremo la persona giusta, finalmente, potremo chiederle di rispondere alla principale domanda della nostra vita»... Marco fa una pausa e mi guarda dritto negli occhi abbastanza a lungo da farmi provare una strana emozione, quindi sposta lo sguardo sugli altri giovanissimi del gruppo di cui faccio parte, al quale è stato invitato a raccontare la sua adolescenza. Poi si alza dalla sedia, la fa scivolare al centro del cerchio e dice indicandola con un cenno del mento: «Questo è il mio corpo. Io e lui stiamo assieme da quando sono nato. All'inizio non mi ha dato molti problemi, finché non mi sono accorto che si trasformava ad una velocità impressionante, finché non ho avuto la certezza che – diversamente da quando ero bambino – gli altri si accorgevano di me soprattutto a causa del mio corpo: la mia voce stava cambiando, il mio portamento, il mio odore, la mia forza... io stavo cambiando: non ero più un bambino! Per tutta la mia infanzia non mi ero fatto nessun problema estetico, abitavo il mio corpo e basta. Ma a un certo punto... è come se improvvisamente fosse sorto un problema nuovo: il mio corpo stava cambiando, e io? Questa trasformazione mi aveva messo in testa una domanda assillante: chi sono io? Sono la persona giusta? Mi vado bene così? Chi vorrei diventare? Mi sembrava che, come me, anche Ken il guerriero e perfino Gesù cercassero con tutte le forze di scoprire la propria identità. “Chi dite che io sia?”... Beh, alla fine, per tutti questi motivi, forse senza saperlo, anzi... pensando di andare fuori tema... ho iniziato a ballare. Ballare, per me, significa tentare di rispondere in prima persona alla più grande domanda della mia vita: chi sono? Sono la persona giusta per me?» Marco preme un tasto dello stereo e inizia a ballare sui bassi di Freestyler. Balla dentro il cerchio, attorno alla sedia. La musica è potente e quello che fa mi costringe a contrarre i muscoli delle cosce in spasmi così forti da non sentirmi meno coinvolto del cappuccio della sua felpa. Poi si ferma, abbassa il volume e dice: «Prima di capire quanto fosse importante per me tentare di rispondere a questo interrogativo, non ballavo. Muovevo il corpo... perché avevo un corpo e lo trattavo come qualcosa di altro da me. Era tutto più difficile. Ma quando ho iniziato a capire che devo scoprire chi sono a partire dal mio stesso corpo, quando ho intuito che sono la persona giusta in questo tempio che cambia, che mi contiene e che – limitandomi – mi permette di apprezzare ciò che non ha limite, quando ho iniziato a sentire e a sapere ciò che il mio corpo sente e sa, allora ho smesso
di agitarmi ed ho iniziato a danzare». Marco alza la musica e continua a ballare. Quando il pezzo finisce, con il fiatone, va a prendere un oggetto dal suo zaino, ce lo mostra e ci chiede: «Sapete cos'è?». «Una trottola!» è la voce di Sofia. La bocca dello stomaco mi si spalanca improvvisamente. Mi ero quasi dimenticato della sua presenza. Ha gli occhi luminosi. Si vede che Marco le piace. E sono contento, perché piace anche a me. Mi piace come balla e come parla, è come se ti mostrasse le cose che racconta. È coinvolgente. Marco si avvicina e le porge una vecchia trottola di legno, intagliata a mano, con una punta metallica. «Sai giocarci?» le chiede
Marco. Sofia appoggia la trottola a terra tenendola per il chiodo e tenta di farla girare, ma questa inizia a dondolare sul dorso e a deambulare goffamente tra le nostre gambe. Ridiamo di gusto. Marco guarda Sofia e la incalza: «Allora?». Lei diventa un po' rossa e dice: «Non so usarla». «Però sapevi che era una trottola – dice Marco – e ci hai appena dimostrato che sapere un nome, sapere una cosa non significa necessariamente conoscerla. Cosa ne pensi?». Sofia è in difficoltà e sento di doverla aiutare. «Serve il filo» sbotto. «Bravo!» mi fa l'occhiolino allungandomi un cordino rosso e bianco. Sono fregato. Mi guardano tutti. Non posso più tirarmi indietro... mi viene in mente la trottola che mio padre mi ha intagliato quand'ero piccolo. Me l'aveva regalata come fosse un prezioso reperto della sua infanzia. È sulla mia scrivania e non ho mai pensato che un giorno mi avrebbe fatto comodo saperla usare. Mentre cerco di avvolgere il filo attorno a quel ruvido cono di legno, Marco mi tiene d'occhio e continua a parlare: «La trottola è come il nostro corpo: il fatto di possederne uno non ci garantisce di conoscerlo. È come il sesso...». A questa parola la trottola mi salta dalle mani. Riesco a non farla cadere ma il filo è aggrovigliato. Marco prende il cordino, lo distende, mi sorride e mi incoraggia a provare un'altra volta. Poi ri-
prende: «La trottola è come il sesso: è un gioco molto antico, ma ciò non significa che noi saremo dei buoni giocatori. Alla sua antichità non corrisponde la nostra abilità.» Finalmente riesco ad avvolgere tutto lo spago. Lui si nasconde dietro Lucia, la nostra animatrice e poi grida «Lancia!». Ridiamo tutti e io provo. Cerco di sembrare disinvolto mentre scaglio con forza la trottola verso il pavimento. A un certo punto tiro il filo verso di me: mi sembra che papà avesse fatto così. Qualcosa va storto. Si appoggia su un fianco e ruota in modo innaturale per un po', poi si ferma. Poteva andare peggio. Marco afferra la trottola, mi consegna il filo e mi guarda mentre dice: «Ognuno di noi ha il compito di trovare il proprio modo di far girare la trottola, il proprio modo di giocare il gioco della vita, il proprio modo di amarsi e di amare. A me, per esempio, la trottola piace farla girare così...». Accende la musica, parte un pezzo dei Beasty Boys, una canzone che adoro, è Sabotage... Sposta la sedia, tiene la trottola in mano e inizia a fare dei passi in mezzo al cerchio, poi va a terra e con una sforbiciata delle
gambe inizia a fare un numero che avevo visto solo su Youtube, si chiama Windmill. Il suo corpo si comporta come una gigantesca trottola che ruota prima sulle spalle, poi sul busto e perfino su parte della testa di Marco, mentre le gambe leggermente divaricate gli orbitano attorno, compiendo a ogni giro una carpiatura, rilanciando a sempre maggior velocità quell'impressionante rotazione. Improvvisamente il suo corpo si raccoglie e diventa una pallina che ruota velocissima su se stessa come se tra le spalle di Marco ci fosse un perno invisibile. Di colpo si blocca in una posizione statuaria e noi tutti applaudiamo, perché ha fatto un numero da paura. Per salutarci Lucia ci fa pescare da una cesta un cioccolatino e ci dice di provare a riflettere sulla domanda che ci è capitata. Io lo scarto con cura e leggo: «Come puoi pretendere che ti creda quando dici che mi ami, se non sai amare nemmeno te stesso?». Lì per lì non gli do peso, ma in questi mesi ho scoperto che alcune domande che ci scavano dentro come tarli, ci fanno scoprire di possedere una profondità che non sospettavamo.
Pro-vocazione
«Sai, entro in seminario...» Quando nel proprio cammino vocazionale ti fermi per dare uno sguardo indietro sulla strada fatta, spesso ti accorgi che proprio nelle situazioni (raramente è un’occasione sola!) dove meno te lo aspettavi Lui era là, discreto come al solito, presente nei tuoi compagni di viaggio. Mi chiamo Enrico, ho 26 anni e provengo dalla parrocchia di Villabalzana in Arcugnano, una delle sette parrocchie che compongono l’unità pastorale “Valli Beriche”. Sono laureato in Architettura e sono uno dei seminaristi del 2° anno di Teologia a Vicenza. Come tanti giovani, anch’io per molti anni sono stato animatore dei ragazzi delle medie e dei giovanissimi della mia u.p. ed è in questo ambiente “di parrocchia” che si è giocata la mia dimensione di fede. Fin qui tutto normale, direte voi. Ma nella mia storia e nella scoperta dell’incontro con Gesù – potrà sembrarvi strano – un aspetto importante per me lo ha rivestito la musica: da parecchi anni suono il flauto traverso e la passione per la musica mi ha portato a fare un’esperienza particolare. Nell’estate del 2006 ho partecipato ad una settimana di
formazione per animatori della liturgia a S. Giuliana di Levico: è un corso per musicisti, direttori, cantori, aperto a persone di tutta Italia. Qui ho conosciuto Riccardo, un ragazzo un anno più giovane di me, di Milano. Con lui è nata da subito una bella amicizia, stretta dalla comune passione per la musica, ma anche dal percepire un “qualcosa” di più profondo che ci accomunava, quel Gesù che da un po’ mi affascinava e che avrebbe spinto - come scoprii con curiosità e sorpresa - il mio nuovo amico, da lì a qualche mese, a entrare in seminario a Milano. Quell’incontro per me è stato qualcosa di “spiazzante”, di quelli che in qualche modo ti lasciano un segno, proprio perché negli occhi di chi stava per compiere, a vent’anni, una scelta così grande e bella, si leggeva tutto l’entusiasmo di decidersi per Qualcuno di importante, senza nascondere l’incertezza per non avere già tutte le risposte in mano. Grande, però, era la consapevolezza di non essere da soli in questo “buttarsi”, perché fiduciosi del sostegno di Dio. L’esempio di Riccardo e il confronto in questi anni di amicizia a
Mosaico di Rupnik, “Maestro dove abiti?” distanza, mi sono serviti per interrogarmi profondamente su quale senso avesse per me Gesù, su che cosa concretamente mi chiamasse a fare della mia vita: se la scelta di una vita nel sacerdozio, a servizio degli altri, valesse la pena di essere presa in considerazione. Questo mi ha dato la forza di compiere alcuni “passi” per giocarmi seriamente alla luce della sequela del Maestro. L’invito del suo «Seguimi!» da iniziale pensiero – anche scomodo – è diventato sempre più desiderio di approfondire il mio cammino di fede, anche nella possibilità di una vita come prete: da qui negli anni scorsi il confronto con il mio parroco, poi l’esperienza di un anno di accompagnamento e discernimento vocazionale con il cammino del Gruppo Sichem e il seguente anno di vita presso la comunità voca-
zionale “Il Mandorlo” del Seminario… fino ad arrivare (ora) alla scelta di essere in Teologia, dove il cammino continua. Tra qualche mese (don) Riccardo sarà ordinato a Milano, e io spero di potergli essere accanto, soprattutto per rendere, assieme con lui, grazie a quel Signore che ha incrociato le nostre strade e che in questi anni ha saputo starci vicino. E quando ripenso alla prima volta in cui ci siamo incontrati, a quella prima stretta di mano con cui di solito distrattamente ci si saluta, proprio non riesco a non leggervi la presenza di Dio, la bellezza del suo sguardo, lo stesso con il quale Gesù semplicemente ci chiede di essere per i nostri fratelli dei testimoni autentici e luminosi del grande amore che Egli nutre per ciascuno di noi. Enrico Posenato
La Parola ai giovani 4
Il cammino di Quaresima a cura di Andrea Peruffo
L’autenticità del volto di Cristo L
a domanda che Gesù pone ai suoi discepoli: “E voi chi dite che io sia?”, risulta da sempre efficace per il suo andare subito, senza mezze parole, al centro della questione del rapporto fra il discepolo e Gesù. È efficace perché non lascia vie di fuga, mettendo il credente di ieri, come quello di oggi, di fronte alla necessità di prendere posizione nei confronti del Maestro di Nazareth. Eppure qualcosa in questo campo sembra indicare che i termini del problema si stanno ulteriormente spostando. Oggi non è più solo questione di “Chiesa no… Cristo si!”, ma “Chiesa certamente no…, Cristo forse…, spiritualità si!”. Ecco quella che sembra essere la versione 2.0 della ricerca dei giovani almeno alle nostre latitudini. Cristo attira ancora, Gesù ha ancora il suo fascino, ma nell’epoca post-moderna il centro di questo interesse non è tanto per il suo essere un “rivoluzionario”, un innovatore sociale quanto un “maestro spirituale”, capace come altri (o forse più di altri) di indicare un modo per raggiungere il proprio “io interiore” e la felicità.
Giovani e arte
Il nuovo interesse per il sacro, che a vari livelli sembra emergere in questo nostro tempo, è dato dalla parola “spiritualità”, che assume di volta in volta significati diversi e in continua evoluzione. Cosa significa? Nel tempo del web basta scrivere la parola in questione su di un motore di ricerca… ed ecco la risposta citata naturalmente da Wikipedia: “La spiritualità, termine che riguarda, a grandi linee, tutto ciò che ha a che fare con lo spirito, ha svariate accezioni e interpretazioni. Il suo significato più semplice è il concetto che, oltre alla materia tangibile esista un livello spirituale di esistenza, dal quale la materia tragga vita, intelligenza o almeno lo scopo di esistere; tuttavia può arrivare a includere la fede in poteri soprannaturali (come nella religione), ma sempre con l’accento posto sul valore personale dell’esperienza. L’attribuzione di spiritualità a una persona non implica necessariamente che quella persona pratichi una religione o creda, in generale, all’esistenza dello spirito; in questo caso, la spiritualità è vista piuttosto un “modo d’essere” che evidenzi
scarso attaccamento alla materialità”. La spiritualità allora è vista in alternativa alla materialità e fa riferimento a una dimensione altra della vita, non immediatamente tangibile, capace però di essere in una qualche relazione con la materia, al punto che questa assume un senso e una pienezza proprio a partire da questo livello altro. Una persona spirituale è allora una persona che ha un certo modo di essere e di vivere che può essere religioso, ma non lo è necessariamente! In questo orizzonte la parola spiritualità rimanda, non tanto a una trascendenza, a un Dio o allo Spirito Santo, ma a una dimensione della vita che può portare alla felicità, all’autorealizzazione, alla pienezza di senso; spiritualità è il cammino di ricerca, di purificazione che ogni uomo è chiamato a fare per ritrovare se stesso in modo più vero. E per far questo si può far riferimento a una serie di pratiche di vita considerate più sane, più consone all’uomo, che vanno dalla gestione del tempo all’alimentazione, dalle pulizia nelle
Spiritualità è il cammino di ricerca, di purificazione che ogni uomo è chiamato a fare per ritrovare se stesso in modo più vero relazioni al controllo sulle proprie emozioni, dall’attività fisica alla meditazione. Le prospettive? Il rischio è sempre quello di leggere tutto in negativo… Sento invece che in questa nuova ricerca di spiritualità si nasconde il desiderio di autenticità con se stessi, di unità di vita, di senso pieno non legato alle cose, ma alle relazioni. Il percorso del ri-trovare l’autenticità della propria vita in profondità non è certamente facile e il rischio di scappare, di far finta di niente, di non pensarci troppo, non è solo una pura possibilità. Ma ci sono anche persone, dei giovani che percorrendo questa strada fino in fondo ritrovano la vita a un livello nuovo e diventano capaci di essere segno di
Pittore veneto del XIX secolo, Volto di Cristo, olio su tela applicata su cartone speranza per tutti. Il tempo di Quaresima può essere un’occasione che ci è data per affrontare questo cammino e per ri-trovare un volto nuovo di Gesù.
a cura di Francesca Rizzo
Il colore dell’amore, il solo capace di dare significato alla vita La fede di un artista molte volte ha prodotto delle opere talmente luminose da far crescere, in chi le osserva - o le ascolta -, il desiderio di guardare a Dio, fonte della bellezza, e di rivolgersi a lui con una preghiera. Marc Chagall si commuoveva quando intingeva i pennelli “in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia”. E lo faceva portando con sé tutto il suo vissuto, a partire dalla sua infanzia vicino a Vitebsk,
Marc Chagall (1937-1948), Resurrezione, olio su tela, Centre Georges Pompidou - Parigi
odierna Bielorussia, dove frequentava la scuola ebraica cittadina e si avviava alla pittura. “I miei quadri sono i miei ricordi”, diceva. Uno dei capolavori di Marc Chagall è il trittico Resistenza, Resurrezione e Liberazione. L’opera è nata in uno dei periodi più grigi dell’artista: la sua arte era sconvolta, come lui, dalle rivoluzioni, dal dolore, dalle guerre. Per superare le difficoltà si aggrappava all’arte,
Marc Chagall (1937-1948), Resistenza, olio su tela, Centre Georges Pompidou - Parigi
alla bellezza e agli affetti. Sono gli anni difficili in cui i nazisti gli stavano sequestrando le opere esposte nei musei tedeschi. Gli anni in cui, rifugiatosi in America, perde la moglie Bella per una grave malattia e rimane dieci mesi senza toccare un pennello. Nel 1947 ritorna in Europa e dopo qualche anno conosce e sposa Valentina Brodskij. Riscopre finalmente l’energia vitale del colore e riesce a portare a termine il famoso trittico con l’ultima opera: Liberazione. Nelle prime due tele Chagall intreccia orrore e amicizia, attesa e sconforto, il furore della rivoluzione e la pace della famiglia. Nella terza festeggia la liberazione con danze e canti: da una parte si trova la felicità del pittore per la fine dell’olocausto e dall’altra il trionfo della vita e dell’arte sulla morte. In alto a sinistra, l’immagine di Mosè, che innalza i dieci comandamenti e, accanto, un luminoso Cristo crocifisso e risorto, attorniato da una moltitudine di gente: giocolieri colorati, musici del circo. In basso, la madre sulla soglia di casa, la sorella alla finestra, il gallo, la capra e le piccole case russe, quel “profumo” del paese natale che si ritrova in ogni quadro. I ricordi più gioiosi del pittore vengono fissati sulla tela: il matrimonio con Bella, una coppa di vino, le candele accese e lo stesso Chagall che dipinge l’amata. Tutta l’energia del quadro gira attorno al rosso, il colore che ha
“Dio tu che ti celi nelle nuvole, o dietro la casa del calzolaio, fa’ che la mia anima, anima dolorosa di ragazzo balbuziente, si riveli, mostrandomi la strada. Non vorrei essere uguale a tutti gli altri; voglio vedere un mondo nuovo”. Colui che cammina è l’artista che percorre la via della creazione. Che soffre quando vede attorno a sé il buio, che si arrabbia quando la materia non risponde allo spirito, che non cede quando il mondo lo ignora, che ringrazia quando incontra la luce
Marc Chagall, Liberazione (19371952), olio su tela, Centre Georges Pompidou - Parigi. A fianco, una preghiera a Dio, di Chagall
“il privilegio di racchiudere l’amore”. I colori di Chagall cantano quindi questa poesia, vero motore del cambiamento. Il grande violinista dal cappotto verde diventa il portavoce della festa che s’irradia dal grande sole. È proprio lui l’artista, ponte fra Dio e gli uomini, che con la musica, il canto, il teatro o la pittura, porta scintille di divinità. Per Chagall, infatti, tutto quello che procura gioia e arricchisce la vita religiosa, possiede un valore sacro. “Mi tuffo nelle mie riflessioni e volo al di sopra del mondo”, diceva, perché la missione del pittore è cosa seria. E per questo rivolgeva preghiere a Dio. Liberazione ci interroga:
- L’uomo cambia quando accoglie il calore di Dio e pecca quando non lo accetta. E noi, desideriamo nel nostro cuore questo affetto? - Chagall da piccolo veniva educato a vivere e a servire Dio nella gioia e nella semplicità. Sono anche i nostri valori? - “Dio tu che ti celi…dietro la casa del calzolaio”. Riconosciamo il volto di Gesù nelle persone a noi vicine? Marc Chagall diceva che la vita è come la tavolozza di un pittore dove c’è un solo colore, capace di dare significato alla vita e all’arte: il colore dell’amore. Cerchiamo anche noi di dipingere la nostra quotidianità con questo colore!
La Parola ai giovani 5
«
Voi, chi dite che io sia?». La domanda è impegnativa, molto. È posta al plurale, non al singolare. Ha come interlocutore un “voi” e non un “tu”. Mentre chiede di guardare in faccia colui che interpella - il Signore -, spinge a cercare nel volto dei fratelli qualche sillaba che possa comporre la risposta. Quello che io penso e credo di Gesù non è semplicemente affare mio, è affare nostro. Chi mi circonda è parte integrante della professione di fede che uscirà dalle mie labbra. Credere è co-implicare, creare maglie di relazioni nuove, reti da pescatore che raccolgono e tengono unito a partire dall’esperienza di Cristo: «Vi ho dato l’esempio perché facciate altrettanto». È affare “di noi”, nel senso che riguarda, tocca, incide, segna, sconvolge la carne - il corpo - che assieme agli altri, siamo. Nostro non perché lo possediamo, ma perché diventa parte integrante del modo di vivere che abbiamo, di scegliere e organizzare le amicizie, il lavoro, le frequentazioni. La risposta chiede coralità, accordo, ritmo. Ha molto a che fare con la musica, con il suono, con la sinfonia, dove gli elementi più diversi e sparpagliati diventano un’opera unica che avvolge e immerge. Con quali parole la liturgia ci aiuta a rispondere alla domanda del Signore? Ne sottolineo tre. La prima parola è sempre quella non detta, anche in liturgia. E appartiene a Dio. Quando usciamo di casa per recarci alla messa domenicale stiamo obbedendo al Signore che ci “chiamafuori” (casa? lavoro? sport?) e ci mette in cammino per andare alla Chiesa. Non ho detto andare “in chiesa” ma “alla Chiesa”: differenza sostanziale perché non si tratta semplicemente di entrare in
Credere è co-implicare, creare maglie di relazioni nuove, reti da pescatore che raccolgono e tengono unito, a partire dall’esperienza di Cristo un edificio, quanto di unirsi a quel popolo radunato dal Padre nella potenza dello Spirito Santo. È la con-vocazione ecclesiale: vocazione ricevuta assieme, vocazione che si corrisponde assieme. Quanto dobbiamo crescere da questo punto di vista! Individualismo, se non addirittura solipsismo, rendono la nostra liturgia fredda e calcolata, asettica e funzionale, impoverendola fino alla miseria di quella fraternità evangelica che è il dono e l’azzardo, offerto continuamente da Dio. La seconda parola, dopo i saluti del celebrante, ha un sapore antico e viene da lontano, fiorisce dalla bocca di tutti i presenti ed è rivolta al Signore: Kyrie eleison! L’espressione viene dal greco (i Vangeli sono stati scritti in greco, la liturgia dei primi secoli era in greco) e non è un sinonimo di “Signore pietà!” bensì un’acclamazione a Cristo vittorioso sulla morte in tutte le sue forme, compreso il peccato. L’atto penitenziale, posto all’inizio della messa, non è, quindi, in primo luogo un esame di coscienza, ma una stupita professione di fede: tu sei il Kyrios, il vincitore della tenebra che rinnova l’universo nella luce della risurrezione. Al contempo si confessa di essere peccatori, ma senza avvilimento e commiserazione.
Laboratorio della fede
Liturgia
a cura di don Gaetano Comiati
Chi dite che io sia? Siamo, infatti, alla presenza di Colui che rialza: il Signore rialza dalla morte che è il peccato del mondo, dalla morte che è il peccato della comunità, dalla morte che è il nostro peccato personale. Infine, la professione di fede più bella, concisa, densa, coraggiosa e totalizzante, la compiamo durante i riti di comunione. Chi è per noi Cristo, lo scopriamo di-
cendo Amen, quando andando all’altare per ricevere la comunione, ci viene offerto il corpo di Cristo, il pane eucaristico, Lui che è l’Amen di Dio, il libero sì, che compie le promesse di Dio. Dico Amen davanti alla Chiesa e davanti a Dio Padre: lo dico perché accetto e partecipo alla logica di misericordia e condivisione inaugurata dal Signore; dico che la risurrezione di Cristo è entrata fino nelle midolla
del mondo per scardinare la violenza e il sopruso che soggiogava la storia; riconosco che questa terra e questa carne - l’umanità tutta - rivela la presenza dell’Onnipotente quando fa del vangelo la regola di vita; dico che il senso della mia vita e dell’esistere è divenire un pane spezzato e un vino versato. «Voi chi dite che io sia?»: Tu sei colui che ci rende membra del suo corpo.
a cura di don Andrea Guglielmi
Gesù continua a fare scuola... Più che un laboratorio vi propongo qualche spunto di riflessione. Lasciamo che alcuni aspetti della vita di Gesù, del suo essere e del suo agire, diventino provocazione per noi che siamo animatori, educatori, attivi nella pastorale giovanile. Gesù di Nazareth è stato riconosciuto come Maestro con doti straordinarie di autorità e potenza; ha scatenato lo stupore e l’ammirazione delle folle e nei vangeli ritorna più volte la domanda: “Chi è mai costui?” (Mt 8,27; 12,23; 13,54; 21,10. Cfr. i passi paralleli). All’inizio del vangelo di Marco la folla dichiara: “Non abbiamo mai visto nulla di simile” (Mc 2,12). Ci facciamo anche noi la stessa domanda: perché Gesù aveva una simile forza? Da dove gli venivano queste energie? Chi ha letto e riletto i quattro vangeli non ha alcun dubbio sulla risposta: Gesù ha potuto parlare e agire in modo così sorprendente perché era un uomo profondamente radicato in Dio! Gesù era costantemente radicato nell’amore di Dio, che egli riconosceva e sentiva come Padre. Lo testimoniano i continui riferimenti dei vangeli al suo ritirarsi in preghiera (Lc 3,21; 6,12; 11,1). Prima ancora di essere un uomo d’azione, Gesù è stato un contemplativo, capace di pregare in modo
contagioso. Dovremmo proiettare la stessa domanda sulla nostra vita personale: noi che in parrocchia, nelle associazioni e nei gruppi abbiamo un ruolo educativo, in cosa siamo radicati? Quale tempo nelle nostre giornate dedichiamo alla preghiera, all’ascolto della Parola, al silenzio, all’incontro con una guida spirituale? Rispondere a questa domanda
L’icona dell’amicizia
è di vitale importanza: ne va dell’efficacia del nostro lavoro. A tal riguardo, dovremmo rileggerci gli spunti di meditazione che ci ha dato papa Benedetto XVI nel suo messaggio per la GMG di Madrid – che aveva per titolo “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”. Osserviamo il modo con cui Gesù entra in relazione. La domanda che ci poniamo è: come ha
vissuto gli incontri con le persone? Con quale ottica Gesù si è avvicinato e si è lasciato avvicinare? Gesù è un tipo pratico e ci tiene a incontrare uomini e donne così come sono, con la loro storia, nella situazione concreta in cui si trovano, con le loro risorse e i loro problemi. Non idealizza mai nessuno e non tollera le maschere (Gesù è abilissimo a far crollare qualsiasi maschera con i suoi occhi sempre penetranti). Però non lo condizionano nemmeno i pregiudizi. Va oltre le apparenze e le convenzioni; va addirittura oltre i precetti pur di incontrare l’uomo nella sua realtà. L’animatore è attento ai ragazzi che ha di fronte e li accoglie così come sono. Gesù vuole incontrare le persone una alla volta; per vivere questo faccia a faccia a volte sceglie di allontanarsi dalla folla insieme a colui che ha di fronte, lo porta in disparte e gli dedica tempo, entra in dialogo con lui prima di compiere il miracolo (Mc 7,33; Mc 8,23). Questa attenzione al singolo significa anche disponibilità a cambiare opinione, a lasciarsi modificare dalle interazioni che vive. Pensiamo, ad esempio, alla donna di origine siro-fenicia (Mc 7,24-30), che inizialmente aveva trattato con durezza. Gesù mostra in questo episodio tutta la sua
umanità; essere pienamente uomini significa anche lasciarsi mettere in discussione. L’animatore è colui che dedica tempo alle relazioni personali. Però Gesù guarda ogni uomo e ogni donna con lo sguardo di Dio, sapendo che ciascuno può compiere nella propria vita una trasformazione e diventare nuova creatura. È quanto accade a Zaccheo (Lc 19,1-10) o alla donna adultera (Gv 8,1-11). Gesù crede nella possibilità che ogni persona cambi, si converta, diventi migliore. Ogni relazione educativa deve essere ispirata da uno sguardo di speranza nei confronti dell’altro: in lui, anche nell’adolescente che può sembrare irrecuperabile, agisce lo Spirito Santo. Infine Gesù ci insegna a non essere neutrali; lui ci chiede di fare delle preferenze! Gesù ha sempre avuto un occhio di riguardo per coloro che non sono preferiti da nessuno, gli emarginati e i rifiutati. Il suo punto di vista ci spiazza ancora una volta: a noi non sarebbe mai capitato di preferire i lebbrosi e gli indemoniati! Ci vuole una conversione profonda per riuscire – come comunità cristiana – ad avere una preferenza nei confronti di quei ragazzi e quegli adolescenti che fanno più fatica degli altri ad essere simpatici, coloro che ci gratificano di meno.
La Parola ai giovani 6
Buio in sala
a cura di Alessio Graziani
C’è chi sbanca il botteghino... Il cinema italiano ed europeo ha visto negli ultimi anni una vera e propria rivincita del film religioso. L’interesse per la spiritualità e la sfera del divino, la ricerca di un senso ultimo, che sappia dare armonia ad una vita spesso percepita come caotica, la presa di coscienza dell’insufficienza dell’approccio scientifico matematico all’esistenza, hanno evidentemente portato ad una nuova consapevolezza di quanto questa sfera dell’esistenza umana sia in realtà primaria e ineludibile. Ciò che sorprende, tuttavia, è la quasi totale assenza di film “cristiani”, che parlino cioè espressamente di Gesù Cristo. Anche in questo il cinema è probabilmente specchio della sensibilità comune e della situazione di una società in cui pochi si dicono del tutto atei, ma forse altrettanto pochi dicendo
“Dio” pensano espressamente a Gesù e al messaggio evangelico. Moltissimi oggi, soprattutto giovani, affermano di credere, ma in un Dio dal volto sfumato, impersonale, risultando così molte volte solo nominalmente “cristiani”. Per non ridurre la fede a vago senso religioso, resta centrale dunque l’esperienza dell’incontro con il Cristo; esperienza questa che, tra l’altro, in molti casi costringe anzi a scardinare la mentalità religiosa e a rivedere le idee sbagliate che ci si era fatti su Dio e sul suo modo di essere presente tra gli uomini. L’impatto che tale incontro può avere nella vita di una persona, è ben reso dal film di Claudio Malaponti 7 Km da Gerusalemme (Italia, 2006). Il titolo rimanda al racconto pasquale dei discepoli di Emmaus, ma il film è ambientato ai giorni nostri,
7 km da Gerusalemme. Una scena con Luca Ward e Alessandro Etrusco
Vorrei volare ma non posso e spingermi più in là adesso che si fa silenzio attorno ma il silenzio mi parla devo combattere con le mie lacrime, mica con una poesia. E non c’è ordine nei letti d’ospedale come in una fotografia rivedo dritta sulle spalle la mia figura... E tu lo chiami Dio io non do mai nomi a cose più grandi di me perché io non sono come te. E tu lo chiami Dio io non do mai nomi a cose più grandi di me perché io non sono come te ma conosco l’amore io, che ho visto come te dritto in faccia il dolore.
a dire la possibilità di una contemporaneità del Cristo Risorto con gli uomini di ogni tempo. Il protagonista è un pubblicitario quarantenne in profonda crisi esistenziale, che, per una serie di circostanze misteriose, si trova a compiere un viaggio in Palestina. Qui, tra stupore e scetticismo, inizia a parlare con un uomo che si dice Gesù. Così attraverso una serie di flashback legati alla vicenda umana del protagonista, le grandi domande della vita (l’amore, la sofferenza, la morte, la fama) trovano spazio nel film. Alla fine le diverse situazioni si ricompongono in modo inaspettato, mostrando così la forza e la novità del cristianesimo. Il film, che non brilla per il ritmo e che a tratti risulta eccessivamente didascalico, ha sicuramente il pregio di mostrare in modo concreto il legame tra fede e vita, presentando il Vangelo come la risposta alle questioni esistenziali più profonde.
Più evocativo è il penultimo lavoro di Ermanno Olmi Centochiodi (2007). Anche questo film si interroga su Gesù (senza mai nominarlo apertamente) e su cosa egli avrebbe da dire al mondo di oggi. Il Cristo di Olmi prende le sembianze di un giovane professore di filosofia che, nauseato dal vuoto intellettualismo, accademico e fine a se stesso, fugge dopo un gesto simbolico eclatante - in Polesine, dove si dedica ad una vita semplice e diviene progressivamente punto di riferimento per i contadini della zona. Da scriba dotto e distaccato, a maestro autorevole di vita, capace di parlare al cuore: forse è proprio così che l’uomo di oggi dovrebbe riscoprire Gesù e la perenne novità del suo insegnamento, anzi della “strada” da lui indicata. Olmi - per sua stessa dichiarazione vuole liberare il Cristo “dagli incensi e dagli altari” per rifarne un compagno di viaggio degli uomini.
Peccato che alla fine il protagonista del film scompaia, mentre l’esperienza cristiana ci dica l’esatto contrario, e cioè che la Sua resta una presenza reale, che non delude. Per concludere possiamo citare infine un bel film documentario firmato di recente da Sergio Basso Il viaggio di Gesù (2010). Un uomo si mette in viaggio e ripercorre, oggi, i luoghi delle tappe principali della vicenda terrena di Gesù. Da Betlemme al Santo Sepolcro, tocca i luoghi visitati ogni anno da milioni di pellegrini, incontra tante persone che lì vivono e lavorano (scrittori, musicisti, studenti, madri) per capire se la Parola ha ancora qualcosa da dire a partire da dove tutto è nato. Anche qui è proprio attraverso l’ascolto di esperienze vive che si scopre come il cristianesimo non sia lettera morta, ma esperienza vitale e vivificante, anche per gli uomini e le donne di oggi.
Dallo Staff di Radio Vigiova
E tu lo chiami Dio (Eugenio Finardi) Vorrei volare ma non posso e resto fermo qua su questo piano che si chiama terra ma la terra si ferma appena mi rendo conto di avere perso la metà del tempo. E quello che mi resta è di trovare un senso ma tu, sembri ridere di me sembri ridere di me. E tu lo chiami Dio io non do mai nomi a cose più grandi di me perché io non sono come te ma conosco l’amore io che ho visto come te dritto in faccia il dolore...
Centochiodi. Raz Degan nei panni del Cristo di Ermanno Olmi
Quando Jesus suona pop Finardi a Sanremo
La radio passa la canzone che Eugenio Finardi al recente Festival di Sanremo ha cantato: “E tu lo chiami Dio / io non do mai nomi/ a cose più grandi di me…”. A noi di RadioViGiova, invece, piace usare i nomi giusti; e la canzone E tu lo chiami Dio non è certo un’eccezione nel panorama pop: Dio e Gesù non mancano nel vocabolario del pop, dopo sole, cuore e amore. Kid Rock recentemente ha intitolato un suo disco Rock’n’ Roll Jesus, anche se i suoi testi non sono semp r e edificanti; qualche mese fa Kurt Vile è uscito col singolo Jesus Fever; Lenny
Kravitz, forse il più ispirato, ha cantato un Liquid Jesus: “Lavami, voglio essere salvato, o Gesù liquido… sto pregando per il giorno in cui vorrai venire a liberarmi”; nel passato, poi, Gesù è stato anche personale (Depeche Mode) e persino americano (Bad religion). In genere la figura di Gesù è cantata soprattutto nella sua umanità, per la sua carica rivoluzionaria. Così ce l’ha dipinto anche la letteratura, da Io, Gesù di Sinoué a Il vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago: “Come tutti i figli degli uomini, il figlio di Giuseppe e Maria nacque sporco del sangue di sua madre, vischioso delle sue mucosità e soffrendo in silenzio”. Ma nei testi delle canzoni in particolare, Gesù è colui che salva dalla sofferenza che ci accomuna tutti, anche nei panni del metallaro di Jesus Saves dei Savatage: “Gesù salva, ascoltalo attraversare la notte su queste onde radio notturne”. Ascolto, questo merita Gesù, anche tra le note di un ritornello
Kekko Silvestre dei Modà rock o pop; e piuttosto di censurare queste canzoni perché danno la loro visione personale di Cristo, forse è meglio ascoltarle, in caso criticarle o amarle, con le orecchie della fede. Quante canzoni che chiedono la salvezza sentiamo in radio? Le prime che vengono in mente sono Salvami dei Modà (esplicitamente una preghiera del cantante Kekko Silvestre in un momento difficile), Salvami di Jovanotti, Salvami di Gianna Nannini con Giorgia, Salvami dei Sonhora. E chi più ne ha più ne metta! Anche quando non si rivolgono esplicitamente a Gesù o a Dio, in genere si rivolgono all’amore, e per un cristiano dov’è amore lì c’è Dio. Così Finardi a Sanremo ha cantato “ma conosco l’amore / io che ho visto come te dritto in faccia il dolore”.
La Parola ai giovani 7
O
ggi ho appuntamento con Andrea, capo scout in AGESCI (per chi non la conosce è l’Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani). Che dire di lui? Fa servizio con una trentina di ragazzi che hanno dagli 11 ai 15 anni, in un gruppo scout della città. Studia all’università, fa sport, ha la morosa, tra un po’, dopo la riunione del sabato pomeriggio e dopo il tempo dedicato alla mia intervista, ha appuntamento con gli amici per una birra al bar. Tanto per farvi capire che è uno di noi! E allora subito entriamo nel vivo della questione. Andrea, ma tu chi dici che Lui sia? «Per me non avendolo conosciuto, è una Parola, quella dei Vangeli, che si legge, ma è una Parola particolare, antica, scritta più di duemila anni fa, ma attuale, leggibile alla luce dell’oggi. Ci penso, sai! Cristo non era, ma è!» Ma per te cosa vuol dire che Lui è oggi? «Contestualizzarlo è possibile; tanti pensano a Gesù come a qualcosa di diverso, distaccato da sé, ma per me è attuale, è l’oggi, è il presente. Se si trattasse di convincere qualcuno, non è per me, tuttavia la testimonianza, quella sì. Il dare l’esempio a partire dalle piccole cose; io non “vendo” Gesù Cristo, ma la mia quotidianità ne parla. Vivere cose, esperienze insieme, condividere strada, fatiche, questo è il modo in cui Cristo che è in me, esce verso gli altri. L’esempio è il servizio di capo scout. I miei ragazzi sono nell’età in cui iniziano a pensare con la propria testa, anche sulla testimonianza di fede, con loro cerco di essere testimone nelle piccole cose, come ad esempio vivere la messa domenicale nella nostra parrocchia, oltre alla preghiera che si prepara e si vive con loro nelle riunioni o nelle uscite, è un esempio di quel che intendo come
Il graffio
Coffee break
quattro chiacchiere con Andrea
Parlare di Gesù con la propria vita «Per me, non avendolo conosciuto, Cristo è una Parola, quella dei Vangeli, che si legge, ma è una Parola particolare, antica, scritta più di duemila anni fa, ma attuale, leggibile alla luce dell’oggi. Ci penso, sai! Cristo non era, ma è!» testimonianza. Anche saper vedere che dietro a questo palcoscenico meraviglioso che è la natura, c’è Dio, è un ottimo mezzo per parlare di Lui con i ragazzi». Ma al di là del servizio, torniamo ancora a te, e a Gesù nella tua quotidianità. Com’è concretamente che Lui prende forma? «La vita, lo stile, le scelte sono testimonianza concreta, l’essenzialità, l’aver cura dell’altro… L’altro da me è un’occasione, intendiamoci, non in senso opportunistico, ma di bellezza, di confronto. Cristo nell’altro, diverso da me, è una risorsa, una
ricchezza. È un modo per imparare ad essere rispettosi della diversità, sia pur nella difficoltà dei diversi rapporti». E ci vedi Cristo nell’altro? «No. O almeno non sempre riesco a vederci Cristo, a volte sono accecato dal pregiudizio, dalle difficoltà». È questione di allenamento? «Non si tratta di allenamento. È alla sera o quando ho un attimo di pausa, che ci penso su, non ci metto intenzionalità prima, né è una forzatura della mia persona. La partecipazione e la vicinanza della comunità sicuramente mi aiutano, ma mi ci vuole comunque la verifica». Potremmo pensare a Cristo come a qualcuno che ci cammina a fianco? «A dirti la verità, sento più forte il fatto che sia una testimonianza di vita vissuta, che ho scelto per la forza della bontà e la testimonianza della mia famiglia, ma l’ho scelta per me. Quella di Cristo è una storia scritta che vale la pena di vivere e testimoniare!» E dunque di questa storia, cosa ti colpisce di più? «Farsi ultimi è il messaggio di Cristo che ho sentito più forte per me, è saper vedere il bisogno, avere occhi e orecchie aperti, essere persone disponibili, prendersi il tempo per gli altri.
È rinunciare un po’ a se stessi, che tanto noi da soli non ci bastiamo! Rinunciamo un po’ a noi stessi, ma nell’altro troviamo una ricchezza, una bellezza, un completamento. E tutto ciò se guardiamo bene, ci dà una lettura diversa anche di noi stessi». E negli altri ambiti della tua vita? Forse agli scout e in parrocchia può sembrare più agile… «Beh effettivamente, in altri ambienti è più difficile. La vita universitaria non dà occasioni di testimonianza esplicita, ma è sempre la quotidianità a offrire buone occasioni anche con gli amici e i compagni di studio. Quando si “indossa il vestito” di capo scout è più facile, ma alla fine se cambi identità ogni volta che cambi ambiente, perdi te stesso. Io non ce la faccio. Sento spesso che c’è il rischio di essere frammentato, ma personalmente non penso di esserlo. Certo, a volte perdo colpi, ma ci penso anche molto su». Non ti sembra che a volte tutto questo essere attenti, disponibili, testimoni di fede, di valori, non sia un po’ troppo per i tuoi 23 anni? «Certo che mettersi in gioco è
faticoso e ci fa rischiare di sbagliare! E che lo scoutismo mi mette in gioco a 360° nei confronti dei ragazzi e delle loro famiglie. Ma il fare negli scout mi fa essere persona piena, non fine a se stessa; lo scoutismo è stata l’occasione che mi ha dato la chiave di lettura della mia fede nella mia vita, a partire dalla profonda testimonianza della mia famiglia. Ho vissuto e vivo altri ambienti e situazioni, ma ho scelto di testimoniare l’esempio di Gesù facendo servizio in Agesci». Carissimo Andrea, devo dire che forse è proprio come dici tu: è la forza della testimonianza di una vita vissuta, a parlare di Cristo, senza parlarne troppo! Anche e soprattutto grazie a questa occasione che ci ha dato per dialogarci su insieme. Grazie e Buona Strada (come si dice nella parlata scout)! Elena Piccoli
di don Dario Vivian
La libertà di prendere decisioni di vita Gesù di Nazareth sta navigando, non nel lago di Tiberiade con i suoi discepoli, ma tutto solo in internet. Ha un profilo su facebook, non molto raccomandabile, a dire il vero; d’altra parte la sua amicizia la dà e la chiede a tutti, con predilezione per le persone più strane, diverse, straniere. Ad un certo punto qualcuno chatta con lui; un giovane, che vedendo dal profilo che si tratta di un rabbì, gli fa una domanda impegnativa: Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? Gesù ha un moto di stizza. Questo qui vuole avere la vita eterna, come fosse un possesso; in più chiede cosa deve fare di buono, quando a cercare davvero una vita autentica sono molto spesso i poco di buono! La risposta è brusca: Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Pensa che ora il giovane chiuderà il contatto, d’altra parte sicuramente
questione del lavoro, si rischia di stare precari a vita; ma finché la famiglia garantisce, meglio non pensarci.
sta davanti al computer a perdere tempo. Meglio che esca, trovi amici, cerchi lavoro, si dia da fare... Invece la conversazione continua; parlano delle scelte di vita, di ciò che è autentico, dell’impegno che il ragazzo sembra metterci in quello che fa. Infatti confida a Gesù: Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca? La stizza di Gesù sparisce, subentra un altro sentimento. Il giovane è alla ricerca, non è superficiale come sembrava. Gli viene addirittura da amarlo. Gesù decide di tentare il tutto per tutto: Una cosa sola ti manca. La proposta è di decidersi sul serio, di lasciare le sicurezze che gli impediscono di spiccare il volo. L’avventura della libertà è davanti a
lui, può fare della sua vita qualcosa di significativo; deve solo prendere coraggio e gettare il cuore oltre l’ostacolo. Ed è in quel momento che il contatto si chiude: Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze. Chi glielo fa fare di lasciare la sua casa, dove trova pronto, la madre gli lava e gli stira, un po’ di euro per il divertimento settimanale, il padre glieli allunga, gli presta anche l’auto per uscire con gli amici... Con la ragazza non c’è problema: condividono i momenti belli, ma quando gli gira storta ciascuno sta per conto suo. Una relazione ideale, disimpegnata quanto basta; d’altra parte, l’amore è eterno finché dura! È vero, c’è la
Gesù di Nazareth si rattrista pure lui e scrive sul suo blog una considerazione, sperando che qualcuno la legga e ci pensi: Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! Le sicurezze, alle quali si preferisce rimanere aggrappati, impediscono di vivere fino in fondo le autentiche ricchezze, di cui è portatore ogni giovane: l’entusiasmo, la voglia di futuro, il sogno di un mondo migliore, le doti che possiede e la sua stessa giovane età. Ma non tutti i giovani sono bamboccioni! Ci sarà sicuramente chi il messaggio lo accoglierà e, forte della sua libertà, prenderà le decisioni di vita. (trovi il racconto evangelico in Matteo 19,1626, Marco 10,17-27, Luca 18,18-27)
La Parola ai giovani 8
Sabato 21 aprile ore 20.30 in Cattedrale a Vicenza
Direttore responsabile: Inserto realizzato da: Contributi a cura di: Settimanale di informazione della Diocesi di Vicenza
Lauro Paoletto Andrea Frison, Romina Gobbo, Margherita Scarello Ufficio Diocesano per i Giovani Piazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenza - telefono 0444-226556 e-mail: giovani@vicenza.chiesacattolica.it sito internet: www.vigiova.it Aperto da lunedĂŹ a venerdĂŹ, dalle 9 alle 12.30 e dalle 14 alle 17.30; sabato dalle 9 alle 12.30