La Parola ai giovani NUMERO 1
SUPPLEMENTO A LA VOCE DEI BERICI NUMERO 4 DEL 27 GENNAIO 2013
Input
Una fede da scrivere insieme
Pellegrini e cercatori di verità Trovo luminosi alcuni passaggi nell’ultima “Lettera da Taizé”, scritta dal priore della comunità frère Alois in occasione della conclusione del 2012: “Noi tutti siamo pellegrini, cercatori della verità. Credere a Cristo non significa possedere la verità, ma lasciarsi afferrare da lui, che è la verità, e camminare verso la sua rivelazione in pienezza. (…) Gesù ha trasmesso la luce di Dio attraverso una vita semplicissima. La vita divina lo rendeva ancora più umano. Esprimendosi pienamente nella semplicità di una vita umana, Dio rinnova la sua fiducia nell’umanità, ci permette di credere nell’uomo. Da allora, non possiamo più disperarci, né del mondo né di noi stessi”.
L’Ufficio diocesano per i Giovani e l’Ufficio diocesano per le Vocazioni propongono agli animatori, ai capi scout e a tutte le “comunità educanti” presenti nelle parrocchie e nelle aggregazioni laicali, di scrivere una professione di fede condivisa, pensata e formulata insieme. Pag. 3
Che bello ripensare il dono della fede in una prospettiva così umana, vitale, terrestre! Vi confesso un certo imbarazzo di fronte a due atteggiamenti spirituali e religiosi che si stanno diffondendo attorno a noi. Innanzitutto vedo emergere un bisogno di sicurezza e di certezze, a motivo del quale diverse persone cercano oggi una dottrina solida, un cristianesimo caratterizzato da affermazioni chiare e precise, che funzionino come risposte indiscutibili a tante possibili domande. Ma è ancora più evidente un altro segnale: la ricerca di esperienze e luoghi che trasmettano una grande energia spirituale, santuari e gruppi di preghiera connessi a fenomeni strepitosi, eclatanti, impressionanti, sensazionali.
L’esperienza
La voce dell’arte
Non solo psicologia
Invito alla lettura
Lungi da me il formulare giudizi. Auguro a ciascuno la gioia di fare un cammino personale di riscoperta della vita cristiana. Mi preme soltanto ricordare - innanzitutto a me stesso - gli aspetti più intriganti della nostra fede.
Il Clan Agesci Vicenza 11 in Terra Santa
Con Caravaggio la vita vera in chiaroscuro
Un nuovo anno per rilanciare i propri progetti
Il bisogno d’amore che ci salva
Primo: il Dio biblico ama dare appuntamento agli uomini nei luoghi e nei tempi più feriali; ha una chiara simpatia per il quotidiano, per tutto ciò che è estremamente semplice e ordinario; stando al racconto del giudizio universale, la qualità della nostra vita sarà misurata sui gesti concreti che avremo saputo compiere. Secondo: Gesù di Nazareth aveva un’abilità straordinaria nel provocare domande nelle persone che incontrava. Raccontava parabole e suscitava interrogativi; chiedeva ai suoi interlocutori di mettersi in discussione. Il modo più genuino per ricominciare a credere o per continuare a camminare nella fede è lasciarci conquistare dall’umanità di Gesù. E perché questo miracolo accada, vale la pena dare spazio alla Parola di Dio, metterci in ascolto dei testi biblici, perché come diceva il grande Girolamo… “chi ignora le Sacre Scritture ignora Cristo”. Andrea Guglielmi
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La sfida dell’educazione
Dare risposte pronte o cercarle insieme? Facile parlare di animazione, un po’ meno essere dentro un gruppo dove ci sono “animati giovani”, con una “vita reale”, con storie complicate, atteggiamenti e comportamenti per niente scontati. È questa la reazione che spesso si sente durante gli incontri di formazione per animatori. Pensate che grande dono riceviamo: sono gli stessi ragazzi a ricordarci senza tregua, con il loro modo di stare in gruppo, che le loro vite sono come storie di famosi sconosciuti: tutti, dai quotidiani ai grandi esperti, sanno dare definizioni, descrivere e sondare
atteggiamenti del mondo giovanile. Di giovani si parla in Tv, al bar, nei consigli pastorali. È un mondo noto a tutti, sul quale tutti sanno dire qualcosa. Ma in realtà i giovani non sono da “parlare” ma da incontrare. Nell’animazione siamo dentro fino al collo a questa verità fondamentale. Prendersi a cuore il cammino di crescita di un giovane è come affiancare lungo un sentiero uno sconosciuto e iniziare con lui l’ascesa verso la vetta. Tu sei lì per passione, per desiderio di andare verso l’alto, per volontà di fare qualcosa di grande. Lui si
trova lì, nella stessa tua strada, ma non puoi sapere il perché, cosa stia cercando, dove voglia andare. Non sai come reagirà alle fatiche, alle intemperie, agli imprevisti. E non lo saprai mai se non inizierai a camminarci assieme. Un sociologo mi raccontava che, nel corso di una ricerca su giovani e fede, era stato molto colpito dalla testimonianza di molti ragazzi inseriti in cammini ecclesiali o di gruppo. Rivelavano una profonda difficoltà nell’avvicinare i religiosi e confidarsi con loro, questo perché avevano la
sensazione di porre delle domande a delle persone che, ancor prima di sentirle, avevano già pronte le risposte. I ragazzi che incontriamo hanno bisogno di capire che quando ci pongono degli interrogativi, con la parola o con gli atteggiamenti, noi siamo lì ad ascoltare loro e solo loro. Hanno la necessità di sentire (cosa sempre più rara) che possono relazionarsi con persone che non hanno già pronte le risposte, ma che possiedono la maturità per cercarle con loro. Ci sentiamo pronti a questa sfida straordinaria? Mirco Paoletto
La Parola ai giovani 2 Il Clan Agesci Vicenza 11 a Gerusalemme
L’esperienza
a cura del Clan Agesci Vicenza 11
I costruttori di ponti della Terra Santa Il Clan Agesci Vicenza 11 ha fatto nell’estate scorsa un viaggio in Terra Santa, per riscoprire i valori fondanti dell’essere scout, seguendo le impronte di Gesù, uomo e Dio, per riscoprire la Fede e il faticoso sentiero della pace in una terra segnata dal conflitto. Ripercorriamo la testimonianza che alcuni di loro hanno fatto in occasione del Cammino diocesano di Pace, il 1 gennaio 2013. Una realtà di conflitto I dieci giorni in Israele e Palestina sono stati il coronamento del percorso durato un intero anno, durante il quale abbiamo affrontato le varie problematiche del territorio e dei popoli che saremmo andati a conoscere. Ci siamo preparati moltissimo su tematiche storiche, politiche, religiose, culturali, ma solo la realtà ha potuto veramente porci di fronte alla drammaticità del problema del conflitto israelo-palestinese. Il nostro è stato un viaggio volto a conoscere, capire e, nello spirito scout, capire come agire. Nazareth, Gerico, Ramallah, Thaibe, Betlemme, Hebron, Gerusalemme sono stati alcuni dei luoghi visitati. L’intento era quello di vedere con i nostri occhi e sentire dalle persone che lo vivono, cos’è il conflitto israelo-palestinese. Abbiamo conosciuto palestinesi, israeliani, arabi, ebrei, cristiani, musulmani, scout, preti, suore, attivisti per la pace, medici, studenti, ragazzi, anziani. Abbiamo conosciuto situazioni di conflitto, esclusione, visioni ottuse, di chiusura agli altri, ma anche persone convinte e fiduciose in una soluzione, persone che non guardano solo ai motivi di divisione, ma agli aspetti che accomunano, persone consapevoli di essere parte di un’unica famiglia umana e di dover agire per la pace.
La sofferenza per una realtà inconcepibile è ciò che accomuna coloro che si stanno impegnando attivamente e chi subisce con rassegnazione il conflitto e la violenza. Appare, infine, stridente il contrasto tra la fede scaturita da questi luoghi con una situazione opposta a qualsiasi ideale religioso. La nostra testimonianza è l’impegno a continuare a dar voce a chi non ha voce e a fare qualcosa per “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”. Ponti “La pace in Medio Oriente comincia a Gerusalemme: città in cui la fede in Dio unisce popoli e nazioni, e città, in cui i credenti, in nome di Dio, lungo i secoli e fino ad oggi, si sono posti in conflitto. Città della riconciliazione, di pace per i pellegrini, ma deserto di divisione per i suoi abitanti. La città di Dio è come Dio: per tutti, nessuno può averla in esclusiva e privarne l’altro”. Questo contesto di profonda contraddizione e di unica problematicità che caratterizza i territori della Terrasanta, ha dato impulso e significato esistenziale a forme alternative di resistenza pacifica, in cui le iniziative e le persone stesse diventano veri e propri ponti che si protendono verso gli altri, cercando un contatto, un dialogo, un approccio basilare, nonviolento, alla cui base si intravede un reciproco interesse a trovare soluzioni, o quantomeno a parlarne, insieme. Fra le molte associazioni nate spontaneamente dal basso che operano in Palestina, ci ha particolarmente colpiti l’esperienza riportataci dai giovani volontari di “Operazione Colomba”. “Operazione Colomba” è il corpo non-violento di pace della comunità “Papa Giovanni XXIII”, nato dal desiderio
L’incontro con due volontari dell’Operazione Colomba di vivere concretamente la nonviolenza in zone di guerra, entrando nei conflitti come civili, stranieri e disarmati. Nel villaggio palestinese di AtTuwani, ad esempio, i volontari accompagnano fisicamente i pastori o i bambini nei loro spostamenti al di fuori del villaggio per dare loro una protezione “internazionale” in caso di violenze da parte dei coloni fondamentalisti. Condividendo la vita con le vittime dei conflitti e operando su diversi livelli, i volontari di “Operazione Colomba” riescono nell’intento di proteggere le minoranze etniche e nel ricreare spazi di convivenza pacifica all’interno di situazioni problematiche. “Operazione Colomba” è una delle realtà presenti in Terrasanta che forniscono l’esempio dell’incarnazione delle parole di papa Giovanni Paolo II : “Siate ponti, non muri”. Resistenza La resistenza non violenta è resistenza all’occupazione violenta dei coloni israeliani. Ciò che porta le persone verso la violenza non è l’odio. Lo stato normale non è l’odio. Ma quando si vive nel dolore, si è spinti alla rabbia. La rabbia è il linguaggio della sofferenza, non dell’odio. È importante rendersene conto. Si può creare l’occasione per fare un uso
diverso della rabbia. Questa è una delle chiavi della scommessa sulla resistenza non violenta. La resistenza non violenta è il mezzo con il quale canalizzare efficacemente la rabbia, e la rabbia ben canalizzata porta al successo. Si vuole aver ragione, o ottenere risultati, essere efficaci? La resistenza non violenta non attacca fisicamente, però si confronta con aspetti militari: armi, eserciti, carri armati. Tuttavia, la sua arma non è né fisica né materiale, bensì morale. È la propria umanità. È il diritto che si esercita e si mette in pratica. Se i palestinesi cercassero di conquistare il diritto all’indipendenza della propria terra per via militare, verrebbero sconfitti. Perché perderebbero qualunque scontro con Israele, la realtà è questa. Inoltre nessun tipo di rivoluzione ha mai conquistato la libertà. In un conflitto armato, i palestinesi sono comunque perdenti su tutti i piani. Per contro la resistenza non violenta è a sua volta una strategia di lotta. Lotta perché questa è una battaglia che viene dal popolo molto più che dalle formazioni politiche. Si comprende allora che la non violenza è ben più che una reazione, è sollecitazione a scorgere l’orizzonte di un altro mondo che è frutto delle sole forze interiori, e non dal possesso di armi o di bombe. La non violenza non è cedimento o resistenza passiva, ma resistenza attiva. La pace non è alla fine di un processo di guerra, ma dentro di esso e lo può spezzare. Un tratto del muro che circonda i territori palestinesi
Resistenza è: 1.Speranza 2. Coraggio 3. Forza 4. Fatica 5. Impegno 6. Credere al cambiamento 7. Passare la propria giornata a fare mattoni con il fango 8. Rialzarsi dopo essere caduti e non aver paura di cadere ancora 9. Essere coinvolti in qualcosa che non riguarda solo noi stessi e comprenderlo 10.Più di una filosofia è uno stile di vita, un’identità politica 11.Testimoniare la propria condizione senza vergognarsene 12.Vedere un muro come una tela su cui dipingere messaggi di pace 13.Non solo vivere ma vivere per qualcosa 14.Avere ancora voglia di coniugare i verbi al futuro
La Parola ai giovani 3
La proposta
verso il 18 maggio
Una fede da scrivere insieme L’Ufficio diocesano per i Giovani e l’Ufficio diocesano per le Vocazioni propongono per l’Anno della fede un’attenzione speciale agli animatori e ai capi scout (e ad eventuali altre “comunità educanti” presenti nelle parrocchie e nelle aggregazioni laicali). L’obiettivo è che all’interno del gruppo-animatori e della comunità-capi degli scout, si arrivi a scrivere, entro la metà di maggio, una professione di fede condivisa, pensata e formulata insieme.
Perché questa idea? Per dare rilevanza a quanti nella comunità cristiana sono diventati educatori, fratelli maggiori e punti di riferimento per i ragazzi e gli adolescenti che stanno facendo un cammino all’interno di un gruppo, di una associazione. L’educatore ha il compito di trasmettere ad altri il dono della fede e la bellezza della vita cristiana; è chiamato alla “cura del dono di sé”. Per questo desideriamo che le piccole “comunità di educatori” come il gruppo-animatori o la comunità-capi diventino sempre più luoghi di condivisione spirituale, dove ci si incontra e ci si racconta la propria esperienza di fede, a partire dai dubbi, dalle domande, dalla ricerca a volte faticosa che ciascuno vive.
Proponiamo 3 semplici tappe... 1. Celebrazione
2. Scrittura condivisa
3. “Giovani chiamati a vegliare”
Una celebrazione nella quale venga consegnato il testo del “Credo”. Si tratta di una consegna simbolica (che richiama l’antica “Traditio Symboli”); lo scopo è ricordare la fede professata dalla Chiesa nella quale siamo stati immersi nel giorno del Battesimo. Questa consegna può essere fatta preferibilmente all’interno di una celebrazione eucaristica comunitaria (oppure in una celebrazione di gruppo) prima che inizi il tempo di quaresima. I destinatari della consegna saranno gli animatori, i capiscout, eventuali altre figure educative che si intende valorizzare.
Durante la quaresima e nel tempo pasquale - da metà febbraio a metà maggio - il gruppo animatori e la comunità capi mettono in calendario uno o più momenti per vivere questo confronto e realizzare una scrittura condivisa della fede, una professione di fede scritta insieme, con molta onestà, senza la paura di venir giudicati. Per arrivare a questo obiettivo ci si può far aiutare. Il Vademecum della pastorale giovanile “Motore di ricerca”, diventa uno strumento utile per trovare persone di riferimento e comunità/ambienti dove programmare un’uscita o una settimana di vita comune. Prima di arrivare a scrivere insieme questo testo, potrebbe essere utile chiedere a un fratello più esperto (un prete, una religiosa, un religioso, un laico formato) di aiutare il gruppo degli educatori a ripercorrere - con modalità dinamiche e coinvolgenti - il testo del credo, mettendo in luce gli aspetti centrali della fede cristiana.
Il 18 maggio 2013 ci sarà un breve pellegrinaggio lungo le strade della città di Vicenza, da San Felice a Santa Corona, per poi confluire in Cattedrale, dove si concluderà alla presenza del Vescovo con “Giovani chiamati a Vegliare”. In quell’occasione sarà vissuta la restituzione del Credo (la “Redditio Symboli”), cioè la consegna del testo scritto, frutto della condivisione fatta in gruppo. Il testo non verrà letto pubblicamente; sarà soltanto consegnato e potrà anche rimanere anonimo. L’obiettivo è appunto stimolare queste piccole comunità di educatori a diventare luoghi di condivisione della propria vita interiore e spirituale.
Per chiarimenti e ulteriori informazioni contattare l’Ufficio diocesano per i Giovani giovani@vicenza.chiesacattolica.it - 0444.226566
La Parola ai giovani 4
La voce dell’arte
a cura di Francesca Rizzo
Vocazione di San Matteo (1599-1600), Michelangelo Merisi detto Caravaggio, olio su tela, 322 x 340 cm, Cappella Contarelli, chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma Racconto evangelico: Matteo 9,9 Entriamo nell’opera Una taverna scura, spoglia di mobili, solamente degli uomini attorno ad un tavolo, seduti su sgabelli di legno, in alto una finestra scura. Tutto è tetro, perfino lo sporco lavoro dei gabellieri che contano il dovuto con il registro dei conti e il calamaio alla mano. Vi sono tre giovani, un adulto e un anziano che vestono secondo la moda del Cinquecento, a larghe maniche, i cappelli a tozzo con piume di struzzo, le calze chiare e l’inseparabile spadino. Ad un tratto l’entrata di due strani pellegrini desta la sorpresa di alcuni nel gruppo: uno si gira di scatto, l’altro volge la testa, mentre il doganiere barbato che sta al centro, Matteo, porta la mano al costato. I due che provengono da destra sono scalzi e indossano abiti senza tempo. Il giovane con la veste rossa e il braccio alzato è Cristo, lo si nota dalla dorata aureola, mentre l’uomo canuto al suo fianco è Pietro. Come in un fotogramma di un fatto di cronaca,
san Matteo viene illuminato da una luce. Non si tratta di un raggio naturale, perché la finestra è in ombra, ma di ben altra luce. Non tutti però sono interessati, il giovane a sinistra continua imperterrito a contare le riscossioni, tenendo stretta la saccoccia nella mano sinistra. La vita vera in chiaroscuro È una pittura d’azione quella proposta da Caravaggio, teatrale, vissuta. Ci sembra di sentire gli odori della stanza e nella penombra teniamo desti anche gli altri sensi. Le tre tele che Caravaggio realizza per la Cappella Contarelli sono la prima importante commissione che egli realizza a Roma. La cappella era stata acquisita dal cardinale francese Mathieu Cointrel (italianizzato poi in Matteo Contarelli) per dedicarla al proprio santo eponimo, san Matteo. Queste opere segnano inoltre un momento di svolta nell’attività di Caravaggio: per la prima volta egli sceglie di ambientare la scena
evangelica in una stanza buia con un unico fascio di luce proveniente da una finestra che non si vede, posta sulla destra, dietro la figura di Gesù, quasi come una forza che lo precede. Cristo entra nella scena come se si fosse aperto un varco, accanto infatti vi è Piero, pastore della Chiesa, che ripete lo stesso gesto di indicare il futuro apostolo. San Matteo al momento della chiamata di Gesù era un gabelliere, un esattore delle tasse. Incarico sicuramente non esente da corruzione e da una componente violenta. Quando Gesù lo incontrò, gli disse di seguirlo e Matteo abbandonò tutto per obbedirgli. Caravaggio propone tale episodio in una scena dei suoi tempi, scegliendo come modelli ragazzi e uomini di strada, vestiti in abiti contemporanei. Anche in questa scelta c’è un compiacimento, non di dissacrazione del Vangelo, ma la volontà di fare calare ogni ideale nel reale, rappresentandolo in un modo concreto. Anche l’ambiente assomiglia molto ad una taverna della Roma di quegli anni. Questo per sottolineare che il sacro non ha una collocazione così lontana nel
tempo e nello spazio, ma è sempre presente tra di noi. Il dramma della scena è sottolineato inoltre dal violento contrasto tra luci ed ombre, e dalle diagonali che in esso si creano. Nell’opera prevale l’oscurità da cui emergono le figure ridotte all’essenziale, rischiarate da una luce che rappresenta solamente quanto si può conoscere del tutto che rimane invisibile, un frammento di un mistero su cui non è possibile fare pienamente luce. Una ferita che sanguina Entrare in relazione con Dio molto spesso è una lotta (Genesi 32, 23-31). La lotta crea fratture, spaccature. Le ferite sanguinano perché Dio apre spazi vuoti per essere fecondati e abitati. Come si può guarire da queste ferite? Accogliendo dentro di sé l’altro. La donna stessa smette di sanguinare quando accoglie una nuova vita in grembo. Nella Bibbia Dio maledice la solitudine, ponendo accanto all’uomo una creatura che gli sia pari, che lo aiuti a stare in piedi e nella ferita Adamo trova il proprio completamento nella donna (Genesi 2, 18-23). Se uno è solo e cade nessuno lo aiuta a rialzarsi (Qoelet 4, 10). C’è una ferita in Paolo, una spaccatura tra la vita di prima e quella dopo l’incontro con Dio. Le chiamate di Gesù creano sempre una rivoluzione (Gv 1, 35-51). Gesù guarda, fissa, ama e trasforma (Mc 10, 21). L’incontro con Cristo porta anche Matteo a scoprire la verità di se stesso. Meravigliato egli indica con il dito il proprio cuore, dove sente che Dio lo sta chiamando. L’altra mano invece è sul tavolo, legata al laccio della routine, è una mano avida che fa i conti col passato. Infatti a sinistra si trovano il giovane piegato a contare i soldi e il vecchio che con tanta luce usa gli occhiali per vedere, talmente gretti che non si accorgono del passaggio di Dio. Matteo invece alza lo sguardo e va incontro a
Gesù. Il bisogno di incontrare l’altro è insito nell’uomo e questo è dimostrato dall’enorme fortuna che hanno oggi i mezzi di comunicazione. I social network creano contatti, ma le amicizie sono virtuali: alla fine, l’uomo rimane comunque solo. Sono finestre verso il mondo ma un ostacolo verso l’incontro dell’altro. Così come nel dipinto di Caravaggio la finestra è aperta ma offuscata verso l’esterno, non lascia entrare la luce. Un simile paragone si può trovare nel film Beautiful Mind dove la porta è chiusa e l’unico contatto con l’esterno rimane la finestra su cui scrivere (non nasciamo folli ma possiamo diventarlo!). Il Signore passa portando la luce. Entra nella nostra vita anche quando siamo ripiegati su noi stessi o viviamo in una situazione di disordine, come la stanza – la vita – di Matteo. Nel dipinto Gesù è rappresentato nell’atto di indicare, di chiamare, ma i suoi piedi sono già diretti verso la porta. Se ne sta andando e san Pietro sembra ribadire: “LIFE IS NOW”, se non ti muovi passa! Ecco perché sant’Agostino ripeteva: “Temo il Signore che passa”. Il dito di Gesù non è dritto come quello di un giudice, ma debole, è una presenza leggera che accoglie Matteo così com’è. Pietro è ritratto di spalle perché è solo un tramite, un padre spirituale che aiuta a creare quelle “crepe vitali” da cui riesce a passare la luce di Dio. Provocazioni Il nostro desiderio di infinito si percepisce, talvolta, attraverso le domande sul senso da dare alla vita. Anche Matteo cerca di dare sapore alla propria esistenza: si rende conto che nessun bene finito può saziare il desiderio di eternità. Solo Dio è capace di rispondere a questo richiamo interiore. Chiediamoci allora: a questo punto della mia vita, dove mi trovo? Qual è il mio posto?
La Parola ai giovani 5
Laboratorio biblico
a cura di don Andrea Guglielmi
“Dove sei?” Un invito a fare il punto Propongo in questo laboratorio un esercizio semplicissimo, già collaudato nel primo degli incontri serali all’Ora Decima a cui abbiamo dato il nome “Incroci - Storie bibliche, traiettorie di vita”. In questo caso l’incrocio avviene tra la Bibbia e la musica attuale, che si ascolta abitualmente alla radio. Si tratta di intrecciare una domanda che Dio fa ad Adamo con alcuni testi di canzoni scritte molto recentemente. La domanda di Dio è posta all’inizio della Bibbia, nel terzo capitolo della Genesi: “Dove sei?” (Gen 3,9). Un invito a fare il punto Le storie raccontate in queste pagine non dicono ciò che è avvenuto cronologicamente all’inizio della storia dell’umanità, ma ciò che accade nella storia di ogni uomo e di ogni donna, e la domanda con cui Dio provoca Adamo è l’interrogativo di sempre, è la domanda che in ogni istante Dio potrebbe rivolgere a ogni persona: “Dove sei?”. Che tradotto significa: ripensa alla tua vita, al tuo cammino, a ciò che stai vivendo, al punto in cui ti trovi e al percorso che hai fatto per arrivare fin qui. Come stai? Quali sono ora i tuoi stati d’animo? È un invito a fare il punto della situazione, a non essere dei fuggiaschi, ma uomini e donne responsabili. È un invito a deporre le maschere, ad essere veri, autentici. È come se Dio avesse chiesto ad Adamo ed Eva: perché vi siete nascosti? Da che cosa state scappando? Come risponderei io a una simile domanda in questo preciso istante? Come risponderebbero i miei amici, le persone che mi circondano, la gente con cui collaboro? Proviamo a metterci in ascolto allora di quattro canzoni. I testi di questi brani sono quattro possibili risposte alla domanda che Dio ha posto ad Adamo. Per cosa sto vivendo? La prima canzone è di Katy Perry. Il brano Who am I living for? è un grido straziante che nasce dal senso di inadeguatezza di fronte a una missione troppo impegnativa, una responsabilità troppo grossa, una corona troppo pesante da portare. “Heavy is the head that wears the crown”: pesante è la testa che regge la corona. È una canzone che parla di guerra e di battaglie, che sono come una “croce da sopportare”. “It’s never easy to be chosen, never easy to be called, standing on the frontline when the bomb starts to fall”: non è mai facile essere scelti, non è mai facile sentirsi chiamati, stare in prima linea quando le bombe iniziano a cadere. Quindi, alla domanda “dove sei?”, il testo di questa canzone risponde: “È come se fossi in guerra, e sento il peso di una missione troppo grande per me”. Però al tempo stesso si percepisce la speranza: “I can feel this lightness inside of me”. C’è una luce dentro che rimane accesa e c’è un
pregevole riferimento biblico alla regina Esther, con la cui vicenda ci si identifica: “So I pray for a favour like Esther; I need your strength to handle the pressure”. “E così io prego per ottenere un favore come Esther; ho bisogno della tua forza per reggere la pressione”. La domanda che diventa il titolo della canzone risuona sempre più come una preghiera: “Who am I living for?”, “Per chi sto vivendo?”. L’interrogativo è rivolto alla propria anima e contemporaneamente a Dio, sembra: da Lui ci si attende un supplemento di forza per attraversare una fase della vita così complessa. Una buona idea La seconda canzone è di Niccolò Fabi. Una buona idea è un brano piacevole e toccante al tempo stesso, soprattutto per chi conosce la tragedia che l’autore ha vissuto qualche anno fa: la morte di sua figlia. In questa canzone dichiara di sentirsi “orfano”: “Orfano di acqua e di cielo, di origine e di storia, di una chiara traiettoria, di tempo e silenzio, di uno slancio che ci porti verso l’alto, di una cometa da seguire, un maestro da ascoltare…”. E poi ancora “orfano di partecipazione, di una democrazia che non sia un paravento, di onore e dignità, di una terra che è soltanto calpestata…, di un’Italia che è sparita”. Ma l’autore capisce che l’unica soluzione a questo smarrimento è diventare padre: “Mi basterebbe essere padre di una buona idea”. Alla domanda “dove sei?”, il testo in questione risponde così: “Mi sento orfano di tante cose, mi sento perso, ma credo sia giunto il momento di reagire e darmi da fare, mettere in campo le mie energie, la mia creatività…”. Dal sentirsi orfano al diventare padre; dalla nostalgia alla responsabilità. La canzone ci accompagna sulla soglia di questo passaggio importante da compiere. Una vita “a perdere” La canzone “Vuoto a perdere” di Noemi non ha bisogno di commenti. Alla domanda “dove sei?” la risposta qui è molto chiara: “Sono un peso per me stessa, sono un vuoto a perdere, sono altra da me stessa; ora sono qui che mi guardo
“non è mai facile essere scelti, non è mai facile sentirsi chiamati” Katy Perry
Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Genesi 3, 8-10
crescere la mia cellulite e le mie nuove consapevolezze; quanta vita che ho vissuto inconsapevolmente, quanta vita che ho buttato via per niente…”. Il testo comunica un senso di rassegnazione di fronte a una vita priva di entusiasmo, priva di passioni e di progetti. Manca completamente la fiducia in se stessi e la voglia di mettersi a cercare qualcosa o qualcuno. Cosa sto aspettando? Infine un brano carico di energia - I will wait - e loro sono veramente una band straordinaria, una grande promessa: i “Mumford & Sons”. Scorrendo il testo di questa canzone sembra di leggere in filigrana la “parabola del Padre misericordioso” (Luca 15). “Sono tornato a casa come una pietra e sono caduto pesantemente tra le tue braccia; i giorni di polvere verranno soffiati via da questo nuovo sole; mi hai perdonato e non dimenticherò; perciò sarò coraggioso e anche forte, userò la testa insieme al cuore”. Il clima che si respira è la gioia di una rinascita, nell’esperienza di un ritorno a casa, dove ci si sente riaccolti e perdonati. “Alzo le mani, dipingo d’oro il mio spirito”. Nuova vita, nuova dignità, nuove energie. Quattro canzoni che ci aiutano a dialogare con la Parola di Dio; quattro possibili risposte attuali alla domanda che Dio ha rivolto ad Adamo. Per riflettere... In quale di queste canzoni vi riconoscete maggiormente? È possibile confrontarsi in gruppo, leggendo il racconto biblico di Genesi 3 e ascoltando i quattro brani proposti, avendo i testi a portata di mano. Vi consiglio di concludere l’incontro rileggendo uno dei passi più toccanti di tutta la bibbia: Isaia 43,1-5. Se chiedessimo a Dio “dove sei?”, la sua risposta sarebbe questa: “Se dovrai attraversare le acque sarò con te… perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo”.
Incroci Storie bibliche, traiettorie di vita Continua la proposta di Incroci, appuntamento mensile di spiritualità e di confronto con la Parola di Dio rivolto ai giovani della DIocesi in occasione dell’Anno della fede. I prossimi appuntamenti saranno: 8 febbraio 2013 “Avete visto l’amata del mio cuore? 12 aprile 2013 “Chi manderò e chi andrà per noi?” Entrambi gli incontri si svolgeranno al Centro vocazionale “Ora decima” (Contrà Santa Caterina 13, Vicenza).
“mi basterebbe essere padre di una buona idea” Niccolò Fabi
La Parola ai giovani 6
Non solo psicologia
a cura di don Andrea Peruffo
Bilancio negativo? È l’ora del rilancio! Ingredienti per ripartire alla grande con il nuovo anno: 1.Focalizzare il punto di partenza 2. Ricordare cosa ci si era prefissato 3. Fare il punto dell’oggi 4. Cambiare punto di vista
A cavallo di capodanno è sempre tempo di bilanci... non solo per le imprese, ma anche per la propria vita: cosa è successo nell’ultimo anno? Cosa ci eravamo proposti? Dove siamo arrivati? Domande solo all’apparenza banali, perché ci invitano a guardare in faccia con verità il tempo che scorre e il nostro modo di viverlo. La tentazione è di lasciar perdere e di cercare qualche facile scappatoia, perché in fondo ci rendiamo tutti conto che dirsi cosa è successo nella propria vita, ammettere non solo i successi (cosa in alcuni casi semplice), ma anche i propri fallimenti, i propri blocchi, non è cosa da poco.. eppure è necessaria. Come non è cosa da poco riconoscere quali sono i punti di forza, le risorse sulle quali si può contare senza cadere in false umiltà o in eccessi narcisistici. Non so se vi sia mai capitato di imbattervi in qualche blog dove si possono trovare delle specie di confessioni pubbliche. Ricordo una volta di aver letto la storia di una ragazza che scriveva, forse per trovare conforto dei propri fallimenti, raccogliendo il bilancio di una vita sbagliata
Eserciziario d’amore
va fatta con onestà, magari nel confronto con qualcuno che ci è stato vicino o che ci conosce… Ma non basta ancora. Se ci fermassimo qui rischieremmo di procedere allo stesso modo di una azienda che mettendo in fila le diverse colonne va a misurare i progressi o il ristagno della propria attività a prescindere dal resto. Credo che un buon bilancio della propria vita debba anche tener conto delle cose che ci sono successe in questo tempo, a prescindere dalla nostra volontà. Che esperienze, che incontri, che fatti sono accaduti? E questo per andare oltre la cronaca. Provo a spiegarmi con un esempio. Immaginiamo che nel corso dell’anno ti sia trovato/a a vivere tensioni molti forti che ti hanno creato conflitti e incomprensioni con alcuni tuoi amici. Hai dovuto prendere posizione nonostante avessi cercato fino alla fine di mediare e di cercare il compromesso. Alcune persone che
consideravi fidate, di fatto le hai viste in modo nuovo; in alcuni momenti ti sei trovato/a a comportarti come mai avevi fatto prima. Bilancio fallimentare rispetto agli ideali di amicizia? Per alcuni aspetti certamente, ma se guardi quello che è successo da un altro punto di vista ti accorgi invece che sei stato/a magari per la prima volta, una persona capace di prendere posizione di fronte agli altri, di esprimere le tue idee e hai avuto il coraggio di portarne le conseguenze. Da questa prospettiva allora il bilancio può essere ben diverso, perché ti riconsegna un’immagine di te che forse non conoscevi. Saper leggere la vita da prospettive diverse è una qualità necessaria per un buon bilancio. Il negativo non sempre è così negativo come sembra essere e viceversa quello che ti fa sentire bene non sempre è così positivo come sembra. Solo da qui si può rilanciare...
a cura di Manola Tasinato e Gianpietro Borsato
Il fidente e il fidato Materiali: 1.Un gruppo da 10 a 40 persone 2. Una sala adatta allo svolgimento di un’attività di movimento 3. Musica vivace 4. Un cronometro 5. Un pezzo di corda da 1,5 metri per ciascun partecipante
dove il sapore amaro della delusione toccava i diversi ambiti della sua vita. Con semplicità si potrebbe dire che si tratta di una persona depressa... ma questo non coglie il cuore del problema e soprattutto la conclusione che per lei era l’incapacità di fidarsi completamente della gente. E chiudeva: bilancio della vita negativo!!! Come aiutarci per non dover scrivere le stesse conclusioni? Provo a sintetizzare alcuni ingredienti per un buon bilancio-rilancio che ci aiuti a guardare al futuro con speranza. In primo luogo credo sia importante focalizzare bene il nostro punto di partenza. Dove eravamo un anno fa? Quali erano i pensieri che maggiormente mi giravano per la testa? Cosa mi riempiva il cuore? In secondo luogo è importante ricordare cosa ci si era prefisso, dove si voleva arrivare, quali erano le questioni per le quali ci si voleva impegnare con maggior attenzione, gli ideali che davano entusiasmo e forza. In terzo luogo è importante fare il punto dell’oggi. Dove mi trovo? Dove sono? Come mi sento in questo momento? E questa analisi
Scaldiamo l'atmosfera con un esperimento molto semplice e conosciutissimo. Formiamo tante coppie. Decidiamo chi dei due rivestirà per primo il ruolo di fidente, di colui che si affida alla forza, alla prontezza di riflessi e al buon senso dell'altro. Il partner, intanto, interpreterà il ruolo di compagno fidato... Quando partirà la musica abbandoneremo la comunicazione verbale: non potremo parlare. Si comincia Parte una musica discreta, strumentale. Do le spalle al mio compagno e mi sbilancio all'indietro in modo che egli possa prendermi ed evitare che io cada. Il mio corpo mi sta dicendo che provo una certa diffidenza. Temo che il mio partner non mi prenda. Perché? Perché mi sento terribilmente pesante, così pesante che nessuno potrebbe reggermi da una caduta. Perché il mio partner non mi ispira una fiducia sufficiente, anche se mi dispiace ammetterlo. Perché non sono stupido e so benissimo che se non mi prendesse potrei farmi seriamente male. Perché questo gioco l'ho già fatto e so come finirà.
Ascolto il mio corpo e il corpo dell'altro. Piuttosto che la persona che amo si accorga che non mi fido, preferirei mentire. Molti dicono che sia più facile mentire a parole che con il corpo. In questo esercizio, infatti, non ho potuto nascondere al mio compagno la mia sfiducia. Durante l'esperimento non sono riuscito ad evitare di fare un passo indietro mentre mi sbilanciavo. Quel passo indietro ha rivelato la mia insicurezza, ma ha detto anche qualcosa di più: “Non mi fido di te”. E quando qualcuno ti dice che non si fida di te, ti dice qualcosa di te, ti dice che non sei affidabile. Per evitare che si accorga della mia diffidenza potrei legare le mie gambe con una corda ben stretta alle caviglie in modo da impedirmi di fare passi falsi. Se elimino il sintomo, forse elimino il problema. Ci provo. Effettivamente riesco a celare la mia insicurezza. Ma la corda,
questa precauzione, non mi ha aiutato a fidarmi. Anzi. Mi ha preservato dall'evidenza, ma non ha cancellato la mia paura. Il fatto di sentirmi in qualche modo costretto, con le caviglie legate, ha trasformato il gioco in giogo, trasmettendomi un pizzico di angoscia. Non è detto che l'ansia, la paura, l'insicurezza, non possano rivelarsi in certi casi delle emozioni interessanti, perfino piacevoli. Ma in questo esperimento, mentre cerco di cogliere la qualità della mia fiducia, emozioni come queste rischiano di portarmi fuori strada. Cambio. Adesso io assumo il ruolo del fidato. Il suo corpo mi dice che il mio compagno non si fida di me. Indugia, tentenna. Ma se manca questa fiducia da cosa dipende? Do l'idea di essere poco affidabile? Sembro insicuro? Desidero che la persona che amo si fidi di me. Se non ci fidiamo
l'uno dell'altro è probabile che la nostra relazione ci faccia soffrire. Penso che per vivere una relazione serena dobbiamo coltivare prima di tutto la fiducia reciproca. Meglio mettere da parte tutti i trucchi per nascondere la verità. Mi metto subito al lavoro per far crescere il sentimento di fiducia in questa simbolica relazione d'amore. Il mio partner continua a voltarsi per vedere se ci sono, se sono pronto. Se può abbandonarsi all'indietro con la certezza che lo sosterrò. Cosa posso fare per aiutarlo a fidarsi di me? Mi avvicino. Gli faccio sentire che non appena si sbilancerà, sarò lì a proteggerlo. Gli faccio capire che qualsiasi cosa accada intorno a noi, io ci sono, sono pronto. Faccio per lui ciò che vorrei lui facesse per me. Non pretendo la sua fiducia incondizionata come prova d'amore e capisco che le sue incertezze sono i messaggi di un corpo che vuole raccontarsi a me, proprio a me... e non voglio per nessun motivo che debba aver paura di farlo. L'amore è come l'acqua... e così come ho imparato a nuotare piano piano, partendo dal bordo, dall'acqua bassa, allo stesso modo riuscirò ad abbandonarmi alla persona che amo, un po' alla volta. Allora, mentre suona una musica dolce, imparo la grammatica del mio corpo e provo ad insegnarla a chi amo. Questa attenzione, questa disponibilità, questa voglia di dire ti amo, significano: “Io sono un messaggio per te e credo che tu possa dirmi di me più di chiunque altro”.
La Parola ai giovani 7
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olti film recenti presentano la fede e la religione come cammini di ricerca del significato dell’esistenza. Anche questa volta è facile vedere come la narrazione cinematografica sia specchio e interpretazione di una sensibilità diffusa, che alla razionalità preferisce spesso il gioco delle emozioni e all’affermazione di verità dogmatiche quello del dubbio e della domanda. Non si tratta evidentemente di elementi da contrapporre, ma di sfaccettature diverse ed ugualmente presenti – seppur in misura diversa a seconda delle epoche - in un’esperienza complessa e totalizzante come quella del credere. Anche il cinema ci aiuta pertanto a comprendere quali sono le sensibilità di cui tener conto per poter parlare in modo significativo di Dio all’uomo di oggi. Un viaggio spirituale Davvero emblematico, da questo punto di vista, è il successo che sta ottenendo il film Il cammino per Santiago (USA, 2010, ma in distribuzione in Italia solo dalla scorsa estate) sulla scia del crescente numero di persone che da ogni parte del mondo e con le più diverse motivazioni compie ogni anno tutto o parte del famoso pellegrinaggio a piedi verso la tomba dell’apostolo Giacomo. Il regista newyorkese Emilio Estevez (tra l’altro figlio dell’attore protagonista del film, Martin Sheen) ci racconta la storia commovente di un viaggio che diventa scavo e ricerca interiore, in cui i paesaggi offerti dalla natura si fondono con quelli dell’anima. Tom è un anziano e affermato medico americano che, mentre gioca a golf, è raggiunto dalla terribile notizia della morte del figlio avvenuta in Spagna. Giunto in Europa per recuperare le spoglie del figlio, Tom scopre che Daniel
Ciak... si crede!
a cura di don Alessio Graziani
Fede come ricerca
aveva intrapreso il Cammino di Santiago di Compostela e decide di camminare al posto del figlio, realizzando così quello che era stato evidentemente il suo ultimo desiderio. Il viaggio diventa spirituale, le immagini, poetiche, l’approccio alla vita assume progressivamente un tono sapienziale che prima era del tutto estraneo al pragmatismo del medico americano. Un cambiamento Un cambiamento profondo avviene anche nella vita del protago-
Invito alla lettura
nista del film francese Chi vuol essere amato? (2011). A differenza del film precedente, nessuna esperienza limite mette qui in moto il cammino di ricerca, che inizia invece quasi per burla attraverso la partecipazione ad un improbabile gruppo parrocchiale. Il protagonista è Antoine, brillante avvocato, sposato e padre di famiglia. Quasi per caso si trova presente alla riunione di un gruppo di catechesi in parrocchia. Il suo atteggiamento è critico, quasi irriverente, ma una domanda del prete lo colpisce e inizia a tormentarlo:
a cura di Enrico Zarpellon
Il bisogno d’amore che ci salva La vita davanti a sé Romain Gary, Neri Pozza Editore 11,50 €
Ci sono libri capaci di disarmare chi si addentri nelle loro pagine, romanzi in grado di cambiarci i connotati con una carezza. Così funzionano le storie che ci piacciono di più e così, io credo, funziona anche La vita davanti a sé (Romain Gary, Neri Pozza, 11.50 euro). Disgraziata periferia parigina. Momò è un bambino di dieci anni, arabo, figlio di nessuno che vive al sesto piano di una palazzina insieme a Madame Rosa - una vecchia prostituta ebrea grassa e imbruttita - e ad altri bambini d’ogni età e provenienza, figli di prostitute che pagano una quota mensile
Direttore responsabile: Inserto realizzato da: Testi a cura di: Settimanale di informazione della Diocesi di Vicenza
per garantire loro casa, cibo e la scarsa protezione che la povera Madame è ancora capace di offrire. In questa sorta di asilo abusivo, si vivono gioie e sofferenze. L’appartamento diventa piazza d’incrocio con altri personaggi spesso bizzarri e drammatici, sempre umanamente speciali, ma è il legame tra Momò e Madame Rosa a reggere, oltre che il libro, le vite di entrambi. Il tessuto di questo romanzo è composto dunque da pochi fili, pure abbastanza grezzi, volendo, ma ad intrecciarli (e la magia sta tutta qui) c’è la voce di Momò che racconta. Ed è proprio questione di un tono, un timbro unico, e forse
La locandina del film Chi vuol essere amato? di Anne Giafferi. Sopra, un’immagine de Il cammino di Santiago di Emilio Estevez
“Chi vuol essere amato?”, chiede il sacerdote ai presenti per iniziare la discussione. Antoine diventa un “ricominciante” nella fede che da tempo aveva abbandonato, ritrova il gusto per la vita spirituale e rimette al primo posto nella sua esistenza la tenerezza e la cura per il
prossimo. I diritti di questo film sono stati recentemente acquisiti per l’Italia dall’ACEC che ne sta curando il doppiaggio. Sarà presto circuitato nelle sale cinematografiche parrocchiali e disponibile in dvd.
ancor più è questione di uno sguardo irripetibile sul mondo e sulla vita. A noi lettori resta una grande possibilità di piacere e conoscenza: piombiamo in un mondo altro, diverso dal nostro, che probabilmente non ci interessa nemmeno troppo; accade però che una voce, dei personaggi, una storia, poco a poco ci spoglino e disarmino, prima di stenderci con ciò che effettivamente fanno succedere nelle pagine, trasformandoci come solo la vera letteratura sa fare. Per Momò la meraviglia - anche nella miseria sociale in cui vive - è uno strumento di comprensione della realtà. La sua inconsapevole ironia di bambino è spesso sarcastica e cinica, capace in questo modo di sfidare noi che leggiamo, ma i suoi occhi mai banali percepiscono ciò che i nostri sono disabituati a vedere. La sua postura di bambino già esperto delle cose che accadono, lo porta ad annodare riflessioni brucianti e scombinanti intorno a temi come paura e speranza, felicità («Ma io non ci tengo tanto a essere felice, preferisco ancora la vita. La felicità è una bella schifezza e una carogna e bisognerebbe insegnarle a vivere»), vita («La gente tiene alla vita più che a tutto il resto, è anche buffo se si pensa a tutte le belle cose che ci sono al mondo»), amore, rapporti umani. Momò cresce una pagina via l’altra e c’è una vicenda di formazione, ma questo romanzo a me pare, prima e sopra a tutto, una
grande storia d’amore tra il giovane Momò e la vecchia e materna Madame Rosa, sempre più affaticata e imbruttita («Ma con la femminilità non si può mica discutere»). Momò chiede spesso, a sé e agli altri personaggi, se sia possibile vivere senza amore, lui che l’amore l’ha conosciuto soltanto attraverso le cure di Madame e che ora vive, al tempo stesso, il bisogno di allontanarsi da lei - in piena malattia - e la necessità di starle accanto. «Le accarezzavo la mano per incoraggiarla a ritornare e non l’ho mai amata più di allora, perché era vecchia e brutta e tra poco non sarebbe più stata una persona umana». La malattia degenerativa della vecchia prostituta è davvero una spinta drammatica a far emergere le risorse dell’umano. La vita sa accompagnare alla verità, ma talvolta può schiacciarci e spremerla con cruda noncuranza, da noi, la verità. Ed è questo ciò che accade a Momò e Madame Rosa, sino a un finale spiazzante e agrodolce. «Bisogna voler bene», dice un bambino che tutti chiamano Momò. Soltanto a partire da questa umanità capace di amore è possibile, per lui e per noi, dare fiducia e obbedienza alla vita – alla propria storia come alla vita davanti a sé. Si finisce il libro con un sorriso malinconico e con un respiro vibrante e magari un po’ commosso, provando gratitudine per chi ha saputo mettere in una storia il nostro intimo e accanito bisogno d’amore, ciò che ci salva e ci regala umanità.
Lauro Paoletto Andrea Frison Ufficio Diocesano per i Giovani Piazza Duomo n. 2 - 36100 Vicenza - telefono 0444-226556
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a sera del 12 dicembre 2012 a Bologna è stata organizzata una veglia di preghiera in concomitanza con l’unica data italiana del discusso rocker Marilyn Manson... diversi giovani hanno ascoltato don Giulio Marra cantare, chitarra alla mano, alcuni classici della musica poprock e mettere in guardia dai messaggi satanici in essi contenuti: da Indietro di Tiziano Ferro a Another one bite the dust dei “Queen”, da Hotel California degli “Eagles” a Imagine di John Lennon… Allora ascoltare musica può non conciliarsi con la fede? C’è la necessità di selezionare i propri ascolti, per esempio limitandosi solo alla musica ispirata esplicitamente alla fede cristiana? Vi racconto qualche storia, quindi ognuno si faccia la propria idea... Stati Uniti, patria della Christian Music Negli Stati Uniti e in altre parti del mondo nel 2012 il business della Contemporary Christian Music, musica leggera di esplicita ispirazione cristiana, ha coperto il 15% del fatturato nazionale di musica. In rete si trovano facilmente siti dedicati, canali webradio, applicazioni per mobile. Canzoni pop che spesso, se non si conosce l’inglese, si possono
Mumford and Sons
Dagli studi di Radio Vigiova
Musica e fede vanno d’accordo? tranquillamente confondere per qualità e orecchiabilità con le maggiori hit del panorama pop internazionale. Lo scorso settembre Brandon Flowers, leader della band poprock “The Killers”, ha vissuto una davvero originale serata del tour promozionale, che ha riempito gli stadi di mezzo mondo: prima di una esibizione live, si è trovato a difendere in un dibattito televisivo la sua fede mormone dagli attacchi dell’ateo Richard Dawkins; con impacciata limpidezza il giovane cantante ha raccontato la dolcezza della preghiera quotidiana, insegnatagli dalla madre, la bellezza di certe risposte che sa dare la religione alle grandi domande dell’uomo.
Nell’ottobre 2012 la classifica americana e inglese sono state dominate da un gruppo come i “Mumford and Sons”, folkrock travolgente e tormentato, trascinato da versi come questi: tenevo gli occhi aperti per servire e le mani per imparare (…) quando mi è stato detto da Gesù che tutto andava bene, quindi tutto deve andare bene (dalla canzone Below my feet, dall’album Babel). La fede su Roolling Stone Christian Raimo, emergente scrittore romano cresciuto alla Minimum Fax, scrive ogni mese una rubrica sulla rivista musicale Rolling Stone, “Italia, amore”, in cui capita di trovare riferimenti di questo genere: (…) condannati a un impossibile attivismo, riusciamo ad assaporare un fantasmatico spirito di libertà solo quando perdiamo tempo, cliccando da un sito all’altro, aggiornando lo status su Facebook, chattando con qualcuno che non abbiamo mai visto in faccia. (…) Consideravo tutto questo un giorno mentre ero a messa, qualche settimana fa. Mi veniva in mente la soluzione di Kierkegaard di fronte al paradosso dell’angoscia: ossia sostanzialmente la fede. Sempre Raimo ha poi recentemente pubblicato un romanzo con Einaudi, Il peso della grazia, in cui l’eroina del protagonista è la filosofa e teologa Simone Weil.
Ghemon
“Parolone” in un brano hip-hop Il Padre Passionista Max Granieri, nonché ex-dj, ogni anno stila una classifica delle migliori canzoni che parlano di spiritualità sul suo blog L’arena dei rumori; alla posizione numero quattro quest’anno “nelle contrapposizioni tra rap italiano e spiritualità, emerge Ghemon. Piace l’introspezione di “Fantasmi pt.2″, l’urgenza di guardarsi dentro e di raccontarsi: Perché niente è tanto personale che non si può raccontare / 20 giorni in cardiologia / Enigma [...] / E sto pregando Dio perché per me la sua presenza è spirituale / Il resto è teologia e speculazione clericale. Prega Dio, pur prendendo le distanze dalla teologia (che “parolone” in un brano hip hop)”. Karl Rahner e la musica leggera Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, ha scritto un breve saggio sulla musica leggera, ispirandosi al grande teologo Karl Rahner: “La canzone canticchiata serve all’uomo «ad esprimere chiaramente a se stesso la propria essenza» e, in tal modo, a «evitare che, restando silenzioso, egli debba soffocare». Con la sua espressione complessa e profonda Rahner intende affermare che cosa sia, in definitiva, la canzone. Essa è la parola quotidiana che diventa
poetica grazie alla musica, e che permette all’uomo di esprimersi, infrangendo un silenzio che potrebbe soffocarlo nell’isolamento interiore. La canzonetta può essere la via di una espressione di sentimenti e pensieri che toccano la profondità del proprio quotidiano. Per alcune persone questa è una via privilegiata e forse unica. (…) Rahner intende dire che la canzone vive non solo della parola, ma anche dei ritmi quotidiani e della profondità della vita dell’uomo comune. È questa la sua forza, ed è su di essa che si misura correttamente il valore di un brano di «musica leggera»”. E ogni venerdì su Radio Vigiova... Ogni settimana Radio ViGiova in FM e sul web (www.radiovigiova.it) dedica uno spazio all’intrecciarsi di musica pop e parola di Dio: la rubrica In God We Tunes approfondisce settimanalmente una canzone significativa e la accosta a un passo biblico: così Niccolò Fabi si trova a dialogare con Abramo, Alanis Morrisette con Isaia, il vangelo risuona nel punk dei Tre Allegri Ragazzi Morti. La curiosità è una dote evangelica: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. (Vangelo di Luca, capitolo 11)
Appuntamenti
Azione Cattolica Vicentina Settore Giovani
la proposta Con i GIOVANISSIMI ci introdurremo con gradualità e in modo dinamico all’ascolto della Parola e all’incontro personale con Gesù, Figlio di Dio. Con i GIOVANI desideriamo ripercorrere il cammino e la storia di Abramo, “nostro padre nella fede”. Il percorso di Abramo e il suo dialogo con Dio diventa particolarmente significativo in questo Anno della fede.