al Collegio Pennisi di Acireale (CT). E’ tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80 che svolge un’intensa attività pittorica; Nel 1969 si laurea in Architettura presso l’Università degli Studi di Palermo. Inizia l’attività professionale divenendo socio di studio del Prof. Arch. Giovanni Pirrone, con il quale lavora nei vari settori dell’architettura e dell’urbanistica. Nel 1970 espone una serie di disegni e scenografie presso la Galleria d’Arte “al Borgo” di
di Discipline Artistiche e di Storia dell’Arte ed insegna nei Licei sino al 1980. Nel 1972 fonda lo Studio Catalano di “Archi-
al quale debbo molto. Seguivo i suoi percorsi, tra chimere, cavalli, demoni, anime sognanti, fili sottesi su orizzonti incantati. Seguivo la sua direttrice e mi impregnavo di mondi surreali. Allora ero affascinato dal mondo metafisico di De Chirico. Le sue piazze assolate, ombre lunghe, i suoi silen-
sussurri
memorie
zi, brandelli di architettura. Conobbi Ungaretti, Quasimodo, Carrieri, Russoli, Cappello, Saporetti, Nangeroni, Moore, Fiore, Clerici. Mi fermai a guardare quel mondo variegato e munifico ed in special modo, Clerici. Trassi spunti da tutti, rilevai dai loro orizzonti alcune formule, certe lusinghe, molti
urla
sogni. Iniziai così il mio piccolo viaggio verso il mondo sconfinato dell’arte. Non sapevo nulla di disegno, né di pittura e scultura. Avevo solo tanta voglia di esprimermi. Lo feci,
imprecazioni
Palermo. Nel 1971 consegue l’abilitazione all’insegnamento
tazione di Murabito, fratello di mia madre, grande artista,
nostalgie
22 gennaio 1936. Frequenta il Liceo Classico presso i Gesuiti
to. Il mio percorso grafico-pittorico ha inizio con la frequen-
appunti
Vito Catalano è nato a Trecastagni, in provincia di Catania, il
memorie, appunti, ripensamenti, nostalgie, sussurri, imprecazioni, urla, silenzi
Non è facile parlare di sé. È come osservare uno sconosciu-
ripensamenti
come si faceva il pane, come lo impastava mia nonna, con la forza dei pugni e l’istinto. Il mio ingresso alla facoltà di
silenzi
architettura raffreddò certi bollori ed alcune libertà segrete. Il mio riferimento assoluto era segnare sulla carta l’orizzonte di un paesaggio desolato da popolare con miti, immagini sofferenti, angeli alati, architetture appena accennate. Scavare poi grandi fenditure nel terreno, inventato, per rap-
tettura, Urbanistica e Restauro” in via G. Jung a Palermo. Dal
presentare grandi squarci dell’anima, dei miei 20 anni. Le
1976 al 1981 viene iscritto a vari albi professionali di rilievo
ombre nere di De Chirico mi affliggevano. Preferii lasciare
per opere stradali e monumentali, per l’architettura e l’arre-
i personaggi dei primi esperimenti metafisico-surreali, privi
damento d’interni e per il restauro dei monumenti e l’arte
d’ombra ed umori, immersi in una nebulosa appena grigia ed inanimata. Le mie esperienze grafiche oggi sono il risultato
dei giardini. Nel 1982 svolge l’attività professionale tra Varese e Milano. Nel 1999 lavora insieme alla figlia Caterina, laureata in Architettura presso il Politecnico di Milano.
di una certa voglia di imitare la realtà e discostarsene allo stesso tempo. Immergersi in mondi onirici per ritrovare le figure del mito.
memorie, appunti, ripensamenti, nostalgie, sussurri, imprecazioni, urla, silenzi
Ugo Cantone “Arte come ripensamento”
Perché Vito Catalano è coerente con la sua epoca? Per rispondere a questo interrogativo necessitano alcune premesse, sviluppate come di seguito: “L’arte e’ un fatto mentale la cui realizzazione fisica può essere affidata a qualunque mezzo”. E questa una affermazione forte ed innovativa di Bruno Munari anche se già da tempo Marcel Duchamp, in maniera ancora più esplicita, aveva ritenuto le tecniche ed i contenuti della pittura tradizionale completamente improponibili. Inoltre, il maestro del concettualismo, dopo la sua appartenenza al cubismo di Picasso e Bracque, rifiutava preventivamente pennelli e colori a vantaggio della originale “sedimentazione delle polveri”. Come é noto questa non era altro che una sorta di assemblaggio chimico-geologico individuato ed individuabile attraverso la inarrestabile riconversione dei materiali naturali. Tale simulazione, posta in questi termini, prendeva le distanze da quella osservazione epidermica che ispirò, sia pure in maniera apprezzabile, quel sentimentalismo romantico, oggi inaccettabile, perché incapace di descrivere l’ansia, la solitudine ed il tormento interiore dell’inarrestabile percorso del tempo. Tuttavia, in Duchamp, non tutto fu oggetto di innovazione visto che le tecniche per la trasmissione del pensiero, come ad esempio il “metalinguaggio critico” di De Seaussure, così radicato nella natura umana risulta, ancora oggi, assolutamente insostituibile. L’essere nella realtà attuale e trovare una vitalità corrispondente al suo progresso scientifico e tecnologico fu l’obiettivo che si pose il grande maestro dell’ “arte concettuale” e che lo spinse a cercare nuove tecniche e nuovi contenuti. Tutto ciò lo aveva già manifestato con “le macchine celibi” del periodo dadaista. Nella sua corretta utilizzazione sintattica, non tralasciò l’uso della metafora intesa come apparente menzogna rivelatrice di verità. Del resto lo stesso Bernini dell’Apol-
lo e Dafne aveva indirizzato la sua ricerca verso un concettualismo carico di energia e di insostituibile continuità storica. Duchamp é un linguista convinto ed operativo, egli conosce bene ciò che nella teoria dei linguaggi può essere considerato “variante” o “invariante storica” ed, una volta fatta questa distinzione, effettua correttamente te sue scelte strategiche. Ad esempio quando deturpa la foto della Gioconda di Leonardo conosce bene quanto il gesto “designativo” sia comprensivo, nella successione linguistica, di quello “denotativo”. La strada delle tecniche avanzate è necessaria anche per giustificare la mutevolezza della percezione nelle varie epoche giustificata dagli studi “transazionali”. L’urlo innovativo di Duchamp dilagherà ed influenzerà molte delle ricerche successive: caso emblematico la “Land Art”. Lo stesso si può dire dell’ “arte povera” a conferma della emblematica espressione: “Duchamp prima e Duchamp dopo”. Quando si chiama in causa “l’obsolescenza improvvisa” delle tecniche pittoriche, necessita introdurre, per i non addetti ai lavori, una ulteriore premessa chiarificatoria del termine transazionale. Sembra ormai codificato come il sistema percettivo, a seguito degli studi eseguiti da Marshal McLuhan e compagni, risulta mutevole con il trasferimento epocale. Ne consegue che il modo di percepire l’arte, poiché legato alle diverse esperienze di vita, nello scorrere del tempo, non può risultare costante ed immutabile anche a causa, non trascurabile, degli aspetti modificatori ed avanzamento tecnologico della scienza applicata unitamente alla scienza del pensiero. Tale, sia pur traumatizzante premessa, è indispensabile per inquadrare quel delicato periodo della produzione del dopo Duchamp la cui pregnanza scientifica risultò sostanziale nel rapido rinnovamento dei linguaggi espressivi: quasi un punto di partenza per gli artisti
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tica dove il computer gli ha consentito di effettuare la sua transitoria azione espressiva metalinguistica. Egli infatti “devasta” il suo lavoro per attribuirgli continuità ed innovazione. All’interno della sua appartenenza culturale Vito Catalano sceglie un suo modo di intenderla che mi è piaciuto definire “Arte come ripensamento”. Qui l’ideazione assistita ha valore, in assonanza con la teoria del Gregory, relativa alle “maquettes virtuali” o “concrete” prima di raggiungere, con sequenzialità dinamica, gli effetti desiderati da una razionalità creativa. In funzione di un continuo rinnovamento interiore del proprio fare arte. Catalano è certo che il pensiero materializzato nella forma debba indicare il superamento della “obsolescenza improvvisa” a vantaggio di una costante innovazione intesa come “dis-identità” che è allo stesso tempo continuità tra passato e presente che transita attraverso una sofferta ed affascinante scelta creativa. A rafforzare la posizione culturale del Catalano di “arte come ripensamento” tra presente e passato mi è gradito chiamare in causa una espressione di Bertold Brecht per difendersi dall’accusa di “inattuale”. Egli, infatti, con estrema determinazione, si era opposto all’uso improprio del termine “disidentità epocale”. In quella occasione Brecht espresse la sua coraggiosa riflessione sul concetto di “innovazione e tradizione” che, con estrema oculatezza, sintetizzò nel suo famoso aforisma: “qualcosa di nuovo è antiquato, volere nuovo è volere qualcosa di vecchio”.
di quel periodo storico che non poterono esimersi dall’ereditare la forza e la espressività di un così grande rinnovatore. Senza le premesse di cui sopra risulta impossibile collocare le opere di Vito Catalano. Nipote prediletto dell’artista italo-americano Rosario Murabito, deve molto allo zio che, alimentato nella cultura dell’ “action painting” nord-americana e dell’esistenzialismo di Marcuse, dovette avergli comunicato gli strumenti liberatori di una cultura ristagnante e ripetitiva. Sempre in evoluzione dinamica il suo pensiero non si è mai arrestato davanti ai, pur pregevoli, risultati raggiunti. Le prime opere del Catalano risultano infatti in qualche modo legate alle esperienze metafisiche di Fabrizio Clerici. Per lungo tempo il suo lavoro silenzioso è cresciuto in maturità espressiva ciò sembra accaduto quando si è avvicinato alla cultura Gestaltica con risultati sorprendenti ed angolazioni originali rispetto al Vasalerj ed Escher. Oggi ha scelto di uscire allo scoperto con una produzione che, senza mezzi termini, si può definire molto vicina alla teoria “decostruzionista” di Deridà che, con chiarezza di contenuti, lo studioso di estetica contemporanea Carmelo Strano, in suo recente saggio, articola in quattro tronconi dello stesso albero e cioè il “Decostruttivismo”, la “Teoria del caos”, la “Matematica dei frattali” e la mia “Teoria della devastazione” dove, in questa ultima, si prefigura un’angolazione paesaggistica quale ricerca di nuovi e coraggiosi “archetipi”, al fine di frenare l’azione distruttiva dell’uomo nei confronti della natura. Le applicazioni del Catalano, pur inserite nella cultura attuale, presentano tuttavia campi dí originalità, all’interno delle quali si riscontra una ricerca espressiva che si estende al dettaglio entro giusti ed apprezzabili livelli di approfondimento. I momenti fondamentali della sua migliore produzione passano attraverso la sua esperienza gestal-
Ugo Cantone Preside della Facoltà di Architettura di Siracusa
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Carmelo Strano “L’architetto e l’artista”
Ogni tanto si è costretti a tornare sull’argomento: che rapporto c’è tra la figura dell’artista e quella dell’architetto? Tema stantio e per di più un non problema. Ma ci sono quelli che, poverini, travolti dall’idea tecnica del costruire, si ostinano a considerare l’architetto come un tecnico “laureato”. Come se si potesse ipotizzare il lavoro dell’architetto all’oscuro di nozioni sulle tecnologie, a cominciare da quelle dei materiali. E’ evidente che costoro sono fermi a una nozione ovvia: che in prima istanza si debba fare architettura funzionale e funzionante. E chi potrebbe mettere in dubbio o in secondo piano il principio di una buona (agatòs) architettura? E per altro verso come si fa a disattendere l’aspettativa che si tenda anche ad un’architettura bella (kalòs)? Un fatto è certo, a proposito di Vito Catalano: che questa pseudo diatriba cade da sola. Infatti, egli è sia architetto sia artista. Ha sempre coltivato, parallelamente, la pittura e la scultura, da una parte, e, dall’altra, l’architettura e il design. Ma, in rapporto agli argomenti evidenziati, è opportuno precisare che egli è anche artista quando fa l’architetto ed è anche architetto quando fa l’artista. Insomma, non è il caso del dottor Jeckyl e del signor Hyde, come non lo è stato, nel passato, a proposito dei grandi come Michelangelo. Non si pone neanche il problema della priorità, giacché è negli anni ’50 che si avviano sia la progettazione architettonica sia la pittura e il disegno artistico. Ma aggiungo: pur avendo Vito Catalano progettato e costruito tanto in architettura, forse la sua vena più felice, spontanea, caratterizzante è quella della pittura e del disegno artistico, anche se, volendo fare una sorta di consuntivo, l’autore ha investito più tempo nell’architettura. Rilevo, nella lunga attività di Catalano, un inizio (anni ’50) e un presente (questi ultimi anni) che coincidono. I dipinti e i disegni degli anni ’50 han-
no un segno espressivo libero, nomade spinto da una fantasia di piglio ariostesco che si consolida in forme tendenzialmente surreali. Come Goya, anche Catalano produce i suoi mostri. Il movimento della linea (nei disegni) è tenace, incisivo, robusto, deciso, cosicché viene elaborata una trama di chiaroscuri non privi di valori simbolici. In scultura Catalano ha sempre modellato la creta alla quale ha dato forme di costruzioni arcaiche dal segno ad un tempo visionario e avveniristico. Insomma, sia nei disegni che nella scultura il passato e il futuro coincidono fissando una dimensione senza tempo. E’ quanto accade con le architetture virtuali degli ultimi anni. Anch’esse tese tra il visionario e il futuribile. In questo caso però il linguaggio di Catalano è anche di piglio futurista. Ma senza tendere a pieghe futuriste. Semmai si sente l’influenza del decostruttivismo. Ma anche questo è un incidente di percorso; manca, infatti, in queste architetture pur sempre fantastiche l’elemento dell’instabilità. Per quanto improbabili, queste architetture, manco a dirlo coloratissime, rispondono canonicamente alle esigenze statiche. Va da sé che il computer ha offerto a Catalano una tavolozza di colori senza limiti e lui, lontanissimo ovviamente dalle castigatezze e dai rigori di segno e di cromatismo propri degli anni 50-60, si fa Peter Pan tuffandosi giocosamente in essi.
Carmelo Strano
Critico d’Arte
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Giovanna Bongiorno “L’uomo e l’amico”
gusto e del sapere e, diciamolo pure, con qualche aggravio per l’accumulo delle calorie. Delle nostre lunghe serate, come dei nostri viaggi, ho memoria del Tuo “narrar barocco”, di quest’inverosimile estensione particolareggiata, esaltata, colorata, aggrovigliata delle tue parole, di fatti non fatti, di sconfinamenti impercettibili dalla realtà delle cose alla visione della tua immaginazione, di questo fiume mugghiante di parole che diventavano suono modulato e leggero per giungere, quanto meno ce l’aspettassimo, a quella nota d’ironia che, col suo soffio lieve, scompaginava, disperdendoli, i magnifici Tarocchi delle tue architetture verbali. Entrare nella Tua casa, era sempre un’esperienza nuova. Giurerei che, da un giorno all’altro, Tu moltiplicassi dipinti, collages, sculture, o che forse, più abilmente, nell’irrequieto vortice della Tua frenesia, Tu spostassi ogni notte le Tue creazioni per disorientarci, per indurci ad emozioni assolutamente nuove e sorprendenti che giungevano dalla nuova alchimia di stessi elementi. La grandezza che è in Te, nel suo prorompente Amore per la vita, mi rammenta il mare, quest’elemento che è il principio di tutte le cose e che, stranamente, solo la nostra lingua indica al maschile, avendo, esso, invece, quella carica universale, grandiosa di materna bontà, tutta femminile, che venti infidi e contrastanti possono repentinamente mutare in apocalisse distruttiva Spero che un giorno non lontano, l’Agorà e le Botteghe che io sogno, sorgano ed abbiano Maestri come Te, Vito. Perché solo da luoghi come questi, segnati dalla luminosità solare mediterranea, dal senso della polis greca, dalla sensibilità culturale e dal tratto mercantile della città rinascimentale, ogni futuro, degno di questo nome, mi appare possibile.
Da me, che pure sono stata Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, forse Tu, Amico mio, Ti attendevi una dotta disquisizione sulla Tua Opera. Non è così, e se ci pensi un istante, poiché ben mi conosci, avresti dovuto aspettartelo, perché dovresti sapere, che se fosse in mio potere, in questo Paese che pur nel passato è stato grande ed oggi è solo imbrigliato in sistemi di casta vicini al suicidio, abbatterei a colpi di maglio queste e molte altre Istituzioni Didattiche, per far posto ad Agorà e Botteghe nelle quali, a dominare, siano la capacità visionaria e creativa dell’Uomo, la luce gentile del sapere, la capacità di aiutare senza costringere, di competere senza escludere, la grazia dell’Essere. Di questo luogo bello ed immaginario, penso, caro Vito, che Tu potresti essere Maestro. Ricordo, infatti, che quando, circa trenta anni or sono, sorse la nostra bella Amicizia (familiare) Tu eri il traino irresistibile di immaginifiche scorribande che traversando lungamente le desolate Terre di Mezzo della nostra Isola, ci conducevano ad approdare in quei Paesi della Sicilia, belli e sconosciuti ai più, nei quali, Tu ed io, riconoscevamo immediatamente, quasi annusandola nell’aria, quella nostra identità di siciliani, sì, ma ancor prima di siciliani del Levante, di gente che è nata dal quel lato della Sicilia dal quale sorge il sole. Ricordo, di quelle incursioni che oltre il presente, di fatto, inconsapevolmente, sconfinavano nella nostra memoria atavica di Levantini, le tue osservazioni e le tue annotazioni, la tua curiosità intelligente che indagava le pietre, il paesaggio, l’impianto urbano di un gioiello minore, la storia di una fonte, i resti di una fortificazione o di un castello, persino i dolci, sì, proprio i dolci, sulle cui fogge e decori, in una modesta pasticceria di Misterbianco, in un lontano Carnevale, tra l’impazzito svolazzare di elegantissimi domino nella piazza antistante, ci hai intrattenuto oltre un’ora con grande beneficio del
Giovanna Bongiorno Regista e giornalista
08
Disegno, pittura e scultura sono attività collegate. Alternare disegni, immagini, collages e appunti, non rappresenta una dicotomia tra la produzione architettonica e l’opera plastico-grafica. Da architetto preferisco elaborare modelli che appagano queste due esigenze. Nei disegni privilegio la costruzione di spazi prodotti per “accumulo”, metafora del “caos”, con una tensione pittoresca, lontana e contrapposta all’avanguardia degli anni 20 che privilegiava una concezione visiva geometrica essenziale e pura. Immagini contrastanti dal forte potere evocativo che inseguono quel filone metafisico-surreale che ha autorevoli rappresentanti in Savinio e Clerici. Temi presi dall’archeologia, dalla mitologia, da testi sacri, calati entro una dimensione irreale. Simboli onirici, miti e labirinti, filtrati attraverso la memoria. Flotte sommerse, carene di navi come carcasse preistoriche, o astronavi atterrate su radure sconvolte da terremoti e fessurate da crepacci interminabili. Qualcosa d’indefinito che turba e scava precisi solchi nell’anima. Un mondo apparentemente barocco, per quel sottile godimento di vedere forma e prospettiva accomunare immagini mentali e reali, miraggi e sogni, cavalli di pietra e memorie fidiache. Dice Marcel Brion che le sorgenti delle realtà scaturiscono dal fantastico e “sfociano inesauribilmente dalle caverne oniriche, dove si elaborano i prodigi del giorno e della notte”. Lo spazio grafico si popola di apparizioni magiche che alludono a una visione apocalittica del mondo o all’Isola dei morti di Arnold Böcklin. Gli elementi del mio racconto grafico sono: sabbia, sassi, voragini, pietre, giganteschi monoliti di basalto. Qualcuno è già crollato e giace; altri sghembi; altri ancora dritti, rivolti contro il cielo in atto di sfida, aspettano che il vento li corroda. Nuvole oblunghe, con il profilo dell’Etna, si addensano a forma di uovo. Direi con Buzzati che i disegni tentano di esprimere “l’enigmatico alfabeto del tempo”.
anni sessanta e duemila
disegni
11
Disegni anni ‘60 cittĂ metacronica
12
angeli – demoni - saggi
13 angeli giustizieri
disegni anni ‘60
Disegni anni ‘60 meridiane
14
Disegni anni ‘60 - civiltĂ delle macchine coclee
16
Disegni anni ‘60 - CiviltĂ delle Macchine
17 macchine inutili
disegni anni 2000 cittĂ volante
18
disegni anni 2000 catastrofe cittĂ visibili per uomini invisibili
20 MEGALOPOLI AMEBE
megalopoli amebe cittĂ galattica K1
21 cittĂ galattica K2
disegni anni 2000
disegni anni 2000 ecumenopoli (ipogea)
22
disegni anni 2000 embrioni di cittĂ
cittĂ galattica
24 spazio organico
residui di civiltĂ frammenti di cittĂ consunta
25 cittĂ organica
disegni anni 2000
disegni anni 2000 eperopoli
26
Questa mia ricerca di pittura, eseguita con olii e tempere, risale agli anni ’60. Nasce dal desiderio di comunicare emozioni, anche se con linguaggio inusuale e di non immediata comprensione. Ero impregnato di Bauhaus, di Paul Klee e Vassilij Kandisky, artisti che avevano introdotto nuove metodologie di progettazione estetica nell’architettura e nelle arti applicate. Mi affascinava ed ancora mi sorprende, l’idea che l’astratto possa servire a costruire un mondo nuovo; idea, in verità, già nata in Russia, con l’avanguardia Costruttivista. Negli olii, esprimo alcune caratteristiche della realtà. Ho voluto interpretare la realtà astratta riferendomi alle esperienze estetiche delle avanguardie storiche, allacciandomi altresì alle stilizzazioni che proponeva il liberty. Le immagini astratte qui di seguito rappresentate, inducono reazioni di tipo psicologico: tentano di stimolare l’osservatore a dialogare con l’immagine informale. L’arte astratta, peraltro, cosi come espresso nella psicologia gestaltica, di cui ci occuperemo appresso, ha il fine di comunicare, esprimere contenuti e significati, senza prendere in prestito nulla dalle immagini già esistenti intorno a noi. Cosi come dai processi di astrazione nascono parole, numeri, segni, nel campo delle immagini i segni sono intesi come simboli e rimandano a cose o idee tra il reale e l’immaginario.
anni sessanta
olii e tempere
29
tempera su cartone armi stellari
30
olio su tavola
31 frammenti
La mia produzione di collages, si fonda sull’uso di materiali eterogenei, occasionali, quotidiani; materiali trovati ed applicati mediante una selezione critica. La materia ed i materiali, per varie ragioni, hanno caratterizzato molte correnti dell’arte contemporanea, soprattutto le punte più avanzate delle neo avanguardie. Il mio spazio-collage è inteso come progetto dove assumono importanza tutti gli elementi che lo compongono: supporto, carta, formato, immagini. Il soggetto nasce da un processo grafico-simbolico, in relazione allo spazio immaginato, presente, futuro o futuribile. All’interno del collage confluiscono fotografie di oggetti, brandelli di stoffe, macchie di colore, schizzi a penna, a volte curati, altre volte spontanei. Nei collages, l’assemblaggio caotico dei materiali e le combinazioni cromatiche, producono un assetto visivo nel quale il materiale è accolto sulla superficie di supporto, come espressione di “Pittura” primigenia e attuale insieme. Nello specifico metto in atto una tecnica ed un vocabolario formale legato alla mia professione, con processi di riciclo e di incollaggio, come avviene nei progetti di architettura. Peraltro, come dice Le Corbusier, la connessione progetto grafico e architettura, non rappresenta “un episodio circoscritto nella storia della pittura moderna”. Echeggio alla lontana le esperienze materiche dei costruttivisti, i temi del movimento dadaista e le immagini ispirate ai ready made, con allusione a Marcel Duchamp. Vedo il collage non come elemento ausiliare della pittura, ma diretto e suggestivo linguaggio di se stesso.
anni sessanta e duemila
collages
33
collage anni ‘60 vulcani
34
collage anni ‘60
35 nebulosa urbana
collage anni ‘60 nuraghi
36
collage anni ‘60 radiografia dell’anima
38
collage anni ‘60 materia viva
40
collage anni ‘60 materia purulenta
42
collage anni ‘60 cellule, cittĂ , antri
44
collage anni ‘60
45 cittĂ diffusa
collage anni 2000 illusioni fredde
46
collage anni 2000
47 omaggio a Murabito
collage anni 2000 slum
48
collage anni 2000
49 teatro dei sensi
La scultura venne qualche anno dopo la grafica; quando ebbi la sensazione di potere costruire e decostruire immagini e forme. Scelsi architetture ispirate alla “città del sole”, città rotanti, semoventi, spiritate. Avevo dentro il fuoco dei miei studi di architettura, la poetica delle forme pure, il geometrismo, le proporzioni auree della tradizione ellenica ed europea, modelli rinascimentali, del passato e del presente. Mi ritrovai come colui che scava in se stesso per far emergere il nuovo. Utilizzando creta e colore in funzione visiva, tentai di collegare l’architettura ai disegni ed ai collages. Diverse sfaccettature ideali attraversano anche oggi questa mia tentazione di evidenziare le dinamiche dell’architettura: la voglia di sottolineare un’idea-progetto al di là delle sue possibilità di realizzazione. Ho visto svilupparsi relazioni e collegamenti modernisti d’impatto immaginativo, architetture e forme espresse tridimensionalmente. Mi sono collegato ad un’astratta misura di bellezza, a dei canoni che prendono in considerazione l’uomo e le sue funzioni, in rapporto al tempo in cui vive ed all’ambiente. Nelle sculture rivendico la doppia spazialità della costruzione e dell’illusione. La creta mi da la certezza visiva di avere riempito uno spazio lasciato vuoto per echi e memorie tra Pantalica e la Cappadocia.
anni sessanta, settanta e duemila
sculture
51
1970 cattedrale
52
1970 cittĂ del sole
54
2000 Pantalica
56
2000
57 Pantalica
2000 Cappadocia
58
2000
59 Cappadocia
2000 Mettere Titolo
60
2000
61 Mettere Titolo
Dopo l’iniziale periodo surrealista-metafisico e la pittura astratta, approdo alla “gestalt-art”. Cosa esprimo? Analizzo l’organizzazione percettiva dello spazio e declino, tramite la “videopittura”, messaggi virtuali, caos, ed una realtà più vera, forse, di quella che ci propone la ragione. Metto a nudo la mia vita interiore e cerco il nesso tra soggetto ed oggetto, per rintracciare strutture e forme del mondo fisico e mentale. Nei files contenuti nel catalogo, tento di evidenziare come l’oggetto intrattiene col suo contesto una “relazione tensiva fatta di forze che si attraggono e respingono formando un campo percettivo”. Teoria peraltro esemplificata dall’Arnheim con la limatura di ferro che, rivela la sua struttura, disponendosi in un certo modo, su una superficie magnetizzata. Il mio campo percettivo è legato direttamente alla teoria dei campi elettrici, magnetici e gravitazionali (Maxwell) ed alla Psicologia della Forma. Ne ricavo immagini che hanno quel sapore misterioso ed apparentemente casuale dei frattali. Colore e linea, entità formali che si frantumano e ricompongono, producono un autentico azzardo pittorico, in cui l’instabilità della forma chiusa, la geometria del movimento, sono intesi come mezzi comunicativi “media linguistici”, capaci di dialogare con il mondo contemporaneo. Un territorio sospeso, dove si muovono, tra le vibrazioni “informali” del tessuto pittorico, il colore e le memorie affioranti dal subconscio.
anni duemila
disegni gestaltici
63
nuova metropoli
64
65 città – labirinto
labirinto
66
67 amebe
cittĂ verticali
68
69 planimetrie stellari
volo sulla cittĂ
70
71 cittĂ virtuale
frattali
72
73 snodi virtuali
immagine virtuale
74
75 comete
mettere il titolo
76
77 mettere titolo
Mi sono rivolto da alcuni anni alla rappresentazione di scenari “futuribili” per il valore semantico che essi possono acquisire nello spazio geometrico dell’architettura. Ho inteso sottolineare con queste mie finzioni sceniche, un’idea di progetto aldilà delle sue reali possibilità di realizzazione. In questa epoca di sommovimenti intellettuali, “mass media, telematica, cibernetica, nanotecnologia”, le sfaccettature ideali messe in evidenza da una nuova architettura e pianificazione urbana, determinano spinte verso una produzione creativa che, allontanandosi dal trilite, inaugura il terzo millennio. A me, sposato con la professione di architetto, è parso inappagante restare vincolato alla dimensione euclidea o alla committenza. Ripartendo dalle caverne, da anni navigo verso mondi dilatati, liquefatti, luminosi, semoventi; strutture sospinte da pale invisibili che utilizzano il vento per salpare verso l’infinito-cosmo. Intravedo città orizzontali planare sulle nostre teste, lasciare tracce di fumo e suoni d’arpe eoliche. Incontro soltanto forme. Gli uomini o intere civiltà, restano ingabbiate nelle corazze di grattacieli enormi. Ho sostituito i castelli delle favole di Andersen, con le illusioni ed i fantasmi di Asimov. Una realtà virtuale che può avvincere o sconfortare, per l’ulteriore vincolo di solitudine nel quale l’uomo può infilarsi. L’uomo scompare, la musica proviene dal fragore delle turbine che i grattacieli mobili nascondono alla base. Era questo ciò che avevo sognato da bambino?
anni duemila
architettura futuribile
79
mettere titolo
migrazione
80
tubopoli
81 tra Verne ed Asimov
guerra
82
83 viaggio interstellare
mettere titolo
cittĂ semoventi
84
mettere titolo
85 cittĂ futuribili
02
“L’architetto e l’artista” di Carmelo Strano
06
“L’uomo e l’amico” di Giovanna Bongiorno
08
Disegni
11
Olii e Tempere
29
Collages
33
Sculture
51
Disegni Gestaltici
63
Architettura Futuribile
79
INDICE
86
“Arte come ripensamento” di Ugo Cantone
Grafica: Antonello Scarpulla Stampa: Punto Grafica - Palermo Finito di stampare a Febbraio 2007