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SE NE ANDATA DANIELA ZEDDA

un pescatore di perle. Capace di ascoltare musica per giorni interi, pur di arrivare preparata all’incontro. Come se tutto fosse già disegnato nella sua testa e occorreva solo aspettare l’attimo per rendere quell’immagine concreta, accessibile al mondo.

Perfezionista fino all’ossessione, nella fotografia come nella vita (i suoi ritratti del jazz sarebbero stati raccolti nel volume Solitude, con i testi di Giuseppe Videtti, Imago Mulimedia editore).

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Dai mostri sacri della musica sarebbe stato naturale per lei spostarsi nel mondo dell’arte e della letteratura, chiamata dai festival culturali sardi, prima l’Isola delle storie a Gavoi, poi Tuttestorie a Cagliari.

I suoi scatti hanno fatto il giro del mondo, raccolti nelle mostre di New York (anche nel palazzo del New York Times), di Parigi, di Praga e Budapest.

C’era qualcosa di speciale nei ritratti, non solo perché affidati alla formidabile invenzione del contesto di cui era indiscutibile regista - sempre all’ascolto dell’altro - ma anche perché erano capaci di comporre in armonia il volto più cupo e irregolare.

Non c’era scrittore, filosofo, maître à penser - anche tra i più scontrosi - che poi non le chiedesse la foto, cosa che provocava la sua compiaciuta ironia. Il segreto del talento era nella generosità che coincideva con il senso del bello.

“Quando guardo una persona osservo le linee del volto, cogliendone luci e ombre, positivi e negativo. Poi c’è tutto il resto, il modo di gesticolare, la postura, l’atteggiamento davanti alla macchina. Io aspetto l’armonia e in quel preciso istante scatto” (alcuni dei suoi ritratti sono stati raccolti nel volume Al di là del mare con testi di Maria Paola Masala).

La Sardegna è stata il fil rouge del suo lavoro, un mondo culturale e antropologico mai consegnato alla mitografia folclorica, ma sempre reinterpretato attraverso i suoi artisti più sapienti e negli ultimi tempi attraverso la ricerca creativa di Antonio Marras, a cui la legava un’amicizia profonda.

Forse non è un caso che une delle ultime opere sia stata dedicata ai centenari sardi, un omaggio al territorio e contemporaneamente una riflessione sulla vita.

C’era una domanda esistenziale da cui è scaturito il volume Senes (pubblicato da con testi di Marcello Fois), un quesito che negli ultimi anni le stava a cuore. Che cosa spinge a vivere quando si è sopravvissuti agli amici più cari, agli affetti più intimi, alla propria stessa esistenza?

Solo chi ama profondamente la vita è interessato alla risposta.

Ed è capace di tradurla in immagini sospese, quotidiane e insieme eterne.

https://www.repubblica.it/ cultura/2023/05/28/ https://www.msn. com/it-it/notizie/other/ daniela-zedda-morta-la-fotografa-degli-artisti-il-ricordo-di-beppe-severgnini-i-suoi-ritratti-specchi-onesti/ ar-AA1bNUJS news/morta_daniela_zedda_fotografa_tra_arte_e_jazz402203287/

In fondo è stato questo l’ultimo dono di Daniela Zedda.

A chi le chiedeva se avesse mai fatto foto all’insaputa dei soggetti, rispondeva: “Non esistono per me scatti rubati perché rubare è il contrario di donare”.

La fotografia come dono, l’essenza d’un lavoro interrotto troppo presto.

Simonetta Fiori

...Ci siamo conosciuti a Cagliari in occasione della presentazione di un libro, nel 1992.

Mi ha dato appuntamento il mattino dopo alla spiaggia del Poetto. Mare d’inverno e cabine.

Mi ha squadrato: «Bello non sei, ma qualcosa possiamo tirar fuori».

Mi è piaciuta dal primo minuto; e poi, quando ho visto le immagini, ancora di più.

In quelle foto c’ero io: i suoi ritratti erano specchi onesti.

Come lei.

Era dolce e polemica. Ci sono grandi fotografi che puntano sull’empatia con il soggetto — Giovanni Gastel, ad esempio.

Daniela adottava invece il modello maestra d’asilo, giusta ma inflessibile. Bisognava fidarsi di lei, punto...

Vorrei chiamarla anche stasera, da Santa Teresa di Gallura, in questa bella sera di maggio, e prenderla in giro. Non posso farlo. Devo accontentarmi di ricordare i suoi monosillabi e i suoi scatti, entrambi impeccabili. Beppe Severgnini

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