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Fotografia di Aldo Larosa

(segue dalla pagina 11)

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Aldo Larosa – Un paio di scarpe da donne, che ricordano un calice

La sua corposa produzione fotografica spazia dal minimalismo geometrico a quello astratto.

Altra peculiarità importante di tutti i suoi lavori è la totale assenza di post produzione così come oggi viene comunemente intesa.

Essa si limita infatti a pochi ritocchi circa il “taglio” da dare alla composizione in cui spesso gioca anche sul rovesciamento del soggetto ripreso.

Lo fa roteare sul suo asse orizzontale piuttosto che su quello verticale, cambiando così di fatto la sua posizione naturale.

Questo gioco, gli permette di disorientare l’osservatore spingendolo ad una lettura più accurata dell’immagine. Ha nel tempo elaborato una finissima tecnica manuale che già in fase di scatto gli permette di avere nella composizione ciò che gli serve, facendo estrema attenzione al rispetto delle linee e delle geometrie.

Questo perché come candidamente ammette, “Non so usare nessuna delle numerose funzionalità che photoshop mette a disposizione, ma se anche sapessi farlo, preferirei sempre ingegnarmi a produrre lo scatto attraverso una maggiore cura nella realizzazione della composizione piuttosto che aiutandomi con qualche software“.

Della sua fotografia, dice Maria Privitera – Docente di Storia dell’Arte – “Che piacere, che gusto scorrere i tuoi minimal, tra tanto inquinamento visivo i tuoi silenzi raccontano senza urli.” Un viaggio in un minimalismo rigoroso e severo che mi ha fatto rivivere delle bellissime sensazioni, quasi un ritorno alle origini, ad una fotografia pensata e mai improvvisata, che tiene conto delle rigide prescrizioni di un genere forse oggi alla deriva. Concludo con un pensiero di Aldo, uno di quelli che spesso gli ho sentito ripetere: “In ogni cosa che viene osservata con l’intento di fotografarla, vi è la possibilità di ottenere almeno uno scatto del genere minimalista: la capacità sta nel trovarlo”.

Luigi Coluccia https://artevitae.it/aldo-larosa-minimalismo/

I Piccolissimi Stampa ricamata (luglio 2019)

Pietrina Atzori (fiber artist)

Rosaria Straffalaci (pittrice informale)

Aldo Larosa (fotografo minimalista)

Dimensioni 13x18 cm

Pezzi numerati 18

Tecnica: fotografia, mobilart, ricamo su carta

“I Piccolissimi sono una serie di stampati ricamati che nascono da una azione artistica cpondivisa organizzata da Rosaria Straf- falaci e Pietrina Atzori attive nella ricerca della contaminazione artistica. vedi il video https://vimeo.com/350052129

In occasione della mostra “minimAldo”, tenutasi a luglio 2019. la cui fotografia minimalista di Aldo Larosa è stata protagonista, i due artisti, curatori della mostra, immaginano uno scenario installativo e in questo scenario, con il consenso e la complicità di Larosa , iniziano la loro ricerca. Dopo aver selezionato alcuni scatti minimalisti, le due artiste iniziano a interagire e ciascuna interviene con il proprio linguaggio espressivo.

Il primo livello è quello della mobileart, attraverso cui i piani minimalisti sono abitati da altre presenze, spesso il volto di una donna con richiami al mondo delle figure femminili nella pittura più nota. In una fase successiva si inserisce il linguaggio della fiberart, attraverso ricami e inserimenti tessili, a volte preposti a sottolineare passaggi visivi, altre volte in un dialogo aperto con l’immagine.

Fu in questa occasione che conobbi Aldo Larosa e rimasi affascinato dalle sue immagini, che non definirei minimalista, ma piuttosto un modo di produrre dell’astrazione con immagini di realtà figurative e che con uno zoom apparirebbero come figurative di una realtà che ci sforziamo di catturare, capire, interpretare, afferrare, proprio come la cosiddetta pittura astratta è un momento lontano dalla figurazione dell’universo che ci circonda, Ultimamente, ma è stato cinque anni fa quasi contemporaneamente all’incontro con Aldo, ho intervistato Tonino Casula, forse il più grande artista sardo vivente all’epoca, che per anni ha lavorato proprio sulla percezione visiva (nato quasi cieco ritrovò la vista a 30 anni) riuscendo fino a produrre quello che chiamava “ cinema astratto”. Infatti, immagini composte da figure geometriche di base che mi ricordano di più gli esercizi di geometria descrittiva dei miei anni all’Istituto per Geometri, che mi fanno subito pensare al pittore Cézanne e a queste semplificazioni proprio negli elementi geometrici di base del suo modo di interpretare il visibile e trascrivibile della realtà su una tela. Infine, da qualsiasi parte, vogliamo affrontare la questione di come intitolare le fotografie di Aldo Larose, trovo che siano semplicemente belle e senza chiedere aiuto a Freud, alla mitologia greca oa qualsiasi farneticazione sintagma- tica, ognuna di esse. è intrisa di grande serenità, mi fanno pensare ai pittori quali Cimabue ed anche Giotto, e sembrano dirci che alla fine non solo è tutto molto semplice, ma soprattutto bello e basta quindi prestare attenzione ai suoi scatti che ci spronano a guardarci meglio intorno e scoprire sicuramente le bellezze nascoste anche nell’allineamento di tre scope di colori diversi o dua scarpine con il tacco abbandonate su di un pavimento una sera di festa. Questa è in definitiva un’ottima notizia e una prova dell’ottimismo che ci manca terribilmente in questi tempi tristi. Aggiungo inoltre che all’occasione del vernissage Aldo ci regalò delle sue doti sconosciute a noi di fisarmonicista, interpretando liberamente qualche pezzo standard ed anche alcuni che credo di cua composizione, insomma un artista completo di cui non abbiamo ancora finito di scoprire le tante sfaccettature. Incontrarlo é stato veramente un regalo, per di più mi onorò di una delle sue fotografie che apprezzo particolarmente nella sua specifica italianità tradotta cripticamente ma facilemente comprensibile ai più.

Vittorio E.Pisu

La Biennale Venezia ha inaugurato il 20 maggio la 18ma Mostra Internazionale di Architettura.

A curarla è Lesley Lokko, a molti nota come scrittrice di romanzi, ma anche architetto e docente di architettura, nel board di importanti istituzioni oltre che fondatrice dell’African Futures Institute ad Accra, in Ghana, sua patria assieme alla Scozia.

Il suo essere è un felice melting pot che si riflette appieno nella Biennale di Venezia, dal titolo The Laboratory of the Future.

L’abbiamo incontrata.

Prima affermazione: questa Biennale di Venezia sarà un agente di cambiamento. «Non ho mai utilizzato questa espressione fino alla conferenza stampa.

Dopo un anno di dialogo con i partecipanti, in cui cercavo parole chiave e obiettivi precisi, ho capito che loro avevano l’opportunità concreta di cambiare le cose, e da qui il termine», risponde Lokko, che alla Biennale Venezia non chiama architetti gli espositori bensì “practioners”, perché lei ha invitato non solo progettisti (nomi enormi come David Adjaye, Francis Kéré, Forensic Architecture, Neri&Hu), ma anche registi come Amos Gitai, poeti come LionHeart, fotografi come James Morris, accanto a big e giovanissimi. «Innanzitutto ho sempre pensato che l’architettura sia una categoria molto vasta, la disciplina è altra cosa rispetto alla pratica.

E poi, quando scrivo un romanzo a volte mi capita di terminare un paragrafo e capire che non avrei potuto scriverlo diversamente, funziona.

Nel tempo, scrivendone altri, ho realizzato che se ho questa sensazione almeno un paio di volte nella stesura del testo significa che sto facendo un buon lavoro. Ho imparato a fidarmi del mio istinto.

Lo stesso che ho seguito per scegliere gli invitati alla Biennale di Architettura 2023, la sfida per me non è stata stilare la lista, ma accorciarla.

Sono persone in sintonia con il mio pensiero, e alla fine tra loro hanno funzionato».

È una prima volta di prime volte questa Biennale a Venezia: 63 le nazioni, 89 i partecipanti, di cui oltre la metà africani o della diaspora; in generale l’età media è 40 anni e molte sono donne; quasi la metà degli studi è composta da un singolo individuo o un piccolo team; e ci sono architetti del paesaggio, accademici, ingegneri, urbanisti, architetti e designer.

Il Padiglione Centrale ai Giardini raduna 16 studi nella sezione Force Majeure, mentre l’Arsenale ospita le Dangerous Liaisons e la sezione dei Progetti Speciali della Curatrice, che quest’anno ha ampio spazio, e ci sono poi gli Ospiti dal Futuro. Novità è anche il primo Biennale College Architettura, un programma didattico con docenti internazionali.

La Biennale Venezia ha un forte focus sull’Africa e la diaspora.

«Ci sono tante narrazioni sull’Africa, ma di cui gli africani non hanno mai avuto pieno controllo.

Ho voluto dare loro voce, consapevole che parlare della tua cultura in un Paese straniero influenza anche te stesso, è un’occasione di cambiamento per te e chi ti ascolta.

È anche un modo di normalizzare la visione: se ci si aspettano rivelazioni non si capisce che queste persone sono architetti e progettisti come tutti gli altri. Ho chiesto a tutti autenticità. Di riconoscere l’opportunità e la responsabilità che hanno a essere qui», dice Lokko Decarbonizzazione e decolonizzazione – ambientale ma anche culturale – sono i temi principali di riflessione dichiarati dalla Biennale di Venezia, che Lokko ha invitato ad affrontare con uno

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