VENETO MAGAZINE

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Marchio Turistico Regionale per l’Italia

VenetoMagazine N. 1 /2019 III° anno

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Marchio turistico Regionale per il Mercato Estero

MAGAZINE

© Antonino Firriolo

R i v i s t a t r i m e s t r a l e d i s t r i b u i t a i n a b b o n a m e n t o e n e l l e p r i n c i p a l i l i b r e r i e e d e d i c o l e d e l l e c i t t à v e n e t e - w w w. v e n e t o m a g a z i n e . o r g

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PALLADIO E LE VILLE VENETE Andrea Palladio (1508 - 1580) è considerato in tutto il mondo il genio dell’architettura che per primo ha codificato quei principi progettuali e costruttivi fondamentali per esercitare la professione di architetto. Nel corso della sua straordinaria carriera, Palladio ha materializzato nelle sue opere l’evoluzione del pensiero creativo-razionale che matura nelle terre venete durante il Cinquecento, soprattutto nel campo della produzione e commercializzazione della seta. Le opere di Palladio hanno favorito infatti lo sviluppo di quella mentalità cosmopolita che divenne il segno inconfondibile della repubblica veneziana in tutta Europa. La fortuna editoriale dei IV libri dell’architettura hanno reso Palladio celebre in tre continenti. Tramite Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti, le opere dell’architetto veneto sono diventate il modello di riferimento dell’architettura americana perchè stabilivano relazioni sociali fondate sulle regole dell’armonia, della bellezza e della funzionalità in grado di suscitare quel principio di rispetto democratico e di giustizia etica che si era concretizzato felicemente durante la grande epopea della Serenissima di Venezia.

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N.1/2019

VENETOMAGAZINE VENETOMAGAZINE è una rivista distribuita prevalentemente ai soci abbonati.

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VenetoVogue N.4 /2017 Amare e vivere il Veneto Il suo passato e il suo futuro

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SOMMARIO

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VOGUE

VENETOMAGAZINE Trimestrale di storia, cultura ed eventi del Veneto n 1/2019 - Gennaio

EDITORIALE Il mercante di Venezia e la lotta all’usura

_storia

© Marco Gnata

Tr i m e s t r a l e d i s t o r i a _ a r t e _ c u l t u r a _ b e l l e z z a d e l Ve n e t o - a b b o n a m e n t o a n n u a l e e u r o 2 0 - u n a c o p i a e u r o 1 0 , 0 0

VenetoVogue N.3/2017 Amare e vivere il Veneto Il suo passato e il suo futuro

VENETO VOGUE

DIRETTORE Davide Lovat

COSTUME E SOCIETA’ di Davide Lovat - Origine del sistema bancario - La presenza ebraica - Il Capodanno Veneto e il santuario di Motta di Livenza

COLLABORATORI Maila Bertoli Ettore Beggiato Martina Lovato Valentina Casarotto Biblioteca Bertoliana

VICENDE STORICHE di Ettore Beggiato - L’eremo di Monte Rua Da Napoleone ai Savoia - La chiesa della Salute Ritorni il leone di San Marco

FOTOGRAFI Maila Bertoli Antonino Firriolo Stefano Maruzzo Matteo Mammato Leo Maria Scordo In copertina Lago Misurina di Antonino Firriolo

_cultura V E N E T O V O G U E : R I V I S TA D I S T R I B U I TA A I S O C I S U A B B O N A M E N T O Fotografia di Massimo Calmonte

4 NUMERI € 20,00

In libreria una copia € 10,00

TRADIZIONI PADOVANE L’arrivo dei Magi al Santo

La rivista ha unicamente finalità culturali no-profit.

STORIE CULINARIE La storia del Baccalà

Le collaborazioni editoriali e fotografiche non sono retribuite.

ASSOCIAZIONI CULTURALI Incant’Arte in Lingua veneta

Laddove non sia sia stato possibile rintracciare i detentori del copyright, l’Associazione editrice si scusa e rimane a disposizione per inserire le dovute indicazioni in tutte le ristampe successive alla presente edizione I testi e il materiale fotografico presente in questo numero forniti dai collaboratori rimane di loro esclusiva proprietà. Divieto di riproduzione.

L’UMANESIMO VENETO Lovato de’ Lovati IL CERTIFICATO DI RADICAMENTO Nasest in Veneto PERSONAGGI STORICI Bartolomeo Ferracina

_eventi

ASSOCIAZIONE CULTURALE

ABBONAMENTO ANNUALE SOCIO ORDINARIO: 4 numeri - euro 25,00 ABBONAMENTO ANNUALE SOCIO SOSTENITORE: 4 numeri - euro 50,00 ABBONAMENTO ANNUALE CUMULATIVO PER ASSOCIAZIONI: 3 abbonamenti - euro 40,00 GUIDA DISCOVER PALLADIO euro 15,00 Ai soci sostenitori in omaggio la Guida Discover Palladio Ai soci ordinari le guida è a metà prezzo

PER ABBONARSI VenetoMagazine bonifico intestato Ass. VIVI VICENZA IBAN IT03 X030 6911 8941 0000 0003749 ARRETRATI € 5.00 cad. CONTATTI ass.vivivicenza@gmail.com

IL TRIONFO DEL COLORE Museo Chiericati Vicenza di Valentina Casarotto

VIVI VICENZA

PREISTORIA DEI COLLI BERICI Orsi & uomini Museo Archeologico Naturalistico di Vicenza

Associazione Editrice Corso Palladio, 179 36100 Vicenza ass.vivivicenza@gmail.com tel. +39 04444.327976

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VALORIVENETI

VENETOMAGAZINE EDITORIALE DI DAVIDE LOVAT - Direttore della rivista

IL MERCANTE DI VENEZIA E LA LOTTA ALL’USURA

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on lo spunto dato da “Il mercante di Venezia”, di cui riportiamo l’avvincente trama nelle pagine successive, si chiude il ciclo dei 4 numeri annuali del 2019 ispirati dalle opere di William Shakespeare e ambientate sul nostro territorio. Personalmente questa è quella che amo di più per la ricchezza di contenuti e di risvolti storici o sociali che ancora conservano una piena attualità ai giorni nostri. Ambientata nel XVI secolo, essa si svolge in un contesto di imprenditoria mercantile tipicamente veneziana e veneta; legata al problema del credito finanziario, necessario per il commercio internazionale ieri come oggi, essa presenta tematiche legate alla presenza delle comunità ebraiche nel nostro territorio, ancor oggi così vitali nelle città di Venezia, Padova e Verona, offre lo spunto per ragionamenti sul tema della finanza etica che in quel tempo fu affrontato in Veneto in anticipo rispetto a tutto il mondo - come vedremo all’interno del presente numero con l’articolo sui Monti di Pietà -, su quello dell’integrazione sociale, o della globalizzazione che Venezia visse ante litteram nei secoli della sua maggiore gloria, piuttosto che su quello della varianza che l’elemento fortuito ha nell’esistenza di ciascuno, a prescindere dalla sua capacità di dirigere il proprio destino. Tanti spunti di riflessione che troveranno compimento all’interno di questo primo del 2019 dela rivista che per ragioni organizzative e con la speranza di un salto di qualità importante, “la rivista che fa conoscere il Veneto ai Veneti” ha cambiato nome con l’anno nuovo e non mancherà il modo di darne debita informazione a tutti coloro che, per bontà verso la nostra iniziativa, vorranno rinnovarci l’amicizia e diffondere la nostra conoscenza presso gli amici.

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Per invogliarli in questa direzione, in questo numero ci saranno anche un articolo sulla bella iniziativa del Sindaco di Santa Lucia di Piave nominata “Nasest in Veneto”, uno sull’episodio dell’apparizione mariana a Motta di Livenza legata alla tradizione del “Cao de Ano” che in Veneto si celebra a Marzo, e pertanto si parlerà anche di un bel calendario “more veneto” (secondo il costume veneto, ndr) disponibile per gli interessati. Non mancheranno infine dei riferimenti alle zone colpite dal disastro climatico, il Cadore in particolare, per ricordare che c’è una cultura di primissimo e altissimo livello che scaturisce da quei boschi violentati dal vento, una cultura che permetterà la rinascita delle comunità e del patrimonio boschivo e faunistico. Nella speranza di poter proseguire a lungo con la diffusione della conoscenza della nostra Patria presso il popolo di cui siamo componenti, voglio ricordare a tutti un concetto di cui sono padre, generato nel pieno della catastrofe ambientale che ha colpito duramente, tra gli altri, anche la mia natìa Feltre, come il mio paese materno Zorzoi di Sovramonte, un concetto del quale molti si sono appropriati nei social subito dopo che io lo ho scritto e pubblicato sul mio profilo Facebook, accompagnato dalla foto simbolica del Doge di Venezia inchinato davanti al Leone di San Marco: “I Veneti si inginocchiano solo quando pregano”, e vorrei che l’accento cadesse sia sulla dignità di chi tiene sempre la schiena dritta nelle avversità che sull’importanza fondamentale della preghiera in ginocchio. Augurando sento di dover scrivere come ultime parole quelle stesse che affiorarono in punto di morte, sotto tortura, sulle labbra del più grande eroe della nostra Storia, Marcantonio Bragadin: “Viva San Marco”! Davide Lovat


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VENETOMAGAZINE COSTUME & SOCIETA’ di Davide Lovat

© Saverio Bortolamei

L’ORIGINE DEL SISTEMA BANCARIO NELLE TERRE VENETE Il problema del credito non ha colpito in maniera pesante la nostra terra veneta solo in questi ultimi anni, con le note tristi vicende dei crac bancari e dei risparmiatori colpiti nei loro risparmi. In una zona caratterizzata da sempre dal suo spirito produttivo e imprenditoriale, l’accesso a strumenti che agevolassero il risparmio, il credito e la circolazione del denaro è da sempre un tema di grande importanza, al punto che noi Veneti siamo stati degli innovatori per il mondo intero in questo campo. Tra le innovazioni di maggior peso, per l’impatto sociale che ebbero estendendo l’accesso al credito anche a fasce della popolazione che prima erano escluse e dovevano perciò far ricorso agli usurai, vi fu l’istituzione dei Monti di Pietà.

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l problema dell’usura era molto sentito nel Medioevo, basti pensare alla figura di Sant’Antonio da Padova che già nel Duecento si scagliava contro chi si arricchiva con questa pratica moralmente illecita. Dovettero tuttavia passare oltre due secoli perché si trovasse il modo di aggirare il divieto veterotestamentario biblico di prestare denaro a fronte di un interesse, e di farlo in maniera considerata moralmente lecita. Ciò avvenne grazie ad alcuni frati che non si accontentarono di predicare contro l’usura e a condannarla moralmente, ma escogitarono una maniera di emettere dei prestiti a interessi contenuti, rispetto all’uso comune che si attestava

come minimo sul 20% annuo, in modo che ci fosse anche una soluzione lecita alternativa alla condanna della pratica illecita. Tra essi spicca la figura di San Bernardino da Feltre, frate predicatore instancabile, ritenuto a buon diritto come l’istitutore dei Monti di Pietà (al secolo Martino Tomitano), che creò i Monti di Mantova nel 1484, di Padova nel 1491, di Crema e di Pavia nel 1493, di Montagnana e Monselice nel 1494. Nel 1463 fu fondato il Monte di Pietà a Orvieto, nel 1471 a Viterbo, nel 1472 a Siena, nel 1473 a Bologna, nel 1479 a Savona, nel 1483 a Milano e Genova, nel 1484 a Mantova, Assisi, a Brescia e Ferrara, nel 1486 a Vicenza, nel 1490 a Verona.

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VENETOMAGAZINE L’ORIGINE DEL SISTEMA BANCARIO

© Ricccardo Contarin

SAN BERNARDINO DA FELTRE etto comunemente Bernardino da Feltre dalla città dove vide la luce nel 1439, primogenito del nobile e facoltoso Donato Tomitano e di Corona Rambaldoni, cugina del celebre educatore Vittorino, il beato fu battezzato col nome di Martino. Assunse quello di Bernardino in onore dell’apostolo senese, di cui rinnovò la prodigiosa attività di predicatore, entrando il 14 maggio 1456, a Padova, tra i Frati Minori Osservanti della provincia veneta. Fanciullo d’ingegno precoce, avido di letture, fece rapidi progressi negli studi umanistici, tanto che a undici anni leggeva e parlava il latino con facilità.

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Gli furono maestri il Guarino Veronese, Damiano da Pola e Giacomo da Milano. Studente di diritto a Padova, era ammirato da tutti per la serietà della condotta e l’intelligenza. Già aveva interpretato come segni ammonitori del cielo la morte repentina e immatura di tre suoi professori universitari, Zaccaria Pozzo, il Romanello e Giacomo de’ Zocchi, dai quali il giovane Martino era singolarmente amato, quando predicò nella città il francescano Giacomo della Marca, discepolo di Bernardino da Siena. La sua parola finì per convincerlo e Bernardino prese l’abito dei Minori, compiendo un rigoroso noviziato nel piccolo convento di S. Orsola, fuori le mura della città. Invano il padre andò a trovarlo per distoglierlo dal proposito: Bernardi-

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no, infatti, lo persuase che quella era la sua vocazione. Finito il corso di teologia a Venezia, fu ordinato sacerdote nel 1463. Dopo aver insegnato grammatica per alcuni anni, il capitolo provinciale veneto lo nominò predicatore. Da quell’anno (1469) fino alla morte non cessò di predicare e percorse l’Italia centro-settentrionale (come limiti geografici si possono segnare approssimativamente Trento-Milano e L’Aquila-Roma) molte volte, a piedi scalzi, trovandosi spesso in frangenti difficili per le avverse condizioni atmosferiche, la fame, i pericoli di guerre, le espulsioni da parte di principi, l’odio degli usurai e degli ebrei, e perfino per l’indiscreto zelo di devoti, che minacciavano di calpestarlo quando non era protetto da armigeri.


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VENETOMAGAZINE COSTUME & SOCIETA’ Bernardino tenne ventitré Quaresime, cioè una ogni anno, a partire dal 1470, eccetto il 1472 (era infermo). Stupiva i contemporanei che un uomo così fragile come Bernardino potesse avere tanta resistenza agli strapazzi: egli era di statura esigua, amava firmarsi nelle lettere piccolino, di salute delicata, spesso ammalato e minato dalla tisi che lo condusse a morte. Le sue prediche attiravano uditori senza numero e se lo contendevano le città più illustri, ricorrendo anche al papa per averlo. Qualcosa di certo sul modo e sui temi della sua predicazione si può ricavare dal quaresimale di Padova del 1493 e dall’Avvento di Brescia dello stesso anno, conservatici dal francescano Bulgarino, che fu suo compagno. Bernardino è parlatore vivo: come Bernardino da Siena, dialoga col popolo, racconta spigliatamente, lancia argute sferzate che vanno al segno. Lotta contro gli sfacciati costumi delle donne, le ingiustizie legali, le usure; esorta ai Sacramenti, alla devozione alla Madonna (della quale difende apertamente l’immacolato concepimento), all’amore per il prossimo, specialmente verso i poveri indifesi. Promotore dei Monti di Pietà (ne aprì a Mantova nel 1484, a Padova nel 1491, a Crema e Pavia nel 1493, a Montagnana e Monselice nel 1494), nonostante la forte opposizione della maggior parte dei suoi confratelli, sostenne, da esperta giurista, che era lecito esigere il pagamento di un modesto interesse sul mutuo, necessario al funzionamento della organizzazione bancaria. Contro l’usura fu inflessibile. Una grave lotta sostenne a Trento nel 1476 quando accusò gli ebrei di strozzinaggio e al fondo della sua drammatica cacciata da Firenze, in una notte della Quaresima del 1488, ci fu il risentimento della Signoria contro quel frate, debole di corpo ma coraggioso d’animo, che aveva denunziato le angherie fatte alla povera gente da prestatori senza coscienza. In nessun caso Bernardino fuggì le responsabilità del suo ministero: fu cacciato da Milano dal duca Ludovico il Moro (1491) perché aveva confutato in pubblico dibattito un astrologo, favorito del principe. A Padova, durante la peste del 1478, continuò a predicare, sebbene ne fosse più volte sconsigliato, perché nell’assembramento della gente poteva più facilmente propagarsi il contagio; egli invece mirava a rincuorare tutti, a spronare i sani affinché si dedicassero alla cura degli ammalati, dando egli stesso l’esempio negli ospedali, nelle case private, fino ad essere contagiato dal male. Vicario provinciale dei Minori osservanti veneti al tempo dell’interdetto lanciato dal papa Sisto IV contro la Repubblica (1483), pur dolendosi dell’infelice sorte spirituale della patria, obbedì al Sommo Pontefice e comandò a tutti i frati dipendenti di lasciare i conventi, provvedendo però a farne rimanere qualcuno per l’indispensabile servizio religioso. Per questo ebbe l’esilio perpetuo dal doge, come ribelle, con un decreto, revocato peraltro nel 1487. Bernardino incontrò sereno la morte a Pavia il 28 settembre1494, avendo interrotto pochi giorni prima del trapasso la predicazione, a causa dell’aggravarsi del male. Venerato subito dal popolo, il suo culto fu confermato nel 1654 per l’Ordine francescano e le diocesi di Feltre e Pavia. I Minori ne celebrano la festa il 28 settembre.

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VENETOMAGAZINE L’ORIGINE DEL SISTEMA BANCARIO

I MONTI DI PIETA’ Da un punto di vista storico, i Monti di Pietà possono essere inquadrati nella tradizione delle fondazioni religiose cristiane nel Medioevo che, attraverso gli ordini militari (in primo luogo i Templari), non soltanto avevano sperimentato una inedita combinazione di vita religiosa e azioni civili e militari, ma avevano avviato la prima attività bancaria dell’Occidente. I Templari, i Cavalieri Teutonici, e diversi altri ordini, infatti, non avevano soltanto combattuto tenacemente contro i musulmani, ma anche fornito servizi finanziari efficienti e capillari, inizialmente rivolti ai pellegrini in viaggio verso la Terrasanta e poi estesi a tutta l’Europa, erogando crediti ed impiegando il plusvalore delle loro attività economiche per finanziare gli avamposti combattenti e per il soccorso agli indigenti. Sotto l’aspetto economico-finanziario, i Templari costituirono una estesa rete finanziaria e, grazie anche ai privilegi concessi dal papa, arrivarono a rivestire un ruolo di tale importanza da prestare agli Stati europei ingenti somme di denaro e gestire perfino le finanze di Stati come la Francia. Nonostante fossero animati da intenti nobili e facessero un uso oculato delle ingenti ricchezze accumulate, senza perseguire scopi personali, questi ordini monastico-cavallereschi erano comunque divenuti assai potenti ed erano malvisti da alcuni settori della popolazione, anche per il problema morale posto dalla richiesta di pagamento dei servizi. Forse anche per questo quasi nessun operatore cristiano li aveva sostituiti, lasciando campo aperto ai banchieri ebrei e a veri e propri usurai. A differenza degli ordini monastici e cavallereschi, tra il XII e il XIII secolo nacquero e si diffusero nella cristianità latina gli Ordini mendicanti, il cui voto di povertà non era solo individuale (come per i Templari), ma valeva anche per i conventi e l’Ordine stesso: quanto necessario per la sussistenza doveva essere frutto o del lavoro dei frati, o di elemosine. Questi nuovi Ordini ben presto si posero il problema dei servizi di credito, sia per ampliare le possibilità di soccorso dei poveri, sia come alternativa ai prestiti ad interesse dei banchieri ebrei. Per rispondere a queste istanze, i Francescani Osservanti, prendendo spunto dagli stessi banchi ebraici e con l’intento di soppiantarli, avviarono attività creditizie operanti con fini solidaristici e soprattutto senza scopo di lucro: i Monti di Pietà. Fino al Medioevo centrale ogni forma di arricchimento basata sul far circolare denaro a interesse era stata bollata come usura; la lezione del grande intellettuale Pietro di Giovanni Olivi aveva però avviato una nuova riflessione sul denaro (testi Sull’usura, Sulle vendite): le riflessioni del francescano occitano sul denaro erano assai spregiudicate, soprattutto se si pensa che l’Olivi era uno strenuo sostenitore della povertà (ma, si noti, soltanto della povertà “volontaria” nella Chiesa). Agli inizi del Trecento veniva così delineato in un modo nuovo il discrimine tra usura e giusto interesse nel prestare denaro. Fu a questo punto che cominciò a nascere una nuova razionalità economica.

feroce condanna dell’usuraio (che nelle prediche si identificava con l’ebreo): un punto di forza degli osservanti fu proprio questa loro alleanza con il nuovo ceto emergente della borghesia. Esattamente in questo periodo, tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, cambiò il rapporto con gli Ebrei e incominciò una nuova ondata, forte e violenta, di antigiudaismo: episodi di violenza scoppiavano in occasione del Natale, della festa di Santo Stefano, della Pasqua, e soprattutto in connessione con campagne di predicazione dei frati minori o dei domenicani. Gli osservanti (per esempio il domenicano Vincenzo Ferrer), all’arrivo in una città o in una regione, insistevano perché negli statuti fossero inserite norme per limitare l’attività degli Ebrei (in Savoia nel 1403, a Cuneo poco dopo, etc.): imposizione del segno distintivo, limitazione della libertà di insediamento e di movimento nella città. È così che, giunti alla seconda metà del XV secolo, le campagne di predicazione degli osservanti contro la ricchezza degli Ebrei si tradussero in un’azione concreta: l’istituzione dei Monti di pietà. Il principio del Monte di Pietà era l’asta. Fino ad un certo punto, il Monte di Pietà funzionava come un banco ebraico: concedeva piccolo credito su pegno; ma se il debitore non riusciva a saldare il debito, il pegno doveva essere messo all’asta in città, non venire rivenduto altrove. In questo modo il bene restava all’interno della comunità, che così - nel suo complesso - non si impoveriva. La questione dell’interesse Quando i Monti di Pietà furono istituiti, molto acceso fu il dibattito sulla liceità dell’imposizione di un tasso di interesse. Alcuni (sulla scorta, per esempio, di Tommaso d’Aquino) consideravano infatti inammissibile l’interesse, in quanto vietato dalla morale cristiana (Cfr. Lc 6,34-35); fu proprio per questo motivo che gli Ebrei, ai quali erano state vietate tutte le attività professionali che facevano capo alle corporazioni, avevano sviluppato l’attività finanziaria prima dei cristiani, i quali, pur sfruttando questo loro servizio, continuavano a considerarli avidi e strozzini. Alla fine, comunque, nei Monti di Pietà furono ammessi tassi oscillanti tra il 6 ed il 10%, considerati una forma di protezione contro le insolvenze, così da consentire la sopravvivenza del Monte stesso ed un autofinanziamento utile per ampliarne le possibilità di soccorso (in sostanza, l’interesse non era un “costo del denaro” prestato, ma un “costo del servizio” operato dal Monte, con una giustificazione etica molto simile a quella che ispira anche la finanza islamica).

IL MONTE DI PIETA’ DI VICENZA Nelle immagini vediamo la prima sede storica del Monte di Pietà di Vicenza, in Piazza dei Signori, che san Bernardino da Feltre risollevò dopo un inizio fallimentare e trasformò in un efficiente centro di diffusione del credito in città, determinando un sensibile incremento della crescita economica e produttiva del capoluogo berico.

Nel Quattrocento si ritrova così, nei predicatori osservanti, una valorizzazione del mercante-banchiere e insieme una

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VENETOMAGAZINE Articolo di DAVIDE LOVAT

LA PRESENZA EBRAICA IN VENETO

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ome abbiamo visto, in questo numero fin dall’editoriale si parla della presenza ebraica in Veneto. Una presenza operosa, discreta, significativa, che dura da secoli e che non è da tutti conosciuta. Abbiamo pertanto pensato di darne conto con un articolo appositamente dedicato a questa realtà che arricchisce culturalmente la nostra amata patria. Sul territorio della regione Veneto sono presenti 3 delle 21 Comunità Ebraiche aderenti all’UCEI (Unione Comunità Ebraiche d’Italia) e di tratta di 3 comunità storiche di grande rilevanza storica: sono quelle delle città di Venezia, Padova e Verona. (nella foto, Sinagoga di Verona La presenza di comunità ebraiche in Veneto si attesta fin dal X secolo, ma è a partire dal Trecento a Padova e soprattutto dal Cinquecento a Venezia che la presenza diventa stabile e organizzata. A Venezia prende vita il Ghetto, come quartiere di residenza concentrata della popolazione israelita, e tale modalità verrà estesa anche alle città di Padova e Verona nel periodo di dominazione della Repubblica Serenissima, durato per 4 secoli da inizio XV secolo fino a tutto il XVIII secolo. Gli ebrei erano utili per il fatto che non avevano remore nell’esercizio dell’attività del prestito a interesse, cosa che invece veniva condannata come usura nel mondo cristiano. In una Repubblica dove l’attività finanziaria era di fondamentale supporto per quelle commerciali e imprenditoriali, come la Serenissima, la figura del prestatore di denaro era necessaria nonostante lo stigma sociale che l’accompagnava. Agli ebrei venivano impedite quasi tutte le attività lavorative, eccezion fatta per l’attività di usuraio, di mercante di tessuti (“el strazzer”), quello di medico e quello di rigattiere o “robivecchi”. Essi erano obbligati a indossare un distintivo nell’abbigliamento (un simbolo cucito sul vestito o un berretto di colore giallo) e all’obbligo di dimora notturno all’interno dei cancelli che nottetempo chiudevano il quartiere ebraico, ma per gli standard dell’epoca bisogna dire che la presenza ebraica era, al netto delle reciproche diffidenze, meglio tollerata nella Repubblica Serenissima che altrove in Europa.

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La libertà di stampa che caratterizzava la Repubblica diede inoltre impulso alla realizzazione di importanti edizioni del Talmud e della letteratura cabalistica, che rappresentano tratti irrinunciabili e fondamentali dell’ebraismo post biblico, fornendo anche qualche nuovo sbocco professionale agli ebrei rispetto alle restrizioni normative vigenti. (nella foto, una copia del Talmud) In seno alle comunità fiorirono importanti sinagoghe e non mancò la presenza di dotti rabbini provenienti dall’Europa per insegnare e risiedere in luoghi dove potevano trovare accoglienza e apprezzamento. Le comunità cittadine arrivarono a contare diverse centinaia di persone, a Padova nel Seicento si raggiunse la cifra record di 1400 membri registrati nella comunità che fu quella maggiormente integrata dal punto di vista culturale, grazie anche alla presenza dell’Università che ammetteva volentieri alla Facoltà di Medicina i giovani ebrei desiderosi di intraprendere quella carriera; ma non mancarono scambi fecondi anche in materie umanistiche, seppure con le limitazioni dovute alla mentalità dell’epoca. In seguito alla Rivoluzione Francese, che travolse l’Antico Regime, gli ebrei furono emancipati dai ghetti e divennero cittadini come gli altri; oggi la loro religione è tra i culti costituzionalmente riconosciuti e ammessi a godere dell’8 per mille delle imposte su indicazione volontaria nella Dichiarazione dei Redditi, in base all’art.8 della Costituzione Italiana e alle leggi che ne regolamentano i rapporti con lo Stato. Le 3 comunità continuano tutt’oggi, discretamente, a svolgere un’importante funzione sociale rivolta ai loro membri e una costante attività culturale di particolare pregio, aperta talvolta anche al dialogo e allo scambio con gli appartenenti al resto della società. (nella foto, Museo Ebraico di Venezia)


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VENETOMAGAZINE Articolo di DAVIDE LOVAT

IL CAPODANNO VENETO E IL SANTUARIO DI MOTTA DI LIVENZA

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l 9 Marzo 1510 è il giorno indimenticabile in cui la Madre di Dio si degnò di visitare la fortunata terra di Motta di Livenza, consacrandola con la Sua misericordiosa APPARIZIONE. La creatura privilegiata alla quale si manifestò la Vergine Maria era un pio vecchietto di 79 anni, Giovanni Cigana, padre di 6 figli educati al cristianesimo e alla buona creanza che da 20 anni recitava ogni giorno il S. Rosario e si inginocchiava volentieri davanti a un «Capitello» della Madonna, posto all’incrocio delle strade per Motta, Oderzo e Redigole. Anche quel mattino del 9 Marzo il Cigana, andando a lavorare, si fermò lì a pregare: recitò 7 Pater noster e 7 Ave Maria, e poi riprese il cammino. Ma si arrestò ben presto, colpito da una meravigliosa visione: seduta tranquillamente sul verde grano di un campo, c’era una giovinetta bellissima, biancovestita. Tra il vecchio stupito e la misteriosa fanciulla, si svolse un dialogo semplice e cordiale. Il vecchio le si rivolse con la sua naturale gentilezza, in veneto, dicendole: “Dio ve dia el bon dì”; la misteriosa fanciulla rispose: “Bon dì e bon ano, homo da ben”. Motta di Livenza era infatti parte della Repubblica di Venezia fin dal 1291, tanto da essere

chiamata “Figlia primogenita della Repubblica”, e l’usanza veneta era di celebrare l’inizio dell’anno al 1° marzo come nell’uso antico; per questo motivo all’uomo fu rivolto questo augurio particolare. Il colloquio prosegue poi con toni familiari e la fanciulla rassicurò l’anziano circa la soluzione di alcune incombenze quotidiane che lo tenevano in ansia, legate al lavoro dei campi; poi, quando il Cigana capì il mistero di quella apparizione, cadde in ginocchio, come fulminato dalla quasi incredibile realtà che gli stava davanti: era la Madre di Dio. Ci fu un minuto di silenzio. Quindi nell’aria fresca del mattino risonò la voce della Madonna, limpida più che un cielo sereno, ma insieme piena di mestizia e di pietà. CHE COSA DISSE LA MADONNA? Ordinò al Cigana di digiunare con la famiglia per 3 Sabati e di predicare il digiuno e la penitenza a tutta la gente di Motta e delle città e borgate della terra trevisana: chi avesse digiunato con vero pentimento, avrebbe ottenuto misericordia e perdono dal Signore, sdegnato per i troppi peccati del popolo. Per lasciare poi un ricordo incancellabile della Sua Apparizione nella prediletta terra di Motta,

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la Vergine ordinò che in quel luogo venisse costruita una chiesa. Se l’apparizione della Madonna riempì di commozione il cuore del Cigana, gli impegni che gli vennero dati lo spaventarono e, con tanta umiltà esclamò “Madonna mia, nessuno mi vorrà credere né prestare fede”. Ma l’Apparizione lo assicura “Questa sera stessa darò nel sole un segno straordinario che serva ad autenticare le tue parole”. Rientrato in casa, il Cigana annunciò ai familiari ed ai conoscenti la visione avuta, le richieste della Madonna e soprattutto il segno promesso a conferma dell’apparizione avvenuta. Verso il tramonto di quello stesso giorno, 9 marzo 1510, il sole dopo essere stato quasi nascosto per un’ora dalle nubi, apparve di un rosso così vivo che sembrò uscire da un bagno di sangue. La devozione verso la Madonna, già grande nel cuore del Cigana, esplose e si diffuse: a tutti parlò della visione avuta, ma soprattutto delle richieste della Vergine riguardanti il digiuno dei tre sabati consecutivi, per ottenere perdono dei peccati e misericordia da Dio, e la costruzione della piccola chiesa.


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VENETOMAGAZINE COSTUME & SOCIETA’ Gli abitanti di Motta e dei paesi vicini, già spaventati dallo spettro dell’epidemia di peste che da parecchi anni infieriva nella zona mietendo numerose vittime, e dalla minaccia di continue guerre sempre incombenti, accolsero con entusiasmo le parole del Cigana ed eseguirono le richieste della Madonna. L’entusiasmo crebbe oltre ogni misura, le grazie si moltiplicarono; in pochi giorni fu costruita in legno la piccola Chiesa. Sul luogo dell’Apparizione del 9 Marzo cominciarono subito ad accorrere devoti pellegrini, che affermavano di aver ricevuto grazie e miracoli. Allora intervenne l’Autorità Ecclesiastica che, nel Maggio 1510, istituì il Processo Canonico sui fatti dell’Apparizione e ne riconobbe la verità tramite un regolare processo canonico; l’originale del Verbale si trova nella Biblioteca Comunale di Treviso. Numerose sono le testimonianze rese dalle persone interessate dei fatti ed oggetto di grazie ottenute per intercessione della Madonna. L’ultima testimonianza, resa il 13 maggio del medesimo anno, è quella del Podestà di Motta, Girolamo Venier, scritta di suo pugno. In essa il Venier dichiara che, dopo aver sofferto per quattro anni una dolorosa malattia ed aver esperimentato ogni genere di medicina, dopo la promessa fatta alla Madonna di contribuire alla costruzione della Chiesa nel luogo dell’apparizione, rimase completamente libero da ogni infermità. La primitiva chiesetta in legno fu ben presto sostituita con l’attuale grandioso tempio, costruito sotto la direzione del francescano P. Francesco Zorzi da Venezia. Un’antica tradizione attribuiva il disegno del Santuario a Jacopo Sansovino. La chiesa fu consacrata la prima domenica di Settembre del 1513. Più volte, dopo le frequenti pestilenze, fu imbiancata per ragioni igieniche, e andarono così rovinati preziosi affreschi, tra cui parecchi del Pordenone. Nel 1713 la chiesa subì una notevole deformazione secondo i gusti barocchi del tempo, ma fu riportata all’armonia delle sue forme originali nel 1891. Nel 1875 il Santuario ebbe il titolo di Basilica Minore e nel 1877 fu dichiarato Monumento Nazionale. All’esterno, la Basilica si presenta in un insieme di linee e forme semplici e armoniche. La facciata sale dolcemente dagli archi del chiostro in segmenti curvilinei, fino al timpano a mezzaluna, sormontato dalla statua della Madonna. Altre 4 statue ornano la facciata, e sono: S. Francesco e S. Antonio, S. Chiara e S. Augusta.

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L’EREMO DI MONTE RUA NEGLI EUGANEI

© Stefano Maruzzo

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VENETOMAGAZINE Articolo di ETTORE BEGGIATO

DA NAPOLEONE BONAPARTE AI SAVOIA

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el cuore dei Colli Euganei, a pochi passo dall’abitato di Torreglia troviamo il Monte Rua, di origine vulcanica, alto 415 metri. Proprio sulla sommità del monte, nel 1573 è stato fondato l’eremo della “Congregazione degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona” come recita il nome ufficiale. Nell’eremo è in vigore la clausura monastica ed è aperto ai soli uomini due volte alla settimana al giovedì e alla domenica dalle 14.30 alle 16.00; e così ho pensato bene di fare una visita. Ero da solo e quindi ho potuto conversare con il padre che mi accompagnava senza problemi di sorta: mi ha fatto vedere la chiesa e la cella nella quale i monaci passano buona parte della loro giornata con la sveglia alle ore 3.40 (tre e quaranta) … Alla fine siamo passati per una piccola stanza dove c’era la possibilità di acquistare amari, miele e qualche libro; naturalmente ho preso il volumetto “Monte Rua. L’eremo e gli eremiti. Cenni di storia e di spiritualità”, una cinquantina di pagine veramente interessanti Nella storia dell’eremo ci sono due momenti particolarmente tragici: il primo quando arrivò Napoleone, il secondo, quando arrivò il Regno d’Italia. Testuale: “…Ancora un ventennio e l’uragano napoleonico si abbatterà anche sulla Chiesa italiana. Napoleone, con il decreto del 28 aprile 1810, soppresse gli ordini monastici. D’un sol colpo si cercò di cancellare una realtà esistente da secoli. Anche gli eremi veneti Montecoronesi furono spazzati via. I monaci, che da trecento anni abitavano l’Eremo di Monte Rua, dovettero andarsene, e la proprietà passò al Demanio. Furono portate via tutte le opere d’arte e tutta la biblioteca. Dal 1810 al 1863 l’eremo fu preso in affitto da numerose persone: alcune ne ebbero una qualche cura, altre lo lasciarono andare quasi in rovina. Nel 1861 fu soppresso l’Eremo di Montecorona. A ordinare la chiusura fu un decreto del Commissario Regio per l’Umbria. Si era nel duro clima anticlericale dell’epoca, quando la massoneria italiana dirigeva la politica e lo stato faceva pesare la mano sui religiosi, perché come disse Camillo Cavour al Superiore di Montecorona, che voleva trattare la questione, “i Religiosi erano troppi e non volevano camminare col secolo”. …Venne il tempo in cui i monaci si accinsero alla pacifica riconquista di Monte Rua. Poiché il Veneto apparteneva al regno austriaco, non ci furono difficoltà a rientrare in possesso dell’eremo. Il monaco padre Emiliano acquistò l’Eremo per una somma superiore agli 8000 fiorini. L’otto dicembre 1863 un piccolo gruppo di eremiti prese possesso dell’eremo. Grande era la gioia della popolazione limitrofa e tanti erano i benefattori che davano un aiuto per la ricostruzione. Anche l’imperatore Francesco Giuseppe contribuì con un’offerta di 8500 fiorini.” Napoleone, aggiungo io, rapinò tutto quello che era possibile qui come ovunque nel Veneto, Francesco Giuseppe fece una consistente offerta … peccato che nei libri della scuola italiana Napoleone venga sistematicamente esaltato e Francesco Giuseppe presentato con un criminale … Dopo qualche anno, attraverso il plebiscito-truffa del 21-22 ottobre 1866, anche il Veneto passò sotto l’Italia e le cose cambiarono, in peggio … Ecco come viene presentato l’arrivo dei “liberatori” italiani: “Nel frattempo il Veneto era passato a far parte del Regno d’Italia e pertanto gravi difficoltà si presentarono per i miti abitatori di Rua. Il Giornale ’L’Unità Cattolica’ racconta: “Accaduta nel 1866 l’annessione delle provincie Venete al regno d’Italia, il Reggitore proposto al loro governo fu messo in sospetto che nell’Eremo di Rua si raccogliesse una famiglia di ex frati in contrasto col nuovo stato di cose. Reputò quindi “suo debito” farvi eseguire improvvisamente, di notte, una solenne perquisizione…- il cui vero scopo era arrestare padre Emiliano, il quale però riuscì a fuggire perché avvertito in tempo. Allora il Consiglio d’Amministrazione per il culto -delibera doversi respingere ogni pretesa di diritto di proprietà dell’eremo da parte di padre Emiliano .Il battagliero eremita non si lasciò affatto sopraffare né intimidire e, andato al tribunale di Firenze, citò in giudizio la parte avversa. Ne seguì un vivace e lunghissimo processo che si concluse solo nel 1878, quando il tribunale di Padova riconobbe in modo definitivo il pieno diritto di padre Emiliano al possesso dell’eremo.” Onore e merito allora a tutti quei eremiti che hanno difeso questo luogo così suggestivo e spirituale; “L’eremo non è un rifugio ma una trincea” sta scritto nella prima pagina del volume: nei secoli scorsi lo fu non solo in senso metaforico … Ettore Beggiato

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VENETOMAGAZINE VICENDE STORICHE

LA CHIESA DELLA SALUTE

© Leo Maria Scordo

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VENETOMAGAZINE Articolo di ETTORE BEGGIATO

E IL LEONE DI SAN MARCO

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a Basilica di Santa Maria della Salute è sicuramente una delle chiese più amate dai veneziani; benedetta dal Patriarca Alvise Sagredo il 9 novembre 1687, opera di Baldassare Longhena, questa chiesa barocca fu eretta dalla Serenissima come ex voto per la liberazione della peste che flagellò la città attorno al 1630: “Voto solenne di erigere in questa Città e dedicar una Chiesa alla Vergine Santissima, intitolandola Santa Maria della Salute, et ch’ogni anno nel giorno che questa Città sarà pubblicata libera dal presente male, Sua Serenità et li Successori Suoi anderanno solennemente col Senato a visitar la medesima Chiesa a perpetua memoria della Pubblica gratitudine di tanto benificio” E, in effetti, “la perpetua memoria” viene vissuta con grande intensità e partecipazione: ogni anno il 21 novembre, giorno della Presentazione della Beata Vergine, una moltitudine di fedeli attraversa il ponte appositamente costruito sul Canal Grande, e si reca a pregare e a chiedere la protezione della Madonna; dopo oltre quattro secoli continua ad essere una delle feste più sentite dalla città. E chissà quanti, fra veneziani e foresti, avranno notato che sopra il grandioso arco di ingresso, si può notare l’alone del Leone di San Marco, distrutto come tanti altri dai francesi nel 1797. Ecco come lo descrive il prof. Alberto Rizzi nei suoi fondamentali tre volumi “I Leoni di San Marco”: “Nella lunetta del portale, larga 430 cm., campeggiava un grande leone marciano verosimilmente a tutto tondo. Esso era andante (di tipo stante) a sinistra, nimbato, dal libro aperto e dalla coda forse sollevata. E’ probabile che la scultura fosse lignea e non è escluso che la sua collocazione sia coincisa con qualche solenne addobbo per la festa della Salute. E’ figurativamente documentata per la prima volta nell’Isolario del Coronelli (1696) ed è rappresentata in vedute di Antonio Canal, Michele Marieschi, e Francesco Guardi. La riproduzione più fedele sembra quella del Canaletto nella ‘Festa della Salute’ incisa da Giambattista Brustolon, similmente alle altre Solennità Dogali. L’enfatizzata presenza del gigantesco leone va storicamente inquadrata nel carattere statale della chiesa, similmente a quella del Redentore. Nel 1951 si progettò di sostituire l’esemplare perduto con uno di bronzo ma la cosa non ebbe seguito.” Quarant’anni dopo toccò al prestigiosa stilista Laura Biagiotti tentare di riportare il Leone sulla Basilica; sul quotidiano “La Repubblica” del 30 aprile 1992 si legge infatti dell’offerta di 100 mila dollari (circa 120 milioni di vecchie lire) finalizzata alla promozione del profumo “Venezia”. “Il leone, che verrà fuso in base ai disegni e ai quadri della fine del Seicento e del Settecento, sarà pronto per il 1997, l’anno in cui cade l’anniversario della sua sparizione dal timpano di uno dei più bei templi che si affacciano sul Canal Grande”. Di tutta l’operazione rimase solo …il profumo, visto il “niet” della Soprintendenza . Quattro anni più tardi un comitato spontaneo di cittadini, fondato da Lorenzo Cesco e Giuseppe Baldan rilanciò l’idea , come ricorda “Il Gazzettino” del 28 maggio 1996. Fu organizzata anche una tavola rotonda all’Ateneo Veneto coordinata dal prof. Mario De Biasi e con la partecipazione del prof. Giovanni Pillinini, dell’ing. Paolo Renier, di mons. Antonio Niero e del prof. Alberto Rizzi; anche quella volta l’iniziativa non portò a risultati concreti. Credo che i tempi siano maturi per ritentare l’impresa; il vento è cambiato, ci dicono in molti, e, pensandoci bene quasi tutti i Leoni che abbelliscono palazzi, campi, monumenti di Venezia sono stati rifatti dopo la furia distruttrice portata avanti da Napoleone e dalla sua soldataglia. Coraggio, allora, amici veneziani ....... Ettore Beggiato

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Articolo e fotografie di MAILA BERTOLI - Guida turistica e fotografa free-lance

L’ARRIVO DEI MAGI AL SANTO

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ant’Antonio, meglio conosciuto dai padovani come il Santo senza nome, viene rappresentato iconograficamente con il giglio e con il bambino. Ed è proprio ai bambini che è dedicata la celebrazione che ormai da dieci anni si svolge il sei gennaio nella Basilica di Sant Antonio. La festa si svolge nel primo pomeriggio e ricorda la visita dei Re Magi alla Sacra Famiglia. I frati del Santo accolgono decine di bambini con le loro famiglie mentre nelle navate risuonano le dolci note del coro e dell orchestra che intonano canti di Natale. Uno spettacolo per l’anima. I bambini, vestiti a festa, salgono ad uno ad uno sull’altare e da un piedistallo recitano la loro poesia preferita che parla di attesa, speranza, rinascita. Poco più in là Gesù, Giuseppe e Maria attendono, come tutti del resto, l’arrivo dei Magi. Ad impersonificare la Sacra Famiglia i frati chiamano ogni anno una coppia di fidanzati prossimi alle nozze; quest anno a sorpresa sono stati scelti due neogenitori con il loro piccolo a rappresentare Gesù Bambino. Una volta terminata la recita delle poesie l’atmosfera si riveste di emozione e trepidazione: compare l’araldo che scende dall’altare, attraversa la navata centrale, per salire infine sul pulpito. Dopo aver srotolato il papiro legge il brano del Vangelo del giorno dell’Epifania e annuncia a tutti l’arrivo dei Magi. Le porte si spalancano e in controluce compaiono delle piccole sagome in movimento: sono i paggetti del Santo che, con le loro divise bianche, oro e blu, i loro baschi e il viso serio ed elegante, degno della carica che rivestono, incedono lentamente esibendo alta la stella cometa. E’ il momento più emozionante della celebrazione. Si avvicinano piano piano, sfilano davanti ai presenti. Difficile trattenere la commozione a questo punto. Dietro di loro fanno seguito i tre Re Magi, ognuno di loro a turno sale sull’altare e, rivolgendosi agli astanti, innalza i doni per Gesù, mentre la Basilica è invasa dal profumo forte di incenso e dai suoni melodiosi del coro. A questo punto arriva il Padre Rettore e presenta Gesù Bambino alla comunità, alzandolo verso la cupola centrale. I bambini lentamente si mettono in fila e recano un saluto a Gesù, chi una carezza, chi un bacino. La festa giunge così a conclusione lasciando dentro a ognuno una sensazione di benessere e la leggerezza tipica della gioia dei bambini, capaci ancora di credere e di stupirsi.

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VENETOMAGAZINE BASILICA DI SANT’ANTONIO A PADOVA

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VENETOMAGAZINE Articolo di VALENTINA CASAROTTO - www.valentinacasarotto.blogspot.com

IL TRIONFO DEL COLORE Fino al 10 marzo 2019 “Il Trionfo del Colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi. Vicenza e i Capolavori dal Museo Pushkin di Mosca” A cura di Victoria Markova e Stefano Zuffi. Prodotta da MondoMostre, Comune di Vicenza, Museo delle Belle Arti A.S. Pushkin di Mosca e Intesa Sanpaolo

La mostra di Vicenza celebra i fasti dell’arte veneta.

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e radici del mito di Venezia affondano nel Settecento, nell’ultimo secolo di vita della Repubblica Serenissima, quando l’indimenticabile canto del cigno dell’arte veneta si diffonde in tutta Europa, sostenuto da un lato dalle commissioni internazionali affidate agli artisti veneti, dall’altro alimentato dal collezionismo privato e dai ricordi dei viaggiatori stranieri che durante il Grand Tour d’Italie non mancavano mai di assaporare le trasgressioni del Carnevale lagunare. È nel XVIII secolo che Venezia riacquista il ruolo di capitale dell’arte e consacrata l’immagine che resiste ancor oggi. Una folta schiera di artisti - Ricci, Tiepolo, Bellotto e altri - conquista l’Europa con il talento e le tele, in cui il colore trionfa. Una panoramica sui temi, sui generi e sugli artisti del secolo è offerta nei musei cittadini di Palazzo Chiericati e delle Gallerie d’Italia di Vicenza, dove è allestita la mostra “Il Trionfo

del Colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi. Vicenza e i Capolavori dal Museo Pushkin di Mosca” che trova una seconda edizione dopo una prima moscovita. Nelle due sedi museali sono riallestite le collezioni del territorio – le 40 tele delle collezioni dei Musei Civici di Vicenza e le 31 opere della Gallerie d’Italia Palazzo Leoni Montanari - che dialogano perfettamente con i 24 dipinti giunti dal museo russo. Partendo da Palazzo Chiericati e proseguendo nelle Gallerie d’Italia Palazzo Leoni Montanari, proponiamo un breve percorso attraverso le opere. La rivoluzione del gusto del secolo, che fa transitare l’estrosità del Barocco verso l’eleganza del Rococò, si riflette nella genesi del genere del paesaggio. Protagonista di questo passaggio è il bellunese Sebastiano Ricci, pittore eclettico, che nel suo stile fonde la passione per il teatro

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con la tradizione cinquecentesca. La grandiosa Prospettiva di rovine con figure che apre la mostra è un’opera congiunta di Sebastiano e del nipote Marco Ricci, che nella imponente messa in scena, pervasa di una nuova luminosità atmosferica, scala piani in luce e ombra, vestigia remote e rovine classiche, statue antiche e figurette operose.

Nel Paesaggio con arco trionfale e monumento equestre (fig. 1) del friulano Luca Carlevarijs, troviamo invece il racconto della natura che diventa “capriccio”, con una Roma delineata dall’Arco di Costantino, una torre medievale e dal Monumento equestre a Luigi XIV di Bernini. Una veduta ideale, che è il preludio del fenomeno del vedutismo che


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VENETOMAGAZINE MOSTRA A PALAZZO CHIERICATI

DA TIEPOLO A CANALETTO E GUARDI sarà il genere più in voga del secolo. Una saletta celebra la bellezza nascosta della chiesa di Santa Maria dell’Araceli di Vicenza: un prezioso disegno ci mostra il progetto del gioiello barocco ideato dall’architetto Guarino Guarini e le due pale d’altare che nel Settecento si fronteggiavano dalle pareti opposte e che qui ricostruiscono sia l’esperienza della loro primigenia collocazione, sia il duello stilistico tra Giambattista Piazzetta e Giandomenico Tiepolo. Nell’Estasi di san Francesco (fig. 2), Piazzetta inventa l’angelo fulgido che sorregge un San Francesco assopito, imprimendo un moto ascensionale alla composizione, orchestrata in toni di drammatico cromatismo sulfureo. Qualche anno dopo, Tiepolo realizza una pala che nell’iconicità perfetta dell’Immacolata Concezione (fig. 3), propone una vergine algida e altera, che con passo danzante schiaccia il serpente del peccato e fa risplendere di pura euforia cromatica la veste bianco argentea e il gran manto serico rigonfio di vento.

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Il pregevole busto in marmo del giureconsulto Carlo Cordellina ci accoglie con sguardo sicuro nella quarta sala. Come fossimo in una delle sue dimore, a Palazzo Cordellina o nella sua villa di Montecchio Maggiore, si mostra orgoglioso di aver individuato in Tiepolo il superbo interprete della propria aspirazione all’immortalità.

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La luminosa tela per soffitto con Il Tempo che scopre la Verità e fuga la Menzogna (fig. 4) qui è accompagnata anche da un disegno preparatorio a penna e acquerello. Su un palcoscenico di nuvole si colloca la coppia tiepolesca che incarna il motto Veritas filia Temporis. Il Tempo, canuto e greve, con falce e serpente, si contrappone alla sensuale bellezza della Verità, che trionfa al centro della scena, mentre in secondo piano, in ombra, l’Ignoranza, si ritira defilata. Con uno stile sontuoso e riprendendo la gloria del colore cinquecentesco di Veronese, Tiepolo s’impone come interprete assoluto della pittura storico mitologica in tutta Europa. 3

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EVENTIVENETI

VENETOMAGAZINE IL TRIONFO DEL COLORE

5. Altro degno portavoce del secolo è Giovanni Battista Pittoni, che nelle sue opere impegna audaci contrapposizioni cromatiche e panneggi graffiati da forte luminismo. Il suo dipinto Diana e Atteone (fig. 5) è una delle tele a soggetto mitologico più significative del rococò veneziano. La svestizione e il bagno di Diana, tra fiori e ghirlande, è un inno alla sensualità femminile, che allontana sullo sfondo il tragico epilogo di Atteone sbranato dai suoi cani come punizione per aver spiato la dea. Al gusto saturnino e orrifico del secolo è dedicata la saletta in cui campeggia il monumentale busto in marmo del vizio capitale dell’Invidia, opera di Angelo Marinali, che cattura l’attenzione per il realismo spietato e l’acribia naturalistica dei tendini tesi sotto la pelle rinsecchita. L’ultima sala celebra il mito di Venezia attraverso la sua immagine. Sulla scorta della sua formazione come scenografo teatrale, Canaletto renderà l’intera città di Venezia il suo nuovo palcoscenico, che comprende anche luoghi eccentrici, punti di vista insoliti, fuori dai circuiti cosiddetti turistici, come nella Veduta della laguna e della chiesa di Santa Maria delle Vergini da campo San Pietro di Castello o nelle Veduta della laguna e dell’Arsenale da campo San Pietro di Castello. Nella grande tela Il ritorno del Bucintoro all’approdo di Palazzo Ducale invece il pittore restituisce la cerimonia in uno spazio profondo e arioso, con colori cristallini e mobili, e piega a suo piacere le infinite possibilità della camera ottica. Di diversa sensibilità suo nipote, Bernardo Bellotto, pittore saturnino, che costruirà la propria fama lavorando alle corti di Monaco di Baviera, Vienna, Varsavia, e Dresda. Qui realizzerà vedute indimenticabili, applicando ai principi del vedutismo una visione pre-fotografica, come la Veduta del vecchio mercato di Dresda (fig. 6).

L’epilogo della Serenissima trova nelle opere di Francesco Guardi, come in questa Veduta della Piazzetta a Venezia (fig. 7), una lirica e malinconica interpretazione preromantica, grazie ai cieli tumultuosi e al disfacimento della pennellata nel colore. *** Il percorso prosegue alle Gallerie d’Italia Palazzo Leoni Montanari, che per l’occasione hanno riallestito le sale della loro collezione permanente dedicate al Settecento. La raccolta dei dipinti di Pietro Longhi (ed epigoni e seguaci) ci introduce in piena atmosfera settecentesca. Condotta con brio rococò, la sua pittura decretò la fortuna del genere, che si allineava alle medesime istanze che Carlo Goldoni stava realizzando nel teatro. Questi quadri di piccolo formato, dai colori vivaci e dalla stesura pittorica fragrante, ci fanno entrare ne La bottega del caffè (, luogo di delizie gastronomiche per palati aristocratici, o al Il ridotto di Palazzo Dandolo a Venezia per provare il piacere e l’euforia del gioco d’azzardo. Un tema ricorrente è la celebrazione della cosiddetta giornata della dama: il rito de Il risveglio, La lezione di musica, le diverse tappe del corteggiamento, tra La dichiarazione e Lo svenimento , il più tipico degli escamotage galanti; oppure ci raccontano fatti di cronaca straordinari, come l’esibizione de L’elefante o Il rinoceronte , una rarità a quel tempo. Il genere della veduta – ossia una presa topografica della città o del paesaggio, assieme a una registrazione puntale degli effetti metereologici, ottenuta grazie all’uso della camera ottica – ha avuto un interessante interprete nell’olandese Hendrik Frans van Lint, che nella Veduta della chiesa della Salute con la Punta della Dogana, allarga lo sguardo sull’andirivieni delle gondole sotto un cielo lagunare corrusco. Alla mano del friulano Luca Carlevarijs si deve una tela

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EVENTIVENETI

VENETOMAGAZINE MOSTRE A VICENZA preziosa, perché documenta il fatto di cronaca de L’ingresso degli oratori veneziani in Palazzo Ducale a Milano nel 1711. Sulla scia di Canaletto, il giovane Michele Marieschi ha avviato una produzione originale d’ingegno e d’impostazione, come la Veduta del Canal Grande con le Rive del Vin e del Carbon in cui l’operosità delle due rive del Canal Grande s’intreccia con la passeggiata dei signori, e la bellezza degli edifici si tinge di quotidianità nelle candide tende svolazzanti. Una sala espone con un pizzico d’orgoglio l’opera di Francesco Zuccarelli Veduta ideale di Vicenza con celebrazione allegorica di Andrea Palladio. L’ampio paesaggio sotto i colli della città inanella luoghi e monumenti significativi anche perduti, come Porta Lupia, e include, accorciando le distanze dal centro, anche il capolavoro di Palladio, villa Almerico Capra detta la Rotonda. Lo scenario naturale funge da palcoscenico a un immaginario incontro tra il grande architetto, identificato dal trattato che tiene in mano, e gli studiosi inglesi fautori della sua fortuna a livello internazionale, l’architetto Inigo Jones e forse Thomas Howard, XXI conte di Arundel.

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La pittura poi cede il posto alla scultura con l’unicum rappresentato da La Caduta degli angeli ribelli di Agostino Fasolato, un’opera in marmo di forma piramidale, che con una cascata di 60 figure sin da subito destò la meraviglia di quelli che si interrogavano, come Leopoldo Cicognara, “con quali ingegnosi e ricurvi ferri si giungesse per ogni verso dallo scultore a traforare e condurre quel marmo..”. La lotta tra gli eserciti del Bene e del Male, tratta dall’Apocalisse di Giovanni, vede l’azione dell’arcangelo Michele che, con scudo e spada, si scaglia contro l’armata del Male. Il suo avversario, Satana, alla base della statua, è ritratto mentre inveisce contro l’avversario, mentre tutt’intorno, un superbo groviglio di corpi di diavoli e angeli ribelli che combattono tra serpenti e draghi demoniaci.

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L’esposizione si chiude con l’illustre ospite moscovita, che ha il posto d’onore nella loggia di Ercole. La pala giovanile (e dimenticata dalla critica) di Giambattista Tiepolo Madonna con i Santi Luigi da Tolosa, Antonio da Padova e Francesco d’Assisi, (fig. 8) incanterà il visitatore con l’impostazione allungata, la dolcezza del bambino, i colori vivaci e fornirà anche l’occasione agli storici dell’arte italiana di farla oggetto di nuovi studi. La mostra “Il trionfo del colore” satura lo sguardo del visitatore di algida bellezza; valorizza le collezioni vicentine e fa apprezzare i prestiti moscoviti; e ricorda che il Settecento, in Europa, aveva i colori dell’arte veneta: Canaletto fu genio caldo e sereno, simile al Tiepolo, al quale assomiglia nel colore e nella luminosità solare (E. Martini, La pittura veneziana del Settecento, 1964). Valentina Casarotto www.valentinacasarotto.blogspot.com

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CITTA’VENETE

VENETOMAGAZINE Articolo e fotografie di Maila Bertoli - Guida turistica e fotografa free-lance

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ARTEVENETA

VENETOMAGAZINE MOSTRE A VENEZIA

LE MIGLIORI CARNI DA T U T TO I L M O N D O S C E LT E P E R T E

CANALETTO E VENEZIA A PALAZZO DUCALE

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l Settecento veneziano con le sue luci e ombre si snoda lungo le sale di Palazzo Ducale, nel racconto di un secolo straordinario e del suo protagonista: Giovanni Antonio Canal, il Canaletto. Una stagione artistica di grande complessità e valore, di eccellenze nel campo della pittura, della scultura, delle arti decorative. Fin dal suo inizio il 700 si mostra come un secolo di enorme vitalità e grandi cambiamenti, nel linguaggio dell’arte, nella storia delle idee e delle tecniche, nella vita sociale. La mostra parte dall’affacciarsi nei primi anni di una nuova forma artistica, che rompe i legami con il rigore del Classicismo e con la teatralità del Barocco, mentre il colore prende il sopravvento sul disegno. Luca Carlevarijs pone le basi del vedutismo veneziano, Rosalba Carriera rinnova l’arte del ritratto. Due giovani coetanei dipingono opere in cui la luce acquista valenza fondante, costitutiva: Giambattista Tiepolo con pennellate aggressive in composizioni dinamiche, Canaletto nella pittura di vedute, lo stile di entrambi si farà poi più controllato e nitido. Il viaggio prosegue con la pittura di costume di

Pietro Longhi, l’esplosione del vedutismo, la pittura di storia e quella di paesaggio, il capriccio. E la grande stagione dell’incisione, che diversi sperimentano, e di Giambattista Piranesi. Il racconto di questo secolo è anche quello della presenza europea della Serenissima e del viaggiare dei suoi artisti. Mentre anche l’arte vetraria di Murano vive i suoi fasti, con l’oreficeria e la manifattura di porcellane. Protagonisti di fine secolo sono Francesco Guardi e Giandomenico Tiepolo, figlio di Giambattista. Nelle vedute di Guardi il linguaggio pittorico, tremolante e allusivo, lontano dalle solari certezze di Canaletto, sembra evocare una Venezia in disfacimento, mentre il tempo del vivere felice e aristocratico lascia il posto a un popolo di irriverenti Pulcinella, dove tutti sono liberi e uguali, e sullo sfondo la rivoluzione infiamma la Francia. Il secolo dei lumi, e il percorso espositivo, si chiude con l’affermarsi del Neoclassicismo. Su tutti giganteggia Antonio Canova.

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VENETOMAGAZINE Articolo della BIBLIOTECA BERTOLIANA DI VICENZA

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LA STORIA DEL BACCALA’

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a storia del Baccalà affonda le sue origini nel lontano 700 d. C., quando i Vichinghi, gli allora dominanti dei mari, con le loro Drakar solcavano le acque del Circolo Polare Artico. Non solo abili pescatori ma anche, e forse soprattutto, esperti mercanti tanto da arrivare a usare il proprio pescato come moneta di scambio. Bergen era, ed è tutt’ora, la più celebre città mercantile della Norvegia. Sin dall’Alto Medioevo lungo le sue coste approdavano le navi colme di pesce essiccato proveniente dall’arcipelago di Loften, più precisamente dall’isola di Røst. Nel corso del tempo andò delineandosi, così, una linea mercantile che collegava la città di Bergen con il Centro Europa, attraversando le “città della Lega Anseatica”. Candia 1431 Il nobiluomo e mercante Piero Querini decise di partire con la sua Cocca da 700 tonnellate e un equipaggio di 68 marinai oltre la Muda di Stato. Il capitano scelse di salpare nonostante il funesto vaticinio che soli quattro giorni prima lo colpì, ovvero la morte del suo figlio primogenito. Salpò il 25 aprile e non fece in tempo nemmeno a oltrepassare lo Stretto di Gibilterra che la nave andò in avaria. Dopo una breve sosta obbligata nel porto di Lisbona, ripartì con tutti i venti contro. Un tremendo naufragio colpì la cocca, l’equipaggio, ormai persa la nave, riuscì miracolosamente a salire su due scialuppe di salvataggio....ma i mari del nord, essendo assai pericolosi, inghiottirono una delle due scialuppe, facendone perdere completamente tracce.....

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[L’immagine mostra il Maestrom, un temibile vortice d’acqua marina che si forma con il movimento delle maree. Ancora oggi è una terribile insidia per i pescherecci. Tratto da: Olaus Magnus, Historia de Gentibus Septentrionalibus, 1558]


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VENETOMAGAZINE TRADIZIONI CULINARIE

© Leo Maria Scordo

Con poco cibo a bordo e tra la morsa del freddo artico, la scialuppa su cui si trovava Querini continuò a navigare senza meta. Il 4 gennaio 1432 fu finalmente avvistata, in lontananza, terra. Ci vollero ben tre giorni prima che la piccola imbarcazione approdasse in quella terra desertica e sconosciuta. Dopo un iniziale e totale smarrimento, la ciurma riuscì a trovare il modo di comunicare con la piccola popolazione autoctona. Ivi osservarono e impararono gli usi e i costumi di quel piccolo popolo, specialmente il modo di conservazione del pescato. Dopo tre mesi, sul far della primavera, la ciurma ripartì portando con sé ben 60 stoccafissi. Dopo lunghi mesi arrivarono a Venezia dove Querini consegnò al doge la relazione del suo viaggio e alcuni degli stoccafissi che gli erano ancora rimasti. [Immagine tratta da: Olaus Magnus, Historia de Gentibus Septentrionalibus, 1558] La “Terra Bacallaos” [Jacob Ziegler, Quæ intus continentur, 1532] Il Gran Banco dove si riuniscono i merluzzi [Vincenzo Coronelli, Atlante Veneto, 1688 Asellus anche detto Merluzzo

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CULTURAVENETA

VENETOMAGAZINE A cura della REDAZIONE

INCANT’ARTE IN LINGUA VENETA

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otto la presidenza di Luciano DORELL, l’Associazione Culturale Veneta INCANT’ ARTE ha come scopo la riscoperta della lingua Veneta attraverso lo spettacolo “SOSPIRI VENEZIANI : L’AMOR PARLÀ E L’AMOR CANTÀ”. Nella stessa serata proponiamo un florilegio di poemi epici (La Divina Commedia di Dante ALIGHIERI tradotta da Giuseppe CAPPELLI), poesie (Attilio SARFATTI, Francesco Dall’Ongaro, Jacopo Vincenzo FOSCARINI, Berto BARBARANI), e melodie liriche (Antonio BUZZOLLA, Reynaldo HAHN, Damiano LAZZARON, Gioachino ROSSINI, Johann Simon MAYR - Ludwig van BEETHOVEN) del repertorio classico collegati tra loro tramitte il racconto in italiano di un attore narratore, e l’insieme, sempre accompagnato al pianoforte e violino. L’ascoltatore farà un viaggio nel tempo.

Il presidente Luciano Doreli

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INCANT’ARTE vi invita a condividere la sua passione per la lingua veneta in compagnia dell‘attrice Giustina RENIER, lo specialista linguistico, attore e tenore Alessandro MOCELLIN, il tenore Dario MAGNABOSCO, il mezzosoprano di fama internazionale Karine OHANYAN dell’Opera di Monte-Carlo, l’attore e narratore Gianluca MANCUSO, il violinista Maestro Stefano PAGLIARI ed il pianista-compositore Maestro Damiano LAZZARON. L’anteprima di questo spettacolo ha avuto luogo presso il Palazzo Ducale di Venezia. Il pubblico veneto ha potuto poi scoprirlo a Cittadella, Conegliano (TV); Cadoneghe (PD); Limena (PD), Selvazzano Dentro (PD), Castelfranco Veneto (TV), Villa Emo a Fanzolo (TV), Palazzo Ca Sagredo Venezia, Rossano Veneto(VI), Noale (VE), Piove di Sacco (PD) e Campodarsego (PD).


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VENETOMAGAZINE ASSOCIAZIONI CULTURALI VENETE

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Domenica 9 luglio 2017 ECCELLENZEVENETE

Restauro

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BARBARANO VICENTINO La ditta artigianale De Santi Gino s.n.c. da oltre 50 anni si occupa di costruzioni e ristrutturazioni RESTAURI VENETI

Dall’intraprendenza di nonno Gino, DI VICENZA MUSEO NATURALISTICO alla passione dei nipoti Francesca e Federico L’impresa, in particolare, è specializzata nel restauro di chiese e palazzi Che il nostro territorio sia ricco di bellezze artistiche è risaputo, anche se la cosa non è sempre così evidente per tutti. Si tende infatti a riconoscere i monumenti e gli edifici più noti e sfuggono invece molte altre strutture, meno popolari ma ugualmente di pregio. Tuttavia, chi con questi elementi preziosi ha invece a che fare quotidianamente, non solo ha cognizione della grande ricchezza diffusa, ma cerca anche di allargare la sensibilità verso questo patrimonio. È il caso della ditta De Santi Gino s.n.c. di Barbarano Vicentino che da oltre 50 anni si occupa con passione di costruzioni, ristrutturazioni e restauri architettonici. Un’ azienda artigiana a conduzione familiare, fondata nel 1966 da Gino De Santi e oggi condotta dai figli Bruno e Marino che con Francesca e Federico, figli di Bruno, dal 2009 è arrivata alla terza generazione. «È una tradizione che si è consolidata nel tempo - racconta Francesca - e oggi con i due soci titolari, l’azienda ha un organico di otto

persone. Mio nonno Gino lavorava già come muratore quando durante la Seconda Guerra Mondiale fu fatto prigioniero dai tedeschi e portato in un campo di lavori forzati in Germania. Anche lì lo impegnarono nei cantieri edili e continuò a farlo successivamente, a guerra finita, prima con imprese edili locali e poi in proprio. L’orientamento al restauro è stato presente fin dalla nascita della ditta? «No, in principio mio nonno si dedicò all’edilizia tradizionale. Fu in seguito, dopo una decina d’anni, con l’ingresso in azienda di mio zio Marino che cominciò a svilupparsi anche quel ramo di attività. Lui è appassionato di arte, molto attento alle finiture, ai dettagli. Qualche anno più tardi arrivò anche mio padre e altri dipendenti, così l’azienda si espanse e si definirono i ruoli di ognuno. In pratica il nonno tirava su i muri, Marino acquisiva sempre più competenze nel restauro e si occupava dei lavori di fino, mentre mio padre della parte organizzava e dei materiali. Oggi anche mio fratello Federico è operativo in cantiere, mentre io che ho una laurea in ingegneria, seguo la parte amministrativa e tecnica. L’azienda ha l’attestazione Soa, che consente di partecipare alle gare di appalto pubbliche, sia per la categoria OG1 ovvero i lavori edili tradizionali civili sia per quella OG2, cioè il restauro di beni vincolati sottoposti a tutela.

Restauro di Villa Dolfin a Campolongo a San Germano dei Berici e la ricostruzione di una statua Qualche esempio degli interventi che avete realizzato? «Se parliamo di restauri, alcuni fatti con il Carve (Consorzio Artigiani Restauratori Veneti) altri direttamente da noi, importanti sono stati, a Vicenza, la Casa del Pigafetta, Palazzo Thiene, la Loggia de Ferrari di Ottavio Bertotti-Scamozzi, l’Oratorio di San Nicola, Palazzo Gualdo, la Chiesa dei Servi e quella dell’Araceli; diversi interventi al Convento di San Pancrazio a Barbarano e sempre nel nostro paese, l’Oratorio di S. Gaetano Thiene, il Palazzo dei Canonici, Villa Pedrina Rigon. Ma anche Villa Pigafetta-Camerini Montruglio di Mossano e

un cantiere nella Repubblica Ceca a Palazzo Thun-Hohenstein, sede dell’Ambasciata Italiana a Praga. Un altro bel restauro è stato quello di Villa Dolfin a San Germano dei Berici. C’è poi tutto il capitolo dedicato alle chiese e ai campanili o alle statue, come le due, davanti alla chiesa di Villaga. Ma potrei continuare a lungo perché ogni lavoro ha la sua peculiarità e bellezza». Passione e sensibilità per la bellezza sono riservate ai beni storici di una certa portata? «Certo che no. Anche nei cantieri civili siamo sempre attenti alla conservazione anche quando altri consigliano la demolizione. In

questo cerchiamo di coinvolgere i committenti perché comprendano il valore aggiunto che un edificio può guadagnare mantenendo in vita la sua storia. Perciò anche quando non ci sono vincoli espressi suggeriamo, se c’è, una soluzione conservativa». Vi è capitato di trovare dei “tesori nascosti” durante i vostri interventi? «Sì, capita più spesso di quel che si pensa! Sia di trovare opere, per esempio affreschi, che erano stati coperti, sia di scoprire che tra le intercapedini dei muri qualcuno aveva occultato dei soldi. In queste fasi, il nostro lavoro è un po’ parente di quello degli archeologi».

De Santi Gino s.n.c. di De Santi Bruno e Marino Costruzioni, Ristrutturazioni, Restauri architettonici... ...dal 1966

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EVENTIVENETO

VENETOMAGAZINE MOSTRE A VICENZA SULLA PREISTORIA DEI COLLI BERICI

MOSTRA ORSI&UOMINI

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on sarà un’invasione, come nel celebre romanzo di Dino Buzzati “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”, ma al Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza è già arrivato un orso, anzi uno scheletro di orso delle caverne. Ursus spelaeus è una specie estinta oltre 24.000 anni fa e che in posizione eretta poteva raggiungere i 3,5 metri di altezza massima. Lo scheletro, ricostruito con resti ossei recuperati nel corso degli scavi archeologici nella cavità della Grotta del Broion a Longare e conservato al Museo del dipartimento di studi umanistici “Piero Leonardi” SMA (Sistema Museale di Ateneo) dell’Università di Ferrara, arriva in prestito al museo di Vicenza per arricchire la nuova mostra “Orsi & uomini - Una preistoria dei Colli Berici” Il titolo, “Orsi & uomini” riflette non solo una pluralità numerica, ma anche una pluralità di specie presenti nel nostro territorio in un periodo compreso tra i 200.000 e i 23.000 anni fa. Che nelle grotte dei Berici avessero lasciato testimonianza della loro presenza, prima Homo neanderthalensis e poi Homo sapiens era noto, ma che si fossero succedute più specie di orso questo è un dato recente. DISCOVER Agli PALLADIO aspetti preistorici è affiancato un ricco reportage fotografico “Orsi e foreste” di Silvano Paiola che documenta la presenza in natura dell’orso appartenente alla specie Ursus arctos, segnalata in Europa e recentemente anche nelle nostre montagne. Le riprese sono state eseguite in Finlandia e in Slovenia. L’iniziativa proposta mostra come il museo sia luogo dell’incontro tra università e città, tra la ricerca condotta dagli studiosi e la comunità più ampia operando una mediazione comunicativa capace di favorire la partecipazione attiva degli utenti e effettive esperienze di conoscenza e di pubblico godimento. In continuità con la linea espositiva che prevede di allestire ogni anno una mostra temporanea su un tema di attualità – linea inaugurata lo scorso anno con “Legumi e Legami - tra natura, archeologia e storia”- il museo offre, anche quest’anno, inediti spunti educativi per un pubblico più ampio, non solo scolastico, in un’ottica di life learning, per favorire la circolazione di conoscenze del territorio e della sua storia, formate su basi scientifiche.

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La mostra rimarrà aperta al pubblico dal 28 settembre 2018 (dalle ore 11) al 30 giugno 2019, da martedì a domenica dalle 9 alle 17. Ultima entrata 16.30. Ingresso al Museo naturalistico archeologico che consente di visitare anche la mostra: intero 3,50, ridotto 2,50, scuole 2 euro da acquistare direttamente al museo. Altre tipologie di biglietto alla scheda Musei civici. Laboratori didattici e percorsi a cura di Scatola cultura s.c.s. Informazioni: 3491364173, scatolacultura@gmail. com, www.scatolacultura.it Informazioni sulla mostra: 0444222815, www.museicivicivicenza.it, museonatarcheo@comune.vicenza.it


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VENETOMAGAZINE Articolo a cura di MARTINA LOVATO - foto di Matteo Mannato

L’UMANESIMO VENETO NASCE A PADOVA

TORRE DEL’OROLOGIO La torre dell’orologio rappresenta uno dei simboli dell’epoca Carrarese in Padova. Con il suo meccanismo offriva un punto di riferimento alla vita quotidiana cittadina e non solo nel Trecento. L’imponente torre, che si innalza tra il Palazzo dei Camerlenghi e il Palazzo del Capitanio in piazza dei Signori, fu elevata tra il 1426 e il 1430 sulle rovine della porta orientale della Reggia Carrarese. Fu infatti nel 1427 che il capitanio Bortolomeo Morosini diede inizio ai lavori di amplimaneto e adeguamento della torre, finalizzati ad accogliere il grande orologio, costruito da Giovanni e Gian Pietro Dalle Caldiere. Il quadrante fu decorato da Giorgio da Treviso nel 1436.

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STORIAVENETA

VENETOMAGAZINE L’ UMANESIMO PADOVANO

LOVATO DE’ LOVATI E LA PASSIONE PER I LIBRI ANTICHI

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ino al 1259 buona parte delle territorio veneto era sotto il controllo degli Ezzelini, una famiglia di stirpe germanica giunta in Italia nel 1036 al seguito dell’imperatore del Sacro Romano Impero Corrado II. Ezzelino II divenne podestà di Treviso nel 1193, di Verona nel 1200 e di Vicenza nel 1211. Succeduto al padre nel 1221 il figlio Ezzelino III da Romano riuscì a conquistare con l’aiuto dei soldati tedeschi, gran parte dei comuni riportandoli sotto il dominio dei Ghibellini, contrastando così le famiglie Guelfe legate al papa e alla lega lombarda. Con la fine dell’egemonia degli Ezzelini, molti comuni divenno delle città-stato dotate di leggi e magistrature indipendenti, rifiorisce lo scambio commericale e si vengono a formare le fraglie dei mestieri (più di 100) e quelle che avevano un contenuto devozionale, mutualistico o caritativo, grazie alla presenza degli ordini dei mendicanti (francescani, domenicani e agostiniani) che si insediano all’interno della mura comunali, o nelle zone immediatamente limitrofe. All’interno delle mura vennero a convivere uomini di estrazione sociale molto diversa: contadini nurbati in seguito all’eccedenza di manodopera nei campi, piccoli feudatori che cercavano trasferendosi in città di liberarsi da vincoli di obbedienza e sudditanza, oltre che notai, giudici, medici, piccoli artigiani e mercanti. Questi costituivano per eccellenza la classe dei “borghesi”, vale a dire di coloro che, non essendo nobili, traevano la propria prosperità dall’esercizio di arti o mestieri, avendo nella città il loro ambiente naturale.

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E’ in questo contesto urbano e sociale, particolarmente vivo a Padova che nel 1250 è città aperta, profondamente comunale e dotata della prima università veneta fondata nel 1222, che prende avvio la passione di studare i libri antichi tradotti in latino dal greco che sfocerà la cultura umanistica intesa come recupero degli ideali antichi di perfezionamento civile e morale dell’uomo in chiave non religiosa. Padova diventa la culla della nuova sensibilità perchè vi è presente un ceto di notai, giudici, che unisce capacità operative, conoscenza del latino e un sentire diverso che guarda all’antica Roma come modello civile. La città patavina è già proiettata verso il nuovo modello di libertà di pensiero, ben prima che vi arrivi Petrarca, tradizionalmente considerato il primo umanista. Tra gli studiosi dell’antichità spiccava il giudice Lovato de Lovati, nato intorno al 1240, che non si rivolge ai classici come riferimento per ampliare il recupero e corretta lettura filologica delle fonti, come farà Petrarca un secolo più tardi, ma si diletta a scrivere al modo degli antichi e consapevolmente riusa il latino di Ovidio come segno del recupero del classico battendosi perchè fosse riconosciuto dai contemporanei, come fece per la tomba antica ritrovata a Padova nel 1274 che il il giudice certificò essere di Antenore per dare lustro all’origine mitica della sua città. E dunque mentre a Firenze Dante è ancora impastoiato con la cultura medievale, Lovato de Lovati, potenzialmente maestro di tutti i poeti, come scrisse Petrarca, è già umanista a pieno titolo perchè inagura quell’approccio creativo che si estrinseca in un modo di scrivere, di argomentare, di


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VENETOMAGAZINE L’ UMANESIMO PADOVANO

poetare che produce, per il legame intrinseco del mondo classico, un pensiero laico, civile, incentrato sulle libertà. Lovato riempie le sue epistole poetiche di citazioni di autori che da secoli non comparivano più nella cultura occidentale, usa il metro classico, il lessico classico, immagini classiche, tanto da far sparire dietro esse la cultura cristiana. E qui si avverte la sostanza dell’Umanesimo colto ed erudito, la centralità dell’Imitazione che non è ripetizione vuota di modelli, ma reale adesione ad uno stile di pensiero emotivo che mette insieme poesia, tragedia, storia. Nel giro di una cinquantina d’anni, il sapere contenuti nei libri antichi, fino ad allora riservato agli iniziati degli ordini religiosi, si diffonde inizalmente nelle aule dei tribunali per citazioni e riferimenti di tipo morale, per poi diventare nel corso dei secoli successivi un fenomeno condiviso dai nobili del Veneto nei salotti culturali di Treviso, Vicenza e soprattutto alla corte di Asolo, dove Caterina Cornaro invita filosofi e artisti a discutere di Aristotele, Platone, Galeno e della filosofia dell’arabo Averroè. Il recupero del sapere antico porta con sè un ribaltamento profondo che modifica il modo di sentire, di pensare e anche di vivere. Nasce la figura del filosofo erudito che, come Petrarca, si ritira in campagna, o nel proprio studio, per meditare sugli aspetti morali e spirtuali dell’essere umano, ma anche la figura dell’artista che ispirandosi ai testi di filosofia compie grandiose opere di sintesi come qualle realizzata all’interno del Palazzo della Ragione a Padova IL PALAZZO DELLA RAGIONE ll palazzo della Ragione era l’antica sede dei tribunali cittadini di Padova. Fu eretto a partire dal 1218 e sopraelevato nel 1306 da Giovanni degli Eremitani che gli diede la caratteristica copertura a forma di carena di nave rovesciata. Il piano superiore è occupato dalla più grande sala pensile del mondo, detto “Salone” (misura 81 metri per 27 ed ha un’altezza di 27 metri) con soffitto ligneo a carena di nave.

Il Salone è affrescato da un grandioso ciclo di affreschi a soggetto astrologico (completati tra il 1425 e il 1440) basati sugli studi di Pietro d’Abano, seguace di Averroè e sintetizza gli aspetti simbolici sui quali si formerà il linguaggio esoterico dell’Umanesimo Veneto. 1. simbolismo laico e religioso : nella “fascia inferiore” sono raffigurate le insegne dei giudici (dischi), simboleggiate da animali, a cui si aggiungono le virtù cardinali e le virtù teologali, i Santi protettori di Padova (come santa Giustina e Antonio di Padova) e i dottori della Chiesa. 2. simbolismo medico-astrologico: nelle due fasce superiori è raffigurato lo zodiaco astrologico è diviso in dodici comparti corrispondenti ai mesi, articolati ciascuno in tre fasce di nove ripiani. Ogni comparto comprende le raffigurazioni di un apostolo, dell’allegoria del mese, del segno zodiacale, del pianeta, delle occupazioni tipiche, dei mestieri, delle costellazioni: tutto intorno sono rappresentate le attività e i caratteri individuali delle persone definiti dalle influenze astrali, a loro volta legate alla data di nascita e all’ascendente. A quel tempo le malattie, gli aspetti psicologici e le il destino dell’individuo veniva interpretati sulla base della teoria umorale di Galeno, il filosofo greco del I° Sec. D. C che aveva stabilito le corrispondenza tra i pianeti celesti e il loro influsso nella costituzione psicofisica. Nel Quattrocento le figure del giudice, del notaio, dell’avvocato rappresentavano l’autorità fondata sulle leggi e le regole che servivano a regolare i mercati e proteggere la corporazioni dei mestieri da abusi e truffe, soprattuto per la corretta applicazione dei pesi e delle misure, mentre il medico rimase una figura ancora in bilico tra scienza e magia, fino a quando all’Università di Padova furono istituiti, verso la fine del secolo, i corsi di anatomia. Il 17 agosto 1756 un furioso turbine sconvolse il grande edificio distruggendone il tetto e scoperchiandolo. Bartolomeo Ferracina, orologiaio e ingegnere della Serenissima, più noto per la costruzione dell’orologio di Piazza San Marco a Venezia e anche autore della ricostruzione del ponte palladiano di Bassano del Grappa, provvide alla riedificazione dell’imponente struttura.

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VENETOMAGAZINE L’IDENTITA’ DEI VENETI

“NASEST IN VENETO”

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na bella iniziativa, carica di significati, è stata presa dal Sindaco – o Mariga, come ama definirsi lui riscoprendo la denominazione di una carica analoga nei secoli in cui la nostra Repubblica Veneta era indipendente – di Santa Lucia di Piave, Riccardo Szumski: a ogni nuovo in una famiglia residente sul territorio comunale viene rilasciato un certificato che ne attesta il radicamento territoriale, una specie di “imprinting” che possa sviluppare fin da subito il senso di appartenenza alla comunità che ti ha dato i natali.Il certificato ha la interessante caratteristica di essere trilingue: ovviamente veneto come lingua parlata dal popolo che ha dato il nome a questo territorio, poi italiano come lingua ufficiale dello Stato a cui è sottoposta la Repubblica Veneta in questo periodo storico, e anche inglese come odierna lingua franca del mondo globalizzato. L’iniziativa prende il nome di NASEST IN VENETO e anticipa la prossima, rivolta ai nuovi sposi, che sarà denominata MARIDA’ IN VENETO con altro apposito certificato trilingue. Nonostante qualche superficiale polemica fatta da chi non capisce la portata di un’iniziativa di questo tipo, l’idea del Sindaco Szumski – che l’ha realizzata a sue spese per non prestare il fianco a polemiche pretestuose - sta piacendo alla cittadinanza che ha capito come sia di grande importanza avere fin dalla nascita un’identità radicata e ben definita, per contrastare la tendenza alla strisciante omologazione e all’omogeneizzazione culturale che certe ideologie vorrebbero imporre in modo arbitrario nella nuova era storica iniziata con il fenomeno della globalizzazione. La nostra speranza è che un’iniziativa di questo tipo, aperta e includente, trovi imitatori e faccia proseliti, venendo ripetuta anche altrove. Avere dei punti fermi è quanto mai necessario in un momento storico nel quale l’uomo occidentale pare spaesato e privo di una bussola che dia la direzione. Non è sicuramente un certificato a risolvere un problema antropologico e culturale di questa portata, ma in un periodo di crisi valoriale è bello avere delle certezze cui aggrapparsi e il Sindaco Szumski ha sicuramente dato una risposta concreta e simpatica a un bisogno molto serio.

(Nella foto, il Sindaco di Santa Lucia di Piave (TV), Sig. Riccardo Szumski)

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ECCELLENZEVENETE

VENETOMAGAZINE

PADOVAN SERRAMENTI IL GIARDINO D’INVERNO

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uando il sogno diventa realtà. Un sogno tutto al femminile! In un angolo alle porte di Vicenza, in un piccolo polmone verde tipico della città, una nostra cliente ci ha incaricati di realizzare il suo “Giardino d’ inverno”: una soluzione perfetta per chi ama il senso di libertà del living out door. Il progetto è stato realizzato tenendo conto delle proporzioni rispetto all’intero edificio cercando un’armonia, un gioco di integrazione con tutto il resto. La scelta è confluita in pergola bioclimatica finemente personalizzata: particolari come la cover frontale classica che richiama la cornice del tetto,schermature solari, tenda motorizzata con sensore vento/crepuscolare con tessuto filtrante, vetrate scorrevoli: tetto e pareti fungono da e punto visivo e da fonte di illuminazione naturale. A chi non piacerebbe avere uno spazio per creare una serra d’inverno? Una parte di sogno della nostra cliente. Dopo il cercare di trovare il prodotto giusto per realizzare un sogno, la nostra azienda valorizza l’investimento “per la vita” da un’attenta valutazione e applicazione delle leggi di riferimento per ottenere le agevolazioni fiscali: sono state raggiunte soglie importanti per il risparmio energetico che ha effetti anche sull’edificio, oltre a rendere lo spazio esterno un’estensione dell’abitazione. Il giardino d’inverno può trasformare uno spazio brullo, o poco utilizzato, in un luogo dove trovare benessere, la pace dei sensi. La Padovan serramenti ti invita nella sua showroom di Montecchio Maggiore per avere maggiori informazioni. Buon sogno a chi ce l’ha!

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foto di Massimo Calmonte

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CASEIFICIO DI POSINA La società cooperativa, con sede e negozio al centro del paese, offre ottimi prodotti garantendo una filiera breve e sicura

Genuinità e tradizione per un formaggio dal sapore “dolce” Tra le ultime novità il “Blu”, leggermente piccante che ricorda il Gorgonzola Appena 600 abitanti per uno dei Comuni più piccoli del Vicentino. Ma in compenso aria buona, e paesaggi montani di grande bellezza. A Posina, piccolo centro ai piedi del Pasubio e sulla direttrice che guarda al Trentino, sia che ci si vada per un’escursione che per una cena tra amici, si può ancora trovare l’ambiente giusto per una giornata di relax, e soprattutto si possono incontrare i gusti e i sapori delle antiche tradizioni vicentine, grazie anche alla lavorazione dei prodotti che con l’ambiente alpino fanno rima: formaggi e latticini. È in questo scenario che si colloca il Caseificio di Posina, società cooperativa con sede e negozio nel centro del paese e vendita al pubblico. Una piccola realtà, si direbbe quasi di nicchia, che è in grado di offrire, proprio grazie alle sue dimensioni contenute, prodotti di alta qualità, come ad esempio il formaggio Posina e la ricotta dal sapore unico. «Il mercato del formaggio in generale è in crisi già da qualche tempo - spiega Antonio Sandonà, responsabile del caseificio - ma la nostra piccola realtà artigianale resiste bene,

Sopra, il formaggio Posina; al centro il titolare dell’azienda all’interno del caseificio

perchè i prodotti sono genuini e i clienti li richiedono, sapendo che mettiamo molta attenzione nelle lavorazioni e garantiamo una filiera breve e sicura: 7-8 soci produttori locali che forniscono il latte sul quale diamo ogni garanzia». Con una produzione tra le dieci e le quindici forme al giorno, il caseificio ha il proprio fiore all’occhiello nel formaggio Posina, prodotto stagionato 4-5 mesi e apprezzato per il suo sapore dolce e caratteristico. A questo si aggiungono gli gnocchi di ricotta, i tortellini ripieni e l’ultima novità, il Blu Posina, un formaggio leggermente piccante che ricorda il Gorgonzola. «Pur essendo una piccola

realtà - aggiunge Sandonà - abbiamo resistito alla crisi puntando sulla qualità e sulla genuinità dei nostri prodotti. E i clienti lo sanno: per questo ci premiano con i loro acquisti, in un mercato globale sempre più caotico in cui aumentano i prodotti di importazione, quelli della grande distribuzione, che però spesso sono di dubbia qualità e provenienza». Quella di Posina è una realtà che produce latte e derivati secondo le vecchie tradizioni, tramandate da padri e nonni. La famiglia Sandonà si è sempre dedicata a questa attività e oggi il Posina, formaggio che prende il nome da questa terra, è un prodotto che ha il sapore au-

tentico e l’aroma caratteristico dei formaggi prodotti con latte crudo di pascolo e l’aspetto di colore bianco, leggermente paglierino. Il Posina è un formaggio da tavola che in cucina trova un perfetto abbinamento con l’altro prodotto locale per eccellenza, le famose patate, oppure accompagnato dagli altrettanto famosi gnocchi posenati, che attirano buongustai da tutta la provincia e oltre. E infine, ancora, abbinato alla buona polenta abbrustolita alla brace. Con il formaggio locale si possono preparare gustose pietanze per tutti i gusti, come ad esempio il risotto con la crema del Posina (cuocendo il risotto con soffritto di scalogno, mantecandolo alla fine con formaggio grattugiato e una noce di burro e aggiungendo il pepe, se gradito), oppure la polenta con i porcini e il Posina fuso (trifolando i funghi in olio e uno spicchio d’aglio, stemperando un

cucchiaio di Posina nel “pignato” con liquido di cottura dei funghi e un cucchiaio di acqua bollente e mescolando fino ad ottenere una crema densa). Ricette, piacere per il palato e buon gusto per la tavola imbandita: tutti elementi importanti che aggiungono sapore al nostro vivere quotidiano. Per toccare con mano questi “ingredienti” niente di meglio che una visita sul posto, magari sfruttando una bella giornata festiva d’estate. L’occasione non mancherà. «A settembre infatti proporremo una domenica a porte aperte accogliendo i visitatori nel caseificio con degustazioni e assaggi. Ci sarà anche la possibilità di assistere alle varie fasi della lavorazione dei nostri formaggi, forse il modo migliore per conoscere una tradizione che continua nel tempo e che noi vogliamo mantenere viva» - conclude Sandonà -.

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Restauri Artistici, Pittori, Decoratori, Stuccatori, Pastellato, Marmorino La ditta Borin comm. Dino & Figlio è giunta alla terza generazione di restauratori. Usare il termine “restauro” può sembrare incompleto quando si devono conciliare scelte estetiche moderne e usare tecnologie d’avanguardia. Una tale simbiosi la si può definire in un solo modo: Arte del Restauro. È quanto la Ditta Borin riesce realizzare da sempre nei loro lavori.

comm.

In alto Portale Duomo di Vicenza

A dx particolare Chiesa di Montegaldella PD

Dino & Figlio s.n.c.

Iscritta SOA OG2 OS2

OG2 Restauro immobili sottoposti a tutela dei beni culturali e ambientali OS2 Restauro di superfici decorate e beni mobili d’interesse storico, artistico e archeologico

Alcuni dei lavori della Ditta BORIN Dino

Cattedrale di Vicenza Chiesa di Santa Maria Assunta – Marostica VI Tomba del poeta Petrarca – Arquà Petrarca PD Chiesa di Merlara PD Restauro ex convento S. Marco – Montegalda PD Chiesa di S. G. Battista – Vescovana PD

Via Macello, 1 - Posina (Vi) - Tel. 0445 748117 Via dei Ciliegi 15 - 35032 ARQUÀ PETRARCA (PD) - Tel. e Fax Uff. e Lab. 0429.777001

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Duomo di Piazzola PD


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VENETOMAGAZINE Articolo della BIBLIOTECA BERTOLIANA DI VICENZA

PONTE DI BASSANO 1748

Foto aerea di Stefano Maruzzo

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VENETOMAGAZINE PERSONAGGI VENETI

BARTOLOMEO FERRACINA Era il 19 agosto 1748 quando una terribile piena distrusse il ponte di legno, simbolo della città di Bassano e capolavoro di Andrea Palladio. L’incarico di ricostruire l’opera venne affidato ad un ingegnere autodidatta dell’epoca: Bartolomeo Ferracina. Nel marzo del 1754 la ristrutturazione del ponte fu conclusa e Ferracina, diventato famoso, divenne ingegnere idraulico per conto della Repubblica di Venezia. Una sua biografia venne pubblicata da Memmo nel 1754 coi tipi Remondini mentre Ferracina era ancora in vita, a testimonianza di come l’autodidatta fosse diventato celebre per la sua perfetta padronanza di tecnica e ingegno.

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Sempre BUON N

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ARTICOLO DI ETTORE BEGGIATO

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con Voi! NATALEÂ STORIAVENETA

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STORIA DELLA REPUBBLICA VENETA

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Fora la Lèngua DIRE E CONFORME Cuel che se someja par fora no l’è mìa senpre precixo par rento. Par exènpio, el vèneto conforme l’è divèrso da l’italian. In vèneto, conforme vol dir ‘a seconda di... in base a... ‘. Ła xe na parołeta cusita còmoda che ghe catemo gusto a dopararla dapartuto: – Bevo conforme ła sé che go – El parlar e ‘l magnar i cànbia conforme el pòsto che se va – Conforme cuando che finiso de laorar, te digo se vegno a ła riunion E par no dir senpre «conforme» de contìnuo, co ła nòstra bèła łéngua podemo anca permétarse el luso de doparar l’alternativa drio , come in: – El parlar e ‘l magnar i cànbia drio/conforme el pòsto che se va – Drio / Conforme ła rispòsta che i me dà, deçido cosa far El fato l’è che purtròpo no se pol mìa dar senpre na rispòsta ciara: ghe xe ròbe che łe depende da tanti motivi divèrsi. I Vèneti i è senpre de corsa e no i pol mìa fermarse a spiegarli tuti. Come desbrojarse? Fàçiłe. Se no te vol far ła łista dei motivi, fa de manco de dirli: dixi conforme e basta. El conforme da soło el xe insostituìbiłe par cavarse dai pie łe rispòste masa dif ìciłi: – Vientu a ła riunion? … Mah, conforme (depende dal tenpo, ła voja, łe grane che go...) – Cuanto te pàghełi al laoro? … Conforme! (łe ore, ła basa/alta stajon...) – Sito straco a ła sera? … Conforme (ła fadiga, el laoro …) In concluxion gavemo do paròłe e tre mòdi de dopararle. De fantaxia, ghen’avemo. Basta saver far ła sielta justa... conforme (o drio) ła situaçion.

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