STORIE VICENTINE N.1/2020

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Storie e Memorie del Territorio

Storie Vicentine

in edicola € 5.00

AMBIENTE TERRITORIO SOCIETA’ / STORIA CULTURA EVENTI

© Giò Tarantini

© Srefania Tognetti

Palio di Montagnana - foto di Antonio Tafuro


STORIE PRIMAVERILI

Fotografie di Stefania Tognetti

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R I V I S T A T R I M E S T R A L E D I S T O R I E E V E N T I C U LT U R A E R E P O R T A G E VIVIEDIZIONI : libri, guide e riviste

Storie Vicentine

in edicola € 5.00

AMBIENTE TERRITORIO SOCIETA’ / STORIA CULTURA EVENTI

STORIEVICENTINE

Storie Vicentine R I V I S TA C I T TA D I N A N. 1

CON IL PATROCINIO DEL COMUNE DI VICENZA

INDICE

© Giò Tarantini

© Srefania Tognetti

Palio di Montagnana - foto di Antonio Tafuro

Pubblicazione © VIVI EDIZIONI STORIE VICENTINE MAGAZINE n.1 trimestrale dell’Associazione editrice VIVI EDIZIONI Giugno 2020 In copertina Portici di Monte Berico foto di Stefania Tognetti La rivista trimestrale viene distribuita gratuitamente ai soci. Abbonamento non soci € 20 compreso spese di spedizione info@viviedizioni.eu In vendita nelle edicole del centro storico al prezzo di 5€ Collana editoriale Storie vicentine Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati VIVI EDIZIONI. Manoscritti, foto, disegni inviati alla redazione non vengono restituiti. Il © delle immagini qui proposte per gentile concessione è di proprietà degli autori. Le collaborazioni editoriali non sono retribuite

04 STORIE LETTERARIE Mario Rigoni Stern Neri Pozza

08 STORIE CITTADINE

Portici di Monte Berico La città delle 100 Torri Palazzo Trissino Baston Palazzo Franceschini Folco

16 STORIE ARTISTICHE Ubaldo Oppi

22 STORIE ILLUSTRI Associazione editrice VIVI EDIZIONI Corso Palladio, 179 0444.327976 Abbonamenti: vivi@viviedizioni.eu www.viviedizioni.org

Giacomo Zanella 1820 Calendario Eventi Alessandro Rossi Mostra a Schio Alessandro Massaria Ai tempi della peste CULTURA VICENTINA

36 STORIE DI AZIENDE ue@gmail.com

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Cantine Dal Maso Il Gruppo Brazzale SI DI FOTOGRAFIA BASE PRINCIP STORIE URBANE I locali di ritrovo dell’Ottocento L’Ippodromo del 1869

46 STORIE PERDUTE/RITROVATE La Seriola Il caffè Moresco

50 STORIE EPICHE Pigafetta 1520: 5 mesi in Patagonia

56 STORIE PASSATE/ FUTURE

La famiglia Trissino L’eredità dei coloni Cimbri Il CotoRossi La famiglia Trissinoinformazioni: vicenzav SI DI FOTOGRAFIA BASE PRINCIPIANTI 3


STORIE LETTERARIE

Mario Rigoni Stern

STORIEVICENTINE

“Scopri il paesaggio che ti circonda, ascolta il cinguettare degli uccelli.

Solo così potrai dire di aver vissuto veramente”

Fotografie diAntonino Firriolo - Cascate Val Civetta a Lastebasse (VI)

“Mai come oggi l’uomo che vive in Paesi industrializzati sente la mancanza di «natura» e

la necessità di luoghi: montagne, pianure, fiumi, laghi, mari dove ritrovare serenità ed equilibrio; al punto che viene da pensare che la violenza, l’angoscia, il malvivere, l’apatia e la solitudine, siano da imputare in buona parte all’ambiente generato dalla nostra civiltà. (Mario Rigoni Stern - dalla nota pubblicata in Uomini, boschi e api)

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CULTURA VICENTINA


STORIEVICENTINE

CULTURA VICENTINA

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STORIE LETTERARIE

STORIEVICENTINE

Neri Pozza

La sua scrittura ci porta a conoscere i palazzi e le contrade che custodiscono il genius loci, la vera identità di Vicenza ben oltre la facciata palladiana.

“L’uomo dovrebbe vivere in una città che gli somiglia...eppure vi sono uomini di

intelligenza non volgare che vivono tutta una vita in una città senza averla mai guardata in faccia. Non conoscono il tessuto delle piazze, il percorso dei fiumi, la struttura e la bellezza delle case e delle piazze, il disegno dei giardini. (Neri Pozza)

Fotografia con drone di Shawn Renaud

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CULTURA VICENTINA


STORIEVICENTINE

N

eri Pozza (Vicenza 1912 - 1988) nasce come artista: si dedica alla scultura, presso la bottega del padre, e apprende le tecniche dell’artigianato artistico alla scuola d’ Arte e Mestieri di Vicenza. Deve in seguito la sua fama all’arte incisoria; infatti è considerato come uno degli acquafortisti più importanti del Novecento italiano, le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Giunge alla letteratura in un secondo momento, con articoli e racconti; l’atto della scrittura in Pozza è finalizzato alla trasmissione della memoria civile e politica, di vicende private e intime che divengono

esempio per la collettività. Ma è probabilmente l’esperienza di editore chiave di volta che sostiene e conchiude tutti i suoi intenti. Ossia, attraverso un’editoria di alta qualità, riesce a coniugare l’arte, l’attività imprenditoriale e la scrittura. Pozza investe tutte le sue competenze e le sue attenzioni nel seguire il processo di pubblicazione dei libri: interviene direttamente sui testi, sceglie in prima persona l’impostazione grafica, ovvero cura il progetto editoriale da diverse prospettive e con la passione dell’artigiano. Il libro per Pozza è al contempo opera d’arte e documento di vita civile. (Giulia Basso) “Dietro lo straordinario affetto di Pozza per la sua città, c’è un porgetto di maturazione artistica. Pozza vuole raccontarsi attraverso la conoscenza ravvicinata di un ambiente che sente congeniale perchè ha limiti precisi, dei contorni netti, riconoscibili. Non si può fuggire da ciò che si è. Il piccolo mondo contiene la radice primaria, il senso stesso del nostro esistere, la ragione di una ispirazione che ha bisogno di quel taglio di luce o di quell’angolo di strada per toccare terra e chiudere il cerchio della sua ricerca” (Marco Cavalli, curatore del Diario di Neri Pozza)

Fotografia con drone di Shawn Renaud CULTURA VICENTINA

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STORIE CITTADINE

I portici di Monte Berico (1746)

La storia di un’opera straordinaria progettata dall’Arch. Muttoni. Il nuovo libro di Luciano Parolin.

(Per prenotare il libro scrivere a info@viviedizioni.eu)

“Ho lavorato due anni per regalare a Vicenza una delle Storie più

affascinanti la salita al Colle Berico percorrendo una Strada Berica che non ha eguali in Italia o all’Estero. Vicenza, tutta presa dalla Basilica e

Olimpico, dimenticando o trascurando seicento anni di devozione popolare alla Madonna, ha dimenticato che la nostra città Vicenza, non è solo Palladio. Considerando la costruzione dei portici di una genialità

“leonardesca” non me la sono sentita di scrivere una prefazione al libro,

lasciando a Francesco Formenton la descrizione dell’opera datata 1857.” Luciano Parolin.

Foto di Gianluca Rigon

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CULTURA VICENTINA

STORIEVICENTINE


STORIEVICENTINE

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’ forse conveniente il dire alcune parole dei portici comodi e regolari che fuori di Porta Lupia ascendono sul Colle Berico dal palagio crcano fino al Tempio. Questi portici sono divisi in due grandi rami o rampe, e queste formate da 45 piani inclinati ed interposte cappelle orizzontali. Sono in complesso 168 archi a tutto sesto, con pilastri di pietra verso lo stradale, mentre al lato opposto gli archi sono chiusi da muro. Le due rampe sono lunghe m. 690. I portici hanno la larghezza di m. 4.00, e tutti lastricati con pietra dura dei Colli Euganei. L’ opera è di ordine toscano: le modanature non sono sempre di buon gusto, ma la complessiva costruzione fu abilmente condotta dall’architetto Muttoni; e noi ammiriamo questo lavoro, sì bell’ardimento degli avi nostri, e abbisognò anche aprire un’ampia via lungo il monte. Negli archi sono indicate le famiglie e le corporazioni che sostennero la spesa di questi portici con molta sollecitudine fabbricati. Io non so se al tempo nostro (siamo nel 1856) si farebbe a Vicenza quest’ opera.......... Che abbiamo noi fatto di grande nel secolo XIX, secolo gigante?, pure qualche edilìzio venne costruito . . . nè mancano glì’ ingegni. La salita pei detti portici è gioconda per estese e svariate vedute prossime e lontane: vi si presenta anche la rinomata Rotonda, che da ricco e generoso signore attende quel ristoro che meritano le opere del genio. Rimane da costruire la via suddetta lungo i portici nella parte a ghiaia. I figli nostri vorranno forse che il parapetto al lembo esterno della strada percorra continuo, abbattendo le lievi cime di colle, che ora tolgono per molta parte le rallegranti viste di piani, di monti, caseggiati, villaggi e città. Sentimenti religiosi e nobili hanno inspirato a’ padri nostri queste opere egregie, che sono ammirate da chiunque ha gusto per le arti belle: giacché volle fortuna, che pur le fabbriche posteriori all’Arco primo, cioè il Tempio nuovo che sulla vetta del Colle si elevò nel secolo XVII, ed i portici nel XVIII, non siano che leggermente affetti di quel barocco che avea già invase le nazioni: tanto il buon gusto e lo splendore qui diffuso dai grandi maestri dell’arte valsero a conservarne lo stile buono quasi intatto nella sua purezza. Francesco Formenton, “I portici di Vicenza e le case malsane” (1857)

Veduta di Cristoforo Dall’Acqua , 1750 circa

Foto di Maria Teresa Brogliato

Foto di Gianluca Rigon CULTURA VICENTINA

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STORIE CITTADINE

La città delle100 torri

STORIEVICENTINE

Torre Coxina e Torre dei Loschi

Nel 1200 al suo interno la città era ricca di fortificazioni.

Ne aveva cambiato l’aspetto l’arrivo delle famiglie feudali, che preferivano la vita cittadina a

quella dei castelli di campagna, ma che in città vivevano allo stesso modo, in un clima di rivalità, di competizione e di reciproca difesa. Secondo il cronista Giambattista Pagliarino, che scriveva qualche secolo più tardi, le case-torri sarebbero state più di cento. Ne sono rimaste ben poche.

Fotografia di Tiziano Casanova

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CULTURA VICENTINA


STORIEVICENTINE

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agli Statuti patavini del 1275 il castello risulta custodito da un capitano e quattro armigeri ed un arsenale militare. L’ultimo scontro con i padovani avvenne nel 1404 al Ponte Pusterla, proprio in quell’anno Vicenza, si diede alla Serenissima Repubblica per intercessione del conte Gianpietro De’Proti e suo nipote. Nel 1311 la signoria Carrarese fu sostituita dagli Scaligeri Signori di Verona 1380 circa, i quali spostarono ad ovest la difesa della città con Porta Santa Croce, La Rocchetta, Porta Castello, pertanto il complesso difensivo di San Pietro non era più necessario. La possente costruzione, perduta l’importanza, mutò la sua destinazione e sui muri furono aperte finestre e portali. Il Castello era circondato da mura con camminamenti in pietra per le guardie, il tutto completato da una torre ancora esistente, usata come carcere detta Coxina e da Ambrogio Fusinieri come osservatorio astronomico, durò sino al 1944. Nel 1474 le carceri andarono a fuoco con qualche distruzione. Nel 1579 l’Accademia Olimpica acquistò tutto il complesso per costruire il Teatro Teatro Olimpico progettato da Andrea Palladio. Durante il dominio Veneziano il Palazzo fu caserma per le milizie territoriali come Santa Barbara per deposito armi

e munizioni con l’officina dell’armeria (i simboli sono ancora visibili sui muri).

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l nome Loschi è forse di origine germanica da cui Losk = cuoio, resistente oppure dal latino Luscus cioè cieco da un’occhio (monocolo). Con diploma datato 22 agosto 1426, l’imperatore Sigismondo, re dei romani e d’Ungheria concedeva ad Antonio Losco il titolo di conte del Sacro Palazzo Lateranense. Nell’anno 1510 la famiglia Loschi aveva sedici posti nel consiglio dei nobili della città, aveva rappresentanti nel collegio dei Giudici. Nel 1557, Lodovico Pico signore di Mirandola e Concordia, ammetteva la famiglia Loschi tra la nobiltà del suo casato. Dal re di Francia la famiglia ebbe il privilegio di inquartare lo Stemma con i gigli, tale privilegio fu confermato con Risoluzioni Sovrane 11 marzo 1820, 29 settembre 1824, 2 giugno 1829. Loschi Antonio pubblicò nel 1397 l’Invectiva in Florentinos un manifesto politico contro Firenze in guerra con Milano. Il Loschi dopo l’ingresso di Vicenza nella Repubblica Veneziana, abbandonò gli incarichi nelle corti, mettendosi al servizio della Serenissima.

Fotografia di Tiziano Casanova CULTURA VICENTINA

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STORIE CITTADINE

Palazzo Trissino Baston ranza è stata intitolata a Luciano Rainaldi, esponente di spicco del Partito Comunista Italiano; la sala delle minoranze è stata intitolata a Gabriele Collese, esponente del MSI; la sala stampa è dedicata alla memoria di Antonio Dal Sasso, consigliere e assessore comunale, nonché sindaco del capoluogo dal 1958 fino alla morte nel 1962. La sala dedicata alle conferenze stampa è stata intitolata a Giovanni Chiesa anch’egli prima assessore e poi sindaco di Vicenza dal 1975 al 1981.

Sala del Consiglio Comunale

Visite guidate: sono previsti gruppi di max. 20 persone Informazioni e adesioni: Ufficio di Presidenza del Consiglio comunale dal lunedì al venerdì - ore 9 - 13

organizza

Loggia del Capitaniato

telefono: 0444.221327

COMUNE DI VICENZA

in occasione di “Bentornata Primavera”

Detta anche “Sala Bernarda”, dal nome di Giovanni Battista Bernardo, il capitano della Serenissima Repubblica che volle l’edificazione della nuova loggia. Il salone superiore ospita le riunioni del Consiglio comunale. Lo si raggiunge da uno scalone d’onore al quale si accede dal portico del piano terreno. Il soffitto del salone, a cassettoni alla ducale, contiene tele di Gian Antonio Fasolo, allievo del Veronese, che rappresentano scene di storia romana. Tra giugno 2010 e gennaio 2012 la sala consiliare è stata oggetto di importanti lavori di ristrutturazione. L’arredo, completamente sostituito, è stato progettato dall’architetto spagnolo Salvador Perez Arroyo. La ristrutturazione della sala ha interessato anche il soffitto e le nove grandi tele del cassettonato ligneo.

La Loggia dei Capitaniato si affaccia sulla Piazza dei Signori ed è collegata dall’interno a Palazzo Trissino. Venne realizzata nel 1572 su progetto di Andrea Palladio, come nuova loggia annessa alla residenza del Capitanio, il rappresentante della Serenissima Repubblica in città. L’esito fu grandioso, benché incompiuto (il fronte principale avrebbe probabilmente dovuto estendersi per altri due o quattro archi). La facciata sulla piazza presenta quattro monumentali semicolonne corinzie di ordine gigante che scandiscono tre arcate sormontate da balconi e sorreggono un attico a balconata. I materiali utilizzati, creando una suggestiva bicromia, sono il mattone non intonacato e la pietra. Sul lato destro dell’edificio, quello che si affaccia su contrà del Monte, venne realizzato un arco di trionfo celebrativo in ricordo della battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, quando una flotta di 208 navi armata dal re di Spagna Filippo II e guidata dai veneziani Sebastiano Venier e Agostino Barbarigo, sconfisse in un terribile scontro le 290 navi dell’esercito turco.

STORIEVICENTINE

Ore 9.00 - 10.00 - 11.00

ritrovo dei partecipanti in contrà Cavour. La chiamata dei gruppi sarà effettuata 5 minuti prima della partenza. Sono previsti gruppi di max. 20 persone

Storie Vicentine Porte Aperte a Palazzo Trissino

Informazioni e adesioni Ufficio di Presidenza del Consiglio comunale dal lunedì al venerdì - ore 9 - 13 - telefono: 0444.221327 in collaborazione con Associazione Vivi Vicenza e Gruppo La Rua Vicenza

Domenica 18 Marzo 2018 dalle ore 9 alle 12

Nell’area dove sorgeva il palazzo del conte Achille Trissino, giureconsulto, il nipote Galeazzo visita guidata e gratuita Visita guidata ad alcuni spazi rappresentativi di Palazzo Trissino: la visita inizierà con l’ingresso dal cancello di contrà Cavour, il Cortile, lo Scalone d’onore, la Sala degli Stucchi, la Sala della Giunta comunale, il Salone della Segreteria Generale o “Sala del caminetto”, la sala del Consiglio comunale “Sala Bernarda”, lo Scalone e la Loggia del Capitaniato.

della Sede Municipale nel 1588 commissionò a Vincenzo Scamozzi la costruzione di un nuovo elegante edificio,

visti i bei risultati ottenuti dall’architetto vicentino col Palazzo Trissino al Duomo, terminato 10 anni prima. L’edificio fu decorato da Alessandro Maganza e Andrea Vicentino nei primi anni del XVII secolo

Una veduta del palazzo di Tommaso Moro 12

CULTURA VICENTINA


STORIEVICENTINE

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el 1880, il Municipio della nostra città doveva essere ampliato. Il Comune, nel 1901, procedeva all’acquisto di Palazzo Trissino Baston, opera di Vincenzo Scamozzi, pagando al suo proprietario il conte Antonio, la somma di Lire 60.000. Nel 1906, il Palazzo fu adattato a sede municipale e collegato con la Loggia del Capitaniato. Con la demolizione del 1925 il vasto isolato compreso tra Corso Palladio, contrà Cavour, Piazza dei Signori, contrà del Monte risultò tutto di proprietà comunale e riservato agli uffici del Comune. L’area era anticamente chiamata Corte del Podestà perchè era la sua residenza. In data 1° aprile 1879, il Comune deliberava di riunire in un’unica sede i diversi uffici giudiziari della Corte d’Assise, Tribunale Civile e Correzionale, Preture di mandamento e altro. Il progetto del palazzo fu elaborato dall’ing. comunale Dalla Vecchia, tuttavia non ricevette il nulla osta ministeriale. Intervennero quindi gli onorevoli Senatori cittadini Luigi Cavalli, Fedele Lampertico, Paolo Lioy, Giovanni da Schio, Antonio Fogazzaro, che invitarono la Giunta a proseguire nei lavori. Nel 1880 la riunificazione degli uffici era cosa fatta: Adunanze del Consiglio Comunale in Sala Bernarda, Ufficio per il Sindaco, Stanza per celebrazione dei matrimoni, Residenza per la Giunta, Anagrafe, Veterinario, Abitazione del custode e... il dormitorio per gli accenditori delle pubbliche lanterne Il cortile è ancora più severo con le sue

colonne di ordine tuscanico e un ballatoio che corre lungo tutta la facciata, abbellito da una ringhiera sporgente fatta di nastri di ferro battuto. In una loggia si trova il monumento a Sebastiano Tecchio (1807–1886), statista e patriota onorato dalla sua città con un busto inizialmente collocato nella Loggia del Capitaniato, trasferito in Palazzo Trissino nel 1938 e posto nel sito attuale nel 1953. Il bassorilievo del piedistallo ripropone il Tecchio a Venezia che da Palazzo Ducale legge alla folla assiepata nella adiacente piazzetta i risultati del plebiscito del Veneto del 21- 22 ottobre 1866 che sancì l’unione col Regno d’Italia. In cortile vi è anche una lapide in onore dei deputati vicentini caduti nella guerra del 1915-18 e un curioso campione per la misurazione dell’altezza dei cavalli, fatto realizzare da Ludovico Trissino nel 1775. Salone degli Stucchi L’ambiente più vasto e prestigioso del palazzo era caratterizzato da un soffitto seicentesco e da bellissimi stucchi e affreschi. Dopo l’incendio conseguente al bombardamento del 18 marzo 1945 gli stucchi di Antonio Pizzocaro e Giambattista Barberini e gran parte dei dipinti di Lodovico Dorigny sono andati distrutti. A guerra conclusa vennero ripristinati gli stucchi ma gli affreschi (non più recuperabili) vennero sostituiti da tele seicentesche provenienti dalla Villa Negri de’ Salvi di Albettone. CULTURA VICENTINA

Il grande lampadario e le applique alle pareti sono opera di maestri vetrai di Murano. Essendo l’ambiente di rappresentanza e di accoglienza, la decorazione della sala è particolarmente ricca e anche gli accessi alle stanze circostanti sono decorati da statue, fregi e stucchi realizzati da Giambattista Barberini. Il Salone degli Stucchi viene utilizzato per convegni e concerti e per le celebrazioni dei matrimoni civili. Sala di Santa Savina Detta anche Sala della Giunta, proprio perché è la sala dove si riunisce la Giunta comunale, è caratterizzata nel lato orientale da una tela seicentesca che rappresenta San Vincenzo (per lungo tempo l’unico patrono della città) con il modellino della città di Vicenza. Il dipinto viene attribuito a un giovane Francesco Maffei (1605-1660). La sala è decorata da un fregio realizzato attorno al 1665 da Giulio Carpioni (16131678), che riporta le fasi salienti della vita di Savina Trissino. Il ciclo affrescato venne danneggiato dai bombardamenti del 1945, ma è stato ben restaurato nel 1957 a monocromo, grazie all’aiuto di una precedente documentazione fotografica. Questa sala è stata recentemente intitolata a Luigi Faccio, il sindaco che venne destituito dal regime fascista e ricollocato dopo la Liberazione. (visita guidata di Luciano Parolin) 13


STORIE AZIENDALI

STORIEVICENTINE

Intervento di riqualificazione

Ultimato l’intervento della sostituzione degli infissi, questa

residenza estiva è pronta per accogliere la nuova generazione della famiglia Pesamosca, una delle famiglie storiche per lo sviluppo turistico di Chiusaforte (Udine).

Via Molinetto, 12 Montecchio Maggiore (VI) tel. 0444.698250 www.serramentipadovan.it

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 Â?Â? Â?Â? ­Â€ ‚ ( ) Una veduta dell’edificio dopo il restauro ƒ  Â„„„ Â?…†Â?€ Âƒ ‡ @ˆ ‰ Š ƒ ‹‹‹ƒˆ ‰ Š ƒ 14

CULTURA VICENTINA


ECCELLENZEVICENTINE A Chiusaforte i fratelli Martina e Pesamosca costruirono alberghi degni di un elitario turismo. Ci troviamo nella valle del Canal del Ferro, teatro di azioni e decisioni politiche di imperatori e patriarchi. Doveroso è un breve excursus che ci porta a sorvolare una terra selvaggiamente naturale e ricca di acqua: alpi cime montagne imponenti e più di 100 rii che alimentano cascate periodiche e perpetue per arricchire il Fella e dissetare la flora e la fauna. Percorrendo la strada Pontebbana verso Tarvisio (via di comunicazione riconosciuta come via di importanza nazionale) il fiume Fella, con il suo tipico colore azzurro nei momenti di quiete, ci accompagna con i suoi percorsi a zig zag; osservandolo rievoca emozioni arcaiche, frutti del legame intrinseco che tutti gli esseri viventi hanno con l’acqua. Ricca di storia più e meno felice, Chiusaforte, è un paese percorso dalla ciclovia Alpe Adria lunga 410 km che porta dalle alpi al mare sconfinando nel territorio austriaco sulla traccia dell’ex ferrovia, dalla

vocazione turistica dal tardo 1800 meta privilegiata da scrittori, nobili e media borghesia. Una particolare situazione cito con interesse: l’organizzazione e la promozione di una colonia elioterapica. Agli inizi del 1900, in epoca fascista, in Chiusaforte nasce la la colonia elioterapica di Chiusaforte avente ospiti i bambini come luogo per fare prevenzione e cura di patologie infantili, previste anche attività ludico sportivo svestendo così la condizione triste di ospedale; benessere ed equilibrio psicosomatico lo chiamiamo oggi. Torniamo in via Culturis, sede del nostro intervento. I committenti scelgono infissi altamente prestanti nel risparmio energetico progettati per aumentare il comfort interno in relazione alla gestione della luce naturale. Il risultato è la riqualificazione energetica ed estetica di un edificio del 1900 mantenendo il fascino e alcune particolarità socio-culturali. (Intervento realizzato da Padovan Serramenti nel 2020)

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STORIE ARTISTICHE

STORIEVICENTINE

Ubaldo Oppi

Due conferenze sul gruppo Novecento Nel 130°anniversario dalla nascita di Ubaldo Oppi l’associazione BOLArt ha organizzato un

ricco calendario di appuntamenti – programmati da gennaio ad aprile 2020 come “Eventi fuori

museo”– per celebrare l’artista vicentino, ma di origini bolognesi, che nel nostro territorio si è

espresso nella pittura da cavalletto e nelle grandi superfici murarie affrescando nel 1930-31 la cappella dedicata a San Francesco presso la Basilica di Sant’Antonio a Padova e nel 1933-35 la chiesa arcipretale di Bolzano Vicentino.

di Saul Costa

Mario Sironi

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CULTURA VICENTINA


STORIEVICENTINE

“EVENTI FUORI MUSEO”: DUE CONFERENZE SUL GRUPPO NOVECENTO, UBALDO OPPI E GIAN MARIA LEPSCKY PRIMA CONFERENZA IL GRUPPO NOVECENTO E UBALDO OPPI Rilanciare e rinnovare il concetto di cultura intesa come bisogno per la crescita intellettuale e morale della società, vissuta come esperienza comunitaria, concepita come momento di valorizzazione dell’individuo e promossa come investimento educativo per le nuove generazioni. Associazione BOLart Via Zuccola, 48 Bolzano Vicentino

H

o ritenuto doveroso iniziare la lectio dedicando un panorama alle Avanguardie del ‘900, dall’Espressionismo tedesco al Cubismo, dal Futurismo al Surrealismo, passando per la Metafisica, illustrandone gli artisti maggiormente rappresentativi unitamente alle loro opere più emblematiche come, ad esempio, Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso e Le Muse inquietanti di Giorgio De Chirico al fine di contestualizzare i protagonisti della serata nello scenario di inizio secolo, rivoluzionario dal punto di vista artistico e culturale poiché esso ha determinato definitivamente il declino dei canoni imperanti fino all’Impressionismo relativi a forma, spazio, tecnica, supporti e dimensioni. Il gruppo Novecento nasce nel 1922 a Milano, da sempre illuminata capitale industriale proiettata verso il progresso tecnologico-scientifico e culturale dei centri europei più all’avanguardia, per opera di Margherita Sarfatti, donna di profonda cultura e intelligenza, giornalista, scrittrice, critica d’arte nonché ricercatrice di talenti e intellettuale fautrice della nascita della cosiddetta “arte fascista” che propugna un nuovo primato della pittura italiana, memore dei fasti dell’antica tradizione umanistico-rinascimentale. Loro punto di aggregazione è la Galleria Pesaro, fondata nel 1917 a Milano da Lino Pesaro e ora sede del Museo Poldi Pezzoli, dove nel 1923 i sette artisti allestiscono la prima mostra: Pietro Marrusig, Gian Emilio Malerba, Leonardo Dudreville, Mario Sironi, Anselmo Bucci, Achille Funi e Ubaldo Oppi. Già nel 1924, però, il gruppo si riduce poiché Oppi si presenta per conto proprio alla XIV Biennale di Venezia, esponendo in un padiglione tutto suo dal momento che il genio, ribelle e anticonformista, non riesce a limitare la sua originalità entro gli schemi precostituiti e imposti dai compagni coi quali entra dunque in contrasto. Il gruppo Novecento trae nutrimento dagli artisti Primitivi italiani prendendo spunto – a partire in verità da Giotto– da Piero della Francesca, Masaccio e Beato Angelico per quanto attiene il rigore della forma, i colori pregnanti, la geometria e la prospettiva, nonché la tecnica tradizionale della pittura a tempera. Dei sette artisti sono state analizzate le opere più significative, con speciale riguardo a quelle presenti nella mostra “Ritratto di donna. Il sogno degli anni Venti e lo sguardo di Ubaldo Oppi” che sarà ospitata fino al 3 Maggio presso la Basilica Palladiana di Vicenza. Del gruppo, due artisti sono degni di nota per la loro poliedrica originalità: Mario Sironi, considerato da Picasso – se pur di ideologia contrapposta– il più grande pittore italiano esprimente plasticità delle forme, solidità e richiamo all’architettura e CULTURA VICENTINA

Ubaldo Oppi, Autoritratto

Margherita Sarfatti

Mario Sironi

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STORIE ARTISTICHE

STORIEVICENTINE Achille Funi che, ripensando in chiave moderna l’antico, apre finestre rinascimentali su un paesaggio urbano contemporaneo in trasformazione e richiama, inoltre, elementi caratteristici dell’estense città natale come, ad esempio, le ceramiche graffite. Dal gruppo, tuttavia, emerge in maniera prepotente la figura di Ubaldo Oppi, uomo intellettualmente libero oltre che consapevole della superiorità delle proprie doti artistiche affinatesi alla scuola di Klimt e al crogiuolo della capitale francese. Nato a Bologna nel 1889, nell’infanzia si trasferisce con la famiglia a Vicenza dove vivrà per tutta la vita e da dove partirà per lunghi viaggi formativi nelle capitali europee quali Vienna e Parigi oltre che nei Paesi dell’Est. Persona carismatica e di viva intelligenza, a Parigi è introdotto da Gino Severini nell’élite culturale formata da artisti quali Modigliani, Matisse e Picasso. Uomo di bell’aspetto, fa innamorare Fernande Olivier, già modella e amante di Picasso, che poserà per lui e abbandonerà il compagno. I due quadri di Fernande ospitati nella Basilica Palladiana la rappresentano come femme fatale di rosso vestita, la cui personalità prorompe dallo sfondo grazie all’atteggiamento, allo sguardo e alla mise rigorosamente à la mode.

Donna con abito rosso, 1913. Museo Civico di Modena.

I dipinti raffiguranti la moglie Adele sempre in abito blu-azzurro, invece, appartengono ad un periodo successivo, dove l’artista ha raggiunto un grado di rappresentazione minuzioso che emerge nel complesso attraverso dei dettagli pittorici creando l’atmosfera tipica del lirismo magico, accentuato dall’ambientazione lagunare veneziana. Da questi dipinti e dai numerosi altri presi in considerazione si nota la passione di Oppi per la ritrattistica, soprattutto riguardante profili femminili immersi nel paesaggio montano, tanto caro all’artista. In altri, invece, i soggetti –ragazze che mettono in evidenza l’emancipazione di genere attraverso lo studio– dialogano con figure appartenenti alla tradizione scultorea classica o del primo rinascimento. La lezione si è conclusa illustrando i grandi nudi femminili di Oppi confrontandoli, oltre che con gli autori a lui contemporanei, coi famosi dipinti di scuola veneta. Emerge prorompente, nel trattare questo tema sempre attuale nella tradizione iconografica italiana, la carica erotica delle forme morbide e sinuose, delle pose invitanti e dei dolci cromatismi di una sensuale plasticità.

Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia, 1921.

Nudo femminile (Allegoria della Musica), 1927

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SECONDA CONFERENZA UBALDO OPPI E GIAN MARIA LEPSCKY: DUE ARTISTI A CONFRONTO SUL TERRITORIO Dei due artisti ho preso in esame in modo dettagliato i grandi affreschi presenti nelle chiese rispettivamente di Bolzano Vicentino e Lanzè, progettate entrambe dall’architetto Ferruccio Chemello, iniziando l’analisi dalla loro struttura architettonica, esterna e interna, neoromanica la prima e neorinascimentale la seconda. Fautore e regista della spinta all’innovazione artistica di quel periodo è stato il vescovo vicentino di origini pavesi Ferdinando Rodolfi, grande intenditore d’arte nonché estimatore di valenti artisti, al servizio del rinnovamento spirituale attraverso ritrovate forme essenziali e un cerimoniale che fosse sintesi di antica tradizione e moderno linguaggio. Figure importanti per il sostegno ai due pittori rispettivamente nel 1933-35 e 1948-51 sono state, altresì, quelle dei parroci don Albano Dovigo e don Rosalio Grolla. Ho dunque messo a confronto Oppi, partendo dalle sue prime committenze ecclesiastiche, come ad esempio la pala di San Venanzio nel Duomo di Valdobbiadene, CULTURA VICENTINA


STORIEVICENTINE

Lepscky, Angelo (particolare) chiesa di Lanzè

Oppi, L’Arcangelo Michele, chiesa di Bolzano Vicentino

passando per la cappella di San Francesco presso la Basilica del Santo a Padova, fino al ciclo di Bolzano Vicentino con il Lepscky di Lanzè, tralasciando altri pregevoli lavori di soggetto religioso dell’artista veneziano. Mentre per quest’ultimo, ad eccezione della figura del Padre eterno, non possiamo utilizzare i cartoni preparatori mal conservati o andati distrutti, per Oppi ho potuto raffrontare i disegni, conservati in parte nella Sala Consiliare ora finalmente Galleria Municipale di Bolzano Vicentino e in parte presso il Museo Diocesano di Vicenza, con la realizzazione pittorica sulle pareti murarie. Per quanto riguarda Apostoli ed Evangelisti, il confronto tra disegno a carboncino, molto più diretto, e affresco, più lineare, mette in evidenza le fasi del lavoro del pittore nonché la sua predilezione per la ritrattistica dove l’espressività dei volti e il dettaglio delle mani sottolineano il suo straordinario talento artistico. Degne di nota sono, in particolare, le commoventi fisionomie dei due frati San Francesco e Sant’Antonio, collocati sopra le porte delle navate laterali sinistra e destra. La Presentazione di Gesù al tempio, situata nell’arco trionfale, vede la rappresentazione del vescovo Rodolfi e di don Albano Dovigo, il primo nelle vesti di sommo sacerdote e l’altro di diacono mentre l’accolito è il ritratto dell’amico architetto Lino Cozza, scomparso durante i lavori di decorazione della chiesa arcipretale. Il san Giovannino, invece, ha le fattezze dell’amatissimo figlio Guido all’età di sei anni, ora anziano ingegnere residente a Milano. Mentre il soffitto di Lanzè è affrescato sui riquadri incorniciati con le figure delle Virtù, la Salita al cielo di Maria e l’Incoronazione della Vergine, nella chiesa di Bolzano Vicentino, invece, nel

realizzare simboli cristologici Oppi utilizza una soluzione molto interessante perché al contempo economica, rapida e altamente innovativa per l’epoca, dipingendo su pannelli di ERACLIT – materiale recentemente brevettato– che vengono intonacati, dipinti e successivamente appesi alla struttura. Il confronto dei due catini absidali evidenzia la figura del Cristo, più terreno e ieratico quello di Oppi, più dolce ed etereo quello di Lepscky. Interessante la profondità dei cieli, più chiara la prima che rievoca, nel profilo delle montagne, l’alba, più intensa la seconda che cita palesemente il collega. Da sottolineare le figure umane ivi presenti: due pastori, doppio autoritratto per Oppi e mamma con bambino e contadino per Lepscky, tutte in abiti contemporanei agli autori. Ulteriore similitudine tra i suddetti artisti è la rappresentazione nei paesaggi delle due chiese: l’arcipretale di Bolzano Vicentino nel catino absidale di Oppi, quella di Lanzè nello sfondo dell’Annunciazione presso l’altare dedicato alla Vergine Maria. Mentre, in generale, le figure sono più curate, espressive e plastiche per Oppi, gli angeli sono per entrambi gli artisti soggetti potenti e di straordinario impatto emotivo: legati alla tradizione iconografica quattrocentesca gli Arcangeli di Bolzano Vicentino, di umana bellezza desunta dai volti paesani gli angeli di Lanzè. Il raffronto tra i due artisti è stata per me preziosa occasione di ricerca personale al fine di valorizzare entrambi e farli conoscere ad un pubblico più vasto, ma anche di divulgare la loro opera per rivalutarli e far comprendere la ricchezza artistica –sempre attuale – del nostro straordinario territorio. Saul Costa

CULTURA VICENTINA

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STORIE ILLUSTRI

Giacomo Zanella

STORIEVICENTINE

Bicentenario della nascita del grande poeta vicentino

calendario eventi: www.giacomozanella.it www. blog.comune.chiampo.vi.it Quest’anno ricorre il bicentenario della nascita di Giacomo Zanella, poeta, sacerdote,

educatore, patriota nato a Chiampo (VI) il 9 settembre 1820 e morto a Cavazzale-Monticello Conte Otto (VI) il 17 maggio 1888. Fu una delle figure più rappresentative della cultura

italiana a Vicenza, che non confuse mai come esibizione intellettualistica, ma con umiltà propose a quanti lo avvicinavano e a coloro che conobbero la sua opera.

Il Villino Zanella di Monticello C. Otto

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STORIEVICENTINE

G

Tomba di Giacomo Zanella, Chiesa di San Lorenzo a sinistra: Statua a Giacomo Zanella Piazza S. Lorenzo

iacomo Zanella nasce a Chiampo il 9 settembre 1820, proprio nella via che oggi porta il suo nome. Dopo le scuole elementari, il padre, intuite le doti del figlio, inscrive Giacomo nel Ginnasio Comunale di Vicenza. Ma successivamente, Giacomo sente il bisogno di coltivare il presentimento di una vocazione e di saggiarne l’autenticità. Entra così nel Seminario vescovile. In questi anni inizia i suoi approcci con la poesia, che ha come tema avvenimenti limitati all’ambiente in cui il poeta vive, soprattutto di natura politica. Viene poi ordinato sacerdote il 6 agosto 1843. Ai dieci anni trascorsi come alunno nel Seminario, se ne aggiungono altri dieci come insegnante di lettere e filosofia. Nel frattempo segue gli studi universitari presso Padova, conseguendo con lode nel 1847 la laurea in filosofia. D’estate torna a Chiampo, dove incontra con don Paolo Mistrorigo, anche lui di Chiampo, professore nel Liceo di Vicenza. I due si dilettano in disquisizioni letterarie, poetiche e politiche. Condividono il comune convincimento che la soluzione al problema dell’occupazione austriaca coincida con quella di una guerra combattuta sotto la monarchia sabauda. Nel 1850 lapolizia austriaca inizia la sua azione inquisitrice, e cerca i testi delle prediche tenute da Zanella nella chiesa di S. Caterina, senza riuscire a trovarli. Ma ricorre comunque a qualsiasi mezzo per disturbare la sua attività di insegnante. Alla fine, Giacomo abbandona il Seminario per non coinvolgere nella persecuzione politica altri insegnanti. Nel 1864 compone due delle più famose poesie, mostrando il suo talento artistico: La conchiglia e La veglia. Nel 1866 il Veneto è annesso al Regno d’Italia, e il 1° ottobre anche a Chiampo si celebra l’avvenimento. Non può certo mancare Giacomo, «il più illustre cittadino, il patriota impavido». Viva è però l’assenza di un personaggio che tanto ha operato per vedere la riunificazione italiana: don Paolo Mistrorigo, mancato quindici anni prima. CULTURA VICENTINA

Zanella diviene poi professore ordinario di lettere italiane alla facoltà di Lettere di Padova, dove viene innalzato più tardi alla dignità di rettore magnifico. Nel 1870 vende la casa natale per comprare un palazzo di fine 1700 a Vicenza. Il 9 gennaio 1878 si spegne Vittorio Emanuele II. A lui vanno i versi In morte del Re d’Italia, pubblicati nella Nuova Antologia. Il 17 febbraio 1878 viene a mancare anche Pio IX, per il quale compone In morte di Pio IX, esprimendo i suoi sentimenti di devoto cristiano e sacerdote, nel momento in cui muore un pontefice esemplare per aver difeso e custodito gli interessi della Chiesa. Oscilla fra l’ammirazione dei nuovi mezzi, visti come dimostrazione dell’ingegno che Dio dà all’uomo, e perciò motivo di elevazione dell’uomo a Dio, e il timore che il progresso non divengafonte di orgoglio e causa di ateismo. Questi sentimenti contrastanti emergono nella sua prima raccolta di Versi (1868). Nel 1880 incontra a Roma Giosuè Carducci, che in passato lo ha elogiato. Trascorre gli ultimi dieci anni della sua vita tra la villetta di Cavazzale e la casa in città a Vicenza, componendo nuove poesie e assolvendo ai suoi incarichi pastorali, tra il compiacimento dei fedeli per poter ascoltare un predicatore d’eccezione. All’inizio del 1888, Giacomo è assalito da una congestione cerebrale. Il suo corpo ormai stanco si spegne la sera del 17 maggio 1888. Sulla tomba si leggono i seguento versi tratti dalla poesia La Veglia, nel 1868, certo che la morte non fosse la fine, bensì l’inizio di tutto. Cadrò; ma con le chiavi D’un avvenire meraviglioso. Il nulla A più veggenti savi. Io nella tomba troverò la culla Nel 1920 è inaugurata a Chiampo una lapide dello scultore Spazzi dedicata a Giacomo Zanella, ora esposta su quella che fu la sua casa a Vicenza, in Contrà Zanella.

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STORIE ILLUSTRI

Alessandro Rossi

STORIEVICENTINE

L’industriale vicentino filantropo e pioniere dell’industria italiana

A

Città industriale inglese

Il giardino Jacquard - Primi anni del Novecento 22

lessandro nasce a Schio il 21 novembre 1819, quinto di sette figli della copia formata da Francesco Rossi e Teresa Beretta. Così lui stesso descrive la sua famiglia, originaria della contrada Rossi di Santa Caterina di Lusina: «Mio bisavolo era pastore nei Sette Comuni, mio avolo ne scese mercante di lane e fittuario, mio padre fondò nel 1817 quell’industria che io continuai e continueranno i miei figli senz’altro blasone che l’onestà, spero, e l’amor del prossimo». La sua famiglia, già affermata nell’ambito di lavorazione e vendita della lana che caratterizzava da secoli l’economia scledense, lo educò amorevolmente e con fermezza nel segno della fede cattolica. La madre apparteneva a una delle più importanti dinastie di lanaioli della zona di Schio ed era nipote di Sebastiano Bologna, senatore e notabile del Regno d’Italia; donna energica e attiva, fu molto presente nella formazione morale e religiosa dei figli, due dei quali, Giovanni e Gaetano, scelsero il sacerdozio. Nel 1809 il padre di Rossi era passato dall’attività commerciale e agricola a quella industriale; nel 1839 il suo opificio, con circa 160 operai, poteva contare su una rete commerciale estesa all’Italia settentrionale. Alessandro intraprende gli studi nel seminario vescovile di Vicenza, dove ha come precettore il gesuita Andrea Sandri, con il quale condivide sentimenti patriottici contro la dominazione austriaca che prosegue dal trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797 con cui Napoleone aveva ceduto i territori della Serenissima all’Austria. CULTURA VICENTINA

Alessandro non si iscrive all’università, ma nel 1836 entra nella fabbrica paterna come operaio e dopo tre anni viene chiamato a condividere la direzione dell’azienda. Si distingue per l’attitudine a coltivare studi economici ma anche storici, sociologici, filologici e letterari, che conduce assiduamente per tutta la vita, così come ama dedicarsi alla composizione di versi e poemetti. Si avvicina al pensiero degli illuministi inglesi e francesi anche attraverso la frequentazione dell’abate Pietro Maraschin, insigne geologo e studioso in contatto con gli ambienti più qualificati della cultura europea. Il suo fidanzamento con Maria Maddalena Maraschin (1825-1905), figlia di Giovanni, possidente e amministratore di cospicui beni finanziari e nipote dell’abate Pietro, gli consente di frequentare la biblioteca di quest’ultimo, dove studia opere di politica economica di autori come Adam Smith, Joseph Priesley, Jeremy Bentham, John StuartMill, Edmund Burke, David Ricardo e altri. Alessandro mette così a fuoco il tema dei rapporti tra agricoltura e industria. Fra il 1841 e il 1842 Alessandro intraprende un lungo viaggio in Gran Bretagna, Francia, Belgio e Lussemburgo: «Partii con un doppio proposito, di ammirare quante più opere del genio umano fossero state create nelle arti, e di vedere quante più macchine lo stesso genio dell’uomo andava inventando [...] tre forze mi attraevano, di cui noi eravamo scarsi e mancanti: quella dell’acciaio, del vapore e dell’elettricità» (Cappi Bentivegna, 1955, p. 73).


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Il giardino Jacquard Grazie anche alle commesse per conto della ditta visita fabbriche, fonderie, tintorie e miniere nelle principali città industriali britanniche: Manchester, Oldham, Birmingham, Sheffield. Durante quel periodo invia sistematicamente dettagliati resoconti al padre sugli affari in corso e si interessa sia agli aspetti tecnici della produzione sia allo stato del lavoro operaio e particolarmente al degrado delle condizioni di vita nelle grandi concentrazioni industriali. A Parigi entra in contatto con i sansimoniani, che professavano una fiducia incondizionata nella scienza. Secondo la loro ideologia le scoperte scientifiche e lo sviluppo industriale possono dare vita ad una società in grado di fornire migliori condizioni di vita ai proletari. Alessandro si abbona alla loro rivista, “Le Globe”. I suoi rapporti con il mondo industriale europeo si consolidarono nel tempo e si concretizzarono attraverso

l’importazione di macchinari, tecnici, impiegati e dirigenti, con il concorso dei quali trasformò radicalmente l’assetto produttivo dei suoi stabilimenti. La costruzione di una rete informativa e relazionale diventa uno dei principali fattori del suo successo imprenditoriale e politico, sostenuta, come dimostra il ricchissimo carteggio, da un’eccezionale vena epistolare. In particolare, strinse rapporti e amicizie personali a Verviers, capitale laniera del Belgio, un ambiente per lui fondamentale sotto il profilo dell’aggiornamento tecnologico e intellettuale. Nel 1845 muore il padre Francesco e Alessandro gli succede nella direzione dell’azienda, procedendo al rinnovamento degli impianti con l’acquisto della filatrice meccanica Mull-Jenni, l’introduzione della prima macchina a vapore e dei primi telai meccanici. Il 3 novembre 1846, dopo sei anni di fidanzamento, sposa Maria Maddalena Maraschin, dalla quale ebbe undiCULTURA VICENTINA

ci figli (Francesco, Giovanni, Teresa, Giuseppe, Gaetano, Luigi, Caterina, Maddalena, Luigia, Antonio e Anna Maria). Viene arrestato per un breve periodo durante le agitazioni quarantottesche e in seguito sorvegliato dalle autorità austriache, che gli ritirarono il passaporto. Tra il 1852 e il 1857 acquista altri lanifici di Schio, allargando l’area dell’azienda verso la zona collinare. Nel 1859 cominciano i lavori di ampliamento dell’opificio scledense, affidati ad Antonio Caregaro Negrin, celebre architetto vicentino e patriota. Nel contempo Alessandro avvia il progetto di costruzione del giardino Jacquard, che si sviluppava come un teatro all’aperto di fronte alla fabbrica principale ed esprimeva in embrione la concezione insieme ricreativa e allegorica poi applicata nella progettazione del nuovo quartiere operaio. Nel 1865 acquistò a Santorso l’antica villa Bonifacio-Velo, con la chiesa di 23


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STORIE ILLUSTRI

Le tavole originali del progetto della Fabbrica Alta sono state realizzate nel 1862 dall’architetto belga Auguste Vivroux. Questi documenti non sono mai stati esposti prima in Italia e arrivano direttamente da Liegi, dove sono conservati presso la Commission Royale des Monuments, Sites et Fouilles (CRMSF) di Liegi, un ente pubblico incaricato di tutelare il patrimonio culturale del Belgio.

Giovedì 21 novembre 2019, il giorno in cui 200 anni prima nasceva Alessandro Rossi, ha aperto al Lanificio Conte “ROSSI200 – Dalla lana al tessuto produttivo”, mostra dedicata alla vita e all’opera dell’illustre imprenditore scledense. Negli spazi recuperati dello storico lanificio, assieme a foto, macchinari e cimeli d’epoca, sono esposti, per la prima volta in Italia, i disegni del progetto originale della Fabbrica Alta firmati nel 1862 dall’architetto belga Auguste Vivroux. Il progetto è stato realizzato da Comune di Schio, Distretto Scienza e Tecnologia, Confindustria Vicenza Raggruppamento Alto Vicentino e Biosphaera.

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S. Spirito e gran parte dei terreni circostanti, la ristrutturò nel solco della tradizione secolare che aveva popolato il Veneto di ville padronali e ne fece la dimora di famiglia. Nel 1861 Alessandro Rossi vuole ampliare la Lanerossi ispirandosi ai lanifici che ha visitato all’estero. Si rivolge così all’architetto Auguste Vivroux di Verviers, città laniera belga con cui Rossi ha molti rapporti d’affari e importanti amicizie. Vivroux viene invitato a Schio per dieci giorni, durante i quali ha modo di farsi un’idea precisa, prendendo le misure del nuovo sito. Ritornato poi in patria, l’architetto belga disegna una fabbrica moderna, basata sul modello multipiano europeo e dotata di moderne tecnologie e macchinari. La costruzione dell’edificio viene affidata ad Antonio Caregaro Negrin. Nasce così la Fabbrica Alta, eretta nell’arco di nove mesi nel 1862. Non viene però realizzato (forse per questioni di budget) l’edificio gemello previsto sul lato est. Negli anni a seguire verrà comunque costruiti altri edifici che andranno a formare un quadrilatero con un cortile al centro (vedi foto degli inizi del Novecento). CULTURA VICENTINA

La Fabbrica Alta è imponente: lunga 80 m, larga oltre 13 m, conta cinque piani più seminterrato e sottotetto. Ogni piano ospita una diversa fase della lavorazione della lana ed è composto da un grande salone diviso in tre campate sorrette da colonnine di ghisa. La forza motrice per il funzionamento dei macchinari era prodotta, prima dell’avvento dell’energia elettrica, da una macchina a vapore importata dall’Inghilterra; il materiale usato per la costruzione è principalmente laterizio e pietrame ricavati dal territorio. Nell’autunno del 1866, a seguito della 3a guerra d’indipendenza, il Veneto si congiunge al Regno d’Italia e Alessandro Rossi viene eletto deputato nel collegio di Schio. L’anno successivo la partecipazione del Lanificio all’Esposizione internazionale di Parigi contribuisce a stimolare ulteriori iniziative imprenditoriali. Tra queste c’è la creazione ex novo di un impianto dotato delle tecniche più avanzate nella produzione di filati pettinati, inaugurato a Rocchette-Piovene nel 1869 insieme alla costruzione di un impianto idraulico, per la produzione della necessaria forza motrice (per il cui finanziamento Rossi si rivolge a capitalisti veneti, lombardi, belgi


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e svizzeri). Nel 1868 viene costituita una nuova società in accomandita semplice, la Alessandro Rossi e C., con il coinvolgimento dell’ingegnere Ernesto Stumm. L’azienda si allarga nell’Alto Vicentino con la costruzione di altri stabilimenti. Nel 1870 Rossi venne nominato senatore del Regno d’Italia, diventando così un ponte tra ambiente politico e mondo imprenditoriale. Il suo apporto è guidato da un forte spirito pragmatico senza guardare all’appartenenza agli schieramenti. Il principale obiettivo della sua politica è il potenziamento dell’Italia industriale, a partire dalle condizioni economiche reali e dalla valorizzazione delle tradizioni umane e sociali tipiche di un Paese a vocazione manifatturiera.

L’azienda si allarga. Qui una foto aerea dell’impianto di Torrebelvicino. Foto dell’Archivio storico Lanerossi custodito nella Biblioteca Schio R. Bortoli \ Comune di Schio

Rossi esalta la nazione e le sue risorse, denunciandone al contempo i profili di arretratezza (nelle infrastrutture, nella scarsa disponibilità di capitali). Politicamente avversa l’eccessivo rigore di Silvio Spaventa e di Quintino Sella, e sostiene il suffragio universale maschile e i propositi di riforme sociali di Agostino Depretis. Nel 1872, insieme a Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, fà parte della commissione Jacini per l’inchiesta agraria. Nel 1873 l’azienda viene trasformata in una società per azioni, il Lanificio Rossi s.p.a., quotata alla borsa di Milano.

La Fabbrica Alta di Schio

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STORIE ILLUSTRI

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1867. L’Asilo infantile per i figli degli operai A destra 1872: Asilo nido per bambini aperto a tutti

Alessandro Rossi si occupa costantemente della formazione professionale della nuova generazione operaia, sradicata dalle antiche consuetudini e costretta ai tempi e alla disciplina di fabbrica. Però Rossi non si ferma a ciò e si prende a cuore anche l’educazione dei più piccoli.

Nella foto dei primi del Novecento si vede la Villa Rossi trasformata in orfanotrofio. Archivio storico Lanerossi custodito nella Biblioteca Schio R. Bortoli \ Comune di Schio

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A completare il programma educativo sono le scuole elementari del lanificio (1873), dove si impartisce anche un’istruzione pratica su tessitura, igiene ed economia domestica e le scuole comunali (1876). L’Asilo di Maternità (1878), accoglie i bambini fino ai 3 anni, agevolando il lavoro delle operaie, che ad ore prestabilite possono allattarli.

Nel 1867 fonda a Schio un primo asilo per bambini dai 3 ai 7 anni, aperto ai figli di operai anche non dipendenti del Lanificio e fornito di palestre, servizio sanitario, sale da bagno e di giochi, con un parco di tremila metri quadrati. Un’altra importante istituzione che viene creata è la Scuola serale per adulti, con premi di profitto, orari speciali e rendimento scolastico paragonato a quello lavorativo.

Alessandro Rossi rilancia inoltre l’istruzione tecnica, creando la Scuola Industriale di Vicenza(1878), con Officina e Convitto, per la formazione teorico-pratica di tecnici per l’industria. Istituto che ora porta il suo nome: il celebre ITIS A. Rossi, che ha avuto tra i suoi illustri allievi anche Federico Faggin, l’inventore del microchip.

Dal 1873 il Regolamento del Lanificio impone l’obbligo d’istruzione per essere assunti. Esemplare è il nuovo Asilo Infantile (1872), che arriverà ad ospitare 500 figli di operai, vantando “la maggior luce, la maggior aria, le maggiori comodità possibili”, pasti nutrienti, infermeria e un auditorium per la musica.

Persino alla morte, il suo ultimo pensiero va alle generazioni future. Alessandro Rossi lasciò in eredità tutto il complesso della sua villa di Santorso alle Opere Pie di Schio, oggi denominate la C.A.S.A., con la clausola che dovesse essere in futuro abitata da bambini ed adolescenti. La villa divenne prima orfanotrofio fino al 1950-1960 e poi fu ceduta in comodato all’ANFFAS per ospitarvi le sue prime strutture riabilitative.

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Nella foto dei primi del Novecento una vista panoramica del quartiere “Nuova Schio”. Archivio storico Lanerossi custodito nella Biblioteca Schio R. Bortoli \ Comune di Schio

Dal 1872 comincia la grande opera di ammodernamento della città, secondo un piano che prevede la costruzione di una “Nuova Schio” con scuole, biblioteche, bagni pubblici, teatro, chiesa e ospedale: una «città sociale» come «strumento di salvaguardia e riscrittura al tempo stesso della cultura contadina nell’età della produzione di massa e del lavoro salariato» Il progetto, basato sulle più importanti esperienze europee, si ispira al modello delle città-giardino. La realizzazione viene affidata all’architetto Antonio Caregaro Negrin. Nello stesso periodo Alessandro Rossi promuove la realizzazione di vie di comunicazione stradali e ferroviarie nell’area alto vicentina. Si inizia con una ferrovia economica Vicenza-Schio, inaugurata nel 1876 alla presenza del Principe Umberto. Seguiranno i tratti Schio-Piovene (1884), SchioTorrebelvicino e Piovene-Arsiero (1885); qui, nel 1873, era nata la Cartiera del figlio Francesco, che sarà collegata a Schio da una linea telefonica di oltre 20 km. Così in una lettera di A. Rossi datata 1 Novembre 1884 Alessandro Rossi descrive i villaggi operai: «A Schio il mio sistema è applicato sovra 16 ettari (...) Son case che costano da £ 2100 l’una da 4/ m, da 6/m, da 8/m e fino a 12/m l’una. Le minori hanno cantina e 4 stanze e 1 soffitta, corticella di dietro e 15 m² di orto tra CULTURA VICENTINA

la casa e la strada, divisa da ringhiera d’un metro. (...) I contratti sono uniformi, non si concede la rivendita se non in casi determinati, né spacci di vino e liquori che già abbondano nella vecchia Schio. E’ la popolazione più sana e più morale questa della città – adulti e bambini fanno sinora 1000 proprietari nuovi. Questo sistema misto esclude l’apparenza casermale e giova a fondere le classi sociali. » Negli anni Settanta dell’Ottocento una crisi economica investe l’industria italiana. Alessandro Rossi coglie l’occasione per avviare ristrutturazione finanziaria e organizzativa dell’azienda. Nel 1873 il Lanificio Rossi fa quotare le sue azioni nella borsa a Milano. Questo permette di realizzare una consistente raccolta di capitali che a sua volta permette alle azioni stesse di aumentare il loro valore. Ma è la contemporanea scelta di costituire una società anonima a rendere l’imprenditore protagonista di una svolta storica. Nella visione rossiana questa forma societaria ha il pregio di affrancare l’impresa dalla dipendenza dagli istituti bancari. Il riassetto aziendale è basato sul sistema cosiddette “Gerenze Autonome”, che consiste nella suddivisione dell’azienda in quattro ambiti produttivi guidati ognuno da un diverso manager, completamente indipendenti dal punto di vista organizzativo ma sottoposte al divieto di recipro27


STORIE ILLUSTRI

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A destra una foto dei primi del Novecento che illustra l’attività all’interno della fabbrica. Archivio storico Lanerossi custodito nella Biblioteca Schio R. Bortoli \ Comune di Schio

In alto: la foto illustra la posizione originaria della statua. Archivio storico Lanerossi custodito nella Biblioteca Schio R. Bortoli \ Comune di Schio

ca concorrenza e al controllo finanziario dell’Amministrazione Generale e del Consiglio di amministrazione. L’anonima, con un capitale di 30 milioni di lire diviso in 120.000 azioni, ha come principale azionista l’industriale cotoniero Eugenio Cantoni, mentre Alessandro Rossi ricopre le cariche di direttore generale tecnico e di presidente.

In alto: una delle tante pubblicazioni di politica economica di A. Rossi.

Il titolo VI dello statuto della nuova società è dedicato alle istituzioni operaie: il 10% degli utili netti dell’anonima veniva diviso a metà tra le istituzioni operaie e Alessandro Rossi, che poi rinuncia alla sua spettanza. Questo riassetto aziendale permette a Rossi di dedicarsi maggiormente all’impegno parlamentare e pubblicistico, continuando a realizzare articoli che mirano a realizzare una nuova politica economica e industriale italiana e a promuovere la nascita di uno schieramento favorevole al protezionismo. ”L’avvenire è dei popoli lavoratori”. Questa è una delle frasi che si può leggere sul basamento dell’Omo, la statua voluta da

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CULTURA VICENTINA

Alessandro Rossi per celebrare i suoi operai. La puntata del 1° maggio non poteva che essere dedicata a lui: il tessitore che è diventato uno dei simboli di Schio. Il tessitore tiene in mano una navetta, l’innovativo strumento per il telaio da tessitura inventata dall’inglese John Kay nel 1733. Questo strumento contiene una spoletta di filato che serve a comporre la trama e consente di semplificare il lavoro del tessitore, accrescendo così la produzione di panni. Per l’impatto che ha avuto nelle fabbriche, viene considerata un simbolo della Rivoluzione industriale. L’opera viene solennemente inaugurata il 21 settembre 1879. La sua posizione originale è nel crocevia dei viali Pietro Maraschin e Alessandro Rossi, di fronte all’ingresso della Lanerossi (come si può vedere nella foto). Qui vi resta fino alla seconda metà degli anni Trenta del Novecento, quando viene spostata nei limitrofi giardini pubblici per liberare il viale al transito dei mezzi. Nel 1945 il monumento viene trasferito nella sua ubicazione attuale: Piazza Alessandro Rossi, nel cuore del centro storico.


STORIEVICENTINE Dal 1873, cioè dopo la trasformazione del Lanificio in società anonima, Alessandro Rossi inizia a dedicare sempre più tempo alla politica. In contemporanea pianifica l’inserimento della terza generazione imprenditoriale dei Rossi e segue con affetto l’educazione dei figli con frequenti viaggi all’estero di studio e lavoro. L’educazione che ricevono è sia di natura tecnica che umanistica. Per il figlio maggiore Francesco, nel 1878 acquista la cartiera di Arsiero, rilanciandone l’attività. Rossi è molto attivo anche nel rinnovamento del settore industriale nazionale. Nel 1877 a Roma, assieme ad altri imprenditori tra cui Gaetano Marzotto Senior, fonda l’Associazione Laniera Italiana. Questa associazione di categoria rimarrà attiva fino al 1993, quando le industrie tessili italiane si raggruppano sotto un’unica sigla, che ora prende il nome di Settore Moda Italia. Nel 1884 Rossi inaugura la scuola convitto di Pomologia e Orticoltura con l’obiettivo di dare un sostanzioso contributo alla modernizzazione dell’agricoltura italiana, ancora legata a modelli feudali, arretrata e poco efficiente. L’istituto ha due sedi: una a Santorso per la parte pratica e l’altra nel Quartiere Operaio, dove avviene la formazione teorica e dove gli studenti alloggiano. Il progetto tuttavia non riscuote il successo sperato e viene interrotto sul finire dell’Ottocento. Dal 1889 al 1891 Alessandro Rossi ricopre l’incarico di sindaco di Schio, promuovendo importanti opere pubbliche come: il macello, i bagni, il lavatoi, il lazzaretto, l’orfanotrofio, l’acquedotto, l’Istituto di Nazaret per le figlie abbandonate (ora Istituto Canossiano) e la Chiesa di S. Antonio Abate. Inoltre è fautore dell’ampliamento del Duomo con la costruzione della canonica. Rossi si dimette dalla presidenza del Lanificio nel 1892, ma continua l’attività finanziaria, politica e pubblicistica. Nei suoi ultimi anni di vita, il Lanificio continua a crescere, impiegando alla fine del

secolo 5000 operai e aumentando le quotazioni in Borsa. Dopo una breve malattia, Alessandro Rossi muore il 28 febbraio 1898 nella sua tenuta di Santorso. La scomparsa di Alessandro Rossi lascia un grande vuoto, ma anche un’enorme eredità. Infatti sono innumerevoli le infrastrutture e le organizzazioni sociali da lui volute, che resteranno al servizio della cittadinanza. Come la sua villa di Santorso lasciata in eredità alle opere pie. Inoltre con le sua attività ha saputo stimolare la nascita di un tessuto produttivo che continuerà a prosperare anche negli anni a seguire. Subito dopo la sua morte, in maniera spontanea si costituisce un comitato di cittadini intenzionato a rendergli omaggio. Il comitato, coinvolgendo l’amministrazione comunale, commissiona un’opera celebrativa a Giulio Monteverdi, lo scultore piemontese che aveva realizzato il monumento al tessitore. Il luogo scelto per il posizionamento della statua è l’ampio crocevia posto tra la chiesa di Sant’Antonio Abate, le scuole elementari, il quartiere operaio e la ferrovia, tutte opere realizzate grazie alla volontà e sostegno finanziario del senatore Rossi. Il monumento viene inaugurato il 12 ottobre 1902.

Il monumento al Senatore Rossi posto davanti alla chiesa di S. Antonio e convento monache agostiniane che lui fece costruire. Archivio storico Lanerossi custodito nella Biblioteca Schio R. Bortoli \ Comune di Schio

La statua bronzea raffigura Alessandro Rossi in età matura con lo sguardo rivolto verso il centro cittadino. Il Senatore è in posizione fiera, in piedi su una ruota dentata, mentre una appoggia una mano su dei libri depositati su un tavolino. Questi elementi simbolici richiamano i valori cardine che hanno sempre ispirato il suo operato: il lavoro e lo studio. A completare la composizione è un bambino che si solleva sulle ginocchia di una giovane donna per offrire un fiore al senatore; la donna probabilmente rappresenta la Città di Schio che intende proporre alle generazioni future (il bambino) l’ideale di vita rossiano, basato sul binomio culturalavoro. CULTURA VICENTINA

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STORIE ILLUSTRI

STORIEVICENTINE

Anche oggi il Vicenza️ scende in campo con il logo della Lanerossi appuntato sul petto. Il simbolo è riapparso recentemente dopo molti anni di oblio. Tutto è iniziato il 26 giugno 1953 quando la Lanerossi acquista il Vicenza calcio, che diventa una costola aziendale. La società calcistica prende il nome di Lanerossi Vicenza e la celebre “R” viene stampata sulle maglie. Il logo rimase sulle maglie biancorosse fino alla stagione 1988-1989, proprio cento anni dopo la morte di Alessandro Rossi.

L’Istituto Tecnico Industriale A. Rossi in Contrà S. Corona a Vicenza Sul basamento è presente inoltre una targa che ricorda l’anniversario di fondazione (1883) dell’Istituto tecnico industriale “Rossi “ di Vicenza, nato per volontà dello stesso industriale. Il problema scolastico educativo appassiona e impegna l’intera vita di Alessandro Rossi, a conferma del suo profondo desiderio di miglioramento del sistema e della politica scolastica del tempo.

Monumento al Tessitore collocato davanti al Duomo di Schio

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Alessandro Rossi è il primo industriale italiano ad occuparsi in modo organico degli operai, impegnandosi per la loro crescita umana, morale ed intellettuale e creando istituzioni previdenziali ed assistenziali a compensazione dei bassi salari. Il suo sistema, legato a convinzioni ideologiche e religiose, incarna quell’armonia tra capitale e lavoro celebrata dal Monumento al Tessitore e solo raramente turbata da scioperi. La costruzione del Giardino Jacquard (1859-1878), per il tempo libero degli operai, e la Società di Mutuo Soccorso (1861), che fornisce assistenza medica in caso di malattia o infortunio, segnano l’inizio di questo percorso. Il problema della casa è affrontato dapprima con la Cassa fitti (1864) e con gli alloggi del Palazzón (1865). Sorgono inoltre dormitori, una cucina economica (1871) che distribuisce minestra a bassi prezzi e una casa-convitto per operaie (1873). Infine viene creato un quartiere dedicato interaCULTURA VICENTINA

mente ai dipendenti. Centro di attività culturali è il Teatro Jacquard (1869), coi suoi 600 posti: vi sono rappresentati drammi popolari ed è sede di riunioni, feste, biblioteca, banda, orchestra, corsi di ginnastica, teatro e canto. Altro tema centrale è l’educazione a cui Rossi dedica molte energie. Tra le opere più esemplari c’è l’asilo Infantile pensato per i figli di operai. Nel 1872, con la costruzione della nuova sede, questa istituzione può vantare pasti nutrienti, un’infermeria dedicata e un auditorium per la musica. Nel 1873 quando il Lanificio diventa una Società Anonima, nel nuovo statuto viene indicato che il 5% degli utili deve essere destinato alle istituzioni operaie e apre agli operai la sottoscrizione di azioni. Ulteriori iniziative intraprese da Rossi per i suoi operai sono: i libretti di risparmio (1876), il Magazzino cooperativo (1873) per la vendita di generi alimentari a prezzo di costo, il magazzino merci (1875) per lo smercio di scampoli fallati, il circolo operaio (1877), il fondo pensione (1880), la Cassa-prestiti (1883). Nel 1889, in occasione del Giubileo operaio di Alessandro Rossi, si contano a Schio 21 istituzioni operaie, 13 a Piovene, 8 a Pieve e 7 a Torre.


Progetto Tiepolo250

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Si parte!

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STORIE ILLUSTRI

Alessandro Massaria

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Un grande innovatore nel campo della prevenzione

“In primis danda est omnis opera, ut corpus optime nutriatur”

Michelangelo Zorzi, nell’opera “Vicenza illustre”, annovera Massaria «fra i più acuti e begli ingegni, anzi tra gli ornamenti più luminosi della nostra Patria (= Vicenza)».

Massaria fu una tipica figura vicentina rinascimentale: filosofo e naturalista, cultore della medicina e delle lettere, caritatevole e fastoso: insomma, un uomo universale.

In occasione della triste congiuntura del contagio da coronavirus, vogliamo ricordare nuovamente Alessandro Massaria, che fu fra i fondatori dell’Accademia Olimpica, commemorato nel 1956 in una straordinaria conferenza dal titolo “Alessandro Massaria e il suo tempo”, tenuta il 16 ottobre 1954, nella Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino, dal prof. Lorenzo Pezzotti, primario di Medicina dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza.

1759 - Gianbattista Tiepolo: S. Tecla libera Este dalla peste 32

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I

A. Massaria

l De peste ritrae Massaria mentre con le mani inguantate, il capo avvolto da veli profumati, masticando la sua pasticca odorosa, gira per le vie vicentine desolate dalla pestilenza. Alcune note biografiche sono d’obbligo. Alessandro Massaria nasce a Vicenza nel 1524 da un’antica famiglia con illustri antenati. Studia prima a Vicenza “umane lettere, greche e latine” sotto la guida di Jacopo Grifolo, e poi a Padova con Lazzaro Bonamico. Decide quindi di darsi alla professione di medico e si addottora nel Ginnasio Patavino, dove ha per maestri nell’arte medica Falloppio in anatomia, Oddi in Medicina Teorica e il vicentino Fracanzano in Medicina Pratica. Torna a Vicenza e inizia con valore la professione di medico. Con Conte da Monte (“Montano vicentino”) e Fabio Pace, suo nipote e discepolo, promuove e istituisce nel 1563 il “venerabile” Collegio dei Medici di Vicenza, al fine di distinguere i nobili e retti seguaci di Esculapio, che dissertavano in latino e citavano gli antichi greci in testo originale, da concorrenti ciarlatani di basso rango, quali gli speziali e quelli che curavano «cum ferro et igne», precursori degli odierni chirurghi, come era successo a Londra nel 1518 con la fondazione del Royal College of Physicians da parte di Thomas Linacre. Nel 1555 figura, insieme ad Andrea Palladio, fra i promotori di quell’Accademia che il 1° marzo 1556 chiamarono Olimpica, firmandone lo statuto. Nel 1557 traduce e presenta in Accademia la commedia di Terenzio Andria, successivamente un’altra commedia di Terenzio, L’Eunuco, e nel 1575 anche una sua commedia, intitolata Alessandro. Sempre in Accademia fonda una scuola Anatomica, dando dimostrazioni di Notomia. Raggiunge la sua massima notorietà nel 1579 con la pubblicazione del De peste libri duo (fig. 1), dove racconta le vicende e gli aspetti sanitari-scientifici della peste bubbonica che nel 1576, dopo aver colpito Trento, Treviso, Padova, Mantova e Milano e decimato Venezia, era arrivata anche a Vicenza, agli inizi negata o non riconosciuta come era avvenuto a Venezia. Risulta che a Vicenza, a confronto con altre città venete, si fosse riusciti a contenere notevolmente il CULTURA VICENTINA

numero dei morti. La storia raccontata da Massaria nel De peste (e letta nei passi più significativi da Roberto Cuppone) è anche quella del suo impegno nel curare gli ammalati, isolare i soggetti sani, vigilare sulle misure igieniche. Fra l’altro eseguì la prima autopsia di un parente morto appestato. Gli abitanti di Vicenza, trentamila prima della peste, si ridussero di 9.816 unità per i decessi e per la fuga in campagna. Dei malati, 538 erano accampati in baracche nel Campo Marzio e 440 nei lazzaretti. L’autorità pubblica provvedeva al sostentamento di ben 5.000 persone. Il De Peste rivela come Massaria non fosse estraneo al movimento di rifondazione della medicina. Prescriveva di spruzzare la stanza d’acqua e aceto, infiorare i letti, masticare lentamente una pastiglia odorosa e puntò il dito sull’igiene. Introdusse il concetto di infezione da contagio, condividendo il pensiero di Girolamo Fracastoro, che alcuni decenni prima aveva parlato, nel suo libro De contagione et contagiosis morbis, di seminaria, corpuscoli minutissimi e animati, responsabili della diffusione e trasmissione della peste bubbonica attraverso contatto, diretto o indiretto, al pari dell’attuale coronavirus. Massaria, riallacciandosi alle innovative teorie di Fracastoro, afferma che tra le cause della peste vi è anche il contagio degli uomini e delle cose e asserisce che è l’aria a veicolare il contagio, permettendo così la trasmissione di particelle patogene, proprio come succede nella diffusione del coronavirus. Ci sarebbero voluti più di tre secoli per identificare, nel 1894, la pasteurella quale agente causale infettivo della peste bubbonica. E in questo Massaria appare un “novatore”. Come considerare altrimenti le sue convinzioni sui sintomi, che è vano curare, perché i sintomi non sono la malattia ma la seguono, a meno che non richiedano un particolare trattamento in quanto causano una complicazione o indeboliscono l’infermo? Ed è da novatore, e non certo da conservatore, la sua pratica di far ricorso a medicamenti semplici e di sostenere le forze dei malati con una buona alimentazione, invece di sottopor33


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A destra: ai tempi dei Lazzaretti, i dottori della Peste, figura emblematica del Seicento veneziano. Il medico della peste indossava una lunga veste nera, guanti, cappello, occhiali di protezione e la famosa maschera con becco adunco. Perché la sua mascherina aveva questa forma? All’interno venivano messe erbe aromatiche, quali ginepro, rosmarino, aglio. Si pensava infatti che l’aria potesse essere purificata grazie a questi intensi profumi. L’amuchina dell’epoca era invece l’aceto, usato tutt’oggi: venivano lavate persino le monete, così da evitare la diffusione del morbo. Al Lazzaretto Nuovo, merci e imballaggi erano sanificati prima di essere riconsegnati ai legittimi proprietari. A seconda della loro natura venivano immersi in acqua bollente, in acqua e aceto, esposti al sole, affumicati con incensi di alloro e di rosmarino. Assieme all’isolamento anche la distanza sociale era ritenuta fondamentale per impedire la diffusione del contagio: gli equipaggi delle diverse navi erano distinti in diverse aree di “contumacia” separate da alti muri, il cibo era consegnato ai quarantenati attraverso lunghe pertiche. A sinistra: Lorenzo Lotto: due dottori con il libro di Galeno

li a purghe o salassi: «In primis danda est omnis opera, ut corpus optime nutriatur». Scredita le pratiche superstiziose, il ricorso ad amuleti e a misteriose cure preventive contro la peste. Non è forse innovativa, anzi rivoluzionaria la sua sentenza «Ratione et experientia medicina fiat»? L’abnegazione e lo spirito di carità dimostrato da Massaria durante tutta l’epidemia gli valsero una tale fama da essere chiamato a esercitare con successo la professione medica a Venezia nel 1578, abbandonando “Teatro, Patria e Liceo”. E Venezia volle premiare un così grande uomo, perché tale stima spianò la strada dalla libera professione all’insegnamento universitario. Resasi vacante la prima Cattedra di Medicina Pratica con il trasferimento di Girolamo Mercuriale all’ateneo di Bologna, il Senato Veneto nel 1587 chiamò a ricoprirla Alessandro Massaria, con lo stipendio di ben 800 fiorini, preferendolo a Girolamo Capodivacca, che teneva la seconda Cattedra di Medicina Pratica. Chissà se su questa decisione abbia pesato l’errore fatto da Mer34

curiale e Capodivacca in occasione dello scoppio della peste in Venezia nel 1575, quando questi “gran dottori”, chiamati a consulto, mancarono la diagnosi, sottovalutando la gravità del fenomeno morboso e così rendendosi responsabili del ritardo nelle misure preventive, con gli effetti catastrofici che causarono 40.000 morti. Massaria tenne la cattedra per undici anni, fino alla morte, con tale prestigio da meritare l’aumento dell’onorario fino a mille fiorini (lo stesso stipendio che Galileo avrebbe ottenuto dopo l’invenzione del telescopio e la scoperta dei satelliti medicei di Giove). Nella prolusione inaugurale presso il Ginnasio patavino, Massaria classifica la scuola medica in tre categorie: - l’insegnamento classico dei seguaci di Galeno, che dichiara orgogliosamente di seguire; - la tradizione araba che si ispira ad Avicenna; - le recenti dottrine, che non si identificano con nessuna delle antiche. Continuò l’uso, avviato da Giovanni da Monte nel 1543, di recarsi quotidianamenCULTURA VICENTINA

te, con grande seguito di studenti, all’ospedale S. Francesco a visitare gli infermi, discutendo il caso e introducendo il concetto di lezione clinica, che è alla base dell’attuale insegnamento in Medicina. Massaria considerava il malato al centro dell’attenzione del medico, con le sue sofferenze e individualità, e affermava che non i libri ma i malati sono i veri maestri. Molte sono le opere importanti del Massaria, oltre al De peste, fra cui il Liber responsorum et consultationum medicinalium, e Practica medica. Nelle Duae disputationes, quarum prima mittendi sanguinem, altera de purgatione in principio morborum mette in discussione due cardini delle terapie adottate per secoli, ovvero il salasso e le purghe. Massaria andava arricchendosi e la sua bella casa di Padova, lussuosamente arredata, era aperta a notabili forestieri e a dotti di ogni provenienza. Amava condividere con gli amici la sua cantina ben fornita; non mancava però di essere generoso con i poveri, dispensando cento pani ogni venerdì. Il venerdì santo e alla vigilia di Natale trat-


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teneva dodici poveri ad un lauto pranzo, congedandoli perfino con una generosa elemosina. Nel 1596 accadde un episodio che sottolinea il suo rigore. Incontrato per via uno studente, che lo aveva disturbato durante le lezioni, lo invitò in casa e lo prese a legnate, quale esempio di come si deve correggere la petulanza degli scolari insolenti. Morì improvvisamente il 18 ottobre 1598 e venne sepolto nella basilica di Sant’Antonio, senza lapide per incuria dei suoi discendenti e dei colleghi. A Vicenza il suo ricordo fu affidato a una statua nel Teatro Olimpico, nel 1585, nel colonnato sopra la gradinata, e a una lapide murata nella chiesa dei Servi di Maria, nel 1677, che purtroppo andò distrutta e fu rifatta nell’antico stile dallo scultore Pietro Morseletto. Alessandro Massaria appartiene alla gloriosa tradizione dei medici vicentini, che erano ad un tempo scienziati e umanisti: Antonio Fracanzano, Domenico Thiene, Lorenzo Pezzotti, Giorgio Pototschnig. Il miglior modo di rendere omaggio a questo illustre concittadino e Accademico Olimpico è leggere le sue opere, fra le quali questa prima traduzione in lingua moderna del De peste. Bibliografia P. Calvi, Biblioteca e storia di quegli scrittori così della città come del territorio di Vicenza che pervennero fin’ad ora a notizia del P.F. Angiolgabriello di Santa Maria carmelitano scalzo vicentino, Vicenza, G. Battista Vendramini Mosca, 1772-1782, 6 voll., vol. v 1779, pp. lxxxii-xciv. G. Fracastoro, De contagione et contagiosis morbis, Venetiis, apud

haeredes Lucaeantonii Iuntae, 1546. G. Mantese, Per una storia dell’arte medica in Vicenza alla fine del secolo XVI, Vicenza, Accademia Olimpica, 1969 («I quaderni dell’Accademia Olimpica», 5), pp. 14-15. D. Marrone, Alessandro Massaria, in Clariores. Dizionario biografico dei docenti e degli studenti dell’Università di Padova, Padova, Padua University Press, 2015. A. Massaria, De peste libri duo, Venetiis, apud Altobellum Salicatium, 1579. A. Massaria, La peste (De peste), Introduzione, traduzione e note a cura di D. Marrone, Presentazione di G. Thiene e E. Pianezzola, Editrice Antilia, 2012. G. Morpurgo, Lo Studio di Padova, le epidemie ed i contagi durante il Governo della Repubblica Veneta (1405-1797), in Memorie e documenti per la storia della Università di Padova, Padova, La Garangola, 1922, pp. 105-240. G. Ongaro, La medicina nello Studio di Padova e nel Veneto, in Storia della cultura veneta, iii/3. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, Vicenza, Neri Pozza, 1981, p. 75-134. T. Pesenti, La cultura scientifica: medici, matematici, naturalisti, in Storia di Vicenza, Vicenza, Neri Pozza, 1987-1993, 4 voll., iii/1. L’età della Repubblica Veneta (1404-1797), a cura di F. Barbieri e P. Preto, pp. 257-60. L. Pezzotti, Alessandro Massaria e il suo tempo, Vicenza, Rumor, s.d. [1953 ca.]. P. Preto, Peste e società a Venezia, 1576, Vicenza, Neri Pozza, 19842.

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STORIE DI AZIENDE

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Azienda Dal Maso

Un secolo di amore per la terra e i vigneti 1887: La famiglia Dal Maso inizia a produrre vino dai propri vigneti sulle colline di Gambellara 1919: Il bisnonno Serafino fonda l’azienda Dal Maso.

1975 Il papà Luigino fonda l’Azienda “Dal Maso Luigino” e con lui inizia la vera modernizzazione dell’azienda

Il versante meridionale dei Berici

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I Colli Berici si trovano nel cuore della pianura Veneta, a sud della città di Vicenza, dove emergono come un esteso altopiano in cui si alternano valli e rilievi che raggiungono i 400 metri. Abitati dalla preistoria e attraversati da secoli di civiltà, sulle loro colline i potenti del passato hanno costruito castelli, i nobili Veneziani hanno edificato ville prestigiose, i monaci Benedettini ne hanno bonificato le valli. Per chi fa vino i Colli Berici sono un piccolo tesoro: il terreno è unico per le sue caratteristiche e il clima permette una maturazione ottimale delle uve. Su queste colline la tradizione vitivinicola è molto antica: i vitigni del Cabernet, del Merlot e del Tai Rosso hanno una storia ormai centenaria, tanto che la prima Doc d’Italia per il Cabernet è proprio quella dei Colli Berici.

“Del terroir vincente di queste colline si accorse nostro padre Luigino più di 30 anni fa quando cominciò a sognare di fare quei grandi vini rossi che oggi sono alcuni dei nostri cru più importati. Cercava i terreni più adatti per i nostri vigneti e li trovò tra le dolci colline di Lonigo ed Alonte, il versante meridionale dei Berici, quello più esposto al sole. Nostro padre Luigino amò subito questi luoghi. Vi si recava all’alba di ogni giorno, per la preparazione del terreno e la messa a dimora dei vigneti. Ci raccontava sempre come queste colline avessero per lui una forza speciale: la presenza di una ricca natura e di un’ambiente fatto di ampi e superbi paesaggi gli mettevano pace e gli ispiravano un senso di serenità.” Nicola Dal Maso

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STORIE DI AZIENDE

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Gruppo Brazzale - Zanè

Da otto generazione l’azienda è la più antica del settore caseario 1790: la famiglia dei Brazzale esercita la produzione ed il commercio del burro tra l’altopiano di

Asiago e la pianura vicentina. 1837: nasce Giovanni Maria Brazzale che continua il mestiere del padre e del nonno. 1898: Giovanni Maria Brazzale acquista una fattoria e si trasferisce a Zanè. 1920: inizia

la costruzione del primo burrificio industriale, dotato di macchine confezionatrici e celle frigorifere.

1965: 1965: la Burro delle Alpi costruisce a Zanè il nuovo burrificio industriale, il più moderno d’Italia. L’Alto Vicentino diventa protagonista della storia industriale, come è ancora oggi, anche grazie alla proverbiale operosità dei suoi abitanti. Come nel caso del Lanificio Rossi, fondato a Schio (Vi) e rimasto, fino al 1986, la più grande azienda capitalistica italiana. Anche per la famiglia Brazzale è tempo di allargare gli orizzonti, compiendo il primo passo fuori dai confini dell’Altopiano di Asiago. Con i risparmi frutto dei sacrifici di generazioni, raccolti in un sacchetto pieno di Marenghi d’oro, Giovanni Maria acquista una fattoria in pianura, a Zanè, con un bel pezzo di terreno annesso e la roggia che passa proprio accanto, dove ancora oggi si trova l’azienda. Il luogo non è casuale: dal Monte di Calvene Giovanni Maria aveva osservato a lungo

Il versante meridionale dei Berici

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questo terreno, che oltre ad essere vicino all’importante mercato lattiero caseario di Thiene ed alla ferrovia, è il primo a trovarsi fuori dalle nebbie della pianura. Una scelta coraggiosa, tanto più a quei tempi, che Giovanni Maria intraprende perché, insieme all’attività di produzione di burro e commercio di formaggi, sta crescendo anche la famiglia. Il suo unico erede, Valentino, ha già avuto molti figli, con grande gioia del padre che ad ogni nuovo nato festeggia facendo sbattere le sgalmare, tipiche scarpe da lavoro, sul selciato dell’aia. Ed è con questo entusiasmo che la famiglia abbandona i sicuri confini dell’Altopiano e comincia una storia che, dalla pianura, la porterà fino ai confini del mondo.


STORIEVICENTINE La famiglia Brazzale, identificata nel marchio “Alpi” è nel mondo del latte dalla fine del ‘700, e rappresenta la più antica azienda italiana del settore, in attività ininterrotta da almeno otto generazioni. La storia della azienda è legata all’ altopiano di Asiago ed alla pianura veneta; già agli inizi del 1900 si era realizzato il primo burrificio industriale a Zanè, vicino a Thiene, capitale veneta dei formaggi e mercato franco dal 1492. La combinazione tra radici agricole e cultura industriale ha permesso alla famiglia Brazzale di raggiungere negli anni posizioni di primato a livello nazionale, non soltanto nel burro. Negli anni ’50, infatti, il gruppo è pioniere nel Grana Padano, del cui Consorzio è fondatore. Negli anni ’60 a Campodoro (PD) viene realizzato uno dei più moderni ed importanti caseifici italiani, rinnovato negli anni ’90 per recepire le nuove tecnologie della refrigerazione del latte alla stalla. Accanto alla attività di produzione, il gruppo svolge da sempre una intensa attività di commercializzazione dei principali formaggi tipici italiani. Il marchio Alpilatte nasce all’ interno del gruppo Brazzale negli anni ’70 per contraddistinguere una nuova linea di prodotti che affiancano il “Burro delle Alpi”. Non soltanto latte e panna UHT, ma soprattutto confezionamento di formaggi che in quegli anni ha avuto enorme sviluppo. La famiglia Brazzale realizza così un moderno impianto di taglio, grattugia e confezionamento presso la sede di Zanè, nel quale trasferisce tutto il suo amore per la qualità e l’eccellenza. Il ruolo di importante produttore di svariate tipologie di formaggi offre l’opportunità di essere all’ avanguardia di mercato per efficienza e convenienza. Anche nel confezionamento il gruppo applica la sua filosofia centrata sulla qualità e sulla serietà. La vocazione internazionale del gruppo, che possiede impianti agroindustriali in centro Europa ed in Sud America, facilita negli anni lo sviluppo di una intensa attività di vendite sull’ export, sia di prodotti confezionati che in forme. Nel recente passato il gruppo si arricchisce dell’apporto della famiglia Zaupa, tradizionale e stimato specialista nei provoloni e nelle paste filate. Il gruppo Brazzale potenzia così la produzione di formaggio Asiago D.O.P., raccogliendo gran parte del suo latte nelle più pregiate zone tipiche di produzione. .

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STORIE URBANE

STORIEVICENTINE

I luoghi di incontro

Ritrovi e personaggi al tempo degli austriaci.

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Loris Liotto

Loris Liotto uno storico. Laureato ScienzeStoriche, Storiche, Loris Liotto(Vicenza (1990) -è1990) uno è storico. Laureato in in Scienze all’Università all’Università degli degli Studi Studi didi Padova, Padova,ha hagià giàpubblicato pubblicato“Il“IlRisorgimento Risorgimento ricordato ricordato ee conteso conteso –– Le Le celebrazioni celebrazioni del del 1848 1848 aa Vicenza Vicenza (1867-1898)” (1867-1898)” (Ed. pubblicazione trattatratta dalla dalla sua Tesi Nel settembre (Ed. 2018), anno 2018), pubblicazione suaMagistrale. Tesi Magistrale.

Figure Illustri e Benemerite

2019 ha pubblicato “Figure illustri e benemerite nel ricordo della Città di Vicenza – un percorso a cavallo di due secoli” descrivendo personalità dalla seconda metà dell’800 al primo ventennio del’900.

nel ricordo della

Indirizzo email: loris.liotto@gmail.com

di Loris Liotto

- Vol. 2

Citta’ di Vicenza

FIGURE ILLUSTRI E BENEMERITE NEL RICORDO DELLA CITTA’ DI VICENZA

Nel corso del XIX secolo Vicenza pullulava di luoghi d’incontro, bar, pasticcerie dove la gente intellettuale, gli artisti e i patrioti si incontravano e conversavano. Il Caffè Commercio in piazza Biade era il ritrovo dei giovani vicentini. ...UN PERCORSO Nella foto qui sotto come si presentava negli anni immediatamente successivi alla CHE CONTINUA DAL Grande Guerra (1915-18) RISORGIMENTO AD OGGI...

Vol. 2

La bandiera della Città di Vicenza (anno 1866)

In copertina, disegno di Guido Albanello “Vicenza – Veduta parziale del centro storico”

Con il patrocinio del Comune di Vicenza

VIVI EDIZIONI

ISBN 978-88-944859-0-5

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STORIEVICENTINE

In alto a sinistra L’antica Offelleria “La Meneghina” sita nell’attuale contrà Cavour a Vicenza luogo di incontro dei ferventi patrioti a destra Altro luogo di ritrovo agli albori del XX secolo era il Caffè Summano presso contrà Garibaldi a Vicenza

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el corso del XIX secolo Vicenza pullulava di luoghi d’incontro, bar, pasticcerie dove la gente intellettuale, gli artisti e i patrioti si incontravano e conversavano. I locali di ritrovo a quei tempi a Vicenza erano: “Ai Nobili” per il ceto frequentatore che potevi incontrare; all’ “Azzardo” per i giocatori; alla “Fenice” dove sorgeva il circolo politico dei liberali e che diventerà poi sede del Comitato Segreto contro l’austriaco, qui potevi incontrare il vicentino Francesco Molon (1821-1885) il quale assieme a molti altri ferventi patrioti, come lo stesso Ferdinando Coletti, organizzava la patriottica azione dei Comitati segreti del Veneto; alla “Borsa” o caffè Angelini; al “Genio” in Contrà delle Vetture (attuale contrà Daniele Manin nome datole sin dal 1867) dove si incontravano gli architetti; alle “Tre Velade” a Santa Corona, chiamato così per una vecchia pittura con tre devoti vestiti a tre colori; agli “Scrigni” in piazza Duomo; ai “Commercianti” in piazza Biade; Il “Caffè dei Signori detto anche “ Bolognin”, nella piazza omonima; ritrovo preferito delle giovani coppie di fidanzati e dei reverendi era invece il “Cioccolataro” presso il Duomo gestito da degli svizzeri già a partire dall’anno 1780; ritrovo degli studenti vicentini invece era il Caffè gestito da Anna Fantoni “al Commercio delle Biade” dove gli stessi studenti si comunicavano notizie, aspirazioni, motivi di studio CULTURA VICENTINA

e di musica. All’antica offelleria “La Meneghina” nell’attuale contrà Cavour si incontravano, nella cantina della stessa, i patrioti che prepararono la rivoluzione di Vicenza della primavera del 1848, qui uno avrebbe potuto incontrare l’imperturbabile colonnello Giacomo Zanellato (1786-1879) intento a “sniffare” il suo tabacco da fiuto e a gustare le specialità della “Meneghina” come le focacce e i giallettini, quest’ultimi “strillati giorno e notte”, oppure in questo luogo si poteva incontrare il giovane patriota vicentino Camillo Franco (1824-1848) e altre personalità di spicco; i dominatori austriaci (dobbiamo rammentare che la città di Vicenza fu sotto dominazione degli austriaci essendo uno dei centri del Lombardo-Veneto dal 1813 al 1866) frequentavano invece la prima “Birraria” che si insediò a Vicenza quella gestita dal tedesco Pietro Brugger, quest’ultimo aprì inizialmente il suo chiosco “Birraria” in Campo Marzio per poi trasferirsi successivamente nel palazzo Pencati a S. Michele dove i barili di birra, le cantine dei vini e le salumerie vennero devastate nel marzo 1848. I vicentini si lamentavano degli austriaci che uscivano di notte da questo locale completamente ubriachi e che disturbavano la quiete notturna “con i rumori ingrati delle spade strascicate e battute sui selciati, insieme all’ aspro stridore delle voci croate e tedesche incontrastate e incomprese”. 41


STORIE URBANE

STORIEVICENTINE

Campo Marzio

Nel 1869, al momento della progettazione del parco, un gruppo di cittadini si costituì in Società per l’organizzazione annuale delle corse di cavalli

di Luciano Parolin

“L’esempio delle città vicine indusse molti concittadini a formare il progetto di instituire anche in questa nostra Vicenza delle corse di sedioli e biroccini. Unico spazio adatto a tale trattenimento sarebbe il Campo Marzio che negli anni decorsi vi si prestò con grande affluenza di cittadini e forestieri.“

Foto della corsa di cavalli 42

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STORIEVICENTINE

I

l 30 aprile 1869, alcuni cittadini avevano costituito una Società per organizzare le corse dei cavalli. I soci indirizzano alla Giunta Municipale una istanza: “L’esempio delle città vicine indusse molti concittadini a formare il progetto di instituire anche in questa nostra Vicenza delle corse di sedioli e biroccini”. Unico spazio adatto a tale trattenimento sarebbe il Campo Marzio che negli anni decorsi vi si prestò con grande affluenza di cittadini e forestieri. I sottoscritti, promotori di una Società che a tale scopo si costituirebbe, rivolgono preghiera a codesta Onorevole Giunta a voler assoggettare al Consiglio la loro domanda, che venga a tale scopo assegnato uno spazio nel Campo Marzio. La società si assume le spese dei palchi, dei premi e di quanto è relativo allo spettacolo. La Giunta Municipale prese a cuore la domanda che il 12 maggio dello stesso anno, sottopose al Consiglio Comunale il progetto dell’ippodromo invitando i consiglieri ad assecondare il progetto rispondendo: “.....Noi pel desiderio di fare un lavoro che debba rimanere stabile ed abbia ad armonizzare coi successivi miglioramenti da introdursi in Campo Marzio......... la Commissione (al Giardinaggio composta da Jacopo Cabianca, Caregaro Negrin, Eugenio Volebele) presenta qualcosa di simile a quello del Prato della Valle di Padova. Il 4 giugno 1869, la proposta fu approvata, l’Ufficio Tecnico Comunale provvide al progetto. Nel 1870 fu creata la pista,chiamata Circo, la grande O di campo Marzio per la sua caratteristica forma circolare. Nel 1892 la società ippica Italiana decise di estendere il tracciato fino a raggiungere la lunghezza di 804,50 metri. Nella cartolina del 1950 è ancora ben evidente la pista circolare.

Foto delll’epoca

Cartolina del 1950- dal sito“www.salitidavicenza.it”

Nonostante notevoli opposizioni, alla fine il Circo fu costruito nella parte di Campo Marzo a ovest di viale Roma, dove ancora è riconoscibile l’area circolare, oggi attrezzata come parco giochi per i bambini. CULTURA VICENTINA

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STORIE PERDUTE

STORIEVICENTINE

Il Caffè Moresco

Famoso in estate per le granatine, vi si arrivava in carrozza o a cavallo durante l’inverno

per consumare la cioccolata calda o una tazza di tè.

Distrutto durante i bombardamenti della II^ guerra mondiale

Litografia di Luigi Veronese - fine Ottocento

Cartolina Ed. Galla: dall’archivio del sito www.salutidavicenza.it

Fotografia 1930. Il Moresco è affiancato dalla stazione per le carrozze.

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STORIEVICENTINE

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STORIE RITROVATE

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La storia della Seriola

Il percorso della roggia e le vicende del Consorzio

di Luciano Parolin

“La Seriola durante il suo percorso dava energia idraulica a molti mulini, tintorie, serviva come acqua potabile per i vari conventi.....

Percorso Seriola - 1580 - Pianta Angelica 46

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STORIEVICENTINE

Percorso Seriola dalla sorgente alle Maddalene - rixostruzione

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el 1867, a seguito delle diatribe secolari tra proprietari di terreni lungo la Seriola, il Regio Ufficio Tecnico Provinciale elaborò sotto la Direzione del Ing. capo Girotto, un progetto del Regio Ingegnere Signor Polettini, per una documentazione storica da utilizzare per la costituzione di un Consorzio per gli Usi delle acque convogliate per la Roggia Seriola. Alcune sorgenti d’acqua che incontransi nell’abitato suburbano di Maddalene ingrossate dalle colaticcie e irrigazioni prative di Costabissara danno origine alla Roggia detta Seriola. Il percorso di questo fiumicello con risorgive a Maddalene scorre sino a Cà Brusà (casa Bruciata) poi costeggiando la Regia Strada di Vallarsa ora S.S. Pasubio e Viale Trento arrivava in Piazzale Tiro a Segno ove si divideva in tre rami (mappa 1821). Il ramo di sinistra, passa sotto la porta di Santa Croce che aveva il ponte levatoio e va scaricarsi nel Bacchiglione, il ramo centrale entra in città attraverso le mura, percorre Contra’ Corpus Domini, parte di Soccorso Soccorsetto, girando a destra per le Cantarane e Villa Romanelli, per entrare nel Giardino Valmarana (ora Salvi). Il terzo Ramo seguiva le mura cittadine (ora Viale Mazzini) , passava davanti alla Rocchetta, CULTURA VICENTINA

Contrà Carlo Cattaneo per entrare nel Giardino Valmarana attraverso la Loggia del Longhena formando la peschiera, sempre all’aperto davanti a Porta Castello, costeggiando il Campo Marzio sino al Ponte sul Retrone (questo tratto è ancora visibile) il ponte Furo era scavalcato prima con un manufatto poi un grosso tubo in ghisa, percorreva Contrà della Fossetta, Porton del Luzzo, Contrà del Guanto (Bar Ponticello) si prolungava sotto contra’ Mura San Michele e attraverso la Piarda sbucava alle Barche nel Retrone. Negli anni ‘80 il corso d’acqua fu intubato e coperto, in località Ca’ Brusa deviato nel Bacchiglione. La Seriola durante il suo percorso dava energia idraulica a molti mulini, tintorie, serviva come acqua potabile per i vari conventi. La storia comincia il 16 luglio 1444 con una investitura rilasciata a favore di Padre Bartolomeo dei Provinciali (forse Gerolimini?) per l’utilizzo dell’acqua. Il 20 Luglio 1785, alcuni “opificanti” proprietari di mulini cioè: Trento, Checozzi, Valmarana, Cagnotto, “erigendosi arbitri assoluti dell’acqua per la Seriola fluente si obbligavano di espurgare la tratta a comuni spese sino al Ponte del Retrone; agli ultimi due utenti la residuante tratta dal Ponte Furo allo sbocco in Bacchiglione”. 47


STORIEVICENTINE Nel tempo, per diritti eredità subentrarono le ditte: Bertolini (proprietario Missioni Estere) conte Salvi, Lampertico, De Tacchi, De Santi, Fortunato, i quali non avevano nessuna intenzione di rispettare gli accordi dimenticando il preesistito Consorzio Acque Seriola. L’alveo così era caduto in abbandono, con problemi sanitari anche per la città, si era fatto limaccioso, fonte di morbose esalazioni invece che di acque vive e salutari, i cittadini facevano continue lagnanze, così il Municipio il 29 settembre 1809, per disposizione del Prefetto, attivò un Consorzio acque per provvedere agli emergenti bisogni, addebitando agli interessati le spese, l’intervento del Municipio suscitò opposizioni e contrarietà. Il Comune tentò di ricostituire il regolare Consorzio, ma non se ne fece nulla. Un rapporto Municipale del 2 luglio 1852 a riguardo della situazione igienica della Seriola fece intervenire la Delegazione Provinciale per l’espurgo di una tratta d’alveo. Ma completato l’espurgo le opposizioni continuarono sul tema delle ”competenze passive”. Il Municipio dovette intervenire con ulteriori rapporti all’autorità Provinciale nel 1853 e 1854.

Porto Burci

20 Maggio 1854. Vengono convocate alcune ditte per eleggere un Consorzio di Rappresentanza che l’ingegnere civile del Comune Angelo Durlo auspicava, ma il suo elaborato (piano attuativo e Statuto) era avversato dai proprietari dei fabbricati frontisti che si erano rivolti all’avvocato Pasini per la disputa di chi utilizzava l’acqua come forza motrice e chi per irrigazione. Il problema della pulizia della Seriola si ripeteva nel 1855 con il bisogno urgente di espurgo nel tratto dovuto ai molini Lampertico in Campo Marzio. Il 23 Agosto 1855, una mozione Municipale: propone un piano generale di sistemazione del letto della Seriola sino allo sbocco nel Bacchiglione, deliberando che tutte le domeniche il letto della Seriola resti a secco. Per questa delibera il Municipio incaricò il nobile ing. Muttoni il quale, muore poco dopo l’inizio dei lavori. Una Consulta Tecnica del 6 luglio 1864, chiede d’urgenza l’istituzione di un Consorzio di Bonifica con elezione tra gli utenti di una Rappresentanza incaricata a tutelare i singoli interessi. 15 dicembre 1864, per disposizione della Congregazione Provinciale, costituiva una Provvisoria Presidenza che l’8 marzo 1865 dava l’incarico al Dr. Gerolamo Morsoletto di condurre a fine i rilievi e altro.

Percorso Seriola davanti alle mura 48

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STORIEVICENTINE

La Seriola a Contrà Cantarane Ma anche Morsoletto mancò ai vivi. Con Ordinanza 21 aprile 1866, si affidava all’Ufficio Tecnico Municipale l’incarico di completare i lavori. I proprietari degli opifici con mulino volevano estendere la spesa a tutti i frontisti che usavano l’acqua per abbeverare, per innaffiare giardini e orti,o per uso tintoria, ma tutti questi insorsero contestando e capitanati dal defunto avv. Pasini, protestarono rifiutandosi di votare il Presidente. Per questo motivo il Consiglio Comunale del 1864, respinse il progetto di Consorzio e d’ imperio l’Autorità Provinciale nominò una Presidenza provvisoria in rappresentanza degli utenti per irrigazione nella persona del nobile conte Ghislanzoni e per gli opificanti nella persona del conte Giuseppe Bertolini. Da Archivi Comunali di Palazzo Trissino

Una chiusa per l’irrigazione

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STORIE EPICHE

STORIEVICENTINE

Arturo Ferrarin

Centenario del volo Roma - Tokio celebrato all’aeroporto di Thiene

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n pilota ineguagliabile, nato a Thiene nel 1895, asso dell’aviazione italiana che ha fatto grande la nostra aeronautica. Tra le sue infinite gesta ricordiamo oggi i 100 anni dalla grande impresa del volo Roma-Tokyo. Era il 31 Maggio 1920 quando, accolti da 200 mila persone in tripudio, Arturo Ferrarin e Gino Cappannini posarono le ruote del loro SVA9 sull’erba del Parco Yoyogi. Un viaggio epico concepito da Gabriele D’Annunzio e realizzato grazie al coraggio e alla destrezza dei due aviatori. Un’impresa che mostro’ al mondo che per il genio e l’industria italiana non esistevano sfide impossibili. E non esistono neppure oggi. Una storia vicentina della quale siamo fieri, celebrata in modo splendidamente dinamica all’aeroporto Ferrarin di Thiene.

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Ascensori Vergati

STORIEVICENTINE

Il successo della nostra azienda si deve proprio alla conduzione familiare che

comporta un rapporto diretto con il cliente

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ergati Ascensori è un’azienda di Mestrino, in provincia di Padova, che si occupa della produzione, della vendita e dell’installazione di ascensori e montacarichi per interni e per esterni, oltre che di ascensori panoramici adatti a realtà abitative e di lavoro, quali condomini, scuole, uffici e qualunque tipo di edificio. Vergati è dal 1975 punto di riferimento nel Triveneto, nel campo della costruzione e installazione di ascensori e montacarichi, per edifici pubblici e privati. Il titolare e fondatore, Bruno Vergati, diventa ascensorista a 16 anni lavorando in un’azienda del settore che lascia dopo diciotto anni come capo officina. Ha imparato con gli occhi, ma è soprattutto con il cuore e con l’esperienza sul campo che matura il desiderio di diventare imprenditore fondando la VB, Vergati

Bruno, e affacciandosi al mondo della produzione, dell’assemblaggio e dei servizi. Tutti gli impianti elevatori dell’azienda sono conformi ai requisiti di sicurezza comunitari. La ditta progetta apparecchi elevatori su misura, rispondenti in maniera puntuale alle esigenze di natura funzionale ed estetica espresse dal cliente. L’azienda fornisce al cliente, oltre al servizio di installazione degli ascensori, anche quello di manutenzione ordinaria, oppure straordinaria in caso di blocchi o guasti improvvisi. Per risolvere nel minor tempo possibile le emergenze, la ditta garantisce assistenza in pronto intervento. Vergati Ascensori nasce dalla passione di Bruno Vergati. Era il 1975 quando decise, dopo anni di esperienza nel settore, di creare la propria impresa artigiana, debuttando nel mondo della produzione, dell’assemblaggio

CULTURA VICENTINA

e dell’installazione di ascensori e montacarichi. Oggi la società è presieduta dal fondatore e da sua moglie Maria. Negli anni sono entrati in azienda i tre figli: Nicola che si occupa di installazione e produzione, Pierluigi, responsabile commerciale e amministrativo e Michele che cura il servizio di manutenzione e post vendita. “Dal garage di circa 40 mq e il piccolo ufficio degli inizi siamo passati a guidare un’attività di grande prestigio. Oggi possiamo vantare un moderno stabilimento situato a Mestrino su un’area di 6500 mq coperti con un organico di 48 dipendenti ,racconta con orgoglio Pierluigi Vergati. Il successo della nostra azienda si deve proprio alla conduzione familiare che comporta un rapporto diretto con il cliente che di noi apprezza la competenza, la preparazione ed il saper risolvere ogni problema di movimentazione verticale”.

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STORIE EPICHE

STORIEVICENTINE

Il viaggio di Antonio Pigafetta Giugno 1520: la flotta di Magellano giunge in Patagonia sostando nella terra del fuoco per 5 mesi prima di

ripartire e scoprire nell’Ottobre del 1520 il passaggio verso le Indie attraverso lo stretto.

info eventi: www.antoniopigafetta500.it

Pigafetta fu tra i 18 uomini che riuscirono a completare l’impresa di circumnavigare il globo.

Il suo resoconto, “Primo viaggio intorno al globo terracqueo. Ossia ragguaglio della navigazione alle Indie per la via d’occidente”, è una successione di eventi e descrizioni, quasi un romanzo, denso di dettagli sulle nuove scoperte, a volte concitato e drammatico, su una conquista fatta di esaltazione, disavventure e incontri “curiosi” con indigeni delle terre lontane.

Una ricostruzione della Nave Victoria di Magellano 52

CULTURA VICENTINA


STORIEVICENTINE LA PATAGONIA: gli uomini dai “grandi piedi” “Hanno li capelli tagliati con la chierega a modo de frati, ma piú longhi, con uno cordone de bambaso intorno al capo, nel quale ficcano le frezze quando vanno a la cazza. Legano el suo membro dentro del corpo per lo grandissimo freddo. Quando more uno de questi, ge appareno X o dodici demoni, ballando molto allegri intorno al morto, tutti depinti. Ne vedono uno sovra li altri assai più grandi, gridando e facendo più gran festa. Così come el demonio li appare depinto, de quella sorte se depingono. Chiamano el demonio maggior Setebos, a li altri Cheleulle. Ancora costui ne disse con segni avere visto li demoni con due corni in testa e peli longhi che coprivano li piedi, gettare foco per la bocca e per il culo. Il capitano generale nominò questi popoli Patagoni. Tutti se vestono de la pelle de quello animale già detto. Non hanno case, se non trabacche de la pelle del medesimo animale e con quelle vanno mo’ di qua, mo’ di là, come fanno li Cingani. Vivono di carne cruda e de una radice dolce, che la chiamano chapae. Ogni uno de li due, che pigliassemo, mangiava una sporta de biscotto e beveva in una fiata mezzo secchio de acqua. E mangiavano li sorci senza scorticarli. Stessemo in questo porto, el quale chiamassemo porto de Santo Giuliano, circa di cinque mesi, dove accaddettero molte cose.....” Dalla Relazione del primo viaggio intorno al mondo di Antonio Pigafetta Pigafetta fu tra i 18 uomini che riuscirono a completare l’impresa di circumnavigare il globo. Il suo resoconto, Primo viaggio intorno al globo terracqueo. Ossia ragguaglio della navigazione alle Indie per la via d’occidente, è una successione di eventi e descrizioni, quasi un romanzo, denso di dettagli sulle nuove scoperte, a volte concitato e drammatico, su una conquista fatta di esaltazione, disavventure e incontri “curiosi” con indigeni delle terre lontane. Nel giugno del 1520 la flotta di Magellano costeggia la costa del Sudamerica in cerca di un varco verso le Indie, e in vista della sosta invernale sbarca in Patagonia, battezzata così da Magellano per via dei “grandi piedi” dei suoi abitanti, dei “giganti, tutti dipinti”. Con loro scambiarono specchi e perline, ami e corde per avere cibo e rifornirsi. Trovarono lo stretto El Paso, nell’ottobre del 1520 e vi si avventurarono, quella a sud del passaggio diventò la Terra del fuoco, per via delle fiamme accese sulla costa. Mentre il capitano Esteban Gomes (“che tanto odiava il Capitano generale”) decise di non condividere il loro destino e invertì la rotta. Pigafetta invece aveva in gran considerazione Magellano, tanto da diventare suo attendente. Racconta della scomparsa dal cielo della polare, delle nuove stelle nell’emisfero Sud. E di quei “due gruppi di piccole stelle a foggia di due nebbiette alquanto fioche”. Ora sappiamo che sono due piccole galassie, le più vicine, due satelliti della Via Lattea: la Grande e la Piccola Nube di Magellano.

Immagini della Patagonia

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STORIE RECENTI

CotoRossi di Oscar Mancini

STORIEVICENTINE

Una narrazione che restituisce il sapore di un’epoca.

Una memoria preziosa e irrinunciabile per una comunità di cui

l’industria tessile era parte fondante, nonché generatrice di imprese, commerci e botteghe.

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STORIEVICENTINE

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ul finire degli anni Settanta la scintilla della lotta democratica in difesa di una fabbrica chiamata CotoRossi si accende ovunque: per strada, nelle chiese, perfino nella sede della Banca Nazionale del Lavoro, e dentro il glorioso stadio Menti dove gioca il formidabile Lanerossi Vicenza. E’ questa la Vicenza che nessuno si aspetta, quanto mai viva, anticonformista, straordinariamente coesa e originalmente ribelle, qui raccontata con esemplare passione e meticoloso rigore. La narrazione ci restituisce il sapore di un’epoca, ricorrendo non solo a ricordi personali ma soprattutto ai documenti. Una memoria preziosa e irrinunciabile per una comunità di cui l’industria tessile era parte fondante, nonché generatrice di imprese, commerci e botteghe. OSCAR MANCINI CotoRossi: una storia collettiva Ronzani Editore - Vicenza www.ronzanieditore.it In libreria: € 18,99 e-book IBS.it: € 9,99 pag. 320

l 26 marzo e il 14 maggio del 1944 l’antico opificio Cotorossi a Borgo Berga, in Vicenza, fu gravemente bombardato. I giorni seguenti tra le macerie fumanti, si frugò palmo a palmo per liberare i macchinari danneggiati e recuperare il salvabile. Vennero estratti, irriconoscibili dalla ruggine e dal calore, filatoi, roccatrici e telai, che furono trasportati e recuperati nell’officina organizzata nell’opificio di Debba. Finita la guerra il Cotorossi era pronto a risorgere e a riprendere l’attività sotto la direzione giovanile di Domenico Rossi, figlio di Carlo e nipote di Gaetano Rossi. Sotto la sua direzione l’azienda si espanse e si ingrandì. Tra il 1954-55 fu tecnicamente ammodernata la tessitura, la pettinatura, la tintura dei filati, e la carderia dei coloranti. Fu rilevata la “Prima Manifattura Veneta di Medicazione Antisettica Giovanni Ponzani” di San Martino Buonalbergo (VR) che divenne il quinto opificio del gruppo. Nel 1961 il cotonificio Rossi non indifferente alla questione meridionale, con la consociata Rossi-Sud costruì a Latina il sesto stabilimento. Nel 1962 l’azienda decise di concentrare la tessitura a Vicenza e lo stabilimento di Chiuppano, sorto nel 1891, fu riconvertito a confezionamento. Nello stesso anno vi fu un radicale ammodernamento delle centrali elettriche di Debba, Calvene e Rozzola, collegate ad una linea da 25.000 wolts in grado di coprire il fabbisogno del 50% degli stabilimenti veneti. Nel 1967 vi fu la ristrutturazione tecnologica e chimica, introducendo il “tinto in filo”, e la Cotorossi fu riconosciuta come una delle industrie tessili italiane più all’avanguardia. Purtroppo la Cotorossi non riuscì a mantenere la posizione, poiché con il nuovo assetto sociale stavano cambiando anche le mode: si entra nell’era del casual, del sportivo, del jeans. L’azienda ha bisogno di nuova linfa gestionale, più giovanile, più moderna a passo con i tempi, in grado di prevedere in tempo i cambiamenti della moda. Il vecchio criterio gestionale di tipo patriarcale e accentratore, cominciò a scricchiolare. Negli anni ‘70 Domenico Rossi passa la direzione ai figli Alvise e Carlo e il Cotorossi con i suoi otto stabilimenti, tra Vicenza, Verona, Pordenone e Latina, passò tra il 1975 e il 1976, da più di 3.000 addetti a 2.570 con un calo del 15%. Malgrado gli ingenti investimenti economici, con esposizioni importanti con le banche, vi fu da parte loro un disimpegno negli investimenti aziendali e, anzi, i pochi ricavi non venivano rinvestiti nell’azienda. Alla politica gestionale miopistica ed arcaica, si aggiunsero ritardi innovativi con investimenti in settori moda in fase di declino. La Cotorossi incapace quindi, per responsabilità dei Rossi di proporre un suo prodotto e di cogliere l’inversione della moda, tralasciato il settore tradizionale da sempre ancora di salvezza dell’azienda, si indirizzo ad una politica amministrativa gestionale basata sul consuntivo invece che sul preventivo, con ritardi di consegna nell’ordine di 4-5 mesi, con rimanenze di invenduto nel magazzino a seguito di annullamenti d’ordini, mancati pagamenti dei fornitori, mancato versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori oltre al ritardo nell’erogazione degli stipendi; alla luce di tutto questo l’azienda, presentò nel 1976, un bilancio negativo. Conseguenza del quale gli istituti bancari non avendo garanzie, ritirarono i finanziamenti e chiesero il rientro dei crediti finanziati, che erano nell’ordine di 4-5 miliardi di lire. La vertenza Cotorossi iniziò quindi, tra la primavera del 1976 e l’inizio del 1977. Il 30 luglio del 1977 si riunì per risolvere la crisi della più importate azienda di Vicenza, con 1800 lavoratori nel vicentino, di cui circa 1000 solo a Vicenza, il Comitato Unitario, costituito dalle parti sociali (i sindaci, la Chiesa e il sindacato) e quelle politiche (la Regione e i parlamentari). Il Comitato si prefisse di sbloccare la situazione con le banche visto che sino alla fine i Rossi sostennero che la questione era di natura liquida e non gestionale. Nell’ottobre del 1977 la situazione precipitò sotto pressione degli istituti di credito, fu chiesta da parte dei Rossi, per evitare il fallimento, l’amministrazione controllata per lo stabilimento di Vicenza, cuore del gruppo, che durò sino al 9 ottobre 1978. Ad ottobre 1978 visti i scarsi risultati, analizzati anche dal Comitato unitario, e i lavoratori senza stipendio da più di due mesi, la Cotorossi è sottoposta in amministrazione straordinaria in base alla legge 44/78, o Prodi, sino al 1983. CULTURA VICENTINA

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STORIE PASSATE

I Trissino dal Vello D’oro

STORIEVICENTINE

La storia di Villa Cricoli patrimonio Unesco

All’avvincente storia dei Trissino, Giovanna Dalla Pozza Peruffo ha il merito di offrire non pochi elementi aggiuntivi e per certi aspetti

sorprendenti relativamente a villa Cricoli, preziosi per gettare nuova luce su questa dimora oggi patrimonio dell’Unesco.

L

e origini della famiglia Dresseno divenuta Trissino risalgono alla fine del XI secolo, provenienti dalla Germania, si installarono nella Valle dell’Agno zona Trissino. Un documento del 1173 riporta il nome di Antonio de Dresseno. Nel 1208 il nome di Olderico Dresseno risulta in un Decreto edilizio del Comune di Vicenza.Miglioranza Trissino nel 1219 ottiene l’investitura dal Vesco-vo. La famiglia si lega al convento di San Tommaso (ora sede G. di F.) in Borgo Berga a Vicenza, poi Distretto Militare. Il 4 aprile 1236, Federico II° Imperatore dei Romani e Re di Sicilia, assegna ai Trissino il feudo con Castello per Trissino, Quargenta, Cornedo e della Vallata del Chiampo, e con relativo Diploma li nomina Conti. La famiglia Trissino nel 1510 fu ascritta nel Consiglio Nobile di Vicenza, aveva a disposizione 18 posti o seggi. Il 17 dicembre 1532 Carlo V imperatore creò Gian Giorgio Trissino Conte Palatino: a lui e a tutti i discendenti fu data concessione di inquartare lo stemma gentilizio con l’insegna del Vello d’Oro. Gian Giorgio Trissino, magnificò la sua famiglia con origini leggendarie nella sua opera “Italia Liberata dai Goti”. Giovanni da Schio scrisse dei Trissino: “Erano così numerosi che non vi è angolo in Vicenza ove essi non abitassero”. Lo stemma. Spaccato d’oro e d’azzurro, alla fascia increspata d’argento, attraversante sulla partizione, ed accompagnata in capo da un’aquila bicipite di nero, rostrata e membrata di rosso, ciascuna testa coronata d’oro. GianGiorgio Trissino 56

CULTURA VICENTINA


STORIEVICENTINE

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orta la firma di Giovanna Dalla Pozza Peruffo il volume dal titolo I Trissino del Vello d’oro. Villa Cricoli nel contesto delle domus rurales del ‘400 vicentino, pubblicato in queste settimane dall’Accademia Olimpica. Storica dell’arte, per vent’anni presidente della sezione cittadina di Italia Nostra e autrice di numerose pubblicazioni, nelle 272 pagine di questo suo nuovo studio l’accademica propone un viaggio ricco di approfondimenti storici, artistici e letterari tra volti più e meno noti della nobile famiglia vicentina dei Trissino, indagandone la genealogia, dalle radici più antiche fino all’ultima discendenza, nonché le dimore in città e nel territorio vicentino e, naturalmente, la villa di Cricoli: un luogo, questo, interessante tanto per le sue peculiarità architettoniche quanto per le vicende che vi si svolsero, imperniate in modo paricolare attorno

alla figura dell’umanista Giangiorgio Trissino (1478-1550), che proprio qui, tra l’altro, compose Sofonisba, prima tragedia regolare all’antica della letteratura italiana e opera che nel 1562 inaugurò l’attività dell’Accademia Olimpica, fondata sette anni prima, nel 1555. Trattandosi di una ricerca molto ramificata, due aspetti sono particolarmente interessanti: l’aver ricostruito parte della storia dei Trissino attraverso l’inedita analisi delle stemmario di famiglia esplorato in chiese, ville e palazzi, e l’interpretazione davvero nuova del toponimo che dà il nome alla villa e al suo contesto paesaggistico. All’avvincente storia dei Trissino, Giovanna Dalla Pozza Peruffo ha dunque il merito di offrire non pochi elementi aggiuntivi e per certi aspetti sorprendenti relativamente a villa Cricoli, preziosi per gettare nuova luce su questa dimora oggi patrimonio dell’Unesco.

Una specifica attenzione, al riguardo, è riservata all’oratorio dedicato a santa Savina Trissina, un tempo presente davanti alla villa, ma successivamente scomparso. Il volume è aperto dalle presentazioni del presidente dell’Accademia Olimpica, Gaetano Thiene, dell’accademico Vittorio Trettenero, proprietario-protettore della villa, dell’accademica Paola Marini, presidente della Fondazione Roi, già direttrice delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e presidente dei Comitati privati internazionali per la salvaguardia di Venezia, e di Franco Benucci, ricercatore di Linguistica all’Università di Padova Dipartimento di Scienze storiche. P er informazioni si può contattare l’Accademia Olimpica al numero 0444 324376 o scrivendo a segreteria@accademiaolimpica.it.

© Marika Piva CULTURA VICENTINA

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STORIE PASSATE

L’eredità dei coloni Cimbri

STORIEVICENTINE

La straordinaria Industria Vicentina? Opera dei Cimbri. Senza di loro non sarebbe mai esistita

testo di Roberto Brazzale

Umberto Matino autore del libro “I cimbri”

Furono i Cimbri insediatisi nel medioevo sulle montagne tra l’Altopiano dei Sette Comuni e la

Lessinia l’anima ed il motore dello straordinario sviluppo industriale realizzato dopo il settecento nel nord della provincia di Vicenza. Solo per fare alcuni nomi, erano cimbri i Laverda, i Marzotto, i Conte, i Dal Brun, i Fogazzaro, i Cazzola, i De Pretto, i Barettoni, i Ciscato, i Manea, i

Cortiana, i Raumer, gli Stella, gli Ziche, i Zuccato, i Rigoni, i Sella, i Caoduro, e così si potrebbe continuare molto a lungo.

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Alessandro Rossi

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urono i Cimbri insediatisi nel medioevo sulle montagne tra l’Altopiano dei Sette Comuni e la Lessinia l’anima ed il motore dello straordinario sviluppo industriale realizzato dopo il settecento nel nord della provincia di Vicenza. I coloni germanici, per lo più bavaresi, che dopo l’anno mille “svegrarono”, chiamati da vescovi e conti, le nostre montagne ancora selvagge, apportarono una cultura del lavoro, un’inventiva, una dedizione, uno spirito di sacrificio ed un senso del risparmio che fornirono l’elemento umano necessario per innescare l’imponente sviluppo industriale dell’altovicentino nell’ottocento. La coltivazione delle montagne attraverso la silvicoltura, l’allevamento, l’attività mineraria mise a disposizione preziose materie prime quali legname, lane, latte e minerali in quantità tale da permettere la nascita dell’industria siderurgica, meccanica, tessile e casearia. CULTURA VICENTINA

Siamo oggi abituati a identificare i Cimbri, il cui nome viene da “Tzimbar” che significa “carpentiere”, con le popolazioni residue degli insediamenti storici quali Roana, Luserna, Giazza, cioè quelle che fino all’ultimo conservarono lingua e tradizioni originarie. Commettiamo tutti l’errore di dimenticare come le nostre popolazioni di stirpe germanica nei secoli si estesero, si diffusero e si fusero con i veneti imprimendo la loro impronta a tutti gli insediamenti fino alla periferia di Vicenza. Favorisce questo equivoco l’italianizzazione dei cognomi e di molti toponimi avvenuta non solo per effetto dell’uso ma altresì imposta dall’alto come reazione alla riforma protestante e dagli stessi cimbri per dissimulare la loro origine teutonica, in alcuni momenti storici divenuta piuttosto ingombrante. Tuttavia, la ricerca onomastica e toponomastica, pur in assenza di fonti documentali è


STORIEVICENTINE

Le storie dei Cimbri delle Montagne, che vengono narrate in questo libro, mostrano con grande evidenza che è esistito anche un Veneto tedesco, con un suo dialetto ostico e pieno di fascino, e un Veneto montanaro, legato ferocemente alla terra; che è esistito un Veneto protestante, austero e

inequivocabile e porta a risultati che sorprendono e dovrebbero farci inorgoglire. Erano cimbri i più grandi industriali dell’alto vicentino, uno per tutti, il più grande, fu Alessandro Rossi, ci dicono originario della contrada Sasso di Asiago, discendente di pastori poi commercianti di lane, cosmopolita e lucido visionario che rivoluzionò l’industria laniera italiana ed europea grazie al suo straordinario ingegno ed alla sua curiosità, realizzando oltretutto il primo grande esempio di capitalismo “sociale” e di “welfare” moderno. La Rossi fu la più grande industria tessile d’Europa e la più grande società per azioni italiana. Fu di Alessandro Rossi, curiosità, la prima automobile a circolare sulle strade italiane, una Peugeot. Rossi, tuttavia, rappresenta solo la punta di diamante di un mondo di decine di migliaia di operosi ed ingegnosi cimbri che nelle loro contrade aggrappate ai monti instancabilmente allevavano, coltivavano, commerciavano, aprivano laboratori domestici, forgiavano, tessevano, cagliavano, inventavano o applicavano nuove tecniche e nuovi processi, viaggiando e importando tecnici da tutta Europa. Solo per fare alcuni nomi, erano cimbri i Laverda, i Marzotto, i Conte, i Dal Brun, i Fogazzaro, i Cazzola, i De

riformatore e che è inoltre esistito - ed esiste tuttora - un Veneto industriale: il Veneto del lavoro, della fabbrica, della tecnologia e - soprattutto se riferito al mondo cimbro nell’800 - il Veneto del riformismo sociale, del welfare aziendale, della modernità.

Pretto, i Barettoni, i Ciscato, i Manea, i Cortiana, i Raumer, gli Stella, gli Ziche, i Zuccato, i Rigoni, i Sella, i Caoduro, e così si potrebbe continuare molto a lungo. Non fu un caso che il veneziano Nicolò Tron nel 1738, respinto dalle corporazioni dei lanaioli protette e conservatrici di Venezia e Vicenza, trovò a Schio il terreno più fertile per aprire il lanificio che doveva recepire tutte le innovazioni della rivoluzione industriale inglese che egli aveva studiato da ambasciatore veneziano a Londra. Solo nel 1701 la Repubblica aveva finalmente autorizzato la produzione delle più redditizie “lane alte” fuori da Vicenza e Venezia, liberando finalmente le immense risorse del resto del territorio che fino ad allora erano state penalizzate dal “favor” che la Repubblica garantiva alle corporazioni, come sempre ostili all’innovazione e nemiche degli interessi generali. La meravigliosa, interessantissima storia dei Cimbri, dall’origine ai giorni nostri e della loro potente funzione di innesco e sviluppo nel tessuto produttivo veneto oggi si può leggere nell’imperdibile, documentatissimo e godibilissimo libro di Umberto Matino “CIMBRI - Vicende, cultura, folclore”, ed.Biblioteca dell’immagine.

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CIVILTA’ VENETA

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ALTINO PRIMA DI VENEZIA

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STORIEVICENTINE

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