PATROCINIO PROVINCIA DI VICENZA
VICENZA CHE LEGGE
PASSIONELIBRI
N. 01
© Davide Ceccon
MAGAZINE LETTERARIO DI PROMOZIONE DELLA LETTURA
€ 5.00
TORIE PRIMAVERILI
Fotografie di Stefania Tognetti
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VICENZACHELEGGE PATROCINIO PROVINCIA DI VICENZA
sommario
VICENZA CHE LEGGE
PASSIONELIBRI
N. 01
PASSIONELIBRI
Ottobre 2020
MAGAZINE LETTERARIO DI PROMOZIONE DELLA LETTURA
© Davide Ceccon
RETE BIBLIOTECHE VICENTINE
€ 5.00
Ottobre 2020 In copertina foto di Francesco Dalla Pozza VICENZA CITTA’ CHE LEGGE MAGAZINE n.1 House organ dell’Associazione culturale VIVI VICENZA
Manoscritti, foto, disegni inviati alla redazione non vengono restituiti. Il © delle immagini qui proposte per gentile concessione è di proprietà degli autori.
hanno collaborato: Antonio Di Lorenzo Alessandro Scandale Adriana Chemello Roberto Brazzale Silvia Gusmano Silvia Guido Roberto Monnicchia Maurizio Cerato Vignetta Davide Ceccon Racconto di Maurizio Boschiero Brevi estratti dai libri di: Giuseppe Mendicino Paolo Coehlo Italo Francesco Baldo
vivi
Associazione editrice VIVI EDIZIONI Corso Palladio, 179 0444.327976 Iscrizione soci vivi@viviedizioni.eu www.viviedizioni.org
Magazine RETEdi promozione BIBLIOTECHE della lettura VICENTINE e degli eventi culturali e letterari in programmazione in Provincia di Vicenza
04 EDITORIALE Effetto calamita 08 BIBLIOTECHE Il patrimonio della Rete Biblioteche europee 12 LIBRI Mario Rigoni Stern RIgoni e Levi 14 EDITORI Neri Pozza 20 ANNIVERSARIO Antonio Pigafetta 5 mesi in Patagonia La relazione di Viaggio 24 ARCHIVIO I portici di Monte Berico 26 CELEBRAZIONI Giacomo Zanella 1820 Hashtag/Blogger/ Events/Programmi
34 IN LIBRERIA La famiglia Trissino Il CotoRossi I setifici del ‘700 vicentino L’eredità dei coloni Cimbri 44 RECENSIONI Se l’acqua ride Vicenza Story illustrata 46 RACCONTI De Andrè a Chiuppano 54 BOOK INFLUENCER Cormac Mc Carthy Remo Rapino Tony Morrison 56 INCONTRI CON AUTORI Antonio Calabrò/Paolo Coehlo 58 SCUOLA CHE LEGGE Concorso recensioni 2020 64 SENZA PAROLE Norman Parkinson
RICONOSCIMENTO MIBACT E CENTRO PER IL LIBRO E LA LETTURA PER 17 COMUNI VICENZA ARZIGNANO BASSANO DEL G.PPA CALDOGNO DUEVILLE GRUMOLO DELLE ABBADESSE ISOLA VIC.NA MARANO VIC.NO MAROSTICA MONTICELLO C. OTTO PIOVENE NOVENTA SCHIO SOVIZZO THIENE TORRI DI Q.LO VALDAGNO
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EDITORIALE
BIBLIOTECHE VICENTINE
Effetto calamita
AUMENTANO I LETTORI DELLA RETE di Antonio Di Lorenzo
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iblioteche e musei sono il Pronto soccorso della cultura. Ti accorgi quanto siano preziosi quando mancano e si fa di tutto per raggiungerli e tenerseli stretti. L’ha dimostrato anche il lockdown di primavera, come hanno spiegato Mario Guderzo e Lidia Zocche, bibliotecari di lungo corso, al convegno La cultura come cura, il nuovo equilibrio tra promozione e partecipazione svoltosi a Marostica.
social, fatto sta che Valentino Nizzo e Cristian Greco ogni santa mattina mettevano la faccia su Facebook e i risultati sono stati entusiasmanti. Che il virtuale sia reale molto più di quanto crediamo l’ha confermato Lidia Zocche, responsabile vicentina della Rete delle biblioteche e responsabile della Cultura del Comune di Schio. Le biblioteche della Rete (ossia 105 istituzioni per 90 Comuni del Vicentino) in tre settimane di lockdown
Una curiosa immagine che rende l’idea dei musei chiusi a causa dell’epidemia da coronavirus
Lidia Zocche
Azzerato dalla pandemia il Louvre, il museo più visitato al mondo con 20mila persone ogni giorno, cancellati i 12 mila ingressi quotidiani di Uffizi e Musei Vaticani, che restava da fare? Mettere on-line la possibilità di visitarli. I risultati? Buoni, a giudizio di Guderzo, già direttore del museo di Bassano e di quello canoviano di Possagno. È vero che il 51% conosceva la possibilità ma non l’ha sfruttata, però un 17% ha cliccato sulla pagina del museo andando a curiosare, mentre il 4% ha compiuto una visita virtuale completa. Insomma, una persona su cinque un giretto tra quadri e statue se l’è fatto. È vero che il 28%, stando ai dati illustrati, non conosceva questa possibilità. L’aspetto positivo, ha spiegato Guderzo, va colto soprattutto nel fatto che sono gli over 65 i più affascinati da questa modalità, perché “cercano una narrazione”. Il che dimostra quanto vivace e ampio possa essere il pubblico che ha fame di cultura. E dimostra anche quanto si possa incrementare l’incontro fra domanda e offerta se a scendere in campo sono i direttori dei musei. Guderzo ha portato come esempio il museo etrusco di Roma e quello egizio di Torino. Sarà perché sono più giovani della media dei loro colleghi, sarà perché sanno usare i
hanno creato 250 eventi, soprattutto letture per bambini, disperati quanto le mamme a restare in casa senza avere niente da fare. Ma non solo: anche i prestiti di e-book sono volati: “Abbiamo raddoppiato il budget per acquistarli – ha spiegato Lidia Zocche – ma non è bastato; visto il successo perché sono raddoppiati anche i prestiti, l’abbiamo triplicato. Il servizio è decollato”. La conseguenza più clamorosa è che l’attività virtuale della biblioteca ha avuto, appunto, conseguenze ben reali: “Abbiamo attirato nuovi utenti, anche soprattutto chi non aveva mai messo piede in una biblioteca. È questo, del resto, il nostro obiettivo”. Lidia Zocche ribalta il concetto che la cultura sia un pozzo di petrolio da sfruttare, slogan lanciato negli anni Ottanta: “Se fosse così, prima o poi il pozzo si asciugherebbe e il petrolio finirebbe. No, la cultura è un’energia rinnovabile. Più la diffondi, più ne crei. Ecco perché noi dobbiamo produrre cultura, sostenere artisti e musicisti. Dobbiamo diventare pusher della cultura, indurre il bisogno proprio perché i cittadini hanno davvero bisogno delle biblioteche. Per usare una frase dello scrittore Neil Gaiman, Google può dare centomila risposte a una domanda, ma il bibliotecario ti darà la risposta giusta”.
Gli utenti delle biblioteche sono aumentati nel periodo del lockdown grazie anche ai prestiti degli e-book
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#ANTONIODILORENZO
BIBLIOTECHE
LA RETE VICENTINA
Il patrimonio della Rete DUE MILIONI DI LIBRI A DISPOSIZIONE di Antonio Di Lorenzo
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empre più vicentini si avvicinano alla lettura, grazie anche al lavoro svolto dalla Rete delle biblioteche vicentine che raggruppa oltre cento strutture della provincia. La conferma giunge dal ministero dei Beni Culturali che ha lanciato l’iniziativa “Città che legge”. Nel Vicentino sono più che raddoppiate quest’anno, da otto a diciassette, le città che possono fregiarsi di questo titolo. Oltre a Vicenza, nella lista ci sono Arzignano, Bassano, Grumolo, Dueville, Isola, Marano, Marostica, Monticello Conte Otto, Noventa, Caldogno, Piovene Rocchette, Sovizzo, Torri di Quartesolo, Schio, Thiene, Valdagno. Durante il lockdown le biblioteche hanno amplificato le loro proposte e adesso che hanno riaperto, la piazza virtuale non è certo abbandonata. Qual è il patrimonio culturale cui i vicentini possono 6
accedere? Eccolo in cifre: quasi due milioni di libri, mentre sono 23mila gli e-book e 320mila gli e book scaricabili on line gratuitamente; sono a disposizione oltre 2.500 audiolibri e quasi diecimila gli audiolibri scaricabili gratuitamente; si possono prendere a prestito oltre 46mila dvd e quasi 18mila sono i video scaricabili on line gratuitamente; circa 12mila i cd musicali disponibili e quasi 8.500 quelli scaricabili on line gratuitamente; infine sono a disposizione quasi 4000 periodici cartacei e sono oltre 6.600 i periodici scaricabili on line gratuitamente. Si tratta di un enorme patrimonio che ogni cittadino della provincia di Vicenza trova in un unico catalogo on line. Questa è la RETE DELLA BIBLIOTECHE VICENTINE, un’unica grande biblioteca virtuale, che raccoglie 92 biblioteche di 86 comuni convenzionati, con oltre 200 professionisti, cioè i bibliotecari.
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SEDE DELLA RASSEGNA Villa Cerchiari ▪ Biblioteca R. Guardini Isola Vicentina ▪ Via Cerchiari 22 CONTATTI Biblioteca 0444599147 | Comune 0444599111 ilprofumodicarta@gmail.com
GIOVEDÌ 29 OTTOBRE 2020 Villa Cerchiari | Ore 20.30
19 - 31 ottobre 2020
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DALL’AUTORE DE “L’ULTIMO RIGORE DI FARUK”
Sa essere amara la vita in Senegal, se nasci in uno dei suoi tanti paesi spazzati da vento e povertà. Nonostante le difficoltà, però, Amadou è cresciuto circondato dall’affetto della sua famiglia, e ora, a quattordici anni, ha il cuore e la mente gonfi di sogni. Quello più grande riguarda il calcio, e per Amadou è naturale immaginarsi lontano, magari proprio in quell’Europa dove giocano i suoi idoli. E così, quando due procuratori lo avvicinano alla fine di una partita fortunata, affermando che ha tutte le carte in regola per entrare nelle giovanili di una grande équipe francese, Amadou si convince che il suo desiderio stia per avverarsi. Vedono il riscatto a portata di mano anche mamma e papà, perché un figlio in Europa significa più possibilità economiche per tutti, e così nessuno mette in discussione la proposta ricevuta… nemmeno quando i due procuratori chiedono soldi per avviare l’impresa. Amadou ancora non lo sa, ma ad attenderlo all’orizzonte c’è un’odissea in cui tanti suoi coetanei sono naufragati. Toccherà anche a lui la stessa sorte? La strada sembra segnata, ma non c’è ragazzo più forte di quello che non vuole dire addio ai propri sogni. Ispirato a drammatici fatti di cronaca, il nuovo romanzo di Gigi Riva – autore del libro-rivelazione L’ultimo rigore di Faruk – è una storia di formazione picaresca e toccante, che racconta con vivida limpidezza una nuova, terribile forma di tratta degli schiavi.
Gigi Riva Non dire addio ai sogni
GIGI RIVA Gigi Riva N O N D I R E A D D I O A I S O G N I
Non dire addio ai sogni
introduce Ilvo Diamanti
Isola Vicentina Emanuele Trevi
Matteo Strukul
Mondadori, 2020 PANTONE 810 C
V edizione
Tutto a Non di a caric qualco dai cap la sore UFF. TECNICO
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rimasuglio di innocenza, notte, davanti al mare di Genova, rdi per tirarsi indietro.
Sa essere amara la vita in Senegal. Ma Amadou è cresciuto amato da e ora, a quattordici anni, è pieno di sogni. Il più grande riguarda il c si immagina in Europa, dove giocanoPASSIONELIBRI i suoi idoli. Così, quando du avvicinano alla fine di una partita, affermando che potrebbe entrar di una grande ‘équipe’ francese, Amadou crede che il sogno stia per mamma e papà vedono il riscatto a portata di mano. Nessuno dubita nemmeno quando i due procuratori chiedono soldi. Amadou non sa lo c’è un’odissea in cui tanti suoi coetanei sono naufragati. La strada ma non c’è ragazzo più forte di quello che non vuole dire addio ai pro to a drammatici fatti diGigicronaca, il romanzoAlessia di Gigi Riva è una storia d Marta Pozzolo Riva Gazzola racconta una nuova, terribile forma di tratta degli schiavi.
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Sa essere amara la vita in Senegal. Ma Amadou è cresciuto amato dalla sua famiglia, e ora, a quattordici anni, è pieno di sogni. Il più grande riguarda il calcio e Amadou si immagina in Europa, dove giocano i suoi idoli. Così, quando due procuratori lo avvicinano alla fine di una partita, affermando che potrebbe entrare nelle giovanili di una grande ‘équipe’ francese, Amadou crede che il sogno stia per avverarsi. Anche mamma e papà vedono il riscatto a portata di mano. Nessuno dubita della proposta, nemmeno quando i due procuratori chiedono soldi. Amadou non sa che ad attenderlo c’è un’odissea in cui tanti suoi coetanei sono naufragati. La strada sembra segnata, ma non c’è ragazzo più forte di quello che non vuole dire addio ai propri sogni. Ispirato a drammatici fatti di cronaca, il romanzo di Gigi Riva è una storia di formazione che racconta una nuova, terribile forma di tratta degli schiavi.
Isola Vicentina
Sa esse e ora, a si imm avvicin di una mamm nemm lo c’è u ma no to a dra raccont
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V edizione
Profumo di carta
VENERDÌ 30 OTTOBRE 2020 Villa Cerchiari | Ore 20.30 Chiara Marchelli
Federica Sgaggio
Alessia Gazzola Costanza e i buoni propositi
Marco Cavalli
Roberto Barbiero
Cristina Gregorin
libriElisa Santucci introduce Profumo incontri di rassegne carta
DIMENSIONE: 150x210 mm
BROSSURA
VENERDÌ 30 OTTOBRE 2020 Villa Cerchiari | Ore 20.30
PANTONE 810 C
COP_riva.indd 1
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F O T O © C A R L O R I VA
18,00
GRAPHIC DESIGNER: GAIA STELLA DESANGUINE I N C O P E RT I N A : F OTO © DA N M / G E T T Y I M AG E S
Gigi Riva N O N D I R E A D D I O A I S O G N I
Alessia Gazzola Costanza e i buoni propositi
Libri, incontri e rassegneLonganesi, 2020
introduce Elisa Santucci
Mario Isneghi
Gigi Riva è nato a Nembro (Bergamo) nel 1959. Romanziere, sceneggiatore per il cinema, è oggi editorialista dell’“Espresso”, di cui è stato a lungo inviato in Medioriente. Da inviato speciale del “Giorno” ha seguito tutte le guerre balcaniche degli anni Novanta. Il suo primo romanzo, L’ultimo rigore di Faruk (Sellerio, 2016), è diventato un piccolo cult.
Cosa sono diventato? Con un rimasuglio di innocenza, Amadou lo chiedeva a se stesso quella notte, davanti al mare di Genova, quando ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
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DIR. EDITORIALE
ART DIRECTOR
EDITOR
GRAFICO
REDAZIONE
UFF. TECNICO
Tutto avrebbe pensato, ma non di fare la paleopatologa dopo la laurea in medicina. Non di vivere a Verona, così distante dalla sua Messina. Non di avere una figlia piccola a carico, Flora. Non di rintracciarne il padre dopo anni e scoprire di provare ancora qualcosa per lui. La vita di Costanza Macallè può dirsi travagliata. Ma la trentenne dai capelli rossi può contare sull’aiuto dei colleghi dell’Istituto di Paleopatologia, del-SABATO 17 OTTOBRE 2020 la sorella Antonietta e sulle proprie forze. La nuova vita che Costanza aveva appena iniziato a costruire potrebbe, però, essere sul punto di cambiare. Il lavoro di medicoVilla Cerchiari | Ore 11.00 è ancora in cima alla sua lista dei desideri e Marco, il padre di Flora, è ancora in pro-Presentazione della mostra cinto di sposarsi. Costanza dovrà confrontarsi con importanti decisioni da prendere e un sito archeologico milanese che porta alla luce un incredibile mistero dal passatoGIROLAMO DALLA GUARDA medievale della città.
Storie di clima Instagram profumodicarta
Ingresso libero.
Testimonianze dal mondo sugli
SABATO 24 OTTOBRE 2020 Villa Cerchiari | Ore 17.00 Lectio magistralis Il cambiamento climatico sta interagendo nella vita del nostro Pianeta con impatti
tel. 0444.599147 Ediciclo Editore, 2020 biblioteca@comune.isola-vicentina.vi.it Eventuali cambiamenti al programma saranno evidenziati nel sito
sempre più devastanti per le comunità umane, animali e vegetali. Roberto Barbiero e Valentina Musmeci sono andati a cercare donne e uomini che abbiano dovuto portare avanti una difficile lotta ambientale o sociale sul loro territorio a causa dei cambiamenti climatici. Dalla Patagonia alla Finlandia, dall’Uganda al Messico, dal Libano alla Sicilia gli autori hanno raccolto testimonianze, riportando le emozioni e le sofferenze ma anche le soluzioni adottate da queste persone per sopravvivere o cercare di vivere meglio. Tutte testimonianze che possono insegnarci. “Chiunque legga queste storie non potrà più dire ‘non credevo, non sapevo...’ ma sarà informato sulla realtà dei fatti e – ci auguriamo – spinto ad agire per mitigare i danni finché è ancora possibile” (dall’introduzione di Luca Mercalli).
Eventuali cambiamenti al programma
saranno evidenziati un progetto di nel sito con il patrocinio di
Comune di Isola Videntina
Venetkens®
Provincia di Vicenza
con il sostegno di
in collaborazione con Ronzani Editore
partner
Longanesi, 2020
CALENDARIO DELLA V^EDIZIONE
SEDE DELLA RASSEGNA Villa Cerchiari ▪ Biblioteca R. Guardini Isola Vicentina ▪ Via Cerchiari 22 CONTATTI CONTATTI Biblioteca 0444599147 | Comune 0444599111 Biblioteca 0444599147 a cura di Giovanna Grossato Comune 0444599111 ilprofumodicarta@gmail.com La mostra si può visitare per tutta la ilprofumodicarta@gmail.com SABATO 31 OTTOBRE 2020 www.ilprofumodicarta.it Villa Cerchiari | Ore 16.00 durata della rassegna “Profumo di carta” www.ilprofumodicarta.it Facebook profumodicarta Facebook profumodicarta Roberto Barbiero e Valentina Musmeci negli orari di apertura della Biblioteca. Instagram profumodicarta Info e prenotazioni alle serate: impatti cambiamenti climatici Info e prenotazioni alledeiserate: ilprofumodicarta.eventbrite.com introduce Paolo Fontana
Valentina Musmeci
Tutto avrebbe pensato, ma non di fare la paleopatologa dopo la lau Non di vivere a Verona, così distante dalla sua Messina. Non di avere u GIOVEDÌ 29 OTTOBRE 2020 GIOVEDÌ 22 OTTOBRE 2020 a carico, Flora. Non di rintracciarne il padre dopo anni e scoprire d Villa Cerchiari | Ore 20.30 Villa Cerchiari | Ore 20.30 qualcosa per lui. La vita di Costanza Macallè può dirsi travagliata. Gigi Riva Emanuele Trevi Girolamo Dalla Guarda dai capelli rossi può contare sull’aiuto dei colleghi dell’Istituto di Pale Non dire addio ai sogni a cura di Giovanna Grossato Due vite la sorella Antonietta e sulle proprie forze. La nuova vita che Costanz introduce Ilvo Diamanti introduce Nicoletta Martelletto iniziato a costruire però,cheessere punto di cambiare. Il l Tutta la forzapotrebbe, espressiva del colore caratterizzasul l’opera di Girolamo Dalla Guarda a partire dai suoi esordi, nei primi anni Settanta, rimane intatta dopo è ancora in cima alla sua lista dei desideri e Marco, il padre di Flora, cinquant’anni. in una selezione di tele e di carte espoVENERDÌ 30 OTTOBRE 2020 La si potrà apprezzare VENERDÌ 23 OTTOBRE 2020 ste nel salone d’onore e dovrà in altri spazi di Villa Cerchiari. con importanti decisio cinto| Ore di sposarsi. Costanza confrontarsi Villa Cerchiari 20.30 Villa Cerchiari 20.30si accompaSono lavori in cui la cromia decisa, sintetica e spesso| Ore prepotente un sito archeologico milanese che porta alla luce incredibile mis gna ad una gestualità insistita.Federica I soggetti sono per lo più legatiun alla figura ma Alessia Gazzola Sgaggio spesso risultano dall’impeto esasperato del segno da della città. talmente scarnificati Costanza emedievale i buoni propositi L’eredità dei vivi perdere la connotazione naturalistica, al limite dell’astrazione.
le immagini non rinunciano però mai ad introduce Elisa Santucci Pur stravolte e stranite all’estremo, introduce Chiara Roverotto
una loro storia, ad avere un nome, a esistere all’interno di una situazione. E questo è il ductus stilistico ma anche concettuale da sempre presente nella SABATO 31 OTTOBREpittura 2020di Dalla Guarda. DOMENICA 25 OTTOBRE 2020 Nato nel 1943 a Isola Vicentina, l’artista ha iniziato a disegnare e a dipingere Villa Cerchiari | Ore 16.00 Villa Cerchiari Ore 17.00 giovanissimo. Dal 1970 ha cominciato a esporre in|numerose mostre collettive e personali in Italia e in Europa. Roberto Barbiero e Valentina Musmeci Spettacolo-reading
SABATO 31 OTTOBRE 2020 Villa Cerchiari | Ore 16.00
Storie di clima “Camilleri eBarbiero la sua Sicilia”e Valentin Roberto della mostra Testimonianze dal mondoPresentazione sugli Lettore-attore Antonino Varvarà SABATO 17 OTTOBREStorie 2020 di clima impatti dei cambiamentiSalone climatici d’onore di Villa Cerchiari | Ore 11.00 Testimonianze dal2020 mondo sug La mostra si può visitare per tutta la durata rassegna “Profumo di carta” introduce Paolo Fontana LUNEDÌ della 26 OTTOBRE negli orari di apertura della Biblioteca. Ingresso libero. Villa Cerchiari | Ore 20.30 impatti dei cambiamenti clima LUNEDÌ 19 OTTOBRE 2020 Marta Pozzolo introduce Paolo Fontana Villa Cerchiari | Ore 20.30 Luigi Meneghello Matteo Strukul Un intellettuale Ediciclo Editore, transnazionale 2020 La corona del potere introduce Luciano Zampese introduce Il Stefano Ferrio cambiamento climatico sta interagendo nella vita del nostro Pian Newton Compton Editori, 2020 MARTEDÌ 27 OTTOBRE 2020 sempre più devastanti per le comunità umane, animali e vegetali. Villa Cerchiari | Ore 20.30 ro e Valentina Musmeci sono andati a cercare donne e uomini che MARTEDÌ 20 OTTOBRE 2020 Marco Cavalli portare avanti una difficile lotta ambientale o sociale sul loro territ Villa Cerchiari | Ore 20.30 Dante clandestino cambiamenti climatici. Dalla Patagonia alla Finlandia, dall’Uganda Chiara Marchelli introduce Federica Augusta Rossi Redenzione Libano alla Sicilia gli autori hanno raccolto testimonianze, riportando introduce sofferenze Federica Augusta Rossi le soluzioni adottate da queste persone per so ma anche MERCOLEDÌ 28 OTTOBRE 2020 care di vivere meglio. Tutte testimonianze Villa Cerchiariche | Orepossono 20.30 insegnarci. “ MERCOLEDI’ 21 OTTOBRE 2020 Cristina Gregorin queste storie non potrà più dire ‘non credevo, non sapevo...’ ma sarà Villa Cerchiari | Ore 20.30 testimone realtà dei fatti e – ci auguriamoUltima – spinto ad agire per mitigare i dann Mario Isnenghi introduce Alessandra Ronchi Vite vissute e no www.girolamodallaguarda.it
possibile” (dall’introduzione di Luca Mercalli).
introduce Antonio Di Lorenzo MAGAZINE LETTERARIO
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PASSIONELIBRI
IL MODELLO DANESE
a biblioteca Dokk1 ad Aarhus in Danimarca: la sua progettazione è durata vent’anni ed è stata definita “la migliore biblioteca del mondo” E per aprire nuovi orizzonti, Lidia Zocche ha mostrato alcune biblioteche di nuova concezione, concentrando l’attenzione su quelle danesi. Ha indicato Dokk1 a Aarhus: aperta nel 2015, l’anno successivo è stata valutata dalla Ifla come la migliore biblioteca del mondo. Non si arriva a un traguardo così importante per caso: la sua progettazione è durata vent’anni. Ed è stata molto partecipata, tant’è vero che il suo motto è: “Non per i libri, ma per le persone”.
La biblioteca ha trovato spazio in una ex fabbrica occupata e la sua progettazione ha coinvolto gli ex occupanti. Qui tutti sono ben accolti, anche gli homeless. Tre esempi che vanno, come direbbe Fabrizio De Andrè, in direzione ostinata e contraria rispetto al rischio di trasformare la modernità in quei nonluoghi da cui mette in guardia Marc Auge. Maurizio Pamici, presidente del Comitato di gestione della biblioteca di Marostica, ha ricordato che i nonluoghi sono quegli spazi dell’anonimato, ogni giorno più numerosi, frequentati da individui simili ma soli. Dal supermercato alla stazione, dall’albergo all’autostrada:
Nella biblioteca di Billund, invece, gli spazi sono studiati a misura di bambino e incentrati sull’esplorazione, il gioco libero, il movimento fisico e l’apprendimento attivo in autonomia. Non a caso: Billund è una città di seimila abitanti che è la sede della Lego, anzi è stata definita – giustamente – la capitale mondiale dei mattoncini Lego e quindi i bambini sono la prima preoccupazione di tutti, anche degli amministratori. Caratteristica è anche la biblioteca di Rentemerstervej, che ha come motto: “In questa biblioteca ognuno ritrova la sua dignità di uomo”. Anche in questo caso non sono parole messe lì per dire: sorge in un quartiere di Copenhagen con 90 etnie, un tasso di disoccupazione del 65% e un alto analfabetismo.
“Bisogna fare di tutto perché le biblioteche non entrino in questo elenco”. Certo, ma creare biblioteche innovative è facile in Danimarca, Paese che ha 5 milioni di abitanti, come il solo Veneto, ed è ricco. Come si può nella ben più popolosa e più povera Italia trasferire questo modello? Risponde Lidia Zocche: “Sono decisioni politiche, basta decidere di finanziare questo settore. Faccio un esempio: le Reti delle biblioteche del Veneto hanno ricevuto un finanziamento annuale dalla Regione di 97mila euro; le Reti del Piemonte si sono divise 890 mila euro. E la nostra è la Rete più performante d’Italia”. articolo di Antonio di Lorenzo
MAGAZINE LETTERARIO
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La biblioteca Black diamond di Copenhagen.
Nella biblioteca di Billund i bambini si possono sdraiare sul divano-nuvola con il soffitto che fa da schermo per i loro device MAGAZINE LETTERARIO
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#GIUSEPPEMENDICINO
LIBRI
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BIOGRAFIE
Mario Rigoni Stern VITA GUERRE LIBRI di Giuseppe Mendicino
Mario Rigoni Stern, uno dei maggiori scrittori italiani del Novecento, nato e vissuto nell’altipiano veneto dei Sette Comuni, ha raccontato storie di guerra e storie naturali che hanno fatto compagnia a più generazioni di lettori. I suoi libri sono testimonianze delle tragedie della Seconda guerra mondiale, ma nei suoi racconti ci sono anche animali, boschi, malghe e montagne; pochi scrittori sono riusciti a descrivere con altrettanta conoscenza e sensibilità il mondo naturale. Giuseppe Mendicino, da anni appassionato cultore della memoria e dei libri del grande scrittore di Asiago, lo racconta attraverso questa biografia. Oltre a Rigoni, nel libro troviamo amici come Primo Levi e Nuto Revelli, maestri di etica civile come Emilio Lussu e Tina Merlin, compagni di guerra come Nelson Cenci e Cristoforo Moscioni Negri, e i personaggi indimenticabili dei suoi libri, tra tutti il pastore, contrabbandiere e venditore di stampe Tönle, un uomo libero che detestava confini e barriere. Nei suoi libri c’è un invito ad avere coraggio e a resistere, a conservare dignità e integrità morale anche nelle peggiori difficoltà.
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#GIUSEPPEMENDICINO
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settembre 1943. “Eravamo numeri. Non più uomini. Il mio era 7943. Ero uno dei tanti. Mi avevano preso sulle montagne ai confini con l’Austria, mentre tentavo di arrivare a casa, dopo l’8 settembre del ’43. Ci portarono a piedi fino a Innsbruck e poi, dopo quattro o cinque giorni, ci caricarono sui treni e ci portarono in un territorio molto lontano, che a noi era sconosciuto, oltre la Polonia, vicino alla Lituania, nella Masuria, in un lager dove poco tempo prima erano morti migliaia di uomini; gli storici parlano di cinquanta-sessantamila russi. Erano prigionieri, morti di fame e di tifo. Noi andammo ad occupare le baracche che avevano lasciato libere, nello Stammlager 1-B. Dopo quattro o cinque giorni, ci proposero di arruolarci nella repubblica di Salo, ossia di aderire all’Italia di Mussolini. Eravamo un gruppo di amici che avevano fatto la guerra in Albania e in Russia. Eravamo rimasti in pochi. Ci siamo messi davanti allo schieramento, e quando hanno detto “Alpini, fate un passo avanti, tornate a combattere!”, abbiamo fatto un passo indietro. Gli altri ci hanno seguito. E fummo coperti d’insulti, di improperi. Avevamo visto cos’eravamo noi in guerra, in Francia prima, poi in Albania e in Russia. Avevamo capito di essere dalla parte del torto. Dopo qello che avevamo visto, non potevamo più essere alleati con i tedeschi. Perciò da allora fummo dei traditori. Fummo della gente che non voleva più combattere. E ci trattarono come tali. Nell’ordine dei lager venivamo subito dopo gli ebrei e gli slavi; noi che non eravamo nemmeno riconosciuti dalla Croce rossa
internazionale. Ci chiamavano internati militari, ma eravamo prigionieri dentro i reticolati, con le mitragliatrici piazzate nelle torrette che ci seguivano ogni volta che ci spostavamo. Abbiamo resistito. Tanti di noi non sono tornati. Più di quarantamila nostri compagni sono morti in quei lager, durante la prigionia. Io ritornai nella primavera del 1945, a piedi, dall’Austria, dove ero fuggito dal mio ultimo campo di concentramento. Arrivai a casa che pesavo poco più di cinquanta chili, pieno di fame e di febbre. E feci molta fatica a riprendere la vita normale. Non riuscivo nemmeno a sedermi a tavola con i miei, o a dormire nel mio letto. Ci vollero molti mesi per riavere la mia vita. Avevamo dietro le spalle la Storia, che ci aveva aperto gli occhi su quello che eravamo noi e su quel che erano coloro i quali ci venivano indicati come nostri nemici. Quello che ci avevano insegnato nella nostra giovinezza era tutto sbagliato. Non bisognava credere, obbedire, combattere. E l’obbedienza non doveva essere cieca, pronta e assoluta. Avevamo imparato a dire no sui campi della guerra. E molto più difficile dire no che si. Ripeto spesso ai ragazzi che incontro: imparate a dire no alle lusinghe che avete intorno. Imparate a dire no a chi vuol farvi credere che la vita sia facile. Imparate a dire no a chiunque vuole proporvi cose che sono contro la vostra coscienza. E’ molto più difficile dire no che si.” da “Mario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri” di GM, Priuli & Verlucca, 2016 - “Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no”, Einaudi. foto di Pascal Lemaître
Giuseppe Mendicino è nato ad Arezzo ma risiede ormai da molti anni in Brianza. Lavora come segretario comunale ad Agrate Brianza e ad Arcore. Ha curato per Meridiani Montagne la raccolta di scritti di Mario Rigoni Stern Dentro la memoria (2007, ed. Domus) e la raccolta di testi di Massimo Mila Montagnes valdôtaines (2008, ed. Domus). E’ stato coautore di Il dialogo segreto. Le Dolomiti di Dino Buzzati (edizioni Nuovi sentieri 2012) e di Rolly Marchi. Cuore trentino (edizioni Nuovi sentieri 2013). Nel 2012 ha organizzato ad Arcore la mostra “Le nevi di Mario Rigoni Stern”, con la partecipazione dei suoi traduttori stranieri e di artisti e fotografi legati in vario modo allo scrittore. Sempre ad Arcore l’anno successivo ha organizzato la mostra Libri d’artista e scritti rari , con la partecipazione degli artisti Pino Guzzonato e Alberto Casiraghi, e dell’editore Vincenzo Campo. In entrambe le occasioni ha curato anche il libro-catalogo della mostra. Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice Einaudi il libro Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no. Da alcuni anni sta scrivendo la biografia ufficiale di Mario Rigoni Stern. Collabora con le riviste Montagna, Dolomiti Bellunesi e Meridiani Montagne. MAGAZINE LETTERARIO
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ESTRATTI
Storia di una lunga amicizia Il legame tra Mario Rigoni Stern e Primo Levi di Giuseppe Mendicino
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rimo Levi disse che lui, Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli erano come tre petali di un trifoglio perché avevano attraversato le tragedie della Seconda Guerra mondiale, sofferto il freddo e la fame, visto e superato l’orrore, e poi scritto opere contigue per senso etico e nitore di stile. Levi fu catturato il 13 dicembre 1943 sulle montagne della Val d’Aosta mentre con altri cercava di organizzare una piccola unità partigiana di Giustizia e Libertà; fu trasferito dapprima nel campo di concentramento di Fossoli, poi alla destinazione finale di Auschwitz. Lì gli venne marchiato sul braccio il numero 174517 e lì avrebbe trascorso un anno e mezzo di durissima prigionia, in un luogo pieno solo di freddo, fame, dolore e umiliazioni. Il pensiero di un mondo scomparso dall’orizzonte, quello degli affetti, della cultura e dei monti diviene un rifugio dell’anima. Come quando prova a tradurre in francese la Divina Commedia al suo compagno di prigionia Pikolo: “… quando mi apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto che mai veduta ne avevo alcuna…”. Lo assale il rimpianto: “E le montagne, quando si vedono di lontano … le montagne … oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che 12
comparivano nel buio della sera…” (da Se questo è un uomo). Rigoni Stern aveva combattuto su tre fronti di guerra – Francia, Albania, Russia – battendosi sempre in prima linea con il suo battaglione Vestone, fino all’ultima battaglia, a Nikolajewka. Dopo l’8 settembre aveva detto no a chi gli chiedeva di aderire alla RSI di Mussolini, subendo per questo venti mesi di prigionia nei lager tedeschi. Primo e Mario erano accomunati anche dalla passione giovanile per le montagne: l’abitudine e la resistenza alla fatica – raccontarono molti anni dopo – avevano contribuito ad aiutarli nei giorni della guerra e della prigionia. Erano divenuti scrittori superando i pregiudizi di critici restii ad annoverare tra i letterati anche chi svolge un altro mestiere, e propensi a riconoscere loro solo un ruolo di attenti e appassionati memorialisti, di testimoni. Primo Levi pubblicò il suo capolavoro Se questo è un uomo nel 1947, con la piccola casa editrice De Silva, dopo il rifiuto dell’Einaudi che si decise a stamparlo solo nel 1958 e le rese uno dei libri più conosciuti e amati nel mondo. Mario Rigoni Stern invece, ebbe da subito fortuna perché già nel 1953 Einaudi pubblicò con successo Il sergente nella neve, con il sostegno di Elio MAGAZINE LETTERARIO
Vittorini che ne fu anche l’editor. Erano narratori puri e non romanzieri, secondo il distinguo weberiano, perché hanno raccontato solo quanto vissuto in prima persona o appreso da altri. Narratori però di spessore letterario, dalla scrittura chiara, semplice e coinvolgente pur nella ricchezza e nella specificità dei vocaboli; li contraddistingue anche una profonda conoscenza della storia e della natura. Il loro codice morale, composto di sobrietà e virtù civili, coraggio e generosità, capacità di indignarsi contro le ingiustizie, specie se rivolte verso i più deboli, li caratterizza senza intaccare in alcun modo l’asciuttezza e l’espressività delle loro opere: le pagine di Rigoni sono evocative e a tratti poetiche, quelle di Levi lasciano ampi spazi alla riflessione razionale. Il primo segnale di amicizia tra Rigoni e Levi fu lanciato da quest’ultimo: in un’intervista rilasciata verso la fine degli anni Cinquanta, alla domanda su come e con chi gli sarebbe piaciuto passare il Natale, Levi aveva risposto: «con Mario Rigoni Stern, in un rifugio di montagna, a parlare davanti a un focolare» La richiesta di contatto divenne esplicita e diretta nel 1962, quando, appena letto Il
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PASSIONELIBRI sono poesie che ho scritto molti anni fa: siccome nessuno me le stampava, le ho fatte stampare io, per mandarle agli amici. Buon Natale: dev’essere bello il Natale dalle vostre parti. Qui è triste e pieno di nebbia. Auguri affettuosi a tutti voi, Primo”. Una delle poesie di quel libro, Una valle, evoca un territorio alpino ricco di laghi e di boschi: C’è una valle che io solo conosco. Non ci si arriva facilmente, Ci sono dirupi al suo ingresso, Sterpi, guadi segreti ed acque rapide, Ed i sentieri sono ridotti a tracce. … Più in alto ancora sono sette laghi D’acqua incontaminata, Limpidi, scuri, gelidi e profondi. (in, Ad ora incerta, Garzanti, 1984). I due amici erano passati giovanissimi, a distanza di un anno, nei pressi di una montagna e di un lago che erano rimasti nel cuore a entrambi. Rigoni ha raccontato così quel legame della memoria: “C’è un posto in cui ci eravamo ripromessi di andare, noi due soli. È un lago nelle Alpi. Lo conoscevamo sia lui che io, e volevamo andarci insieme. Il nome di quel lago non lo dico perché rimane un segreto fra me e Primo. Era un appuntamento ideale, una specie di sogno. Quel lago è in quota, circondato da montagne altissime e nere. Lo si può raggiungere due o tre mesi all’anno, e allora è azzurrissimo, con mille e mille fiori accanto. Giù, molto più giù, ci sono le vacche al pascolo, gli escursionisti non ci arrivano perché non lo conoscono. Non siamo riusciti ad andarci. È rimasto il nostro sogno” (da Primo Levi, le opere i giorni, di Massimo Dini e Stefano Jesurum, Rizzoli, 1992).
delle sue acque e la regolarità delle sue sponde sono interrotti da piccoli isolotti di ghiaccio. Non lontana, verso sud, c’è la Rosa dei Banchi, una cima facile ma di selvaggia bellezza. Rigoni era passato dal lago di Miserin nella primavera del 1939, come alpino, durante il corso da sciatorerocciatore e lo aveva poi rivisto l’anno dopo dall’alto della Rosa dei Banchi, salita dal versante piemontese, dalla Val Soana. Mi parlò di alte vette, di orizzonti senza fine; le cordate tra rocce e ghiacciai, le corse con gli sci su pianori incontaminati, lo riempivano di gioia e di meraviglia. Freddo, ripari disagiati, vitto casuale e improvvisato, non intaccavano il ricordo della bellezza avventurosa di quei giorni. Primo Levi era passato da quella valle nell’aprile del 1940; con gli amici Sandro Delmastro e Alberto Salmoni era partito per un raid sci-alpinistico di tutto rilievo: erano saliti a piedi da Bard a Champorcher e poi il mattino dopo, con trenta chili di zaino a testa e con gli sci, avevano oltrepassato la casa di caccia reale a Dondena, il lago di Miserin, la Finestra di Champorcher per arrivare poi a Cogne. Lì Primo aveva detto basta, l’indomito Sandro aveva invece proseguito la spedizione con Alberto, risalendo la Valeille verso Piantonetto, e puntando poi verso il Gran Paradiso. “… la montagna per noi era anche esplorazione, il surrogato dei viaggi che non si potevano fare alla scoperta del mondo, e di noi stessi; i viaggi raccontati nelle nostre letture: Melville, Conrad, Kipling, London” (Conversazioni e interviste, 1963 – 1987, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, 1997). S ti interessa continua a leggere su www.doppiozero.com e scopri i libri di Giuseppe Mendicino.
Un giorno, mentre parlavamo tra gli alberi del suo arboreto salvatico, gli chiesi di indicarmi dove fosse quel luogo; Rigoni mi rispose che si trattava del lago di Miserin, e la montagna era la Rosa dei Banchi. Ci si arriva da Champorcher, in Val d’Aosta. Nelle stagioni di mezzo, ma a volte, fino alle soglie dell’estate, l’azzurro MAGAZINE LETTERARIO
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EDITORI
AFFETTI VICENTINI
Il diario di Neri Pozza
La sua scrittura ci porta a conoscere i palazzi e le contrade che custodiscono il genius loci, la vera identità di Vicenza ben oltre la facciata palladiana.
Il 5 agosto 1912 nasceva a Vicenza Neri Pozza.
Scrittore, poeta ed artista il suo nome rimane legato indissolubilmente all’omonima casa editrice, da lui fondata nel 1946.
Alla sua guida Neri Pozza dedicò gran parte della sua vita dando il suo personale contributo, nell’Italia del dopoguerra, alla ricostruzione anche culturale del paese.
Neri Pozza con Eugenio Montale
A sinistra l’abitazione di Neri Pozza su Ponte San Michele. 14
Fotografia con drone di Shawn Renaud MAGAZINE LETTERARIO
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N
eri Pozza (Vicenza 1912-1988) nasce come artista: si dedica alla scultura, presso la bottega del padre, e apprende le tecniche dell’artigianato artistico alla scuola d’Arte e Mestieri di Vicenza. Deve in seguito la sua fama all’arte incisoria; infatti è considerato come uno degli acquafortisti più importanti del Novecento italiano, le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Giunge alla letteratura in un secondo momento, con articoli e racconti; l’atto della scrittura in Pozza è finalizzato alla trasmissione della memoria civile e politica, di vicende private e intime che divengono
Pomte San Paolo: e la piazzetta e il monumento dedicata a Neri Pozza MAGAZINE LETTERARIO
esempio per la collettività. Ma è probabilmente l’esperienza di editore chiave di volta che sostiene e conchiude tutti i suoi intenti. Ossia, attraverso un’editoria di alta qualità, riesce a coniugare l’arte, l’attività imprenditoriale e la scrittura. Pozza investe tutte le sue competenze e le sue attenzioni nel seguire il processo di pubblicazione dei libri: interviene direttamente sui testi, sceglie in prima persona l’impostazione grafica, ovvero cura il progetto editoriale da diverse prospettive e con la passione dell’artigiano. Il libro per Pozza è al contempo opera d’arte e documento di vita civile. (Giulia Basso) “Dietro lo straordinario affetto di Pozza per la sua città, c’è un progetto di maturazione artistica. Pozza vuole raccontarsi attraverso la conoscenza ravvicinata di un ambiente che sente congeniale perchè ha limiti precisi, dei contorni netti, riconoscibili. Non si può fuggire da ciò che si è. Il piccolo mondo contiene la radice primaria, il senso stesso del nostro esistere, la ragione di una ispirazione che ha bisogno di quel taglio di luce o di quell’angolo di strada per toccare terra e chiudere il cerchio della sua ricerca” (Marco Cavalli, curatore del Diario di Neri Pozza)
Fotografia con drone di Shawn Renaud 15
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ANNIVERSARIO
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1520 - 2020
Antonio Pigafetta
Giugno 1520: la flotta di Magellano giunge in Patagonia sostando nella terra del fuoco per 5 mesi prima di ripartire e scoprire
nell’Ottobre del 1520 il passaggio verso le Indie attraverso lo stretto.
Pigafetta fu tra i 18 uomini che riuscirono a completare l’impresa di
circumnavigare il globo. Il suo resoconto, “Primo viaggio intorno al
globo terracqueo. Ossia ragguaglio della navigazione alle Indie per la via
d’occidente”, è una successione di eventi e descrizioni, quasi un romanzo, denso di dettagli sulle nuove scoperte, a volte concitato e drammatico,
su una conquista fatta di esaltazione, disavventure e incontri “curiosi” con indigeni delle terre lontane.
Lo Stretto“El Paso” - Il passaggio sall’Atlantco al Pacifico 16
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PASSIONELIBRI LA PATAGONIA: GLI UOMINI DAI “GRANDI PIEDI” “Hanno li capelli tagliati con la chierega a modo de frati, ma piú longhi, con uno cordone de bambaso intorno al capo, nel quale ficcano le frezze quando vanno a la cazza. Legano el suo membro dentro del corpo per lo grandissimo freddo. Quando more uno de questi, ge appareno X o dodici demoni, ballando molto allegri intorno al morto, tutti depinti. Ne vedono uno sovra li altri assai più grandi, gridando e facendo più gran festa. Così come el demonio li appare depinto, de quella sorte se depingono. Chiamano el demonio maggior Setebos, a li altri Cheleulle. Ancora costui ne disse con segni avere visto li demoni con due corni in testa e peli longhi che coprivano li piedi, gettare foco per la bocca e per il culo. Il capitano generale nominò questi popoli Patagoni. Tutti se vestono de la pelle de quello animale già detto. Non hanno case, se non trabacche de la pelle del medesimo animale e con quelle vanno mo’ di qua, mo’ di là, come fanno li Cingani. Vivono di carne cruda e de una radice dolce, che la chiamano chapae. Ogni uno de li due, che pigliassemo, mangiava una sporta de biscotto e beveva in una fiata mezzo secchio de acqua. E mangiavano li sorci senza scorticarli. Stessemo in questo porto, el quale chiamassemo porto de Santo Giuliano, circa di cinque mesi, dove accaddettero molte cose.....” Dalla Relazione del primo viaggio intorno al mondo di Antonio Pigafetta Pigafetta fu tra i 18 uomini che riuscirono a completare l’impresa di circumnavigare il globo. Il suo resoconto, Primo viaggio intorno al globo terracqueo. Ossia ragguaglio della navigazione alle Indie per la via d’occidente, è una successione di eventi e descrizioni, quasi un romanzo, denso di dettagli sulle nuove scoperte, a volte concitato e drammatico, su una conquista fatta di esaltazione, disavventure e incontri “curiosi” con indigeni delle terre lontane. Nel giugno del 1520 la flotta di Magellano costeggia la costa del Sudamerica in cerca di un varco verso le Indie, e in vista della sosta invernale sbarca in Patagonia, battezzata così da Magellano per via dei “grandi piedi” dei suoi abitanti, dei “giganti, tutti dipinti”. Con loro scambiarono specchi e perline, ami e corde per avere cibo e rifornirsi. Trovarono lo stretto El Paso, nell’ottobre del 1520 e vi si avventurarono, quella a sud del passaggio diventò la Terra del fuoco, per via delle fiamme accese sulla costa. Mentre il capitano Esteban Gomes (“che tanto odiava il Capitano generale”) decise di non condividere il loro destino e invertì la rotta. Pigafetta invece aveva in gran considerazione Magellano, tanto da diventare suo attendente. Racconta della scomparsa dal cielo della polare, delle nuove stelle nell’emisfero Sud. E di quei “due gruppi di piccole stelle a foggia di due nebbiette alquanto fioche”. Ora sappiamo che sono due piccole galassie, le più vicine, due satelliti della Via Lattea: la Grande e la Piccola Nube di Magellano. Immagini della Patagonia MAGAZINE LETTERARIO
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PIGAFETTA
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La relazione di viaggio
Storia e fortuna della relazione scritta da Antonio Pigafetta per far
«sapere e intendere le grandi e ammirabili cose che Dio me ha concesso de vedere e patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione». di Adriana Chemello
“Il viaggio fatto per gli Spagnuoli intorno al Mondo è una delle più grandi e
maravigliose cose che si siano intese a’ tempi nostri: e ancor che in molte cose noi
superiamo gli antichi, pur questa passa di gran lunga tutte l’altre insino a questo tempo ritrovate.” L’entusiasmo dello storico e del geografo Ramusio fa percepire l’ampiezza della risonanza che l’eccezionalità dell’impresa deve aver suscitato nell’Europa del tempo.
Una ricostruzione della Nave Victoria di Magellano 18
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L
a circumnavigatio globi compiuta dalla piccola flotta di Magellano [«nel qual viazo ho circundato tutto il mondo a torno», come si esprime Pigafetta] segna uno spartiacque tra due epoche della storia umana moderna, una rivoluzione che si riperquote in tutte le manifestazioni della vita politica, economica, culturale e spirituale. La nuova scoperta ha indotto mutamenti negli equilibri di potere tra gli stati europei, nella dinamica dei traffici commerciali e degli spostamenti di uomini e merci tra i continenti. Ma la novità più dirompente è la nuova coscienza del mondo che la scoperta di terre “incognite” ha determinato, costringendo a rivedere i paradigmi scientifici ed i sistemi chiusi delle discipline. Come scrive Marica Milanesi «la prima circumnavigazione ha unito i mari e le terre, prima isolati, dispersi su una superficie indefinita. Benché immensi, dilatati all’estremo dall’enorme quantità di tempo che occorre per superarli, gli spazi terrestri diventano finiti, e quindi accessibili e prevedibili».1 Negli anni in cui Pigafetta si muove sulla scena del mondo, possiamo dire che aveva raggiunto il suo apice il desiderio del mondo di «estrovertirsi», per usare una locuzione di Zumthor, il quale osserva come sul finire del Medioevo il mondo diventa «improvvisamente estroverso».2 Lo studioso Burckhardt, a sua volta, aveva indicato fra i caratteri originali della civiltà del Rinascimento proprio la forte tensione verso la «scoperta del mondo esteriore».3 Nei circoli degli uomini dotti, nelle corti europee, soprattutto in quelle spagnola e portoghese, le «scoperte» degli ultimi decenni avevano generato stupore e aperto nel contempo tanti interrogativi. Tutto ciò aveva dato incentivo e alimentato una forte volontà di conoscere e di comprendere il nuovo, ciò che è al di là dei «confini» e degli spazi noti. Il viaggio aveva pertanto acquisito un alto valore conoscitivo perché traeva impulso dal desiderio di «veder del mondo» o di «venir del mondo esperto», secondo la formula dantesca. Era uno degli strumenti per appagare la curiositas dell’umanista, per fare esperienza di ciò che si era appreso dai libri o che era stato riferito da persone autorevoli e degne di fede. Il viaggio di Pigafetta nasce proprio da questa curiosità di fare esperienza di mondo, di attraversare confini, di lanciarsi a scoprire “terre incognite”, per mare. Sono gli anni delle «scoperte», dell’«estrovertirsi», appunto. 1. M. Milanesi, Introduzione, a G.B. Ramusio, Navigazioni e Viaggi, vol. I, Torino, Einaudi, 1978, p. xxix. 2. P. Zumthor, La misura del mondo. La rappresentazione dello spazio nel Medio Evo, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 30. 3. Cfr. C. Spila, Introduzione a Nuovi Mondi. Relazioni, diari e
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Antonio Pigafetta arriva in Spagna nel dicembre 1518, al seguito del vescovo Francesco Chiericati, protonotario apostolico inviato dal papa Leone X alla corte di Carlo I; lì partecipa alle dotte riunioni a casa del nunzio pontificio ed ha occasione di frequentare la corte, dove viene catturato dalle dispute intorno alle scoperte che Spagnoli e Portoghesi stanno compiendo [«le grande e stupende cose del Mare Oceano»]. Chiede l’autorizzazione al vescovo e al re Carlo I per partecipare alla spedizione che Magellano sta preparando. Viene arruolato come criado (uomo di fiducia) di Magellano e salpa da Siviglia il 10 agosto 1519. Ritornato in Spagna dopo tre anni, Antonio Pigafetta è consapevole di essere stato testimone oculare di un’impresa irripetibile («Credo certamente non si farà mai più tal viaggio»4), e decide di farne una narrazione per far «sapere e intendere le grandi e ammirabili cose che Dio me ha concesso de vedere e patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione».5 La curiosità del lettore rinascimentale potrà trovare soddisfazione perché chi scrive ha trasformato il viaggio da «esperienza mentale» ad esperienza fisica, è diventato soggetto patiens della propria curiositas: Avendo io avuto gran notizia per molti libri letti e per diverse persone, che praticavano con sua Signoria, de le grande e stupende cose del Mare Oceano, deliberai, con bona grazia de la Magestà Cesaria e del prefato signor mio, far esperienzia di me e andare a vedere quelle cose che potessero dare alguna satisfazione a me medesmo e potessero parturirmi qualche nome appresso la posterità6. Il vicentino dopo aver esperito la «longa e pericolosa navigazione» decide di «narrar altrui» perché non se ne perda la memoria che solo la scrittura può conservare, trasformando i «muti inchiostri» in «vive voci» presso la posterità. La stesura della relazione fa sì che l’«evento» si risolva in «ricordo», in memoria appunto. Una scrittura del ricordo, un recupero memoriale di un evento ormai concluso e passato, del quale è viva la consapevolezza di essere uno dei pochi testimoni superstiti. Dei «ducento e trentasete omini» partiti il 10 agosto 1519 dal porto di Siviglia avevano racconti di viaggio dal XIV al XVII secolo, a cura di C.S., Milano, RCS libri, 2010, p. 16 sgg. 4. A. Pigafetta, Il primo viaggio intorno al mondo, edizione a cura di M. Pozzi, Vicenza, Neri Pozza, 1994, p. 112.
5. Ivi, p. 109. ---- 6. Ibid. 19
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fatto ritorno il 6 settembre 1522 «se non disdoto omini e la magior parte infermi»1. Nel congedare la trascrizione italiana della sua relazione di viaggio, dedicandola a Filippo de Villers L’Isle Adam, Pigafetta non si esime dall’informare di avere già consegnato il suo «diario di bordo» nelle mani dell’Imperatore Carlo V: Partendomi de Seviglia, andai a Vagliadolit, ove apresentai a la Sacra Magestà de Don Carlo non oro né argento ma cose da essere assai apresiate da un simil signore. Fra le altre cose li detti uno libro, scritto de mia mano, de tutte le cose passate de giorno in giorno nel viagio nostro. Me parti’ de lì al meglio puotì e andai in Portagalo e parlai al re Don Ioanni de le cose aveva vedute. Passando per la Spagna veni in Fransa e feci dono de algune cose de l’altro emisperio a la madre del Cristianissimo re Don Francisco, Madama la Regenta. Poi me venni ne la Italia, ove donai per sempre me medesimo e queste mie poche fatiche a lo inclito e illustrissimo signor Filipo de Villers L’Isle Adam, Gran Maestro de Rodi dignissimo. 2. Di questo prezioso testimone spagnolo si sono perse irrimediabilmente le tracce, ma anche il «libro» arrivato fino a noi è debitore ad un destino che sfugge alle intenzioni autoriali per imboccare strade impreviste. Ma far circolare le notizie e le scoperte di questi viaggi non sarebbe stato possibile senza l’apporto determinante dell’industria tipografica, soprattutto quella veneziana, perché Venezia era «diventata un centro di raccolta e di smistamento delle informazioni relative a ciò che avviene al di là dei mari».3 Lì editori e cartografi cooperavano nel produrre materiali (libri e opuscoli) adatti a diverse tipologie di pubblico. Nel contesto veneziano si muove Giovan Battista Ramusio, Segretario del Senato veneto, cultore esperto di cosmografia, geografia e storia, traduttore autorevole di greco e latino, al centro di una fitta rete di relazioni con uomini dotti da Bembo a Fracastoro, da Andrea Navagero a Bernardino Donato. Negli anni tra il 1530 e il 1550 Giovan Battista Ramusio fa incetta, spostandosi sovente per le sue funzioni di Segretario tra le diverse corti europee, di relazioni, lettere, discorsi sulle «navigazioni» realizzate tra fine Quattrocento e primo Cinquecento. Accorpando insieme tutte queste diverse testimonianze, dà forma ad un’opera monumentale in più volumi, che intitola Navigazioni e viaggi. È la risultante di una ricerca puntigliosa sulle fonti ma soprattutto di raccolta di 1. Ivi, pp. 111 e 190. 2. Ivi, p. 190. 3. M. Milanesi, Introduzione, a Navigazioni e viaggi, cit., p.
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resoconti e testimonianze di prima mano relative a ciò che sta avvenendo in mare in quegli anni. La raccolta di Ramusio si configura come una «biblioteca» settoriale, la summa di un nuovo genere rilanciato dall’epopea delle scoperte. È evidente la dinamica interconnessione tra i viaggi oceanici alla scoperta delle “terre incognite” e la tempestiva risposta della industria tipografica legata alle capacità imprenditoriali dei «grands imprimeurs» veneziani, che ne diventa un’efficace cassa di risonanza. Un’opera rivolta ad un pubblico selezionato di mercanti e di uomini dotti, desiderosi di aggiornarsi e di informarsi sulle nuove scoperte attraverso le relazioni disponibili all’estero ed ora rese disponibili anche in volgare italico. Nella editio princeps del primo volume delle Navigazioni e viaggi, uscita dai torchi della stamperia dei Giunti in Venezia nel 1550, Giovan Battista Ramusio dedica ampio spazio all’impresa di Magellano e dei suoi compagni, recuperandone ben due resoconti, che pubblica uno di seguito all’altro: l’Epistola di Massimiliano Transilvano, uno dei Segretari di Carlo V, che aveva sposato la nipote di uno dei promotori dell’impresa di Magellano (quindi molto ben informato sui fatti, anche perché aveva raccolto le testimonianze dirette dei reduci della spedizione),4 e il Viaggio di Antonio Pigafetta, entrambi introdotti da un breve Discorso sopra il viaggio fatto da gli Spagnuoli intorno al mondo a firma dello stesso Ramusio: Il viaggio fatto per gli Spagnuoli intorno al Mondo è una delle più grandi e maravigliose cose che si siano intese a’ tempi nostri: e ancor che in molte cose noi superiamo gli antichi, pur questa passa di gran lunga tutte l’altre insino a questo tempo ritrovate5. L’entusiasmo dello storico e geografo dà conto, seppur parzialmente, del rilievo e della profonda risonanza che l’eccezionalità dell’impresa deve aver suscitato nell’Europa del tempo. Lo studioso, sempre ben informato sui viaggi oceanici ed in grado di procurarsi fonti documentarie di prima mano, avanza una prima valutazione critica, misurando il valore della nuova impresa sulle conoscenze degli antichi e su quelle fino ad allora possedute dai suoi contemporanei. Ed il giudizio sul nuovo «viaggio» è che esso «passa di gran lunga tutte l’altre» ed anche i «gran filosofi antichi udendone ragionare, resteriano 4. L’Epistola venne pubblicata in latino, col titolo De Moluccis Insulis nel 1523 (Colonia e Parigi), nel 1524 a Roma. Nel 1536 fu stampata in italiano a Venezia, con ogni probabilità a cura dello stesso Ramusio, insieme con la relazione di Pigafetta (Il viaggio fatto da gli Spagniuoli a torno a’l mondo, Zoppini), e ripresa poi nel 1550 nel primo volume delle Navigazioni. 5. Si cita dalla edizione moderna: G.B. Ramusio, Discorso sopra il viaggio fatto dagli Spagnuoli intorno al mondo, in Navigazioni e viaggi, a cura di M. Milanesi, Torino, Einaudi, 1979, vol. II, p. 837.
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anche i «gran filosofi antichi udendone ragionare, resteriano stupefatti et fuor di loro». Un giudizio che riprende quello espresso da Massimiliano Transilvano in explicit alla sua Epistola, il primo testo a stampa a dare un resoconto, desunto dalle testimonianze dei superstiti, della «navigazion fatta» di «circondar tutto il mondo». Esaltandola come impresa «marvigliosa, né mai più trovata o conosciuta, né ancor tentata per altri», Massimiliano scrive: Marinai certamente più degni di esser celebrati con eterna memoria che non furono quelli che dagli antichi furon chiamati Argonauti, li quali navigarono con Iason […] ma la nostra, di fuora dello stretto di Gibilterra navigando per il mare Oceano verso mezzodì e polo antartico, e di lì poi voltandosi verso ponente, e tanto seguitando quello che, passando di sotto la circunferenza del mondo, se ne venne in levante, e di lì poi se ne ritornò in ponente a casa sua in Siviglia1. Ramusio, ha voluto accostare due diverse testimonianze dell’impresa di Magellano: quella di Massimiliano Transilvano, stesa sulla scorta dei racconti dei superstiti, quindi una testimonianza mediata dalla penna di colui che se ne fece trascrittore e interprete; a cui affianca «un libro molto particolare e copioso» di «un valoroso gentiluomo vicentino detto messer Antonio Pigafetta»2. Il libro «particolare e copioso» arrivato nelle mani di Ramusio non è però il manoscritto autografo o trascritto del cavaliere vicentino, che noi oggi leggiamo (e di cui abbiamo diverse edizioni moderne), bensì un resoconto di «seconda mano», la risultante di una ri-scrittura ottenuta «da libro a libro mutando e trascrivendo»3, secondo una pratica molto diffusa nel Cinquecento. Così mentre il manoscritto in volgare italico è rimasto ignorato, sepolto tra i polverosi palchetti di una biblioteca fino al 1800, la relazione del viaggio è tributaria della propria «fortuna» editoriale ad una scorciata trascrizione «du second main», arrivata a Venezia attraverso Parigi. Il «libro» recuperato da Ramusio ha infatti il proprio archetipo nell’extraict francese pubblicato senza data a Parigi presso Simon de Colines, sul quale è stata condotta la traduzione italiana uscita nel 1536 a Venezia presso lo Zoppini, con ogni probabilità curata dallo stesso Ramusio. 1. Epistola di Massimiliano Transilvano, secretario della maestà dello imperatore, scritta allo illustrissimo e reverendissimo signore il signore cardinal Salzuburgense, della ammirabile e stupenda navigazione fatta per gli Spagnuoli lo anno MDXIX attorno il mondi, ivi, p. 866. 2. G.B. Ramusio, Discorso, in Navigazioni e viaggi, cit., p. 838. 3. Il sintagma è ripreso dalla «lettera dedicatoria» a M. Ieronimo Fracastoro, ora in G.B. RAMUSIO, Navigazioni e viaggi, cit., vol. I, pp. 3-4.
Il profilo della «fortuna» editoriale del libro pigafettiano e della sua circolazione cinquecentesca coincide con quello della monumentale opera di Ramusio che conobbe nel corso del secolo numerose edizioni e ristampe, nonché diverse traduzioni nelle principali lingue europee. Il «libro» di Pigafetta letto e conosciuto dai dotti, dai mercanti, dai letterati cinqueseicenteschi è appunto questo «sommario» di seconda mano ricavato dal francese. Il manoscritto della Relazione in volgare italico (conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano) venne pubblicato per la prima volta da Carlo Amoretti, a Milano nel 1800; l’edizione più autorevole rimase a lungo quella di Andrea Da Mosto, pubblicata a Roma nel 1894. Per concludere vorrei riprendere l’omaggio che Ramusio tributa, in epilogo al suo Discorso, ad Antonio Pigafetta ed alla città che gli ha dato i natali, non senza una piccola postilla per ricordare, che il monumentum più imperituro è – a mio avviso – saper tramandare alle giovani generazioni il sensum culturale e umano di quella epocale impresa: Et la città di VICENZA si può gloriare fra tutte l’altre d’Italia che, oltre l’antica nobiltà e gentilezza sua, oltra molti eccellenti e rari ingegni, sì nelle lettere come nell’armi, abbia anche avuto un gentiluomo di tanto animo come il detto messer Antonio Pigafetta, che, avendo circondata tutta la balla del mondo, l’abbia descritta tanto particolarmente. E non è dubbio che dagli antichi, per una così stupenda impresa, gli saria stata fatta una statua di marmo, e posta in luogo onorato, per memoria e per esempio singulare a’ posteri della sua virtù4. Ma Ramusio aveva anche espresso un altro auspicio, a mio avviso ancora di estrema attualità: una delle più ammirabili e stupende operazioni che potessero far in vita loro i grandi príncipi saria il far conoscere insieme li uomini di questo nostro emisfero con quelli dell’altro opposto […].
4. G.B. Ramusio, Discorso, in Navigazioni e Viaggi, cit., vol. II, p. 838.
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RICERCHE VICENTINE
I Portici di Monte Berico
La storia di un’opera straordinaria progettata dall’Arch. Muttoni. Il nuovo libro di Luciano Parolin.
“Ho lavorato due anni per regalare a Vicenza una delle storie più
affascinanti la salita al Colle Berico percorrendo una Strada Berica che non ha eguali in Italia o all’Estero. Vicenza, tutta presa dalla Basilica e Olimpico,
dimenticando o trascurando seicento anni di devozione popolare alla Madonna, ha dimenticato che la nostra città Vicenza, non è solo Palladio.
Considerando la costruzione dei portici di una genialità “leonardesca” non me la sono sentita di scrivere una prefazione al libro,
lasciando a Francesco Formenton la descrizione dell’opera datata 1857.”
Luciano Parolin.
Foto di Tiziano Casanova 22
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E
’ forse conveniente il dire alcune parole dei portici comodi e regolari che fuori di Porta Lupia ascendono sul Colle Berico dal palagio crcano fino al Tempio. Questi portici sono divisi in due grandi rami o rampe, e queste formate da 45 piani inclinati ed interposte cappelle orizzontali. Sono in complesso 168 archi a tutto sesto, con pilastri di pietra verso lo stradale, mentre al lato opposto gli archi sono chiusi da muro. Le due rampe sono lunghe m. 690. I portici hanno la larghezza di m. 4.00, e tutti lastricati con pietra dura dei Colli Euganei. L’ opera è di ordine toscano: le modanature non sono sempre di buon gusto, ma la complessiva costruzione fu abilmente condotta dall’architetto Muttoni; e noi ammiriamo questo lavoro, sì bell’ardimento degli avi nostri, e abbisognò anche aprire un’ampia via lungo il monte. Negli archi sono indicate le famiglie e le corporazioni che sostennero la spesa di questi portici con molta sollecitudine fabbricati. Io non so se al tempo nostro (siamo nel 1856) si farebbe a Vicenza quest’ opera.......... Che abbiamo noi fatto di grande nel secolo XIX, secolo gigante?, pure qualche edilìzio venne costruito . . . nè mancano glì’ ingegni. La salita pei detti portici è gioconda per estese e svariate vedute prossime e lontane: vi si presenta anche la rinomata Rotonda, che da ricco e generoso signore attende quel ristoro che meritano le opere del genio. Rimane da costruire la via suddetta lungo i portici nella parte a ghiaia. I figli nostri vorranno forse che il parapetto al lembo esterno della strada percorra continuo, abbattendo le lievi cime di colle, che ora tolgono per molta parte le rallegranti viste di piani, di monti, caseggiati, villaggi e città. Sentimenti religiosi e nobili hanno inspirato a’ padri nostri queste opere egregie, che sono ammirate da chiunque ha gusto per le arti belle: giacché volle fortuna, che pur le fabbriche posteriori all’Arco primo, cioè il Tempio nuovo che sulla vetta del Colle si elevò nel secolo XVII, ed i portici nel XVIII, non siano che leggermente affetti di quel barocco che avea già invase le nazioni: tanto il buon gusto e lo splendore qui diffuso dai grandi maestri dell’arte valsero a conservarne lo stile buono quasi intatto nella sua purezza. Francesco Formenton, “I portici di Vicenza e le case malsane” (1857)
Veduta di Cristoforo Dall’Acqua , 1750 circa
Foto di Maria Teresa Brogliato
Foto di Gianluca Rigon MAGAZINE LETTERARIO
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ANNIVERSARIO 1820 - 2020
Giacomo Zanella
BICENTENARIO DELLA NASCITA DEL GRANDE POETA VICENTINO
Quest’anno ricorre il bicentenario della nascita di Giacomo Zanella, poeta, sacerdote,
educatore, patriota nato a Chiampo (VI) il 9 settembre 1820 e morto a Cavazzale-Monticello Conte Otto (VI) il 17 maggio 1888. Fu una delle figure più rappresentative della cultura italiana a Vicenza, che non confuse mai come esibizione intellettualistica, ma con umiltà propose a quanti lo avvicinavano e a coloro che conobbero la sua opera.
Autore di molte composizioni poetiche che riguardavano sia gli affetti familiari, sia la natura, ma anche la storia e, in particolare, il progresso scientifico-tecnico dell’epoca ha avuto
nell’ultimo scorcio della sua vita la capacità di definire la poesia come quella della “piccole cose”, della quotidianità vissuta però con chiaro significato della loro importanza.
Il Villino Zanella di Monticello C. Otto fa da sfondo all’ evento del recital della Compagnia teatrale “La Trappola” del 12/9/2020 24
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#ANNIVERSARIOZANELLA
G
Tomba di Giacomo Zanella, Chiesa di San Lorenzo
iacomo Zanella nasce a Chiampo il 9 settembre 1820, proprio nella via che oggi porta il suo nome. Dopo le scuole elementari, il padre, intuite le doti del figlio, inscrive Giacomo nel Ginnasio Comunale di Vicenza. Ma successivamente, Giacomo sente il bisogno di coltivare il presentimento di una vocazione e di saggiarne l’autenticità. Entra così nel Seminario vescovile. In questi anni inizia i suoi approcci con la poesia, che ha come tema avvenimenti limitati all’ambiente in cui il poeta vive, soprattutto di natura politica. Viene poi ordinato sacerdote il 6 agosto 1843. Ai dieci anni trascorsi come alunno nel Seminario, se ne aggiungono altri dieci come insegnante di lettere e filosofia. Nel frattempo segue gli studi universitari presso Padova, conseguendo con lode nel 1847 la laurea in filosofia. D’estate torna a Chiampo, dove incontra con don Paolo Mistrorigo, anche lui di Chiampo, professore nel Liceo di Vicenza. I due si dilettano in disquisizioni letterarie, poetiche e politiche. Condividono il comune convincimento che la soluzione al problema dell’occupazione austriaca coincida con quella di una guerra combattuta sotto la monarchia sabauda. Nel 1850 la polizia austriaca inizia la sua azione inquisitrice, e cerca i testi delle prediche tenute da Zanella nella chiesa di S. Caterina, senza riuscire a trovarli. Ma ricorre comunque a qualsiasi mezzo per disturbare la sua attività di insegnante. Alla fine, Giacomo abbandona il Seminario per non coinvolgere nella persecuzione politica altri insegnanti. Nel 1864 compone due delle più famose poesie, mostrando il suo talento artistico: La conchiglia e La veglia. Nel 1866 il Veneto è annesso al Regno d’Italia, e il 1° ottobre anche a Chiampo si celebra l’avvenimento. Non può certo mancare Giacomo, «il più illustre cittadino, il patriota impavido». Viva è però l’assenza di un personaggio che tanto ha operato per vedere la riunificazione italiana: don Paolo Mistrorigo, mancato quindici anni prima. MAGAZINE LETTERARIO
Zanella diviene poi professore ordinario di lettere italiane alla facoltà di Lettere di Padova, dove viene innalzato più tardi alla dignità di rettore magnifico. Nel 1870 vende la casa natale per comprare un palazzo di fine 1700 a Vicenza. Il 9 gennaio 1878 si spegne Vittorio Emanuele II. A lui vanno i versi In morte del Re d’Italia, pubblicati nella Nuova Antologia. Il 17 febbraio 1878 viene a mancare anche Pio IX, per il quale compone In morte di Pio IX, esprimendo i suoi sentimenti di devoto cristiano e sacerdote, nel momento in cui muore un pontefice esemplare per aver difeso e custodito gli interessi della Chiesa. Oscilla fra l’ammirazione dei nuovi mezzi, visti come dimostrazione dell’ingegno che Dio dà all’uomo, e perciò motivo di elevazione dell’uomo a Dio, e il timore che il progresso non divengafonte di orgoglio e causa di ateismo. Questi sentimenti contrastanti emergono nella sua prima raccolta di Versi (1868). Nel 1880 incontra a Roma Giosuè Carducci, che in passato lo ha elogiato. Trascorre gli ultimi dieci anni della sua vita tra la villetta di Cavazzale e la casa in città a Vicenza, componendo nuove poesie e assolvendo ai suoi incarichi pastorali, tra il compiacimento dei fedeli per poter ascoltare un predicatore d’eccezione. All’inizio del 1888, Giacomo è assalito da una congestione cerebrale. Il suo corpo ormai stanco si spegne la sera del 17 maggio 1888. Sulla tomba si leggono i seguento versi tratti dalla poesia La Veglia, nel 1868, certo che la morte non fosse la fine, bensì l’inizio di tutto. Cadrò; ma con le chiavi D’un avvenire meraviglioso. Il nulla A più veggenti savi. Io nella tomba troverò la culla Nel 1920 è inaugurata a Chiampo una lapide dello scultore Spazzi dedicata a Giacomo Zanella, ora esposta su quella che fu la sua casa a Vicenza, in Contrà Zanella. (dal sito www.giacomozanella.it) 25
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HASHTAG
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FRAMMENTI
#giacomozanella
SITI WEB, SOCIAL, GIORNALI E RIVISTE
Con l’avvento dei social web l’informazione culturale si frammenta nei “post”, le letterine di
avvertimento che invitano a partecipare e prendere nota di ciò che è interessante vedere e conoscere attraverso brevi sintesi descrittive che stimolano la curiosità.
“Hashtag” è un aggregatore tematico in cui i vari frammenti del discorso collettivo vengono raccolti in una “visione panoramica” tramite un collegamento ipertestuale.
“Blogger” raccoglie gli articoli scritti per essere pubblicati nei blog in rete e rappresenta una modalità di esplorazione dei contenuti alternativa alle rubriche dei giornali e delle riviste specializzate. “Events” sintetizza a posteriori l’eco di un evento com immagini fotografiche scattate da spettatori, organizzatori e protagonisti.
Il Villino Zanella di Monticello C. Otto - fonte Biblioteca Bertoliana 26
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#BIBLIOTECABERTOLIANA LA CASA DI GIACOMO ZANELLA Giacomo Zanella nacque a Chiampo il 9 settembre 1820 nell’allora Contrà Nobile (strada che ora che prende il nome del poeta) in una caratteristica casa padronale. Visse nella cittadina d’origine fino all’età di 9 anni, trasferendosi in seguito nel capoluogo berico per continuare gli studi. Oggi vi proponiamo una sua poesia dedicata a Chiampo.
[A un amico d’infanzia] Dove il Chiampo le pure onde sonore Fra gelsi e praterie volve alla china Giovinetti crescemmo e candide ore Ci sorrisero a piè della collina. Dai lari aviti e dal materno amore Quindi il ciel ne divise, e pellegrina La nostra vela in dïuturno errore Degli studi solcò l’ampia marina. Un sol già volse che io toccava il porto Assai beato, se non quanto al petto M’era dolor che tu tardassi ancora. Ma l’astro della gioia alfine è sorto: Vieni al lido tu pur, vieni o diletto, E corona di fior la stanca prora.
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#BIBLIOTECABERTOLIANA IL “VILLERECCIO RITIRO” DI ZANELLA A CAVAZZALE Nell’ultima parte della sua vita Giacomo Zanella trascorse i suoi giorni fra la casa di Vicenza e una villa a due piani fattasi costruire nel 1878 a Cavazzale ai piedi dell’Astichello, luogo di romitaggio, ispiratore dell’omonima raccolta di sonetti. Come ricorda Fedele Lampertico, il villino campestre, in stile neoclassico, ricalcava nel suo disegno il “palazzino, che sorge in Vicenza sulla piazza dell’Isola […] di fronte al Palazzo del Museo” costruito nel 1776 da Ottavio Bertotti Scamozzi per la famiglia Muzzi.
Una villetta fabbricai, che appena Quindici metri si dilata in fronte, Ricca, più che di suol, d’aria serena E di largo, poetico orizzonte. Quinci dell’Alpi la nevosa schiena Che vien di monte degradando in monte; Quindi il cheto Astichel d’argentea vena, E tinto in rosso sovra l’acque il ponte. Datur hora quieti in bronzo impresso Sta sul frontone. È di Virgilio il verso Là nell’Eneide, ove dal Sonno oppresso Palinuro ne mostra in mar sommerso. Naufrago anch’io del mondo e di me stesso Possa qui ber l’obblio dell’universo! (G. Zanella, da Astichello) MAGAZINE LETTERARIO
#BIBLIOTECABERTOLIANA GIACOMO ZANELLA E RECOARO Meta di villeggiatura fra le più ambite nell’Ottocento, Recoaro e le sue famose acque ospitarono in vari momenti anche Giacomo Zanella che, nei mesi più caldi dell’anno, vi si recava alla ricerca di frescura e quiete. Alla città termale egli dedicò anche alcune composizioni poetiche fra cui Ora meridiana a Recoaro (1872) che qui si riproduce:
Dalla fonda vallea D’ardui castagni giovane foresta Al Sol drizza la testa Che d’una pioggia d’oro li ricrea. Una farfalla danza Presso un rosaio: sulle lunghe sete Della dadalea rete Gambuto ragno ghermitor s’avanza. Son mute l’auree; è muto Il flauto del pastor; di quando in quando Odo passar cantando Fra i verdi colonnati un merlo arguto, E fatuo re mi sembra Da tutti abbandonato, che passeggia Per l’immensa sua reggia E d’ascoltarlo alcun non si rimembra.
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#BIBLIOTECABERTOLIANA ZANELLA E LA SCUOLA L’insegnamento - privato o pubblico che fosse - fu per Giacomo Zanella una vera e propria missione di vita, praticato con passione e dedizione non solo sulle cattedre che lo videro per molti anni competente didatta (Ginnasio e Liceo seminariale di Vicenza, Liceo S. Caterina di Venezia, Liceo Tito Livio di Padova e, dal 1867, Università di Padova) ma anche per mezzo di antologie e scritti, dai quali emerge evidente l’entusiasmo dell’educatore per il suo ruolo e per i destinatari di queste attenzioni, i giovani. Fra le numerose carte d’archivio zanelliane conservate in Bertoliana ecco qui segnalata un’Antologia ad uso delle Scuole pratiche e speciali di agricoltura nel Regno d’Italia, manoscritto autografo di quasi 300 carte, di cui si propone una parte dell’avvertenza premessa all’opera.
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#BIBLIOTECABERTOLIANA GIACOMO ZANELLA E ALESSANDRO ROSSI Forse non tutti sanno che uno stretto vincolo di parentela univa l’abate-poeta e l’industriale scledense: i due infatti erano cugini di primo grado in quanto figli rispettivamente delle sorelle Laura e Teresa Beretta. L’ammirazione sincera di Zanella per Alessandro Rossi, di lui poco più vecchio (essendo nato il 21 novembre del 1819), è espressa pienamente nella più celebre ode L’industria (1868), volta ad elogiare l’esaltante ascesa imprenditoriale del cugino. Ma vi sono altri (e meno conosciuti) omaggi poetici offerti da Giacomo ad Alessandro: è il caso, ad esempio, di questa inedita poesia datata 1 aprile 1856 e conservata fra le carte Zanella custodite in Bertoliana.
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#BIBLIOTECABERTOLIANA LA STATUA DEL 1893 Il 9 settembre, come si sa, ricorrono i 200 anni dalla nascita di Giacomo Zanella. Lo stesso giorno del 1893, Vicenza si apprestava a celebrare solennemente la medesima ricorrenza inaugurando il monumento che ancora oggi domina Piazza S. Lorenzo. Autore dell’opera fu lo scultore veronese Carlo Spazzi, che si aggiudicò il concorso istituito dal Comitato promotore, sbaragliando la concorrenza di altri 24 artisti. Il costo dell’opera fu di lire 15.000, somma raccolta interamente tramite sottoscrizione pubblica nazionale. Il monumento, alto complessivamente circa 8 metri, è costituito da un piedistallo in marmo di Chiampo, decorato alla base, e dalla statua, in marmo di Carrara, raffigurante il poeta “in atto di meditare alcuno di quei mirabili versi, ch’egli sapeva dettare”.
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#BIBLIOTECABERTOLIANA LE COMMEMORAZIONI
#BIBLIOTECABERTOLIANA IL “VILLERECCIO RITIRO” ZANELLA A CAVAZZALE (G. Zanella, da Astichello)
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#BIBLIOTECABERTOLIANA GIACOMO ZANELLA E RECOARO
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L’APPROFONDIMENTO
Zanella magnifico rettore testo di Italo Francesco Baldo / La Voce del Sileno
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Ritratti dei rettori dal 1866 ad oggi – Giuseppe Santomaso detto Bepi Sanso, 1907/1990 – Rettirato Università degli Studi di Padova – Giacomo Zanella è il secondo da destra in alto (più in basso il dettaglio del ritratto).
G. Zanella Rettore Magnifico (1871-1872) Giuseppe Santomaso detto Bepi Sanso – Terracotta/ pittura a fresco. Rettorato Università degli Studi di Padova.
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in dal 1222 il motto “Universa universis patavina libertas”, caratterizza l’Università di Padova, il suo spirito di ricerca culturale e il valore che la libertà come deliberazione al bene ha nella formazione di uomini capaci nei diversi ambiti in cui essi esercitano la loro professione, dopo i lodati studi, che rendono le famiglie e gli stati degni. L’università, non solo quella di Padova, ha nel tempo subito diverse trasformazioni, ma queste hanno cercato di rispettare il proprio indirizzo e se le istituzioni anche organizzative interne sono mutate, non per questo è mutato lo spirito. L’università, che ha il suo antenato illustre nella Schola Palatina, voluta da Carlo Magno e organizzata da Alcuino di York (735-804) si è, a partire dal XIII secolo, dopo la fondazione dell’Alma mater studiorum, ossia la Scuola bolognese, diffusa in tutta Europa, e poi nei secoli successivi in tutto il mondo, tanto che proprio il nome “università” è rintracciabile in tutte le lingue. Lungo sarebbe anche solo raccontare la storia di questa istituzione, ci limiteremo a quella di Padova nell’Ottocento nella sua massima carica, quella di Magnifico Rettore, che ancor oggi è il vertice dell’organizzazione degli studi universitari a Padova. Esisteva la carica di Rettore fin dai primi tempi. I Rettori sono stati studenti dello Studio, uno per l’università giurista e uno per l’università artista, ossia quella che si occupava delle Arti: medicina, filosofia, aritmetica, astronomia, logica, retorica e grammatica, variamente articolate nelle università MAGAZINE LETTERARIO
in relazione al Trivio e al Quadrivio. Dalla seconda metà del XVIII secolo, invece, i Rettori furono professori dello Studio e sempre eletti dagli altri docenti. L’Università di Padova possiede l’elenco degli oltre 100 Magnifici rettori dal 1806, quando fu istituito il ruolo del Rettore unico. Molti furono i Rettori ad avere lo stato clericale. Dal primo Daniele Francescon (1806-07) fino all’ultimo di cui diremo nel 1872. Il Rettore fino al 1900 durava in carica un anno accademico e si occupava di coordinare tutte le attività dello Studio, in particolare dello svolgimento degli insegnamenti, dato che qualche professore cercava di non impegnarsi troppo. Alcuni Rettori ebbero origine vicentina, come l’asiaghese Giambattista Pertile (Asiago, 1º gennaio 1811 – Padova, 18 marzo 1884), giurista o stretti rapporti con Vicenza come Giovanni Giuseppe Cappellari che fu per due volte Rettore: 1817-18 e 1830-31. È notabile questo personaggio (Rigolato, 14 dicembre 1772 – Vicenza, 7 febbraio 1860), professore al seminario di Udine, fu nel 1815 docente di Teologia morale all’Università di Padova, dove divenne anche docente di Diritto Canonico ed ebbe come allievo anche il giovane Antonio Rosmini, il grande filosofo cattolico. Il 5 gennaio 1832 fu nominato, secondo l’uso dell’epoca, dall’autorità imperiale asburgica a vescovo di Vicenza, che fu poi confermata da papa Gregorio XVI, suo parente. A Vicenza rimase quasi trent’anni e fu l’edificatore del Seminario vescovile che ancor oggi è il luogo di preparazio-
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Giovanni Giuseppe Cappellari - Rettore Università di Padova - foto Maila Bertoli ne dei futuri sacerdoti. Non solo l’edifico, ma il vescovo Cappellari curò l’insegnamento. Fioriva in quei tempi a Vicenza una cultura classica e scientifica notevole con docenti di grande livello, un elenco lunghissimo e molti di essi era anche stati docenti nel Liceo vicentino. In quell’epoca molti erano i seminaristi, tra i quali Giovanni, Alessandro e Gaetano Rossi; anche il cugino Giacomo Zanella di Chiampo frequentò il seminario e nell’agosto 1843 fu consacrato sacerdote. Il giovane presbitero che già avviava la sua vena poetica, iniziò subito ad insegnare Umanità, poi Filologia latina, Filosofia teoretica e morale, per volere dello stesso vescovo. Le vicende del 1848 fecero subire la persecuzione delle autorità austriache al giovane Jacopo, che si dimise per non nuocere al Vescovo stesso e ai colleghi.Dopo qualche anno di solo insegnamento privato, ottenne l’abilitazione ala docenza nelle scuole statali. Insegnò negli Imperial regi ginnasi liceali a Venezia a Vicenza e fu Direttore a Vicenza e Padova. Nel 1866 (10 dicembre) fu nominato professore ordinario di Letteratura Italiana all’Università di Padova, lui che
iniziava ad essere considerato “il poeta dell’unità d’Italia”. Il 17 novembre 1871 venne eletto con buona votazione Rettore Magnifico. Fu un impegno serio e faticoso, soprattutto dovette far fronte a docenti che poco si impegnavano e soprattutto a quei docenti che mal accettavano il rettorato di un sacerdote. Si era in un clima anticlericale, un po’ massonico e con una forte tendenza al positivismo e all’evoluzionismo che a Padova ebbe in Giovanni Canestrini (1835 -1900) biologo e aracnologo e dal 1869 professore a Padova, uno dei massimi fautori, fu il primo traduttore del testo di C. Darwin L’origine della specie. Giacomo Zanella nel 1872 incontrò per tre verni difficoltà personali psicologiche e nel 1875 presentò le dimissioni dall’insegnamento universitario e non accettò la cattedra che gli venne offerta all’università di Napoli. Dal 1876 il poeta si riprese ed iniziò una nuova stagione che culminò nella silloge Astichello, il compimento della sua poesia. Nella villetta a Cavazzale – Monticello Conte Otto il 17 maggio 1888 iniziò il suo percorso nei prati del cielo. Fu l’ultimo Magnifico rettore dell’UniMAGAZINE LETTERARIO
versità di Padova sacerdote, dal 1872 in poi vi furono insegni docenti dello Studio, ma nessuno rivestiva lo stato clericale. Negli anni Ottanta del secolo scorso un sacerdote, professore di Filosofia nell’Ateneo patavino, che divenne vescovo di Vicenza, ebbe la carica di Prorettore dell’Università di Padova: Pietro Giacomo Nonis (1927-2014); concorse anche per l’elezione al rettorato, ma mancarono i voti. I tempi cambiano, pochi i presbiteri e ancor meno docenti universitari, è fiorita la Facoltà Teologica del Triveneto con sede a Padova, che ha specificità di studi e di formazione; ci si augura però che vi sino ancora sacerdoti nelle varie branche delle scienze e della letteratura, capaci avvertire quella tensione di Galileo Galilei, che tanto interessava a Giacomo Zanella e a Pietro Nonis: “Non siamo che per ritrovare l’opera fabbricata dalle Sue mani. Vaglia dunque l’esercizio permessoci ed ordinatoci da Dio per riconoscerne e tanto maggiormente ammirare la grandeza Sua, quanto meno ci troviamo idonea a penetrare i profondi abissi della Sua infinita sapienza.”
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CELEBRAZIONI
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GLI EVENTI, LE MOSTRE E GLI INCONTRI LETTERARI
IL 2020 È UN ANNO SPECIALE per la nostra città, poiché ricorrono i duecento anni dalla nascita del nostro illustre concittadino Giacomo Zanella. Il grande poeta nacque a Chiampo il 9 settembre del 1820. Ad appena nove anni lasciò il paese natio ed egli lo ricorda nei versi malinconici scritti all’amico Fedele Lampertico: “Io dentro picciol borgo, in erma valle, cui fan le digradanti alpi corona, vissi oscuri i miei dì, finché novenne alla città mi trasse il mio buon padre a dibucciar la prima scorza”. Dopo gli studi teologici nel seminario di Vicenza venne ordinato sacerdote. Numerosi sono gli incarichi di prestigio che ottenne, tra cui quello di Magnifico Rettore dell’Università di Padova, dopo moltissimi anni dedicati all’insegnamento. Morto a Cavazzale di Monticello Conte Otto il 17 Maggio del 1888, è passato alla storia come uno dei letterati di maggior pregio della sua epoca. L’amministrazione comunale vuole rendergli omaggio con una serie di iniziative che hanno come scopo quello di riscoprirlo e conoscerlo attraverso l’approfondimento del suo lavoro, della sua vita e della sua persona. 32
È previsto un ricco calendario di proposte che dureranno tutto l’anno e saranno molto diverse tra loro allo scopo di rendere tutti i cittadini partecipi e protagonisti di questo momento storico. Tra gli appuntamenti in programma sono previste una serie di serate culturali curate da studiosi e appassionati della poetica zanelliana, tra cui sottolineo il prossimo evento a cura di Mario Bardin, il quale si terrà proprio nella data simbolica del 9 settembre presso via Zanella e affronterà la tematica di Zanella e l’emigrazione. Un’importante giornata a cura dell’Accademia Olimpica di Vicenza, nostro partner nell’organizzazione di alcuni appuntamenti, si terrà invece l’11 ottobre presso l’Auditorium comunale. I classici aperitivi culturali, spazi di dialogo e confronto di idee, hanno assunto invece una nuova veste diventando quest’anno “letterari”, poiché prendono spunto dai temi zanelliani al fine di mostrarne l’attualità e diventare pretesto per affrontare tematiche vicine ai nostri giorni. In via di realizzazione anche un originale percorso letterario grazie alla collaborazione con la scuola di formazione professionale Fontana di
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Chiampo, che toccherà i luoghi chiampesi così cari al poeta e spesso ricordati con grande affetto nei suoi scritti. Il percorso partirà dal Santuario Francescano, attraverserà il Paese passando per via Zanella, giungerà in Parrocchia e in biblioteca, per poi concludersi nel centro della nostra piazza. Oltre ad alcuni spunti letterari, l’itinerario darà rilievo anche a luoghi di interesse turistico del nostro Paese. Protagoniste anche tutte le altre scuole del territorio che quest’anno stanno affrontando nella loro didattica la conoscenza del poeta. Le loro esperienze culmineranno nell’esposizione della mostra del libro dal titolo: “Sulle tracce di Giacomo”. Tra gli altri incontri già in programma ricordo la serata del 2 ottobre presso la Parrocchia,
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in cui si parlerà della figura di Zanella come sacerdote in un approfondimento curato da Andrea Dal Maso e Antonio Scavazza. Quest’ultimo ci parlerà anche del legame di Zanella con la natura e il territorio chiampese in una serata in Auditorium il 6 novembre. Il 3 ottobre verrà invece inaugurata una mostra personale di acquerelli a cura del pittore Fiorenzo Vaccaretti, il quale si è lasciato ispirare in questi nuovi capolavori dai versi del nostro amato concittadino. La mostra ospiterà anche alcuni importanti documenti provenienti da collezioni private e un innovativo progetto di realtà virtuale, realizzato grazie al contributo di enti e imprese del territorio, che ci permetterà di immergerci dentro casa Zanella tra i riMAGAZINE LETTERARIO
cordi del poeta. Durante l’apertura nei tre fine settimana successivi, verranno organizzati diversi momenti culturali e visite guidate per le scuole. Il 4 dicembre torneranno, dopo il successo di questa estate, I Musicanti di Vicolo Zanella per un secondo appuntamento tra musica e poesia intitolato “Il fuoco di Natale”. Tutte queste iniziative verranno pubblicizzate nella pagina Zanella200 del sito del Comune di Chiampo, dove sono riportate anche tutte le proposte social che non si sono maifermate. Le sorprese non mancheranno e colgo l’occasione per invitare tutta la popolazione a condividere insieme questa annualità all’insegna della cultura Sofia Bertoli - Assessore cultura 33
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CELEBRAZIONI
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MONTICELLO C. OTTO
Premio Zanella
I CONCORSI, I CONVEGNI, GLI INCONTRI E GLI SPETTACOLI
Il prof. Mauro Maruzzo in Villa Zanella
L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE di Monticello Conte Otto è da quindici anni impegnata nella riscoperta dell’autore e del personaggio Giacomo Zanella: a lui è stato dedicato un premio nazionale di racconti brevi (6000 battute), arrivato nel 2020 alla sedicesima edizione e, dal 2011, con una sezione dedicata ai ragazzi della scuola secondaria dell’ Istituto Comprensivo “Don Bosco” . Ogni anno il tema è diverso e la giuria è presieduta dall’assessore alla cultura dott.ssa Maria Luigia Michelazzo con il prof. Italo Francesco Baldo, le scrittrici Sara Rattaro e Monica Bianchetti, il prof. Mauro Maruzzo e il vicepresidente della FITA Aldo Zordan. Questi i temi degli ultimi anni: 2019 -15^ edizione: “Bella la vita...” - 187 concorrenti 2018 - 14^ edizione: “Voci di donna” - 97 concorrenti 2017 - 13^ edizione: “Pensieri sull’acqua...” - 161 concorrenti 2016 - 12^ edizione: “Come un ricordo...” - 233 concorrenti Quest’anno l’Amministrazione, con il supporto dell’Assessorato alla Cultura, la Biblioteca Civica Bertoliana, la Pro Loco e il contri34
buto della Regione del Veneto ha programmato per il bicentenario della nascita del poeta Giacomo Zanella, una serie di eventi e celebrazioni, tra cui le premiazioni della quindicesima edizione del Premio Letterario Giacomo Zanella, che sono state trasmesse solo online causa la pandmia di Covid-19, conferenze, incontri letterari, un convegno con il presidente dell’Accademia Olimpica, spettacoli teatrali, la nascita del sito “giacomozanella.it”, unico sito in Italia dedicato al poeta, della relativa pagina Facebook “GiacomoZanella1820.2020 e del canale YouTube “Giacomo Zanella 1820”. Dal mese di aprile è stato un susseguirsi di appuntamenti sia online in streaming che dal vivo, tra queste vogliamo ricordare le due conferenze online del prof. Italo Francesco Baldo su due pubblicazioni da lui curate, “Giacomo Zanella - Per Chiampo nostalgia e poesia” e “Dietro il bello van le genti: Giacomo Zanella e l’arte”, la conferenza multimediale tenuta dal prof. Mauro Maruzzo in Villa Zanella su “L’abate Zanella e la giovane Aganoor: storia di un’amicizia” e il cortometraggio “Giacomo Zanella:
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Premio Zanella
Premio Nazionale di racconti brevi XVI^ EDIZIONE
Premio En plein Air: i vincitori
Premio Zanella 2016 : i vincitori e la giuria Immagine di uno dei convegni.
uomo e poeta” realizzato dai ragazzi dell’ICS “Don Bosco”, Scuola Secondaria di I grado. Tutti questi eventi sono visibili sul canale YouTube e hanno avuto finora, in totale, oltre 2500 visualizzazioni in quattro mesi. Anche il sito dedicato a Zanella dalla sua messa online, in aprile, ha avuto finora oltre 3500 visite, mentre gli eventi e i post della pagina Facebook si battono con oltre 2000 visualizzazioni per evento e circa 1000 per i post settimanali. I post del blog sul sito di Giacomo Zanella sono curati principalmente dal prof. Italo Francesco Baldo, coadiuvato dal “Webmaser Zanelliano” dell’associazione culturale Life in Progress, che cura sito, pagina Facebook e parte dei video. In particolare il mese di settembre, in cui ricorreva il bicentenario della nascita del poeta (9 settembre 1820), è stato il momento clou per eventi di Monticello Conte Otto con il concorso “En Plein Air nei luoghi zanelliani”, l’anteprima dell’intenso spettacolo della compagnia teatrale “La Trappola” “Zanella racconta Zanella”, incontri letterari a cura di “Prosa&Prosit” e il convengo “Zanella e la scienza”, nella prestigiosa villa Valmarana Bressa, con il presidente dell’Accademia Olimpica Gaetano Thiene, il prof. Italo Francesco Baldo e don Giovanni Costantini. Essendo Zanella un letterato non sono mancati poi gli incontri con gli autori, curati con la collaborazione di “Prosa&Prosit”. Da giugno a settembre si sono alternati in Villa Zanella Paolo Malaguti con il romanzo “Se l’acqua ride”, Sara Rattaro con “La giusta distanza” e Mariapia Veladiano con “Lei”.
Premio Zanella 2017 : i vincitori e la giuria
Premio Zanella 2018 : i vincitori e la giuria
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RECITAL
MONTICELLO C. OTTO
Zanella Zanella Zanellaracconta racconta Zanella Il recital della compagnia teatrale “La Trappola” Viaggio alla scoperta del Poeta Recital scritto da Pino Fucito
Gruppo Teatrale
La Trappola 36
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Che son? Che fui? Pel clivo della vita discendo e parmi un’ora che garzoncel furtivo correa sui monti a prevenir l’aurora. A rispondere a tali esistenziali interrogativi sarà proprio Lui, il Poeta, certo più conoscitore di sé stesso di quanto possa pretendere di conoscerlo il più perito dei critici. Il viaggio introspettivo, del quale si fa discreto compagno lo spettatore, si snoda attraverso scritti originali, seguiti dai versi più suggestivi del Nostro, nei quali Egli affronta i temi più cari della sua poetica: l’incanto dell’adolescenza, il sentimento della natura, la Fede, il mondo contadino e degli umili, i grandi temi sociali del lavoro e della scienza, il sentimento patriottico, il gusto classico per la forma, fatta di misura, di armonia, di nobiltà di linguaggio. Giacomo Zanella serbava la ferma convinzione che la poesia è sentimento, espressione di ciò che il poeta sente meditando sui grandi temi della vita. Al lettore ed all’uditore non resta che lasciarsi serenamente condurre ponendosi in perfetta sintonia con l’animo del Poeta ed arrivando, per dirla con Manzoni, a “sentire e meditare” all’unisono col Poeta stesso. Pino Fucito
LETTORI Pino Fucito, Stefano Farina, Lidia Munaro, Alberto Bozzo Luci e fonica Andrea Munaretto Selezione musiche Alberto Bozzo Disegno Silvia Fucito Regia Pino Fucito
PROGRAMMMA Ad un ruscello Natura ed arte Psiche San Bastian dalla viola in man Per la morte di Daniele Manin Ora meridiana a Recoaro Egoismo e carità Il mezzogiorno in campagna Microscopio e telescopio Ad un’antica immagine della Madonna Gli ospizi marini La religione materna Dopo una lettura dell’“Imitazione di Cristo” La veglia Otto sonetti da “L’Astichello” Sopra una conchiglia fossile nel mio studio
“Io mi inchino riverentemente alla scienza moderna; ma non posso indurmi a credere che altro al mondo non esista se non ciò che soggiace all’analisi del fornello e delle storte. Per quanto una filosofia detta positiva siasi studiata di limitare le nostre ricerche ai soli fatti sensibili; per quanto siasi provato di staccare l’attenzione dell’uomo dall’idea per ridurlo a contentarsi delle apparenze, sente l’uomo intorno a sé qualche cosa di arcano e d’indefinibile, della cui realtà non è men certo che della presenza degli oggetti che tocca con mano. Oltre i mondi che noi abitiamo, oltre i mondi che ci sono rivelati dal telescopio, esistono mondi inaccessibili al senso, ma non meno noti allo spirito che vagheggia in essi l’idea della verità, della giustizia, della bellezza, dell’ordine. Questa tanto decantata scienza somiglia a certi archi di trionfo non ancora compiuti, de’ quali, per festeggiare la venuta di un principe, si coprono gli spazi vuoti con tele colorate. Purtroppo, nel nostro caso, il principe festeggiato è lo spirito umano, che si lascia abbindolare da siffatte illusorie parvenze. Anche l’idea dei miei doveri e come sacerdote e come professore non era estranea all’interna battaglia che si combatteva nel mio animo”. (Giacomo Zanella - Microscopio e telescopio) Pino Fucito, Stefano Farina, Lidia Munaro, Alberto Bozzo MAGAZINE LETTERARIO
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STORIA VICENTINA
CotoRossi di Oscar Mancini
Una narrazione che restituisce il sapore di un’epoca.
Una memoria preziosa e irrinunciabile per una comunità di cui
l’industria tessile era generatrice di imprese, commerci e botteghe.
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Sul finire degli anni Settanta la scintilla della lotta democratica in difesa di una fabbrica chiamata CotoRossi si accende ovunque: per strada, nelle chiese, perfino nella sede della Banca Nazionale del Lavoro, e dentro il glorioso stadio Menti dove gioca il formidabile Lanerossi Vicenza. E’ questa la Vicenza che nessuno si aspetta, quanto mai viva, anticonformista, straordinariamente coesa e originalmente ribelle, qui raccontata con esemplare passione e meticoloso rigore. La narrazione ci restituisce il sapore di un’epoca, ricorrendo non solo a ricordi personali ma soprattutto ai documenti. Una memoria preziosa e irrinunciabile per una comunità di cui l’industria tessile era parte fondante, nonché generatrice di imprese, commerci e botteghe. OSCAR MANCINI CotoRossi: una storia collettiva Ronzani Editore - Vicenza www.ronzanieditore.it In libreria: € 18,99 e-book IBS.it: € 9,99 pag. 320
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I
l 26 marzo e il 14 maggio del 1944 l’antico opificio Cotorossi a Borgo Berga, in Vicenza, fu gravemente bombardato. I giorni seguenti tra le macerie fumanti, si frugò palmo a palmo per liberare i macchinari danneggiati e recuperare il salvabile. Vennero estratti, irriconoscibili dalla ruggine e dal calore, filatoi, roccatrici e telai, che furono trasportati e recuperati nell’officina organizzata nell’opificio di Debba. Finita la guerra il Cotorossi era pronto a risorgere e a riprendere l’attività sotto la direzione giovanile di Domenico Rossi, figlio di Carlo e nipote di Gaetano Rossi. Sotto la sua direzione l’azienda si espanse e si ingrandì. Tra il 1954-55 fu tecnicamente ammodernata la tessitura, la pettinatura, la tintura dei filati, e la carderia dei coloranti. Fu rilevata la “Prima Manifattura Veneta di Medicazione Antisettica Giovanni Ponzani” di San Martino Buonalbergo (VR) che divenne il quinto opificio del gruppo. Nel 1961 il cotonificio Rossi non indifferente alla questione meridionale, con la consociata Rossi-Sud costruì a Latina il sesto stabilimento. Nel 1962 l’azienda decise di concentrare la tessitura a Vicenza e lo stabilimento di Chiuppano, sorto nel 1891, fu riconvertito a confezionamento. Nello stesso anno vi fu un radicale ammodernamento delle centrali elettriche di Debba, Calvene e Rozzola, collegate ad una linea da 25.000 wolts in grado di coprire il fabbisogno del 50% degli stabilimenti veneti. Nel 1967 vi fu la ristrutturazione tecnologica e chimica, introducendo il “tinto in filo”, e la Cotorossi fu riconosciuta come una delle industrie tessili italiane più all’avanguardia. Purtroppo la Cotorossi non riuscì a mantenere la posizione, poiché con il nuovo assetto sociale stavano cambiando anche le mode: si entra nell’era del casual, del sportivo, del jeans. L’azienda ha bisogno di nuova linfa gestionale, più giovanile, più moderna a passo con i tempi, in grado di prevedere in tempo i cambiamenti della moda. Il vecchio criterio gestionale di tipo patriarcale e accentratore, cominciò a scricchiolare. Negli anni ‘70 Domenico Rossi passa la direzione ai figli Alvise e Carlo e il Cotorossi con i suoi otto stabilimenti, tra Vicenza, Verona, Pordenone e Latina, passò tra il 1975 e il 1976, da più di 3.000 addetti a 2.570 con un calo del 15%. Malgrado gli ingenti investimenti economici, con esposizioni importanti con le banche, vi fu da parte loro un disimpegno negli investimenti aziendali e, anzi, i pochi ricavi non venivano rinvestiti nell’azienda. Alla politica gestionale miopistica ed arcaica, si aggiunsero ritardi innovativi con investimenti in settori moda in fase di declino. La Cotorossi incapace quindi, per responsabilità dei Rossi di proporre un suo prodotto e di cogliere l’inversione della moda, tralasciato il settore tradizionale da sempre ancora di salvezza dell’azienda, si indirizzo ad una politica amministrativa gestionale basata sul consuntivo invece che sul preventivo, con ritardi di consegna nell’ordine di 4-5 mesi, con rimanenze di invenduto nel magazzino a seguito di annullamenti d’ordini, mancati pagamenti dei fornitori, mancato versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori oltre al ritardo nell’erogazione degli stipendi; alla luce di tutto questo l’azienda, presentò nel 1976, un bilancio negativo. Conseguenza del quale gli istituti bancari non avendo garanzie, ritirarono i finanziamenti e chiesero il rientro dei crediti finanziati, che erano nell’ordine di 4-5 miliardi di lire. La vertenza Cotorossi iniziò quindi, tra la primavera del 1976 e l’inizio del 1977. Il 30 luglio del 1977 si riunì per risolvere la crisi della più importate azienda di Vicenza, con 1800 lavoratori nel vicentino, di cui circa 1000 solo a Vicenza, il Comitato Unitario, costituito dalle parti sociali (i sindaci, la Chiesa e il sindacato) e quelle politiche (la Regione e i parlamentari). Il Comitato si prefisse di sbloccare la situazione con le banche visto che sino alla fine i Rossi sostennero che la questione era di natura liquida e non gestionale. Nell’ottobre del 1977 la situazione precipitò sotto pressione degli istituti di credito, fu chiesta da parte dei Rossi, per evitare il fallimento, l’amministrazione controllata per lo stabilimento di Vicenza, cuore del gruppo, che durò sino al 9 ottobre 1978. Ad ottobre 1978 visti i scarsi risultati, analizzati anche dal Comitato unitario, e i lavoratori senza stipendio da più di due mesi, la Cotorossi è sottoposta in amministrazione straordinaria in base alla legge 44/78, o Prodi, sino al 1983. MAGAZINE LETTERARIO
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STORIA VICENTINA
I Trissino dal Vello D’oro La storia di Villa Cricoli patrimonio Unesco
All’avvincente storia dei Trissino, Giovanna Dalla Pozza Peruffo ha il
merito di offrire non pochi elementi aggiuntivi e per certi aspetti
sorprendenti relativamente a villa Cricoli, preziosi per gettare nuova luce su questa dimora oggi patrimonio dell’Unesco.
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e origini della famiglia Dresseno divenuta Trissino risalgono alla fine del XI secolo, provenienti dalla Germania, si installarono nella Valle dell’Agno zona Trissino. Un documento del 1173 riporta il nome di Antonio de Dresseno. Nel 1208 il nome di Olderico Dresseno risulta in un Decreto edilizio del Comune di Vicenza.Miglioranza Trissino nel 1219 ottiene l’investitura dal Vesco-vo. La famiglia si lega al convento di San Tommaso (ora sede G. di F.) in Borgo Berga a Vicenza, poi Distretto Militare. Il 4 aprile 1236, Federico II° Imperatore dei Romani e Re di Sicilia, assegna ai Trissino il feudo con Castello per Trissino, Quargenta, Cornedo e della Vallata del Chiampo, e con relativo Diploma li nomina Conti. La famiglia Trissino nel 1510 fu ascritta nel Consiglio Nobile di Vicenza, aveva a disposizione 18 posti o seggi. Il 17 dicembre 1532 Carlo V imperatore creò Gian Giorgio Trissino Conte Palatino: a lui e a tutti i discendenti fu data concessione di inquartare lo stemma gentilizio con l’insegna del Vello d’Oro. Gian Giorgio Trissino, magnificò la sua famiglia con origini leggendarie nella sua opera “Italia Liberata dai Goti”. Giovanni da Schio scrisse dei Trissino: “Erano così numerosi che non vi è angolo in Vicenza ove essi non abitassero”. Lo stemma. Spaccato d’oro e d’azzurro, alla fascia increspata d’argento, attraversante sulla partizione, ed accompagnata in capo da un’aquila bicipite di nero, rostrata e membrata di rosso, ciascuna testa coronata d’oro. GianGiorgio Trissino 40
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#ACCADEMIAOLIMPICA PORTA LA FIRMA di Giovanna Dalla Pozza Peruffo il volume dal titolo I Trissino del Vello d’oro. Villa Cricoli nel contesto delle domus rurales del ‘400 vicentino, pubblicato in queste settimane dall’Accademia Olimpica. Storica dell’arte, per vent’anni presidente della sezione cittadina di Italia Nostra e autrice di numerose pubblicazioni, nelle 272 pagine di questo suo nuovo studio l’accademica propone un viaggio ricco di approfondimenti storici, artistici e letterari tra volti più e meno noti della nobile famiglia vicentina dei Trissino, indagandone la genealogia, dalle radici più antiche fino all’ultima discendenza, nonché le dimore in città e nel territorio vicentino e, naturalmente, la villa di Cricoli: un luogo, questo, interessante tanto per le sue peculiarità architettoniche quanto per le vicende che vi si svolsero, imperniate in modo paricolare attorno
PASSIONELIBRI alla figura dell’umanista Giangiorgio Trissino (1478-1550), che proprio qui, tra l’altro, compose Sofonisba, prima tragedia regolare all’antica della letteratura italiana e opera che nel 1562 inaugurò l’attività dell’Accademia Olimpica, fondata sette anni prima, nel 1555. Trattandosi di una ricerca molto ramificata, due aspetti sono particolarmente interessanti: l’aver ricostruito parte della storia dei Trissino attraverso l’inedita analisi delle stemmario di famiglia esplorato in chiese, ville e palazzi, e l’interpretazione davvero nuova del toponimo che dà il nome alla villa e al suo contesto paesaggistico. All’avvincente storia dei Trissino, Giovanna Dalla Pozza Peruffo ha dunque il merito di offrire non pochi elementi aggiuntivi e per certi aspetti sorprendenti relativamente a villa Cricoli, preziosi per gettare nuova luce su questa dimora oggi
patrimonio dell’Unesco. Una specifica attenzione, al riguardo, è riservata all’oratorio dedicato a santa Savina Trissina, un tempo presente davanti alla villa, ma successivamente scomparso. Il volume è aperto dalle presentazioni del presidente dell’Accademia Olimpica, Gaetano Thiene, dell’accademico Vittorio Trettenero, proprietario-protettore della villa, dell’accademica Paola Marini, presidente della Fondazione Roi, già direttrice delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e presidente dei Comitati privati internazionali per la salvaguardia di Venezia, e di Franco Benucci, ricercatore di Linguistica all’Università di Padova Dipartimento di Scienze storiche. Per informazioni si può contattare l’Accademia Olimpica al numero 0444 324376 o scrivendo a segreteria@accademiaolimpica.it.
© Marika Piva MAGAZINE LETTERARIO
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CIERREEDIZIONI.it
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STORIA VICENTINA
I setifici vicentini
La Magnifica Città e la borghesia produttiva di Ruggero Prandin
La qualità dei drappi berici conquista aree di mercato nelle maggiori città europee, a spese dei concorrenti, lucchesi, torinesi, fiorentini ed esteri. Lo slancio di Vicenza, che raggiunge il suo apice nei primissimi anni ’60 del Settecento, viene, dopo tale data, ad essere frenato dalla politica protezionistica dell’Austria. Il terribile epilogo settecentesco, prodotto dall’arrivo delle truppe napoleoniche, oltre a portare al crollo della Serenissima, è causa della caduta verticale della produzione dei drappi di seta vicentini.
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uesto libro, assieme al precedente La Magnifica Città e la mercatura della seta, completa la storia economica di Vicenza sotto il dominio veneziano. La trattazione delle vicende del Settecento vicentino avrebbe potuto concludersi con l’anno 1797, che vide la scomparsa della Repubblica Serenissima di Venezia, ma l’esigenza di dover spiegare il tracollo dell’industria cittadina, avvenuto successivamente, ha reso necessario l’allungamento della narrazione ai primi due decenni dell’Ottocento. Se il Seicento, dopo la terribile peste del 1630, fu segnato da un rallentamento economico, il XVIII secolo di Vicenza appare molto più dinamico, tale da superare di forza il precedente difficile secolo. La ripresa del Setificio urbano, trainata dalle esportazioni, trasmise infatti, un migliorato tono all’economia cittadina. Con la fine del terzo decennio del Settecento il motore del settore industriale cittadino divenne la tessitura della seta, che innescò uno sviluppo, che seppur non connotato da una progressiva linearità, raggiunse il suo culmine nei primissimi anni ’60. A partire da tale momento e fino all’arrivo di Napoleone nel Veneto nell’anno 1796, il setificio vicentino mantenne una sostanziale stabilità, conservando la notevole presenza manifatturiera già conquistata. Nel capitolo Il vantaggio competitivo e l’impresa innovativa sono state disegnate ed analizzate 42
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le caratteristiche del vincente modello berico, il cui esito imprenditoriale si concretizzò nell’integrazione organizzativa delle diverse fasi lavorative della filiera serica. Il ruolo del mercante nei traffici era venuto mutando, ora assumeva in sé sia la direzione diret ta della produzione che la commercializzazione del prodotto. Questa nuova figura viene definita nel libro come quella del “mercante-fabbricatore”. Se in questo campo l’opera di Giovanni Franceschini fu la più celebrata ed ammirata, in quanto nella zona delle Chioare a Vicenza riunì tutte le fasi produttive seriche in un unico complesso, tuttavia il successo berico non deve essere interpretato come la realizzazione di un singolo. Esso fu il risultato di un’opera collettiva, derivata dall’azione, dalle abilità e dalle pratiche di altri coevi mercantifabbricatori, quali Todaro, Fontanella, Milan, Lago, Bettinardi ed altri ancora. La città si era trasformata in un distretto della tessitura e le sue seterie varcavano i confini dello Stato e delle Alpi. In definitiva l’Europa era il mercato di destinazione finale. Lo sviluppo vicentino condusse alla formazione di una borghesia industriale e di alcune dinastie, quali i Franceschini, i Todaro, i Portinari e i Milan, e qui ne viene tracciata la presenza secolare. Da segnalare inoltre, come nel secolo dei Lumi, anche alcuni di questi borghesi furono influenzati dalle nuove Idee di fraternità e di uguaglianza, che si stavano diffondendo in tutta Europa. Speculare all’affermazione borghese fu la comparsa di una numerosa massa di artigiani serici e di operai, che, nei momenti delle crisi congiunturali più difficili, pose grossi e nuovi dilemmi di ordine pubblico all’autorità politica.
Il crollo della Serenissima portò con sé il collasso della produzione dei drappi serici vicentini, che nel giro dei primi due decenni del secolo condusse alla deindustrializzazione della città. Il Settecento economico di Vicenza fu per taluni aspetti imprenditoriali e sociali, anticipatore delle vicende industriali dell’Ottocento. Come sappiamo, esse trovarono la prima e compiuta realizzazione nell’Inghilterra di fine Settecento, mentre nel Veneto giunsero tardi, a Ottocento avanzato con l’opera di Alessandro Rossi. Queste, in estrema sintesi, sono le peculiarità del diacronico profilo secolare e si avverte il lettore che lungo questo percorso è stata interposta la descrizione dei settori produttivi con l’importanza da loro occupata. Dal punto di vista metodologico, le vicende sono state ricostruite attraverso l’analisi dell’azione esercitata dai diversi attori sulla scena economica. Tra i soggetti principali vanno ricordati lo Stato veneto, il governo municipale, i mercantifabbricatori vicentini, i trattori o fornellisti del Territorio, l’Arte della seta di Venezia e i concorrenti esteri. Infine, essendo che la ricostruzione storica si è largamente basata sulla documentazione di archivio è apparso conseguente, al fine di trasferire a chi legge la “realtà” delle questioni, riproporre brani ricavati dai testi originali, che sono riportati con un carattere più piccolo. Sono certo che il lettore coglierà i caratteri e le novità del secolo vicentino, che per il suo tratto originale, persino d’avanguardia, merita di essere raccontato ed altrettanto conosciuto. (Dalla prefazione dell’autore)
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L’eredità dei Cimbri
La straordinaria Industria Vicentina? Opera dei Cimbri. Senza di loro non sarebbe mai esistita
Recensione di Roberto Brazzale
Umberto Matino autore del libro “I cimbri”
Furono i Cimbri insediatisi nel medioevo sulle montagne tra l’Altopiano dei Sette Comuni e la Lessinia l’anima ed il motore dello straordinario sviluppo industriale realizzato dopo il settecento nel nord della provincia di Vicenza. Solo per fare alcuni nomi, erano cimbri i Laverda, i Marzotto, i Conte, i Dal Brun, i Fogazzaro, i Cazzola, i De Pretto, i Barettoni, i Ciscato, i Manea, i Cortiana, i Raumer, gli Stella, gli Ziche, i Zuccato, i Rigoni, i Sella, i Caoduro, e così si potrebbe continuare molto a lungo.
Alessandro Rossi
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urono i Cimbri insediatisi nel medioevo sulle montagne tra l’Altopiano dei Sette Comuni e la Lessinia l’anima ed il motore dello straordinario sviluppo industriale realizzato dopo il settecento nel nord della provincia di Vicenza. I coloni germanici, per lo più bavaresi, che dopo l’anno mille “svegrarono”, chiamati da vescovi e conti, le nostre montagne ancora selvagge, apportarono una cultura del lavoro, un’inventiva, una dedizione, uno spirito di sacrificio ed un senso del risparmio che fornirono l’elemento umano necessario per innescare l’imponente sviluppo industriale dell’altovicentino nell’ottocento. La coltivazione delle montagne attraverso la silvicoltura, l’allevamento, l’attività mineraria mise a disposizione preziose materie prime quali legname, lane, latte e minerali in quantità tale da permettere la nascita dell’industria siderurgica, meccanica, tessile e casearia. MAGAZINE LETTERARIO
Siamo oggi abituati a identificare i Cimbri, il cui nome viene da “Tzimbar” che significa “carpentiere”, con le popolazioni residue degli insediamenti storici quali Roana, Luserna, Giazza, cioè quelle che fino all’ultimo conservarono lingua e tradizioni originarie. Commettiamo tutti l’errore di dimenticare come le nostre popolazioni di stirpe germanica nei secoli si estesero, si diffusero e si fusero con i veneti imprimendo la loro impronta a tutti gli insediamenti fino alla periferia di Vicenza. Favorisce questo equivoco l’italianizzazione dei cognomi e di molti toponimi avvenuta non solo per effetto dell’uso ma altresì imposta dall’alto come reazione alla riforma protestante e dagli stessi cimbri per dissimulare la loro origine teutonica, in alcuni momenti storici divenuta piuttosto ingombrante. Tuttavia, la ricerca onomastica e toponomastica, pur in assenza di fonti documen-
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Le storie dei Cimbri delle Montagne, che vengono narrate in questo libro, mostrano con grande evidenza che è esistito anche un Veneto tedesco, con un suo dialetto ostico e pieno di fascino, e un Veneto montanaro, legato ferocemente alla terra; che è esistito un Veneto protestante, austero e
tali è inequivocabile e porta a risultati che sorprendono e dovrebbero farci inorgoglire. Erano cimbri i più grandi industriali dell’alto vicentino, uno per tutti, il più grande, fu Alessandro Rossi, ci dicono originario della contrada Sasso di Asiago, discendente di pastori poi commercianti di lane, cosmopolita e lucido visionario che rivoluzionò l’industria laniera italiana ed europea grazie al suo straordinario ingegno ed alla sua curiosità, realizzando oltretutto il primo grande esempio di capitalismo “sociale” e di “welfare” moderno. La Rossi fu la più grande industria tessile d’Europa e la più grande società per azioni italiana. Fu di Alessandro Rossi, curiosità, la prima automobile a circolare sulle strade italiane, una Peugeot. Rossi, tuttavia, rappresenta solo la punta di diamante di un mondo di decine di migliaia di operosi ed ingegnosi cimbri che nelle loro contrade aggrappate ai monti instancabilmente allevavano, coltivavano, commerciavano, aprivano laboratori domestici, forgiavano, tessevano, cagliavano, inventavano o applicavano nuove tecniche e nuovi processi, viaggiando e importando tecnici da tutta Europa. Solo per fare alcuni nomi, erano cimbri i Laverda, i Marzotto, i Conte, i Dal Brun, i Fogazzaro, i Cazzola, i De Pretto, i Barettoni,
riformatore e che è inoltre esistito - ed esiste tuttora - un Veneto industriale: il Veneto del lavoro, della fabbrica, della tecnologia e - soprattutto se riferito al mondo cimbro nell’800 - il Veneto del riformismo sociale, del welfare aziendale, della modernità.
i Ciscato, i Manea, i Cortiana, i Raumer, gli Stella, gli Ziche, i Zuccato, i Rigoni, i Sella, i Caoduro, e così si potrebbe continuare molto a lungo. Non fu un caso che il veneziano Nicolò Tron nel 1738, respinto dalle corporazioni dei lanaioli protette e conservatrici di Venezia e Vicenza, trovò a Schio il terreno più fertile per aprire il lanificio che doveva recepire tutte le innovazioni della rivoluzione industriale inglese che egli aveva studiato da ambasciatore veneziano a Londra. Solo nel 1701 la Repubblica aveva finalmente autorizzato la produzione delle più redditizie “lane alte” fuori da Vicenza e Venezia, liberando finalmente le immense risorse del resto del territorio che fino ad allora erano state penalizzate dal “favor” che la Repubblica garantiva alle corporazioni, come sempre ostili all’innovazione e nemiche degli interessi generali. La meravigliosa, interessantissima storia dei Cimbri, dall’origine ai giorni nostri e della loro potente funzione di innesco e sviluppo nel tessuto produttivo veneto oggi si può leggere nell’imperdibile, documentatissimo e godibilissimo libro di Umberto Matino “CIMBRI - Vicende, cultura, folclore”, ed. Biblioteca dell’immagine.
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RECENSIONI ILLUSTRATORI
Vicenza Story
La storia di Vicenza in trenta illustrazioni disegnate da Carlo Gastaldon
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accontare Vicenza e la sua storia millenaria attraverso le tavole disegnate. È quanto ha fatto per molti anni Carlo Gastaldon, artista e disegnatore vicentino scomparso qualche anno fa e che oggi rivive grazie al ricordo e all’amore della figlia Marta, che ha realizzato un libro illustrato intitolandolo Vicenza Story, volume che si è reso già protagonista di numerosi eventi e mostre in giro per la provincia. Si tratta di una trentina di tavole catalogate in una cronistoria che parte dal lontanissimo anno 3700 a.c. con le palafitte di Fimon, passando per il 1194, con Ezzelino da Romano, poi la basilica dei santi Felice e Fortunato del 568 e così avanti passando per i Longobardi tra il 500 ed il 600, la colonna infame del 1548, la Basilica di Monte Berico, Borgo Berga col porto vicentino di inizio medioevo, il cripto portico romano del 320 d.c. fino al 46
1571 e oltre con La Battaglia di Lepanto rappresentata nella Loggia del Capitaniato in piazza dei Signori. Poi gli eventi più recenti: la seconda guerra mondiale col famoso bombardamento sulla città nel dicembre del ‘43 ma anche con alcuni episodi meno conosciuti del conflitto che tuttavia hanno lasciato una memoria importante, fino alla corsa automobilistica delle Mille Miglia del ‘52, arrivando alla rapina di Ponte San Paolo nel ‘73. Una trentina di eventi storici che immortalano Vicenza con una tecnica artistica forse inusuale ma non per questo meno importante. Una memoria storica ad uso di tutti, specie per quei bambini che saranno gli adulti di Vicenza un domani, perché la nostra storia non venga dimenticata. Carlo Gastaldon si è dedicato per molto tempo all’illustrazione e ideazione di fumetti come Vicenza Story..
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Un percorso storico ed artistico da lui stesso creato, che gli ha fatto scoprire una Vicenza vera, palpitante e ricca di storia. Da sempre il sisegno è stata la sua più grande passione: già da bambino inizia col disegnare bisonti negli angoli dei quaderni a scuola, per poi cimentarsi in motociclette in pieghe assurde e caricature di amici e conoscenti. Ha creato molti loghi aziendali e per attività commerciali, serigrafato centinaia di magliette e collaborato per anni come disegnatore tecnico in una grande azienda del Vicentino, dove poteva esprimere a pieno la creatività nei colori e nelle sfumature che poi ritraeva nei suoi progetti. Amante della storia e cultura in generale, ha voluto ideare questo fumetto storico inserendo nei vari fatti realmente accaduti facce e volti che conosceva, amici e persone che aveva incontrato nell’arco della sua vita.
Appassionato di storia medioevale e fatti storici, frequentava sempre la Biblioteca Bertoliana per le sue ricerche dettagliate. Nel corso degli anni aveva allestito diverse fiere nazionali, oltre a collaborare per diverse aziende del settore. Una volta in pensione si dedica totalmente alla sua passione fumettistica e storica: dal 2006 collabora con il Giornale di Vicenza e partecipa alal rassegna “Umoristi a Marostica” da fine anni 80 ad inizio anni 90 venendo premiato due volte. Nel 2005 crea il logo per Ducati Scrumbler, tuttoggi utilizzato. Negli untimi anni aveva iniziato un libro di tavole ambientate nella sua infanzia a Recoaro ed ora in fase di edizione da parte della famiglia. Dal 2013 la figlia Marta Gastaldon cura tutte le opere del padre, allestendo mostre per mantenere vivo il ricordo delle sue opere. (recensione di Alessandro Scandale)
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Se l’acqua ride di Paolo Malaguti
Attraverso lo sguardo dell’adolescente Gambeto in cui la trasformazione non è solo questione di altezza o di voce, con delicatezza Paolo Malaguti invita a riflettere su cosa davvero sia il cambiamento, esito dell’intreccio tra l’età anagrafica dei singoli, la società mai immobile e la Storia che fa il suo corso.
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he tempi ha l’adolescenza, periodo unico nella vita in cui le settimane sembrano mesi e i mesi decenni, tanto è il turbinio dei cambiamenti, tanta l’intensità di quello che si vive? E che succede poi se, insieme con noi, cambia definitivamente il mondo circostante? Sono queste alcune delle domande al centro del nuovo romanzo di Paolo Malaguti, Se l’acqua ride (Torino, Einaudi, 2020, pagine 200, euro 18,50), il cui protagonista è il giovane Ganbeto, che vive nella campagna del padovano. La storia si snoda tra l’ottobre 1965 e l’ottobre 1966, l’anno della grande alluvione, tra Ganbeto alunno e Ganbeto «quasi apprendista» intermezzati da un’estate passata a bordo del burchio del nonno Caronte. Con una prosa poetica ed essenziale, condita dall’uso rassicurante del dialetto, Malaguti accompagna il lettore in un racconto capace di essere, insieme, unico e paradigmatico. Il primo ottobre Ganbeto varca la soglia della scuola tra finestroni, soffitto irraggiungibile, lunghi banchi di legno scuro davanti alla cattedra. Una scuola che è un altro mondo rispetto al quotidiano del ragazzino — non solo per gli spazi, i suoni, i tempi, ma anche per la lingua. Per quello che essa impone («Si era arrivati al lei, ma a quel punto ormai l’amara verità era di fronte agli occhi di tutti: imparare una lingua nella quale per dire voi si dice loro e per dire tu si dice lei non può essere una faccenda seria»), e per come si fa rispettare («da oggi in avanti, chiunque tra loro commetterà errori, dovrà versare, il giorno stesso o al più tardi il giorno dopo, 20 lire di ammenda per il reato di attentato alla lingua italiana. [...]
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Il fiume Sile a Casier (TV) - foto aerea di Alvise Bragagnolo Un quieto senso di colpa lo pervade di fronte all’ineluttabilità del tracollo economico cui condurrà la sua famiglia in pochi mesi»). Sono i ruggenti anni Sessanta, e non è solo la vita di Ganbeto a essere oggetto di mutamenti profondi, repentini e quotidiani. Il “cesso” scompare per lasciare spazio al bagno, stanza che fa letteralmente irruzione nelle case («Il vecchio Giobatta, nonno di Scalia e mutilato dell’altra guerra, quando sono arrivati i murari ha tirato giù santi e madonne dicendo che era un’idea da macachi sporcaccioni quella di mettersi il cesso attaccato al letto, e che anche in trincea davanti al Piave [...] avevano avuto il buon senso di scavare le latrine lontane dai baraccamenti»). Nelle case arriva la televisione in bianco e nero, e con lei arrivano Carosello e il maestro Manzi, arrivano abitudini nuove da dover conciliare con le vecchie. Arrivano nuovi lavori che iniziano a incrinare quella tripartizione che da sempre aveva segnato la vita del paese, tra «chi va operaio alla Fabbrica, chi sta nei campi, chi parte sui burci». I burchi, dunque, gli affusolati burchi dal fondo piatto al timone dei quali da sempre i barcari trasportano merci lungo
la rete di acque che si snoda da Cremona a Trieste, da Ferrara a Treviso. Ormai i trasporti però viaggiano sempre più via terra, e ai pochi burchi che ancora resistono i più hanno messo il motore, abbandonando i ritmi lenti delle correnti e delle maree. Molti ma non tutti: c’è infatti — ed è il caso del nonno Caronte — chi non vuole cedere. Anche per questo inizialmente il mozzo Ganbeto a bordo della Teresina si sente invincibile, scivolando sull’acqua in un’estate epica. È la forza della nuova responsabilità, della fame di imparare, dell’esempio del nonno: gli attracchi, le osterie, le burrasche, il mare e la laguna, le campane di piazza San Marco, i coloriti modi di dire di Caronte e i suoi cappelli estrosi, le ragazze che s’incontrano. È l’estate che traghetta Ganbeto dal mondo dei piccoli a quello degli adulti, quando una delle prime cose a cambiare è la percezione del tempo; quando si perde per sempre quella sensazione di mesi allungati all’infinito, quando «era già passato un po’ di tempo dall’inizio dell’estate, ma la fine era ancora lontana, un’eternità di vita davanti, prima dell’autunno». Ganbeto è inebriato, ma quello che scorre davanti a sé lo vede bene. Non può fingere che nulla stia accadendo, lui che MAGAZINE LETTERARIO
si trova a cavallo tra il vecchio e il nuovo nella sua vita e nella vita che lo circonda. Lui, capace di imparare la lezione più complessa e dolorosa di tutte: si cresce solo lasciando indietro qualcosa. Attraverso lo sguardo dell’adolescente Gambeto in cui la trasformazione non è solo questione di altezza o di voce («che dopo un paio di mesi di alti e bassi si è finalmente attestata su un livello più profondo»), con delicatezza Paolo Malaguti invita a riflettere su cosa davvero sia il cambiamento, esito dell’intreccio tra l’età anagrafica dei singoli, la società mai immobile e la Storia che fa il suo corso. «Va bene, pensa, è normale: poi arriva l’estate di San Martino e le cose si sistemano secondo i soliti ritmi. Ma ormai sa che non è vero, le cose cambiano. Anche quelle che sembravano dover durare per sempre scompaiono, macinate via da novità che a loro volta dureranno il tempo che devono durare, e poi saranno spazzate. Arriva il cambiamento, e subito tutti dietro (…) I cambiamenti bisogna seguirli. Non solo seguirli, bisogna dominarli, possederli. Altrimenti anche tu vieni macinato via». di Silvia Gusmano 49
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AUTORI VICENTINI
De Andre’ a Chiuppano Racconto di Maurizio Boschiero
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io padre, “poro can”, dopo cena si “imagava” tra il sonno e il “caldin” della cucina e poco mancava che si addormentasse sulla sedia. Aveva sempre un po’ “de afanin”, che lo disturbava a causa di un’ulcera antica e per questo mia madre cercava di fargli minestrine leggere e pasta con poco “consiero”. Cenavamo presto, poi presto andavamo a letto, quasi come le galline. Cambiò qualcosa quando io cominciai a frequentare le superiori all’ITIS De Pretto di Schio, la scuola tecnica per periti industriali. Era il ‘68, anno di rivolte studentesche, scioperi, ribellioni giovanili, musica, politica e liberazione sessuale. “Ségnete, prima de nar fora dala porta e disi tre Ave Maria ala Madona quando che te passi davanti al capitelo”, mi raccomandava mia madre ogni volta che uscivo per andare a scuola. Se passavo dal capitello senza recitare le
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preghiere, mi pareva che la Madonna mi guardasse storto, e chissà che inferno si immaginava, la mia guardinga e severa genitrice, a Schio, anche se le raccontavo il meno che potevo. Due volte la settimana tornavo a casa la sera, perché il martedì e giovedì avevamo il rientro pomeridiano ed arrivavo verso le 19 con la corriera. In quei giorni i miei mi aspettavano per cenare tutti insieme. Mia madre, mio padre e le mie due sorelle erano già a tavola quando io gettavo a terra, malamente, il fascio di libri che mi ero portato a scuola. Arrivavo stanco ed affamato senza tanta voglia di parlare, come era stanco mio padre per i turni duri che faceva alla Lanerossi di Piovene, stabilimento numero uno, reparto lavaggio. “Come xèla nà un cò?” Chiedeva curiosa mia madre; rispondevo malvolentieri mugugnando: “Ben, la xè na ben” e basta. Poi ognuno si piegava sul piatto per far presto a finire. La televisione l’avevamo da poco tempo e MAGAZINE LETTERARIO
troneggiava sul piano alto di un carrello dai ripiani di vetro. Il piano inferiore era occupato dal pesante trasformatore che alimentava l’apparecchio ed io accanto vi avevo sistemato un giradischi a valigetta marca “Lesa” color verde e bianco, che mi avevano comprato dopo mesi di sfinimento. Dopo cena mio padre guadagnava rapidamente il letto, mia madre sparecchiava la tavola e “broàva su”, io e le mie sorelle se non avevamo compiti da finire accendevamo un po’ la televisione e vi rimanevamo incollati al massimo fino a “Carosello”. “S’incantesimava” anche mia madre su per la televisione quando appariva sullo schermo Padre Mariano, un frate che in quegli anni predicava dagli studi di Roma. Poco mancava che non ci obbligasse a seguire la predica in ginocchio. “Che santo omo” ripeteva in continuazione, “ségnete àseno e porteghe rispeto, no supiàre parchè el finisa presto, vilàn d’un
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PASSIONELIBRI vilàn”. Era questa la predica nella predica. La stanza era piccola 4x4 piena di muffa sui muri e per noi funzionava da salotto, cucina, sala da pranzo, da studio e da lavoro. La stufa bianca smaltata, a legna, scaldava l’ambiente e il forno riempito di “pumi”; li trasformava lentamente in profumati dessert caramellosi. Tante volte mi trovavo a contendere il tavolo della cucina a mia madre o alle mie sorelle. Io facevo i compiti e mia madre stirava o lavorava alla macchina da cucire. Il tremolio indotto dai suoi “mestieri”, disturbava il mio lavoro, e non di rado l’uno o l’altra doveva rinunciare all’impegno. Oltre a questo, capitava che quando stavo disegnando, magari da ore, su un foglio bianco rigato di segni tecnici definiti e precisi, la stufa che veniva caricata dall’alto, spostando i “serci”, sbuffava una nuvola, che faceva ricadere una nevicata di “falive” nere per la mia disperazione. Dovevo ripulire tutto con la gommapane e salvare il salvabile. D’estate andava un po’ meglio, le giornate erano più lunghe, le finestre erano aperte, ma soprattutto la stufa assassina restava spenta. Schio per me era diventato il posto delle scoperte, mi si schiudevano orizzonti, interessi ed occasioni che tra le quattro mura ammuffite di casa non avevo mai nemmeno immaginato. Mi incuriosivano i negozi, soprattutto, di libri e di dischi, le vetrine eleganti e lusinghiere con mercanzie elegantemente disposte, “m’impappinavo” davanti alle più semplici novità. Come un “semòto”, mi imbarazzavo se vedevo due ragazzi abbracciati per strada. Era arrivata quella ventata di rinnovamento che caratterizzava quegli anni. Cominciai a fare delle amicizie con ragazzi, che frequentavano la scuola e, lentamente, il mio mondo con i suoi confini rigidi e angusti si apriva a nuovi interessi, nuovi discorsi, nuovi propositi. Fu proprio così e in questo ambito conobbi le canzoni di Fabrizio De André il grande cantautore genovese che in quegli anni incideva le sue prime canzoni in LP e 45 giri. Qualche raro passaggio televisivo lo rese abbastanza noto ad un pubblico di nicchia che ne apprezzava l’impegno poetico e sociale. I testi delle sue canzoni erano poesie in musica che toccavano i temi del disagio, dei vinti, della società piccola e dolente, degli emarginati. In un tempo in cui le canzoni MAGAZINE LETTERARIO
erano ancora legate al sentimentalismo più sdolcinato e sciocco, i suoi temi mi presero proprio tanto. Con sacrificio e risparmio mi comprai il 33 giri che era uscito nel ’67 col titolo: Volume primo. Entrai nel negozio dei “dischi Pietrobelli” sotto i portici vicino al Duomo di San Piero e tutto emozionato richiesi il disco. Un padellone di vinile con una bella copertina, costo 3500 lire. Canzoni pregevoli all’interno, alcune le conoscevo, altre no perché la televisione censurava pesantemente testi e termini che fossero anche appena trasgressivi. Censurarono perfino “Dio è morto” dei Nomadi, il cui testo era un po’ la sintesi del tempo e di quegli anni, che ironia della sorte, la radio vaticana regolarmente trasmetteva. Dunque e finalmente avevo tra le mani il disco del mio idolo e non vedevo l’ora di tornare a casa per sentirlo e orgogliosamente farlo sentire. Mio padre strimpellava un po’ la chitarra ma le canzoni che cantava erano vecchie come il cucco, una sui corridori parlava di un giro d’Italia con Guerra, Binda, Olmo e qualche altro reperto chiuso ormai negli annali del ciclismo. A volte accennava al “Tango delle capinere”, qualche altra a “Chitarra romana”, era tutto il suo repertorio, un Claudio Villa da sacrestia che a me non piaceva per niente. Mia madre non cantava nemmeno in chiesa o era stonata da brividi, ma credo fosse troppo timida anche per le litanie sacre. Quella sera non avevo il solito muso lungo per la stanchezza, mi emozionava il pensiero di ascoltare quel disco. De André, sul mio giradischi, roba da intenditori, da intellettuali, a casa mia. Gettai il pesante fascio di libri nell’angolo solito, con fretta entrai in cucina, salutai appena e prima di sedermi sistemai sul piatto del giradischi il 33 giri. Mia madre sorpresa disse subito: “ecolo che’l taca el graòn; sempre na novità da quando che te ve a scola a Schio, se savea tanto… no te gavaria mandà de sicuro”. Mio padre mangiava di malavoglia per via “dell’afanin” ed era un po’ “insonacià”, poco ascoltava del disco, mie sorelle troppo piccole erano ancora meno prese, mia madre stranamente ascoltava. Belle canzoni le prime, parevano una novena di preghiere anche nei titoli: Preghiera in gennaio, Marcia Nunziale, Spiritual, Si chiamava Gesù ecc… 51
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#RACCONTIVICENTINI “Vuto vedare che el ne va prete sto chi, sinti che cansòn, le me par de ciesa”, sbottò con sarcasmo mia madre verso mio padre, che ormai pencolava con la testa tra le mani. Io mi sarei aspettato un commento un po’ più benevolo, ma conoscendo la donna avevo poco da sperare. Ad un certo punto quando ormai era scontato che nessuno ascoltava le parole di quel “graonamento” attaccò Via del campo. Dopo una strofa normale, la sfiga volle che in un attimo in cui tutti erano silenziosi attaccò: “Via del campo c’è una puttana, occhi larghi…” Non fu nemmeno finita che purtroppo questa volta le parole vennero ben comprese da mia madre soprattutto quella “parola”. “Maria santissima de tutte le grazie altro che prete, mai sentio na roba cusì” urlò mia madre che “de botto” non casca dalla “carega”. Aveva una faccia e degli occhi che sembrava la Madonna della neve tanto era terrea. Altro che “gneo gneo, sto imbesile el xè un demonio, a te meto ai discoli mi”. Signore “jutème”, continuava la solfa di mia madre. “E jùteme anca ti a dirghe su, te me pari intardetto”, si rivolgeva a mio padre. A lui, gli era venuto “afano dal tutto”, più per lo starnazzamento della consorte che per la canzone. Anche il gatto aveva il pelo drizzato che pareva “desborassà”. “Bisogna ca fassa benedire la casa da novo col demonio ca go qua, ansi te fasso benedire anca ti, doman a vao da l’ansiprete”. La cagnara fu interrotta da un provvidenziale “rutto” della stufa che per una volta mi fu amica. Eruttò nella stanza una nuvola di fumo nero e cenere, che confusero la scena, perché forse era stata “incalcata” troppo. Colsi al volo il momento per togliere il disco e defilarmi in fretta. Parole, fumo e confusione, regnavano ora nella stanza, ma io ero ormai da un’altra parte. Mi tenne il muso per qualche giorno, come “ingrotà”, infine non ne parlò più, ma parlavano i suoi occhi sempre con un che di sconsolato, come a dire: “Sto qua el me va anca a done go paura, a Schio dovea mandarlo, no ghe mancava altro.” Io continuai per la mia strada, con la scuola e con Schio che amavo sempre di più. Acquistai, poco dopo, un’altra mina che se fossi stato scoperto sì che mi mettevo nei guai di nuovo e più grossi: era “Je t’aime moi non plus”, di Serge Gaisburg e Jane Birkin. Cantavano, anzi sospiravano un rapporto d’amore molto censurato, ma che fu un successo enorme; forse la bandiera di quella liberazione sessuale che era in atto. Lo ascoltavo di nascosto o, se eravamo tra amici, mettevamo un “palo” di sentinella per evitare sorprese. Era come ascoltare “radio Londra” nella seconda guerra mondiale, ma anche una sfida e un prendersi gioco di quel perbenismo ipocrita e greve di quegli anni. Maurizio Boschiero 52
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McCarthy inventa e racconta un mondo distopico non per prospettarci un possibile futuro, per suggerirci come andremo a finire
“Ce la farai? Quando sarà il momento? Quando sarà il momento non ci sarà tempo. È questo il momento. Bestemmia Dio e muori. E se si inceppa? Non può incepparsi. Ma se si inceppa? Saresti capace di fracassare quel cranio adorato con un sasso? C’è un essere simile, dentro di te? Di cui tu non sai nulla? Ci può essere? Tienilo stretto. Ecco, così. L’anima è un soffio. Abbraccialo. Bacialo. Svelto”
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rrivo circa a pagina 50 di una lettura forte, impegnativa: un mondo irriconoscibile, avvolto da grigio e cenere, e un genere umano irriconoscibile. Ma ho una boa a cui aggrapparmi per restare a galla: il rapporto tra un padre e un figlio, circondati dalla devastazione e dalla follia ma pur sempre un padre e un figlio, che hanno dialoghi allucinati e allucinanti ma si amano come un padre e un figlio. Un’oasi di normalità. E poi, boom!!! Leggo queste poche righe e il castello di carte crolla. No, non può essere, hai letto male. Ma lo so che ho letto bene. E lo stomaco mi si stringe, la nausea sale, sono paralizzata ma tanto non saprei dove scappare, le lacrime urlano per uscire ma non ci riescono. Sono in trappola, come quel padre e quel figlio. Che si amano ancora, ma sono costretti a viaggiare su binari 54
deragliati, a fare scelte malate. L’amore che provano è fuori posto, fuori tempo, una nota stonata nel mondo che li circonda; e ai suoi imperativi e alle sue priorità insensati deve adeguarsi. Da anni non leggevo qualcosa di simile. Probabilmente non ho mai letto niente di simile. Un cazzotto dritto in faccia a luci spente. Vi ho spaventati abbastanza? Bene. Perché questo è un libro che non si legge per passare il tempo, questo libro non solo richiede stomaco forte, ma merita rispetto e deferenza. Detto questo, leggetelo. Leggetelo. Se non lo avete ancora fatto, leggetelo. Perché è necessario. McCarthy inventa e racconta un mondo distopico non per prospettarci un possibile futuro, per suggerirci come andremo a finire. McCarthy si limita a rammentarci quello che già siamo, i semi di degenerazione che abbiamo in potenza. Le relazioni umane sono sempre più confuse, e nessuno può permettersi di giurare e spergiurare di stare dalla parte giusta della barricata. “Volevi sapere come erano fatti i cattivi. Adesso lo sai. Potrebbe succedere di nuovo. Io ho il dovere di proteggerti. Dio mi ha assegnato questo compito. Chiunque ti tocchi, io lo ammazzo. Hai capito? - Sì Il bambino se ne stava lì intabarrato nella coperta. Dopo un po’ alzò gli occhi. - Siamo ancora noi i buoni? -, disse. - Sì. Siamo ancora noi i buoni. E lo saremo sempre - Si. Lo saremo sempre - Ok” MAGAZINE LETTERARIO
Un’ontologia dell’essere umano, a tutti gli effetti, che raggiunge ogni piccola comfort zone in cui ci rifugiamo e la scoperchia, la smaschera, la rivela. Niente è tabù, o intoccabile, o indubitabile nel mondo di McCarthy. La strada sembra un reality in cui i concorrenti vengono messi nelle situazioni più estreme e paradossali per vedere come reagiscono, e per mostrare come l’uomo può trasformarsi in qualcosa che di umano non ha più quasi niente: una sorta di esperimento sociale, condotto con un linguaggio che mi viene da definire solo tagliente - e pericoloso come una katana. Le riflessioni potrebbero essere ancora tante, La strada ha da dire quanto nemmeno potete immaginare. Ma io ho la pessima abitudine di scrivere le recensioni appena terminato di leggere un libro, ed è ancora troppo presto. Le emozioni mi turbinano dentro in modo ancora confuso; ma posso assicurarvi che sono tante, quante nessun libro da molto tempo era stato capace di suscitare. Oltre alle mie sensazioni “di pancia” non sono in grado di restituirvi commenti e considerazioni ponderate, e forse è meglio così. Nel senso che, mai come per questo libro, è giusto che ognuno rifletta per sé. È un capolavoro? Non so quante volte l’ho sentito dire. Beh, sì. Non so bene cosa sia un capolavoro, ma credo proprio di sì. È un libro che ti fa girare come una trottola per quante randellate ti infligge. Tutte ben assestate, non c’è scampo. Pensi sempre che il peggio sia arrivato, ma al peggio non c’è mai fine. Però, come ho già detto, è tutto necessario: è un libro che ti segna, che ti cambia, che ti migliora anche. E questo non è un capolavoro? (Recensione di Silvia pentothal Guido)
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Una metafora dell’Italia e di tutti quei mattoni di seconda scelta che fanno la storia...
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“Dietro ogni scemo c’è un villaggio” (cit.) a prima volta ne ho sentito parlare come di una sorta di “autobiografia dello scemo del villaggio”. E ha subito suscitato il mio interesse. Ma non in senso costruttivo, lo ammetto: le mie esperienze con le persone con disagio mentale mi hanno fatto toccare con mano l’incomunicabilità. L’estrema difficoltà di capirci, noi e loro, di condividere un substrato di significato comune; cosa che ai miei occhi rendeva un romanzo che volesse parlare ai sani con la voce di un matto come minimo un disastroso flop commerciale. Ma soprattutto un fallimento in partenza. E allora ho iniziato a leggere questo libro pensando “vediamo che ha da dire quest’altro che pensa di poter parlare a nome dello scemo del villaggio “. Cosa c’era da aspettarsi con queste premesse? Il libro mi ha delusa, come mi aspettavo che fosse, come era scontato che fosse. Allora ho scritto un post in cui lo liquidavo velocemente come un libercolo senza troppo valore. Post che, comprensibilmente, ha suscitato le reazioni di chi invece lo ha apprezzato. Ne è scaturita una discussione che mi ha fatta pensare molto, e di questo ringrazio i miei interlocutori. Perché mi hanno offerto l’opportunità di rendermi conto 56
che stavo lasciando che la mia esperienza di vita segnasse un percorso obbligato per la lettura, che rimproveravo a Rapino qualcosa che lui non aveva nemmeno mai provato a fare, che stavo giudicando senza nemmeno aver compreso davvero cosa avevo di fronte. Allora, ricominciamo. Liborio Bonfiglio (o Bonfiglio Liborio, come lo chiamano tutti, lui chiama se stesso e comunque suona anche meglio) nasce nel 1926 in un imprecisato paese del “sudde”, e vive i primi anni della sua vita con la madre - che gli dice sempre che ha gli occhi come quelli di suo padre, anche se lui gli occhi di suo padre non li ha mai visti - e con il nonno “socialista di Nenni”. È un “cocciamatte” da quando riesce a ricordare, e i “segni neri” iniziano da subito a funestare la sua vita: rimane presto da solo. Allora diventa un lavoratore minorile, un testimone della guerra e della Resistenza (e di quella macchia di sangue sul selciato che proprio non vuole saperne di andare via), poi un militare di leva, un emigrante, un operaio. E poi finisce in carcere e poi ancora in uno “spedale dei matti”. E poi ritorna a casa, in quella casa vuota esattamente come l’aveva lasciata, in un paese da cui sono scomparse tutte le persone che lui conosceva. E nel 2020 ci regala le sue memorie. Liborio è un matto? Come gli diceva il suo medico allo “spedale dei matti”, non è matto neanche un po’. In fin dei conti ha una vita come tante, come uno qualunque degli oppressi che hanno attraversato la storia italiana del Novecento. E il suo racconto, le sue riflessioni, le sue interpretazioni di ciò che ha vissuto non MAGAZINE LETTERARIO
sono poi così diverse da quelle che ci offrirebbe uno di loro. È stato internato, come tanti, come troppi, perché la società non riusciva a capire - o non voleva capire - dove posizionare uno come lui, come inserirlo nelle sue maglie, come renderlo coerente con una visione della realtà “consona” con la sopravvivenza della società stessa. Ma Liborio non è un matto: è un ultimo, uno degli innumerevoli “scarti” che la società contemporanea ha prodotto e produce ogni giorno, uno di quelli che la storia la ha forse subita ma prima di tutto la ha fatta. La storia dell’Italia del 900 si fonda sulla vita sua e di milioni di altri, è impastata del loro sudore, bagnata dalle loro lacrime, sferzata dal loro sarcasmo, modellata dalla loro sensibilità. Era questo che mi sfuggiva, presa come ero dalla mia ideologia “basagliana”. Mi sfuggiva quello che c’è prima dell’ideologia, e cioè la poesia: l’opera di Rapino è e vuole essere una metafora dell’Italia e di tutti quei mattoni di seconda scelta che fanno la storia. E da questo punto di vista a mio parere è perfettamente riuscita. Anche perché può contare su un linguaggio originale, a metà tra un dialetto non meglio precisato e un italiano stentato, che riesce ad essere molto efficace e a tratti addirittura divertente. Insomma, in prima battuta non avevo considerato questo libro un capolavoro, e credo di poter dire che secondo me tutt’ora non lo è. Però è un’opera di notevole valore, a cui dovevo delle scuse e una rivalutazione più attenta. Discutendone ho capito che dovevo farlo, e spero di esserci riuscita. (Recensione di Silvia pentothal Guido)
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...tutto il mondo ha il diritto e il dovere di urlare “Black lives matter”, ma noi no: noi ne abbiamo perso il diritto molto, molto tempo fa.
“Butta tutto, Sethe. La spada e lo scudo. Giù, giù. Buttali tutti e due. Buttali in riva al fiume. La spada e lo scudo. Non pensare più alla guerra. Butta giù tutta quella roba. La spada e lo scudo”
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o appena finito di leggere Amatissima. Intendo da qualche ora. E non credo di avere molto da dire su questo libro dal punto di vista propriamente critico, un po’ perché non ne ho le competenze e un po’ perché in questo momento non ne ho la freddezza né la lucidità. Preferisco scrivere qualcosa su quello che mi ha fatto provare e sulle emozioni che hanno percorso la mia spina dorsale; e scusatemi se a volte sarò un po’ troppo “violenta” nell’esprimere cosa provo. Ah, prima di cominciare: odio la locuzione “di colore”. Loro sono di colore? E perché? Noi non ce lo abbiamo un colore? Razzismo buonista. Perciò userò spesso la parola “nero”. Perché “nero” è un aggettivo qualificativo, non un insulto. So bene che di questi tempi anche le campagne pubblicitarie stanno “ripulendo” il loro linguaggio e so bene anche che le parole sono importanti, in fin dei conti sono una lettrice. Ma so anche che le intenzioni e la sincerità 58
che ci sono dietro alle parole sono ancora più importanti. Se qualcuno di voi non è d’accordo, può smettere di leggere. In tempi di - tardiva, e forse non del tutto sincera - ondata antirazzista, cercavo un libro che mi portasse al cuore del problema, e i vostri consigli mi hanno indicato Amatissima. Che parla di una vergogna antica, la schiavitù, e inevitabilmente delle radici del disprezzo nei confronti dei neri e del loro risentimento verso i bianchi. Siamo in un’altra epoca, è vero: È la seconda metà dell’800, a Cincinnati negli Stati Uniti. Ma la schiavitù esisterà ancora a tutti gli effetti per qualche decina di anni, senza contare che la tratta degli esseri umani esiste ancora oggi. E poi, da cosa credete che discenda quello che sta accadendo in tutti gli USA in queste settimane? Sethe, la protagonista del libro, non è più una schiava: è fuggita, si è liberata dalle catene, dalle violenze, dalle umiliazioni. È una donna libera che però porta con sé l’inenarrabile bagaglio di ricordi di ciò che ha passato, e un albero di ciliegio che le cresce sulla schiena. Formalmente è libera, ma la sua mente e la sua anima sono ancora oppresse da quelle catene, lacerate da ciò che le hanno fatto e da ciò che la hanno portata a fare. Tutto qui. Non c’è altro da dire sulla trama che non vi privi del piacere tutto libresco e del profondissimo dolore di scoprire come è cominciata, come si è evoluta e come andrà a finire. E il profondissimo dolore di cui parlo è assolutamente letterale, vi avviso: la Morrison non allude, non lascia intendere. MAGAZINE LETTERARIO
D’altra parte, come si potrebbe? La Morrison DICE, senza veli, senza un briciolo di commiserazione né autocommiserazione, spietatamente; le uniche eccezioni alla linearità del suo racconto si incontrano quando la sua scrittura cerca di incarnare il dolente smarrimento di Sethe. E no, in quei momenti non potrete tirare un sospiro di sollievo: in quei momenti le parole sono ancora più affilate, le ferite ancora più profonde. Leggevo, e la “puzza di bianco “ ha invaso la stanza... Della schiavitù sapevo molto, ma nessuno me l’aveva mai raccontata così. Senti tutto nelle viscere, il dolore e l’umiliazione, l’incredulità e la rabbia. Un libro onesto, inequivocabile, tutt’altro che elusivo, quasi sfrontato. La Morrison - e Sethe - ci prendono a schiaffi in faccia, e tutto sommato ci va anche bene. Avrebbero potuto - e forse dovuto - farci di peggio. Sinceramente non so come chiudere, probabilmente perché niente è ancora chiuso nella mia testa. In questo momento mi viene solo da pensare che tutto il mondo ha il diritto e il dovere di urlare “Black lives matter”, ma noi no: noi ne abbiamo perso il diritto molto, molto tempo fa. “Al mondo la sfortuna non esiste, esiste solo l’uomo bianco” (Recensione di Silvia pentothal Guido)
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Antonio Calabrò
Oltre la fragilità
“Le scelte per costruire la nuova trama delle relazioni economiche e sociali” VALDAGNO 25/9/2020 Ce la faremo? E come? Andando “Oltre la fragilità. Le scelte per costruire la nuova trama delle relazioni economiche e sociali” (Egea, pagg. 209, euro 17). Lo suggerisce Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli e vicepresidente di Assolombarda, in questo suo ultimo saggio. Covid 19 e recessione economica hanno reso evidente la fragilità della nostra società. Eppure, sostiene l’autore, «la fragilità è probabilmente la scoperta migliore fatta con il Covid, che ha messo in crisi il nostro delirio di potenza economica; ha rivelato le strade della crescita insistendo sulla qualità di sviluppo.. Vi sono le condizioni per affrontare con successo la nostra vulnerabilità e migliorare la situazione economica». Dunque non siamo diventati migliori o peggiori ma, dice Calabrò, «siamo cambiati perché in questi mesi abbiamo avuto la piena consapevolezza della salute come bene comune per una migliore qualità della vita». Calabrò scrive che l’economia, la finanza e l’information technology hanno creato la globalizzazione: un gigantesco mercato senza anima né coscienza né conoscenza, dove siamo clienti e non persone. Sono stati dimenticati senso del limite, storia, bellezza. Viviamo la peggior recessione dal 1930, con un crollo del prodotto interno lordo mondiale dal -3% al -6%. Il risultato mondiale è una crisi economica da 7 trilioni di dollari e l’Italia rischia di perdere 641 miliardi di ricavi in 2 anni; in pratica si trova su un crinale: guarigione o crisi peggiore. Si è aggiunta la crisi civile con i fenomeni del populismo e del sovranismo. Il risultato è un ceto medio anonimo privo di radici e carico di rancori. «Ma - osserva Calabrò - la globalizzazione è anche un fenomeno positivo purché sia governato: bisogna passare dall’ideologia del free trade degli anni ’90, cioè scambi liberi senza controlli e senza regole che privilegiano 62
le logiche del più forte, al fair trade, commerci internazionali in un sistema di regole e controlli attraverso nuovi accordi internazionali equilibrati. Sono un tifoso della globalizzazione perché ha portato fuori dalla povertà milioni di persone; ora si tratta di far cresce il ceto medio, in un contesto di diritti e di responsabilità. E’ necessario un passaggio non solo politico ma culturale». Cosa suggerisce dunque? «Nell’Eneide - risponde Calabrò -, Enea va profugo da Troia portando il padre Anchise sulle spalle. Il messaggio è sempre valido: il sapere degli anziani fa futuro. Sono loro ad indicare la via e a trasmettere i valori di una comunità, facendoci apprendere il senso delle cose. Invece abbiamo pensato di scrollarceli dalle spalle, rottamarli. L’Europa deve ritrovare i valori di solidarietà, comunità, cura. Dobbiamo rivalutare il nostro essere animali sociali. Che non significa tornare al come eravamo, ma al come sarà: dobbiamo riprogrammare il futuro». In quanto a produzione e mercato, per Calabrò «è necessario reinventare le regole economiche unendo etica, economia e sostenibilità ambientale. Riportare in Europa le filiere produttive: le imprese italiane dentro i nuovi paradigmi dello sviluppo sostenibile sono avvantaggiate, essendo le più virtuose grazie all’ottimo capitale umano dei nostri tecnici. La sostenibilità è il fattore chiave della competitività, perché non è una scelta di comunicazione ma un modo di essere, che significa fare prodotti di qualità su sistemi attenti alle persone, le quali rendono meglio in ambienti più rispettosi. Noi italiani siamo più competitivi perché più sostenibili. Riforme, infrastrutture, formazione non bastano ancora senza l’attenzione al bene comune: salute, ambiente, sicurezza, istituzioni e cultura. Tra stato e mercato dobbiamo ergere il terzo pilastro: la forza della società». — MAGAZINE LETTERARIO
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INCONTRI
Paulo Coelho
Il valore dell’amicizia I GIOIELLI Brano tratto da “Il diavolo e la signorina Prym”
Un uomo, il suo cavallo ed il suo cane camminavano lungo una strada. Mentre passavano vicino ad un albero gigantesco, un fulmine li colpì, uccidendoli all’istante. Ma il viandante non si accorse di aver lasciato questo mondo e continuò a camminare, accompagnato dai suoi animali. A volte, i morti impiegano qualche tempo per rendersi conto della loro nuova condizione… Il cammino era molto lungo; dovevano salire una collina, il sole picchiava forte ed erano sudati e assetati. A una curva della strada, videro un portone magnifico, di marmo, che conduceva a una piazza pavimentata con blocchi d’oro, al centro della quale s’innalzava una fontana da cui sgorgava dell’acqua cristallina. Il viandante si rivolse all’uomo che sorvegliava l’entrata. “Buongiorno” “Buongiorno” rispose il guardiano.
“Che luogo è mai questo, tanto bello? ” “È il cielo” “Che bello essere arrivati in cielo, abbiamo tanta sete! ” “Puoi entrare e bere a volontà”. Il guardiano indicò la fontana. “Anche il mio cavallo ed il mio cane hanno sete. Mi dispiace molto”, disse il guardiano, “ma qui non è permesso l’entrata agli animali”. L’uomo fu molto deluso: la sua sete era grande, ma non avrebbe mai bevuto da solo. Ringraziò il guardiano e proseguì. Dopo avere camminato a lungo su per la collina, il viandante e gli animali giunsero 7 in un luogo il cui ingresso era costituito da una vecchia porta, che si apriva su un sentiero di terra battuta, fiancheggiato da alberi. All’ombra di uno di essi era sdraiato un uomo che portava un cappello; probabilmente era addormentato. “Buongiorno” disse il viandante. L’uomo fece un cenno con il capo.
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“Io, il mio cavallo ed il mio cane abbiamo molta sete”. “C’è una fonte fra quei massi”, disse l’uomo, indicando il luogo, e aggiunse: “Potete bere a volontà”. L’uomo, il cavallo ed il cane si avvicinarono alla fonte e si dissetarono. Il viandante andò a ringraziare. “Tornate quando volete”, rispose l’uomo. “A proposito, come si chiama questo posto? ” “Cielo” “Cielo? Ma il guardiano del portone di marmo ha detto che il cielo era quello là! ” “Quello non è il cielo, è l’inferno”. 8 Il viandante rimase perplesso. “Dovreste proibire loro di utilizzare il vostro nome! Di certo, questa falsa informazione causa grandi confusioni! ” “Assolutamente no. In realtà, ci fanno un grande favore. Perché là si fermano tutti quelli che non esitano ad abbandonare i loro migliori amici… ”
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VICENZACHELEGGE.ORG COORDINAMENTO INSEGNANTI SCUOLE SUPERIORI
CONCORSO RECENSIONI 2020 LE PRIME CINQUE CLASSIFICATE 1. Beatrice Toniollo 2. Abdoul Moubarak 3. Matilde Taroni 4. Marco Menarin 5. Francesca Rizzi
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Dieci anni di promozione della lettura a scuola di Roberto Monicchia - Coordinamento insegnanti IL COORDINAMENTO INSEGNANTI SCUOLE SUPERIORI PER LA PROMOZIONE DELLA LETTURA si è formato nel 2011 per preparare le iniziative previste in tutta la città e la provincia in occasione del Forum del libro, festival letterario annuale che nel 2012 ha avuto Vicenza come sede. In quella occasione proponemmo alle studentesse e agli studenti degli istituti della provincia tre concorsi ispirati alla lettura: “Bravo chi legge!” (liberamente ispirato al televisivo “Per un pugno di libri”, è un quiz fra classi intorno ad un libro, sviscerato in ogni suo aspetto); “Booktrailer”, che consiste nella confezione di un video di promozione di un libro; “Un libro in un sms”, ovvero ridare il senso, il contenuto, l’essenza di un libro, in 140 caratteri (in italiano o nelle principali lingue straniere studiate a scuola). Terminato il Forum, e considerato il successo ottenuto dai concorsi, il coordinamento ha deciso di proseguire le sue attività. Dal 2017 ai tre concorsi si è aggiunto quello di scrittura delle recensioni, pubblicate settimanalmente dal “Giornale di Vicenza”, mentre “Bravo chi legge!” e “Un libro in un sms” hanno mutato nome rispettivamente in “VIva chi legge” e “Tweetbook”. Dal 2015 al 2019 la finalissima di “VIva chi legge!”, cui accedono le classi uscite vincitrici dalle eliminatorie di istituto, si è svolta a fine aprile (in concomitanza con il festival mondiale del libro e della lettura) nella splendida cornice di Piazza dei Signori, vedendo la partecipazione anche di 17 classi da altrettanti istituti di Vicenza e provincia: oltre 500 studenti in rappresentanza delle migliaia che avevano partecipato alle gare di Istituto. MAGAZINE LETTERARIO
L’iniziativa è resa possibile dal sostegno della Rete Territoriale dei Servizi di Vicenza, dell’ufficio politiche giovanili del Comune di Vicenza, della SGMS di Vicenza e del “Giornale di Vicenza”, e dalla collaborazione con le librerie “Traverso” e “Galla”. In questi anni abbiamo potuto sperimentare quanto la lettura possa coinvolgere i ragazzi, specie se proposta in modalità inusuali, anche se non banali. In questa direzione, oltre all’organizzazione dei concorsi, il coordinamento si è impegnato, insieme alla Rete delle Biblioteche Scolastiche, a lavorare per realizzare un curriculum di educazione alla lettura verticale (ovvero atto a coprire tutti gli ordini di scuola, dalla materna alle superiori), lavoro che è stato oggetto di diversi convegni. Nel 2019, a causa della pandemia, si sono potuti portare a termine solo i concorsi “Tweetbook” e “Recensioni”, mentre per i “Booktrailer” e per “VIvachilegge!” (per quest’ultimo al momento del lockdown c’erano già 12 scuole pronte per la finale) siamo stati costretti a rimandare al nuovo anno. Con la riapertura della scuola in presenza la nostra speranza è di portare a termine la decima edizione dei nostri concorsi, magari avvalendoci per alcuni delle modalità “da remoto” a cui ci siamo dovuti giocoforza abituare. L’importante è mantenere viva e diffondere tra i ragazzi e le ragazze la passione per la lettura, elemento chiave della formazione, indispensabile requisito per la cittadinanza attiva. Ogni informazione sui concorsi è disponibile sul sito www.vicenzachelegge.org., oppure scrivendo a rete@vicenzachelegge.org 65
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Concorso recensioni 2020 Le prime cinque recensioni classificate
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1^ CLASSIFICATA Beatrice Toniollo, 3AITL Itis “Rossi”
2^ CLASSIFICATO Abdoul Moubarak Dabre 4BAME. Itis “Rossi” -
Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella
Toni Morrison, Amatissima
Offred è un’Ancella, una delle poche donne che dopo una catastrofe riesce ancora a procreare; questa è l’unica cosa che la nuova società americana cristiana della Repubblica di Galaad si aspetta da lei. Il suo passato emerge pian piano, un marito, una figlia, una vita che noi considereremmo normale, ma che ora non esiste più, è stata rimpiazzata da una vita quasi ottocentesca, colorata dal corredo rosso che caratterizza la sua condizione e la contraddistingue dalle altre donne. Ne Il racconto dell’Ancella la donna torna ad essere un oggetto, come un medievale corpo vuoto il cui unico scopo è generare un erede. Questa storia prende e dà, per tutte le informazioni che riesci a carpire sul perché le donne e la società siano cambiate in maniera così radicale, semina indizi che generano nuove domande, a volte senza risposta; facendo nascere nel lettore un desiderio febbrile di sapere, che lo porta a divorare famelicamente le parole, i capitoli, la storia. È pressoché impossibile non immedesimarsi in Offred: cosa avrei fatto al suo posto? Avrei tentato di ribellarmi? Anche queste domande non hanno risposta, impossibile pensare che tutto ciò esista, eppure la Repubblica di Galaad non è così difficile da immaginare, e in forme diverse ma simili esiste già: in tutti i paesi del mondo dove le donne vengono considerate oggetto di piacere e terra fertile, private di ogni bene, diritto e libertà, e dove gli uomini vogliono avere il controllo di ogni cosa perché sembrano spaventati dal potere che una donna può avere, a partire dalla creazione di una vita. Margaret Atwood è riuscita con immensa maestria a raccontare una storia futuristica, che riporta l’attenzione al nostro presente, ora più che mai incerto e avvolto nella nebbia; facendoci inorridire e odiare questo nuovo tipo di società puritana, cerca di ricordarci che non è frutto di fantasia, ma rielaborazione di una realtà che spesso ci rifiutiamo di vedere, ma che è sempre lì, se solo volessimo aprire gli occhi.
Un decennio si è appena concluso strappandoci colei che è stata la prima donna afroamericana a vincere un premio Nobel per la letteratura, Toni Morrison, morta appunto pochi mesi fa. Tra le numerose e ispirate opere da lei prodotte Amatissima è sicuramente tra le più folgoranti. Questo romanzo, vincitore del premio Pulitzer del 1988, racconta l’odissea di una madre schiava che per conquistare la libertà è costretta a sopportare l’impensabile. Sethe ci viene presentata nella sua casa al 124 di Bluestone Road assieme alla figlia Denver, le due stanno cercando di ricostruire una vita che possa cancellare i segni della schiavitù, il compito è però troppo arduo. L’autrice ci fa infatti capire che non sarà mai possibile pensare al futuro finché non si sarà accettato il proprio passato. Per la donna, a cui hanno rubato il latte, l’angoscia consiste nel tenere a bada ciò che è cessato. Il lettore avrà dunque la possibilità di osservare ciò che i protagonisti non riescono a comprendere ma solo a percepire, cioè il fantasma della “bambina che gattona già”. L’accesso all’intimità più preziosa degli ex schiavi sarà a tratti dolce e a tratti amarissimo, ma sempre travolgente. I pensieri che attraversano la mente di un individuo che mai in vita sua avrebbe pensato di assaporare il concetto di libertà vengono narrati dalla Morrison in maniera intrigante. I flussi di coscienza che si potranno leggere non saranno quelli di un libro aperto perché ci sono esperienze che non si vuol far tornare in vita ed alberi sulla schiena che non si vorrebbe mai mostrare al prossimo, benché siano fioriti da tempo. L’oppressione dell’Ottocento non è diversa da quella del Cinquecento ed è riscontrabile anche in quella dei giorni nostri. Nessuno deve sentirsi in diritto di rubare la libertà da una vita che è unica, irripetibile. Questo romanzo non è volto alla sola compassione perché è innanzitutto un invito, un invito ad acquisire una nuova concezione di esistenza che permetta di presentarsi al prossimo sempre con un petalo di umanità.
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3^ CLASSIFICATA Matilde Taroni 3ACL, Liceo “Pigafetta” Vicenza Goffredo Parise, Il ragazzo morto e le comete Due amici inseparabili. Personaggi indimenticabili. Un mondo inimmaginabile. Con rapide e colorate pennellate, nel 1950, l’allora ventenne Goffredo Parise delinea i contorni del suo primo romanzo, Il ragazzo morto e le comete, troppo audace per quei tempi e, forse, anche per noi. In un ipnotico vortice di sequenze di istantanee dell’insolita vita di una piccola città di provincia, solo apparentemente scollegate tra loro, si susseguono le storie di Fiore, disposto a tutto per il suo amico; di Adamo e di suo padre Squerloz, che costruisce barche colorate in una cantina con un barbagianni, una civetta e un introvabile topo bianco; di Antoine, che sorvola la città col suo pallone; di Edera, che sembra una qualsiasi ragazza bionda dagli occhi azzurri, ma che, invece, ha qualcosa di indescrivibile e misterioso; di Primerose, la bambina paralizzata con le calze spaiate, che profuma di caffellatte e caramelle; di Leopolda e Massimino, che vivono lontani dal mondo, con occhi di vetro e mille malanni. Tutti sconosciuti gli uni agli altri, ma accomunati dal fatto di conoscere il ragazzo di quindici anni, dagli occhi a mandorla e che non ride mai, una presenza dai contorni sfumati e inafferrabili come se fosse l’essenza stessa della storia. Così Parise dipinge il primo, straordinario e spettrale ritratto della sua natia Vicenza.
4^ CLASSIFICATO Marco Menarin, 3 BT – Liceo Paolo Lioy John Steinbeck, Furore The Grapes of Wrath è un romanzo dello scrittore statunitense John Steinbeck che, pubblicato nel 1939, provocò un tale scandalo da spingere la traduzione italiana a trasformare quel titolo in Furore. Anche in Italia infatti, i censori fascisti ebbero un gran da fare per eliminare molti brani d’un romanzo considerato un affronto al potere, e che tuttavia venne pubblicato con fini propagandistici per proporre un’immagine dell’America barbarica e violenta. Il libro segue i passi della famiglia Joad, contadini emigranti su una Route 66 diventata il sentiero d’un popolo in fuga, di chi scappava dal rattrappirsi delle campagne, dall’avanzare dei trattori, dalla lenta invasione del deserto e dalle inondazioni che depredavano la terra di ogni ricchezza. Alle loro vicende s’intrecciano quelle di centinaia di altri braccianti accomunati dal sogno della California, dove chilometri di frutteti avrebbero permesso di lavorare e di sfamare le proprie famiglie. Tuttavia, lungo il loro percorso, questi uomini resi snelli dalla fame e robusti dal resisterle incontrano nuove realtà urbane 68
nelle quali vengono disprezzati in quanto sporchi, rozzi e, a detta dei cittadini, criminali. Il romanzo è dunque permeato da un razzismo che viene sopportato in nome della meta del viaggio: la California, dove però, al termine della stagione, migliaia di braccianti proseguono l’esodo in cerca d’un nuovo impiego, senza trovarlo. Si vedono famiglie intere private della dignità, che si commuovono quando possono comprare della carne o usare il bagno, sempre sotto l’occhio sprezzante dei cittadini. Questo libro, scritto rispettando il colorito slang dell’epoca, riporta un’immagine quanto mai attuale, ricordandoci che, in qualsiasi Stato e condizione, si è prima di tutto umani e in quanto tali meritevoli di dignità.
5^ CLASSIFICATA Francesca Rizzi, 5DL, Liceo Fogazzaro Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno Calvino disse che “ogni volta che si è stati testimoni o attori di un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale” ed è proprio per questo motivo che lo scrittore dedicò il suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, alla Resistenza, movimento al quale prese parte nel 1944. Il protagonista è Pin, un bambino che vive in un paese della riviera ligure, solo con la sorella prostituta. Un giorno ruba la pistola ad un soldato tedesco e la nasconde in un luogo che solo lui conosce, dove i ragni fanno i nidi. Pin entrerà così in un gruppo di partigiani, con cui vivrà mille esperienze che lo porteranno a conoscere la guerra, la solitudine e l’amicizia. L’elemento di maggior interesse nell’opera è la prospettiva che Calvino decide di assumere per descrivere la Resistenza, un tema troppo “impegnativo e solenne” secondo lo scrittore. Egli decide di affrontare il tema della lotta partigiana “non di petto ma di scorcio”, adottando il punto di vista ingenuo di un bambino. Nonostante il carattere brusco e l’infanzia infelice, Pin mantiene comunque lo sguardo innocente tipico dei bambini. Di conseguenza, tutti gli avvenimenti della Resistenza vengono visti attraverso una lente infantile, facendo sì che anche le barbarie più atroci della guerra risultino immerse in un’atmosfera di fiaba, magia e incanto. Questa tecnica, che potrebbe avere qualche punto di contatto con la poetica del “fanciullino” di Pascoli, fa assumere alla vicenda partigiana le sembianze di una “favola di bosco”, come dice Cesare Pavese nella postfazione del libro. Il sentiero dei nidi di ragno si rivela quindi un romanzo estremamente interessante, non solo perché tratta la vicenda della Resistenza, ma per l’innovativa rappresentazione di questo tema. Una lettura dell’esperienza partigiana suggestiva, fantasiosa, originale e sorprendente.
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Le premiazioni 2019 Dal GdV del 20 Maggio 2019
Con le premiazioni al cinema Odeon di Vicenza si è conclusa l’ottava edizione dei concorsi studenteschi di lettura organizzati dal Coordinamento insegnanti scuole superiori di Vicenza per la promozione della lettura, con il sostegno della Rete territoriale Scolastica, dal Comune di Vicenza, de Il Giornale di Vicenza e della “Società Generale di Mutuo soccorso-Odeon”, nonché delle librerie “Traverso” e “Galla” Dopo i saluti del consigliere delegato alle politiche giovanili del comune di Vicenza Marco Lunardi, del presidente della Sgms Nicola Savino, di Nicoletta Martelletto de “Il Giornale di Vicenza” e della libraia Valentina Traverso, si è proceduto alle presentazioni dei lavori presentati da parte del coordinatore il prof.Roberto Monicchia. L’esordio è stato dedicato alla 2DS del Liceo “Da Ponte” di Bassano, che ha prevalso su altre sedici classi di altrettanti istituti di Vicenza e provincia nella finale di Vivachilegge! tenutasi lo scorso 16 aprile in Piazza dei Signori. Ad attendere le ragazze e i ragazzi c’era un buono libro da 300 euro. È seguita la proiezione sul grande schermo dell’Odeon dei dieci migliori booktrailer (video di due minuti per promuovere un libro) tra i 21 presentati da 12 istituti. I video sono stati presentati da Antonio Seganfreddo (che ha aiutato gli studenti nella realizzazione dei video con un corso ad hoc), il quale ha sottolineato la maturità dimostrata dagli studenti nell’utilizzo del mezzo espressivo delle immagini. Sono stati premiati, con buoni libro e abbonamenti per la futura stagione del cinema Odeon, i primi cinque video: 1° Sostiene Pereira, realizzato dalla 5AS del Lioy; 2° Padre ricco padre povero, di Mirko Milan e Singh Sukhpreet della 4AESerale del “Rossi”; 4° i Carmina di Catullo, di Agnese Pegoraro e Marko Jovanovic della 4^CA del Liceo Zanella di Schio;
5° Siria mon amour, di un gruppo di ragazzi della 2DS del Da Ponte di Bassano. I video saranno riproposti come veri trailer durante la stagione estiva dell’Oden “Cinema sotto le stelle”. Premi in buoni libro anche per i migliori “tweetbook” ( illustrano un libro con le poche battute e il linguaggio allusivo dei cinguettii): ne sono stati presentati 55 in italiano e 41 in lingue estere (inglese, francese, spagnolo, tedesco) da 11 scuole. In italiano ha vinto Giovanni Sabbadin del Lioy, seguito dal compagno di classe Francesco Lomesso; terzi ex aequo Alice Marchetti e Anna Giulia Ceron del Pigafetta e Irene Fabris del Piovene. Nella sezione in lingue estere ha prevalso Chiara Gasparella del Lioy, secondo è stato Federico Zarantonello del “Rossi”; tre ex aequo al terzo posto: Sofia Rutiglino del Pigafetta, Sara Zaupa del Piovene e Nicolò Battocchio del Rossi. Sono state infine presentate le 26 recensioni (da 16 istituti) pubblicate ogni martedì sul “Giornale di Vicenza” corredate dal commento della libraia Valentina Traverso. Con l’unanime consenso dei giurati è risultata vincitrice (per il secondo anno consecutiva) Anna Cascioli del liceo Quadri, con il lavoro su Lolita di Nabokov, per il quale ha ricevuto, oltre ad un buono libro, un abbonamento all’edizione on-line del “Giornale di Vicenza”. Seconda si è piazzata Rachele Zandonà del Liceo Zanella di Schio, autrice di una recensione di Un amore di Dino Buzzati. Terza Linda Zattra del Pigafetta (Dario Fani, Ti seguirò fuori dall’acqua), quarta Anita Guiotto del Quadri con Oceano mare di Alessando Baricco, quinta Chiara Zen dell’Itis De Pretto di Schio (Marco Balzano, Io resto qui). La manifestazione dell’Odeon ha chiuso un percorso partito a settembre, che ha coinvolto almeno 2000 studenti facenti parte di 18 istituti superiori della provincia di Vicenza.
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#FONDAZIONEBISAZZA
SENZA PAROLE
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Fondazione Bisazza
Norman Parkinson & Fashion Photography 1948 - 1968
La Fondazione Bisazza ha allestito la mostra fotografica “Norman Parkinson & Fashion Photography 1948 –1968”, una retrospettiva che ripercorre vent’anni della fotografia di moda attraverso lo sguardo di Norman Parkinson e altri quattro fotografi riconosciuti e celebrati a livello internazionale: Milton Greene, Terence Donovan, Terry O’Neill e Jerry Schatzberg.
Scatto di Norman Parkinson pubblicato sulla rivista Vogue America, 15 ottobre 1949 70
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#FONDAZIONEBISAZZA
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urata da Cristina Carrillo de Albornoz e organizzata dalla Fondazione Bisazza insieme ad Iconic Images - una delle più importanti agenzie mondiali specializzata nella gestione di archivi fotografici d’arte - la mostra è suddivisa in sette diverse sezioni tematiche - Glamour, Swinging Sixties, City Style, The Art of Travel, Postwar Couture, Exceptional Gowns e Iconic - all’interno delle quali sono esposte settanta opere. Immagini iconiche che non raccontano solo lo spirito di cambiamento di quel periodo (1948-1968), ma soprattutto rivelano un nuovo modo di fare fotografia e di rappresentare la donna, in particolar modo all’interno dei servizi di moda e nei ritratti. Un approccio del tutto visionario, decisamente fuori dagli schemi, indurrà Norman Parkinson a ritrarre, per la prima volta in quegli anni, le modelle non più nei soliti studi fotografici ma in contesti nuovi, più reali prediligendo le strade, le spiagge, luoghi dal fascino incredibilmente esotico. In ogni scatto, pieno
di poesia, Parkinson riesce a rappresentare e a valorizzare al massimo il concetto dell’eleganza femminile. Terence Donovan e Terry O’Neill, entrambi inglesi, catturarono la magia dell’atmosfera londinese degli anni ’60. Milton Greene e Jerry Schatzberg erano registi e fotografi di origine americana. Il primo divenne famoso per i servizi di moda e per aver fotografato numerose celebrità, tra cui Marilyn Monroe. Jerry Schatzberg, un vero talento della regia, ha saputo realizzare alcuni dei ritratti più intimi e iconici della sua generazione, con un’indiscussa sensibilità e qualità narrativa. Fotografate con i grattacieli di New York o con i monumenti di Londra e Parigi all’orizzonte, le figure femminili sono protagoniste, lungo tutto il percorso espositivo, insieme ad altri personaggi celebri del mondo della musica e dello spettacolo quali: Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, The Beatles e The Rolling Stones.
Ph. Milton Greene, ottobre 1954. Credit Iconic Images - Marilyn Monroe, in uno studio fotografico a New York.
Norman Parkinson.
Norman Parkinson - sulla rivista Queen, 1964.
Ph. Terence Donovan, 16 marzo 1959. Credit Iconic Images - La modella Brenda Harper con un’acconciatura di Vidal Sassoon
Ph. Terry O’Neill Audrey Hepburn (1929-1993)
Ph. Terry O’Neill Audrey Hepburn (1929-1993) MAGAZINE LETTERARIO
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