M agazine VIVI
ViviVicenza Magazine - Rivista di informazione culturale di Vicenza e Provincia
A R T E L I B R I M U S I C A T E A T R O F OT O G R A F I A
N. 1/2018 € 5,00
MUSEI MOSTRE EVENTI ITINERARI ESCURSIONI
CHI HA DIFFICOLTÀ UDITIVE SPESSO NON LO AMMETTE
Sei davvero sicuro di sentire bene?
“Non sono sordo, sono gli altri che parlano a voce bassa!” Sicuramente a molti sarà capitato di sentir pronunciare questa frase da un parente o un amico. O forse a dirla siete stati voi stessi, magari a vostra moglie o a vostro marito. La perdita di udito si manifesta poco a poco e non presenta segni esteriori visibili: per questo a volte può essere difficile identificarla. Il più delle volte sono proprio gli amici e i familiari ad accorgersi per primi della presenza di una difficoltà uditiva: se non siete sicuri di sentire bene, parlatene con loro per sentire cosa ne pensano. Forse hanno notato in voi una difficoltà a sentire certi suoni in determinate situazioni, oppure si sono accorti di dovervi ripetere quello che dicono più volte, o, in altri casi, di dovervi spiegare quel che si è detto in una conversazione perché vi siete persi qualcosa. Capita anche che, nonostante amici e parenti facciano notare la necessità di un controllo dell’udito, i diretti interessati siano molto restii ad accettare il consiglio. In questi casi si parla di negazione, cioè non voler ammettere il problema o di sottostimarne l’impatto. Se dite frasi come: “Sento abbastanza bene nella maggior parte delle situa-
zioni” o “La mia difficoltà a sentire non è poi così fastidiosa”, probabilmente state minimizzando l’importanza della perdita di udito. La negazione è una reazione assolutamente comune e comprensibile, ma ritarda la possibilità di trovare una soluzione. La perdita di udito tende a peggiorare gradualmente, per questo diagnosi precoce e trattamento tempestivo sono fondamentali. Se sentite di avere qualche difficoltà uditiva ma non siete sicuri di avere bisogno di apparecchi acustici, il primo passo è quello di effettuare un controllo dell’udito
presso uno specialista o un centro acustico. Assicuratevi di scegliere sempre strutture con personale qualificato e professionale, in grado di indirizzarvi nella scelta della soluzione più adatta. Al Centro Sordità Elettrosonor il controllo dell’udito viene affidato a Dottori in Tecniche Audioprotesiche ed effettuato in apposite sale insonorizzate con strumentazione certificata secondo la normativa vigente. È anche possibile provare gratuitamente gli apparecchi acustici per 30 giorni e valutare di persona i benefici che possono portare.
VICENZA - Bertesinella Strada Cà Balbi 320
Tel. 0444 911244
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Dal Lunedì al Venerdì 09:00-12:30 / 15:00 - 19:00
Vicenza - Montecchio Maggiore (VI) - Bassano del Grappa (VI) - Santorso (VI) - Lonigo (VI) - Asiago (VI) - Abano Terme (PD)
MAGAZINE N. 1/2018
SOMMARIO
DISTRIBUZIONE VICENZA MAGAZINE è distribuito pevalentemente ai soci dell’Associazione Vivi Vicenza e in abbonamento ridotto nelle sedi di biblioteche comunali, musei, scuole, associazioni culturali e proloco della Provincia di Vicenza. In vendita nelle librerie del centro storico di Vicenza
VICENZAMAGAZINE Marzo 2018
in copertina foto della Compagnia teatrale “la Trappola”
CONCORSO FOTOGRAFICO
P. 4
INVERNO 2017
CALENDARIO EVENTI
P. 6
VICENZA_ BASSANO
EVENTI & LUOGHI
P. 8
VAN GOGH: LA VERITA’ IN ARTE VAN GOGH: NOTE DI UNA VITA BREVE E MEMORABILE TIEPOLO SEGRETO RETROSPETTIVA ROBERT CAPA
CONCORSO LETTERARIO
P.22
RACCONTI D’ESTATE
ITINERARI & ESCURSIONI
P.26
CASTELLI DI GIULIETTA E ROMEO
ARTE & MUSEI
P.30
FONDAZIONE BISAZZA
TEATRO & MUSICA
P.34
FESTIVAL LA MASCHERA D’ORO COMPAGNIA TEATRALE “LA TRAPPOLA”
LIBRI & CINEMA
P.36
SEGNALAZIONI
VISIT VICENZA
P.38
IL BATTESIMO DI CRISTO
CALENDARIO EVENTI_RASSEGNE_CORSI_WORKSHOP
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VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
P.40
Associazioni vicentine: Accademia Olimpica, Amici dei monumenti, dei musei e del paesaggio, associazione culturale Trait d’Union, conservatorio di musica “Arrigo Pedrollo” di Vicenza, Fai sezione di Vicenza, Garden Club Vicenza, Gruppo archeologico centro ricerche territorio, Italia Nostra sezione di Vicenza, Officina dei Talenti, Società filosofica italiana sezione di Vicenza, FotoClub Il Punto focale, Associazione Theama, Associazione Le città invisibili, Ass. The Art Box, Spazio Vicenza Time Cafè, Ass. La Soffitta, C.S. Bocciodromo, Spazio Le Cinige, Ass. Spazio6, Fondazione La Vigna, Spazio Galleria Celeste, Assovigreen, Vucenza Abitagrenn, Amici del libro. Biblioteche Biblioteca Civica Bertoliana Biblioteca di palazzo Costantini Biblioteca della Riviera Berica Biblioteca di villa Tacchi Biblioteca di Anconetta Biblioteca di Laghetto Biblioteca del Villaggio del Sole Biblioteche scolastiche
ABBONAMENTI Abbonamento 4 numeri: 20 euro Abbonamento ridotto cumulativo 10,00 euro (minimo 2 abbonamenti spediti allo stesso indirizzo) Informazioni e sottoscrizioni: viviedizioni@gmail.com 0444.327976 AGEVOLAZIONE ABBONATI sconto 10% sui corsi di fotografia e sconto 50% sulle guide: DISCOVER VICENZA DISCOVER PALLADIO Per informazioni viviedizioni@gmail.com
EDITORIALE VICENZAMAGAZINE
Marzo 2018
Patrocinio Provincia di Vicenza con la collaboazione R.B.V. Rete Biblioteche Vicentine Associazioni culturali vicentine
VICENZA CITTA’ CHE LEGGE ASSOCIAZIONE CULTURALE
VIVI VICENZA REDAZIONE Corso Palladio, 179 - Vicenza tel. 0444.327976 ass.vivivicenza@gmail.com associazionevivivicenza@pec.it
Hanno collaborato: Marco Goldin Valentina Casarotto Lidia Zocche Monica Bianchetti Romano Concato Biblioteca di Montecchio Maggiore Poloco Alte di Montecchio Maurizio Cerato Compagnia teatrale “la Trappola” Stefano Fumaroni
Fotografi Antonio Tafuro Siro Faccin Cinzia Fabris Andrea Risi Giovanni Tisocco RIccardo Contarin Francesco Finotto
L’Associazione Vivi Vicenza dichiara che articoli e fotografie sono stati concessi a titolo gratuito unicamente per questa pubblicazione. Gli autori rimangono proprietari dei diritti.
Vicenza è “Città che legge”. Questa è la qualifica attribuita al capoluogo berico assieme a 365 Comuni italiani di altri quattro nel Vicentino dal Centro per il Libro e la Lettura (Cepell) - Istituto autonomo del Ministero dei Beni Culturali e delle Attività Culturali e del Turismo, d’intesa con l’ANCI. Da anni questo centro ministeriale propone progetti di sostegno alla lettura (Libriamoci, Maggio dei libri, In Vitro), consapevole della poca attenzione che gli italiani riservano a tali attività. Come avviene ormai con regolarità con riferimento alle rilevazioni Istat, anche quest’anno la stampa ha riportato titoli quali “Fuga dai libri: il 60% degli italiani non legge. Negli ultimi sei anni persi 3 milioni e 300 mila lettori nel Paese. Allarme tra i ragazzini dagli 11 ai 14 anni.” Nemmeno il libro digitale, l’e.book, è riuscito, almeno finora, a scalfire questa tendenza. Peraltro, come ricorda lo stesso Cepell, dalla lettura dipendono lo sviluppo intellettuale, sociale ed economico delle comunità. Una “Città che legge” punta dunque allo sviluppo della pratica della lettura per influenzare positivamente la qualità della vita individuale e collettiva. Per questo favorisce l’accesso ai libri e alla lettura - attraverso biblioteche e librerie - ospita festival, rassegne o fiere che mobilitano i lettori e incuriosiscono i non lettori, partecipa a iniziative congiunte di promozione della lettura tra biblioteche, scuole, librerie e associazioni. Vicenza, nel proporsi per questo titolo, ha evidenziato come nel proprio territorio operino 7 sedi di biblioteche pubbliche, 22 biblioteche scolastiche in rete, una decina di biblioteche private specialistiche con funzione pubblica, 16 librerie. Molto sensibile si è dimostrato anche il mondo della scuola così come le librerie e i numerosi gruppi e associazioni culturali presenti in Vicenza. Per essere inserita nell’elenco delle città che leggono Vicenza ha sottoscritto un patto locale per la lettura, un vero e proprio contratto per attivare la collaborazione continuativa di istituzioni ed enti pubblici, biblioteche, scuole, università, strutture sanitarie, enti sociali, soggetti privati e rappresentanti della filiera del libro, allo scopo di realizzare un’azione coordinata e collettiva, orientata all’incremento degli indici di lettura nel territorio. Vicenza Magazine si inserisce in questo programma di collaborazione con l’auspiscio di diventare un effettivo strumento di informazione delle iniziative culturali promosse dai vari soggetti che formano la filiera dell’esperienza e conoscenza della realtà in cui viviamo. REDAZIONE
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CONCORSO FOTOGRAFICO
FOCUS INVERNO Vincitrice Chiara Fabris CONCORSO Le Stagioni Vicentine Inviare le fotografie per iil concorso di Primavera a viviedizioni@gmail.com
CORSI DI FOTOGRAFIA L’ Associazione VIVI VICENZA organizza corsi di fotografia nelle sedi di Istituti scolastici, biblioteche e oratori della Provincia Informazioni: corsifotografiavicenza@gmail.com Segreteria 0444.327976
© Chiara Fabris
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VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
© Chiara Fabris VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
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CALENDARIO EVENTI
PANORAMA
PALLADIO MUSEUM fino al 17 Giugno
mostre rassegne fiere spettacoli
TIEPOLO SEGRETO
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l Teatro Olimpico di Tiepolo: per la prima volta svelati al pubblico sette capolavori di Giandomenico Tiepolo “palladianista”. Sette straordinari affreschi di Giandomenico Tiepolo (1727-1804) da oltre cinquant’anni anni erano conservati nelle residenze dei proprietari che coraggiosamente li salvarono dalle distruzioni belliche. Oggi gli eredi, convinti dell’opportunità di un godimento pubblico di tali capolavori, li hanno destinati al Palladio Museum. Ad essi viene dedicata una mostra, realizzata grazie alle competenze e alla collaborazione della Soprintendenza di Verona diretta da Fabrizio Magani, che la cura insieme al direttore del Palladio Museum, Guido Beltramini
BASILICA PALLADIANA fino all’8 Aprile VAN GOGH - tra il grano e il cielo
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an Gogh. Tra il grano e il cielo, curata da Marco Goldin, presenta eccezionalmente un numero elevato di opere del pittore olandese, 43 dipinti e 86 disegni. Costruita grazie all’apporto decisivo di quello scrigno vangoghiano che è il Kröller-Müller Museum in Olanda, assieme ai prestiti da una decina di altri musei, ricostruisce con precisione l’intera vicenda biografica, ponendo dapprincipio l’accento sui decisivi anni olandesi, che dall’autunno del 1880 nelle miniere del Borinage, per la verità in Belgio, fino all’autunno del 1885 a conclusione del fondamentale periodo di Nuenen, sono una sorta di stigmate infiammata e continuamente protratta. Una vera e propria via crucis nel dolore e nella disperazione del vivere. Sarà come entrare nel laboratorio dell’anima di Van Gogh, in quel luogo segreto, solo a lui noto, nel quale si sono formate le sue immagini. Spesso nella condivisione dei temi in primo luogo con Jean-François Millet e poi con gli artisti della cosiddetta Scuola dell’Aia, una sorta di versione olandese della Scuola di Barbizon. E puntualmente alcune delle loro opere verranno esposte a confronto.E in questo laboratorio ci si addentrerà con rispetto e con circospezione, facendosi aiutare dalle fondamentali lettere che Vincent inviava, come un vero e proprio diario del cuore straziato, in modo particolare al fratello Théo, ma non solo. Le lettere costituiranno quindi, giorno dopo giorno, come fogli di un diario, il filo conduttore della mostra, perché attraverso le parole si possa penetrare fino in fondo nel mistero struggente della bellezza di un’opera che non cessa di affascinarci. Perché così fortemente connaturata alla presentazione di un vita sempre sul limite. Lettere che molto spesso si troveranno stampate sulle pareti, accanto alle opere che le hanno ispirate.
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BASILICA PALLADIANA Dall’11 Maggio al 2 Settembre DAVID CHIPPERFIELD
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itornano le grandi mostre di architettura contemporanea nella Basilica Palladiana di Vicenza. L’assessorato alla crescita del Comune di Vicenza, in collaborazione con l’associazione culturale Abacoarchitettura, proporrà dall’11 maggio al 2 settembre 2018 un’esposizione dedicata a David Chipperfield Architects con progetti sviluppati dagli uffici di Londra, Berlino, Milano e Shanghai. A dodici anni di distanza dall’ultima mostra, realizzata nel 2006 prima della chiusura della Basilica per restauro e dedicata al duo giapponese Kazuyo Sejima/Ryue Nishizawa, l’architettura contemporanea sarà nuovamente presente nel panorama della cultura vicentina, a sottolineare l’importanza che tale disciplina riveste nella storia e nell’identità stessa della città. Le ragioni che hanno portato a scegliere David Chipperfield Architects come protagonisti del ritorno della grande architettura contemporanea internazionale nella Basilica Palladiana di Vicenza, risiedono nella volontà di riaffermare il ruolo dell’architettura come disciplina in grado di coniugare ricerca artistica e valori sociali.
TEATRO SAN MARCO fino al 24 Marzo FESTIVAL NAZIONALE MASCHERA D’ORO Il premio nazionale Maschera d’Oro è organizzato ogni anno dalla Fita Veneto. Il festival propone al teatro San Marco di Vicenza una selezione di sette compagnie non professionistiche provenienti da tutt’Italia. CALENDARIO
Sabato 3 marzo 2018 LE ULTIME LUNE di Furio Bordon Compagnia La Cricca di Taranto Sabato 10 marzo 2018 IL METODO GRONHOLM di Jordi Galceràn Compagnia I Complici di Bologna
Sabato 3 febbraio 2018 UNO SGUARDO DAL PONTE di Arthur Miller Compagnia Nuovo Teatro Stabile Mascalucia di Catania
Sabato 17 marzo 2018 FERDINANDO di Annibale Ruccello Compagnia Incontri di Napoli
Sabato 10 febbraio 2018 TINGELTANGEL di Karl Valentin Compagnia di Lizzana di Trento
Sabato 24 marzo 2018 SERATA DI PREMIAZIONI Fuori concorso: NOTE NELLA TEMPESTA Spettacolo di clownerie musicale Valter Rado & Mabò Band
Sabato 17 febbraio 2018 LA SENSALE DI MATRIMONI di Thornton Wilder Compagnia La Ringhiera di Vicenza Sabato 24 febbraio 2018 UNA DELLE ULTIME SERE DI CARNOVALE di Carlo Goldoni Compagnia La Trappola di Vicenza
Inizio spettacoli: ore 21 Abbonamenti: interi 70 euro, ridotti 60 euro Biglietti: interi 10 euro, ridotti 8,50 euro Informazioni e prenotazioni: F.i.t.a. Veneto, stradella delle Barche 7 - Vicenza
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EVENTI & LUOGHI
FOCUS MOSTRA VAN GOGH Script MARCO GOLDIN
VAN GOGH: LA VERITA’ IN ARTE
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an Gogh. Tra il grano e il cielo è la grande mostra ospitata in Basilica Palladiana e che nei primi, soli cinquanta giorni di apertura ha già toccato i 110.000 visitatori. Forte di 129 opere in totale tra dipinti e disegni, è stata realizzata soprattutto grazie alla fondamentale collaborazione del Kröller-Müller Museum di Otterlo, in Olanda. E’ un vero piacere per me essere tornato a lavorare a Vicenza per la quarta volta, dopo le prime tre entusiasmanti esperienze tra il 2012 e il 2015. L’esposizione, con un taglio del tutto diverso rispetto ad altre che ho curato su o attorno a Van Gogh negli ultimi quindici anni, studia dapprincipio, e in modo approfondito, i cinque anni della permanenza olandese dell’artista, nel Brabante, da Etten nella primavera del 1881 fino all’autunno del 1885 a Nuenen. Ma anche i mesi meravigliosi trascorsi nell’autunno del 1883 nella regione della Drenthe, quella più amata dai paesaggisti olandesi e nella quale Van Gogh realizza alcuni fogli di squisita eleganza. Con l’anticipazione determinata, al principio di tutto, dal lungo periodo passato in Belgio, dal dicembre 1878 all’ottobre 1880, nel distretto minerario del Borinage, a sud ovest di Mons, prima di qualche mese a Bruxelles. E dopo i tre mesi, a cavallo tra 1885 e 1886, ad Anversa per frequentare la locale Accademia di Belle Arti, verrà, da inizio marzo 1886, il decisivo approdo in Francia, per conoscere in modo diretto i quadri degli impressionisti e quelli dei post impressionisti. Poi, finalmente, la tanto desiderata immersione nel Sud, prima ad Arles, dal 20 febbraio 1888 fino al principio di
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maggio 1889, e poi per un anno a Saint-Rémy, fino a metà maggio del 1890. Prima dei pochi giorni trascorsi a Parigi a casa del fratello Théo, per giungere alla conclusione della sua vita con i settanta, febbrili giorni di Auvers-sur-Oise. Quando tutto giunge a compimento nelle orizzontali distese dei campi, stirati sotto un cielo assolato o gonfio di una pioggia, che pare non finire mai. Particolarmente ampia nel numero delle opere, la mostra dà, oltre che alla pittura, una determinante attenzione al disegno. Per una parabola che lo porterà, in un unico decennio fino al luglio del 1890, a tracciare la vicenda più breve e tormentata dell’intera storia dell’arte. Ma la breve vita di un genio assoluto. Che la mostra vuole appunto narrare. Il disegno gli serve come una grammatica che sia della mano e dell’anima insieme, una lingua necessaria e anzi indispensabile per parlare delle cose del cuore. Nella fondamentale lettera del 24 settembre 1880, confida al fratello Théo: “Non potrò mai dirti quanto, nonostante il fatto che ogni giorno si presentino e si presenteranno nuove difficoltà, non potrò mai dirti quanto sia felice di aver ripreso il disegno. Già da molto tempo ciò mi preoccupava, ma consideravo sempre la cosa ormai impossibile e al di sopra delle mie capacità. Ma ora, pur sentendo la mia debolezza e la mia penosa soggezione e molte cose, ho ritrovato la mia calma di spirito, e l’energia mi ritorna ogni giorno di più. Si tratta per me di imparare a disegnare bene, a dominare sia la matita sia il carboncino sia il pennello, e una volta raggiunto questo farò delle buone cose, non importa dove.”
Il Salone monumentale della Basilica palladiana di Vicenza ospita la mostra “VAN GOGH. Tra il grano e il cielo”, a cura di Marco Goldin fino al 8 Aprile. Biglietti www.lineadombra.it
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disegni quindi dicono di questa tensione spasmodica per la verità in arte. E la mostra parte dallo studio sul corso di disegno di Charles Bargue, pubblicato nel 1871. Oppure dalle copie realizzate da immagini che talune riviste di cui Van Gogh era assiduo lettore, riproducevano. Da qui, subito, nasce il suo amore per Millet e per i suoi soggetti celebri, come quello dei Due zappatori e il Seminatore. Tutti temi che negli anni successivi riprenderà in pittura, con tele che in mostra si vedono puntualmente affiancate proprio ai primi disegni, in una sorta di vasto arco temporale a dare il senso della forma romanzo nella sua opera. A questi fogli olandesi si fanno accanto una ventina di dipinti, sempre di Van Gogh, degli stessi anni, per far comprendere come disegno e pittura fossero intimamente legati. Ma non è, questo, il solo motivo di interesse di questa parte della mostra, poiché le opere di Van Gogh sono accompagnate lungo il percorso espositivo da quelle degli autori della Scuola dell’Aia in Olanda, autori che molto contarono nel suo acquisire un linguaggio autonomo soprattutto di fronte alla natura, ma non solo. La Scuola dell’Aia importava in Olanda il verbo nuovo del realismo che i pittori francesi di Barbizon – da Corot a Daubigny a Rousseau a Troyon – avevano sparso come un seme, con il loro esempio, in tutta Europa. E Van Gogh, sia guardando direttamente le loro opere riprodotte nelle riviste, sia potendo conoscere quelle dei pittori della Scuola dell’Aia che ne portavano avanti gli stimoli, costruiva dentro la forza della realtà rappresentata la sua visione del mondo che rapidamente veniva mutando. La mostra quindi prosegue oltre gli anni olandesi di Van
Gogh, e con dipinti celebri fa comprendere un aspetto fondamentale, e fondante, per questo progetto espositivo. Cioè come quei cinque anni di formazione siano stati indispensabile grammatica, della mano e dello spirito, per accendere quel colore nuovo che Van Gogh ha fatto vibrare come luogo di un cuore turbato e di un’anima lacerata. Forse nessun altro pittore nell’intera vicenda dell’arte di tutti i tempi, ha saputo rappresentare nei suoi quadri quel vero e proprio scandaglio di una profondità che si è espressa in immagine in ogni modo. Fossero, quelle immagini, gli interni dei ristoranti a Parigi, i volti nei ritratti, le nature morte, un mulino ancora a Parigi, un ponte levatoio appena fuori Arles, gli ulivi di Provenza o i campi di grano a Auvers. Magari sotto la pioggia. O nel rosso dei papaveri. Per cui sfilano quadri famosi del periodo parigino prima e soprattutto poi del tempo provenzale tra Arles e SaintRémy e dei settanta giorni conclusivi della sua vita a Auvers-sur-Oise, dove morirà alla fine di luglio del 1890. Soprattutto la natura è il riferimento di un mondo che non è soltanto tema della visione che dà su un esterno da sé, ma sempre di più diventerà, fino a morirne, l’interno di sé. Quello spazio riempito di colori, di visioni, di sogni, di urla e di strepiti. Di sospiri e respiri singhiozzanti, di improvvise e così brevi accensioni di felicità. Quello spazio che solo Van Gogh, prima e poi, ha saputo dipingere in questo modo. Marco Goldin VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
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BASILICA PALLADIANA
MACRO MOSTRA VAN GOGH Script VALENTINA CASAROTTO
VAN GOGH: (1853 - 1890) NOTE DI UNA VITA BREVE E MEMORABILE
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ochi altri pittori hanno una biografia così avvincente e conosciuta come quella di Vincent Van Gogh (fig. 1). E questo grazie alla messe di lettere che Vincent, come consuetudine nell’Ottocento, scriveva agli amici, al fratello Theodorus (fig. 2) e alla sorella Wilhelmina, provvidenzialmente raccolte e conservate dalla cognata Johanna, fatto che ha permesso di far conoscere al mondo, giorno per giorno, i pensieri dell’artista. Vincent Van Gogh nasce il 30 marzo del 1853 nel villaggio olandese di Groot Zunder, in una famiglia severa e non certo agiata, come poteva esserlo quella di un rigido pastore protestante. Se leggiamo in chiave psicanalitica la sua esistenza, un anno prima, il 30 marzo del 1852, la madre Anna aveva dato alla luce un bambino, di nome di Vincent, che però era morto subito dopo la nascita e probabilmente durante tutta la sua infanzia Van Gogh patisce la cosiddetta “sindrome del sopravvissuto” e sconta il suo peccato andando al cimitero a deporre fiori su una tomba che porta il suo stesso nome. Trascorre l’infanzia nel Brabante olandese, una regione situata ai confini con il Belgio, dove il paesaggio è intriso di toni di grigi e di terre che diventeranno la cifra del suo primo stile. Si dimostra un ragazzo curioso delle cose della natura e nell’animo coltiva la ricerca della
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semplicità. La sua sensibilità, di certo particolarmente acuta, gli fa avvertire la sacralità delle piccole cose quotidiane. L’uomo prima dell’artista Non era così scontato che Vincent Van Gogh diventasse un pittore. Anzi. Nella sua famiglia le professioni tradizionalmente ammesse erano predicatore o mercante d’arte. A 16 anni circa, grazie all’interessamento di uno zio, entra come dipendente nella filiale dell’Aja della famosa galleria d’arte Goupil. Questo lavoro gli permette un’ampia formazione artistica, poiché diventa esperto di litografie, acqueforti, dipinti e stampe giapponesi. In questo modo acquisisce il suo notevole bagaglio artistico e critico, che sfrutterà in seguito. Entra in contatto con la cosiddetta Scuola dell’Aja, un’associazione di pittori che dipingeva la vita dei contadini in chiave moraleggiante e che influenzerà notevolmente il primo periodo di Van Gogh artista. Dall’Aja si sposta nel 1873 alla filiale della Goupil di Londra. La metropoli inglese si spalanca sotto i suoi occhi come in uno dei romanzi di Dickens, autore che amava molto. E intanto il nostro mercante d’arte continua la sua formazione artistica, passando le domeniche nei musei londinesi.
© Riccardo Contarin
INTERNO DELLA BASILICA PALLADIANA DOVE E’ STATA ALLESTITA LA MOSTRA
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el 1875 è impiegato alla filiale di Parigi, e qui ha la possibilità di visitare una mostra retrospettiva sul pittore che più di ogni altro lo avrebbe influenzato: Jean Francois Millet, (fig.3) noto per il celebre dipinto Il Seminatore (fig. 4). Abbandonando i soggetti di storia, Millet proponeva un rapporto stretto tra arte e natura, esplorando con occhi nuovi il mondo dei contadini. La sua pittura è vestita di una moralità e di un sentimento che ne fanno un riferimento importante per chi voglia avvicinarsi al realismo e alla maestosa nobiltà del quotidiano. Van Gogh considererà per tutta la vita Millet quasi un padre, un sicuro mentore. A causa del suo carattere insofferente e burbero la vita lavorativa del giovane Van Gogh è tutt’altro che pacifica: viene licenziato dalla Maison Goupil. Temporaneamente viene assunto da una libreria come commesso e nel contempo, assecondando la dimensione pietistica e solidale del suo animo, matura in lui la vocazione religiosa. Questa professione è ben vista dalla famiglia, che vede la possibilità di proseguire la missione del padre e dei suoi antenati nel lavoro del primogenito. Comincia a frequentare una scuola di teologia protestante ad Amsterdam, ma presto comprende che gli studi eruditi non sono nelle sue corde. È maggiormente attratto dalla vita devota e
umile piuttosto che dal percorso teologico. Il soggiorno ad Amsterdam gli permette di approfondire, in ambito artistico, la conoscenza dell’opera di Rembrandt. Il cammino come predicatore si fa impervio ma Vincent non demorde: anche se non supera gli esami, viene ammesso come praticante in un paesino vicino a Bruxelles, e nel 1878 si reca nel Borinage, una delle regioni minerarie tra le più povere e miserabili del Belgio, dove lavora come predicatore e, con eccesso di zelo, eccede il suo ruolo: devolve in beneficenza il salario, mangia pochissimo, si copre a malapena, va a predicare nella miniera. La sua fede gli fa condividere con i minatori tutte le sofferenze e i disagi di una vita grama, senza pensare al decoro richiesto dal suo ruolo, né tantomeno alla propria incolumità, fisica e psichica. Disapprovato dalla famiglia, per questi comportamenti viene denunciato alle autorità e viene rifiutato il suo accesso alla gerarchia ecclesiastica. Infine nel 1880 sbarca a Bruxelles con l’intento di diventare pittore. La vita di uno dei più famosi artisti dell’arte contemporanea si dispiega soltanto in 10 anni, una decade intensissima, densa di lavoro senza gratificazione, di rapporti epistolari che illuminano i quadri, i disegni e le relazioni di Vincent.
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n questi primi anni ‘80 soggiorna a Bruxelles, all’Aja e poi torna nel nord del Brabante. E inizia la vera e propria pratica artistica: esegue studi di anatomia e si dedica alla pratica del disegno. Sperimenta tutte le tecniche e comincia realizzare schizzi ispirati dalle illustrazioni delle riviste inglesi e riprende alcuni motivi del Borinage. Le fonti di riferimento per i soggetti sono molteplici e l’attenzione alla società e alle piaghe sociali rimane una costante. Nel frattempo le sue avventure sentimentali sono quasi sempre relazioni fallimentari e dolorose, che spesso assumono i caratteri del dramma e della tragedia. Nessuna ha un lieto fine, e ci rimane un elenco di nomi di donne da cui è stato respinto o con cui ha intrattenuto relazioni burrascose, come nel caso della prostituta Sien (fig. 5) con cui ha convissuto per un periodo all’Aja. Quando Vincent rappresenta I tessitori (fig. 6), esalta una produzione tradizionale del Bramante che risale al Cinquecento, e li immortala ritraendo gli imponenti telai di quercia illuminati dalla luce delle lampade, esaltando il rapporto tra l’uomo e la macchina. Declina il tema del lavoro in tutti i suoi aspetti. Nei bellissimi disegni, come quello della Contadina che raccoglie il frumento (fig. 7), le donne vengono riprese in
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pose e modi assolutamente naturali, dimostrando piena coscienza della rivoluzione del suo stile. Scrive “dipingere le contadine in azione, ecco, lo ripeto, [...] è essenzialmente moderno”. Questi grandi disegni, che esaltano il lavoro femminile intriso di una fatica sacra, dovevano servire a una serie di stampe che, come tutti i progetti dell’artista, non furono mai realizzate. In questi anni Vincent vive con la famiglia, nella canonica di Nuenen, e tra liti e rappacificazioni, le situazioni si ricompongono con la morte del padre nel 1885, anno in cui Vincent dipinge I mangiatori di patate (fig. 8 ). Il dipinto, considerato il suo capolavoro del periodo olandese, è lungamente meditato, per il quale ha realizzato numerosi studi e ritratti dei singoli protagonisti. Il quadro, tutto giocato su impasti di marrone, verde e giallo, riprende la grande tradizione del Seicento olandese di Rembrandt e Frans Hals, e mostra l’intensa pietà di Van Gogh verso queste popolazioni che lavoravano sino allo sfiancamento per poche patate bollite. Il magro pasto che questi sventurati consumano all’interno della misera casa eleva l’indigenza e l’abbruttimento a nobiltà, così che nella rozzezza dei loro tratti nodosi e bitorzoluti come le patate che mangiano, essi diventano delle icone di modernità.
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el 1886 Vincent si riavvicina al fratello Theo e si trasferisce a Parigi, condividendo l’appartamento per circa due anni, prima nel quartiere di Pigalle, poi a Montmartre. La città offre innumerevoli opportunità per un artista. Van Gogh s’iscrive all’atelier del pittore Fernand Cormon e, grazie anche alle conoscenze del fratello nel campo dell’arte, entra in contatto con Henry de Toulouse Lautrec, Camille Pissarro, Paul Gauguin e Emile Bernard. Con loro passa le serate a discutere d’arte al Café Tambourin, la cui proprietaria (fig.9) è una ex modella con cui intreccerà una relazione. Nella Parigi degli impressionisti e di puntinisti, Van Gogh scopre il colore, un nuovo modo di dipingere ispirato profondamente dalle nuove teorie cromatiche e rilegge con interesse maestri precedenti come il romantico Delacroix. Comincia ad esercitarsi con nature morte, come il Vaso con garofani (fig. 10), ispirato ai dipinti di Alphonse Monticelli, un pittore oggi noto grazie all’ammirazione che gli tributava Van Gogh. Non frequenta assiduamente il gruppo degli impressionisti, tuttavia ne subisce il fascino e lentamente ne assorbe i valori formali. Come loro sceglie di dipingere en plain air, e ritrarre le vedute di Parigi, come si vede nel Moulin del la Galette (fig. 11) dedicandosi a ritrarre Montmartre nel pieno fermento della vita diurna, documentando
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il momento storico in cui la zona si stava trasformando nel quartiere dei divertimenti, facendo riadattare i vecchi mulini di campagna in sale da ballo. Si avvicina ai giovani puntinisti, Georges Seurat e Paul Signac, e sperimenta questa nuova tecnica, come si può vedere nella tela Interno di un ristorante (fig. 12), in cui la sua pittura si fa estremamente frammentaria. A Parigi si accende la sua fascinazione per il Giappone, in un momento in cui tutta la città è conquistata dalle stampe e dagli oggetti che arrivano da quel lontano Oriente che aveva appena aperto le frontiere, determinando un’invasione pacifica e febbrile in ogni campo della vita – culturale, sociale, artistico – una febbre che va sotto il nome di giapponismo. Van Gogh è uno degli artisti che maggiormente ne risentono: passa dall’uso decorativo delle stampe negli sfondi, come nel ritratto del negoziante di colori detto Père Tanguy (fig. 13), all’analisi profonda dei principi dell’arte giapponese, che interiorizzerà nei punti di vista insoliti e nelle composizioni defilate. Dopo due anni, la frenesia della metropoli, con le sue lusinghe e le sue opportunità, ha minato l’equilibrio di Van Gogh, che decide di trasferirsi in un ambiente più tranquillo, più adatto alla sua ipersensibilità e al suo stato di disagio.
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er ritrovare una vita più sana, meno stressante, senza distrazioni, e lusingato dall’idea di dar vita a un’” Atelier del Sud”, una sorta di confraternita di artisti simile a quelle orientali, nel 1888 Vincent si trasferisce ad Arles, affitta e arreda la famosa Casa gialla, e comincia ad esplorare i dintorni creando dipinti indimenticabili. Realizza alcune versioni de Il ponte di Langlois (fig. 14), dove ritrae la vita delle lavandaie in pieno sole o qualche placido passante solitario che transita sul ponte mobile; cammina per i campi e dipinge le vedute di Arles con gli iris, fiori dal vago sapore orientale, contrapponendo colori squillanti come gialli blu e viola, e esaltandosi nella primavera provenzale; soggiorna una settimana a Saintes-Maries-de-la-Mer (fig. 15) e ritrae la veduta della cittadina e della chiesa fortificata, resa con le tonalità compatte degli ocra e mattone, contrapposta alla campagna circostante con i filari di lavanda blu violetti, con tocchi rapidi e veloci.
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Esegue numerosi ritratti. Più di venti sono quelli dedicati alla famiglia Roulin, tra cui spiccano Il Postino Roulin (fig. 16) messo in posa in uniforme per fa risaltare la sua imponenza, e sua moglie, La berceuse (fig. 17), che dondola la culla su un variopinto sfondo floreale. È in Provenza che Vincent esplora tutte le potenzialità del colore puro e la sua tavolozza diventa libera, squillante e senza paragoni. Il soggiorno di Arles è tristemente noto per il sodalizio con Paul Gauguin. I due si erano conosciuti a Parigi e Van Gogh coltivava una smisurata ammirazione verso quell’artista che aveva vissuto avventure inimmaginabili nei mari tropicali e che esprimeva una pittura completamente diversa dalla sua. Dopo molte resistenze, Gauguin decide di trasferirsi nella Casa gialla, dall’ottobre al dicembre del 1888. La convivenza tra i due artisti, poco inclini a mediare le proprie posizioni stilistiche e con caratteri indocili, si fa subito accesa sui temi e le tecniche della pittura. Così le discussioni sono all’ordine del giorno. Alla fine dell’ennesimo alterco, il 23 dicembre 1888 Gauguin decide di allontanarsi, e passa la notte in albergo, con l’intento di partire l’indomani mattina. Nel frattempo, pentito della discussione, Van Gogh si taglia un pezzo dell’orecchio destro e lo porta in dono ad una prostituta, quale estrema esternazione del proprio disagio mentale. Anche questo episodio cruento è registrato in modo spietato in uno dei vari Autoritratto con l’orecchio bendato (fig. 18).
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urante la convalescenza dopo l’affaire Gauguin, Van Gogh dimostra una presa di coscienza molto lucida del proprio disagio mentale e delle sue condizioni psico-fisiche, e accetta di farsi ricoverare nell’ospedale di Saint-Paul de Mausole, appena fuori Saint-Rémy, dove rimane per un anno, fino alla primavera del 1890. Di quale malattia soffriva Van Gogh? Nell’Ottocento la diagnosi più usata per i disturbi comportamentali era schizofrenia, diagnosi confermata da K. Jaspers nel 1922. Considerati i sintomi, Van Gogh poteva soffrire di epilessia o di depressione, ma anche degli effetti collaterali della sifilide, o forse poteva presentare un quadro clinico ancor più complesso, con una combinazione di diverse patologie. Nel manicomio Vincent disponeva di una camera e anche di un piccolo atelier. Gli era concesso di condurre una vita da “paziente esterno”: poteva dipingere nel Giardino del manicomio (fig. 19), oppure nei dintorni. In questo periodo nascono i quadri che ritraggono gli ulivi sferzati dal Maestrale, i Pini al tramonto (fig. 20) contro il cielo allagato dal giallo del sole, o le fattorie con sullo sfondo le azzurre e aspre rocce delle Alpilles. E in una notte luminosa dipinge en plain air la famosa Notte stellata (fig. 21 nella pagina seguente). Tuttavia quando si manifestavano crisi o ricadute, veniva confinato nella sua camera. Anche in questi momenti non cessa mai di dipingere. E in mancanza di modelli reali, Van Gogh ricopia composizioni di altri artisti, come Delacroix o Millet, oppure mette in pittura alcuni suoi vecchi disegni. È questo il caso del Vecchio che soffre (fig. 22 e fig. 23), che ricorda un’illustrazione del romanzo Hard Times di C. Dickens, e anche de I due Vangatori (fig.24 e fig. 25), ripresi a loro volta da una stampa di J. F. Millet. I disegni sono datati agli inizi degli anni Ottanta, mentre i dipinti sono realizzati nell’ultimo anno della sua vita, con i colori sgargianti e la pennellata libera che aveva maturato a quel tempo. Van Gogh esce dal manicomio di Saint-Paul de Mausole nel maggio del 1890. Il direttore, il dottor Peyron, sul foglio di dimissioni scrisse, forse troppo fiduciosamente: guarito. Su consiglio di Theo, costantemente preoccupato per la sua salute, Van Gogh si trasferisce a Auvers-sur-Oise, un villaggio vicino a Parigi, per farsi curare dal Dott. Gachet (fig. 26), un medico che si era specializzato nelle malattie nervose e noto negli ambienti dell’arte perché aveva aiutato con l’omeopatia anche Pissarro, Renoir, Cezanne. La capigliatura biondo rossiccia gli aveva valso il nomignolo di “dottor Zafferano”.
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an Gogh vive qui il ultimo suo periodo, lavorando febbrilmente. Si reca a dipingere, in solitudine, con il sole e con la pioggia. Si immerge nel paesaggio ritraendo il Campo di grano con corvi (fig. 27), e le distese del Campo di papaveri (fig. 28). La sua condizione mentale però non migliora, anzi, si aggrava si aggiunge anche la preoccupazione che il fratello, che versa in cattive condizioni economiche, non possa più provvedere al suo sostentamento. Il 27 luglio 1890 Va Gogh esce a dipingere e porta con sé una pistola, con il pretesto di scacciare i corvi dai campi di grano, invece si ferisce mortalmente all’addome. Dopo due giorni di agonia, assistito dal fratello giunto da Parigi, Vincent Van Gogh muore. Straziato da questa perdita, sei mesi più tardi, morirà anche Theo.
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Incalcolabile è l’influenza dello stile di Vincent Van Gogh su tutti i movimenti delle avanguardie del Novecento; acclamato come uno dei più grandi maestri dell’arte, nelle vendite all’asta, le sue opere sono tra quelle che raggiungono sempre quotazioni iperboliche; eppure in tutta la sua vita non aveva ricevuto che qualche timido e isolato apprezzamento. Articolo di Valentina Casarotto
www.valentinacasarotto.blogspot.it
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MUSEO CHIERICATI
MACRO INCONTRI CULTURALI
Museo Civico Chiericati SPAZIO DEDICATO ALLE ASSOCIAZIONI CONFERENZA / SPETTACOLO della Società filosofica con l’attore Davide Dolores
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VICENZA DAL GOTICO ALL’UMANESIMO: neoplatonismo ed invenzione della classicità
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avide Dolores e Smurra Linda in una conferenza spettacolo presso Palazzo Chiericati giorno 13 febbraio ore 15, ingresso gratuito. La conferenza fa parte di un ciclo di incontri a sfondo filosofico-culturale promossi dal comune di Vicenza, fortemente voluti dal Vicesindaco Jacopo Bulgarini D’elci. Si tratta di uno spettacolo sperimentale nel quale si cercherà di fondere le doti artistico teatrali dell’attore Dolores con le proposte culturali della Società filosofica rappresentata da Smurra Linda, come relatrice e docente di Scienze umane presso il Liceo Corradini di Thiene. L’evento coinvolge lo spettatore in un viaggio artistico letterario attraverso alcune opere di Palazzo Chiericati, monumento della città di Vicenza e scrigno di una storia antica che vede l’anima della città tra natura e cultura del neoplatonismo. Il Rinascimento Vicentino è l’espressione più conosciuta nel mondo dell’umanesimo Italiano attraverso le opere del Palladio, grazie agli investimenti dei nobili veneziani, che testimoniano la plutocrazia della Serenissima all’epoca.
L’homo novus rinascimentale ci richiama ai valori del materialismo contemporaneo, un viaggio nel tempo ciclico , un eterno ritorno, nel quale scopriamo di essere nani sulle spalle di giganti.
CALENDARIO INCONTRI SOCIETA’ FILOSOFICA A PALAZZO CHIERICATI Da gennaio ad aprile sono quattro gli appuntamenti della Società filosofica vicentina, in programma il martedì alle 15. Il 16 gennaio Michele Di Cintio terrà una conferenza sul tema “Dal tempo del cavaliere al tempo del mercante”, il 13 febbraio ci saranno Linda Smurra e Davide Dolores con “Dal gotico all’umanesimo: neoplatonismo ed invenzione della classicità”, il 13 marzo ancora Michele Di Cintio con “L’Europa alla conquista del mondo tra colonizzazione ed evangelizzazione: da Cortes a Matteo Ricci”, infine Brian Vanzo “Dal sogno di Erasmo al conflitto tra riforma e controriforma (Lutero, Calvino, S. Ingazio di Loyola): i diversi modelli culturali e religiosi”.
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PALLADIO MUSEUM
MACRO MOSTRA TIEPOLO SEGRETO
Palladio Museum APERTA FINO AL 17 GIUGNO 2018 ORARI dal martedì alla domenica 10-18 (ultimo ingresso 17.30) esposti Ercole con Cerbero domina imponente dalla nicchia al centro delle pareti della sala; ed altri affreschi lo accompagnano Figura femminile con clava e leontea (Onfale? Deianira), Giove, Ercole e l’Idra, Ercole sul rogo, Coppia di satiri con vaso di fiori, Satiro con vaso e satiressa con tamburello.
IL TEATRO OLIMPICO DI TIEPOLO per la prima volta svelati al pubblico sette capolavori di Giandomenico Tiepolo “palladianista”.
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ette straordinari affreschi di Giandomenico Tiepolo (1727-1804) da oltre cinquant’anni anni erano conservati nelle residenze dei proprietari che coraggiosamente li salvarono dalle distruzioni belliche. Oggi gli eredi, convinti dell’opportunità di un godimento pubblico di tali capolavori, li hanno destinati al Palladio Museum. Ad essi viene dedicata una mostra, realizzata grazie alle competenze e alla collaborazione della Soprintendenza di Verona diretta da Fabrizio Magani, che la cura insieme al direttore del Palladio Museum, Guido Beltramini.
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In questa vicenda s’intrecciano più storie. Quella della straordinaria arte dei Tiepolo, in grado di trasformare dalla radice la tradizione frescante veneta. Quella della difesa del patrimonio artistico negli anni cupi della seconda guerra mondiale. Ma esiste una terza storia che lega in modo indissolubile gli affreschi di Palazzo Valmarana Franco agli studi palladiani: essi infatti sono realizzati due decenni dopo la straordinaria decorazione di Villa Valmarana ai Nani, per il figlio del committente, Gaetano Valmarana.
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ella dimora suburbana a poca distanza dalla Rotonda palladiana, per il padre Giustino Valmarana, i Tiepolo celebrano la naturalezza di una vita “moralizzata” in campagna. Vent’anni dopo, in città, a poca distanza dal Teatro Olimpico, il registro è completamente diverso: Tiepolo concepisce per il figlio una riedizione in pittura della magnificente scena del teatro all’antica di Palladio adottando non più il registro lieve e scherzoso della vita agreste ma il linguaggio aulico, monocromo ma nondimeno guizzante, della vicina architettura palladiana. “Siamo orgogliosi di poter contribuire alla cultura della nostra città – dichiarano Camillo e Giovanni Franco, proprietari degli affreschi – con una parte della storia della nostra famiglia”. Fu fra l’altro Fausto Franco, zio dei generosi proprietari e Soprintendente ai Monumenti, a seguire il salvataggio degli affreschi di famiglia nel 1945. Dieci anni dopo lo stesso Franco, insieme – fra gli altri – a Rodolfo Pallucchini, Anthony Blunt, Rudolf Wittkower e André Chastel, fu fra i tredici fondatori del primo Consiglio scientifico del Centro palladiano, coordinato da Renato Cevese Le opere sono allestite nella Sala delle Arti al piano nobile di palazzo Barbarano, in continuità con le sale espositive del Palladio Museum. In questo modo il museo ribadisce la propria natura di autentico ‘museo della città’, luogo dello studio ma anche della conservazione dei reperti della memoria urbana nei suoi aspetti più significativi”. VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
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CONCORSO LETTERARIO
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CONCORSO RACCONTI D’ESTATE I vincitori Stefano Fumaroni Alessia Tecchio Paola Vivian
LA BIBLIOTECA E’ DI TUTTI: COME FUNZIONA E QUALI SERVIZI OFFRE
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’ un punto di incontro per condividere idee, soddisfare le tue curiosità, reperire informazioni, curare la tua formazione personale, partecipare a diversi progetti.
della Rete Biblioteche Vicentine RBV All’arrivo del materiale verrai avvisato per il ritiro. Il servizio è gratuito.
LA RETE BIBLIOTECHE VICENTINE RBV In Provincia di Vicenza ci sono 92 biblioteche pubbliche che possiedono 11674 cd musicali e 8370 cd musicali scaricabili on line free 3943 periodici cartacei e 6630 periodici scaricabili on line free 1823928 libri cartacei - 22669 e book e 317669 e book scaricabili on line free - 2500 audiolibri e 9357 audiolibri scaricabili on line free - 46085 dvd e 17377 video scaricabili on line free unica rete unico catalogo unico sistema circolazione materiali
INTERNET Sono disponibili i servizi internet e wi-fi e possono essere utilizzati in base alle regole stabilite dalla tua biblioteca. I minori devono essere autorizzati da un genitore.
PUOI TROVARE Romanzi e saggi, riviste, cd musicali, dvd, audiolibri, materiali speciali per persone con difficoltà audio-visive, libri di storia e cultura locale. Il tutto per bambini, ragazzi e adulti. Tali materiali sono disponibili anche in formato digitale e in lingue diverse da quella italiana I PRINCIPALI SERVIZI PRESTITO Il prestito è gratuito e personale Puoi registrarti in una qualsiasi biblioteca della rete presentando il tuo codice fiscale. L’iscrizione è valida per tutte le biblioteche della provincia. I materiali presi in prestito devono essere trattati con cura e restituiti entro 30 giorni (libri), entro 7 giorni (multimediali e riviste), 14 giorni (e book). PRESTITO INTERBIBLIOTECARIO: una grande biblioteca diffusa. Puoi richiedere e riconsegnare i materiali che non trovi nella tua biblioteca in qualsiasi altra biblioteca
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CATALOGO ON-LINE Il catologo di tutti i materiali posseduti dalle biblioteche della rete è on-line all’indirizzo: rbv.biblioteche.it. Qui puoi vedere se ciò che cerchi è disponibile e dove si trova, puoi prenotarlo e rinnovare il relativo prestito direttamente dal tuo device in qualsiasi momento (24h). Puoi inoltre rimanere sempre aggiornato sulle novità acquisite e sugli eventi organizzati dalle biblioteche. Puoi esprimere valutazioni sui materiali che hai preso in prestito, scrivere una recensione e partecipare al Forum. Infine puoi esprimere suggerimenti di acquisto ed aggiornare i tuoi dati anagrafici. CONSULENZA Chiedi al bibliotecario che ti guiderà nella ricerca dei materiali e delle informazioni di cui hai bisogno. SCAMBIALIBRO Puoi lasciare un tuo libro che hai già letto e prenderne in cambio un altro, liberamente e senza spese. INIZIATIVE: corsi, letture, incontri, mostre, bibliografie, vetrine tematiche, giochi, gruppi di lettura, lettori volontari, passeggiate letterarie. Per essere sempre informato, consulta il catalogo on line rbv.biblioteche.it o chiedi al tuo bibliotecario
CONCORSO LETTERARIO ORGANIZZATO DAL GIONALE DI VICENZA CON LA COLLABORAZIONE DELLA RETE BIBLIOTECHE VICENTINE
© Francesco Finotto
RACCONTI D’ ESTATE LUCA di Stefano Fumaroni Era l’estate del 1982, un anno che non potrò mai dimenticare: il fantastico Mundial di Spagna, Paolorossi, le giornate caldissime e lunghissime da vera estate. A quei tempi ero un ragazzo di 20 anni, amavo la vita, in modo esagerato, desideroso di impormi come uomo nel mondo del lavoro, e naturalmente non ci riuscivo ancora, mi dicevano che ci voleva tanta pazienza, e intanto, vivevo quell’estate giorno per giorno…e ripensandoci , mi vengono ancora i brividi… da quanto mi manca. L’unica cosa di mia proprietà a quei tempi, era una Mini Minor Cooper blu, scassata, acquistata di terza mano, con lei mi sentivo libero: scorrazzavo gli amici, sempre in cerca di un’avventura che non arrivava mai, i finestrini aperti, l’aria calda di luglio che ti entrava dentro, l’autoradio a palla con le canzoni di Dalla e Baglioni e la gente che si girava a guardarci, bastava poco per sentirsi grandi. Una mattina, di buon’ora, presi la Mini e da solo, andai a Chioggia, una località che mi emoziona ogni volta: l’odore del mare, i gabbiani che ne sono i sovrani custodi, i pescatori che tornano all’alba…cose impagabili e che a Vicenza non vedevo... Quel giorno lo ricordo bene, il cielo limpido, la temperatura già altissima alle cinque del mattino, volevo stare da solo,io e il mare, mi diressi subito verso la spiaggia di Sottomarina, , prima che arrivasse il mondo: il mare calmo e poco rumoroso…all’improvviso, dietro di me, quasi a prendere paura, sentii una voce e dei passi irregolari…”Scusi ma lei cosa ci fa qui a quest’ora?”,…” Era un ragazzo sulle stampelle che camminava con molto difficoltà,forse della mia stessa età,notai i suoi occhi verdi incastonati su un viso dai lineamenti regolari Parlò di sé… “Vengo qui quasi tutte le mattine, ho la (fortuna) di abitare vicino alla spiaggia, arrivo sino a qui
da solo, fin che ce la faccio, purtroppo... tra poco tempo, la mia compagna sarà una bella sedia a rotelle, a proposito, mi chiamo Luca, ho una distrofia muscolare che non mi lascerà scampo…” Rimasi impietrito dalle sue parole, ma incuriosito da quel ragazzo a cui sentivo già di voler bene come lo conoscessi da tempo, pensavo a quanto potevo essere fortunato io che stavo bene e che avevo la vita intera davanti a me. Passammo tutta la giornata insieme, e da quel giorno, tornavo a Chioggia spesso, preferendo la compagnia di Luca a quella della mia ragazza di quel tempo, quasi insignificante. Le nostre mattinate, finivano quasi sempre con una mangiata di pesce in riva al mare, in quei ristorantini tipici,ci si raccontava le proprie emozioni, le proprie speranze… lui mi diceva che gli piacevano le donne formose, alla Sophia Loren per intenderci e io concordavo…sovente ci addormentavamo in riva al mare, sotto l’ombrellone, stremati da quel sole di luglio. Con il passare dei giorni, sentivamo che l’estate se ne stava andando, senza confessarlo, temevamo che quella magia, un giorno sarebbe finita. Ricordo che un giorno conoscemmo due ragazze, lui erra molto più comunicativo di me, non temeva per la sua condizione, dimostrava una sicurezza incredibile,…era al settimo cielo, già fantasticava di passare il suo futuro con quella morettina... Dopo ferragosto, trovai un piccolo impiego a Vicenza come cameriere, che non mi permise più di andare a Chioggia per molti giorni, non c’erano i telefonini a quei tempi, pensavo a Luca e sapevo quanto male ci sarebbe stato a non vedermi più, pregavo per lui, mi sembrava di aver tradito la nostra amicizia, mi sentivo in colpa, lavoravo, passavo il poco tempo che mi restava con la mia ragazza, ma Luca era lì, al centro del mio cuore. Un sabato di inizio settembre allora, , con una scusa qualsiasi, ottenni un permesso e partii per Chioggia, , emozionatissimo, certo di trovarlo, correvo con la Mini VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
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© Francesco Finotto
come non avevo mai fatto,, Chioggia mi sembrava così lontana... andai subito in quel pezzettino di spiaggia, ma Luca non c’era, e così successe per altre volte ancora, lo aspettavo, ma invano. Non ebbi mai il coraggio di cercarlo, temevo di ricevere brutte notizie, volevo ricordarlo così, quel ragazzo straordinario pieno di vita. Da quel 1982, sono passati 35 anni, una vita, in cui io sono diventato quasi…vecchio, ma tornando nella spiaggia di Sottomarina ho sempre una piccola speranza di rivederlo, che mi corra incontro con le sue gambe …o anche su una sedia rotelle, come diceva lui.
ISTANTANEA D’ ESTATE di Alessia Tecchio -Che fai?- chiese incuriosita Anna alla sorella maggiore. -Respiro, non vedi?- rispose quella, un po’ nostalgica. -Respiri…?- ribatté Anna incerta. Matilde invece non riusciva a spiegarsi cosa ci fosse di strano in quello che stava facendo. Respirava, punto e basta. Proprio come quando si va dal dottore e lui domanda di respirare forte mentre appoggia quel freddo strumento sulla vostra schiena. -Se ti domandi cosa sto facendo, sto respirando…l’estateaffermò quella, con voce più dolce. Non voleva essere scortese. Aveva solo bisogno di un momento tutto per lei. -E di cosa sa l’estate?- domandò Anna fissando la sorella con grandi occhi sbarrati. Matilde rise e si mise sulle ginocchia la bambina. Era incredibile come quella riuscisse sempre a capirla, nonostante i nove anni di età che le separavano. Le due sorelle si trovavano sedute su comode sedie nella terrazza di fronte alla loro camera da letto. Faceva caldo. Erano circa le cinque di pomeriggio di quello che molti meteorologi definivano “l’ultimo giorno di grande caldo estivo”. Pure l’afa opprimente le stava lasciando, pensava Matilde durante quell’ultimo giorno di vacanza
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prima dell’inizio dell’anno scolastico. Lei di anni ne aveva sedici. Si era lasciata alle spalle un anno difficile di lotte e pianti. Davanti a sé, la quarta superiore. La verità? Non si sentiva pronta a rientrare in quel turbinio di compiti a casa, verifiche e ansia. Per niente. È per questo che cercava in tutti i modi di aggrapparsi a questi mesi di vacanza. Da un lato, voleva trattenere un ricordo dell’estate: qualcosa di unico da portare con sé durante i mesi invernali, quando la mattina sarebbe dovuta entrare in classe assonnata e infreddolita. Così, tra tante cose che si sarebbero potute conservare, aveva scelto quello: il profumo dell’estate. Il profumo dell’estate l’avrebbe accompagnata sempre, come il buon odore di bucato dei panni stesi ad asciugare al sole. Le avrebbe sollevato il morale nei giorni grigi e l’avrebbe confortata nei momenti di studio più intensi. Dall’altro lato, si stava preparando a dire addio all’estate. Ma com’era difficile! Come quando si va in vacanza in una casa bellissima e poi al termine del soggiorno, già con un piede fuori dalla porta, ci si volta ad ammirarla per non scordarsi della felicità provata in quel luogo. Era questo che la ragazza cercava: un’istantanea dell’estate. Si sarebbe ricordata del suo profumo? Il pensiero la inquietava un po’. In tanti le avevano detto che l’estate tornava ogni anno e, parole di sua madre, “che non si poteva rimanere in vacanza per sempre”. Lei lo sapeva bene, non era una di quelle persone che veneravano l’estate per cuocersi al sole e nemmeno la ragazzina che ascoltava più e più volte il tormentone estivo dal testo banale e dalla melodia maledettamente orecchiabile. Non era nemmeno la sua stagione preferita, l’estate. Quello che veramente lei amava di quel periodo afoso e non poco rumoroso era la sensazione di pace nel pronunciare la frase “Oggi posso fare ciò che più mi piace”. Questo perché, Matilde ci teneva a dirlo, l’estate le dava la possibilità di dedicarsi alle attività che durante l’anno scolastico aveva dovuto, in parte, abbandonare: molti libri la attendevano dalla mensola sopra il letto ed altrettanti erano gli amici impazienti di rivederla.
Così, tralasciando il flusso dei suoi pensieri, si rivolse alla sorellina. –Sa di libertà, la senti?Anna rivolse la testa verso l’alto, le piccole narici che si dilatavano. -Ma che dici, Mati?- rispose la piccola. – Sa di gelato alla fragola!La sorella maggiore strinse a sé Anna e rimase così per qualche momento: l’indomani la bambina sarebbe tornata a vivere dal papà, in Friuli. Anche lei doveva essere salutata, si ricordava con tristezza Matilde. Allora si rivolse alla sorella e le chiese: -Se l’estate fosse una giovane donna che dovesse partire per un lungo viaggio di nove mesi… cosa le diresti?Anna divenne subito seria e fissò lo sguardo davanti a sé, per cercare la risposta. La concentrazione della bambina la stupiva sempre, ragionava Matilde. -Le direi che al suo ritorno mi aspetto una montagna di gelato. Credo.- rise la piccola -Ah, e di fare buon viaggio, ovvio!... E tu?-Io la ringrazierei del bel tempo trascorso e le chiederei di essere puntuale, il prossimo anno, perché sarei impaziente di sentire di nuovo il suo profumo. E per ultimo, le direi di non dimenticarsi il gelato alla fragola per te, Anna. Altrimenti, che estate sarebbe?
OCCHI DA CERBIATTO di Paola Vivian Capita, a volte, di dipingere la realtà esattamente come la si vorrebbe. Si mettono insieme dettagli e pezzettini di colore, si amalgama bene, si apporta qualche ritocco qua e là, si cambia pennello. Fino a che non compare esattamente il disegno desiderato. A quel punto ci si può tuffare nel quadro e sguazzarci dentro indisturbati, per una manciata di secondi o per tutta la vita. Fino alla sua ventiquattresima estate c’era, nella sua esistenza, una manciata di incrollabili certezze. Una lista di cose immutabili e sicure. Fra le quali: la sfericità della terra, l’innocenza dei bambini, il bisogno di una birra fredda dopo la partita di calcetto con gli amici. Il fatto che l’estate fosse la più disgustosa delle quattro stagioni dell’anno. La odiava sin da bambino, senza possibilità di rimedio. Il pullulare degli insetti, gli improvvisi acquazzoni che rovinavano le cene all’aperto, il caldo insopportabile, il sudore, la pelle arrossata dal sole. Per non parlare, ora che era cresciuto, del lavoro durante i mesi estivi. La cartoleria più prestigiosa del centro storico non conosceva riposo: era tutta una richiesta di penne, quaderni, ventagli, cartoline per turiste svestite al limite della decenza. Sorridere, annuire, fare scontrini, salutare, scacciare i pensieri poco casti che gli attraversavano senza sosta la mente. Un’agonia. Il caldo lo obbligava a tenere la porta aperta per far passare un filo d’aria, così le note sempre uguali che strimpellava il musicista boliviano con la sua vecchia chitarra entravano senza nessuna pietà per le
sue orecchie e per i suoi nervi. Motivo in più per odiare fermamente l’estate. Poi, però, era comparsa lei. Capelli biondi che le arrivavano al fondoschiena e gonne a motivi floreali che le accarezzavano i piedi. Due occhi da cerbiatto. O meglio, di un cerbiatto fermo in mezzo alla strada, accecato e colto di sorpresa da due fanali puntati su di lui. Una visione folgorante. Verdi. Ma proprio verdi, con certe sfumature di verde più scuro intorno all’iride da togliere il fiato. Che lei amasse l’estate era evidente, non c’era bisogno di chiederglielo. Era nel suo elemento, nuotava nel caldo come avrebbe fatto un pesciolino colorato nell’acqua fresca. Senza dubbio la sua lista delle certezze andava riveduta. Corretta. Stracciata, forse. Se l’estate aveva partorito una simile creatura, qualcosa di buono doveva per forza avere. Solo, lui era stato troppo cieco per non accorgersene prima. Non sapeva di preciso dove lavorasse né da quanto, ma era probabile che da mesi passasse quattro volte al giorno davanti alla sua vetrina, scoccando un’occhiata penetrante all’interno. Evidentemente l’inverno non le si addiceva, costringendola a nascondere la sua pelle ambrata sotto vestiti pesanti e cappelli di lana. Ci voleva l’estate per farla sbocciare. Chissà quanto tempo fa si era innamorata di lui, guardandolo giorno dopo giorno senza mai trovare il coraggio di entrare… perché lo guardava, di questo ne era sicuro. Dopotutto era proprio un bel ragazzo: biondo, alto, carnagione chiara. Otto e tre quarti. Mezzogiorno e quaranta. Quattordici e tre quarti. Diciassette e quaranta. La futura madre dei suoi figli – ne avrebbero avuti di sicuro due, forse tre fluttuava per via del Corso come una dea. Peccato che la cartoleria aprisse prima e chiudesse più tardi. Ma non importava: doveva solo aspettare che lei lanciasse un segnale per comunicargli che era pronta a passare la vita insieme. Il segnale arrivò ventidue giorni più tardi. Pieno agosto, un caldo da togliere il fiato. Diciassette e quaranta. I suoi occhi da cerbiatto indugiarono all’entrata, poi entrarono. Che stagione meravigliosa, l’estate. “Ciao” disse con la voce più incredibile che avesse mai sentito. “Posso aiutarti?” Deciso, sicuro, senza dubbio attraente. “Sì, avrei bisogno di biglietti in tinta unita e di penne con i brillantini. Però non so se ti creo un problema, me ne servono un bel po’…” fece lei. Che tenera. Cercava un modo per trattenersi il più possibile. Chissà da quanti mesi architettava quella scusa, magari chiedendo consiglio alle sue amiche. Gli rivolse un sorriso in grado di far sciogliere il ghiaccio, con gli occhi che brillavano, e proseguì: “Sai, mi sposo a fine agosto e vorrei i segnaposto fatti a mano…” Venti e tre minuti. Altra certezza da aggiungere alla lista: mai modificare in maniera troppo avventata la lista delle certezze. VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
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Duomo
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i scorgono di lontano, le due fortezze. Paiono guardarsi, come due amanti pronti a incontrarsi o come due spadaccini a duello. Quanta storia, quanta vita in quegli spuntoni di roccia, tra quelle torri scudate che hanno visto tanti nemici e amici, la pietra bianca di Vicenza che li fa brillare sin da distante. Ogni volta che mi ritrovo in questi luoghi un fremito mi percorre: posso sentire gli zoccoli dei cavalli, il rumore dei ferri delle spade, percepire la tensione degli uomini a duello, un verosimile scenario in un contesto così emozionante. Risalgono all’anno 1000 queste mura. Si ergono a circa 259 metri, tra fiori selvatici e vigneti e dal mastio la veduta è spettacolare. Si spazia sulle vallate dell’Agno-Chiampo e sulla pianura, un tempo antica strada Postumia che andava da Genova ad Aquileia. Queste massicce costruzioni erano la difesa dei villaggi sottostanti: castello di Bella Guardia e Castello Della Villa; sarà solo in seguito che verranno denominati rispettivamente di Giulietta e di Romeo e non a caso. Sarà infatti il nostro vicentino Luigi Da Porto (1485-1529), letterato e capitano dei cavalleggeri della Serenissima che, convalescente, guardando i due castelli dalla finestra della
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sua casa estiva di Montorso, viene ispirato e scriverà la “Istoria novellamente ritrovata di due nobili amanti” . Solo più tardi Shakespeare verrà in possesso della novella e la trasformerà in una piece teatrale di cinque atti dando così la fama alla storia d’amore di Giulietta e Romeo, ormai divenuta una delle più conosciute nel mondo. Ma la storia dei castelli va ben oltre. In molti li hanno dominati, voluti, distrutti e ricostruiti negli anni. Prima dai Bongiudei e Pilei, che li controllarono per più di due secoli, in seguito nel 1242 hanno visto l’efferatezza di Ezzelino da Romano, coadiuvato dal suocero Federico II, che li conquistò e poi li abbatté mentre nel 1354 Cangrande della Scala lì restaurò e ampliò. Da qui sono passati i Visconti a fine 1300, poi nel 1404 i Veneziani (Repubblica Serenissima) che li distrusse a colpi di bombarda (si vedono ancora i segni sulla parete del castello detto di Giulietta), per non farli cadere in mani nemiche, Lega di Cambrai. Nel 1742 vengono acquistati per 200 ducati dal comune di Montecchio Maggiore. Solo nel 1936, per intervento dell’allora presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo signor Zambon, si inizia il recupero dei castelli.
©Andrea Conte
Gli ultimi restauri sono ancora in atto. Grazie alla sensibilità del Comune e alla collaborazione della Pro loco di Alte-Montecchio i castelli hanno ripreso a raccontarsi… hanno ripreso a vivere e rivivere. Tutti gli anni, il primo di maggio, si ricrea l’incanto dell’atmosfera medievale con una rievocazione storica in costume, invece nella stagione estiva, entro le mura del castello di Romeo, vi sono spettacoli serali e proiezioni di film. Nel castello di Giulietta è sempre attivo un ristorante. Potete visitare i castelli da marzo a ottobre, il sabato e la domenica. Alla domenica pomeriggio, grazie ai volontari della Pro Loco, avrete modo di scoprire il castello di Romeo anche salendo sul mastio accompagnati e così ripercorrere il meraviglioso passato, il fascino della storia, delle nostre radici e della letteratura romantica. “Miseri gli amanti di questa età, gli quali non possono sperare né per lunga prova di fedel servire, né la morte per le loro donne acquistando, ch’elle con esso loro muojano giammai; anzi certi sono di più ultra a quelle non essere cari, se non quanto alle loro bisogne gli possono gagliardamente operare. Qui finisce lo infelice innamoramento di Romeo Montecchi e di Giulietta Cappelletti..”
© Studio Siro Faccin
Luigi Da Porto – Stampato in la inclita città di Venezia per Benedetto de Bendoni 1531
© Studio Siro Faccin
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ITINERARI CULTURALI
ZOOM VILLA CORDELLINA LOMBARDI
Visite guidate Proloco Alte di Montecchio
0444 696546 340 0796224
©Antonio Tafuro
VILLA CORDELLINA LOMBARDI (1735) arch. Giorgio Massari - Affreschi del Tiepolo
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illa Cordellina Lombardi si trova a Montecchio Maggiore, a circa dieci chilometri a ovest di Vicenza. La Villa fu costruita nel Settecento per volontà di Carlo Cordellina, importante avvocato della Repubblica Serenissima di Venezia. Carlo Cordellina fu estasiato dalla bellezza del territorio vicentino compreso tra i colli Berici e i monti Lessini. Qui decise di far erigere la sua casa di villeggiatura. Costruire in questo luogo non sembrava una buona scelta perché non c’era nessun canale a bagnare la terra. Per risolvere il problema, Carlo Cordellina incanalò e portò sino alla Villa le acque di una vicina sorgente collinare. In tal modo, si irrigarono i giardini e la campagna della proprietà. Tutto il paese di Montecchio poté inoltre godere di quest’opera idrica, grazie alla realizzazione di una vasca di uso pubblico. I lavori di costruzione della Villa iniziarono nel 1735 per opera dell’architetto Giorgio Massari che ripropose le forme architettoniche utilizzate da Andrea Palladio, con un’interpretazione personale. Alla realizzazione della Villa collaborò anche Francesco Muttoni, famoso architetto del Settecento Vicentino. Da alcuni documenti storici si può intuire che la casa padronale fu terminata velocemente.
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Già nel 1743, il grande pittore Gianbattista Tiepolo stava affrescando il salone d’onore. L’immenso salone era il luogo delle feste, dei balli e dei ritrovi degli uomini di cultura. Carlo Cordellina desiderava infatti che la sua villa fosse il luogo di ritrovo dei più importanti uomini di cultura del territorio. Per ospitare questi importanti personaggi, il Cordellina fece costruire un’ampia foresteria finemente decorata, al pari della casa padronale. A testimoniare la vivacità della vita in villa, in una lettera che il Tiepolo scrive ad un amico in quegli anni, si legge che: “Io son qui, non posso far nulla per la troppa foresteria che vi è… Giuro che mi sarebbe più caro stare un giorno in compagnia Sua e parlare di pittura, che tutti li divertimenti di questa villa, che mi creda, non è pochi”. Il giardino posteriore alla Villa e le torrette furono completati più tardi, nel 1756. L’intero complesso della villa fu terminato nel 1760, con il completamento del giardino anteriore. La magnifica Villa è aperta e visitabile a tutti e, il salone d’onore è spesso destinato a manifestazioni culturali e congressuali.
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l salone d’onore di villa Cordellina Lombardi è una raffinata invenzione dell’architetto Giorgio Massari. Il Massari decise di non interrompere le pareti dal lato più lungo e di collocare le porte che conducono alle stanze laterali ai quattro angoli della sala. Carlo Cordellina affidò la decorazione del salone a Gianbattista Tiepolo, che nel 1743 realizzò tre affreschi d’ispirazione neoclassica, profondamente influenzato dai pittori del Cinquecento. Gli affreschi sono ideati come quadri che emergono dalla parete, decorata con lesene corinzie, finte colonne dipinte. I temi degli affreschi alle pareti esaltano le virtù della moderazione e della clemenza. L’affresco del soffitto, invece, porta in trionfo l’intelligenza e la nobiltà d’animo. Nella parete destra, Tiepolo dipinse una scena tratta dalla storia greca: “la famiglia di Dario ai piedi di Alessandro Magno”. Il dipinto mostra ed esalta il gesto di clemenza compiuto da Alessandro che dona la libertà alla famiglia di Dario, sconfitto nella battaglia di Isso. Nella parete sinistra è rappresentata una scena tratta dalla storia romana: “la continenza di Scipione”. L’affresco mostra il generale Scipione che libera la fidanzata di Alluccio e porge come dono di fidanzamento le statue di Minerva e Apollo, poste ai lati del trono dello stesso Scipione. In basso, a sinistra del dipinto, si può scorgere la firma dell’autore: Gio. Battista Tiepolo F.. In questi affreschi si nota la profonda influenza classica dell’artista Paolo Veronese. Le scene sono proposte come opere teatrali. L’osservatore partecipa al dramma delle vicende dall’esterno. L’intero soffitto del salone d’onore misura 6 metri in larghezza e 11 metri in lunghezza. L’affresco sul soffitto è stato purtroppo gravemente danneggiato nel tempo dalle infiltrazioni d’acqua, ed è stato staccato nel 1917. L’opera rimase nel Museo Civico di Vicenza fino al 1956, quando Vittorio Cordellina la riportò al suo antico splendore, grazie a un importante restauro, e la ricollocò nella sua posizione originale. La scena dipinta rappresenta “il trionfo della Virtù e dell’Intelligenza sull’Errore”, uno dei temi più ricorrenti nella pittura del Tiepolo. Le figure della Virtù e della Nobiltà si innalzano sulle nubi tra la gioia degli angioletti e lo squillo di tromba dell’Intelligenza. In contrapposizione a questa festosa immagine, si vede l’Errore che precipita a testa in basso. La decorazione del soffitto è completata da sei piccoli affreschi monocromi: i quattro affreschi degli angoli rappresentano la Poesia, la Pittura, la Giurisprudenza e l’Arte Militare mentre quelli al centro rappresentano il Merito e il Consiglio. Sopra le quattro porte agli angoli del salone sono decorate le allegorie dei quattro Continenti, monocromi di color seppia su sfondo dorato. Gli affreschi di villa Cordellina sono il secondo ciclo di decorazione che il Tiepolo realizza nel Vicentino. Le opere rappresentano un perfetto esempio di combinazione tra le influenze del Cinquecento classico e le tinte brillanti, caratteristiche di Paolo Veronese. VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
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MUSEI & MOSTRE
ARTE FONDAZIONE BISAZZA Montecchio Maggiore
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MONICA BIANCHETTI
LA FONDAZIONE BISAZZA Design, cultura dell’immagine, arte
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Ultimamente erano successe tante di quelle cose strane che Alice aveva cominciato a credere che di impossibile non ci fosse quasi più nulla.” Questo pensava Alice quando arrivò nel Paese delle meraviglie. Questo penso, vedo e percepisco io quando entro nelle sale della Fondazione Bisazza. Un tripudio di eleganza, lusso, creatività, raffinatezza… e l’impossibile pare possibile. Mi sento proprio come Alice nel paese delle meraviglie. Il silenzio rotto solo da una dolce melodia che si diffonde nei saloni, la luce che entra dalle magnifiche vetrate che mostrano giardini minimalisti ma che danno profondo respiro alle opere esposte. L’abilità di artigiani e il disegno di architetti e artisti si sposano perfettamente e divengono opera, creatura che prende vita e riempie sguardi di stupore. Tutto è immenso e onirico, un incontro tra sogno e realtà: automobili rivestite di mosaico, mobili per uomo in tessere di mosaico d’oro… in sale enormi sono gli oggetti a farsi grandi e le stanze a diventare piccole. Difficile rendere a parole ciò che gli occhi vedono. Se non avete ancora avuto modo di visitare la Fondazione Bisazza vi invito a farlo quanto prima. Una visita alla Fondazione permette di sperimentare un piacere visivo e culturale di rara bellezza in questo immenso spazio espositivo ammirando opere dove un inedito uso del mosaico, rivoluzionario e avanguardistico, incontra progetti artistici di rara elegan-
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za, connubio tra arte e innovazione. La fondazione, organizzazione privata non profit e aperta al pubblico, viene inaugurata nel 2012 e questo progetto nasce dall’attenzione e dalla sensibilità verso la cultura del design e dell’architettura contemporanea che da sempre animano Bisazza. Gli spazi della Fondazione sono articolati su un’area di 7500 mq, in passato riservata alla produzione aziendale, recuperata e adibita all’esposizione grazie al progetto di riqualificazione dell’architetto Carlo Dal Bianco. La ricca collezione permanente è costituita da installazioni firmate da designer quali Aldo Cibic, Sandro Chia, Jaime Hayon, Arik Levy, Alessandro Mendini, Fabio Novembre, Mimmo Paladino, John Pawson, Ettore Sottsass, Studio Job, Patricia Urquiola, Marcel Wanders e Richard Meier. Un’area di oltre 1000 mq è dedicata invece ad accogliere mostre itineranti e installazioni di progettisti di fama internazionale, prodotte dalla Fondazione in collaborazione o provenienti da istituzioni straniere. L’intento della fondazione è infatti interagire e dialogare con altre fondazioni e musei di design e architettura creando un network per la presentazione di progetti inediti in Italia. Monica Bianchetti http://www.fondazionebisazza.it/ Bisazza Fondazione - Viale Milano, 56 Montecchio Maggiore - VI
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TEATRO “MASCHERA D’ORO” Festival teatrale nazionale Teatro S. Marco a Vicenza sabato 24 Febbraio ore 21,00 “Una delle ultime sere di carnovale” di Carlo Gorldoni Compagnia teatrale vicentina “La Trappola”
FESTIVAL “MASCHERA D’ORO”: TRENT’ANNI DI EMOZIONI A TEATRO Trent’anni di emozioni ta per prendere il via in città la trentesima edizione del Premio nazionale “ Maschera d’oro”, organizzata dalla Federazione Italiana teatro Amatori-Comitato regionale veneto d’intesa con Regione del Veneto, Comune di Vicenza, Il Giornale di Vicenza e Confartigianato provinciale e con il patrocinio, tra gli altri, di Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Provincia di Vicenza e, quest’anno, Biblioteca internazionale “La Vigna”. La manifestazione, che avrà luogo al Teatro San Marco di Vicenza nella serata del sabato dal 3 febbraio al 17 marzo 2018 alle ore 21.00, propone sette compagnie non professionistiche provenienti da tutta Italia, passate attraverso le maglie di una doppia selezione affidata a giornalisti-critici teatrali e al noto drammaturgo,operatore teatrale, critico, consulente artistico Fita, Luigi Lunari. Questo l’elenco delle compagnie finaliste: Nuovo Teatro Stabile Mascalucia (Catania) in “Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller, regia di Rita Re; Compagnia di Lizzana (Rovereto, Trento) in “Tingeltangel” di Karl Valentin, regia di Paolo Manfrini; La Ringhiera (Vicenza) ne “La sensale di matrimoni” di Thornton Wilder, regia di Riccardo Perraro; La Trappola (Vicenza) in “Una delle ultime sere di Carnovale” di Carlo Goldoni, regia di Alberto Bozzo; La Cricca (Taranto) ne “Le ultime lune” di Furio Bordon, regia di Aldo L’Imperio; I Complici (Bologna) ne “Il metodo Gronholm” di Jordi Galceràn, regia di Mimmo Marchigiani; Incontri (San Giorgio a Cremano, Napoli) in “Ferdinando” di Annibale Ruccello, regia di Francesco Iurlaro. Con il Festival torna inoltre l’ambito premio Faber Teatro, 24^ edizione, promosso da Confartigianato Vicenza, che consiste nell’offrire alla compagnia vincitrice della Maschera d’ oro, la possibilità di rappresentare nella prestigiosa cornice palladiana del Teatro Olimpico di Vicenza, un proprio spettacolo nel mese di maggio .
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Parallelamente allo svolgimento della Maschera d’Oro, allo scopo di favorire l’incontro dei giovani con il teatro, in collaborazione con l’Assessorato per i Giovani e l’Istruzione di Vicenza, , si tiene anche quest’ anno un premio letterario riservato agli studenti delle scuole medie superiori. I partecipanti, segnalati dall’Istituto di appartenenza, elaborano dei saggi critici su due allestimenti presentati durante il festival. Tre i premi assegnati, targa e buoni libro. Spazio anche al Premio “Renato Salvato” riservato a persone o realtà che si sono contraddistinte a favore della cultura con particolare attenzione al mondo teatrale. L’appassionante kermesse teatrale si conclude con la premiazione sabato 24 marzo 2018 in serata di gala, con la partecipazione, come ospiti, di Valter Rado e della brass band Mabò, in “Note nella tempesta”. La giuria del festival attribuisce importanti riconoscimenti alle compagnie contendenti: Maschera d’Oro alla migliore compagnia, alla migliore regia, al migliore allestimento, al migliore attore e attrice, al migliore attore e attrice caratterista, al migliore allestimento, premio speciale al migliore attore giovane, premio speciale allo spettacolo più gradito dal pubblico, Premio Faber Teatro alla compagnia vincitrice del festival. Un caloroso in bocca al lupo alle 7 compagnie quindi, a Fita Veneto l’augurio che la longeva e seguita manifestazione, punto di riferimento per tanti appassionati di teatro, possa proseguire con successo per altri trent’anni. Abbonamenti in vendita nella sede di Fita Veneto, in stradella delle Barche 7 a Vicenza (tel. 0444 324907, al mattino, dal lunedì al venerdì) allo stesso prezzo dello scorso anno: 70 euro gli interi, 60 i ridotti; invariati anche i biglietti, disponibili a 10 euro (gli interi) e 8.50 (i ridotti). Informazioni anche su Facebook, nella pagina Fita Veneto e in quella appositamente creata per il Festival.
LA COMPAGNIA TEATRALE VICENTINA “LA TRAPPOLA” TRA LE SETTE FINALISTE
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ra le compagnie selezionate per la trentesima edizione del festival, “ La Trappola”, consolidata e nota realtà teatrale vicentina. Sabato 24 febbraio 2018 alle ore 21 il gruppo schiererà quattordici interpreti sul palcoscenico del San Marco per la frizzante e sorprendente rivisitazione di un classico del teatro veneto: “Una delle ultime sere di carnovale” di Carlo Goldoni, per la regia di Alberto Bozzo. L’ultima opera scritta in Italia dal celebre Autore prima del trasferimento a Parigi, metafora del distacco dalla propria terra natia, non mancherà di appassionare e divertire il pubblico grazie alla vivacità delle interpretazioni e ad originali scelte registiche che si avvalgono di momenti coreografici . “Siamo a Venezia nella casa-laboratorio del vedovo tessitore Zamaria e della sua giovane figlia Domenica, innamorata del disegnatore di stoffe Anzoleto, indaffarata ad accogliere i numerosi ospiti per la cena. Si festeggia “una delle ultime sere di carnovale”: artigiani e mercanti di tessuti giungono soli o accompagnati dalle consorti. Scherzano amabilmente, discutono del loro futuro commerciale, amoreggiano, si punzecchiano a vicenda, giocano alla meneghella. Durante la serata Domenica viene a conoscenza dell‘imminente partenza di Anzoleto per Moscovia, in compagnia dell’eccentrica ed esuberante Madame Gatteau, ricamatrice francese che non vuol cedere allo sfiorire degli anni.Il sogno d’amore della giovane sembra infrangersi, ma grazie alla solidarietà femminile l’intera vicenda si risolve con un lieto fine a sorpresa”…
conferimento del Premio Faber con “I pettegolezzi delle donne” di C. Goldon, entrambi i diretti da Piergiorgio Piccoli, vanta dieci pluripremiate partecipazioni al festival, recentemente tornando alla drammaturgia del francese Jean Anouilh. Dopo aver presentato anni fa l’intensa “Antigone” per la regia di Mario Mattia Giorgetti, ha proposto “Il Viaggiatore senza bagaglio”, per la regia di Alberto Bozzo e il dramma storico “Becket e il suo re”, per la regia di Pino Fucito. A riprova della sua versatilità, quest’anno la formazione si mette in gioco con una commedia brillante, a tratti, squisitamente poetica.
Costumi trucco e parrucco curati nei minimi dettagli da Carolina Cubria , idea scenografica della stessa Cubria in collaborazione con Giuseppe Rizzotto, coreografie di Federico Boaria, light designer Andrea Munaretto. La Trappola, vincitrice nel 1988 della decima edizione del “Maschera d’oro” con “I costruttori di imperi” di Boris Vian, sul palcoscenico del Teatro Olimpico per il VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
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LIBRI & CINEMA
LIBRI Un mondo da buttare di Ausilio Bertoli Piloti...forse si nasce di Maurizio Romio Il gioco delle nuvole di Silvia Maria Barbero
Un mondo da buttare Ambientato nel Veneto, soprattutto a Padova e Vicenza, nelle Marche e in Lettonia, il romanzo si snoda in una storia sentimentale dove emergono i disvalori della società moderna, in particolare il mito dell’apparire e della bellezza imposta dalla moda, ma anche l’individualismo, il precariato nel lavoro e la strumentalizzazione del corpo femminile. A dare speranza sarà un risvolto positivo affidato al personaggio di una grintosa giornalista vicentina. Il Veneto è al centro dell’odierno dramma esistenziale nel suo ultimo romanzo in cui i personaggi originari di questo territorio entrano in rapporto diretto con la gente dell’Est che si illude di trovare in Italia la terra promessa. Anche il protagonista, Stefano Vitti, è un immigrato (proviene dalle Marche) e a Padova lavora come creativo in un’agenzia pubblicitaria, disdegnando l’impiego nella farmacia di famiglia, mentre nel fine settimana si rifugia nella cascina ereditata dal padre, in mezzo ai campi di San Vito Vicentino, in cerca d’ispirazione. Ma lì è costretto a ricorrere alle cure preventive di un ansiolitico per attenuare i disagi provocati dai rumori eccessivi dei vicini. L’esistenza del giovane Stefano, tanto inquieto quanto appassionato del proprio lavoro, è scandita da continue conoscenze femminili: l’inquilina Barbara, ossessionata dal fondoschiena di Belen, la bella lettone Katrina, calamita per tutti i maschi, Sarah generosa studentessa di psichiatria e Dalia, grintosa giornalista giramondo, amante della concretezza. Tutte donne, queste, che lo attraggono fortemente per via di quella sua insaziabile ricerca di un affetto sincero e di sicurezze. È in quest’acqua stagnante che nuota la sua
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malcelata stanchezza di vivere, la propensione a sfuggire ai legami duraturi, mischiata a un desiderio impellente di valori alti, spirituali, spesso ignorati se non sbeffeggiati dai più nell’odierna “civiltà del fondoschiena”, come Bertoli la definisce. Le giornate di Stefano, vissute in una città “palcoscenico e sistema di comunicazioni”, si ispirano alla vita reale della nostra società in crisi: mito della bellezza, mal di vivere, sogni di successo, occupazioni precarie, trappole maschiliste, spettro della perdita del lavoro. Il risvolto finale, in terra lettone, fa però riflettere sul valore dei sentimenti genuini, disinteressati. L’autore Nato nel vicentino, Ausilio Bertoli ha studiato all’Università di Trento, all’Università di Venezia e all’Università di Urbino, dove si è laureato in Sociologia della comunicazione con il professore Enrico Mascilli Migliorini. È anche ricercatore sociale e pubblicista e vive tra Vicenza e Padova. L’italianista Elvio Guagnini ha scritto di lui: “Il linguaggio di Bertoli vuole essere aderente a una quotidianità dalla quale, talvolta, emergono reperti gergali, una piccola babele linguistica corrispondente alla condizione linguistica dei nuovi attori internazionali della scena provinciale” (v. Giostra mentale, Manni, 2001). È autore prolifico di racconti, romanzi e saggi, tra cui: Il veggente di Bovo, 1991; Amore per ipotesi, 1994; Ricerche amorose, 1998; Gente tagliata,1996; I temi della comunicazione, 2004; Il vizio della notte, 2007]; La sirena dell’immortalità, 2008; L’amore altro. Un’odissea nel Kosovo, 2009; Rosso Africa, 2011; L’istinto primo, 2014; Un mondo da buttare, 2017
Piloti...forse si nasce Piloti... forse si nasce. Antonillo Zordan, storia e successi di un Campione di Rally è il titolo del recente libro che il bissarese Maurizio Romio ha pubblicato in proprio, dimostrando coraggio e spirito d’iniziativa, sul finire dello scorso anno. La pubblicazione, corredata da rare immagini d’epoca, racconta la straordinaria storia agonistica del pilota vicentino Antonillo Zordan, oggi sessantacinquenne, compaesano e amico di Romio, distintosi in particolare nei rally degli anni Settanta e Ottanta. Fra gli sport motoristici il rally è sempre stato uno sport ricco di fascino - scrive l’autore nelle note introduttive - . Forse perché si tratta di una specialità “popolare” nel senso che il rally per le sue caratteristiche è particolarmente vicino alla gente. I piloti di rally, infatti, utilizzano auto che derivano da quelle di serie e percorrono strade frequentate normalmente dal comune cittadino. Il rally è praticato da molti piloti “locali”, fattore che contribuisce a coinvolgere ancora di più non solo gli appassionati ma anche coloro che di rally sono meno informati. I rallisti sono poi facilmente avvicinabili dal pubblico in vari momenti della competizione, come ad esempio alla partenza del rally o delle prove speciali, nei parchi assistenza, ai riordini o al momento conclusivo dell’arrivo sul palco. Tutti fattori che contribuiscono al successo di questo spettacolare settore dell’automobilismo. Il gioco delle nuvole Si tratta di un libro a sostegno e aiuto alla vita che nasce: scritto dalla meravigliosa figura di Silvia Maria Barbero Rigon, per tanti anni, Presidente del Centro di aiuto alla vita di Thiene e scomparsa per una grave malattia nel 2015. L’incontro di presentazione di questo libro postumo (avvenuta l’anno scorso) , ha avuto un notevole successo di partecipazione e di gradimento: scritto dal marito Luigi sulle parole avute in dono da Silvia Maria dal letto dell’ospedale. A quei tempi purtroppo, la vita di Silvia era già piuttosto limitata. All’incontro, (allietato da brani musicali di Alessandro e Giacomo Baron), era presente anche Don Livio Rigon La presentazione del libro è stata guidata dalla giornalista Cinzia Zuccon Morgani in dialogo con Don Livio Destro, Federico Rigon e Paola Rigon.
Si è tenuto a sottolineare, che il libro ha offerto la lettura della vita di Silvia, profondamente segnata da questa malattia, ma nel contempo, un regalo per tutti noi che la piangiamo, un regalo di profonda umanità che lei ci ha voluto far pervenire grazie anche alla sua fede straordinaria che l’ha accompagnata in tutta la sua vita. Una parte del ricavato delle offerte raccolte con la vendita del libro, sarà devoluto al locale Centro di aiuto alla vita. I Centri di aiuto alla vita, sono presenti in tutto il territorio nazionale per sostenere e proteggere la vita umana sin dal concepimento, con la promozione di valide iniziative atte a offrire collaborazione e assistenza alle donne in gravidanza che si trovano in difficoltà, assistendole anche dopo la nascita del proprio figlio. La cara Silvia, è stata un esempio per tutti noi, e questo libro postumo, ne è la testimonianza VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
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VISIT VICENZA
RINASCIMENTO Script ROMANO CONCATO
IL BATTESIMO DI CRISTO di Giovanni Bellini Tempio di Santa Corona Vicenza
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attista Graziani, questo è il nome della pesona che dobbiamo ringraziare se a Vicenza possiamo ammirare “il quadro più bello del mondo” per dirla con le parole di Vittorio Sgarbi. La storia dell’altare inizia nella Vicenza del 1400. La città era una delle capitali dell’industria tessile. Molte famiglie della città si arricchirono svolgendo mansioni legate allo sviluppo della seta, della lana e di tutte quelle materie prime destinate a diventare capi di abbigliamento e non solo. Una delle famiglie più importanti fu quella dei Garzatores. Questi, erano così chiamati perché addetti alla cardatura della lana. La loro attività consisteva nel separare e raddrizzare il vello della pecora usando delle spazzole, in modo che questa potesse trasformarsi in fibre o filo per fabbricare poi la maglia. Uno degli esponenti di maggior rilievo di questa famiglia era Battista Graziani detto “Il Grazadori”, un uomo di una certa cultura che ricopriva varie mansioni e cariche di rilevo all’interno della città. Il Garzadori, sul finire del secolo, compì un viaggio in Terra Santa e quando giunse sulle rive del fiume Giordano, fiume che ha visto il battesimo di Cristo, fece voto di offrire un altare al suo Santo eponimo “San Giovanni Battista” nell’atto di benedire Gesù, se fosse tornato salvo in patria. Il 26 novembre del 1500, per tenere fede al voto, domandò al priore di Santa Corona di Vicenza di poter erigere all’interno della chiesa un altare come promesso. Questo altare è ancora visibile oggi, così come venne realizzato tra il 1501 e il 1502 nella quinta cappella di sinistra. Il dipinto è direttamente legato alla cornice che lo ospita. Fa parte di quella categoria di opere che riusciamo ad apprezzare solo se
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queste vengono ammirate nel luogo in cui l’artista le ha prodotte. La cornice lapidea che circonda il dipinto venne realizzata da Tommaso da Lugano, Bernardo da Como con, con apporti di Rocco da Vicenza, e racconta il viaggio che intraprese il Garzadori in Terra Santa sia nelle forme, con i suoi basso rilievi, che nella sostanza, con i marmi policromi. Per la sua realizzazione vennero portati marmi dalla Palestina e dalla Grecia, e da tutti quei luoghi visitati dal mecenate durante il suo lungo viaggio. I bassorilievi, in essa rappresentati, raccontano la vittoria del cristianesimo sul paganesimo con tritoni, sirene, centauri e altri Dei pagani. La lettura della composizione nel suo insieme, cornice e dipinto, va dall’alto verso il basso. Nel punto più alto, a 14 metri di altezza, è presente la statua del Cristo risorto. Subito sotto nel basso rilevo è presente la figura della Madonna che allatta il bambino Gesù. Il dipinto di Giovanni Bellini, è formato dalla figura di Dio Padre circondato da cherubini, con lo Spirito Santo rappresentato da una candida colomba. In asse con questa raffigurazione e al di sotto di essa c’è la mano di Giovanni Battista nell’atto di benedire e la figura di Cristo che guarda l’osservatore. Sulla sinistra sono presenti tre figure femminili che rappresentano rispettivamente: Fede Speranza e Carità. A coronamento del dipinto, sullo sfondo, c’è lo splendido paesaggio collinare veneto con i castelli e le strade sinuose. Il dipinto, realizzato dal Bellini all’età di 65 anni, fu di fondamentale importanza per artisti del calibro di Giorgione, Tiziano e altri ricchi di talento negli anni a seguire.
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PRIMAVERA 2018
EVENTI FIERE RASSEGNE CORSI
© Giovanni Tisocco
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FIERA DI VICENZA ABILMENTE
FIERA DI VICENZA MONDO MOTORI SHOWMONDO MOTORI SHOW
Mostra atelier della manualità creativa Fiera in corso dal 15 al 18 marzo 2018
Fiera in corso dal 24 al 25 marzo 2018
Il grande successo di pubblico dell’ultima edizione ha fatto di Abilmente un punto di riferimento nel panorama fieristico nazionale dedicato alla manualità creativa. In pochi giorni si sviluppa un denso calendario di iniziative composto di corsi e dimostrazioni delle tecniche decorative che sono in auge in quest’ultima stagione o delle più tradizionali (scrapbooking, cucito creativo, patchwork, ricamo, bijoux, découpage, country-painting). Tra i materiali presenti in mostra dedicati all’attività degli appassionati e ai professionisti della manualità creativa si possono incontrare vari tipi di colori, carte, feltro, tessuti, lana, pizzi, perline, timbri, editoria specializzata. Orari: dalle 9.30 alle 19.00. Per pubblico e operatori. Biglietti: si rimanda al sito ufficiale. Telefono: +39.0444.808413, fax +39.0444.969000 E-mail: info@vicenzafiera.it Sito Web: Abilmente
Mondo Motori si presenta negli spazi di VicenzaFiera dopo i successi degli scorsi anni quando è diventata una manifestazioe di spicco del mondo dei motori a livello nazionale.
VICENZA MAGAZINE GENNAIO/FEBBRAIO 2018
Orari: venerdì dalle 14.00 alle 20.00; sabato dalle 9.00 alle 20.00; domenica dalle 9.00 alle 19.00. Biglietti: intero € 14; riduzione € 10. I bambini sotto i 10 anni non pagano. Telefono: +39.0444.969111, fax +39.0444.969000 E-mail: info@vicenzafiera.it Sito Web: Mondo Motori Show
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SANTORSO (VI) | Tel. 0445 540678 - Via Ognibene dei Bonisolo 29