- Vox Populi L' Aperiodico della FacoltĂ di Psicologia
Firenze, la Torretta
14/3/2012
Laboratorio 15
n. 10
Salve
benvenuta o benvenuto in Vox Populi. Eccoti una bussola per orientarti in questo mare... nelle coordinate troverai prima il nome della rubrica che fa da cornice all'articolo/raconto/poesia che vuoi leggere, poi il suo titolo, chi l'ha scritto e infine le pagine dove è scritto. A te la scelta della rotta o di un piacevole naufragio...
sono solo favole?: da "Corpo e istituzione" di Franco Basaglia pagina 0 a mano libera: "Chiudi gli occhi e ascolta..." di Andrea Beretta; pagine 1 e 2 uno sguardo al di là della siepe: "Diario di Palestina" di Luca Buonaguidi; pagine 3 e 4 uno sguardo al di là della siepe: "Colonialismo del XXI secolo: la disputa tra Argentina ed Inghilterra" di Roberto Gallini; pagine 5, 6 e 7 dialogo in Poesia: di Simona Falsini; pagina 8 non siamo solo studenti: "Scrivo dunque sono" di Dea Capisani; pagine 9 e 10 un finale col botto: "Le caramelle uccidono" di Luca Buonaguidi; pagine 11 e 12
Sono solo favole?
0
<<Una favola orientale racconta di un uomo cui strisciò in bocca, mentre dormiva, un serpente. Il serpente gli scivolò nello stomaco e vi si stabilì e di là impose all'uomo la sua volontà, così da privarlo della libertà. L'uomo era alla mercé del serpente: non apparteneva più a se stesso. Finché un mattino l'uomo sentì che il serpente se n'era andato e lui era di nuovo libero. Ma allora si accorse di non saper cosa fare della sua libertà: "nel lungo periodo del dominio assoluto del serpente egli si era talmente abituato a sottomettere la sua propria volontà alla volontà di questo, i suoi propri desideri ai desideri di questo, i suoi propri impulsi agli impulsi di questo che aveva perso la capacità di desiderare, di tendere a qualcosa, di agire autonomamente. In luogo della libertà aveva trovato il vuoto, perché la sua nuova essenza acquistata nella cattività se ne era andata insieme col serpente, e a lui non restava che riconquistare a poco a poco il precedente contenuto umano della sua vita.>>
(Franco Basaglia in Corpo e istituzione, 1967)
1 Chiudi gli occhi e ascolta. So che stai provando a dare un luogo a questa conversazione, un sesso a questa voce; più semplice accettare che provenga da una parte di te stesso sotto controllo. Sbaglio? Eppure ti è difficile darmi una fisionomia, una parvenza umana; il suono rimbomba nello spazio nero, proveniente da ogni dove, e, di conseguenza, nessuno. E non credere che io non esista; forse sono la cosa più reale che tu possa esperire. Chi, cosa sono? Dove mi trovo? Cosa voglio? Nonostante l'inutilità, cerchi ancora di conoscermi; come sei, umano. Se ti dicessi che io sono, e non voglio; ti sarebbe, forse, di maggior aiuto? Sappiamo entrambi che la risposta è no, qualcosa del genere non ti soddisferebbe mai (ed in fin dei conti, cosa potrebbe mai farlo?), è nella tua natura. Così come essere sconosciuta è nella mia. Proverò a venirti incontro. Sono più primordiale e sincera di quanto tu non creda. Sin da quando era giovane l'uomo sentiva e non capiva, ogni elemento o paesaggio, provocava la nascita di uno stupore reverenziale, unito a qualcosa per il quale non esisteva nome. Per ammansirmi sono state create divinità, miti per comprendermi. Eppure fuggivano dal vostro controllo, prodotti, di vita propria, riuscivano a rendere schiavi i propri creatori. Forse dovrei parlare al presente? È cambiato davvero qualcosa? Sai, il tempo non mi appartiene. Se potesse, mi confonderebbe questa convenzione; anche lei creata, prima tra le divinità, per proteggervi da me. Non capite quanto questo vostro atto creativo mi appartenga. Mi sono stati dati mille nomi; simboli per costringermi; infiniti volti, maschere ove cercarmi. Mi avete consegnato i momenti più alti e gli atti più orrendi della vostra storia. Ma io non sono né giusta né sbagliata; non buona o cattiva; solo me stessa. Mi avete usata per nascondere la vostra stessa oscurità, come se vi spingessi secondo un mio piano, una volontà. Eppure, come già detto, io non voglio.
2 Se potessi, riderei di voi. Ricercate la mia lontananza. Vorreste vivere senza che niente possa scalfirvi, ma la mia assenza equivale alla morte. Il vostro primo impulso, sin dalla nascita, è cercare di capire ciò che vi fa più paura, qualcosa che vi accompagna da e per sempre: l'inconoscibile. Comprendere per temperare e controllare. Fuggite, aggredite o amate; tutte loro sono, comunque, una parte di me; una vostra convenzione, per non ammettere quel primo e più grande terrore. Quando l'unico modo di risolvere l'enigma è, semplicemente, vivermi, rinunciando alla domanda.
di Andrea Beretta
3
DIARIO DI PALESTINA parte3 carusopascoski.wordpress.com
La bestemmia finale in volto a qualsiasi Dio si possa predicare è il Muro tra Gerusalemme e Betlemme. “Barriera di sicurezza” contro le incursioni dei terroristi, secondo il governo israeliano; “Muro dell'Apartheid”, secondo i palestinesi. Questa barriera, il cui tracciato di 725 km è stato ridisegnato più volte particolarmente a causa delle pressioni internazionali, consiste per tutta la sua lunghezza in una successione di muri, trincee e porte elettroniche ed ingloba la maggior parte delle colonie israeliane e la quasitotalità dei pozzi. E' una imponente colata di plumbeo cemento alta 8 metri, che taglia in due abitazioni, attività commerciali e qualsiasi tipo di diritto umano residuo. Decorato da numerosi graffiti, il muro lancia un ombra di numerosi metri in fronte a sè, che avvolge nell'oscurità gli abitanti immediatamente prossimi ad esso. Visitando questi luoghi di conflitto e sofferenza, ma ammirando la voglia di vivere dei popoli del posto, ho pensato alla straordinaria metafora della patata di Carl Rogers, celebre psicologo umanista. Egli paragonava la vita ad una patata: così come queste, riposte in una cantina buia, nonostante le condizioni sfavorevoli, germoglino ugualmente e cerchino disperatamente di crescere tendendo verso la debole luce di una finestrella, così la vita resiste cercando appigli di luce residua e "ghirlande di senso, tra uomini che non sopportano l'oblio di altri uomini", cercando di "restare umani", di fronte all'oppressione, e tendendo così ad una finestrella futura, aperta grazie al coraggio d'un popolo che da oltre 60 anni resiste a soprusi non dissimili da quelli subiti dagli attuali carnefici.
4 Si affaccia la speranza quando in lontananza si scorgono alcune maglie arancioni, sono volontari che vigilano nelle strade garantendo che non vi siano soprusi dei militari sulla popolazione. La particolarità, che è la pura applicazione del "Restare Umani" di Vittorio Arrigoni, è che si tratta di ex soldati usciti dalle milizie israeliane perchè in dissenso inconciliabile con esse, che hanno rifiutato la violenza per abbracciare la speranza della non violenza. Ve ne sono di numerosi ed in varie città e zone della Palestina, e fanno la loro piccola parte nel costituire un mosaico di tolleranza ed un ponte tra i due popoli. Il rientro è quieto e silenzioso, ancora gli occhi devono far pace con il cuore, sconvolto, dopo la prima visita della mia vita ad un odierno teatro di guerra. La sera, completato il ritorno, sulla terrazza dell'ostello di Gerusalemme, poco oltre la Torre di David, ho scritto questi pochi versi nel tentativo di dare consistenza a fervidi pensieri irrisolti. E' il mio omaggio ad una terra emozionante e dolente, il suo grido di vita lanciato all'umanità ancora mi emoziona a scriverne. Si intitola "Palestina". Palestina, la brezza d’Oriente che adesso spira sul mio corpo: ti immagino bombardata dall’alto che perenne invochi e non riesco a credere a come i sorrisi dei tuoi mercanti si torcano in terrore. Palestina, ogni sorriso di quei tuoi stretti vicoli è una bomba disinnescata da artificieri della Vita che sgorga eterna dai tuoi antichi sepolcri, il troppo sangue sui nidi luminosi oggi tempi di dolore. Palestina, agreste d’arbusti, il tuo lamento in colore e vesti
nell’alba che vibrante unisce due mondi: chi ti disconosce ha paura di riconoscersi umano, chi ti abita ha il coraggio di vivere, umano, troppo umano. "Stay human"
5 Colonialismo nel XXI secolo: la disputa tra Argentina ed Inghilterra La questione delle Malvinas tra petrolio, Antartide e propaganda di Roberto Gallini (roberto.gallini@hotmail.com) In Europa non se ne parla, o se ne parla poco. L’Europa in questo periodo ha altro a cui pensare. Ad ogni modo è interessante il polverone che si sta nuovamente sollevando intorno alla questione delle Malvinas (o Falkland), ed allo scacchiere delle relazioni internazionali che si sta configurando.
Le Malvinas appartenevano alle colonie spagnole dal tempo dei conquistadores, e quando nel 1810 venne fondata la repubblica Argentina, le isole vennero annesse giuridicamente al territorio argentino. Pochi anni più tardi, nel 1833, gli inglesi, all’epoca il paese più potente al mondo, vi si stabilirono e vi costruirono una base militare. Da allora sono de facto inglesi, ossia non lo sono giuridicamente, ma con la forza. Il governo argentino ha riaperto la questione sulla sovranità delle isole invitando Cameron alla negoziazione. Cameron ha però rifiutato categoricamente il dialogo e, anzi, ha ricordato la sconfitta argentina nella guerra del 1982. Da quel momento si è aperta la caccia alle alleanze diplomatiche.
6 Il quadro internazionale. L’Argentina gode dell’appoggio dei paesi latinoamericani: Brasile ed Uruguay hanno sostenuto l’embargo contro le isole, ed hanno vietato l’attracco di navi e traghetti provenienti dalle isole che portavano la bandiera inglese. Chávez ha addirittura affermato che in caso di guerra (ipotesi remota) l’esercito venezuelano è pronto ad intervenire. Anche il Cile è dalla parte argentina, ed è significativo considerato che nel 1982 aprì le sue basi militari per gli aerei inglesi. Cameron ha chiamato personalmente il presidente cileno Piñera invitandolo a cambiare idea e a schierarsi a favore degli inglesi, ottenendo un secco “no” come risposta. Ha tuttavia ottenuto l’appoggio dei paesi caraibici (dove tra l’altro l’Inghilterra possiede ancora delle colonie nelle Antille). La cosa può apparire ininfluente, invece è un’operazione di disturbo dato che il CELAC (Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici) istituito nel 2010 si impegna a promuovere la cooperazione tra i paesi latini e caraibici. Gli Stati Uniti, politicamente il paese più forte al mondo, con il segretario di stato Hillary Clinton hanno invitato le due parti a sedersi intorno ad un tavolo. Non hanno preso posizione formale, tuttavia sottolineando come le Malvinas siano “inglesi de facto” hanno messo un granello in più sulla bilancia dal lato argentino. Cameron ha messo in scena il vecchio trucco di farsi passare per vittima definendo l’Argentina “colonialista” e “bellicosa”. In verità l’Argentina non vuole (e non può nemmeno permettersi) una guerra. Cameron ha inviato sull’isola un “Distruttore”, la più potente e avanzata nave dell’intera flotta britannica, ed anche il principe William in qualità di tenente dell’aviazione per aumentare l’orgoglio nazionale dei Falklanders. Il solo argomento diplomatico proposto da Cameron è che i Falklanders sono inglesi e tali vogliono rimanere. Perfino le celebrità non fanno mancare la loro opinione: Sean Penn, in qualità di ambasciatore di Haiti (in merito al lavoro che ha svolto per la ricostruzione dopo il terremoto e l’epidemia di colera del 2010), ha visitato la Casa Rosada (sede del governo argentino) da dove ha criticato apertamente l’atteggiamento degli inglesi. Anche Roger Waters, leader dei Pink Floyd ha espresso l’idea che le “Mavinas sono argentine”. Il reclamo ora è giunto all’ONU e il ministro degli esteri argentino Timmerman ha fatto leva sull’invio del Distruttore inviato dagli inglesi, agitando lo spettro della “militarizzazione” dell’Atlantico. Ora dunque la questione è in mano internazionale.
7 Interessi in ballo. La tensione si è riaccesa da quando gli inglesi, in seguito a delle esplorazioni nei fondali, hanno dato vita ad un programma di estrazione del petrolio. Ciò contribuisce ancor più a definire il carattere “coloniale” della presenza britannica: le colonie sono sempre servite per portarsi a casa materie prime a basso costo. C’è un ulteriore aspetto che contribuisce ad accrescere l’interesse per questi “due scogli” (come li hanno definiti gli americani nel 1982): ossia che la sovranità delle isole potrà permettere in futuro di avanzare pretese sull’Antartide, regione oggi coperta di ghiacci e inesplorata, però probabilmente ricchissima di materie prime. Infine è interessante rimarcare come il reclamo sia avvenuto in un momento in cui la tensione politica in Argentina si fa più forte per ragioni interne. Il carattere autoritario del governo si sta accentuando, La Kirchner sta pensando di modificare la costituzione per eliminare il limite massimo di due rielezioni consecutive. Inoltre nonostante una crescita economica intorno al 9%, non sembra essere riuscita la trasformazione economica promessa con il passaggio da una economia “feudale” (in mano ai proprietari terrieri) ad una “borghese” (industrializzata con classe media). E’ probabile dunque che si tratti di una tattica di distrazione, ma anche di rivitalizzazione dello spirito patriottico. Anche Cameron, di solito indifferente, ha preso parte con vigore alla discussione. Forse si è ricordato come la vittoria della Thatcher nella guerra le garantì un aumento della popolarità dal 22% al 59%. Argentina e Inghilterra non si sono fatti mancare l’opportunità di sfruttare l’occasione per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media dalle questioni domestiche. I media assistono impotenti: sebbene ne abbiano denunciato l’intenzione non possono astenersi dal riportare quotidianamente notizie ed aggiornamenti sul tema.
Dialogo in Poesia
8
di Simona Falsini
e sul tavolo sta la mia identità smarrita fra carte colorate e scherzi successe in settembre e qualcuno mi regalò il vento dell'estate per tradire l'autunno _______________________________________
DIANA SCOCCA LA FRECCIA E' UN DARDO DI LUCE CHE IMPERLA LA NOTTE RENDENDLA PIù PREZIOSA DIANA AMMICCA ALLA LUNA CHE ORA MAESTOSA DIVIENE REGINA
______________________________________________
- 13 GENNAIO 2012 "LA DEPRESSIONE" Sono tormentata da una magia nera che governa i miei venti che impazziti si sfracellano su scogli senza lacrime
sono tormentata e non c'è posa alla litania di morte che uccide la madre che uccide la figlia Nel buio resto al buio ora
9
Scrivo dunque sono. Emil Cioran, uno scrittore e filosofo rumeno, diceva che non si scrive perché si ha qualcosa da dire, ma perché si ha voglia di dire qualcosa. La differenza è sottile, quasi impercettibile, ma se ci si pensa veramente, ci si accorge di quanto profonda sia in realtà. Tutti avremmo da dire qualcosa, su qualunque argomento e per qualsiasi ragione; ma solo alcuni si lanciano nel vuoto provando a scrivere un libro su quel “qualcosa” che vogliono dire. Ci sono molte ragioni che possono spingere un aspirante scrittore a tentare una pubblicazione: ambizioni di fama, il desiderio di un guadagno, oppure semplicemente, il voler condividere una parte di sé con gli altri. Quante volte, leggendo le parole di un libro vi siete sentiti meno soli, o magari vi ritrovavate in quelle frasi che quasi pareva fossero state scritte da voi? Ecco, è questa la ragione che mi ha spinto a scrivere e pubblicare un libro, edito da Pentalinea nel 2008 ed intitolato “Scelte d’amore”. Come ogni buona storia che si rispetti, il mio libro è un misto tra realtà e romanzo, un calderone in cui ogni personaggio mi rispecchia, ma allo stesso modo, riflette colui o colei a cui è realmente ispirato. Vediamo però nel particolare di cosa tratta… Thomas è un bambino diversamente abile la cui storia, inaspettatamente, si intreccia con quella di una famiglia che abita nel suo stesso palazzo; il tutto, grazie ad una forte amicizia stretta in un momento difficile, con la figlia dei suoi vicini di casa,Cristina. La vicenda è narrata da quattro punti di vista speculari, ossia: Daria, la madre di Cristina, Cristina, Thomas e Alexandra, la madre di quest’ultimo. Ogni parte viene trattata a distanza di cinque anni dalla precedente, non mancando di mostrare ciò che accade ai personaggi in questo lasso di tempo trascorso. Ma un segreto giace nel cuore di una delle due madri, una colpa che non riesce a perdonarsi e che si rifletterà su chi le sta più a cuore. Una storia unita dalle principali paure umane: solitudine, abbandono, diversità; ma soprattutto intrisa di quella voglia di vita che, al di sopra di ogni altra cosa, arde potente in ognuno di noi. Al momento sono impegnata negli studi, assieme a tutti voi, in questa facoltà, ma non ho mai smesso di scrivere… perché non riesco a farne a meno;
10 scrivere, per me, è come respirare. Se avete un libro nel cassetto oppure solo un’idea sul quale svilupparlo, fatelo. Non esiste avventura più emozionante che quella di trovarsi davanti ad un foglio bianco e vedersi spalancare un mondo in cui sono i vostri personaggi, con il loro carattere, con le loro sfumature, a guidarvi all’interno della storia che volete portare alla luce. Perché ognuno di loro, sebbene a volte così diverso da voi, è proprio una parte di voi stessi che ancora non avete mai incontrato. Spesso è una parte scomoda, un lato che non vorreste mai neppure intravedere; ma nella maggioranza dei casi, al termine della stesura della storia, vi accorgerete di quanto avete imparato su voi stessi e sarete grati ai vostri personaggi. Non esiste alcuna vicenda che non sia degna di essere raccontata se colui che la scrive non vuole solo riempire pagine, bensì desidera emozionarvi, coinvolgervi. Semmai un giorno decideste di seguire il mio consiglio, state attenti alle fregature che alcune case editrici potrebbero propinarvi come “occasioni imperdibili”; consultatene sempre più di una e non lasciatevi allettare dai soldi facili, perché nessuno vi darà niente per niente. Spero presto, di potervi parlare della prossima storia che sto cercando di far pubblicare... ma in attesa, vi lascio i miei contatti nell’eventualità che vogliate comprare il libro o semplicemente per chiedere consiglio, o ancora, per contare su un ottimo “servizio editing” che svolgo ormai da diversi anni. Dea Capisani
Sito web www.deacapisani.it Email utena86@libero.it Sul mio sito troverete tutti i miei
11 Le caramelle uccidono Nel Luglio del 1944 un gruppo di soldati della 26ª divisione corazzata tedesca si stabilirono per settimane a casa nostra. I soldati con me furono sempre molto simpatici. Avevo 6 anni e questi signori tutti seri, che parlavano una lingua incomprensibile e bruttissima, erano ai miei occhi quelli che mi regalavano le caramelle col buco nel mezzo se li servivo a tavola e sorridevo. Ricordo che avevano appeso una “corona” di salsicce in cucina ed un giorno scoprirono che ne era sparita una: l’avevo mangiata io, ma detti la colpa a Mario, il figlio del contadino accanto a casa che era sempre a casa nostra. Succese un putiferio. lo volevano fucilare, poi si quietarono, ma credettero a me, mica a Mario. La mamma me ne dette di santa ragione, io protestavo debolmente, non l’avevo mai vista così furente nei miei confronti. Io credevo che in quelle lunghe canne di metallo che portavano a tracolla ci tenessero le caramelle. Questo spiegava inequivocabilmente perchè le tenessero sempre con sè. Prima che arrivassero i soldati in casa c’era la guerra, si, ma la scuola era chiusa, quindi io, Mario e gli altri bambini che conoscevo eravamo liberi tutto il giorno e per me non era niente male. I bambini sono tremendamente egoisti ed io non voglio dire una bugia: non mi vergogno a dire che fu uno dei periodi più felici della mia infanzia. Eppure durò poco, perchè tutto a un tratto le cose cambiarono. Il babbo sparì, la mamma non mi diceva dov’era e piangeva, piovevano bombe dal cielo e la notte dormivamo tutti insieme nel rifugio scavato nella terra dal nonno. E poi arrivarono questi soldati che però, per quello che può vedere un bambino, non mi sembravano cattivi. Certo, comandavano loro a casa, pochi discorsi, ma questo accadeva anche col nonno, in fondo. Ricordo la mamma che usciva ogni giorno con una cesta di vimini che io sapevo essere per il babbo, lo capivo da quello che ci metteva dentro e dalla cura con cui la preparava. La mamma era sempre agitata in quel periodo, sembrava trovasse pace solo in quel momento. Un giorno come tanti la chiamarono a sè per controllare il contenuto del cestino, lei li guardò e sapeva che avevano capito a chi era destinato, sapevano dal primo giorno che in quella casa mancava un uomo ma era comunque una richiesta strana perchè non gliene era mai importato niente prima di quel pomeriggio. Lei si avvicinò e tolse il panno di cotone che lo copriva. Lo porse ai soldati. Tremava. I soldati lo ispezionarono, poi le lanciarono un sorriso di compassione, di quelli col sangue dei vinti che
12 zampilla dolente tra gli occhi. Abbassarono gli occhi e le fecero cenno di andare. Lei si volse ed a passi svelti s’incamminò. Un nuovo grido la sorprese alla spalle, come una scarica di mitragliatrice. Erano ancora i soldati che la richiamavano indietro. Lentamente scivolò senza peso e senza colpa verso di loro. Le chiesero ancora di aprire la cesta. Obbedì di nuovo e chiuse gli occhi per la paura. Vi posero dentro un pacchetto di sigarette e si voltarono mesti. La mamma aprì gli occhi con cautela e dopo aver fissato incredula il contenuto della cesta per alcuni lunghissimi secondi, si volse a sua volta, impunita verso l’orizzonte. Passarono giorni. I due soldati si alzavano presto la mattina ed io servivo loro da bere e da mangiare per la mia caramella col buco quotidiana. Poi, in un giorno diverso dagli altri, uscii fuori sul prato per stendermi al sole. Li vidi allontanarsi di soprassalto e non capii quella loro fretta selvaggia tra i campi di granturco. Sparirono all’orizzonte, rapidamente. Era il 23 agosto 1944, il giorno in cui fu emesso l’ordine di rappresaglia nel Padule di Fucecchio, dove i tedeschi pensavano che si nascondessero i partigiani che nei giorni precedenti avevano creato grossi problemi alla loro divisione. La disgrazia, tremenda, fu che in Padule c’era si qualche dissidente, ma c’erano soprattutto famiglie intere scappate dal paese fino ai casali e alle capanne dei pastori. Era l’Eccidio del Padule di Fucecchio. Ne ammazzarono 184 in una mattinata. Poi il contrordine, all’altezza di Cintolese, se non ricordo male, un cessate il fuoco dal comando che se non fosse arrivato non avrei mai potuto raccontare questa storia. Io ero a casa con la mamma che piangeva e che quel giorno non riusciva a smettere, poi il nonno rientrò e le disse di andare con lui. Rimasi solo con Mario e il suo babbo ed ebbi paura. A sera i soldati rientrarono in casa e non vollero mangiare. Quella notte li sentii gridare di pazzia, come se stessero bruciando vivi. Si diressero direttamente nelle “loro” camere sconvolti e furiosi, sembravano bestie che stanno per essere ammazzate, come quelle che avevo visto ammazzare dal nonno al casale, con le mani sugli occhi che concedevano una piccola fessura alla vista. Io ero triste per la mamma che piangeva senza darsi pace e perchè quella sera i tedeschi non mi avevano regalato le caramelle col buco. Pochi giorni dopo se ne andarono di notte, senza fare rumore. Non seppi più niente di loro. Ripenso spesso alla mamma che riempie la cesta di vimini e la copre con il panno di cotone, è l’ultima volta che l’ho vista sorridere di speranza. Il babbo era uno di quei 184.
- DNA Vox Populi -
Laboratorio 15