Vox Populi - l'aperiodico della facoltà di psicologia

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Vox Populi l' aperiodico della facoltĂ di psicologia

Torretta ottobre 2012 n° 12

Laboratorio 15


Salve

benvenuta o benvenuto in Vox Populi. Eccoti una bussola per orientarti in questo mare...nelle coordinate qui sotto troverai prima il nome della rubrica che fa da cornice all'articolo, raconto, poesia che vuoi leggere, poi il suo titolo, il suo autore e infine le sue pagine. A te la scelta della rotta o di un piacevole naufragio...

­ a mano libera: I­Phone Club, la generazione in fila di Arturo Mugnai. pagine 0 e 1 ­ a mano libera: OCB di Gaille. pagina 2 ­ a mano libera: Don Chisciotte tra psicopatologia e letteratura di M. pagine 4 e 5 ­ dialogo in Poesia: "1° SETTEMBRE ­ A Margherita", "21MAY" , "13 MARZO ore 3:28" , "13 MARZO ore 7:40" di Simona Falsini. pagina 6 ­ dialogo in Poesia: "SBOCCATO" di Gaille. pagina 7 ­ dialogo in Poesia: "matrioska" di Edoardo Olmi. pagina 8 ­ simbolico open source: Alice, la meraviglia che cambia il mondo di Massimo Orlandi, Polo Ciampi e Lella Costa. pagine 9,10,11 e 12


A mano libera è la rubrica che raccoglie le parole di chi spesso la notte non riesce ad addormentarsi perchè la giornata e la sua vita gli hanno riempito la testa di pensieri ed immagini, di chi rimane in silenzio per raccogliere e scegliere le parole giuste per poi farsi ascoltare/leggere, di chi non vuol rimanere troppo in silenzio perchè gli sembra di perdere la voce...

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I­Phone Club La Generazione in fila

Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né un posto né uno scopo. Non abbiamo la grande guerra, né la grande depressione. Beh quella ce l’abbiamo e se proprio non vogliamo chiamarla grande, chiamiamola grandina, di medie dimensioni, ma comunque fastidiosa. Fight Club non è mai stato così attuale: preferiamo crogiolarci in fila davanti agli Apple Store in attesa di prenderci il nostro I-Phone 5 tanto desiderato. “In fondo me lo merito, me lo sono guadagnato quel TelefonoSparaLaserCheFaLeFotoFigheEFaLaCaccaComeMe… ho lavorato duramente” Ed ecco allora che ritorna Fight Club: tu non sei il tuo lavoro. Ma se non c’è lavoro non ci sono soldi; e allora: tu non sei la quantità di soldi che hai in banca. Siamo dunque rapiti dalla stimolazione mediatica a metterci in fila: per comprare l’I-Phone, per entrare in graduatoria, per poter lavorare. Non saremo una generazione fortunata, probabilmente non siamo nemmeno una generazione di mezzo della storia… siamo la generazione che sta in fila. Questo è poco, ma sicuro. Non avremo dunque la grande guerra né una esagerata depressione, “la nostra guerra è quella spirituale” dice Brad Pitt nel film; può darsi, se non altro la nostra


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guerra è quella per il nostro futuro, ma non quello limitato all’uscita del prossimo I-Phone 6. Ci sono tutti i motivi per essere incazzati: maccavolo si tratta del nostro futuro. Eppure nulla. Siamo sempre in fila. Mai incazzati veramente. Forse siamo ormai abituati alla precarietà e il futuro non riusciamo nemmeno a immaginarlo come concetto. Forse siamo anestetizzati: “finché le Veline ballano, finché la Apple sforna prodotti tecnologici pazzeschi, finché <<In Radio c’è un pulcino…>>… di cosa dovrei mai preoccuparmi?” E’ una canna gigantesca. Un’erba prelibata, che non si compra con gli euro, ma con il nostro tempo. 1 0 mesi al grammo. Ma anche stavolta, se cerchiamo un colpevole non c’è che da guardarsi allo specchio. Non ci sono nemmeno più gli sfattoni di una volta che gridano “Fuck the System”; i più arditi oggi diventano vegetariani o vegani, aprono un bar in Polinesia o, appunto, comprano un nuovo I-Phone. Questi ultimi forse sono i più arditi di tutti: comprando un nuovo I-Phone corri sempre il rischio di ritrovarti un oggetto obsoleto nel giro di pochi mesi. E allora di nuovo in fila. Oh Tyler, vorrei tanto essere malato quanto Edward Norton e vederti apparire qui accanto a me. Arturo Mugnai

dal blog http://isolarturo.blogspot.it/


OCB

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Avete presente i pacchetti di cartine corte per tabacco? In particolare quelli doppi mi affascinano e mi fanno riflettere. La parte superiore e quella inferiore dovrebbero essere separate alla nascita in fabbrica, eppure avviene sempre che verso la fine del pacchetto le due componenti inizino a mischiarsi come le carte in tavola. Sono così incasinate che certe volte fai per prenderle e manca la linguetta che fuoriesce da una delle due fessure; quindi con dito indagante vai a ricercare nel cuore del pacchetto, facendo come fa il chirurgo che cerca l'organo da operare all'interno della cassa toracica. Alla fine riesci a tirarne fuori una con grande fatica, ma ti accorgi alla coda di quella cartina se ne sono aggiunte una, due, tre, aggrappate con somma decisione alla "madre". Quello che all'apparenza sembra confusione e conflitto, non è altro che il terreno fertile per qualcosa di più profondo e co-legante, che ci abbraccia con forza e altri non è che l'amore. Adesso cosa si potrebbe intuire di differenza tra due note case produttrici di cartine corte come la Smoking e la OCB? La Smoking che applica una striscettina di cartone a dividere i due scompartimenti, è evidentemente meno incline all'amore, maniaca del controllo e poco empatica. D'altro canto, la OCB non si cura minimamente di voler separare le due anime di carta, lasciandole libere di legarsi e con-fondersi. E' per questo che mi stanno sul cazzo le Smoking e adoro le OCB. Gaille

dal blog http://variabilecostante.blogspot.it/


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Don Chisciotte tra psicopatologia e letteratura

Tra allucinazioni e disturbi istrionici ecco che arriva Don Chisciotte. si lo so, forse è una banalizzazione da psicologi cercare di inquadrare il nostro amico nel dsm...ma poniamo un momento il caso di essere il suo strizzacervelli e di trovarci di fronte un pazzo, tale Alonso Quijiano, ripescato mentre se ne andava in giro su un cavallo malconcio a prendere a pugni fantomatici giganti in nome di una sconosciuta quanto inesistente Dulcinea. Di certo la nostra valutazione si muoverebbe da un disturbo istrionico di personalità a un delirio con svariate allucinazioni... o forse arriverebbe il Martin Scorsese della situazione e ci farebbe uno "Shutter Island 2" ambientato nella spagna seicentesca. In fondo però gran parte della letteratura, guardandola con occhi nuovi, con occhi clinici risulterebbe lo strano esperimento di un pazzo che gioca con quei tre fili del berretto pirandelliano. Tirando il filo della pazzia viene fuori quel lato di noi selvaggio, primordiale, che non si sottomette alle vincolanti regole della società. In ognuno di noi convivono sempre due aspetti, uno razionale, serio e compunto, dirottato al pessimismo e uno visionario, ottimista. E' quella dualità che, senza sfociare nel bipolare, è essenziale per il nostro equilibrio, ci permette ogni giorno di sopravvivere. La mia indole pseudo letteraria mi porta a guardare l'eroe (o antieroe) di cervantes come l'uomo del sogno, che non si arrende a questa realtà e la plasma poieticamente con la sua fervida immaginazione. Un inetto ante litteram che fa di questa sua inettitudine il trampolino di lancio della sua esistenza. dall'altro lato questa visione porta anche alla vista di un uomo che non vuole affrontare la realtà dei suoi mostri personali e si affida, con malinconia a eroi a lungo agognati. Saltando di palo in frasca mi dirotterei su Botticelli, riferendomi al primo periodo dell'artista quello anteriore al savonaroliano 1 500.. nel primo periodo infatti questo grandissimo pittore fiorentino dipingeva tutti i soggetti sia religiosi che politici utilizzando la storia greca delle divinità. Secondo lui infatti la religione, vista attraverso un'ottica neoplatonica era talmente complicata da non poter essere "capita" direttamente e l'unica chiave di lettura possibile era quella del mito "posto come velo che copre verità".


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Don Chisciotte allo stesso modo leggendo tutti i romanzi cavallereschi prende questi come la chiave di lettura per il mondo a lui contemporaneo, come velo, per scoprire le verità nascoste, come per quelle nuvole che possono essere spostate col caduceo per ammirare direttamente la luce divina. Purtroppo però don chisciotte questa luce divina non riuscirà mai a vederla. il mondo non si rivelerà ai suoi occchi e allora la ricerca continua e esasperata di un mondo nuovo lo porterà a costruirsi un suo mondo, un po' come la DDR del protagonista del film Good Bye Lenin che costruisce una repubblica fittizia per la madre caduta in coma. Una repubblica che finalmente potrà far finire come lui vorrebbe. Don Chisciotte rappresenta dunque quel lato ideale (anche se è dura ammetterlo) di tutti noi, il lato libero di essere inetto e incapace, il lato che può vivere in un sogno... e NON FARCI PRENDERE SUL SERIO NIENTE CHE NON FACCIA RIDERE. M.

dal blog http://rzradiozio.blogspot.it/


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Dialogo in poesia è un mare di ricordi, di gioie e di dolori dove la navigazione non è semplice ma richiede accortezza e follia in egual misura. Se scegli bene la tua anima te ne sarà grata.

Fu malattia ciò che mi diè L'intimo impulso creativo. Creando vidi che guarivo, Creare fu guarir per me.

Heinrich Heine (1797­1856)


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1 SETTEMBRE – A Margherita Margherita che ti hanno fatto? Quando ti hanno portato via le stelle dagli occhi? Da quanto tempo sei sdraiata sul freddo pavimento di questo sperduto ospedale psichiatrico? Margherita Margherita Margherita Margherita

una preghiera la ferita non si chiude alzati ama

21 MAY. ESULTA IL RICORDO NELLE PIU' VIVE TRASCORSE PRIMAVERE QUANDO TU C'ERI E ORA VAI VIA CON I PROFUMI DEI GLICINI

13 MARZO 2012 ore 3:28 SCACCIA LA FOLLIA CHE HA RIEMPITO LA MIA BOLLA DI FARFUGLIAMENTI DELIRANTI CHIEDO PERDONO A ME A TE.. AL MONDO

13 MARZO 2012 ore 7:40 SONO GELOSA DEL MIO OSCURO MALE NEI SUOI ANFRATTI OMBROSI CHE SOLO IO CONOSCO NESSUNO Può TROVARMI LI'.

Poesie e disegni di Simona Falsini


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Sboccato

Dedicata a chi se la merita... Un sincero grazie a tutti quelli che non mi ascoltano. Chiama sempre chiama questo secolo informe di evacuazioni semantiche da cervelli quasi spenti. Ora so che gli spaghetti non li digerisco. Forse farei meglio ad infilarmeli nel culo per venire a cagarti in bocca quanto prima arriva la metabolizzazione. Parli a caso, non lo vedi? Non sarebbe meglio far uscire della bella, calda, merda fumante da quella specie di latrina che hai sul viso? Le parole possono essere cosĂŹ soavi, delicate, libere... Non le rovinare: comincia a cagare! Gaille

dal blog http://variabilecostante.blogspot.it/


8 di Edoardo Olmi

matrioska

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dal blog http://cornadipavone.wordpress.com/

i bond lo spread e le politiche dell’amicizia sono tutti ottimi argomenti per la doccia – persa fra morali indiane e profili casalinghi frotte di neonati dalla carne già imballata per il Paradiso, hai trovato il tuo spazio vitale senza invadere paesi stranieri. §§ fuori c’è un piccolo Stalin azero testa bassa e sorriso di gatto egiziano c’è un Tyson di borgata – dai narcotraffici al posto dei convenevoli, le insegne luminose sono buccole alla vanagloria di un Pigneto butterato. §§§ più avanti Roma è un’accozzaglia di vittorie a seppellirsi l’un con l’altra – sgomitando ognuna il proprio <<io! io!>> al primo banco della Sfinge, come eiaculazioni precoci di entusiasmo in fondo ad ansie da prestazione della Storia.


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A volte mi capita di leggere delle parole che sento mie anche se non lo sono. Come se, finalmente, qualcun'altro fosse riuscito a scegliere le parole giuste per comporre una frase, una pagina, un libro dove leggo qualcosa che mi appartiene: una mia domanda che è la stessa che si pone l'autore, un immagine che è sfocata nella mente o nel cuore e che si schiarisce e si compone di tutti i dettagli grazie alle parole di quella pagina. Citando altri parlo di me stesso e viceversa quindi con "Simbolico Open Source" la volontà è quella di prestare attenzione a questioni che riguardano tutti noi e ad affrontarle con parole e pensieri che colgono al meglio il nostro sentire e possono aprire e svelare illuminanti punti di visa sulla realtà. tratto da: "In tournée con la vita" intervista a Lella Costa in LE PAROLE E IL SILENZIO L'emozione dell'ascolto ­ Fratellanza di Romena Casa Editrice

Alice, la meraviglia che cambia il mondo introduzione a cura di Massimo Orlandi e Paolo Ciampi

Alice. Mi sa che di lei ci vengono in mente più i disegni animati di Walt Disney che le pagine dell'uomo che l'ha creata, quel Lewis Carroll che poi era nientemeno che un logico e un matematico britannico, insomma, un uomo di studi rigorosi piuttosto che di fantasie al galoppo. Capita con gli scrittori, però la cosa conta fino a un certo punto, perché Alice è uno di quei personaggi che vivono di vita propria. Un giorno nascono dalla penna o dalla matita di qualche artista e non si fermano su quel foglio, prendono e se ne vanno in giro per il pianeta come una leggenda che rimbalza di bocca in bocca e ad ogni passaggio si alimenta di idee fresche, di emozioni calde calde. Alice, anzi, per dirla tutta: Alice nel Paese delle Meraviglie. Alice quella giornata di primavera in cui incontra il Coniglio Bianco che corre e borbotta fra sé e sé “E' tardi, è tardi”. Alice che lo insegue e cade nella sua tana e di lì in un altro mondo, dove tutto è al contrario di come dovrebbe essere, dove niente torna e ogni cosa sembra fatta apposta per alimentare lo stupore e sfidare l'incredulità. Alice che non scappa ma si addentra ben bene in questo paese di Cappellai matti e di Stregatti, meraviglia dopo meraviglia. Alice che alla fine viene processata e condannata e sta per essere decapitata, solo che un istante prima si sveglia e allora si capisce che è stato


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solo un sogno: e questa è senz'altro la parte che a tutti piace meno. Quante cose che ci insegna Alice: per esempio la curiosità per questo nostro mondo di ombre e luci, di presenze e di apparenze, per questo nostro mondo che di tanto in tanto dobbiamo andare ancora a scoprire, magari inseguendo il Coniglio di turno; per esempio il fatto che a volte bisogna anche credere a ciò che si vede, perché non si può ogni volta dubitare di tutto, è troppo facile pensare sempre che il Paese delle Meraviglie non esiste e così tenersi il proprio paese. Tanto, credere e persino meravigliarsi non significano indossare comunque i panni dello scemo del villaggio. In inglese si spiega meglio, c'è una parola: “to wonder”, cioè meravigliarsi, ma anche domandarsi. Credere, meravigliarsi, domandarsi. Ma soprattutto credere. Funziona così. E se anche per Alice credere all'impossibile è un problema, magari come le dice la Regina, “è solo una questione di esercizio”. Magari per una volta ha ragione proprio lei, l'odiosa Regina. E io aggiungo: svegliarsi alla fine di un sogni, come capita ad Alice, è già meglio che non sognare perché non si smette mai di tenere gli occhi bene aperti. E' proprio vero: pensare a volte confonde le idee. Sapete, pare che Lewiss Carroll avesse seri problemi all'udito, cosa che forse gli ha consentito meglio di ascoltare altre voci. Pare anche che fosse afflitto da una grave forma di balbuzie – lui la chiamava la sua “esitazione” ­ che lo faceva tartagliare terribilmente con gli adulti. Con i bambini invece riusciva a parlare senza problemi. Difficile dirlo, ma magari è per questo che un giorno nella sua testa ha cominciato a sgambettare una bambina di sette anni, Alice. Una bambina che meravigliandosi ci ha trasmesso quella meraviglia che tutti faremmo bene ad avere. Fosse anche solo per immaginarsi la possibilità di un altro mondo. E fosse anche solo un mondo alla rovescia. Lella Costa Questo testo è veramente straordinario e ammaliante. Lavorando su di esso ti rendi conto dei tanti luoghi comuni in cui si incappa. Per esempio dici: “la meraviglia sta negli occhi di chi guarda”. Per carità sarà anche vero, però è una frase che ti limita perché ti porta a pensare che la meraviglia non esista. Invece quello che ci insegna Alice è non


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solo che la meraviglia e le meraviglie esistono, ma che bisogna imparare a riconoscerle. Alice non è una ragazzina portata la surreale, è piena di buon senso, ha i piedi piantati per terra, è femmina , è dalla parte solida del mondo, però quando ad un certo punto dice alla regina: “Non si possono credere le cose impossibili”, questa risponde: “Mia bambina, è solo una questione di esercizio,io alla tua età mi esercitavo mezz'ora al giorno e riuscivo a credere a sei cose impossibili prima di colazione”. Genio puro. In Alice sono entrate una serie di cose quasi da psicoanalisi, perché ogni volta che io mi baso su un libro, su un testo, su un classico per fare uno spettacolo c'è sempre una piccola frase: ed è quella che per me vale tutto. Nel caso di Alice non era tanto: “sei cose impossibili prima di colazione” ma una frase che dice un'altra regina: “Avresti dovuto vedere il tempo che c'era ai miei tempi”. E' una frase che mi ha colpito, ho pianto credo 24 ore di seguito, perché mi sembrava che fosse un punto cruciale di una storia recente, magari personale ma anche ampiamente collettiva di una o più generazioni che non a caso hanno avuto Alice come nome, simbolo e metafora. Pensiamo a quella che era Radio Alice negli anni Settanta a Bologna, che si chiamava così non a caso, con quegli slogan meravigliosi come: “Non faremo un passo indietro neppure per prendere la rincorsa”. Avere avuto Alice come guida metaforica ci ha portati davvero a credere che il nostro tempo, il tempo anche della nostra storia, fosse un tempo eterno. Il tempo di Alice è circolare, torna su se stesso, non finisce mai. Lei ha sempre sette anni e sei mesi, lei affronta qualunque avventura, va a vedere tutto, scopre qualunque nuovo territorio: e questo è stato il grande sogno che ci ha coinvolti. A un certo punto però il tempo che c'era non c'è più, e con questo bisogna fare i conti. Il tempo che è stato non è un tempo eterno, bisogna muoversi. Penso a una generazione come la mia, che ha preso alla lettera, non so quanto consapevolmente, alcuni temi di Alice; per esempio il fatto che in Alice il viaggiare non è mai per raggiungere una meta, è solo il gusto del viaggio in sé. Che è una cosa bellissima ma che a un certo punto, però, finisce per portarti senza arrivare. O per esempio, l'insofferenza per qualunque forma di costrizione, qualunque forma di coercizione ma anche di convenzione sociale, tutta questa possibilità infinita di libertà che però non siamo riusciti a concretizzare. Quello che mi ha colpito in questo lavoro è che io sono partita dal tempo che c'era ai miei tempi e sono arrivata al fatto che c'è un tempo per ogni cosa.


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Mentre scrivevo Alice e piangevo parecchio in preda a timori, andava molto una canzone di Vasco Rossi, quella che fa “voglio trovare un senso a questa vita anche se questa vita un senso non ce l'ha”, e ho pensato: questo qua, venti e passa anni fa, cantava “voglio una vita spericolata” e adesso canta “voglio trovare un senso a questa vita”. Forse anche lui è passato per l'Ecclesiaste, anche se è meglio non dirglielo... Ho pensato allora che era proprio il momento giusto per dire questa cosa. Alice per me è stato lo spettacolo più difficile, meno caldo per certi versi, che mi ha permesso di toccare due temi per me fondamentali. Il tempo ma anche l'infanzia, rispetto alla quale si dicono tante cose e forniscono immagini in cui forse ci fa piacere credere. Immagini protettive, garantiste, patinate, mentre poi il mondo dell'infanzia oggi è agghiacciante. A un certo punto dello spettacolo c'è una ballata nata grazie al genio di Stefano Bollani. I dati che vi ho inserito sono di una rapporto dell'Unicef sull'infanzia nel mondo. Dicono che in Italia esistono almeno mezzo milione di bambini costretti a lavorare tra i 7 e i 14 anni, che negli ultimi 10 anni di guerra sono morti 2 milioni di bambini, che a causa della guerra, nei prossimi anni, 40 milioni di bambini resteranno orfani. Sono cifre da altro mondo, da mondo alla rovescia; prima di colpirti per il dolore ti colpiscono perché sembrano folli, surreali. Sembrano venire dal Cappellaio Matto. Quello di Carroll è un metodo per alludere, per fare intravedere squarci di mondo senza la denuncia, la retorica, però, usando la sottile arma del contrasto ironico tra le cose che si dicono e il modo in cui sono dette. Una grandissima lezione, anche di teatro.


­ DNA Vox Populi ­

Quello che hai letto o semplicemente sfogliato e ora hai fra le mani (o sullo schermo se stai leggendo online) è il giornale, anzi no, meglio l'APERIODICO degli studenti di Psicologia di Firenze! Più precisamente è un contenitore cartaceo e virtuale aperto a tutto e a tutti per condividere conoscenze, impressioni e opinioni oltre a racconti, poesie, disegni, esperienze personali ecc.. Scrivi, componi, crea, distruggi, disegna e se lo desideri invia tutto all'indirzzo mail:

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Qualche nota di carattere tecnico... Il numero di caratteri (times new roman 12 ­ senza interlinea compresi di spazi) per una pagina è di circa 3200, senza contare titolo e sottotitolo, in questo caso i caratteri diventano circa 2700. Sono ben graditi anche disegni e/o vignette e/o fumetti in formato jpeg, sia in bianco e nero che a colori. A presto! Altri contatti: email psipervendetta@gmail.com blog http://psipervendetta.blogspot.it/ facebook Collettivo LaboratorioQuindici

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