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Per amore del mio popolo

Quaderno di

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PER AMORE DEL MIO POPOLO

Marisa Diana

Marisa Diana

vice-presidente Coord.Campano Parlare di mio fratello a tanta gente per me non è facile, per motivi facilmente intuibili. Quello che per gli altri era don Giuseppe Diana per me erra Pè, non c’era neanche bisogno di finire la parola per dire Peppe. Per lui io non ero Marisa, la “ninnella”. Potete immaginare lo sforzo grande che mi costa parlare di mio fratello per i ricordi sempre chiari, nitidi che mi vengono alla mente e che mi si fanno presenti. Rievocare mio fratello, il suo impegno, la sua attività, la sua azione per il cambiamento mi provoca molte emozioni. Qualcuno crederà che io stia a rievocare la memoria di un morto, le azioni di una persona lontana che, quasi vent’anni fa, è stata assassinata da alcuni camorristi. Chi pensa così, si sbaglia di grosso. Mio fratello per me, e credo per tutti i familiari, gli amici veri, gli scout, per tutti quelli che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, è una presenza viva ed attuale. Vi sembrerà strano, ma nessuno di noi parla di Peppe come di una persona che non c’è più.

Peppe era un uomo di fede ed un sacerdote normale. Un parroco con tutte le responsabilità che l’esercizio di questa incombenza richiede. Quelli che hanno avuto modo di conoscerlo e di lavorarci insieme ne hanno potuto apprezzare l’0attivismo, la generosità e, soprattutto, il coraggio. Vorrei però chiarire a scanso di equivoci, che non stiamo qui parlando del coraggio dell’eroe che decide di immolarsi per gli altri. No !. Parliamo del coraggio della normalità nel quotidiano, di cui c’è tanto bisogno per vivere e continuare la battaglia e la lotta per il riscatto del nostro territorio e del popolo che, oramai, anche i media nazionali chiamano “casalesi”, con un significato negativo. Casalese, cittadina abitante di Casal di Principe sono anch’io, come mio fratello e come gli altri abitanti onesti che non hanno niente a che vedere con la matrice camorristica.

Siamo incompatibili !. Una minoranza criminale e camorristica non può decidere il futuro e il destino di un intero popolo, non possiamo permetterlo per amore dei nostri figli. “Per amore del mio popolo” … come ha sostenuto mio fratello. Peppe è diventato per me, il metro di misura di una chiesa che adesso pare risollevarsi. Per tanto tempo la nostra non è stata una Chiesa profetica, impegnata a fianco degli emarginati, degli ultimi, delle vittime dell’ingiustizia, della camorra, dei poteri forti. Per troppo tempo la chiesa, dentro la quale siamo nati e rimaniamo, è stata più

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di facciata che di sostanza. I nostri pastori, i nostri preti e noi stessi, come credenti, siamo stati testimoni tiepidi, indecisi, spesso impauriti. Abbiamo preferito giocare in difesa, senza esporci. Blindati dentro i nostri edifici di culto, le nostre grandi chiese, belle e protettive.,

Dalle quali Peppe intendeva farci uscire. Aveva intuito, più di vent’anni fa, che dovevamo rimboccarci le maniche e ai tanti baci, bacetti, genuflessioni dovevamo sostituire la responsabilità, il lavoro, l’incontro e la testimonianza fuori dalle sacrestie. Per questo era molto impegnato con i giovani, con i suoi scout ed i movimenti, sia a livello locale che nazionale.

“Per amore del mio popolo” fu divulgato nel Natale del 1991. Sono passati ventuno anni ma vi invito a rileggerlo oggi. Risulta ancora attuale, fresco come se fosse stato scritto ieri. Le preoccupazioni di cui parla, più o meno, sono rimaste le stesse. C’è stato sì un impegno delle forze dell’ordine e della magistratura che hanno decapitato l’organizzazione camorristica, ma ciò che manca ancora è innanzitutto una azione culturale efficace e dirompente per combattere il cosiddetto “brodo di cultura”, che origina ed alimenta la mentalità camorristica.

Per riattivare la dinamica della società c’è bisogno di concrete proposte di sviluppo che attivino meccanismi virtuosi e coinvolgenti i quali portino all’occupazione e alla possibilità di un lavoro, soprattutto per i giovani, a cui è spesso rubato il futuro.

Salerno, ottobre 2013

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