Settembre Ottobre 2012 v. 4 # 5 Prezzo Copia 12 euro - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/04 n째46) art.1, comma 1, LO/MI
Storie La donna che vinse NewYork e Jungfrau
+Passione Tor Photo Gallery
Il sottile confine
Un incredibile reportage di viaggio
X.RUN
Storie di corsa
2012 settembre / ottobre [v. 04 # 05] volume 4, numero 5
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Come un sogno diventa progetto
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« 25 NUMERI DI X.RUN STANNO IN BEL ORDINE SU UNO SCAFFALE DELLA MIA LIBRERIA »
orrei, per una volta, non usare questo spazio per commentare un fatto o per raccontare i motivi di un singolo numero di X.RUN, ma piuttosto provare ad allargare lo sguardo e raccontare come un desiderio si trasformi in sogno e poi in progetto. E come, anche in questo mondo incasinato, le tessere del puzzle trovino la loro strada quasi da sole. Nell’estate del 2008 siamo andati a Chamonix e abbiamo presentato il primo numero zero di X.RUN. I mesi precedenti erano stati dedicati a mettere a punto il progetto editoriale, a creare il giornale, a scegliere gli articoli. Da quel momento abbiamo prodotto 25 numeri di questo libro-rivista, abbiamo corso migliaia di chilometri, abbiamo pubblicato storie o immagini di centinaia di persone, abbiamo sperimentato decine di diversi tipi di gara. Come inizia? Il motore primo è la passione che ancora oggi ci spinge. La passione per la corsa e per l’attività fisica all’aperto. Poi c’è stata un’intuizione, siamo convinti che chi corre ha voglia di raccontare le proprie storie e di ascoltare quelle di altri. Crediamo di poter raccogliere tutte le emozioni in un libro e lo facciamo ogni due mesi. Naturalmente passione e intuizione hanno avuto bisogno di fede, credere in noi stessi e nel progetto. Ma tutto questo non avrebbe senso se non ci fosse la tenacia che è una caratteristica richiesta ai corridori di lunga distanza. Vi sono momenti difficili in ogni gara, in ogni avventura, in ogni vita, ma sfogliando la collezione di X.RUN che tengo nella libreria alle mie spalle, osservando semplicemente le copertine di tutti i numeri passati o anche adesso rileggendo queste poche righe mi si rinnova la voglia di continuare perché le storie che raccontiamo sono prima di tutto fonte di ispirazione, ispirazione a correre, a provare nuove esperienze, a tornare con rinnovato vigore su un progetto, un’idea. X.RUN e le storie in esso contenute sono un unicum indissolubile per cui non so a chi dare il merito, ma fino a quando continuerete a correre noi FRANZ ROSSI editore continueremo a raccontare le vostre storie.
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X.RUN La rivista è edita da Tribù Astratte s.c.ar.l. Sede legale: via Dante, 7 - 34122 - Trieste Redazione: via Viganò, 8 - 20124 - Milano Direttore responsabile Franco Faggiani Redazione Daniela Banfi, Franz Rossi
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4 La testata è stata registrata presso il Tribunale di Trieste nr. 1179 del 14/08/2008
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Stampa: A.G. Bellavite Missaglia (LC)
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INDICE
L’Editoriale 3 Editoriale
COVER 10 Tor des Géants: lo specchio dell’anima di Franz Rossi Evento clou della stagione del trail italiano, giunto alla sua terza edizione, catalizza l’attenzione dei trailers e del grande pubblico. Cerchiamo di comprendere i motivi che lo rendono un qualcosa di così speciale.
MITO
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22 La storia di Franziska tra le montagne e New York di Franco Faggiani Esplorando i sentieri sotto la parete Nord dell’Eiger ci imbattiamo per caso nel ricordo di una giovane runner capace di vincere nello stesso anno la maratona più famosa del mondo e la Jungfrau Marathon.
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RUNNING
34 La gente, le valli, la gara e tu... di Giorgio Cambiano Storie di Tor [INTRO]: Iniziamo a viaggiare all’interno della gara, scopriamone i particolari attraverso il racconto di un siciliano.
40 Il TOR-mentone di Franco Faggiani Giochiamo un po’ con il suffisso Tor e attraverso il gioco raccogliamo altri particolari sulla gara
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48 L’importanza di essere 100 di Mauro Olivero Ha partecipato al Tor 2011 e ci racconta la sua gara, a partire dalla decisione più sofferta: mettersi in cammino anche se non si è pronti.
58 Tu chiamale se vuoi emozioni di Franco Faggiani Al termine del Tor abbiamo reincontrato i sei debuttanti che avevamo intervistato prima della gara. Ecco, direttamente dalla loro voce, com’è andata.
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66 Una spinta in più
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V Indice
di Franz Rossi Qual’è il motivo per cui si corre il Tor des Géants? Le storie parallele di due concorrenti che hanno corso per una causa: Tiffany e Federico.
80 Photo Gallery: Il confine sottile tra Trail e Natura di Anna Montalbetti Una giovane fotografa debutta su X.RUN con una serie di scatti che esplorano il mondo del trail.
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86 Fuori dall’Uscio / Londra: A spasso per Hyde Park di Stefano Medici Esattamente un anno prima delle Olimpiadi, Stefano era a Londra con un progetto per preciso: visitare lo splendido parco della metropoli inglese. Come? Di corsa, naturalmente.
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92 Toccare il cielo con un dito di Francesco Girotti A Canazei per prendere parte ad una delle gare in montagna più celebri, la Dolomites SkyRace. E per non farsi mancare nulla, anche i ragazzi portano in fondo le loro mini race.
100 Provati per voi: E quindi uscimmo a riveder le stelle a cura della Redazione Inauguriamo da questo numero un micro osservatorio su alcuni prodotti che per le loro caratteristiche o per quelle dei loro produttori hanno attirato la nostra attenzione.
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LOGOS
104 Intervista a Fabrizio Pistoni:
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Il limite e la consapevolezza di Andrea Busato Intervista con l’autore di “Elogio del limite”, lo splendido libro scritto dopo la partecipazione al Tor 2010 di Fabrizio Pistoni.
114 Il legionario
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di Franz Rossi Una storia raccontataci con il cuore in mano, così tragica da sembrare la trama di un film. Abbiamo deciso di pubblicarla lasciando al vostro giudizio la ricerca della verità.
124 Instamatic Da punta Fanfalo a punta Sottile di Filippo Castiglia Ancora flash dalla Sicilia, brevi immagini dalle tinte forti che evocano in noi sensazioni. Una forma speciale di haiku.
126 Il lato oscuro della corsa A.Biker risponde a G.Runner: Noi siamo i veri sportivi di A.BIKER Il diario del dissidente dell’ultimo numero ha acceso le polveri e un ciclista difende animatamente le ragioni della sua categoria. 9
132 Il lessico del podista
136 Recensioni
Questo numero speciale di X.RUN è così pieno di articoli da non lasciare spazio alle pagine degli Autori. Ci preme però segnalare che la maggior parte delle immagini di questo numero sono di: Mirko Mottin, Anna Montalbetti (che ha scattato anche la copertina) e Manuela Restagno.
V Indice
di Mauro Creatini Continua il nostro personale dizionario di termini “normali” imprestati al podismo e liberamente reinterpretati per noi da Mauro Creatini.
TG D lo specchio dell’anima
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Sarà che ormai ci abbiamo fatto l’orecchio, sarà che ce ne sono ancora tante in giro, ma basta muoversi di poco fuori casa ed ecco materializzarsi delle Storie di corsa. Questa volta nelle sembianze di una giovane runner svizzera capace di vincere nello stesso anno la JungFrau Marathon e la maratona di New York
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“ IL TRAGUARDO È LONTANO, LA MIA VOLONTÀ È GRANDE Franziska Rochart Moser
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M La storia di Franziska
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A far la parte del leone di questo numero è certamente il Tor des Géants e tutte le sue diverse sfumature. Ma troverete anche molto altro, dalle corse a Londra per arrivare alla Dolomites SkyRace, un classico di queste gare che sfiora il Pordoi, sale al Piz Boè prima di ridiscendere in quel di Canazei. E poi c’è una nuova rubrica...
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“ C’È MOLTO AMORE IN QUESTA GARA. E IO L’HO SENTITO SULLA PELLE. Francesca Canepa
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Storie di Tor / #01
Il Tor-mentone
testo di Franco Faggiani foto di Autori Vari
Tor-mento. La partenza dei 650 pionieri alla conquista della Val d’Aosta e della loro anima è alle 10 del mattino ma già alle 5 nell’edificio s’avvertono scricchiolii sulle tavole del pavimento, mormorii, colpi di tosse, frasi sommesse («Ma non sei ancora pronto?» - «Ma se mancano cinque ore!»), cigolii di finestre («Il tempo è buono»), ante che sbattono, sacchetti di plastica che sfrigolano, cerniere che si chiudono e si aprono a mitraglia, sciacquoni fuori orario. È il brulichio dei concorrenti che diventa terremoto.
R Il Tor-mentone
«I’ve seen things you people wouldn’t believe…» Tradotto: ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi… Avrei voluto cominciare cosi, con l’incipit della famosa frase del replicante Roy Batty, quello di Blade Runner. Pensavo sarebbe stato un buon inizio per raccontarvi il Tor des Géants 2012 in maniera a dir poco epica. Poi, rigirandomi nel letto all’alba del giorno della partenza, lì a Courmayeur, m’è venuta in mente la prima parola (e in una settimana altre ancora).
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Tor-mentone. Quello dei Beuffon, le maschere di Courmayeur. Saltellano da tutte le parti coi loro suoni di campanacci, i cappelloni neri coi pennacchi e i lunghi nastri colorati. Solo che a volte lo fanno nei momenti meno opportuni. Come al momento del via, tutte lì a correre proprio davanti agli obiettivi dei fotografi e dei cameramen, in uno spazio ristretto. Impedendo in tal modo di far fare foto e riprese decenti della partenza. Alcuni reporter hanno promesso di abbatterle, l’anno prossimo, a colpi di cavalletto. Tranne quelle indossate dai bambini, si capisce.
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Tor menta. C’è stata davvero, specie sul Malatrà, a quasi 3mila metri d’altezza, a sole quattro ore dalla linea d’arrivo ufficiale. Poi è venuto il sole ma il vento aveva già lastricato di lucido ghiaccio la montagna. Costringendo gli organizzatori - come avevano fatto anche per una frana di pietre nel tratto intermedio - a variazioni di percorso e a imporre ai concorrenti qualche sosta più lunga del previsto, fino anche ad accorciare il tracciato di 27 chilometri. Saggissima decisione, molto apprezzata, perché la chiave del successo del Tor, al di là dei bei paesaggi e dell’accoglienza, è portare i concorrenti a chiudere l’avventura senza un graffio (anche se con le vesciche e le unghie rotte, ma questo non dipende dagli organizzatori). Tor-pediniera. Nave relativamente piccola e veloce in grado di affrontare le potenti corazzate sfruttando la sua maggior velocità e agilità. Torpediniera dunque si addice alla perfezione al vincitore di questa edizione della lunga galoppata valdostana, Oscar Perez, trentanovenne aragonese, di professione elettricista. Il suo paese è davvero minuscolo – appena 26 abitanti - piantato tra due laghi montani, in mezzo ai Pirenei, con il confine della Francia a 16 chilometri. Un posto dove ognuno se la deve cavare da solo, pur potendo contare sulla solidarietà degli altri (a trovarli, però!). Perez, aria da ragazzino, accompagnato a Courmayeur da Montse, la sua giovane moglie che è rimasta sempre defilata, è diventato il nuovo idolo (anche delle signore locali e no) non solo per l’aspetto, la vittoria, ma anche per la modestia. Ha corso, come sempre, senza sponsor e senza staff d’appoggio. Ha fatto tutto e sempre da solo. Durante le premiazioni, tra lacrime di commozione, ha consegnato il suo trofeo a un pimpantissimo, elegante montanaro valdostano di 82 anni che, pur senza averlo
mai visto prima lo aveva accompagnato lungo il percorso per oltre un’ora, al buio pesto di una notte segnata da sintomi di sconforto. Raccontandogli una favola: quella di un lupo solitario che tiene duro contro la fame e le avversità e non molla mai. È stato quel montanaro e la sua favola a spingere Perez fin sul traguardo. Tor-tellini. Quelli che idealmente, ma non solo, vorremmo trovare l’anno prossimo nelle basi vita. Questo per dire che il menù del Tor non è buono, è buonissimo; c’è stata pure gente che, nonostante lo sforzo fisico e lo stress da prestazione, ha preso tre chili. Ma penne e brodo, formaggio e mocetta, prugne e uvetta per sei giorni, alla fine fanno venir voglia di qualche alternativa. Tor-te. C’erano anche loro. Ogni paese la sua ricetta. Squisite.
Tor-to. Quello che hanno avuto coloro che hanno lamentato disfunzioni telematiche. Ci sono stati effettivamente alcuni problemi, poi risolti, al sistema informatico, attribuiti al sovraccarico di contatti, ma dopo dieci secondi essere già lì a scrivere su FaceBook «È inammissibile!» in carattere maiuscolo per evidenziare ulteriormente l’inammissibilità, è stata, per dirla alla Montalbano, una minchiata. Se fosse capitato un blackout come in India chissà cosa avrebbe scritto la gentile sostenitrice a distanza. Torto anche per chi ha dichiarato che non c’erano le bandierine lungo il percorso (tiritera di tutti gli anni). Magari il vento può averne buttata giù qualcuna, ma le bandierine c’erano eccome. Comunque se si mettesse una segnaletica fissa nei punti cruciali,
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R Il Tor-mentone
Tor-imo. Insetto “imenottero calcidido”, parassita di altri insetti che si sviluppano nelle mele e in altri piccoli frutti. Sarà stato lui, chissà, ad aver fatto venire il cagotto a diversi concorrenti? Anche due dei favoritissimi, gli elvetici Marco Gazzola e Jules Henri Gabioud (vincitore dello scorso anno), sono stati colpiti da mal di pancia e si sono dovuti ritirare già dopo la prima giornata. Differenza tra lo “svizzero italiano” Gazzola e lo “svizzero francese” Gabioud: il primo è rimasto per la Valle tutta la settimana facendo stratifo per tutti e dando pure una mano, con un ironico cartellino addosso con scritto “bubu al pancino”, il secondo è sparito subito dalla circolazione e non s’è più visto.
ai crocevia più importanti o a quelli più fuori mano, sarebbe un bene, soprattutto per chi - turista - vuole ripercorre poi in altre stagioni i veri sentieri del Tor. Tor-tura. Per chi ama la corsa in montagna, l’avventura, la voglia di esplorare e non era in gara ma solo a guardare. Solo in questo caso tortura è legittimata a far rima con invidia. Erano molti “gli invidiosi” lungo il percorso, anche di notte e fin sui colli più alti. Amici, fans, runner di varie generazioni, mogli e fidanzate preoccupate (il che introduce un altro termine, Toro, inteso come termine giuridico usato nelle cause di divorzio a indicare la separazione di letto), escursionisti della domenica, curiosi in scarpette bianche di Prada inzaccherate nelle piatte cacche delle mucche. Magie del Tor.
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Tor-ri. Di guardia, d’avvistamento, di sostegno. Definitele come vi pare, ma torri sono stati i 1200 volontari che hanno supportato (spesso anche sopportato) i concorrenti e i loro assistenti. Giorno e notte. Al caldo e al gelo. Incrollabili. Tutti bravi, bravissimi, come al solito. Un applausino in più lo riserviamo comunque a quelli della minuscola Valgrisanche, perché lì è il primo posto-vita e i concorrenti ci passano tutti e dunque superlavoro continuo, e a quelli di Saint-Rhémy-en-Bosses che, in poche ore notturne, hanno saputo trasformare un semplice punto-ristoro in un accogliente e vivacissimo traguardo finale. Tor-pedoni. Sforzo in più dell’organizzazione che ha dovuto metterli a disposizione, in buona quantità, degli oltre 300 concorrenti arrivati a Saint-Rhémy-en-Bosses, ultimo, piccolo paese valdostano prima del Gran San Bernardo, per riportarli a casa, a Courmayeur. Anche in questo caso le “giacchette nere” (quelli dell’organizzazione in giubbotto peloso Montura) hanno saputo cavarsela egregiamente. Tor-sione. Del ginocchio, della caviglia, dell’alluce. Danni, per una gara del genere, che potremmo definire di ordinaria amministrazione. Gli infermieri hanno lavorato al meglio, medicando, aggiustando, sorridendo, tranquillizzando. Nessuno si è fatto male “veramente”.
Tor-cia. Intesa come lampada frontale. Anche quest’anno abbiamo trovato un sacco di pilette “esauste” (perfino loro!) buttate lì sui sentieri. Corridori del Tor, per favore, i sentieri, gli ambienti e gli animali che ingeriscono le mini batterie a stilo non sono roba vostra. L’anno prossimo vi meritereste la torcia vera, quella di rami imbevuti nella resina. Se non fosse che potreste facilmente provocare incendi. Tor-nado. Termine che ben si addice a Gabriela Monti, per quando riguarda la volontà, la grinta e la tenacia (non certo l’andatura, ovvio). La ragazza ha chiuso il Tor e solo una settimana prima di partire da Courmayeur aveva chiuso la Petite Trotte à Léon, gara del circuito UTMB, altri 300 chilometri in autonomia totale, senza tracciati segnati, e con un clima da tregenda. Insomma, fatte le somme, in tre settimane si è sciroppata oltre 600 km e 46 mila metri di dislivello. Come andar su e giù dall’Everest tre volte di fila. Partendo dal livello del mare. Monti un po’ di mare se lo meriterebbe proprio.
R Il Tor-mentone
Tor-no. Torno, naturalmente, l’anno prossimo. Magari, chissà, correndo il Tor. Perché è bello tener stretti i sogni, me se poi non provi a realizzarli rischiano di morire soffocati.
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“ IN QUESTI MOMENTI IL REPLAY NON ESISTE. SE TI PERDI QUELL’ATTIMO, È ANDATO. Andrea Tropiano
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R Il Tor-mentone
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Storie di Tor / #02
L’importanza di essere 100
testo di Mauro Olivero foto di Autori Vari
Ma che allenamento ci vuole per fare una gara che dura una settimana giorno e notte?
R L’importanza di essere 100
In una non meglio precisata data e ora del settembre 2011 di colpo vengo colpito da una nuova consapevolezza: «Accidenti l’11 c’è il Tor des Géants, e io sono iscritto…» E da qui inizia tutta una serie di dubbi. Vado su domenica mattina o sabato pomeriggio? Ma che ci vado a fare poi? E tutti gli allenamenti mancati? Già gli allenamenti. Ma che allenamento ci vuole per fare una gara che dura una settimana giorno e notte? Quanti chilometri? Ce ne sono 332 da fare, ma non ho termini di paragone, quanto sono lunghi? Da dove iniziano e dove finiscono? La gara è un anello, si parte e si arriva a Courmayeur, ma in mezzo? E poi sono 24.000 mt. di dislivello positivo e altrettanti di negativo, cioè, tanto per fare un paragone vicino casa, 24 volte da Albisola al Monte Beigua e ritorno, e io non credo di esser salito 24 volte al Beigua in tutta la mia vita! Bene, quindi l’unica cosa saggia da fare è rinunciare... Però c’è un iscrizione fatta e una maglia ricordo da ritirare, e poi a casa le figlie che dicono di andarci o farla finita con questa lagna! Penso che neppure Cesare sulle sponde del Rubicone abbia ponderato tanto una decisione prima di pronunciare la celeberrima frase alea iacta est. Decido alfine di partire sabato per poter riposare la notte in albergo dall’amico Maurizio, arrivo a Courma in serata giusto in tempo per il tradizionale pasta party, passato in ottima compagnia con Giò62 [è il nickname di Giovanni Mastropaolo da Rovereto NdR] e altri amici; poi torno in albergo e impiego un’ora buona a fare e disfare il borsone che
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Superiamo il bosco e saliamo sui prati dove corre libera una mandria di cavalli allo stato brado
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secondo gli organizzatori ritroverò alle sette basi vita del percorso. Ecco, il percorso, lo conosco solo fino al rifugio Deffeyes per aver corso i 100km del Grand Trail Valdigne, una distanza ragionevole, quindi, seguendo una logica tutta mia, nello zainetto col materiale obbligatorio porto solamente il road book delle due prime tappe, che prevede l’arrivo a Cogne.
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Primo giorno Alla partenza i battiti del cuore cominciano a salire alti come la musica e le parole dello speaker e, senza quasi rendermene conto, iniziamo a corricchiare tra due ali di folla urlante: Courmayeur si prodiga a salutare i partecipanti a questa follia che è il Tor; il sole è alto mentre la pioggia, è prevista in serata… ma per adesso non pensiamoci, avremo tempo lungo la strada per temerla e affrontarla adeguatamente. Destinazione Col d’Arp: superiamo il bosco e saliamo sui prati dove una mandria di cavalli allo stato brado si diverte a incrociare il serpentone. Al colle risuonano i campanacci, in breve lo superiamo: meno uno. Dopo La Thuile saliamo in fila indiana al rifugio Deffeyes dove troviamo, un panorama mozzafiato sul Rutor e un discreto numero di commensali al ristoro; mangio qualcosa e poi mi avvio verso il Passo Alto. Il cielo plumbeo non promette nulla di buono, si prosegue in discesa verso l’alpeggio di Promoud, dove raggiungo Giò62. Scende la prima pioggia, l’orologio segna le 18:00. Qualcuno a Courma aveva previsto acqua proprio dopo le 18: un altro con posto da metereologo assicurato. Salita al Crosatie… bella tosta con la pioggia e i lampi che fortunatamente sono ancora distanti; inizio ad aver freddo, lo stomaco comincia a farsi sentire, ho la nausea; pietre nere, cielo nero e umore nero. Ma dove vado? una lunga discesa che non ricordo molto bene mi porta a Planaval e, in falsopiano, fino a Valgrisanche: prima base vita! La gioia di aver raggiunto la base vita fa a cazzotti con la sgradevole sensazione di essere al capolinea dell’avventura: lo stomaco in subbuglio, la stanchezza di una prima giornata così così. Faccio due conti, il cancello è domani alle 6, sono neanche le 23. Vado a dormire, vediamo che succede. Dopo essermi svegliato due volte con la nausea, finalmente alla terza volta mi sento bene. Incredulo mi alzo pian piano, come se fossi un vaso di cristallo e mi rivesto per partire. Sto bene! Adesso è frenesia, mangio della pasta, fuori piove a dirotto ma non mi importa, so che domani sarà sereno, avrò tempo per asciugarmi. Incontro Giò62 che medita il ritiro per guai al ginocchio; provo a persuaderlo a ripartire, ma evidentemente non sono troppo convincente; esco, sono le due passate, piove ma sto bene e sono sveglio. Secondo giorno Allo Chalet Epèe bevo un the caldo (o era un caffè?), il Col Fenetre è superato di buon passo e mentre scendo verso Rhèmes la pioggia cala fino a cessare del tutto, è già giorno quando arrivo in paese, le case immobili nel verde e nella
Terzo giorno L’alba e la luce del sole mi fanno letteralmente saltare il ristoro successivo, arrivo al tendone di Chardonnay e da lì a Pontboset, dove affrontiamo un tratto di asfalto, lungo il quale vengo affiancato da un francese di Evian che
Mi vergogno un pò, saluto e mi lancio letteralmente fuori sotto una volta disseminata di stelle
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R L’importanza di essere 100
bruma mattutina sembrano un’immagine uscita da un libro di favole. A fianco al ristoro c’è un locale con delle brande e ne approfitto per 15 minuti di sonno, non uno di più. Colazione abbondante e si riparte, lo stomaco è a posto, il sole fa capolino dalle vette ed ho di nuovo una salita da affrontare fino ai 3003 metri del bellissimo Col Entrelor da cui scendo, in tempo per l’ora di pranzo, a Eaux Rousses, ristoro e altri 15 minuti di branda, stavolta in una stanza adibita a dormitorio con letti a castello, i miei compagni di pennichella sono tutti spagnoli evidentemente viaggiano in gruppo. Io non ci riesco (troppe variabili) dimostrando la mia vera natura di “orso”. Riparto rinfrancato dal “riposino” per attaccare la salita al Col Loson, che con i suoi 3298 mt. è il tetto del Tor. La prima parte della salita avviene sotto un sole cocente, fino alla casa del guardiaparco. L’ampio vallone che segue, a ricordarci che siamo nel cuore del Gran Paradiso, ci incanta con mandrie di stambecchi al pascolo (sembra incredibile, ma è così!) La salita prosegue con ampi tornanti e uno strappo finale. È interminabile. Finalmente scollino e sotto un cielo blu come non l’avevo mai visto affronto la discesa. Ormai all’imbrunire raggiungo il rifugio Sella, anche se la stanchezza si fa sentire decido di non fermarmi: la prossima branda sarà a Cogne, il mio traguardo “possibile”, le mie colonne d’Ercole prima del resto del viaggio. Non ho il road book, so che devo arrivare a Donnas e poi risalire la Valle d’Aosta fino a tornare a Courmayeur. Ma questo domani, intanto mi gratifico con una bella doccia e un lauto pasto, mi infilo sotto le coperte e al risveglio si vedrà. Il mio “neurone” riposa, ma non dorme, pensa, si sveglia, mi sveglia e mi forza a ripartire, stranamente fresco e riposato, a riprendere la strada. Raccolgo al volo una cartina dell’organizzazione per vedere dove mi porterà l’avventura. Cambio anche scarpe (quelle che indosso si sono letteralmente sfasciate e i talloni bruciano) metto le mie gloriose “pantofole” Trabuco con tanto di suola consumata e buchi che sembrano il groviera, lascio la base e per la prima volta controllo la posizione di classifica 227°… però! Prossimo paese Lillaz, non è ancora mezzanotte, qualche impavido ci applaude. Proseguo alternando fasi di sonno e di iperenergia: alla Baita di Goilles bevo una birra e al rifugio Sogno mi permetto il lusso di due giri di tavolo con piatti a base di carne, zuppa, dolci al terzo giro; poi mi vergogno un pò, saluto in tutta fretta e mi lancio letteralmente fuori sotto una volta disseminata di stelle. Valico il Col Fenetre, in discesa le palpebre mi si chiudono e aspetto con ansia la branda del rifugio Dondena, dove arrivo effettivamente un po’ provato e ciondolante; un caffè abbondante, la sosta tecnica, un po’ di mocetta con fontina mi danno però quel minimo di carica per proseguire.
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Quarto giorno Alle prime luci del mattino arrivo a Niel e non credo ai miei occhi, sono 150°. La testa, che ancora ragiona alla grande, impone un sonnellino; nella tenda ho freddo, due coperte sono appena sufficienti ma riesco a dormire un po’. E si riparte! è la volta del Col de Lazoney; al ristoro di Ober Loo ci accolgono con la fisarmonica e ci chiedono se gradiamo dei ravioli in brodo! Arrivo a Gressoney assieme ad una concorrente giapponese che fa ampi sorrisi nonostante zoppichi vistosamente. Scoprirò che riuscirà ad arrivare in fondo. Ma che testa hanno ‘sti Gialli? Doccia, pranzo, riposo, il rituale delle basi vita è sempre lo stesso, ma stavolta non dormo. Ricarico un po’ il telefono, ho ricevuto tantissimi messaggi di incoraggiamento dagli amici; non credo che sappiano quanta energia infondano questi sms; mi concedo una telefonata più lunga del solito a casa, dove Liliana e le bimbe, sotto sotto, stanno facendo il tifo per me, (al ritorno ho trovato fogli di carta pieni di orari con i tempi dei passaggi degni dei migliori road book) sono comunque il mio punto d’appoggio più importante.
Passo nella spaccatura e mi vengono le vertigini, sotto i piedi, molto sotto, le luci di un abitato
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corre. Incredulo riesco a stare al passo, mentalmente ripercorro il tragitto fatto fino a quel punto e mi accorgo che son passati due giorni e due notti... e corro ancora. Ecco la terza base vita, Donnas il punto più basso del Tor. Il mio corpo vorrebbe riposarsi ma fa molto caldo (32° sul termometro) decido di ripartire, dormirò un po’ più avanti. Vigneti, bosco, i fantastici volontari al paesino di Perloz; e poi giù nel torrente e su a Tour d’Hereraz. Asfalto e un sentiero dalla vaga forma di scala di pietra, il caldo afoso, il passo lento e cadenzato e su... su... un campanaccio mi risveglia dal torpore e ritorno alla realtà con una bella birra, sono al rifugio Sassa. E mentre scende la sera noi si sale ancora verso il Rifugio Coda al 165° km, cioè appena a metà percorso! Ci arrivo con la frontale accesa, molti i volontari, mangio, chiacchero un po’ e poi saggiamente mi concedo mezz’ora di sonno. Riparto senza sapere bene che cosa la notte ci porterà. Una luce laggiù in fondo rivela la posizione del lago Vargno, non ho sonno, mangio con calma e riparto verso il Col Marmontana, fatico ad individuare le bandierine catarifrangenti e questo esercizio mi tiene sveglio. Procedo in una pietraia, guidato da una grande luce, il gabbiotto in plexiglas dove alcuni volontari si prodigano per assistermi. Li saluto e proseguo, una svolta perentoriamente a destra, una salita secca, sono reattivo salgo bene, ad un certo punto una pietra obliqua si staglia contro il cielo stra-puntato di stelle, è la Crenna du Leui. Passo nella spaccatura e mi vengono le vertigini, sotto i piedi, molto sotto, le luci di un abitato, mi fermo un attimo a gustarmi il posto, sto viaggiando su una nuvola fuori dal tempo e dallo spazio. In breve raggiungo il gabbiotto dei volontari situato nei pressi del Colle della Vecchia che è pieno di concorrenti tra le braccia di Morfeo, ma c’è un bel fuoco caldo che invita ad una sosta, bevo, mangio e mi siedo ad assaporarmi la serenata (in realtà sono quasi le quattro di mattina) che notte fantastica.
Si inizia con la Finestra di Tzan che da sola vale il prezzo del biglietto
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La salita all’Alpenzu mi è ostica, quasi sul colle Pinter vengo raggiunto da due icone dell’ultratrail, Giancarla e Giorgio. Chiacchieriamo e in una sorta di euforia procediamo di passo spedito con la strana sensazione di avercela ormai fatta, ma è follia pura… mancano 120 km. Dopo una sosta proseguo da solo, non c’è nessuno nel villaggio delle guide Frachey, nessuno davanti, nessuno dietro. Mi chiedo se quello che sto vivendo sia reale. Il cervello in pappa, mi attacco alle cose certe: ci sono le bandierine “TDG”, però, magari sono quelle dell’anno scorso, magari ho sbagliato strada. Il neurone è annegato, prime case di St.Jacques, tutte chiuse. È tutto un sogno, penso. Finalmente un cagnolino mi corre incontro abbaiando furioso, è la fine di un incubo. Entro in paese e c’è lo striscione “check-point”, ma nessuno in vista. Panico! piano piano apro la porta, urlo «ci siete?» Facce stupite si girano e io che torno alla realtà… «No, non è niente, niente, allucinazioni da stress? Per caso avete un letto?»
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Quinto giorno Riparto con la frontale accesa, oramai è notte ma forse il peggio è passato, ho dormito, ho mangiato, sono sufficientemente lucido. Punto al Rifugio Tournalin, risalgo il bel sentiero nella notte stellata, intorno a me, centinaia di rivoli d’acqua resi argentei dalla luce di una luna splendida; arrivo al rifugio che è notte fonda ma trovo tanti concorrenti, vispi e bellicosi, che si rifocillano con una pasta appetitosa. Col di Nana, altro passaggio ad oltre 2700 e dopo una lunga e noiosa picchiata la base vita numero 5: Cretaz Valtournanche. Ripartiamo alle cinque, subito in salita fino al rifugio Barmasse e poi per pascoli all’attacco della Finestra d’Ersa, mentre alle nostre spalle nel sole del mattino si erge maestoso il Cervino. Dopo il ristoro di Vareton si susseguono una serie di passaggi indimenticabili: si inizia con la Finestra di Tzan che da sola vale il prezzo del biglietto. Ripida discesa, veloce risalita al Bivacco Reboulaz. Ho le labbra screpolate, in fiamme; chiedo ad una volontaria se ha del burro-cacao, scrolla la testa ma mi regala il suo lucida-labbra (Lucia mi hai salvato la vita). Col Terray. Una breve salita, passo veloce, respiro pieno e battiti regolari, le gambe girano è un momento di grazia. In rapida sequenza Rifugio Cuney (pasta e birra), Bivacco Clarimont, Col Vessonaz, ma ormai sono in palla. Prima del Ristoro di Closè c’è una tenda della Croce Rossa, requisisco una delle brande libere per mezz’ora e, prima del previsto, riparto. Salita al Col Bruson e discesa alla luce della frontale fino alla sesta base vita di Ollomont dove faccio una doccia (quasi all’aperto) e mangio. Ho visto la mia posizione al computer: 110°, dicono che mancano meno di 20 oreall’arrivo, vorrebbe dire arrivare di venerdì. Mi sta salendo la scimmia... Il neurone mi obbliga ad andare a riposare. Non so se sia il freddo, la stanchezza o cosa ma non riesco a stare sulla branda: le gambe urlano dal dolore, il costato anche, mi stanno venendo i brividi, meglio ripartire. Arrivo distrutto dal sonno al rifugio Letey (caffè, caffè, caffè). Il vento gelido mi fa compagnia mentre aggredisco la salita al col Champillon da dove “rotolo” per
un tempo interminabile fino al Ponteille Desot. Chiedo un letto, mi accompagnano dal pastore dove stanno facendo il formaggio. L’aria è satura di odori forti, irrespirabile, mi viene voglia di scappare… ma il bisogno di riposo è più forte; mi lascio condurre in una stanzetta dalla volta bassa e con una finestra con le sbarre non più grande di un quadro, tre brandine (una occupata) sul pavimento, mi sembra tutto surreale, credo di essere nella cella del Conte di Montecristo. Riesco a dormire almeno un’ora, al ristoro mangio (formaggio no, per favore) e riparto che è ancora notte. 10 km di sterrata in falsopiano e finalmente Saint-Rhemy-en-Bosses.
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R L’importanza di essere 100
Sesto giorno Sono le otto, il sonno incredibilmente è sparito, i volontari si complimentano, dicono che è fatta, ma c’è un 2936 mt da scalare. Faccio colazione e riparto. A Bosses il passaggio mi dava 97°. La mia anima agonistica si risveglia, insieme alle vesciche sotto i piedi, testa bassa, si sale. Alcuni concorrenti mi superano (addio centesimo posto), ultimi appoggi sui ferri piantati nella pietra, e finalmente dalla finestra del Col Malatrà vedo il Bianco, la Val Ferret, Courma, l’arrivo. Urlo qualcosa, do il cinque al malcapitato che ho di fronte, mi fiondo in discesa nella polvere nera. Sono nel mio, non mi deve prendere più nessuno. Al controllo del rifugio Bonatti sono 100°, passo tra i tavoli del rifugio è ora di pranzo e sono tutti occupati, mi prendo due minuti di applausi e incoraggiamenti dai commensali, il mio orgoglio è schizzato alle stelle. Nessuno deve superarmi... il sentiero sale e scende, riconosco l’ultima gobba e finalmente il rifugio Bertone. Raggiungo due francesi che mi fanno i complimenti e si burlano delle mie scarpe aperte, il fotografo fa perfino un primo piano a cotante calzature. Devo rilassarmi, da qui non posso fallire; lascio partire i francesi, bevo ancora una birra e mangiucchio qualcosa. Ma se voglio tenere la 100^ posizione, sarà meglio che mi sbrighi. Discesa, gran dolore ai piedi (chissenefrega), prime case di Courmayeur, asfalto, i primi applausi, la chiesetta... ragazzi che urlano e suonano i campanacci, ebbrezza indicibile; entro nel cuore del paese, la gente mi sostiene; un piccolo rammarico fa spuntare una lacrima pensando alle mie donne, Liliana e le bimbe, che non possono essere all’arrivo causa l’inizio delle scuole; sarò solo con la mia gioia. Il tappeto rosso dell’arrivo, la voce dello speaker e, all’improvviso, ecco i volti di Roberto, Sabrina, Enzo, Paolo, gli amici di tante avventure, che urlano. Sono venuti apposta per me, mi hanno fatto la sorpresa più bella del mondo. Ora c’è posto solo per le lacrime, per la gioia ; una bottiglia a cui salta un tappo, la firma sul tabellone dei finisher, tutto il resto è... lontano.
Urlo qualcosa, do il cinque al malcapitato che è lì, mi fiondo in discesa nella polvere nera
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R L’importanza di essere 100
“ PUNTA I TUOI OCCHI AL CIELO E I TUOI PIEDI SULLA TERRA Theodore Roosevelt
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Elemento vitale per eccellenza, ritempra il corpo affaticato, rinfresca la gola arsa, risveglia le membra intorpidite
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Il confine sottile tra Trail e Natura
testo di Franz Rossi foto di Anna Montalbetti
Una foto è una finestra che ci permette di affacciarci al mondo attraverso gli occhi del fotografo
R Il confine sottile tra Trail e Natura
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orrendo in Natura ci sono dei momenti in cui ti senti parte dell’ambiente che ti circonda, la Natura ti ha accolto e non ti spaventano più le salite o la notte o i passi esposti. Questo succede molto più spesso quando si è soli e si entra in sintonia con l’ambiente. In gara o durante un allenamento collettivo è più difficile (anche se in quei casi capita a volte la sensazione di correre in branco, che è un altro trip sensoriale). È una sensazione rara, un momento privilegiato, e ho sempre pensato che fosse impossibile raccontarlo a parole a chi non l’aveva provato. L’ho creduto fino a quando, qualche tempo fa, mi sono arrivate alcune foto scattate da Anna. La PhotoGallery di questo numero è dedicata proprio a quel confine sottile tra Uomo e Natura. Anna ha una grande sensibilità ed è riuscita a fissarlo nelle immagini. Un vecchio amico, fotografo e Maestro di fotografia, celiando sulla mia professione di informatico una volta mi dedicò un libro che aveva scritto dicendo: «Perché ti stupisci che un file che contiene un’immagine pesi mille volte di più di quello che contiene un testo? In fondo una fotografia dice molto di più di mille parole?» e aveva ragione. Ma c’è un aspetto che non aveva sottolineato, guardare una foto ci permette di affacciarci al mondo attraverso gli occhi del fotografo. E spesso rimangono attaccati i suoi pensieri e le sue emozioni. Altro che mille parole...
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X.RUN settembre / ottobre 2012 TERRA [WWW.XRUN.EU]
A volte sembra di accarezzarla con i piedi mentre si percorrono i sentieri, a volte sembra farsi Madre per sostenerci e spingerci avanti
VEGETAZIONE [WWW.XRUN.EU]
Uno stormir di foglie è spesso l’unica compagnia per il trailer solitario mentre l’ombra di una pianta secolare sembra indicare la via
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R Il confine sottile tra Trail e Natura
ERBA [WWW.XRUN.EU]
Il verde intenso dell’erba umida circonda il sentiero. L’occhio si riposa
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R Il confine sottile tra Trail e Natura
ROCCIA [WWW.XRUN.EU]
Amica pietra, sostegno e spinta, sicurezza e insidia, appoggio e inciampo
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ABBONATI o RINNOVA SOSTIENI EMERGENCY Continua anche per il 2012 l’impegno di X.RUN per sostenere la Clinica Pediatrica di Bangui fondata da Emergency nella Republica Centroafricana.. Collegatevi al sito www.xrun.eu oppure scrivete ad abbonamenti@xrun.eu e vi forniremo ogni informazione necessaria. Il costo annuale dell’abbonamento a X.RUN è di soli 50 euro, riceverete 6 numeri dell’unica rivista di storie di corsa comodamente a casa vostra.
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PROVATO PER VOI
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ella prima metà del secolo scorso in Francia c’era un grande speleologo, Fernand Petzl. Aveva iniziato a coltivare la passione di infilarsi nei graffi della terra a 17 anni e s’era subito dato da fare per inventare marchingegni che gli rendessero l’attività meno pericolosa. Quindi discensori, bloccanti, corde, caschi e altro materiale che ben presto sarebbero diventati pezzi indispensabili per l’alpinismo sicuro e in continua evoluzione. Per avere libere entrambi le mani (una era sempre impegnata a tener salda la lampada ad acetilene) inventò e perfezionò pure le lampade frontali, anch’esse oggi protagoniste nello sport e in moltissime attività professionali. Al Tor de Geants abbiamo avuto modo di sperimentare, nei tratti notturni più difficili, l’ultima nata in questo settore, la lampada frontale Nao. Autonoma e intelligente. Perché attraverso un sensore che elabora una serie di fattori (per sapere gli aspetti tecnici vi rimandiamo al sito www.petzl.com), capisce al volo di quale e quanta luce abbiamo bisogno
E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE in quel preciso momento, dandocene in tempo reale la giusta dose. Quando guardavamo una cartina, per esempio, il fascio luminoso si restringeva sul foglio di carta; quando abbassavamo la testa per cercare un punto d’appoggio sicuro per il piede il fascio si allargava a sufficienza a illuminare le pietre; quando alzavamo lo sguardo all’orizzonte per vedere che faccia avessero quei misteriosi rumori nel buio sul versante opposto del canalone, ecco che il fascio automaticamente si ampliava come quello della Lanterna sul porto di Genova. Il che è voluto dire aver avuto anche le mani sempre libere e aver risparmiato un sacco di energia, tramutata in una lunga durata della luce. Naturalmente la lampada si può usare anche in luce fissa standard. Dal computer poi si possono scaricare dei programmi per adattare i fasci di luce a quel che si vuole fare. Se fai alpinismo, per esempio, ti serve un tipo di luce, se fai facili passeggiate notturne nei boschi te ne serve un altro, se fai trail in zone impervie te ne serve un altro ancora, più scattante e variabile, in base alle esigenze che, ben sappiamo, cambiano in continuazione.
L’unico inconveniente, anche se non è il termine esatto, è che la potente batteria fissa si ricarica tramite la chiave USB e se siamo in giro per baite, bivacchi e rifugi non sempre si trova il sistema per ricaricarla al volo. Però basta portarsi le pile a stilo di ricambio e il gioco è fatto, anche se con questo tipo di alimentazione funziona solo la luce fissa standard. Che va più che bene per proseguire il cammino o togliersi d’impaccio. In negozio la Nao l’abbiamo pagata 120 euro, ma l’abbiamo considerato un investimento e non una spesa. Fa una luce fantastica, se ne infischia se le piove addosso e, se trattata cura, dura davvero una vita. La primissima volta che l’abbiamo provata, in una uscita notturna nei dintorni della nostra casa in montagna, abbiamo inquadrato, a pochi metri dalla porta, due cervi giganteschi. Sono vent’anni che andiamo lì ma di incontri ravvicinati così, “del primo tipo”, non ne avevamo mai fatto mai uno, neanche di giorno. Fortuna, combinazione o finalmente una buona luce?
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info box Lampada frontale Petzl NAO, con sistema di regolazione fascio luminoso automatico. Peso: 187 g. Prezzo: 120 euro Sito web: www.petzl.com
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Andrea Busato intervista Fabrizio Pistoni, autore dell’incredibile Elogio del limite. E poi troviamo Il legionario, un racconto che sembra inventato ma che è basato su fatti reali. E per finire non perdetevi la caustica risposta di A.Biker: la vendetta (verbale) dei ciclisti all’invettiva pubblicata nello scorso numero di X.RUN
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“ PERCHÈ NEL TOR QUANDO CI SEI DENTRO, COL CAVOLO CHE TE NE TIRI FUORI! E' COME UN TURBINE Giacomo Devoto
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Instamatic
Da Punta Fanfalo a Punta Sottile testo di Filippo Castiglia
Una sfera rossa illumina e riscalda con raggi laterali, occhi cisposi e passi legnosi, muretti a secco lasciano spaziare lo sguardo sul mare e sulla terra. Si levano in volo gabbiani ancora grigi (*) approfittatori degli avanzi lasciati dai maialini che corrono festosi. Un piccolo luÏ trilla irritato per l’invasione del suo spazio. Mare blu, faro silenzioso Prati circoscritti verdeggianti e innaturali Cespugli di lentisco e fico strabordano dal profondo di cave di tufo non pago di sole biacco ma saetta timoroso in buco Asini dagli occhi contornati di chiaro strappano ogni cespo rimasto Vacche frugali attendono nuove provviste Un cenno di saluto fugace con altre scarpe da corsa Una bici dal manubrio arcuato sfreccia sulle note di ipod Il castello si avvicina pian piano Passi risuonano sulle basole lisce del paese Ruote di trolley zigzagano condotte da assonnati turisti Asini e vacche attendono fuori dall’abitato Salita, e raggi di sole caldi Selciato ripido e ripidissimo assolato Rari ulivi globosi proiettano ombre ovali rami fogliosi dei capperi a loro agio sui muretti
Euforbie in ferie su sentiero pietroso Le mura offrono nuova e gradita ombra Nuvole forate dalla cime aguzze di Marettimo Nebbia umida spessa avvolge il sole Aria di finocchio selvatico, di timo, di cappero, di fico Brezza fresca spinge in salita fino alla sella Il castello a destra una croce a sinistra Mare di puniche battaglie Vestigia di fabbrica di tonno di questi ed altri mari circondato da banda stagnata Funambolica e pietrosa la discesa Strade dritte, rare auto La nebbia accarezza la cima, scorre e svanisce sole (*) sono quelli non ancora adulti caratterizzati da un piumaggio tutto grigio
In Giappone esiste una forma di letteratura chiamata haiku, i componimenti poetici costituiti da tre strofe di cinque, sette e cinque sillabe. La lingua italiana meno si presta a tale sintesi estrema ed alla rigida regola, anche se illustrissimi esempi potrebbero essere facilmente citati, ma tale tipo di componimento sembra ideale per le esigenze del blog (lettura immediata, accompagnata da un’immagine). Noi ci proviamo...
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Il lessico del podista
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MITO, sostantivo maschile. [1.] Complesso di narrazioni che hanno per oggetto dei ed eroi leggendari in imprese di lotta contro forze avverse. [2.] Rappresentazione allegorica, di tipo filosofico o poetico, volta a illustrare un'idea, un concetto ecc.. [3.] Idealizzazione di un evento, di un personaggio, di una situazione [4.] Fatto o opinione che non corrisponde alla realtà
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L Il lessico del podista
Per me Mito è chi ha compiuto un’impresa che ha dato la misura delle capacità dell’essere umano; Mito è chi, Correndo, ha scritto una pagina di leggenda che resta nel tempo, per sempre, a testimoniare le possibilità che ogni umano ha di migliorarsi, di spostare sempre più in là il limite. E allora Mito è un ragazzo di colore, Jesse Owens, che Correndo ridicolizza e dimostra l’infinta e tragica stupidità dell’ideologia nazista. E allora Mito è un uomo apparentemente normale, Emil Zatopek, che scrive record su record con una determinazione che lo renderà unico. E allora Mito è un ragazzo scalzo, Abebe Bikila, che nella dolcezza di una notte romana vince la Maratona Olimpica correndo, appunto, a piedi nudi (e oggi il marketing per farci comprare più scarpe, inventa le scarpe barefoot). E allora Mito è un uomo asciutto e serio, Marco Olmo, che vince per due anni di fila l’UltraTrail du Mont Blanc con il porta borraccia cucito artigianalmente sullo spallaccio, al polso un orologio a lancette e dietro di lui un abisso di ore inflitto ai presunti fuoriclasse americani venuti apposta per vincere, coi loro completi sponsorizzati e i pc da polso. E allora Mito è un gruppo di ragazzi e ragazze, non conosco i loro nomi, che hanno tagliato il traguardo della Relay Milano City Marathon volando sui loro piedi artificiali, con la gente in lacrime vedendoli passare. Mito è chi fa capire che si può provare a dare tutto quello che abbiamo, non accontentandosi della mediocrità, non nascondendosi nella massa. Mi piace pensare che adesso ogni lettore vada con la mente a un suo Mito sportivo, non necessariamente Corridore. Il mio? Un Uomo che se ne è andato da poco, le cui gesta vivranno per sempre nella memoria e nel cuore di chi lo ha letto, ammirato, amato. Il suo nome era Walter Bonatti.
MAURO CREATINI Da qualche tempo, complice un insopprimibile desiderio di libertà e di semplicità, vive la corsa soprattutto sul fronte emozionale, tanto che spesso la fine dell’allenamento coincide, oltre che con lo stretching e la doccia, con lo scrivere una piccola poesia, un pensiero, per provare a fissare le sensazioni che la corsa gli regala.
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“ NOI SIAMO QUELLI CHE HANNO FATTO IL TOR. ABBIAMO NEGLI OCCHI UNA LUCE DIVERSA Roberta Veronesi
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Recensione
UN CORRIDORE ALLO SPECCHIO
Il corridore, storia di una vita riscattata dallo sport – per i tipi di Ponte alle Grazie, arriva dopo l’omonimo splendido film di Paolo Casalis e Stefano Scarafia ed il libro intervista di Franco Faggiani Correre è un po’ come volare entrambi del 2009. All’inizio di questo racconto (Capitolo 1 - Anatomia di un perdente) Marco guardandosi allo specchio si chiede: «Sono davvero io quel vecchio lì?» Sulla copertina del libro l’immagine di Olmo con il pettorale numero 1 dell’UTMB del 2008 (foto Luca De Bellis).
Quando oggi al Passatore per fare cento chilometri, partono in più di 2.200 atleti/persone, al Tor des Geants (330 km con 24.000 D+) sono in oltre 600 ed i pettorali all’UTMB vanno “esauriti” in una manciata di minuti, una riflessione credo vada fatta sul perché e su chi fa queste corse, affronta queste gare. Quante volte a Marco Olmo avranno chiesto: ma perché lo fai? se a rispondere è l’Atleta dice che le gare, sia quelle piccole che quelle più importanti le ha sempre vissute ugualmente con agonismo perché è così che si deve fare e le sue vittorie sono impressionanti in valore assoluto. Se a rispondere è l’Uomo la cosa diventa più delicata e la risposta più profonda: «Vado piano, macino chilometri, mi porto impressa addosso l’antica abitudine alla fatica. Io non do spettacolo, io resisto. Resto povero e vado lon-
Una domanda, tre risposte Ma in effetti, siamo noi a doverci chiedere se quel signore li sia veramente MARCO OLMO. A mio giudizio è necessario riflettere su almeno tre “Marco Olmo”: primo l’atleta, secondo il “mito” e terzo l’Uomo.
tano». L’uomo Marco è un Corridore, senza padroni e senza doveri, abbraccia la solitudine ma non sta a guardare, sul ciglio della strada, ad applaudire, qualcuno che passa, quello che passa vuole essere ancora Lui. Eroe e non-eroe Oltre all’atleta, all’uomo c’è poi il mito, che costruiamo noi che guardiamo, ammiriamo Marco, raccontiamo le sue gesta ammantate di sacralità, come un protagonista delle origini del mondo, un Eroe come lo vorremmo e restiamo estasiati. Come per tutti i miti le vicende narrate riguardano un’età dell’oro che poco ha a che vedere con la banalità dell’oggi, i fatti narrati s’intendono come verità di fede e gli viene attribuito un significato spirituale. La gara assume la dimensione di un rito e diventa un momento fondamentale
Il corridore, di Marco Olmo e Gaia De Pascale, Ponte alle Grazie editore, 12,50 Euro
dell’esperienza spirituale. L’eroe che fatica per ore e ore talvolta giorni, all’arrivo ringrazia tutti e sorride con garbo, ci sembra soddisfare il nostro bisogno di trovare una spiegazione ai fenomeni naturali o agli interrogativi sull’esistenza e sul cosmo. Marco nel suo racconto sull’essere un esempio per tanti atleti/persone, scava e rifugge il mito, con un po’ di amarezza dice: «Semplicemente, la vita è molto più dura di una gara di corsa. E, in fondo, si è sempre soli. A volte si viaggia in buona compagnia, di tanto in tanto qualcuno è pronto a tenderti la mano. Ma quando ti trovi al bivio, la decisione spetta a te, e a te soltanto. «Mi ha sempre dato fastidio essere chiamato eroe. Gli eroi sanno cosa fare. Sanno come si devono comportare. E se sbagliano i loro errori non feriscono nessuno.
«Io sono una persona normale. Una persona che ha perso. Che si è ritirata. Che ha gettato la spugna. Che è stata ferita. Che ha avuto paura». Chi non si riconosce nell’autoritratto da non-eroe disegnato da Marco, e questo anche senza essere mai arrivato sulla riga di partenza, senza aver mai partecipato - non dico vinto… - alle gare in cui Marco è stato protagonista? C’è tanta amarezza nel suo racconto forse anche un po’ di tristezza ma non rassegnazione. Rispetto e consapevolezza Rispetto è una delle parole chiave per Marco, forse la parola al centro di tutto, la consapevolezza che il mondo non è a nostra disposizione ma va conquistato, meritato. La corsa glielo ha insegnato più di qualsiasi altra cosa.
Nel libro naturalmente non ci sono tabelle, ricette o consigli per diventare un “ultrarunner” ma l’invito forte ed appassionato di Marco a chi si avvicina alla corsa ad inseguire una propria utopia di leggerezza. Leggerezza del corpo, dell’animo, dei pensieri. Leggerezza dei passi e leggerezza nel toccare le cose, delicatamente, imparandone piano piano il valore. Liberarsi dal superfluo, di tutto quello che ci inchioda pesanti a terra e non ci fa sognare di diventare, di essere il CORRIDORE.
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SCOPRIRE IL VIAGGIO A PIEDI IN ISTRIA
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Prima di affrontare A piedi, l’ultima fatica letteraria di Paolo Rumiz, vale la pena spendere qualche parola sullo scrittore. Non c’è da stupirsi per il grande successo che Paolo Rumiz raccoglie con le sue opere: è un affabulatore con una passione speciale per le storie che scopre, è un viaggiatore curioso e, soprattutto, un grande compagno di viaggio. Non è un caso che ogni estate i suoi reportage di viaggio sono le prime pagine lette su Repubblica e, quasi sempre, diventano un libro.
attraversato l’Italia su una vecchia automobile Balilla... Mutuando (in modo errato, ma appropriato al nostro caso) la famosa massima di McLuhan, «il mezzo è il messaggio». Una volta che è stato individuato il mezzo di trasporto, tutto il viaggio inizia a dipanarsi. Rumiz trascura aeroplani o autostrade perché vuole entrare a contatto con il territorio, i suoi odori, la gente che lo abita. E l’unico modo vero per farlo è rallentare, attraversare le terre con i sensi acuiti dalla fatica (come ben sappiamo noi che di corsa impariamo a conoscere i nostri Il viaggio Il concetto stesso di viaggio, luoghi di allenamento). nell’accezione di Rumiz, cambia. La prima componente del viag- La meta gio, prima ancora della meta, è il La scelta del mezzo in qualche mezzo di trasporto. Ha attra- modo influenza anche la meta versato l’Europa in treno, ha del viaggio e il percorso per navigato lungo il Po in barca, ha raggiungerla. E non solo: la stessa raggiunto Vienna in bicicletta, ha meta può apparire in modo com-
A piedi, di Paolo Rumiz, Edizioni Feltrinelli, 12.00 euro
una località balneare raggiungibile in giornata). Quindi a prima vista un viaggio poco interessante... Ma Rumiz decide di raggiungere quel promontorio che si infila nel mare Adriatico a piedi, I compagni di viaggio In ogni reportage di Rumiz, i trasformando ogni tappa in un compagni di viaggio (siano essi micro viaggio e, soprattutto, scescelti prima di partire o incontrati gliendo di non pianificare nulla. lungo la strada) sono elementi fondanti del viaggio stesso. E non Il manuale del viaggiatore a caso ogni reportage si tra- Fin dal primo capitolo Rumiz sforma anche in un viaggio den- svela la natura didattica del suo volumetto. Vuole invogliare i ratro all’animo umano. gazzi a mettersi in cammino e vuole fornire loro dei consigli A piedi E veniamo a questo agile libretto, pratici. scritto per i ragazzi (fa parte Parla di come vestirsi, di cosa infatti della collana Feltrinelli portare con sé pur viaggiando leggeri, di cosa indossare e nel Kids) ma da consigliare a tutti. Il pretesto è un viaggio a piedi da farlo si mette in cammino. Trieste (città natale di Rumiz) a Lasciata Trieste inizia il suo viagPremantura, ultimo promontorio gio: per ogni giornata una capitolo del libro. Scopriamo così della penisola istriana. Pochi chilometri e, per un trie- che anche il cortile dietro casa stino, meta abituale di viaggi (è può diventare un mondo inpletamente diverso se la si raggiunge via mare, o a piedi attraverso le polverose campagne dell’entroterra.
teressante e il vicino un personaggio degno di nota. Tutto sta negli occhi di chi guarda (e nella penna di chi racconta, aggiungerei io). In poco meno di una settimana Rumiz ci fa conoscere un’Istria dal sapore antico, ci fa assaggiare i patti tipici e ci spiega i motivi delle sue scelte di viaggio. E mentre la meta si avvicina, iniziamo a desiderarla con lui: quel mare fresco e ventoso contrapposto al caldo polveroso dei campi di terra rossa. Non mancano piccole avventure ed incontri con animali e persone, a prima vista minacciosi ma poi inaspettatamente disponibili. Alla fine Rumiz tira una riga e fa le sue considerazioni finali sul viaggio. Lasciandoci la voglia di aprire una carta geografica e pianificare quello che parte da sotto casa nostra.
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DIARIO DI UN MALATO MOLTO PARTICOLARE
Non lasciatevi fregare dall’introduzione, anzi da quello che viene chiamato Avviso ai naviganti. Il libro è diviso in capitoli ed ogni capitolo è diviso in tre parti, e in ognuna scorrono parallele tre storie autonome. L’autore dice che sta a noi scegliere come leggerlo, ma voi seguite l’ordine naturale (dal primo all’ultimo) e scoprirete che le tre storie sono intimamente connesse, che quello che non dice la prima viene svelato nella terza e così via.
Ha ventisette anni, vive e studia/lavora all’estero, diviso tra Germania e Irlanda, ha molti amici e una ragazza, da alcuni anni corre e ha appena concluso la 100 chilometri del Passatore in 8h10’58”, un tempo di tutto rispetto. Insomma un ragazzo normale che vive pienamente la sua giovinezza, fino a quando - soltanto pochi mesi dopo aver tagliato il traguardo di Faenza - decide, a seguito di alcuni disturbim di sottoporsi a delle visite e gli viene diagnosticato un tumore.
Un po’ di background Stiamo parlando de Lo zen, la corsa e l’arte di vivere con il cancro. Essendo un libro autobiografico, Simone Grassi, l’autore, rivela fin dal nome della sua fatica letteraria una buona dose di ironia, merce rara, naturalmente, quando si parla di certi argomenti. Simone è un ragazzo come tanti.
contrastare questa malattia che vuole togliergli il controllo del suo corpo, quel corpo con il quale si è abituato a condividere le fatiche degli allenamenti, quel corpo che Simone sa bene come spremere.
Un libro inaspettato La cosa che più colpisce, fin dalle prime pagine, leggendo questo libro, è la totale assenza di autocompatimento e, più in generale, un sorriso smaliziato che pervade tutte le storie. Come dicevamo in apertura, la struttura del libro è insolita. Ci sono tre storie parallele che scorShock e reazione Simone reagisce. La cosa non è rono capitolo dopo capitolo. scontata per niente, ma, considerando la sua età e l’abitudine Le tre letture a lavorare per obbiettivi che è La prima storia è quella della caratteristica comune ai corridori malattia: il primo capitolo il medi lunga distanza, in qualche dico ci sbatte in faccia la diamodo ce lo aspettavamo. Rea- gnosi. A quel tempo Simone gisce decidendo di provare a viveva a Monaco con la fidanzata,
Lo zen, la corsa e l’arte di vivere con il cancro, di Simone Grassi. Prezzo speciale abbonati X.RUN, euro 9,90 spedizione inclusa
una ragazza forte che gli starà accanto nella battaglia. Nei capitoli seguenti scopriremo come Grassi affronta la malattia, come cerca conforto nella famiglia (che era in Italia) e negli amici, come non si arrende alla prima diagnosi e alla prima proposta di terapia. Ed infine come vive il cambiamento del suo corpo, squassato dal tumore. Frammenti di corsa La seconda storia racconta delle corse di Simone, scampoli di ricordi tratti dall’album delle gare (o degli allenamenti) cui l’autore ha partecipato. Molti di noi potranno riconoscersi nelle sensazioni narrate, persino in alcune delle gare più celebri cui Simone ha partecipato. E certamente apprezzeranno lo stile verace, da buon romagnolo, con il quale Grassi fa rivivere questi frammenti di corsa.
libertà. Forse è questo il messaggio che vuole lasciarci l’autore. Ma attenzione, nel raccontare i suoi personaggi immaginari Grassi lascia trasparire un po’ della sua storia, così anche il racconto di fantascienza completa e si raccorda con gli altri due per svelare la complessa Un viaggio nel futuro Infine la terza storia, quella che fisionomia di chi racconta. più coglie di sorpresa. Un racconto di fantascienza in cui la corsa è ancora al centro. Chissà perché il futuro? Forse per un bisogno di allungare lo sguardo oltre la malattia? In realtà noi pensiamo che Simone abbia voluto immaginare Il libro può essere ordinato via un mondo diverso nel quale internet al costo di 12 euro più le riversare alcune delle devianze spese di spedizione, ma per gli del genere umano. I protagonisti abbonati di X.RUN è stata predel racconto hanno rinunciato ad vista un’offerta speciale: solo alcune peculiarietà proprie di noi 9,90 euro (spedizione inclusa). uomini in ossequio ad un pro- Per ordinarlo andate sul sito: gresso, ma proprio nella corsa trovano una forma di nuova www.simonegrassi.biz/libri/ Gli amici, i compagni di allenamento, non si allontanano da lui nella malattia, ma lo sostengono a riprova del fatto che, nonostante si corra da soli, il podismo è uno sport di squadra.
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X.RUN settembre / ottobre 2012
“ IL TOR È UN PELLEGRINAGGIO. È UNA COLLEZIONE DI ALBE GLACIALI. IL TOR È MERAVIGLIA, RABBIA, SCONFORTO, GIOIA, DESOLAZIONE, SFINIMENTO, PIANTO, ALLUCINAZIONE, SONNO, È MORIRE E RISORGERE. IL TOR SI SCAVA UNA NICCHIA NEL TUO CUORE 143
Giancarla Agosti