La Fiera delle Costruzioni progettazione, edilizia, impianti
BOLOGNA 9/12 ottobre 2024
L'appuntamento di riferimento per il mercato e i professionisti delle costruzioni
Settori espositivi: Progettazione e Digitalizzazione, Edilizia, Impianti, Servizi
Saloni speciali dedicati a: Calcestruzzo, Infrastrutture, Serramenti, Finiture e Colore, Pavimenti e Rivestimenti, Macchine e Attrezzature, Offsite
I numeri dell'ultima edizione di SAIE Bologna 2022
37.642
VISITATORI 430 ESPOSITORI
I motivi della visita
SAIE È UN NUOVO SAIE: la fiera non dimentica il passato e guarda al futuro già oggi presente. L'occasione in cui la community delle costruzioni si incontra trovando ispirazione sulle più recenti novità proposte dalle aziende protagoniste del mercato. Richiedi informazioni
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In copertina: Laboratori e Centro socio-educativo Erba, Como
4 NEWS
• a cura di Roberto Gamba
EDITORIALE
10 Il progetto architettonico tra accessibilità e inclusione
• Valeria Tatano
PROGETTI
Guidarini & Salvadeo Architetti Associati
12 Centro Nazionale Lega del Filo d’Oro Osimo, Ancona
• Adolfo F. L. Baratta
ifdesign
22 Laboratori e Centro socio-educativo Erba, Como
• Alberto Ferraresi
McGarry NI Éanaigh Architects
32 Candle Community Dublino, Irlanda
• Pasqualino Solomita
Nord Architects
40 Alzheimer’s Village Dax, Francia
• Roberto Gamba
INTERVISTA
Marlier Rohmer
50 Inclusività è sentirsi “a casa”
• Chiara Testoni
STORIA E RESTAURO
54 Antichi palinsesti in laterizio. L’Anfiteatro Campano tra restauro e miglioramento della fruizione
• Renata Picone, Luigi Veronese
NORMATIVA
62 Misurare la sostenibilità dei processi edilizi attraverso il principio del DNSH
• Eduardo Bassolino
72 I sistemi di rivestimento a parete ventilata e la nuova normativa italiana di settore
• Alberto Stefanazzi, Giacomo Scrinzi
TECNOLOGIA
80 L’approccio algoritmico alla progettazione dell’involucro e la stampa 3D
• Antonio Magarò
DETTAGLI BAarqs
90 Tessitura muraria schermante
• Monica Lavagna
94 RECENSIONI
• a cura di Roberto Gamba
Al Klimahouse svelate le affinità elettive tra cantine e laterizi Si è svolta presso la Fiera di Bolzano dal 31 gennaio al 3 febbraio scorsi la 19a edizione di Klimahouse, dedicata all’efficientamento energetico e all’edilizia responsabile, intitolata “Costruire bene, Vivere bene”, per privilegiare i temi della transizione energetica, dell’eco-compatibilità e dell’impatto ambientale delle costruzioni.
Il Raggruppamento Laterizi di
Undici
progetti di Aalto in mostra a Roma
Nella Galleria KME, presso il MAXXI, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, è in corso, fino al 26 maggio, l’esposizione “AALTO – Aino Alvar Elissa. La dimensione umana del progetto”, realizzata in collaborazione con le fondazioni “Alvar Aalto” e “Paimio Sanatorium”, con il patrocinio dell’Ambasciata di Finlandia.
La mostra, curata da Space Caviar (Joseph Grima, Sofia Pia Belenky, Lorenzo Bondavalli, Nils Öh, Barbara Doroszuk, Elena Zannetou) presenta undici progetti dello Studio, opere di varie scale, circoli operai, municipi, abitazioni unifamiliari, complessi residenziali.
Alvar Aalto, insieme alle sue due
Confindustria Ceramica ha svelato le affinità elettive tra cantine & laterizi, mettendo in mostra progetti di esemplari cantine vinicole italiane, custodi del processo alchemico dalla terra a prodotti per la vita, e costruite con materiali di origine naturale, a base argillosa. Si è voluto evidenziare come tra produzione di vino e di laterizi ci sia un’analogia che riguarda l’intrinseco legame con la terra, i vincoli culturali, la tradizione e gli obiettivi di innovazione. Inoltre, l’attenzione alla sostenibilità contraddistingue sia i luoghi che i relativi sistemi costruttivi, per i quali salubrità degli spazi, benessere abitativo, durabilità e rispetto per l’ambiente diventano obiettivi primari.
Lo stand di Confindustria Ceramica ha proposto un’installazione rappresentativa di alcune architetture di successo, pubblicate su Costruire in Laterizio n.193 Cantine, e il parallelismo tra gli incantevoli paesaggi di produzione del vino e i siti di produzione del laterizio in
compagne di vita e di lavoro, entrambe architette, Aino Marsio ed Elsa Mäkiniemi (cambiò nome in Elissa dopo il matrimonio) progettarono edifici, piani urbanistici e oggetti di design incentrati sulle esigenze di chi li avrebbe vissuti, abitandoli e utilizzandoli, in grande armonia con la natura circostante.
Tra le opere presentate, il laterizio è protagonista in particolare nella Casa del popolo di Jyväskylä, in Finlandia, 1925 (nella foto); nei dormitori del MIT a Cambridge, Massachusetts, 1949; nell’insediamento industriale di Sunila, quartiere della città portuale di Kotka, in Finlandia; nel Centro civico di Säynätsalo, Finlandia, 1952; nell’Istituto per la previdenza sociale di Helsinki, 1957; nella Casa sperimentale sull’isola di Muuratsalo in Finlandia, 1954,
armonia con il suolo ha completato il racconto illustrativo. In particolare, le immagini del processo produttivo degli stabilimenti dei laterizi italiani hanno testimoniato l’uso responsabile delle risorse da parte dell’industria di settore, che alla conclusione delle attività estrattive delle argille si occupa di ripristinare le cave per la salvaguardia della biodiversità dei luoghi. Al centro dello stand, era presente un espositore con 6 tipi di laterizi, elementi per murature e manti di copertura, ciascuno corredato da una boccetta contenente la “preziosa” terra di cava impiegata nella produzione. Uno evento dal titolo “Ecologia dell’architettura e della tecnica costruttiva” ha inoltre presentato nel dettaglio una selezione di tali progetti sostenibili, focalizzandosi anche sull’analisi delle prestazioni ambientali dei prodotti da costruzione impiegati.
risultato della composizione di diverse tipologie di mattoni e ceramiche. Per l’allestimento, a supporto dei materiali esposti, sono stati utilizzati mattoni italiani a pasta molle e blocchi in laterizio, accatastati in diverse tipologie, finiture e colorazioni.
Premio Biennale
Architettura Pisa 2023 a TAMassociati
L’architettura come strumento per nuovi equilibri sociali è la sintesi del tema affrontato nella quinta edizione della Biennale di Architettura di Pisa (13-29 ottobre 2023), organizzata in sezioni tematiche dall’Associazione LP, Laboratorio permanente per la Città, con esposizioni affiancate da incontri e convegni di approfondimento, ospitate in padiglioni disseminati nel centro storico della città. Sono stati assegnati due premi. Il Premio Città di Pisa per la Qualità Urbana 2023, dedicato a chi, nel corso della propria carriera, ha contribuito con la sua costante attività intellettuale e progettuale alla diffusione dell’architettura come valore primario, è stato assegnato a Benedetta Tagliabue, Embt Architects di Barcellona. Per il Premio Biennale di Pisa 2023, dedicato a chi si è particolarmente distinto nella sua attività progettuale e teorica, è stato designato invece vincitore lo studio Tamassociati di Venezia (fondatori
Massimo Lepore, Raul Pantaleo, Simone Sfriso), per il progetto (nella foto) di due nuovi centri di formazione professionale (VTC –Vocational Training Center) nelle città di El Fasher ed El Geneina, in Darfur, Sudan. Sono strutture con edifici ZEB e NZEB (Zero Energy Building e Nearly Zero Energy Buildings),
concepite all’insegna di modularità, riproducibilità, eco-semplicità, che hanno l’ambizione di diventare modelli esemplari per l’innovazione tecnologica in risposta al cambiamento climatico e agli obiettivi di sostenibilità, per la composizione architettonica contemporanea, per la capacità di diventare polo di socialità.
MISURE DI PERMEABILITÀ ALL'ARIA PER IL SISTEMA DI COPERTURA
PROBLEMA AFFRONTATO
Gli eventi climatici estremi sono notevolmente aumentati negli ultimi anni. Ciò indica chiaramente che il cambiamento climatico è una realtà e il suo impatto molto probabilmente metterà alla prova la qualità della vita nelle nostre città. L’intensità delle ondate di calore sono aumentate, aggravando:
• il condizionamento estivo;
• le emissioni di CO2;
• i rischi per la salute pubblica;
• produttività ed efficienza lavorativa;
• la vivibilità di spazi pubblici;
• la durata di strutture e infrastrutture.
SOLUZIONE PROPOSTA
Una risposta efficace, sostenibile ed a basso costo al surriscaldamento di città ed edifici è l’utilizzo di tecnologie di “raffrescamento passivo” degli edifici, che consentono di abbattere le temperature dell’involucro degli edifici (tetti e pareti) e limitando così l’effetto Isola di Calore Urbano).
TEST DI PERMEABILITÀ ALL’ARIA
Tra le soluzioni di raffrescamento passivo degli edifici, l’uso di tetti ventilati e permeabili (VPR) con le tegole HEROTILE è il più sostenibile e promettente.
Verrà effettuato un Round-Robin test per caratterizzare le prestazioni del VPR e definire delle norme ETA e CEN. Verranno testate 18 tegole (tra cui le HEROTILES) per coprire quasi tutte le diverse tipologie disponibili sul mercato.
Il test, che si basa sulle norme britanniche BS 5534 - Allegato L e ASTMC 1570, consiste nell'aspirare e soffiare aria lungo un tubo che confluisce in un box, sopra il quale viene allestita una copertura, e nel calcolare la permeabilità all'aria mettendo in relazione la portata d'aria e la differenza di pressione tra l'interno e l'esterno del box.
llegato L segue:
- INCLINAZIONE: 0°, 10° e 25°
- SIGILLATURA: 4 elementi non sigillati
- PRESSIONE MAX: 100 Pa
LEGENDA:
S1-SOFFIO (0%)
S1-SOFFIO (10%)
Relazione tra por tata volumetrica
Strumento di prova secondo BS 5534 - Annex L
Strumento di prova dell’Università Politecnica delle Marche
Strumento di prova del Centre Technique de Matériaux Naturels de Construction
Strumento di prova del Centro Ceramico
>NOME DEL PROGETTO: SUstainability and PERformances for HEROTILE-based energy efficient roofs
>DATA INIZIO: 01/07/2020
>DATA FINE: 30/06/2025
>TEMATICA: Climate Change Adaptation
>SETTORE: Urban adaptation/planning
>CONTRIBUTO EUROPEO: 1,563,160 Euro
COORDINATORE DEL PROGETTO
Benedetta Ferrari
Centro Ceramico
ferrari@centroceramico.it
RESPONSABILE DELLA DIVULGAZIONE SCIENTIFICA
Alfonsina Di Fusco
Confindustria Ceramica adifusco@confindustriaceramica.it
Il progetto architettonico tra accessibilità e inclusione
KEYWORDS
Persona con disabilità
Architettura
accessibile
Architettura inclusiva
Accessibilità
Usabilità
Person with disabilities
Accessible architecture
Inclusive architecture
Accessibility
Usability
NValeria Tatano
Valeria Tatano, architetta, Phd e professoressa di Tecnologia dell’architettura all’Università Iuav di Venezia. Insegna materie tecnologiche nei corsi di laurea Triennale e Magistrale in Architettura, e Tecnologie del recupero edilizio e progettazione inclusiva dell’esistente nella Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio. Si occupa di progettazione inclusiva e di tecnologie innovative nel rapporto tra architettura e tecnica, in particolare per quanto riguarda il progetto sostenibile.
egli ultimi decenni il tema della progettazione inclusiva è stato oggetto di importanti cambiamenti che hanno modificato l’approccio dell’architettura verso i temi dell’accessibilità, passando da azioni legate all’abbattimento delle barriere architettoniche in edifici e spazi esistenti, alla realizzazione di nuovi ambienti inclusivi, fruibili in modo confortevole e sicuro da tutti.
Insieme al modificarsi della coscienza sociale e alla nuova consapevolezza dei progettisti sul ruolo che le loro azioni sono in grado di produrre per migliorare la qualità e la funzionalità dei luoghi in cui viviamo, si è trasformato anche il vocabolario che utilizziamo per parlare di accessibilità e di persone con disabilità.
Le parole sono l’espressione del modello formale e funzionale a cui si fa riferimento e in quanto tali sono rappresentative dei mutamenti socioculturali in atto. Nello specifico della dicitura “persone disabili” o “persone con disabilità”, espressione indicata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità nel 2006, il sociologo inglese Tom Shakespeare sostiene che non sia necessario “cavillare” troppo, perché questo divagare “non fa altro che distrarre dall’unirsi nella causa comune di promuovere l’inclusione e i diritti dei disabili”. Ma, dato che nel nostro Paese ancora molti sono fermi a una terminologia retrograda e a volte persino offensiva, è importante mantenere la piccola preposizione nell’ottica di un linguaggio people first, in attesa di arrivare a parlare solo di “persone”. Perché, se è vero che sono stati fatti importanti passi in avanti, rimane ancora molto da fare per avvicinarci a livelli di inclusione che rendano la vita autonoma, dignitosa e felice per la maggior parte della popolazione.
Il termine “accessibilità ambientale” utilizzato in questo numero della rivista fa parte delle trasformazioni in atto e si colloca accanto alle espressioni Universal Design, Design for all e Inclusive design, ampliando gli ambiti di senso che esse definiscono, con una specificità italiana e disciplinare vicina alla Tecnologia dell’architettura, uno tra i settori che a livello accademico, nelle attività di didattica e di ricerca, tra i primi che con forza e continuità si è dedicata ad affrontare questi temi. Proprio per fare chiarezza tra le parole e i concetti che esse sottendono, ma che possono anche travisare o stravolgere contenuti importanti, è stato redatto con quaranta colleghi universitari un Manifesto lessicale per l’accessibilità ambientale, che fornisce le specifiche di significato, e traccia evoluzione e stato dell’arte delle principali parole impiegate nel campo del progetto.
Accessible and inclusive architecture designs and creates buildings and spaces that can be used comfortably and safely by everyone. The projects illustrated in this issue of the magazine demonstrate that it is possible to think about the well-being of people and their dignity at every stage of life, without neglecting the formal quality of the environments
La ricerca alla base di questo lavoro conferma il profondo mutamento dello sfondo di riferimento culturale e della coscienza dei propri diritti da parte delle persone con di-
sabilità, divenute parte attiva dei processi decisionali e progettuali, e non più solo “portatrici di interesse”.
Attualmente, nella letteratura scientifica convivono tre modelli di disabilità: quello medico, che legge la disabilità come una caratteristica fisica o mentale della persona, quello sociale, definito dal sociologo inglese Mike Oliver nel 1983 come il risultato dell’interazione tra una persona con determinate caratteristiche e la società, pertanto “è la società che rende disabili le persone con menomazioni fisiche”, e quello bio-psico-sociale, secondo il quale le persone sono rese disabili sia dalla società sia dal proprio corpo”. L’accessibilità ambientale si orienta verso quest’ultimo, consapevole delle responsabilità del progetto di architettura, e quindi delle possibilità di miglioramento che è chiamato a garantire.
Lo sfondo di conoscenza socioculturale raggiunto sui temi dell’inclusione si deve a molti fattori, tra i quali le ricerche internazionali e nazionali condotte da settori diversi (psicologia, sociologia, architettura, ecc.) e il forte impegno degli attivisti, anche nella divulgazione di testi che aiutano a comprenderne il punto di vista, le difficoltà e le aspettative.
A questa dinamicità intellettuale non corrisponde nel nostro Paese la stessa attenzione a livello normativo. Le principali norme per la progettazione, la Legge 13 del 1989, “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” e il decreto attuativo n. 236 sono state emanate trentacinque anni fa e avrebbero bisogno di una profonda revisione nelle indicazioni e nel linguaggio, perché se è vero che poco è cambiato nelle “misure” di riferimento, molto è mutato nei modi in cui quelle misure possono dare vita a spazi adeguati a tutti, come risulta, ad esempio, nella norma UNI CEN EN 17210:2021, “Accessibilità e usabilità dell’ambiente costruito. Requisiti funzionali”, impostata per spiegare e illustrare il perché dei requisiti che richiede, guardando a profili d’utenza e necessità eterogenee.
Persino i CAM, i Criteri Minimi Ambientali destinati alla sostenibilità ambientale dei consumi del settore della pubblica amministrazione, quando affrontano il prodotto arredo urbano pongono l’attenzione sugli obiettivi di inclusività e progettazione universale per l’autonomia delle persone, sollecitando un percorso progettuale in cui venga garantito il coinvolgimento delle associazioni delle stesse.
I progetti presentati di seguito ben rappresentano quanto fin qui esposto. Si tratta di edifici che ospitano funzioni dedicate a persone con bisogni speciali, funzioni le cui necessità vanno oltre le soluzioni conformi, alla ricerca di forme, luoghi, superfici, colori, … in grado di ospitare, accogliere, dare sollievo e serenità alle persone che li vivono, vi lavorano o li attraversano. Con linguaggi diversi, accomunati dall’impiego del laterizio come materiale costruttivo ed espressivo, questi progetti testimoniano come sia possibile pensare l’accessibilità inclusiva come una occasione in cui l’architettura dà vita a esperienze emotive e multisensoriali, e non solo a edifici “correttamente” dimensionati, creando spazi empatici e funzionali.
Note
1. T. Shakespeare, Disabilità e società. Diritti, falsi miti, percezioni sociali, Erickson, Trento, 2017, p. 39.
2. A. F. L. Baratta, C. Conti, V. Tatano, a cura di, Manifesto lessicale per l’accessibilità ambientale. 50 parole per progettare l’inclusione, Anteferma, Conegliano, 2023.
3. UPIAS, Union of Physically Impaired Against Segregation, Fundamental Principles of Disability, UPIAS, London, 1976.
4. Si veda F. Acanfora, In altre parole. Dizionario minimo di diversità, Effequ, Firenze, 2021.
5. Decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236, “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche”.
6. Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica 7 febbraio 2023, “Criteri ambientali minimi per l'affidamento del servizio di progettazione di parchi giochi, la fornitura e la posa in opera di prodotti per l'arredo urbano e di arredi per gli esterni e l'affidamento del servizio di manutenzione ordinaria e straordinaria di prodotti per arredo urbano e di arredi per esterni”.
7. Cfr. H. F. Mallgrave, L'empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze, Raffaello Cortina, Milano, 2015.
Guidarini & Salvadeo Architetti Associati
Centro Nazionale della Fondazione Lega del Filo d’Oro Osimo, Ancona
Adolfo F. L. Baratta, Professore Associato, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi Roma TreKEYWORDS
Lega del Filo d’Oro Persone con sordocecità Accessibilità ambientale
Inclusione
Design for All
Lega del Filo d’Oro People with Deafblindness
Environmental Accessibility
Inclusion
Design for All
Ipiù recenti modelli concettuali di disabilità sono volti a contemplare, unitamente ai fattori costituiti dalle limitazioni fisiche dell’individuo, i fattori ambientali costituiti da barriere o ostacoli fisici, sociali e istituzionali.
I fattori ambientali possono quindi ridurre la disabilità. L’ambiente, come riportato nella Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF), è considerato come facilitatore o barriera, come risorsa o ostacolo: risorsa perché può favorire la libera attività della persona; ostacolo perché può costituire una restrizione alla libertà delle persone. Ecco perché il progetto dell’accessibilità, volto alla mitigazione del conflitto tra persona e ambiente, deve tenere in considerazione l’importanza che esso assume nella qualità della vita delle persone.
In Italia, dal 1964, la Fondazione Lega del Filo d’Oro Onlus è il più importante punto di riferimento per le persone con sordocecità e con pluriminorazione psicosensoriale: la sua missione è quella di essere “un punto di riferimento per l’assistenza, l’educazione, la riabilitazione, il recupero e la valorizzazione delle potenzialità residue e il sostegno alla maggiore autonomia possibile delle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali [...], tenendo come obiettivo il benessere e l’unicità delle persone che la vivono” (www.legadelfilodoro.it/).
Avendo ben chiaro questo ruolo, la Fondazione Lega del Filo d’Oro negli ultimi 20 anni si è fatta affiancare dallo Studio Guidarini & Salvadeo Architetti Associati, che si distingue per competenza, passione e ostinazione nel porre la propria attenzione verso l’individuo, come dimostra la qualità dei servizi offerti e il Centro sociosanitario e residenziale che, dal 2017, ha inaugurato alle pen -
The Osimo Center of the non-profit Lega del Filo d’Oro Foundation, the headquarters of the most important reference point for people with deafblindness and psychosensory pluriminorisation in Italy, was designed by Guidarini & Salvadeo with the aim of promoting the independence, inclusion and safety of the people who live there
dici delle colline marchigiane su cui sorge la cittadina di Osimo.
Il Centro rappresenta il punto di riferimento nazionale della Lega del Filo d’Oro per la diagnosi iniziale, l’avvio di un trattamento educativo-riabilitativo e per ricoveri temporanei. Sviluppato su un’area di circa 34.000 m 2 , il complesso è composto da più corpi di fabbrica connessi tra loro da un’ampia piastra: le porzioni interrate ospitano parcheggi e locali tecnici mentre i due livelli fuori terra accolgono le attività diagnostiche, sanitarie, amministrative e residenziali.
Vista la profondità del corpo di fabbrica della piastra, per garantire l’illuminazione e la ventilazione naturali sono stati realizzati degli ampi patii intorno ai quali sono collocati ambulatori, laboratori di ricerca e terapia, aule per la riabilitazione, centro di documentazione e uffici amministrativi. La piastra basamentale è interamente ricoperta da un giardino pensile, che dissimula la struttura mimetizzandola nel panorama dei colli circostanti.
I volumi che affiorano dalla superficie vegetazionale, che raggiungono un’altezza di quattro piani fuori terra, accolgono piscine e palestre, mensa e alloggi per degenti e visitatori. Per rafforzare il rapporto con il territorio, la struttura ospita anche un centro di documentazione, un centro di ricerca e un centro congressi a disposizione di realtà economiche esterne. Anche gli spazi aperti, quali le aree gioco per bambini, sono aperti all’esterno.
Pur se inseriti in stretta relazione con le funzioni mediche dell’istituto, gli alloggi assicurano un carattere domestico e familiare: alla zona più privata, costituita dalle camere singole o doppie, si affianca una zona di condivisione, costituita da cucina, sala pranzo e soggiorno.
Intorno al costruito si trova un giardino terapeutico costituito da specie arboree dalle particolari caratteristiche tattili e olfattive, utile a esaltare la percezione sensoriale dello spazio e il susseguirsi temporale dei giorni e delle stagioni.
Il contesto ambientale è importante affinché la persona con sordocecità congenita o acquisita possa apprendere e utilizzare le proprie abilità e risorse, ottenere i massimi risultati dall’educazione e dalla riabilitazione per essere più autonoma e indipendente possibile.
Il progetto ha posto l’attenzione sull’organizzazione funzionale, così da eliminare barriere e gli ostacoli, facilitare gli accessi e rendere gli spazi facilmente identificabili e fruibili: un progetto che parte dall’umanizzazione degli ambienti per arrivare a promuove l’indipendenza, l’inclusione e la sicurezza. Una buona illuminazione e il contrasto cromatico aiutano una persona che presenta un residuo visivo nell’orientamento e nell’accessibilità, così come l’utilizzo di texture materiche trasferisce differenti sensazioni tattili e agevola le persone cieche. Agli ospiti che presentano disabilità motoria sono state riservate delle ampie camere in cui possono muoversi in autonomia: la presenza del sollevatore a soffitto riduce i disagi dovuti al cambio seduta per le autonomie personali. I colori, le texture, l’illuminazione e l’acustica facilitano l’apprendimento, l’orientamento e la mobilità, la sicurezza e la comunicazione. Da un punto di vista delle stimolazioni visive e tattili, l’architettura si affida, tra l’altro, alle
ampie superfici colorate, ai volumi semplici, ai percorsi olfattivi e sonori e alle superficie ritmate in mattone in laterizio faccia a vista. Quest’ultimo si trova sul fronte sud del muro di sostegno del “terreno abitato”, nella biblioteca e nell’auditorium.
SCHEDA TECNICA
Oggetto Centro Nazionale della Fondazione Lega del Filo d’Oro
Località Osimo (AN)
Committente Fondazione Lega del Filo d’Oro Onlus
Progetto architettonico Guidarini & Salvadeo Architetti Associati (Stefano Guidarini, Pierluigi Salvadeo) con Carla Lucarelli, Giovanbattista Padalino, Chiara Roccheggiani per il progetto esecutivo
Collaboratori Luca Varvello, Marcello Bondavalli, Riccardo Spreafico, Chiara Grignani
Progetto arredi Zengiarodesign, Alfredo Zengiaro
Progetto strutturale termostudi s.r.l., Bruno Roccheggiani, Davide Quattrini
Progetto impiantistico termostudi s.r.l., Maria Raffaella Tamburi, Giovanni Ginesi
Consulenza energetica Costanzo Di Perna e Fabio Polonara, Università Politecnica delle Marche
Cronologia 2010-2012 (progetto); 2013-2017 (costruzione I lotto); 2018-2022 (costruzione II lotto)
Superficie 23.566 m2 ca.
Fotografie © Nicola Guidarini, Fabio Bonvecchi (drone)
Planimetria generale
LEGENDA
1. Istituto di riabilitazione, centro diagnostico
1b. Biblioteca
1c. Auditorium
2. Uffici amministrativi
3. Residenze temporanee
4. Residenze temporanee
5. Residenze temporanee aule
6. Residenze permanenti e aule
7. Palestre piscine terapeutiche
8. Mensa e cucine
9. Edificio esistente (Museo e centro visitatori)
ifdesign
Laboratori e Centro socio-educativo per persone con disabilità Erba, Como
KEYWORDS
Periferia
Llimitazioni fisiche
Autodeterminazione
Autonomia
Essenza
Suburbs
Physical limitations
Self-determination
Autonomy
Essence
Le periferie italiane, specialmente se di recente formazione, sono frequentemente aree esclusive per l’artigianato o l’industria, distretti funzionali allo stoccaggio ovvero alla trasformazione e al trasporto di merci; sono aree caratterizzate da traffico pesante e attive negli orari specifici della produzione e del lavoro. Sono per questo zone urbane estranianti e talvolta disumanizzate nel senso della loro stretta necessità unicamente lavorativa che fa convergere o divergere i vari operatori al ritmo delle macchine, limitando il costruito a scatole contenitive indifferenziate. All’interno di questo scenario la presenza di architettura di qualità è rara quanto preziosa poiché può precorrere e guidare la trasformazione, facendo germogliare altre esperienze migliorative nel contesto. Quando poi la qualità non è solo nell’architettura intesa come costruzione ed elemento tecnico, ma anche come teatro per la vita dell’uomo allora la ricaduta positiva può essere molteplice sulle persone che vivono l’area.
La progressiva costruzione dei volumi del centro educativo negli anni ha determinato il cortile interno, non chiuso, ma protetto dall’esterno, come un patio privato su cui affacciano tutti gli spazi costruiti comprendendo anche la mensa-ristorante e il salone polifunzionale; la forma complessiva dell’architettura cinge il cuore del lotto e anche considerati singolarmente, i volumi costitutivi con i loro punti nodali determinano un abbraccio verso chi si avvicina, con spazi accoglienti e convergenti verso le entrate. Varcate le soglie gli ambienti principali sono del tutto liberi e senza ostacoli nel campo visivo, illuminati dai fronti e dall’alto secondo le giaciture delle falde, senza limitazioni fisiche all’attraversamento e nemmeno all’utilizzo, materializzando nel costruito il modo in cui in generale il centro si pone nell’accettazione degli ospiti.
Quality architecture is also an opportunity for human revival within the productive suburbs of our cities. In this case, materials and construction technologies are applied in line with the educational intentions of the new center
All’interno di questo centro anche si svolgono specifici lavori e si producono oggetti artigianali al pari di quanto avviene in alcune delle realtà confinanti; per gli ospiti al massimo grado si tratta di momenti di vita vera in cui trovare realizzazione di sé, come forma di autodeterminazione e di avviamento a un percorso d’autonomia. La sincerità del contenuto si rispecchia nella sincerità delle forme e nell’immediatezza delle tecnologie costruttive e dei materiali impiegati. Sono questi molteplici, assemblati secondo i dettami della prefabbricazione o della semiprefabbricazione, proposti in modi essenziali. Questo atteggiamento, parzialmente dovuto al consueto motivo del contenimento dei costi, corrisponde ancora una volta alla trasposizione al progetto di un credo proprio dello spazio progettato: quello di fare dell’apparente debolezza la caratteristica e il punto di forza da esibire senza filtri. Al pari degli altri materiali presenti, il laterizio è mostrato quasi nella sua essenza, sotto la forma degli elementi basici della semiprefabbricazione tradizionale, quali fondelli per travetti di solai laterocementizi, pignatte e blocchi alleggeriti per murature vocate alla forte inerzia termica. Tutti i materiali, compresi i laterizi, sono impiegati senza fronzoli, esibiti in modo diretto, accettandone di ciascuno la propria natura come caratteristica. L’intento è ancora una volta anche educativo, con il plus di riuscire a introdurre naturalmente un senso e un’atmosfera domestici agli spazi interni. L’unica finitura concessa in esterno e in interno agli elementi laterizi è la smaltatura, ai cui minimi spessori si demandano le capacità di protezione specialmente dagli agenti atmosferici. Al colore dei materiali ci si affida per costruire senso di identità e di appartenenza al luogo, ma anche senso d’orientamento fra le aree diverse: vengono dunque distinti cromaticamente alcuni laboratori interni specialmente nelle porzioni laterizie lasciate a vista. Il lavoro di ifdesign dedicato a questo progetto prosegue alcune ricerche dello studio già riconoscibili in altri interventi come per esempio nella Wiggly House a Ponte Lambro, il cui grande spazio soggiorno fa convergere illumi-
nazione dall’alto e dai patii interni, attraverso la copertura sagomata, creando uno spazio capace di accogliere situazioni sempre diverse e di modificarsi in base allo scopo; allo stesso modo le peculiarità materiche delle superfici di tetto e pareti rimandano alle sperimen-
tazioni dei calpestii nella Piazza nera, Piazza bianca a Robbiano.
Il progetto per Noivoiloro ONLUS particolarmente vale allo studio il titolo di architetto italiano dell’anno 2021 e poco prima la menzione ai premi nazionali Inarch 2020.
SCHEDA TECNICA
Oggetto Laboratori e Centro socio-educativo per persone con disabilità
Località Erba, Como
Committente Noivoiloro ONLUS
Progetto architettonico ifdesign – franco tagliabue volontè ida origgi architetti
Collaboratori Mattia Cipriani, Chiara Castroflorio, Massimo Hu
Impresa di costruzione Stampini sncLurago d’Erba
Cronologia realizzazione 2019
Superficie 880 m2
Costo complessivo 850.000 euro
Fotografie © Andrea Martiradonna
McGarry NI Éanaigh Architects
Candle Community
Dublino, Irlanda
Pasqualino Solomita, Architetto, PhD, libero professionistaKEYWORDS
Mattoni
Ampliamento
Rigenerazione
Budget
Spazio
Bricks
Expansion
Regeneration
Budget
Space
Fondata nel 1978, la Candle Community è un progetto comunitario ubicato a Ballyfermot, un sobborgo a ovest del centro della città di Dublino. Questa zona della città, caratterizzata da una prevalenza di alloggi sociali, pur disponendo di una energica comunità è stata pesantemente penalizzata dall’abuso di droga e dall’abbandono scolastico da parte dei suoi cittadini più giovani.
La Candle Community è un vivace centro di assistenza sociale centrato sui bambini e sulle esigenze dei giovani. Attraverso differenti programmi educativi, sociali e di sviluppo si impegna a soddisfare le esigenze di tutti i giovani e a sostenerli nel raggiungere il loro pieno potenziale, attraverso l’educazione e il sostegno terapeutico.
Con un intervento in ampliamento di modesta entità e con un budget limitato, lo studio McGarry NI Éanaigh Architects ha reinventato una nuova integrità formale e spaziale attraverso un processo di integrazione teso a sfruttare le qualità insite del contesto.
L’edificio esistente con la sua forma rettangolare allungata e il suo rivestimento in mattoni faccia a vista, collocato a ovest di un lotto di circa 5.000 m2 con un lungo filare di pioppi disposti sul confine sud, si presentava fortemente intercluso per la presenza di una recinzione in muratura che la occultava alla vista, alla totale assenza di un percorso di accesso pedonale e alla rilevante presenza di un'ampia porzione di asfalto per la viabiltà carrabile e la sosta. I progettisti hanno sovvertito questa percezione di chiusura e introspettività che non si addice allo spirito della Candle Comunity, utilizzando le risorse esitenti e agendo in modo sostenibile. L’ampliamento dell’edificio esistente con un nuovo corpo conformato a cuneo genera una nuova spazialità, che accoglie ed invita a entrare
With a modest extension project, McGarry NI Éanaigh Architects reinvented a new formal and spatial integrity through an integration process aimed at exploiting the inherent qualities of the context. The expansion of the existing building with a new wedge-shaped body in exposed brick generates a new spatiality that welcomes and invites you to enter
percorrendo il nuovo cortile d’ingresso esposto a sud, e al contempo si apre a est verso un rilassante prato che si estende per tutta l'ampiezza del lotto. La nuova circolazione, sia interna sia esterna all’ampliamento, definisce una connettività che è stata strategicamente concepita per valorizzare lo spazio sociale e favorire l’orientamento, la fiducia e garantire il benessere dei suoi giovani fruitori. In particolare gli spazi interni si articolano intorno al corridoio di circolazione che è il vero cuore dello spazio sociale di tutta la struttura. Scandito da un ordine ritmico di doghe verticali variamente colorate di magenta, bianco, arancione e azzurro, simboleggiano quello che è l’obiettivo primario del centro: migliorare il senso collettivo di appartenenza e al contempo elevare l’epressione individuale di ciascuno. Gli ambienti che si aprono intorno allo spazio sociale sono destinati a uffici, consulenza, accoglienza, meditazione e stanza focolare di comunità. Colori giallo ocra e rosso vino delle pareti caratterizzano alcuni di questi ambienti.
Ma è con il ricorso al mattone rosso scuro, che l’intervento di ampliamento si discosta cromaticamente dall’edificio presistente con i suoi mattoni rosso chiaro di fine anni ’70, anche se ne riprende sommariamente la conformazione in termini di sviluppo in alzato.
L’articolazione dei fronti con le sue diverse inclinazioni, pur mantenendo le altezze contenute, genera una percezione dinamica dei diversi prospetti. Le generose aperture che contraddistinguono tutti i fronti del nuovo fabbricato sono ritmate da persiane scorrevoli realizzate con l’accostamento di semplici doghe in legno equidistanziate e incassate nella rientranza della muratura faccia vista al fine di mantenere una planarità e pulizia delle facciate.
Le facciate non hanno sporti di copertura ma sono raccordate da un frontalino in lamiera verniciata in continuità con la lamiera di copertura. Sul fronte est, che si apre a ventaglio verso il giardino e su cui è stato piantumato un albero in corrispondenza del punto di flesso, i progettisti hanno ben marcato questa articolazione del fronte con una serie di semplici gesti compositivi: un pluviale cassettonato di colore rosso se-
gna il punto di rotazione della facciata, le aperture sulle due porzioni di facciata sono differenti per altezza e ampiezza e come elemento marcatore un camino d’angolo che si eleva oltre la copertura a definire la chiusura prospettica della composizione della facciata. L’intervento in ampliamento con i suoi soli 205 m 2 ha sovvertito le gerarchie e dato ordine a uno contesto che aveva definite potenzialità inespresse. La nuova configurazione, rispondendo alle esigenze della comunità sui problemi antisociali dei giovani, ha restituito il valore del paesaggio coniugandolo con i principi della Candle Comunity: <<Crediamo che ogni giovane possa crescere e svilupparsi emotivamente, intellettualmente, fisicamente, socialmente
Il nuovo ingresso e spiritualmente in un ambiente positivo e accogliente. I giovani sono l’ispirazione e sono loro che determinano cos’è Candle e come deve essere modellata nel futuro (www.candletrust.ie)>>
SCHEDA TECNICA
Oggetto
Centro di assistenza sociale
Località Dublino, Irlanda
Committente Misto Pubblico / Privato
Progetto architettonico
McGarry NI Éanaigh Architects
Cronologia 2017 (progettazione), 2018-2019 (costruzione)
Superficie 205 m2 ampliamento, 535 m2 ristrutturazione
LEGENDA
1. Nuovo ingresso
2. Spazio multi funzione
3. Sala comunitaria
4. Consulenza
5. Ufficio
6. Consulenza
7. Consulenza
8. Meditazione
9. Reception
10. Spazio sociale Circolazione
Nord Architects Alzheimer’s Village Dax,
Francia
Roberto Gamba, Architetto, libero professionistaKEYWORDS
Villaggio
Casa di cura
Coppi
Coesistenza
Village
Nursing home
Brick tiles
Coexistence
Lo studio Nord Architects di Copenaghen si prefigge di progettare per la coesistenza, considerando tale tema come massima sfida del nostro tempo. Per questo ragionevole obiettivo opera di frequente rivolgendosi al settore sanitario e alla creazione di un’architettura innovativa e di qualità, basata sulla comprensione dei bisogni, dei comportamenti e delle azioni degli utenti, da tradurre in adeguati spazi e relazioni spaziali. La progettazione sanitaria è impegno a prendersi cura e accogliere le persone, in locali e atmosfere che consentano ai pazienti e ai loro parenti di rilassarsi e di guarire nel miglior modo possibile. I loro progetti si identificano con il disegno di edifici impostati sulla funzionalità dell’ambiente di degenza e di lavoro, nell’interesse di dipendenti e utenti, coinvolti talvolta in situazioni di vita delicate.
A Dax - città romana originariamente denominata Aquae Tarbellicae, oggi comune francese di ventiduemila abitanti, noto per le sue acque termali, situato nella regione della Nuova Aquitania, non lontano dalla costa che si affaccia sul golfo di Biscaglia - lo studio danese ha realizzato un centro d’eccellenza basato sul concetto di “villaggio”, indirizzato a pazienti affetti da Alzheimer e demenza.
Il progetto, ispirato chiaramente allo stile edilizio locale, stabilendo così continuità nella vita delle persone e familiarità tra abitanti e residenti della casa di cura, è stato dunque concepito come un vero e proprio villaggio e come tale si compone di 16 case, “reparti” di 8 residenti ciascuno, per ospitare un totale di oltre 120 pazienti.
L’impianto planimetrico integra in una ampia “C” rivolta verso la campagna un insieme di 4 diversi, ma analoghi gruppi abitativi, raccolti attorno a cortili aperti. Ogni casa funziona
The Alzheimer’s and Dementia Patient Center is conceived as a real “village”, with a “C” shaped layout facing the countryside, composed of a set of 4 different residential areas and open courtyards, to accommodate over 120 patients. The roofs with brick pitches and tiles offer the original color typical of this finish and ensure complete resistance to water infiltration, frost and the weight of snow
come unità indipendente, consentendo di regolare il grado di cura da casa a casa, con una suddivisione che evita quei lunghi corridoi, caratteristici delle istituzioni ospedaliere tradizionali. I reparti assumono un carattere familiare che di conseguenza si adatta alle esigenze individuali di ciascun paziente, creando le migliori condizioni per lo svolgersi di una vita attiva, fino a quando la malattia lo permetta. Il complesso include altresì, in un nucleo di riferimento aggregato intorno a una piazza centrale, una serie di funzioni collettive: ristorante, parrucchiere, negozi, biblioteca e centro sportivo.
In questo modo l’insieme vive, sia dal punto di vista organizzativo che funzionale, come una piccola comunità territoriale.
Sono compresi tra gli elaborati di progetto, una serie di schizzi rappresentativi che schematizzano diagrammaticamente e con semplicità gli obiettivi architettonici e funzionali perseguiti, promuovendo così l’efficace esplicabilità di tale concezione, mettendo in luce il ruolo di aiole, giardini, negozi, mini fattorie, camere private, orti, segnaletica; poi attraversamenti nel verde, dotati di percorsi accuratamente pavimentati; pergolati, porticati, forme architettoniche tradizionali e moderne, materiali (tetti in coppi di cotto e intradossi di copertura finiti in legno al naturale).
Appare voluta, pur se negativa rispetto alla definizione di un’immagine architettonica unitaria e disciplinarmente espressiva, anche la diversificazione materica, concepita come una sorta di integrazione e imitazione del contesto. Ugualmente l’utilizzo di tegole in cotto nelle coperture conferisce riconoscibilità al complesso, restituendo nel contempo al gruppo di palazzine distanziate e mescolate al verde della campagna quell’immagine di “villaggio” già in precedenza dichiarata.
La soluzione delle coperture con falde ricoperte di coppi in laterizio è stata apprezzata e scelta dai progettisti, non solamente per l’originale cromatismo della finitura e per il suo rievocare la tradizionale frammentazione costruttiva dei villaggi europei, ma anche per l’affidabilità che tale scelta materica garanti-
sce, nell’assicurare la completa tenuta alle infiltrazioni di acqua, al gelo, al peso della neve. Per tutte queste ragioni il progetto del complesso dimostra il suo derivare da una razionale concezione delle diverse parti componenti l’architettura, l’entità volumetrica, la scelta tipologica e formale, la funzionalità degli ambienti ai bisogni dell’utenza, la selezione dei materiali, l’adozione delle tecnologie attuative più appropriate, per il rispetto delle prescrizioni e degli obiettivi ambientali e di risparmio energetico.
SCHEDA TECNICA
Oggetto Centro per malati di Alzheimers
Località Dax, Landes Nuova Aquitania, Francia
Progetto Architettonico Nord Architects
Collaboratori Champagnat & Gregoire, Groupe Cauros
Cronologia 2016-2020
Superficie 10.700 m2
Costo complessivo 16.100.000 euro
Fotografie © 11h45 : photographie d'architecture
Marlier Rohmer
Inclusività
è sentirsi “a casa”
Chiara Testoni, Architetto, PhDKEYWORDS
Integrità
Stratificazione
Dettaglio
Generosità
Normalità
Integrity
Stratification
Detail
Generosity
Normality
Marlies Rohmer
(Rotterdam, 1957), subito dopo la laurea presso Delf University of Technology, nel 1986 fonda il suo Studio che, da quasi quarant’anni, lavora con i più diversi committenti e spazia con agilità dall’ampio gesto urbano all’intervento più minuto. Tra i numerosi interventi pubblici rientrano gli edifici per la cura e il supporto delle fragilità, nei quali sviluppa una forte attenzione alle complessità emozionali e psicologiche oltre che materiali dell’utenza, in un processo di “normalizzazione” della diversità e di transizione del luogo di assistenza da spazio istituzionale ad ambiente domestico accogliente e stimolante.
Il Suo Studio, Marlies Rohmer Architecture & Urbanism, opera dal 1986 in Olanda e all’estero, spaziando dall’ampio gesto urbano al dettaglio più minuto: dall’urbanistica, agli interventi residenziali, agli edifici pubblici (tra cui scuole e residenze protette), all’interior design. Esiste un “fil rouge” nelle diversità di scala e programmi?
Credo che un comune denominatore del mio lavoro sia la ricerca di integrità, il tentativo di realizzare edifici che sappiano reggere il test del tempo. Edifici che non invecchiano o che lo fanno con decoro, anzi assumendo una “patina” che li rende vivi e, talvolta, ancora più in-
Be it a school, a home or a building for assistance and care, the leitmotifs of Marlies Rohmer’s work are the search for integrity through durable materials, meticulous attention to details and to the connections with the urban space, in the conviction that architecture has the task of registering and responding to the complexities of our time in a multidimensional logic and always with special attention to the needs of the users, without any intellectualism or self-referential temptation.
teressanti con gli anni rispetto a quando sono stati costruiti. Per questo, faccio ampio uso del laterizio: è un materiale versatile, che si presta a soluzioni tessiturali, cromatiche e figurative diverse. I patterns di facciata, con le loro variazioni, consentono di assorbire le trasformazioni del materiale nel corso del tempo, rendendole meno impattanti in modo “naturale” e sfumando le imperfezioni che con il tempo inevitabilmente si registrano.
La cura del dettaglio è fondamentale per garantire la felice sopravvivenza di un’opera: un’architettura durevole non deriva mai dall’”avarizia” ma esprime generosità nel senso di tecniche e materiali affidabili, di soluzioni costruttive efficienti, di ricchezza compositiva: elementi che rendono più difficile che un’opera venga demolita, anche se dovesse cambiare destinazione d’uso nel tempo. Inoltre, è importante che l’edificio mantenga integrità non solo da un punto di vista tecnico-costruttivo ma anche nelle relazioni con il contesto. Un ulteriore aspetto ricorrente nel mio lavoro è l’esigenza di costruire relazioni tra spazio pubblico e privato, tra esterno e interno, nella concezione di un’architettura “multidimensionale” che registra le complessità del contesto fisico e sociale in cui si situa e le trasforma in possibilità attraverso un lessico di contrasti, di stratificazioni, di sorprese inaspettate. Per questo posso concepire allo stesso tempo spazi umbratili e radiosi, chiari e scuri, estroversi o riservati e, da un punto di vista dei materiali, murature massive in laterizio o superfici evanescenti in acciaio e vetro: un’architettura multidimensionale è espressione della complessità del contesto e delle caratteristiche dell’utenza, e non è mai la sommatoria delle parti ma l’integrazione tra queste.
Negli ultimi anni il tema dell’accessibilità in architettura è stato riassunto dai concetti di “Design for All”, “Inclusive Design” o “Universal Design”, adottati da Enti e aziende che assumono come prioritaria la fruibilità di uno spazio per il maggior numero di persone, indipendentemente dall’età o dalle capacità motorie, sensoriali e cognitive. Che cos’è per lei un’architettura accessibile e inclusiva?
In Olanda c’è una storia consolidata in materia di accessibilità in architettura, dall’housing agli edifici pubblici. Penso però che sia ancora dominante un approccio “istituzionale” che spesso si limita a rispondere a requisiti strettamente “dimensionali” piuttosto che indagare sulle modalità di risposta a bisogni altrettanto importanti di quelli logistici, quali quelli psicologici ed emotivi. Credo che un’architettura veramente accessibile debba spingersi a toccare le corde più intime e personali di chi la vive, facendolo stare come “a casa” in uno luogo dove sentirsi protetto e al contempo dove trovare occasioni di socialità, dove essere assistito ma anche potersi esprimere in modo autonomo. Sono ovviamente importanti i temi della sicurezza, per garantire una fruizione dell’edificio senza pericoli, e la flessibilità per consentire di allestire lo spazio in relazione all’evolversi nel tempo delle esigenze dell’utenza. É necessario che il layout distributivo non si limiti solo a “collegare” gli ambienti come un tradizionale corridoio ma che diventi un’esperienza cognitiva, una sorta di viaggio interno in cui esplorare sensazioni tattili, visive, olfattive secondo un principio circolare e non lineare. Questo è stato fatto in KJC Heliomare, ad esempio. Oltre a questi aspetti, è importante anche che gli ospiti possano sperimentare il passaggio delle
stagioni attraverso il rapporto tra spazi interni ed esterni, godere del piacere della musica, sentirsi “scaldati” da un focolare domestico, in un processo di “normalizzazione” che rende la permanenza nel luogo di cura e assistenza come un’esperienza tranquillizzante e quasi “ordinaria” ma al tempo stesso arricchente.
Parliamo di KJC Heliomare, un centro innovativo che offre istruzione, riabilitazione, sport ed esercizio fisico a più di 500 bambini e ragazzi con disabilità. Può raccontarci quali sono state le scelte progettuali che Lei ha adottato, da un punto di vista sia compositivo sia dell’accessibilità dell’edificio?
In KCJ Heliomare ho cercato di tradurre gli obiettivi di cui parlavo prima. I bambini e ragazzi che ricevono cure educative e riabilitative presso KJC hanno una disabilità fisica, intellettuale, socio-emotiva o multipla con diversi gradi di indipendenza. In particolare, molti ospiti hanno disabilità visive. La sfida è stata progettare un edificio sicuro, in cui fosse facile orientarsi e che fosse, da un lato, il più “ordinario” possibile, rassicurante e accogliente, ma anche stimolante: il layout distributivo, l’acustica, l’illuminazione, la scelta di materiali con le giuste qualità tattili e cromatiche sono di grande importanza. Da un punto di vista funzionale, il complesso ha un impianto molto semplice e intuitivo, che favorisce l’orientamento: oltre alle normali funzioni scolastiche, l’edificio comprende anche una clinica di riabilitazione, aree sportive, terapeutiche e di esercizio fisico. Ogni funzione è dotata di un ingresso autonomo e converge nella piazza centrale irradiata di luce come fulcro di incontro tra ospiti, personale e visita-
© Thea van der Heuvel
Marlies Rohmer
Architecture & Urbanism, KCJ Heliomare, Heemkskerk (Olanda) 2017.
© Thea van der Heuvel
tori, dove si trova anche una cucina semi-professionale e dove gli ospiti della formazione secondaria preparano i pasti per il ristorante. La struttura puntiforme consente la massima flessibilità e adattabilità degli ambienti alle diverse esigenze che si dovessero presentare nel corso del tempo.
e invecchiare bene mantenendo invariate le caratteristiche originarie.
Negli interni particolare attenzione è rivolta ai materiali, prescelti per le loro qualità tattili e per il loro calore (come il laterizio) mentre sono stati evitati spigoli o angoli taglienti. I battiscopa e le cornici di porte e finestre sono colorati a contrasto in modo da rendere riconoscibili ambienti e ingressi.
Dal momento che crediamo che talvolta un approccio giocoso possa incentivare il processo terapeutico, i diversi materiali sono utilizzati anche a scopo ludico e di intrattenimento: gli ospiti possono esplorare gli spazi in modi diversi a seconda delle età, attraverso il gioco e lo sport: ogni ambiente è concepito in modo sicuro ma anche giocoso, in una sequenza di atmosfere sempre diverse.
Marlies Rohmer
Architecture & Urbanism, De Zeester, Noordwijk (Olanda) 2007.
© Daria Scagliola & Stijn Brakkee
Da un punto di vista formale l’edificio ha un carattere “robusto”. La scelta del laterizio per gli involucri va nella direzione di durabilità e decoro, di cui accennavo all’inizio: è un materiale affidabile e altamente espressivo; inoltre, la texture – che evoca una rete da pesca –a due gradazioni cromatiche, giallo verso l’alto e marrone scuro verso il basso, consente alla facciata di non “sporcarsi” nel corso del tempo
Anche in altre opere Lei ha sviluppato il tema dell’inclusività, sempre con particolare attenzione agli aspetti psicologici-emozionali oltre che tecnico-funzionali. Mi riferisco a De Zeester a Noordwijk del 2007 e al Maggie’s Centre a Groningen, in questi giorni in fase di ultimazione. Ce ne vorrebbe parlare?
In entrambi gli interventi ho cercato di realizzare ambienti semplici e funzionali ma caratterizzati e accoglienti. De Zeester, (letteralmente, “Stella marina”, è un centro che offre attività diurne per i residenti del Centro di assistenza a persone con disabilità mentale a Noordwijk, NdA), è un volume appositamente compatto, per evocare un senso di riparo e intimità. Il contatto con l’esterno avviene in sicurezza, in quanto gli spazi all’aperto sono inclusi nel sedime dell’edificio, evitando così spiacevoli recinzioni: dalle terrazze praticabili in copertura agli spazi al piano terra coperti dal volume aggettante. Anche qui, come in KCJ Heliomare, l’involucro in laterizio favorisce una percezione di solidità e affidabilità nel tempo, a cui si aggiunge un elemento fortemente caratterizzante: 275 oblò in ceramica che punteggiano la facciata, realizzati da artigiani con disabilità mentali e quindi ciascuno con le gradevoli imperfezioni proprie di una fattura ma-
nuale. L’impianto è chiaro e funzionale: uno spazio collettivo a doppia altezza costituisce il perno intorno a cui ruotano le attività; gli spazi distributivi tradizionalmente fatti di corridoi lunghi e stretti sono stati abbandonati a favore di luoghi di transizione fluidi e flessibili. La struttura a griglia consente la più ampia adattabilità degli ambienti, che possono essere uniti e riconfigurati in vari modi. Negli interni, particolare attenzione è stata rivolta alla luce, che filtra diffusamente dagli oblò e dal lucernario sulla piazza centrale e che, insieme ai pavimenti, rivestimenti e ai toni neutri delle pareti, favorisce atmosfere pacificanti. Maggie’s Centre di Groningen (centro affiliato alla rete dei Maggie Keswick Jencks Cancer Caring Centers, voluta dalla moglie di Charles Jencks per offrire luoghi di cura, supporto e speranza ai malati di cancro, diffusasi a partire dal 1996 dal Regno Unito e successivamente nel resto del mondo, NdA) è il primo in Olanda ed è proprio in questi giorni in fase di ultimazione. Il centro nasce nella convinzione che l’architettura possa svolgere un ruolo essenziale nel processo di cura e, conseguentemente, di guarigione. L’idea è quella di creare un ambiente il più possibile famigliare, dove sia possibile una varietà di ambienti e atmosfere: luoghi di socialità e incontro, o di intimità e raccoglimento, a seconda dei diversi stati d’animo degli ospiti. Il design si ispira all’impianto del chiostro monacale ed è caratterizzato da una serie di contrasti: estroverso-introverso, aperto-chiuso, chiaro-scuro. All’impianto funzionale e flessibile, connotato da un nucleo attorno a cui si distribuiscono gli spazi terapeutici, di consulenza e confronto, di socialità e di relax, si aggiungono elementi di design e arredo dal sapore “domestico”: il camino, il pianoforte, l’illuminazione diffusa, le armadiature a muro, gli spazi verdi mirano a evocare un senso di calore e a irradiare fiducia e ottimismo. I fronti sono bivalenti. Verso University Medical Centre Groningen, la facciata “istituzionale” è un involucro massivo in laterizio con sottili fenditure vetrate; sul fronte più “privato”, la facciata prospiciente il giardino è smaterializzata, grazie alle ampie vetrate e ai pergolati di legno che
lasciano filtrare il giardino con il canneto, invitando a sperimentare il passaggio delle stagioni. Anche qui, laterizio negli involucri e legno negli interni e negli spazi comuni all’aperto evocano atmosfere morbide e avvolgenti.
“The designs of Marlies Rohmer are tender and made with love”: così recita il report della Giuria dell’Amsterdam Prize for the Arts 2008, assegnato al Suo studio. Pensa che il fatto che lei è una professionista donna possa aggiungere un plusvalore al fare architettura?
Direi di no, non ne farei proprio una questione di genere. Con lo Studio abbiamo progettato opere di grandi dimensioni e interventi minuti, affrontando con entusiasmo le sfide più diverse. Non sono affezionata a un “genere” nel progettare. Il mio concetto di architettura si fonda su un’idea di spazio in cui si sta bene come in una “casa”; in cui si impara, ci si cura e si guarisce; un’architettura che mantenga nel tempo immutati integrità formale e costruttiva e il dialogo con il contesto, senza essere un oggetto avulso e autoreferenziale. Un’architettura tutt’altro che concettuale ma calata concretamente nei bisogni materiali e immateriali di chi la vive. Un’architettura dove la normalità è un valore. Questo approccio è proprio di un’etica della professione in senso lato, senza prerogative di genere.
Antichi palinsesti in laterizio. L’Anfiteatro Campano tra restauro e miglioramento della fruizione
Il contributo si propone di riflettere sulla capacità del progetto di restauro di comprendere e far “leggere” la complessità di un palinsesto archeologico stratificato e di coniugare le istanze di conservazione con quelle di fruizione inclusiva del patrimonio costruito
Renata Picone, Professore Ordinario, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II Luigi Veronese, Ricercatore TDb, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Napoli Federico II
KEYWORDS
Accessibilità
Siti archeologici
Restauro
Santa Maria Capua
Vetere
Accessibility
Archaeological sites
Conservation
Santa Maria Capua
Vetere
Un palinsesto in laterizio
L’uso del laterizio nelle murature dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere (CE) – nel contesto territoriale di Terra di Lavoro, nel tratto dell’antica via Appia tra Napoli e Roma –costituisce un elemento connotante per ricostruire le vicende architettoniche dell’edificio e per indirizzare i fruitori verso la comprensione di un millenario palinsesto stratificato1 L’Anfiteatro Campano, il secondo per dimensioni in Italia dopo il Colosseo, rappresenta, già in età romana, uno dei massimi luoghi di sperimentazione del laterizio come elemento costruttivo, il quale diviene, nella lettura dell’an-
fiteatro nella sua ultima configurazione, uno dei principali materiali con cui l’edificio viene restaurato a più riprese nel corso dell’Ottocento e del Novecento. Il rivestimento originario della struttura in pietra è quasi scomparso del tutto, lasciando totalmente in vista i paramenti in mattoni, notevolmente rimaneggiati nel corso dei vari restauri. Il ricorso al mattone costituisce per la gran parte dei restauratori che intervengono sull’edificio negli ultimi due secoli la soluzione più compatibile dal punto di vista materico strutturale, che si presta anche, con trattamenti diversi, a rispondere all’istanza della distinguibilità delle aggiunte, che le codificazioni della
Ancient brick palimpsests. The Campanian Amphitheatre between restoration and improvement of fruition
Th e paper aims to reflect on the ability of the restoration project to understand and “read” the complexity of a stratified archaeological palimpsest and to combine the instances of conservation with those of fruition of the built heritage. This is not always easy because, especially in the archaeological field, arises the question of making legible parts of architecture that no longer exist, also in order to permit the “use” of the site, respecting its ancient function.
T he study starts from a research agreement between the Interdepartmental research Center for architectural and environmental heritage and urban planning of University of Naples Federico II and the Polo Museale della Campania (Ministry of Culture) aimed at identifying “Guidelines and methodological studies for the restoration, conservation and use of the Anfiteatro Campano in Santa Maria Capua Vetere (CE)” and intended to pursue the
objective of restoring archaeological emergencies – through the conservation of the monument in its last historical and consolidated configuration – and to improve accessibility to the site also to people with temporary or permanent disabilities. The aim of the project also intended to improve the duration of the intervention, through the adoption of restoration and enhancement solutions that allow scheduled maintenance, with minimal works over time.
Antichi palinsesti in laterizio.
L’Anfiteatro Campano tra restauro e miglioramento della fruizione
disciplina del Restauro imponevano con sempre maggiore cogenza [1]. È così che Carlo Bonucci, Ulisse Rizzi e Pietro Bianchi, nell’Ottocento, e Amedeo Maiuri, nel corso della prima metà del secolo successivo, intervengono sul palinsesto murario dell’anfiteatro, dei suoi setti e dei suoi cunei, con ampie integrazioni murarie in laterizio, curando di bocciardare i blocchi o di disporli in diagonale o a coda di rondine. Anche solo avviando la visita all’anfiteatro dall’ingresso a Sud, è possibile leggere sulla cortina muraria, l’enorme varietà dei paramenti murari che si articola con uno specifico trattamento del laterizio: un’interessante “galleria”, di restauri, ciascuno dei quali costituisce un capitolo del percorso compiuto dalla disciplina in campo archeologico. A tale galleria appartengono anche i più recenti interventi compiuti sull’anfiteatro, compreso quello in corso che introduce laterizi nelle integrazioni di archi e volte degli ambulacri superstiti.
Il progetto di restauro dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere è stato redatto nel 2018 e si è avvalso della consulenza di un gruppo di esperti in Restauro architettonico afferenti al Centro interdipartimentale di ricerca per i Beni architettonici e ambientali e la Pro-
gettazione urbana dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, nell’ambito di una convenzione stipulata con il Polo Museale della Campania (MIC)2. Con il coordinamento scientifico di chi scrive, il team di ricerca ha sperimentato una virtuosa collaborazione con la committenza, la direzione del sito archeologico e il gruppo incaricato della progettazione3
Gli obiettivi del progetto di restauro architettonico dell’anfiteatro sono stati conseguiti adottando una metodologia che ha permesso di individuare gli indispensabili interventi di consolidamento e di conservazione, con integrazioni limitate e ben riconoscibili e opportune operazioni di rinforzo statico e restauro delle superfici architettoniche. Piccoli innesti, progettati con linguaggio contemporaneo, hanno permesso di immaginare una rilevante possibilità di ampliamento della visita del sito, attraverso dispositivi che consentiranno la percorribilità dell’intero anello di collegamento tra la parte occidentale e quella orientale dell’anfiteatro, oggi interrotto da crolli; il collegamento e la visita con i sotterranei, oggi precluso alle persone con disabilità; e l’accesso al primo livello dell’edificio, privo ora di qualsiasi collegamento.
Il laterizio nell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere
Realizzato in età flavia sul modello del Colosseo di Roma tra la fine del I secolo d.C. e l’inizio del II, l’Anfiteatro Campano fu restaurato e decorato in età adrianea (117-138 d.C.) e inaugurato in età antonina (138-162 d.C.) [2].
La struttura si compone di tre ambulacri verso l’arena, due portici esterni e quattro ingressi monumentali, preceduti da protiri. Il monumento, che poteva ospitare circa sessanta mila spettatori, si sviluppava su quattro livelli sovrapposti (tre ordini e attico) con un portico di ottanta arcate poggiate su pilastri decorati con semicolonne dorico-tuscaniche nei primi tre piani e lesene nell’attico.
Le arcate del doppio portico perimetrale furono costruite in opus quadratum con calcare proveniente dalle cave del vicino Monte Tifata. Le parti strutturali sono in opus quadratum e in opus caementicium (volte rampanti di sostegno) con i paramenti murari in opus latericium e in lastre di travertino, marmo, stucco e intonaco dipinto per le decorazioni. Al di sotto del podio, ambienti a volta con finestre e porte si affacciavano sull’arena.
Lo spazio sotterraneo è suddiviso in undici corridoi: due anulari che partono dal muro di contenimento e nove disposti parallelamente all’asse maggiore. Circa quaranta ambienti coperti a volta, alcuni dei quali delimitati da bassi muretti in opera laterizia, erano plausibilmente utilizzati per contenere gabbie con fiere; quattro di questi vani con scale di servizio conducevano al piano dell’arena.
La funzione dell’anfiteatro venne mutando dopo l’abolizione dei giochi gladiatori voluta dall’imperatore Onorio nel 404 d.C. Dopo i danni subiti dalle invasioni di Genserico (456 d.C.), l’edificio fu restaurato da Postumo Lampadio nel 530 d.C., ma il saccheggio e l’incendio provocati nell’841 dall’incursione dei saraceni di Halfun determinò l’abbandono dell’antica Capua e il trasferimento della popolazione poco più a nord, nell’ansa del Volturno, sede dell’antico porto di Casilimum, dove in età normanna fu costruita la nuova Capua [3].
Nella metà del IX secolo, l’anfiteatro, corpo difensivo di una città ormai quasi deserta, divenne fortezza e sede di Gastaldato. L’ imponente struttura fu distrutta a partire dall’Alto Medioevo, quando, soprattutto in età normanna furono tagliate in maniera sistematica le murature radiali per provocare il crollo della struttura, recuperando sia materiali più nobili, come le decorazioni marmoree, sia i laterizi che servirono a costruire la Capua medievale [4].
Solo dal 1811, in rapporto alla politica di recupero dei siti antichi di Carolina Murat, si diede inizio alle prime campagne di scavo dell’anfiteatro, con opere di restauro e consolidamento delle arcate, che proseguirono anche in età Borbonica. Nel 1826, furono riportati alla luce i sotterranei e liberato il piazzale in lastricato lapideo. A Carlo Bonucci si deve il consolidamento in mattoni di un arco del portico esterno, mentre sotto la direzione di Ulisse Rizzi, tra il 1852 e il 1861, furono realizzati i sostegni di alcuni archi in pietra calcarea, realizzati con due ricorsi di mattoni alternati ad una fila di conci di tufo. In altre aree del monumento, che presentavano rischi di tipo strutturale, furono ricostruiti pilastri e tratti di muratura mancanti con mattoni di tufo, mentre i pilastri esistenti furono rivestiti con la-
Il
Antichi palinsesti in laterizio.
L’Anfiteatro Campano tra restauro e miglioramento della fruizione
terizi tradizionali [5].
Scavi e restauri rimasero fermi fino al 1927, per riprendere, sotto la direzione del soprintendente alle Antichità della Campania e del Molise, Amedeo Maiuri, con lo sterro del cumulo di terra che gravava sulle rovine dal lato SE. L’opera di consolidamento parallelamente attuata riguardò la ricostruzione in mattoni dei nuclei centrali delle arcate longitudinali dei sotterranei e delle volte del retropodio, nonché la sostituzione con muratura in mattoni degli elementi murari in blocchi di tufo realizzati nel corso di precedenti restauri, ma già lesionati.
Nel 1936 si provvide a ricollegare, mediante muratura in mattoni e cemento, gli appoggi in fondazione con i setti murari radiali che presentavano tagli alla base praticati nell’Alto Medioevo al fine di accelerare il crollo della struttura [3]. Le ultime campagne di restauro, negli anni Cinquanta, dopo il terremoto del 1980 e agli inizi del nuovo Millennio hanno sostanzialmente consolidato l’edificio e definito lo stato attuale del sito archeologico.
Archeologia e accessibilità
Nel corso degli ultimi decenni il rapporto tra Archeologia e Architettura ha stimolato un interessante dibattito interdisciplinare, che ha investito la prassi operativa del restauro del patrimonio costruito (archeologico e architettonico), con molteplici sperimentazioni che hanno aperto la strada a nuovi campi di interazione tra le discipline [6]4 . Tali esperienze hanno anche approfondito in modo sperimentale il miglioramento dell’accessibilità fisica e cognitiva dei siti nel senso ampio, inteso non solo come superamento delle barriere architettoniche e percettive in alcune aree, ma anche come miglioramento della fruizione da parte della comunità; un miglioramento volto all’implementazione dei servizi per l’informazione, la sicurezza e il comfort per tutti e quindi anche per le persone con disabilità motorie e/o percettive [7].
Il patrimonio archeologico pone per sua natura problematiche conservative specifiche, strettamente legate alla composizione materica e all’evoluzione morfologica delle architetture archeologiche. Tali evidenze, una volta disvelate,
restano spesso esposte agli agenti atmosferici allo stato di frammento: prive di elementi di protezione, con compagini murarie in precario equilibrio statico, perchè non adeguatamente controventate da solai e orizzontamenti. Le murature antiche sono sovente interessate negli strati superficiali da avanzati fenomeni di alterazione – come quelli rilevati sull’Anfiteatro Campano – che, a contatto diretto con gli agenti atmosferici, favoriscono la formazione di agenti degradanti, minacciando dall’interno la sussistenza delle strutture. A partire dalla conoscenza approfondita delle evidenze archeologiche, lette nella loro consistenza architettonica, figurativa e fisica e inquadrate nel momento storico che le ha generate, l’intervento di restauro si propone, da un lato, di massimizzare la conservazione della materia antica e, dall’altro, attraverso l’aggiunta di nuovi e misurati innesti, di incrementare il grado di accessibilità, nonché di fornire un supporto alla lettura degli spazi architettonici, spesso incomprensibili senza un adeguato studio preliminare. I frammenti di antiche
3. Santa Maria Capua Vetere, Anfiteatro Campano. L’accesso ai sotterranti con integrazioni murarie recenti (Foto R. Picone, 2023)
4.
a nord. Un crollo dell’antico pavimento lascia in vista gli archi di sostegno e i sotterranei (Foto R. Picone, 2023)
civiltà manifestano, infatti, una “palese alterità risultando, nella maggior parte dei casi, indecifrabili o persino incomprensibili [8], spesso delimitati in recinti fisici o relegati dal ‘bordo’, dal confine dello scavo [9].
Le aree archeologiche sono spesso difficilmente accessibili per alcune caratteristiche morfologiche intrinseche, che hanno di frequente determinato salti di quota, pendenze eccessive, mancanza di parapetti e piani continui, lunghe percorrenze prive di aree di sosta, e per peculiari criticità materiche, legate al tipo di pavimentazioni spesso insicure, instabili, lacunose o sconnesse e irregolari [10]. Di fronte a tali criticità e nell’ottica di un complessivo miglioramento della fruizione per tutti, misurati e meditati segni contemporanei, che si aggiungono al palinsesto delle aree archeologiche, divengono simboli dell’attenzione che il nostro tempo dedica ai temi dell’inclusione e del coinvolgimento attivo e partecipato del maggior numero di individui, comprese le persone con disabilità motoria o percettiva. Il progetto di restauro mira a compiere un’opera di vera e propria interpretazione-traduzione, capace di rendere comprensibili, e quindi realmente fruibili, gli esiti dell’attività archeologica [8], consegnando al futuro un patrimonio sicuro, identitario e arricchito di
nuovi significati e capacità attrattive. Tale obiettivo evidenzia il ruolo del restauro come disciplina di sintesi, capace di esercitare una regia tra le varie conoscenze coinvolte, focalizzando l’attenzione su ciò che è necessario per la permanenza del patrimonio archeologico e sulla sua corretta trasmissione alla Comunità, consegnando alle nuove generazioni un patrimonio percepibile come elemento della memoria collettiva, arricchito di una nuova cifra attrattiva: un’opera di “interpretazione – traduzione – racconto capace di rendere comprensibili e quindi realmente fruibili” [8] i risultati della ricerca archeologica.
Si tratta quindi di rivendicare un ruolo militante del restauro, tra i cui compiti vi è quello di favorire la comprensione del testo antico attraverso un lavoro di attivazione della memoria, più volte richiamato da Andrea Carandini: “Dove la vita continua normalmente è più difficile trovare questi scherzi del tempo – il palesarsi del non tempo – ma dove essa appare interrotta, abbandonata, lacerata e poi d’un tratto anche solo a frammenti rivelata, ecco che avvengono quei magici contatti” [11]. Al compito dell’archeologia di ritrovare le tracce del passato e del restauro di preservarle si sta affiancando sempre più quello delle cosiddette digital humanities, che consentono di ‘raccontare’, ricostruire o integrare le lacune di un racconto frammentario, senza intaccare in senso fisico il testo originale o costringere ad eccessive ricostruzioni. Carandini nel 2000 non poteva prevedere lo sviluppo di tali tecnologie nel campo dei beni culturali, ma già affermava che “bisognerebbe non ricostruire i ruderi, ma trarre da essi informazioni per giungere a ricostruzioni grafiche […] le ricostruzioni seguono ipotesi che possono rivelarsi con il tempo caduche, per cui si dovrebbe smontare e rimontare di continuo i ruderi col risultato di tartassarli o di sfasciarli completamente, oppure dovremmo contentarci per sempre di una ricostruzione errata e ormai storicizzata” [11]. Tali apporti recenti, utilizzati in modo consapevole, potranno favorire la diffusione di una concezione del bene culturale come bene pubblico per eccellenza, con un proprio ruolo sociale e educativo. Questa nuova dimensione,
Antichi palinsesti in laterizio.
L’Anfiteatro Campano tra restauro e miglioramento della fruizione
se vogliamo più etica e civile dell’azione restaurativa, costituirà una delle sfide future della disciplina ed emerge sempre più nei casi in cui il miglioramento della fruizione dei siti archeologici, per loro stessa natura poco accessibili, diviene una sfida volta all’inclusione e al coinvolgimento di sfere sempre più ampie di popolazione [12, 13]. D’altro canto, parte dell’azione militante sul passato consiste nel calarsi nelle questioni contemporanee; come ha insegnato Carandini, perdendosi nella ricerca del passato, ma nel contempo impegnandosi a rimanere nelle e tra le questioni contemporanee, perché ciò rende l’archeologo (e l’architetto restauratore) “oltre che un dotto un uomo” [11]. Resta profondamente diversa, tra l’archeologo e l’architetto, la percezione del margine dello scavo archeologico e del rapporto fra l’interno dell’area di scavo e la città contemporanea. Il margine costituisce per il primo “un limite che divide aspetti antinomici dell’essere nel mondo, né vi bisogna addolcire l’antinomia, in sé significativa e che istruisce”, mentre “opposta è l’idea degli architetti, che cercano di suturare le ferite archeologiche” [11]. L’archeologo mira quindi a isolare l’area d’indagine, misurando il bordo e quindi il distacco temporale come segno significativo, mentre l’architetto tende a ricucire il rapporto delle evidenze archeologiche con la città e il paesaggio contemporaneo; tale dialettica offre diverse potenzialità al restauro archeologico su cui occorrerà continuare a riflettere. In tal senso, lavorare sulla qualità del margine, preservando la sua funzione di protezione, ma rendendolo contemporaneamente permeabile alla percezione e alla fruizione appare una sfida cui non ci si può sottrarre.
Dalla conoscenza
al progetto di fruizione
Considerate tali premesse, il progetto per il restauro e la fruizione ampliata dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere ha guardato all’intera area archeologica del sito capuano in un’ottica ampia, che ha previsto non solo la messa in sicurezza e la conservazione delle evidenze archeologiche, ma anche una razionalizzazione delle aree limitrofe di perti-
nenza del Polo museale della Campania (MIC), al fine di incrementare la fruibilità e la comunicazione del sito, per una migliore offerta turistica e per un possibile uso dell’anfiteatro per spettacoli e manifestazioni5
La scelta e la definizione degli interventi sulle strutture murarie dell’anfiteatro hanno previsto una metodologia di indagine basata sulla suddivisione dell’intero manufatto in quattro quadranti, nominati con i punti cardinali; sono stati poi individuati 72 setti, corrispondenti ai muri di sostegno delle arcate, ed è stato associato un numero progressivo agli spazi compresi tra setti contigui, che sono stati definiti cunei. Tale suddivisione è risultata fondamentale per un’analisi accurata del quadro fessurativo e del degrado e per la univoca localizzazione degli interventi di rimozione delle cause e degli effetti. Il progetto ha mirato in primo luogo a consolidare le evidenze archeologiche, intervenendo in maniera puntuale per assicurare la riadesione al supporto murario degli elementi distaccati, la sarcitura delle lesioni, la stilatura dei giunti erosi, la ricomposizione dei colmi murari con bauletti in cocciopesto e, ove necessario, l’integrazione della muratura con nuovi
5. Progetto di restauro e valorizzazione dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere. Proposta per la realizzazione di una passerella tra gli ambulacri e l’arena (elab. R. Picone, L. Veronese, L. Cappelli, E. Fiore, A. Piscitelli, C. Mazzuoccolo, 2018)
6. Progetto di restauro e valorizzazione dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere. Proposta per la realizzazione di una piattaforma elevatrice per l’accesso ai sotterranei (elab. R. Picone, L. Veronese, L. Cappelli, E. Fiore, A. Piscitelli, C. Mazzuoccolo, 2018)
mattoni o conci tufacei. Nei casi in cui la statica delle strutture necessitava di sostegni maggiormente invasivi, sono state concordate con gli strutturisti coinvolti nel progetto soluzioni che hanno introdotto elementi metallici e cavi di acciaio, in particolare negli elementi soggetti a pressoflessione, come i setti di sostegno della parte alta della cavea e i pilasti isolati ancora in situ. Ovunque, il progetto di conservazione delle superfici architettoniche ha previsto il diserbo della vegetazione infestante e l’eliminazione delle forme di degrado rilevate. Altrettanto articolato è stato il progetto per una nuova fruizione del complesso archeologico e per il superamento delle barriere architettoniche e percettive che, senza pretendere un’accessibilità totale del sito, ha teso ad allargare il più possibile il numero di persone che possono accedere e fruire del bene, e a migliorarne la qualità dell’esperienza culturale complessiva. La consapevolezza del problema dell’accessibilità è emersa già nella fase del rilievo e della conoscenza preliminare allo studio delle soluzioni. Sono state evidenziate criticità di tipo materico e morfologico come i lastricati pavimentali irregolari, sconnessi o mancanti, salti di quota, e soprattutto l’inaccessibilità dei piani superiori e dei sotterranei. Sono state, inoltre, rilevate criticità percettive in merito alla distinzione dei percorsi e al corretto orientamento dei flussi dei visitatori.
Tali criticità, oltre a costituire un limite per la
fruizione fisica del sito, impedivano la “lettura” dell’anfiteatro che, paradossalmente, appare maggiormente chiara nelle illustrazioni e nei dipinti dei viaggiatori sette/ottocenteschi. Proprio l’analisi e l’interpretazione dell’iconografia storica sull’Anfiteatro Campano ha suggerito in fase di progetto nuove soluzioni per la fruizione e la comunicazione del sito [14, 15]. La raccolta delle fonti disponibili e il ritrovamento di nuova documentazione grafica e fotografica hanno permesso di rilevare, per esempio, come nell’Ottocento fosse assai frequente la visuale dalla sommità del deambulatorio del primo livello che permetteva di inquadrare l’intero invaso della cavea e dell’arena, oggi precluso al pubblico perché non vi è alcun modo di raggiungere in sicurezza il camminamento più alto dell’anfiteatro. La stessa considerazione va fatta rispetto ai sotterranei, forse la parte più interessante e suggestiva del sito, rappresentata da vedutisti e fotografi fin dalla liberazione ottocentesca e oggi non completamente accessibile. Tale lettura iconografica del sito ha sollecitato il gruppo di progettazione a pensare a soluzioni che potessero migliorare e ampliare la fruizione e la percezione dell’anfiteatro, permettendo non solo la passeggiata tra i ruderi, ma la possibilità di percorrere l’edificio nella sua spazialità, allo stesso modo di come veniva fruito in antico. A tal fine i camminamenti concentrici interni, sottoposti alla cavea, al livello terra, sono stati resi fruibili attraverso la stabilizzazione dei battuti di tufo con prodotti compatibili con gli strati esistenti e l’integrazione delle lacune con nuovi getti dello stesso materiale. In corrispondenza del dell'ambulacro più interno, attualmente non percorribile interamente perché interrotto a nord da un crollo pavimentale, è stato realizzato un collegamento a ponte, in acciaio e lastre di pietra che, poggiando su gli arconi di copertura dei sotterranei, permetterà di congiungere il deambulatorio Est con quello Ovest, garantendo la possibilità di percorrere l’intero anello dell’anfiteatro che conteneva gli ingressi alla cavea e le stanze dei gladiatori. I percorsi di accesso all’arena e l'anello perimetrale verranno ripristinati recuperando, ove possibile, le pavimentazioni originarie, inte-
Antichi palinsesti in laterizio.
L’Anfiteatro Campano tra restauro e miglioramento della fruizione
grando le lacune con lastre di pietra di colore simile a quello esistente, ordite secondo una tessitura ad opera incerta, ma a maglie larghe, così da permettere all’erba di creare un motivo tra le lastre, che oltre a garantire la distinguibilità dell’aggiunta, permetterà di ottenere una caratterizzazione cromatica del percorso. Verrà infine sostituito l’attuale grigliato metallico, che copre gli ambulacri ipogei e permette illuminazione e ventilazione, con un altro simile, ma di passo differente per garantire la sicurezza al calpestio. L’idea di poter nuovamente raggiungere in sicurezza i sotterranei sarà perseguita mediante la realizzazione di una piattaforma elevatrice che, in corrispondenza della nuova passerella lungo il deambulatorio a Nord, (là dove il crollo ha determinato la naturale possibilità di un collegamento verticale) permetterà l’accesso anche alle persone con mobilità ridotta. L’elevatore in acciaio e vetro, con finiture in pietra, sarà retto dalle strutture della passerella e funzionerà tramite un pistone telescopico che si addosserà a un muro in mattoni, rendendo minimo l’impatto del nuovo dispositivo sulle strutture antiche.
L’ampiamento delle possibilità di visita sarà perseguito anche attraverso la realizzazione di una nuova rampa di scale – moderna, ma con andamento simile alle scale antiche dell’edificio – che permetterà di raggiungere il deambulatorio del primo livello, verso il lato nord. Il sistema di scale verrà inserito laddove esisteva una delle salite originarie dell’anfiteatro, attraverso un elaborato sistema di rampe ancora in parte visibile e ben rappresentato nelle ricostruzioni antiche di Francesco Alvino [16]. Ciò permetterà anche di offrire al visitatore un modello didattico esemplificativo del sistema di risalita comune a molti anfiteatri romani. La scala sarà realizzata in acciaio e vetro, con pedate in breccia locale ed è stata studiata in modo da ancorarsi alla struttura esistente con il minimo impatto possibile. L’introduzione di questo innesto consentirà al visitatore di raggiungere il piano superiore e godere di un punto di vista dell’anfiteatro del tutto nuovo, aumentando in maniera sensibile la percezione e la visitabilità della preesistenza.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] R. Picone, L. Veronese, A partire da ciò che resta. Le reintegrazioni di Alberto Terenzio al Pantheon e il dibattito sulla lacuna in architettura, 1929-1934, Confronti 4-5 (2015), La lacuna nel restauro architettonico, pp. 50-60.
[2] A.S. Mazzocchi, In mutilum Campani amphitheatri titulum aliasque nonnullas Campanas inscriptiones commentarius, Napoli, 1727.
[3] V. Sampaolo, L’Anfiteatro Campano, in L ‘Anfiteatro Campano di Capua, Hsg. L. Spina, Napoli 1994.
[4] I. Gennarelli, L’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere: immagine storica e nuova fruizione, in Confronti 6-7 (2015). Il restauro delle architetture per lo spettacolo, .
[5] L. Cappelli, La fruizione inclusiva nel progetto di restauro: il caso degli anfiteatri romani: percorsi di conoscenza e indirizzi metodologici, Firenze University Press, Firenze, 2023.
[6] R. Picone, G. Greco, M. Osanna, Pompei Insula Occidentalis. Conoscenza, Scavo, Restauro e Valorizzazione, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2020.
[7] R. Picone Archeologia e contesto. Il ruolo del restauro, in Materiali e Strutture XIII (2018), pp. 63-84.
[8] A. Ricci, Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Donzelli, Roma, 2006.
[9] M.G. Ercolino, La città negata, Ginevra Bentivoglio editrice, Roma, 2013.
[10] A. Spinosa, Criticità morfologiche e materiche di un’area paradigmatica compresa tra porta Marina e l’anello del Foro R. Picone (a cura di), Pompei accessibile: Linee guida per la fruizione ampliata del sito archeologico, L’«Erma» di Bretschneider, Roma, 2013, pp. 213-220.
[11] A. Carandini, Giornale di Scavo. Pensieri sparsi di un archeologo, Einaudi, Torino, 2000.
[12] R. Picone (a cura di), Pompei Accessibile. Per una fruizione ampliata del sito archeologico/Accessible Pompeii. For an extended fruition of the archaeological site, “L’Erma” di Bretschneider, Roma 2013.
[13] R. Picone, (2020), Le Terme del Suburbio occidentale di Pompei. Dal Restauro al Miglioramento della Fruizione, Confronti 11-12 (2020), Restauro e Fruizione. Le Terme suburbane di Pompei, pp. 17-36.
[14] G. Renda, L. Cecere, Immagini dell’Anfiteatro Campano fra arte e archeologia: disegni, vedute e incisioni del Settecento e dell’Ottocento, Istituti editoriali e poli grafici internazionali, Pisa, 2012.
[15] L. Veronese, Una nuova idea di paesaggio. William Turner e l’anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, RA - Restauro Archeologico, Memories on John RuskinUnto this last, 2019, pp. 148-155.
[16] F. Alvino, Anfiteatro Campano illustrato e restaurato da Francesco Alvino, 3. ed. col paragone di tutti gli anfiteatri d’Italia ed un cenno sugli antichi monumenti di Capua, Dallo stabilimento tipografico di Partenope, Napoli, 1842.
Note
1. Il presente contributo costituisce l’esito condiviso di una ricerca svolta da entrambi gli autori: il primo e il terzo paragrafo sono scritti da Renata Picone, il secondo e il quarto da Luigi Veronese.
2. Il Centro interdipartimentale di ricerca per i Beni architettonici e ambientali e la Progettazione urbana dell’Università di Napoli Federico II era allora diretto dal prof. arch. Fabio Mangone. Coordinatore scientifico dell’Accordo è la prof. arch. Renata Picone. Il gruppo di ricerca era composto dagli archh. Luigi Veronese, Luigi Cappelli, Ersilia Fiore, Crescenzo Mazzuoccolo e Amalia Piscitelli.
3. Il direttore dell’Anfiteatro Campano è la dott.ssa Ida Gennarelli. Progettista dell’intervento l’arch. Paolo Mascili Migliorini. Consulenti per l’archeologia, il dott. Heinz Beste; per le strutture l’ing. Michele Candela.
4. Recenti sperimentazioni sono state condotte dagli autori del presente saggio in siti archeologici del contesto campano, come i siti capuani, le Terme di Baia, Cuma e, in maniera più approfondita, l’area archeologica di Pompei, sotto il coordinamento scientifico di Renata Picone.
5. Il progetto è attualmente in fase di realizzazione. La fine dei lavori è prevista per dicembre 2023.
Misurare la sostenibilità dei processi edilizi attraverso il principio del DNSH
L’obiettivo per la neutralità climatica dell’Europa entro il 2050 passa oggi necessariamente per gli investimenti del NextGenerationEU, gli SDG’s, il PNRR.
La tassonomia per la finanza sostenibile coinvolge anche alcuni comparti produttivi dell’industria ceramica come attività abilitanti
Eduardo Bassolino, PhD, Ricercatore di tipo A, Dipartimento di Architettura, Università Federico II di Napoli – Chapter Campania e Calabria di GBC ItaliaKEYWORDS
DNSH
Finanza sostenibile
Tassonomia europea
PNRR
CAM Edilizia
Appalti verdi
DNSH
Sustainable finance
European Taxonomy
PNRR
CAM Construction
Green procurement
Con l’introduzione in Italia del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [1] quale risposta nazionale al Recovery and Resilience Facility (RRF)1 - il fondo più consistente del NextGenerationEU - , il pacchetto da 750 miliardi di euro stanziato dall’UE e finalizzato alla “ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa” quale risposta alla crisi pandemica, è stata prevista la conformità per tutte le misure al principio “Do No Significant Harm” (DNSH)2 [2] (siano questi investimenti o riforme), ovvero di non arrecare danno significativo all’ambiente. Tale principio nasce dalla necessità di connettere la crescita dell’economia in Europa con
la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali, assicurando la preservazione delle risorse naturali durante i processi di attuazione delle misure e degli investimenti. Secondo quanto esplicitato nell’art. 17 del Regolamento UE n. 852/2020 “Tassonomia UE”, le attività economiche sono considerate sostenibili sulla base del loro impatto sui sei obiettivi ambientali (fig.1):
1. mitigazione dei cambiamenti climatici;
2. adattamento ai cambiamenti climatici;
3. uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine;
4. economia circolare;
5. prevenzione e riduzione dell’inquinamento;
Measuring the sustainability of building processes through the DNSH principle
The regulations on green investments and sustainable economic activities introduced by the European Union and immediately applied in response to the pandemic crisis for the NextGenerationEU, introduced the concept of ‘do no significant harm’ (DNSH), which, refers to the EU Taxonomy, binds the implementation of the measures of the PNRR and PDC to a strict control on the real sustainability. This principle stems from the need to
connect Europe’s economic growth with protecting the environment and natural ecosystems, ensuring the preservation of natural resources while implementing measures and investments. According to Article 17 of EU Regulation No. 852/2020 ‘EU Taxonomy’, economic activities are considered sustainable based on their impact on six environmental objectives: climate change mitigation; climate change adaptation; sustainable use and protection of water and
marine resources; circular economy; pollution prevention and reduction; and protection and restoration of biodiversity and ecosystems. The DNSH principle is gaining increasing relevance in measuring the environmental, economic and social impacts of economic activities in every sector, mainly due to the use of established and validated assessment methodologies capable of determining the resulting environmental impacts and communicating them appropriately.
6. protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
L’impatto negativo o danno significativo che deve essere valutato (attraverso un approccio di tipo LCA – Life Cycle Assessment), considerando il ciclo di vita di prodotti, processi e servizi legati alle attività economiche, si considera tale se:
• genera emissioni di gas climalteranti significative;
• aumenta l’esposizione, ora e nel prossimo futuro, di persone, beni ed elementi naturali dovuta all’impatto maggiormente negativo dei fenomeni climatici estremi;
• contribuisce alla scarsa qualità dei corpi idrici, riducendone il potenziale ecologico;
• non contribuisce all’utilizzo di materia proveniente da processi di riciclo, riuso e riutilizzo, incrementando l’uso di risorse primarie e contribuendo alla generazione di rifiuti;
• contribuisce all’aumento delle emissioni inquinanti nell’aria, nell’acqua o nel suolo;
• si rivela dannosa per gli ecosistemi relativamente alla conservazione degli habitat naturali e della biodiversità.
Gli investimenti green
Il principio del DNSH sta acquisendo una crescente rilevanza nella determinazione della misurazione degli impatti ambientali, economici e sociali delle attività economiche di ogni settore [3], grazie soprattutto all’impiego di metodologie di valutazione già consolidate e validate, capaci di determinare gli impatti ambientali derivanti, comunicandoli in maniera adeguata. Si pensi che oltre alla valutazione sulle misure del PNRR, anche altre tipologie di investimenti della pubblica amministrazione hanno iniziato a prevedere il rispetto del principio del DNSH3. Con l’introduzione del Green Public Procurement relativo agli acquisti/appalti verdi della pubblica amministrazione, reso obbligatorio nel 2017 con Codice Appalti (D.lgs. 50/2016, come modificato dal D.lgs. 56/2017), da cui è scaturita la definizione e l’introduzione dei CAM – Criteri Ambientali Minimi, volti questi alla definizione di specifiche tecniche e clausole procedurali e contrattuali durante lo svolgimento di gare di appalto pubblico a seconda delle differenti categorie di prodotti, opere o servizi, le
1. ©European Commission I sei obiettivi climatici ed ambientali della Tassonomia UE
amministrazioni sono indirizzate verso investimenti con un sempre crescente attenzione agli impatti sull’ambiente.
Nonostante i CAM non siano stati concepiti secondo un’articolazione che segua i sei obiettivi definiti dalla tassonomia UE, ovvero che possano guidare al rispetto del principio DNSH, questi trovano una forte corrispondenza nell’articolazione dei singoli criteri e dei presupposti culturali, normativi e d’indirizzo posti quale riferimento per la sostenibilità ambientale degli acquisti verdi della pubblica amministrazione, dove ad esempio l’aggiornamento dei CAM Edilizia del 2022 [4] (Decreto MITE n.256 del 23 giugno 2022, in vigore dal 4 dicembre 2022), trova tra le sue finalità quella di armonizzare le norme vigenti allo scopo di ridurre l’impatto ambientale degli appalti del settore.
Quale supporto per l’attuazione del principio DNSH per le misure del PNRR, il Ministero dell’Economia e delle Finanze - MEF ha redatto una Guida Operativa per il rispetto del principio di non arrecare danno significativo all’ambiente (cd. DNSH)4 [5,6], nella quale, relativamente a ogni misura, sono definite schede tecniche a seconda delle aree omogenee d’intervento, con indicazione dei corrispondenti regimi di applicabilità (Regime 1 e Regime 2), e all’intero delle quali sono richiamati i riferimenti normativi, i vincoli DNSH e i possibili elementi di verifica. Inoltre, è stata redatta una mappatura che associa le misure del PNRR alle schede tecniche, oltre che check list all’interno delle quali sono riassunti gli elementi di verifica ex-ante, in itinere e ex-post per ciascuna scheda tecnica, redatte rispettando aspetti già presenti nell’apparato normativo italiano, richiamando i criteri presenti all’interno dei CAM.
Il principio DNSH nel settore delle costruzioni
In riferimento al settore delle costruzioni, ad oggi, a distanza di quasi tre anni dall’introduzione in Italia del PNRR, è possibile tracciare un primo quadro sulle ricadute che tale misura sta rappresentando per il futuro degli appalti pubblici, sia dal punto di vista amministrativo-procedurale, sia per quanto riguarda la sua at-
tuazione. In particolare, ponendo l’attenzione sull’ambito di azione “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”5, con un focus sul comparto delle costruzioni e delle trasformazioni che riguardano l’ambiente costruito, è possibile definire quelle relazioni che intercorrono tra l’attuale quadro normativo e gli obiettivi e le azioni per la verifica e l’attuazione di misure volte al raggiungimento di più alti standard di sostenibilità ambientale.
Con l’emanazione delle linee guida e dei disciplinari per la redazione dei progetti di fattibilità tecnico-economica6, e in particolare con l’introduzione dell’elaborato tecnico-descrittivo della “Relazione di Sostenibilità dell’Opera”, si vogliono mettere a sistema tutte quelle tematiche che concorrono al raggiungimento degli obiettivi ambientali coerenti con le linee d’indirizzo definite dall’UE, anche attraverso una visione sistemica, volta alla realizzazione di opere architettoniche ed edilizie capaci di non provocare danni all’ambiente, ovvero di contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici e alla preservazione degli ecosistemi. Tematiche quali il coinvolgimento attivo delle comunità, dei territori, degli stakeholder, l’economia circolare delle opere, attraverso una visione improntata al ciclo di vita, grazie all’utilizzo di soluzioni tecnologiche innovative ed il rispetto dei CAM Edilizia, ma anche l’impronta ecologica e il fabbisogno energetico dell’opera, sono gli aspetti che devono essere interconnessi tra loro con il fine di rispettare il principio DNSH, attraverso una valutazione degli impatti climatici e di quelli socio-economici che la realizzazione dell’opera avrà nel contesto in cui si andrà ad inserire. Attuazione del DNSH. Il Regolamento della Tassonomia EU per gli investimenti verdi, prevedendo la classificazione delle attività economiche che possono essere considerate sostenibili dal punto di vista ambientale, attraverso la classificazione dei codici NACE/ ATECO, ha lo scopo di minimizzare l’eventuale presenza di impatti sulle componenti ambientali derivanti dalla realizzazione di opere, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
L’introduzione del rispetto del principio DNSH
consente oggi una maggiore chiarezza e coerenza procedurale all’interno dell’ampio quadro normativo italiano, che necessariamente attinge e guarda alle normative europee, allo scopo di ricercare una maggiore conformità rispetto al controllo prestazionale per l’ottenimento dei finanziamenti.
L’attuazione del principio DNSH quale sistema di controllo per la sostenibilità degli interventi legati al PNRR [5], in maniera subordinata al raggiungimento degli obiettivi strategici del nuovo Green Deal europeo, si traduce in una valutazione ex-ante degli interventi da ammettere a finanziamento7, oltre che nella predisposizione in itinere ed ex-post di elaborati volti al controllo e al monitoraggio del corretto assolvimento degli obblighi da parte di soggetti realizzatori e alla dimostrazione del raggiungimento di obiettivi intermedi e finali (milestone e target). A questi aspetti di carattere generale e successivamente di controllo, si lega il rispetto dei requisiti prestazionali minimi introdotti con l’aggiornamento del 2022 dei CAM Edilizia che, facendo esplicito riferimento alla promozione di un “approccio bio-eco-sostenibile”, ai concetti del Green Deal europeo e alla normativa europea volta alla sostenibilità ambientale delle costruzioni all’interno degli stati membri, garantiscono il rispetto degli aspetti ambientali, in un continuo rimando all’attuazione di verifiche prestazionali.
La funzione delle amministrazioni pubbliche. Un ruolo fondamentale nel garantire il rispetto del principio DNSH è quello che svolgono i sog-
getti attuatori (le pubbliche amministrazioni), che sono obbligati ad ottemperare a numerosi adempimenti di verifica e controllo durante le fasi di realizzazione degli appalti e nelle fasi di rendicontazione delle spese e degli indicatori di realizzazione associati ai diversi progetti. Tali verifiche consistono principalmente nel controllo sui soggetti realizzatori, nell’adozione di criteri ambientali conformi alle normative UE e nazionali di riferimento durante le procedure di gara per l’aggiudicazione degli appalti, della stipula dei contratti e durante le fasi di esecuzione. Già nelle fasi amministrative di predisposizione ed approvazione di “Avvisi e Bandi” di gara, il soggetto attuatore indica gli elementi e le prescrizioni utili al rispetto del DNSH. In particolare, per l’affidamento dei servizi di progettazione, i disciplinari di gara devono includere criteri di selezione progettisti e consulenti che siano in grado di redigere progetti conformi ai vincoli DNSH della Guida operativa del MEF, alle indicazioni delle Linee guida del Mnistero delle infrastrutture e Trasporti e ai CAM Edilizia, prevendo l’inserimento dei gruppi di progettazione di figure professionali specialistiche. Mentre per l’affidamento dei lavori, nei bandi di gara e capitolati speciali d’appalto devono essere richiesti tutti i mezzi di prova necessari alla verifica del rispetto dei vincoli DNSH, così come indicati nella operativa del MEF, nonché di quelle necessarie alla verifica dei CAM, specificando il regime di riferimento [7]. Durante le fasi realizzative delle opere, ad ogni sal, i soggetti attuatori dovranno verificare il rispetto delle tem-
2. ©European Commission I principi di base della Tassonomia UE
3. L’industria ceramica italiana per l’Agenda 2030
ONU SDGs: 55 progetti per 13 obiettivi (dei 17 SDGs dell’Agenda ONU) di sostenibilità di prodotto e di processo.
Fonte: Confindustria Ceramica - Review di sintesi “L’industria italiana per l’agenda 2030 ONU Sustainable Development Goals (SDGs), 2019
pistiche, il rilascio di documentazione attestante il rispetto delle condizionalità specifiche inerente il principio DNSH e i principi trasversali del PNRR, nonché conservare tutte le certificazioni di prodotto indicate nei capitolati speciali d’appalto.
Criteri di vaglio tecnico per l’edilizia. Il Regolamento delegato (UE) 2021/2139 9, che fissa i criteri di vaglio tecnico per stabilire a quali condizioni è possibile determinare che un’attività economica contribuisce in maniera sostanziale alla mitigazione o all’adattamento ai cambiamenti climatici e se non arreca danno significativo a nessun’altro degli obiettivi ambientali [3], tratta nello specifico l’edilizia e le attività immobiliari al punto 7 dell’allegato I; distinguendo i nuovi edifici dalle ristrutturazioni di quelli esistenti.
A tal proposito, la Guida Operativa per il rispetto del principio DNSH redatta dal MEF ha definito una scheda tecnica per ogni attività economica
compatibile, nelle quali sono stabiliti i criteri di vaglio tecnico.
Nel comparto delle costruzioni, gli strumenti in possesso dei soggetti attuatori e progettistici, al fine di verificare il rispetto del principio DNSH e degli obiettivi del PNRR fanno riferimento a check list nella fase di progettazione (ex-ante), e di quelle conclusione delle attività (ex-post), nonché in itinere, e che nel settore delle costruzioni ci si riferisce a Scheda 01_Costruzione di edifici (suddivisa in Regime 1 e Regime 2), Scheda 02_Ristrutturazioni e riqualificazioni di edifici residenziali e non residenziali (suddivisa in Regime 1 e Regime 2)8, e la Scheda 05_Interventi edili e cantieristica generica, oltre che a Dichiarazioni relative il rispetto dei vincoli DNSH nella fase di attuazione e l’Attestazione DNSH, in cui si dà evidenza delle verifiche svolte, condotte in itinere, nonché l’applicazione dei CAM sia durante le fasi di progettazione sia a conclusione delle attività (tabella I).
Misurare la sostenibilità dei processi edilizi attraverso il principio del DNSH
REQUISITI
obiettivo/criterio costruzione di nuovi edifici ristrutturazione di edifici
• Regime 1: domanda di EPglnren inferiore del 20% rispetto ai requisiti NZEB, classe A4
• ristrutturazione importante di primo e secondo livello
mitigazione di cambiamenti climatici
adattamento ai cambiamenti climatici
uso sostenibile o protezione delle risorse idriche e marine
• Regime 2: NZEB, classe A4
• attestazione APE per la classificazione di edificio ad energia quasi zero
• applicazione dei criteri CAM 2022 (2.3.7; 2.4.1; 2.4.2; 2.4.8)
• risparmio del fabbisogno netto di energia primaria pari al 30% rispetto al rendimento energetico prima della ristrutturazione
• attestazione APE ex ante ed ex post
• valutazione del rischio climatico lungo il ciclo di vita dell’edificio (proiezioni climatiche da 10 a 30 anni)
• verifica di vulnerabilità dell’edificio
• soluzioni di adattamento per la riduzione dei rischi
• applicazione dei criteri CAM 2022 (2.3.2; 2.3.3)
• standard internazionali per rubinetterie sanitarie
• applicazione dei criteri CAM 2022 (2.3.4; 2.3.5.1; 2.3.5.2; 2.3.9)
• redazione del Piano di gestione rifiuti
• relazione finale con l’indicazione dei rifiuti prodotti, da cui emerga la destinazione ad una operazione “R”
economia circolare
• svolgere una caratterizzazione del sito ai sensi del D.Lgs.152/2006 obbligatoria per aree superiori a 1.000 mq
• materiali con dichiarazione EPD
• applicazione criteri CAM 2022 (2.4.14; 2.5.2; 2.5.3; 2.5.4; 2.5.5; 2.5.7; 2.5.8; 2.5.10.1; 2.5.10.2; 2.5.11; 2.5.12; 2.6.2) prevenzione e riduzione dell’inquinamento
• impiego di prodotti nel regolamento REACH (Candidate list)
• redazione del Piano Ambientale di Cantierizzazione (PAC), ove previsto dalle normative regionali o nazionali
• verificare che almeno il 70% dei rifiuti non pericolosi derivanti da materiale da demolizione e costruzione (calcolato rispetto al loro peso totale) prodotti durante le attività di costruzione e demolizione sia inviato a recupero
• valutazione del rischio Radon
• materiali con dichiarazione EPD relativa al ciclo di vita e indicazioni per recupero/riuso/smaltimento
• applicazione criteri CAM 2022 (2.4.13; 2.4.14; 2.5.1; 2.5.13; 2.6.1; 2.6.2; 2.6.3; 2.6.4)
protezione e ripristino di biodiversità e degli ecosistemi
• veridica di non edificazione in aree protette
• impiego di materiale con certificazione FSC/PEFC (almeno 80%)
• applicazione criteri CAM 2022 (2.3.1)
Tabella I. Requisiti tecnici e riferimenti alla normativa tecnica per il settore delle costruzioni (CAM Edilizia) in risposta ai criteri del DNSH
Inoltre, i soggetti attuatori sono tenuti a presentare apposite e periodiche domande di rimborso a titolo di rendicontazione delle spese sostenute, attestando le verifiche svolte, in particolare quelle relative al rispetto del principio DNSH, attraverso gli strumenti di verifica precedentemente citati.
Obiettivi per un’edilizia sostenibile. Le valutazioni condotte ai sensi del Regolamento UE 2021/241 per l’applicazione del DNSH per gli investimenti del PNRR, in particolare nel settore edilizio, sono volte a dimostrare in che modo l’intervento sia in grado di contribuire ad almeno uno degli obiettivi definiti nel Regolamento UE 2020/852 “Tassonomia” e di “non arreca un danno significativo” a nessuno degli altri obiettivi ambientali (fig.2). Attraverso l’analisi degli aspetti relativi la programmazione delle fasi realizzative delle opere, viene approfondito il contributo che queste possono garantire in relazione alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici, all’uso sostenibile delle risorse idriche, alla transizione verso un’economia circolare, alla prevenzione e controllo dell’inquinamento e al ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
L’obiettivo è quello di assicurare fin dalle prime fasi della progettazione, linee d’indirizzo volte alla sostenibilità degli interventi durante all’intero di ciclo di vita delle opere, attraverso la disamina delle prime indicazioni e scelte progettuali volte al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile definiti dall’Agenda 2030 dell’ONU (fig. 3). Azioni di vigilanza e verifica sulla capacità delle opere di non arrecare un danno significativo agli obiettivi ambientali, possono essere coadiuvate dalla corretta applicazione dei sistemi di controllo durante le fasi dei processi edilizi, anche con il ricorso a rating system (LEED, GBC, WELL, BREEAM, CasaClima, ITACA, ecc.), determinando un esisto positivo delle operazioni, con ricadute in termini di miglioramento della qualità dell’ambiente urbano e dell’abitare. Lo scopo è quello di rendere le città meno vulnerabili, maggiormente sicure e attrattive, migliorando la qualità della vita degli abitanti e di chi le frequenta per lavoro, studio o per i servizi, in una visione di sviluppo so-
stenibile che guidi verso la transizione ecologica e la neutralità climatica al 2050 [8].
Attività abilitanti per i prodotti ceramici
Il Regolamento delegato (UE) [3], che integra il Regolamento sulla “tassonomia per la finanza sostenibile”, coinvolge alcuni comparti produttivi dell’industria ceramica come attività abilitanti in relazione all’attività economica del punto 3.5 “Fabbricazione di dispositivi per l’efficienza energetica degli edifici”, e in particolare: i prodotti refrattari (NACE C23.20), le piastrelle di ceramica (C23.31) e i mattoni, i blocchi e le tegole in laterizio (C23.32).
Rispetto alla conformità degli specifici criteri di vaglio tecnico per la costruzione di nuovi edifici e ristrutturazione edilizia, e relativamente al Regime 1 e al Regime 2, i laterizi possono fornire un contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici nei seguenti ambiti applicativi [9]:
• sistemi di pareti esterne con coefficiente di trasmissione termica pari o inferiore a 0,5 W/m²K (fig. 4);
• sistemi di copertura con coefficiente di trasmissione termica pari o inferiore a 0,3 W/ m²K;
• elementi di facciata e di copertura con funzione di schermatura solare o di controllo solare (fig. 5).
Inoltre, l’impiego di soluzioni tecniche in laterizio consente il raggiungimento diretto di requisiti relativi al criterio della transizione verso un’economia circolare [10] grazie a:
• potenziale recupero e riuso degli scarti di produzione;
• elevata durabilità e buona predisposizione all’adattabilità e alla riciclabilità;
• ottimizzazione della gestione dei rifiuti del processo produttivo;
• assenza di sostanze pericolose.
La peculiarità dei prodotti in laterizio di non rilasciare emissioni nocive e inquinati permette di ottemperare anche al criterio di prevenzione e riduzione dell’inquinamento.
Il secondo Regolamento delegato (UE) [11] introduce ulteriori integrazioni ai cri -
Misurare la sostenibilità dei processi edilizi attraverso il principio del DNSH
teri di vaglio tecnico in ambito edilizio, individuando modalità di contributo sostanziale alla transizione verso un’economia circolare, come la riduzione di materie prime primarie10 nella costruzione di nuovi edifici, residenziali e non, e negli interventi sull’esistente, mediante l’uso di materie prime secondarie11. Più precisamente, va garantito che per le tre categorie di materiali più pesanti utilizzate in cantiere siano rispettati quantitativi totali massimi di materie prime primarie utilizzate. Ad esempio, per il totale cumulato di laterizi, piastrelle e ceramica, è fissato l’impiego al massimo al 70% del materiale proveniente da materie prime primarie nel caso di nuove costruzioni; soglia che arriva all’85% nelle ristrutturazioni.
Infine, il suddetto Regolamento inserisce i prodotti ceramici tra i beni potenzialmente oggetto di diversi servizi sostenibili da favorire:
• riparazione, riqualificazione e rifabbricazione, ovvero attività che prolungano la durata di vita dei prodotti che sono già stati utilizzati;
• preparazione per il riutilizzo a fine vita, dal rifiuto al reimpiego senza altro pretrattamento;
• vendita di beni di seconda mano;
• mercato virtuale (marketplace) per il commercio di beni di seconda mano;
• prodotto/servizio e altri modelli di servizi orientati all’uso circolare.
Conclusioni
L’introduzione del principio del DNSH impone diverse novità e obblighi ai quali i progettisti
sono tenuti a rispondere. Già nelle fasi di redazione dei progetti di fattibilità, i tecnici sono chiamati a dare iniziali risposte ad alcune richieste inserite attraverso le Linee Guida per la redazione del PFTE [12] ed in particolare attraverso la “Relazione di sostenibilità dell’opera”, alcune delle quali risultano di non semplice redazione durante le fasi preliminari della progettazione, come:
• il primo approccio alla verifica dei criteri tassonomici rispetto del principio DNSH;
• la stima della Carbon Footprint dell’opera in relazione al ciclo di vita e il contributo al raggiungimento degli obiettivi climatici;
• la stima della valutazione del ciclo di vita dell’opera in ottica di economia circolare, seguendo le metodologie e standard internazionali (Life Cycle Assessment – LCA);
• l’analisi di resilienza, ovvero la capacità dell’infrastruttura di resistere e adattarsi alle mutevoli condizioni che si possono verificare sia nel breve che nel lungo periodo a causa dei cambiamenti climatici, economici e sociali.
Inoltre, anche nelle fasi successive di verifica e controllo ex-ante ed ex-post, i progettisti sono chiamati a redigere diversi elaborati che possono anche comportare il ricorso a figure specialistiche, e che risultano di non immediata applicazione, quali:
• l’analisi dell’adattabilità dell’opera ai cambiamenti climatici in atto secondo scenari attuali e previsionali, in conformità alle linee guida riportate all’appendice 1 della Guida Operativa redatta dal MEF;
• la valutazione di vulnerabilità e del ri -
schio per il clima in base agli orientamenti sulla verifica climatica delle infrastrutture 2021-2027;
• la stima dei consumi energetici o il reperimento degli attestati di certificazione energetica per quegli edifici oggetto di ristrutturazione edilizia non più in funzione da diversi anni e per i quali non è possibile ricavare gli effettivi consumi o simularli.
Il ricorso al principio DNSH però, quale attuazione del rispetto dei criteri tassonomici redatti dall’Unione Europea, rappresenta oggi
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
un cambio di rotta strutturale, che ci si auspica possa permeare e permanere nella prassi dei processi edilizi, anche in maniera volontaria per le opere dei soggetti privati, con ricadute positive sugli esiti progettuali verso obiettivi e prospettive di sviluppo e rigenerazione urbana che renderanno le aree oggetto di tali trasformazioni maggiormente eque, solidali e capaci di innescare processi di rivitalizzazione economica, sociale e culturale, contribuendo al tempo stesso alla lotta contro i cambiamenti climatici.
[1] Regolamento (UE) 2021/241 del parlamento europeo e del consiglio del 12 febbraio 2021.
[2] Regolamento (UE) 2020/852 del parlamento europeo e del consiglio del 18 giugno 2020.
[3] Regolamento delegato (UE) 2021/2139 della commissione europea del 4 giugno 2021.
[4] Ministero delle Transizione Ecologica - MITE, Decreto 23 giugno 2022 - Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di progettazione di interventi edilizi, per l’affidamento dei lavori per interventi edilizi e per l’affidamento congiunto di progettazione e lavori per interventi edilizi.
[5] Ministero dell’Economia e delle Finanze - MEF, Guida operativa per il rispetto del principio di non arrecare danno significativo all’ambiente (cd. DNSH). Allegato alla circolare RGS n. 32 del 30 dicembre 2021.
[6] Ministero dell’Economia e delle Finanze - MEF, Guida operativa per il rispetto del principio di non arrecare danno significativo all’ambiente (cd. DNSH). Edizione aggiornata allegata alla circolare RGS n. 33 del 13 ottobre 2022.
[7] IFEL Fondazione ANCI, Vademecum DNSH - Quaderno Operativo 1, ambito edilizia e cantieristica.
[8] F. Butera, Il PNRR per rigenerare le organizzazioni italiane nella transizione ecologica e digitale, TECHNE - Journal of Technology for Architecture and Environment 23 (2022) 26-34.
[9] CERAME-UNIE. Guide to Sustainable finance and EU taxonomy (June 2022).
[10] A. Di Fusco, Il contributo dei laterizi nei nuovi CAM Edilizia. Costruire in Laterizio n.193, 76-83 (2023)
[11] Regolamento delegato (UE) 2023/2486 della commissione europea del 27 giugno 2023
[12] Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile – MIMS, Linee guida per la redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica da porre a base dell’affidamento di contratti pubblici di lavori del PNRR e del PNC (Art. 48, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito nella legge 29 luglio 2021, n. 108).1842.
Note
1. Il fondo che rende disponibili 672,5 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni per sostenere le riforme e gli investimenti effettuati dagli Stati Membri.
2. Cd. “Regolamento Tassonomia”.
3. Nel “Decreto direttoriale - Investimenti sostenibili 4.0”, un regime di sostegno agli investimenti innovativi e sostenibili lanciato dal MiSE, uno dei requisiti principali che stabiliscono l’ammissibilità delle imprese agli incentivi previsti è il rispetto del principio DNSH.
4. Aggiornata con Circolare n. 33 del 13/10/2022.
5. Sono stanziati 68,6 miliardi con gli obiettivi di migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico e assicurare la transizione ambientale equa e inclusiva con ogni anno 50.000 edifici privati e pubblici più efficienti, per un totale di 20 milioni di metri quadrati.
6. Sono posti quale base per l’affidamento di contratti pubblici di lavori del PNRR e del Piano Nazionale Complementare (PNC), con DL 31 maggio 2021, n. 77, convertito nella legge 29 luglio 2021, n. 108.
7. Vincolo che rappresenta una valutazione di conformità degli interventi al principio DNSH, con riferimento alla tassonomia UE, di cui all’art. 17 del Regolamento UE 2020/852.
8. Per le “Misure M2C4 inv. 2.2 - Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei comuni” (piccole e medie opere), sono state redatte check list semplificate per le Schede 01 e 02.
9. Il quale integra il Regolamento UE 2020/852.
10. Le materie prime primarie derivano dalle risorse naturali mediante una lavorazione primaria e danno origine ai materiali primari che sono alla base di tutti i processi produttivi e industriali che permettono di ottenere un prodotto finale desiderato.
11. Per “materie prime secondarie” si intendono le materie che sono state preparate per il riutilizzo o riciclate conformemente all’articolo 3 della direttiva quadro sui rifiuti e hanno cessato di essere rifiuti a norma dell’articolo 6 della medesima.
I sistemi di rivestimento a parete ventilata e la nuova normativa italiana di settore
Presentate le novità e l’aggiornamento della norma UNI 11018 sui rivestimenti a facciata ventilata, in vigore da dicembre 2023. Richiamando i vantaggi dei cosiddetti schermi avanzati a montaggio meccanico, vengono inquadrate le principali caratteristiche tecnologiche, costruttive e di funzionamento, insieme alle prestazioni dei sistemi a facciata ventilata
Alberto Stefanazzi, PhD, Ingegnere libero professionista esperto in materia di progettazione dell’involucro edilizio
Giacomo Scrinzi, PhD, Ingegnere libero professionista ed Assegnista di ricerca presso il Dipartimento ABC, Politecnico di Milano
KEYWORDS
Pareti ventilate
Facciata
Rivestimento
Involucro
Ventilated façade
Façade
Cladding
Envelope
Aggiornamento della UNI 11018
Nel moderno contesto costruttivo caratterizzato da una costante evoluzione tecnologica e materica, le normative di riferimento, che hanno lo scopo di definire lo stato dell’arte dei diversi componenti e sistemi costruttivi e fungere da guida nella progettazione e nella posa degli stessi, devono costantemente evolversi e rimanere al passo con tale progresso. È questo il caso della recente revisione della parte 1 della norma UNI 11018 [1], inerente alle caratteristiche prestazionali e alla terminologia nell’ambito delle cosiddette facciate ventilate, entrata in vigore lo scorso dicembre.
Dalla prima versione della UNI 11018 (“Rivestimenti e sistemi di ancoraggio per facciate ventilate a montaggio meccanico – Istruzioni per la progettazione, l’esecuzione e la manutenzione – Rivestimenti lapidei e ceramici”) risalente al 2003, molti anni sono passati, nuove famiglie di materiali sono state sviluppate, nonché altrettante tecniche e modalità di messa in opera ne hanno ampliato il mercato, rendendo possibile la realizzazione di rivestimenti sempre più sicuri, affidabili, architettonicamente caratterizzanti l’involucro opaco, applicabili sia su edifici bassi che alti, finanche sui grattacieli; basti pensare alle numerose realizzazioni che negli ultimi anni
Ventilated façades and the new Italian national standard
This article presents the news introduced to the Italian national standard for ventilated façades (UNI 11018) with the update released in December 2023. The old text, which had been the reference standard since 2003, was withdrawn and replaced by a new one, intended to be the first part of a series expected to be completed in the coming years. This document
is not focused on the cladding material, while tackling general aspects related to fire safety, impact resistance, seismic behaviour, energy efficiency and thermal behaviour, design for disassembly and materials recycle/reuse issues, which were not adequately investigated before and are needed for a correct design, installation, commissioning, and
maintenance. Further specifications for different cladding materials behaviour, including clay products, will be provided in the upcoming parts. As a brief summary of the new UNI 11018-1 standard content, an overview of different types of ventilated façades and of the main aspects to be considered to comply with the state-ofthe-art is eventually given.
hanno cambiato lo skyline delle città metropolitane, contribuendo inoltre a modificare l’approccio costruttivo e le richieste del mercato immobiliare. Il rivestimento a montaggio meccanico ha contribuito alla realizzazione di numerosi edifici simbolo connotandone architettura, prestazioni e durabilità (fig. 1). Pertanto, negli ultimi anni è divenuta sempre più evidente ed impellente la necessità di un aggiornamento normativo che considerasse tutti gli aspetti progettuali, realizzativi, di controllo, verifica, collaudo e durabilistici dei sistemi di rivestimento a montaggio meccanico. Nell’ottica di predisporre un testo all’avanguardia e di lungimirante visione, opportunamente proiettata verso il futuro, molta attenzione è stata data alle nuove tecnologie e alle modalità di messa in opera del sistema. Al tempo stesso, nella prima parte della nuova
UNI 11018 sono stati eliminati i riferimenti diretti ai singoli materiali costituenti il rivestimento, prevedendo nelle successive parti, il cui rilascio è previsto nei prossimi anni, una trattazione specifica relativamente alle differenti famiglie di materiali, analizzando aspetti, benché generali, di grande rilevanza ed attualità, non adeguatamente indagati o approfon-
diti nella precedente edizione della norma, come meglio descritto nel seguito.
L’obsoleta UNI 11018:2003 [2], che per 20 anni è stata il documento di riferimento per l’intero settore, configurandosi come la regola dell’arte per la realizzazione di rivestimenti a montaggio meccanico con finitura in materiali ceramici o lapidei, è attualmente in fase di revisione e andrà presumibilmente a costituire la seconda parte dell’attuale norma, trattando nello specifico i materiali suddetti. Presentando molte similitudini con questi ultimi, anche gli elementi in cotto, quelli ricomposti in pietra e resina e alti similari troveranno accurata trattazione in tale documento, mentre per tutte le altre famiglie di materiali, salvo il futuro rilascio di ulteriori parti di norma, il testo potrà fornire comunque utili indicazioni e criteri di buon senso da porre alla base di una corretta progettazione, realizzazione, controllo, verifica, collaudo e manutenzione. Tra le principali novità introdotte nella nuova UNI 11018 vi sono la corretta identificazione terminologica del concetto di parete ventilata rispetto al funzionamento e alla tipologia di ventilazione e la trattazione delle più rilevanti caratteristiche prestazionali, quali:
1.Esempio di utilizzo del laterizio in facciata nel nuovo Dipartimento dell’EmergenzaUrgenza (DEU) di Foggia, architettura complessa ma dalle forme lineari e minimaliste, progettato da Studio Cavaliere e Associati, RPA, Studio Altieri, SVEI e BTC. © Warning Film, Foggia
2. Schematizzazione di una parete ventilata (estratto da figura 1 norma UNI 11018-1:2023 [2])
LEGENDA
0. Strato di supporto retrostante la facciata ventilata
1. Strato di isolamento termico (o termo-acustico)
2. Intercapedine di ventilazione
3. Sottostruttura di supporto
4. Rivestimento esterno
• sicurezza in caso d’incendio;
• resistenza all’urto;
• comportamento sismico;
• risparmio energetico e ritenzione del calore;
• riutilizzo e riciclabilità dei materiali.
Il sistema tecnologico e i vantaggi dello schermo avanzato
I sistemi di rivestimento a facciata ventilata ricadono nella più ampia categoria degli schermi avanzati a montaggio meccanico. Tali soluzioni si sono progressivamente sviluppate e diffuse per offrire alle chiusure, in funzione delle diverse condizioni ambientali, la più opportuna protezione rispetto alle azioni degli agenti esterni – in particolare la combinazione di acqua meteorica e vento, la radiazione solare, le azioni meccaniche ed anche la pressione sonora – e conseguentemente per ottimizzare gli scambi termici attraverso l’involucro ed i carichi sugli impianti di climatizzazione, al contempo permettendo di realizzare opere di particolare pregio architettonico.
In particolare, il termine “parete ventilata” (fig. 2) indica comunemente una chiusura verticale opaca rivestita esternamente da
pannelli o lastre di varia fattura, dimensione e consistenza materica, caratterizzati da una messa in opera a secco tramite dispositivi di sospensione e di fissaggio di tipo meccanico o chimico-meccanico che ne mantengono distanziato il lato nascosto dalla retrostante parete di tamponamento, sulla quale può essere applicato un isolamento termico continuo, realizzando un’intercapedine entro la quale può circolare aria esterna, l’ingresso e l’uscita della quale possono avvenire, a seconda dei casi, attraverso i giunti di accostamento orizzontali e verticali tra i singoli elementi del rivestimento, generalmente privi di sigillatura, e/o attraverso apposite aperture. Tali effetti permettono (fig. 3): in estate, di ridurre il flusso termico entrante attraverso la chiusura opaca, schermata rispetto alla radiazione solare incidente dal rivestimento esterno, grazie all’asportazione di quota parte del calore accumulato; in inverno, di mantenere asciutta l’intercapedine asportandone l’umidità derivante da rientri d’acqua meteorica o da migrazione attraverso l’involucro o, nel caso di rivestimento a giunti sigillati, grazie alla chiusura delle griglie poste alla base ed in sommità del rivestimento, di aumentare la resistenza termica complessiva del paramento murario opaco.
In tal senso è possibile distinguere due tipologie di pareti ventilate: le pareti ventilate propriamente dette e quelle micro- o pseudo-ventilate.
La prima tipologia è tipicamente caratterizzata da spessori di intercapedine generosi che permettono di instaurare una ventilazione di media o forte entità, in grado di fornire un contributo significativo alla prestazione termo-energetica della chiusura opaca, che avviene in questo caso tra il piede e la sommità dell’intera intercapedine o, analogamente, lungo segmenti della stessa opportunamente separati, grazie alla presenza di apposite griglie di immissione/ espulsione dell’aria esterna. Come menzionato poc’anzi, in taluni casi, particolarmente per quei fronti privi o con un numero limitato di aperture, è anche possibile provvedere a sigillare i giunti tra i pannelli di rivestimento
al fine di massimizzare gli effetti della ventilazione innescata dal differenziale termico che si viene a generare.
La seconda tipologia, al contrario, si caratterizza per una ventilazione debole o molto debole in presenza di spessori di intercapedine contenuti, sebbene essa sia comunque in grado di garantire prestazioni termo-energetiche equivalenti o superiori a quelle offerte dalle soluzioni fortemente ventilate a fronte di un più generoso dimensionamento dello o degli strati isolanti (da verificare, anche in questo caso, in regime stazionario e/o dinamico in assenza di contributi forniti dalla ventilazione).
Ne deriva che, essendo particolarmente significativa per le pareti ventilate propriamente dette l’influenza della ventilazione, esse meriterebbero di essere progettate, dimensionate e verificate anche con l’ausilio di apposite modellazioni fluidodinamiche che permettano di definire con certezza l’effettivo comportamento termo-igrometrico del pacchetto, particolarmente nel caso di geometrie di involucro complesse. Le pareti micro-ventilate, al contrario, si prestano maggiormente ad un calcolo standardizzato secondo procedure semplificate.
Elementi utili per la valutazione della prestazione energetica delle facciate ventilate, in accordo alla UNI 11018-1:2023, sono forniti: dalla UNI EN ISO 6946:2018 [3] relativamente al calcolo della trasmittanza termica; dalla UNI EN ISO 13786:2018 [4] relativamente al calcolo della trasmittanza termica periodica; dalla ISO 15099:2003 [5] relativamente al contributo, in regime dinamico, offerto da tali sistemi nella stagione estiva.
Ad ogni modo, entrambe le soluzioni garantiscono generalmente una bassa sensibilità all’azione della pioggia battente ed una buona resistenza alla sua penetrazione all’interno dell’intercapedine anche in assenza di sigillatura dei giunti (fig. 4), permettendo peraltro un rapido smaltimento dell’eventuale acqua presente nella stessa. La limitata penetrazione di acqua meteorica è garantita da un funzionamento para -
gonabile a quello del giunto aperto dei serramenti: l’acqua sospinta dal vento bagna la superficie esterna del rivestimento e trova ingresso in intercapedine attraverso i giunti, perdendo tuttavia forza grazie all’equilibramento della pressione esterna (più alta, a causa del vento) con quella interna all’intercapedine, e percolando all’interno della stessa, eventualmente bagnando solo in minima parte la superficie dello strato isolante. A tal riguardo, buona norma prevede l’impiego di materiali non suscettibili all’acqua o provvisti di superfici adeguatamente trattate o rivestite al fine di limitarne l’imbibizione e di conseguenza il progressivo decadimento della prestazione di isolamento termico.
Ulteriori prestazioni del sistema
Unitamente a quanto già discusso, la recente norma UNI 11018-1:2023 contempla numerose prestazioni addizionali generalmente richieste ai sistemi di facciata ventilata.
Per quanto attiene alle prestazioni energetiche delle chiusure, è utile evidenziare come tali sistemi siano in grado di minimizzare gli effetti di ponte termico dovuti a staffe o ele-
3. Funzionamento termoigrometrico di una facciata ventilata: in estate (a sinistra), riduzione del flusso termico entrante, schermatura rispetto alla radiazione solare incidente ed asportazione di calore per ventilazione; in inverno (a destra), nel caso di rivestimento a giunti aperti, asportazione di umidità derivante da rientri d’acqua meteorica o da migrazione attraverso l’involucro.
© Claudio Piferi4. Schematizzazione dei rientri di acqua meteorica nell’intercapedine retrostante un rivestimento a giunti verticali e orizzontali aperti e quantità percentuali che pervengono sui diversi strati.
Intonaco
Pavimentazione
5. Dettaglio costruttivo del sistema a parete ventilata con strato di supporto in muratura di laterizio con blocchi ad elevate prestazioni termiche.
conda della costituzione del paramento murario stesso, sono spesso quasi già del tutto ininfluenti) grazie alla loro distribuzione puntuale e all’eventuale interposizione di elementi a taglio termico che, unitamente alla continuità dell’isolamento termico applicato sul paramento murario in posizione protetta dagli agenti atmosferici, già al netto degli ulteriori contributi positivi offerti dalla presenza dell’intercapedine di ventilazione precedentemente discussi, garantiscono prestazioni pari o superiori a quelle tipiche dei sistemi a cappotto. Una soluzione semplice e particolarmente efficace può essere ottenuta quando lo strato
di supporto è costituito da muratura massiva con caratteristiche termo-acustiche conformi, tali da non necessitare la presenza dello strato isolante aggiuntivo esterno. E' questo il caso di involucri monostrato in blocchi di laterizio di ultima generazione: rettificati a setti sottili oppure a isolamento diffuso integrato (fig. 5).
Laddove ben progettato e realizzato, un sistema a facciata ventilata è in grado altresì di fornire una buona capacità di isolamento acustico dovuta sia alla configurazione del sistema, che prevede un rivestimento più o meno massivo in presenza di un’intercapedine d’aria retrostante, sia alla presenza di eventuali isolanti (benché impiegati per lo più con funzione termica), e nel caso anche di caratteristiche opportunamente differenti per contribuire al raggiungimento di una migliore fonoimpedenza/fonoassorbenza.
La sicurezza in caso di incendio di questi sistemi di facciata opaca può essere perseguita applicando i più evoluti principi della cosiddetta Fire Safety Engineering [6] oppure i criteri di progettazione contenuti nella normativa vigente. A tal riguardo, la Regola Tecnica Verticale n. 13 “Chiusure d’ambito degli edifici civili” [7], parte integrante del Codice di Prevenzione Incendi, è particolarmente indicata per perseguire la sicurezza antincendio delle facciate ventilate (si veda un estratto alle Tabelle I e II con le caratteristiche di reazione e resistenza al fuoco), in particolar modo per edifici di altezza media o alta, dalla geometria di facciata articolata e/o dalle forme architettoniche più complesse ed accattivanti. Tale norma, per il montaggio del rivestimento esterno su sottostruttura, contempla il solo fissaggio meccanico escludendo, per oggettivi problemi di potenziale distacco del rivestimento in caso di incendio, la posa per solo incollaggio. Le più comuni soluzioni per perseguire la sicurezza antincendio delle facciate ventilate prevedono l’impiego generalizzato di materiali incombustibili e/o l’interruzione a passo
I sistemi di rivestimento a parete ventilata e la nuova normativa italiana di settore
TIPOLOGIA DI EDIFICIO
(SA, SB e SB: classificazione delle chiusure d’ambito in relazione alle caratteristiche degli edifici in cui sono istallate)
(SA) Edifici che ricadono in uno dei seguenti casi:
• edifici aventi quote a tutti i piani comprese tra -1 m < h ≤ 12 m, affollamento complessivo ≤ 300 occupanti e che non includono compartimenti con Rvita in cat. D1, D2 (ambito sanitario/ospedaliero)
• edifici fuori terra, ad un solo piano
(SB) Edifici aventi quote di tutti i piani ad altezza ≤ 24 m e che non includono compartimenti con Rvita in cat. D1, D2 (ovvero dove si erogano cure mediche).
TIPOLOGIA DI PRODOTTO/ COMPONENTE
CLASSI DI REAZIONE AL FUOCO MINIME
Facciata
(escluse zone di protezione, se presenti) Zone di protezione (5)
isolanti termici - A2-s1-d0
guarnizioni(3), sigillanti(3), materiali di tenuta(3) - A2-s1-d0
rivestimento ed altro(4) - A2-s1-d0
isolanti termici protetti(1) D-s2-d2 A2-s1-d0
isolanti termici in vista(2) B-s2-d0 A2-s1-d0
kit comprensivo di isolante
B-s2-d0 A2-s1-d0
guarnizioni(3), sigillanti(3), materiali di tenuta(3) B-s2-d0 A2-s1-d0
rivestimento ed altro(4)
isolanti termici protetti(1)
isolanti termici in vista(2)
(SC) Tutti i restanti edifici
B-s2-d0 A2-s1-d0
C-s2-d0 A2-s1-d0
A2-s1-d0 A2-s1-d0
kit comprensivo di isolante applicato a parete B-s1-d0 A2-s1-d0
kit comprensivo di isolante applicato a soffitto (es. pilotis)
A2-s1-d0 A2-s1-d0
guarnizioni(3), sigillanti(3), materiali di tenuta(3) B-s1-d0 A2-s1-d0
rivestimento ed altro(4) B-s1-d0 A2-s1-d0
Tabella I. Classi di reazione al fuoco minime per prodotti/componenti in funzione della tipologia di edificio e della posizione in facciata.
Note
1. Protetti con materiali non metallici in Euroclasse A1 oppure con prodotti di classe di resistenza al fuoco K10 e classe minima di reazione al fuoco B-s1-d0;
2. Non protetti;
3. Solo se occupano più del 10% della superficie della facciata;
4. Solo se occupano più del 40% della superficie della facciata, esclusi i componenti in vetro non rivestiti da pellicole o materiali combustibili (qualora il rivestimento faccia parte di un kit le prestazioni del medesimo sono quelle del kit stesso);
5. Le zone di protezione sono le parti della facciata sulle quali (o in adiacenza alle quali) possono essere presenti materiali combustibili in quantità significative (ad esempio veicoli in sosta, rifiuti, ecc.) o impianti di produzione o trasformazione di energia (fotovoltaici, di produzione calore, di condizionamento, ecc.).
dell’intercapedine di ventilazione [8]. Laterizi, ceramica, mosaici e pietre naturali sono considerati materiali inerti e incombustibili dal DM 10/3/2005 e, quindi, appartenenti alle classi più alte di reazione al fuoco (Euroclassi A1 e A1FL ) senza dover essere sottoposti alle apposite prove [9].
La resistenza all’urto di un sistema di rivestimento a montaggio meccanico deve essere opportunamente valutata in fase di progetto, considerando la destinazione d’uso dell’immobile ed il conseguente rischio di esposizione agli urti accidentali, adottando tutte le necessarie precauzioni atte a scongiurare rotture del rivestimento e a limitarne il rischio
TIPOLOGIA DI EDIFICIO
(SA, SB e SB: classificazione delle chiusure d’ambito in relazione alle caratteristiche degli edifici in cui sono istallate)
(SA) Edifici che ricadono in uno dei seguenti casi:
• edifici aventi quote a tutti i piani comprese tra -1 m < h ≤ 12 m, affollamento complessivo ≤ 300 occupanti e che non includono compartimenti con Rvita in cat. D1, D2 (ambito sanitario/ospedaliero)
• edifici fuori terra, ad un solo piano
(SB) Edifici aventi quote di tutti i piani ad altezza ≤ 24 m e che non includono compartimenti con Rvita in cat. D1, D2 (ovvero dove si erogano cure mediche).
di distacco o caduta laddove necessario. Parimenti, è fondamentale prestare adeguata attenzione alla gestione delle dilatazioni termiche della sottostruttura metallica e alla conseguente dislocazione ciclica delle lastre di rivestimento a bordo di essa al fine di scongiurare eventuali coazioni tra lastre adiacenti tali da determinarne la parziale rottura o anche, nei casi peggiori, il distacco. Per quanto riguarda il comportamento sismico delle facciate ventilate [10], sebbene tali sistemi siano classificati come elementi non strutturali dell’edificio, la verifica di resistenza a tali sollecitazioni va comunque eseguita applicando la procedura semplificata contenuta
CARATTERISTICHE INTERCAPEDINE D’ARIA
Qualsiasi
(SB) Edifici aventi quote di tutti i piani ad altezza ≤ 24 m e che non includono compartimenti con Rvita in cat. D1, D2 (ovvero dove si erogano cure mediche).
Qualsiasi
In corrispondenza di ogni piano(2), l’intercapedine deve essere interrotta da elementi di classe E30
Qualsiasi
In corrispondenza di ogni piano(2), l’intercapedine deve essere interrotta da elementi di classe E60
CARATTERISTICHE
"PELLE INTERNA"
(strato di supporto e strato di isolamento)
Qualsiasi
Per l’intera altezza e per tutti i piani(2), la pelle interna deve essere di classe E30
In corrispondenza di ogni piano, la pelle interna deve prevedere fasce di separazione(1)
Per l’intera altezza e per tutti i piani(2), la pelle interna deve essere di classe E60
In corrispondenza di ogni piano, la pelle interna deve prevedere fasce di separazione(1)
Tabella II. Caratteristiche delle intercapedini d’aria delle facciate ventilate e delle pelli interne (strati di supporto e strati di isolamento) in funzione della tipologia di edificio.
Note
1. Le fasce di separazione devono essere realizzate con materiali in classe di reazione al fuoco non inferiore a A2-s1-d0 e costituite da uno o più elementi costruttivi aventi classe di resistenza al fuoco E 30-ef (O > I) o, se portanti, RE 30-ef (O > I);
2. Sono ammesse aperture nella compartimentazione se provviste di serranda tagliafuoco o sistema equivalente a chiusura automatica in caso di incendio, con i medesimi requisiti di resistenza al fuoco della facciata.
I
di
nelle NTC 2018 [11], valutando la forza sismica sollecitante e la capacità dissipativa e deformativa del sistema impiegato. Peraltro, attualmente sono disponibili sistemi e componenti in grado di assorbire e dissipare quota parte della sollecitazione e/o di assecondare i movimenti dell’edificio anche mediante la deformazione dei componenti di fissaggio del rivestimento o della sottostruttura, limitando il trasferimento di anomale azioni al rivestimento ed il conseguente rischio di rotture.
Ai fini della durabilità e della manutenibilità, i sistemi a facciata ventilata possiedono intrinsecamente un’elevata propensione in tal senso, a patto che il sistema venga adeguatamente progettato per permettere la sostituzione delle singole lastre o di piccoli gruppi di lastre mediante operazioni di smontaggio/rimontaggio di facile e rapida realizzazione, anche tenendo conto dell’accessibilità degli operatori ad ogni fronte attraverso specifici sistemi (in corda, sistemi meccanizzati quali BMU, piattaforme aeree, o sistemi equivalenti - fig. 6).
Da ultimo, è di particolare attualità il tema del riutilizzo e della riciclabilità dei materiali ai fini della sostenibilità e dell’economia circolare. In sede di progettazione, è buona norma considerare la possibilità di
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
disassemblare a fine vita il sistema di facciata ventilata per il riutilizzo, il riciclo o il corretto smaltimento dei suoi componenti opportunamente separati, come anche prescritto dai Criteri Ambientali Minimi (CAM) per l’edilizia [12].
[1] Norma UNI 11018-1:2023 “Facciate ventilate - Parte 1: Caratteristiche prestazionali e terminologia”
[2] Norma UNI 11018:2003 (ritirata) “Rivestimenti e sistemi di ancoraggio per facciate ventilate a montaggio meccanicoIstruzioni per la progettazione, l’esecuzione e la manutenzione - Rivestimenti lapidei e ceramici”
[3] Norma UNI EN ISO 6946:2018 “Componenti ed elementi per edilizia - Resistenza termica e trasmittanza termicaMetodi di calcolo”
[4] Norma UNI EN ISO 13786 “Prestazione termica dei componenti per edilizia - Caratteristiche termiche dinamicheMetodi di calcolo”
[5] Norma ISO 15099 “Thermal performance of windows, doors and shading devices - Detailed calculations”
[6] Testo coordinato dell’Allegato I al D.M. 3 agosto 2015 “Codice di Prevenzione Incendi” - §M.1 “Metodologia per l’ingegneria della sicurezza antincendio”
[7] Testo coordinato dell’Allegato I al D.M. 3 agosto 2015 “Codice di Prevenzione Incendi” - §V.13 “Chiusure d’ambito degli edifici civili”
[8] Mazzucchelli E. S., Lucchini A., Stefanazzi A. (2019) “Fire safety issues in high-rise building façades”, Tema, 5 (1), pp. 130- 140, e-ISSN 2421-4574
[9] D.M. 10/3/2005 “Classi di reazione al fuoco per i prodotti da costruzione da impiegarsi nelle opere per le quali è prescritto il requisito della sicurezza in caso di incendio”. Allegato C: tabella dei materiali appartenenti alle Euroclassi “A1” ed “A1FL” di reazione al fuoco
[10] Lucchini A., Stefanazzi A., Parisi M. A. V. (2013) “Seismic behaviour of building façades”, International Journal for Housing Science and Its Applications, 37 (1), pp. 1-10, ISSN 01466518
[11] D.M. 17 gennaio 2018 “Norme tecniche per le costruzioni”
[12] D.M. 26 giugno 2022 “Criteri Ambientali Minimi per l’affidamento del servizio di progettazione ed esecuzione dei lavori di interventi edilizi”
6. Intervento di manutenzione su singola lastra in quota, in contesto residenziale di limitata accessibilità, con impiego di piattaforma aerea e sollevatore telescopico semoventi
© Alberto Stefanazzi
L’approccio algoritmico alla progettazione dell’involucro e la stampa 3D
Il contributo descrive le opportunità della progettazione algoritmica nel processo produttivo di elementi morfologicamente complessi in materiale ceramico, mediante stampa 3D.
Si descrive il caso di studio della Ceramic House ad Amsterdam realizzata da Studio RAP
Antonio Magarò, Architetto, PhD, Assegnista di Ricerca, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi Roma Tre
KEYWORDS
Progettazione algoritmica
Stampa 3D
Manifattura robotizzata
Ceramic House
Algorithmic design
Additive manufacturing
Robotic arm’s building
Ceramic House
Negli ultimi anni, l’approccio alla progettazione cosiddetto “computazionale” è diventato popolare con grande rapidità tra i professionisti del processo edilizio: esso rappresenta il livello più avanzato della progettazione architettonica, poiché si propone di innovare gli strumenti che hanno caratterizzato la progettazione dagli anni Novanta in poi, spingendo decisamente i professionisti a evolvere il loro approccio tecnico e culturale verso i processi di sviluppo del progetto. La progettazione computazionale (computational design) a differenza della progettazione assistita dal computer (computer aided design), non si limita a fornire al progettista uno strumento emulo delle attrezzature tradizionali, come il CAD al posto del tecnigrafo
e della matita, ma si propone di supportare un approccio differente, basato sull’impiego di parametri, formule e algoritmi mutuati dalla matematica per la generazione e, soprattutto, per il controllo di morfologie e prestazioni complesse.
La rapida variazione di entropia che ha imposto tale rivoluzione nel mondo AEC ( Architectural, Engineering and Construction) non ha ancora consentito il sedimentarsi di una consapevolezza diffusa tra i differenti operatori e stakeholders , soprattutto dal punto di vista terminologico. Infatti, molte definizioni vengono utilizzate in modo ambiguo, oppure locuzioni differenti vengono impiegate per riferirsi allo stesso concetto. In particolare, spesso si fraintendono i prin-
The algorithmic approach to envelope design and 3D printing
The transfer from computational design to digital construction is now irreversible. The introduction of software for the informational design of architectural models (BIM), capable of blurring the transition between the idea and the built, offers a wide range of advantages, stimulating the innovation of all construction processes, including the production of traditional elements.
T he contribution describes the
opportunities that algorithmic design, intended as part of computational design, can offer in the field of innovation inside the production process of ceramic material elements. After framing the scientific meaning of algorithmic design in the context of the latest taxonomy, the paper focuses on the production process of ceramic material elements by means of 3D printing, with the technique of additive manufacturing.
Furthermore, the contribution offers an examination of the case study of the Ceramic House façade in Amsterdam, realised by Studio RAP. The young and dynamic Dutch architectural firm interprets the possibilities of algorithmic design through the innovative methods of digital construction, innovating the tradition of handcrafted production of elements in ceramic material, giving surprising morphologies and paving the way for unexpected performance.
L’approccio algoritmico alla progettazione dell’involucro e la stampa 3D
cipi della progettazione generativa (generative design), della progettazione parametrica ( parametric design) e della progettazione algoritmica (algorithmic design), tutte filiazioni della progettazione computazionale, portatrici di significati simili, ma non sovrapponibili.
La progettazione parametrica è quell’approccio che descrive gli elementi progettati attraverso l’uso di parametri. L’esempio tipico è relativo alla progettazione di muri e pareti, descritti dalla loro esatta giacitura e posizione nello spazio, da lunghezza, altezza e spessore, etc. in modo che il risultato non sia univoco, ma riconducibile ad un insieme di muri e pareti [1]. Nei sistemi BIM tale insieme prende il nome di famiglia, all’interno della quale ciascuna delle infinite combinazioni di parametri corrisponde ad un elemento.
La progettazione generativa è da intendersi come l’insieme di tecniche progettuali che, oltre a essere basata sulla parametrizzazione degli elementi, comprende un serie di relazioni complesse tra essi, in grado di generare varianti dell’oggetto progettato con un certo grado di autonomia da parte del computer [2].
Infine, la progettazione algoritmica si concentra sull’uso di sequenze di istruzioni matematiche, nell’ambito di regole predeterminate, in grado di modellare l’oggetto come un problema per il quale pervenire ad una soluzione [3]. La distinzione tra progettazione generativa e algoritmica è sottile quanto determinante: la progettazione algoritmica usa algoritmi per generare modelli, e in tal senso si può considerare generativa, ma l’oggetto progettato rimane strettamente correlato all’algoritmo utilizzato (si dice che è isomorfo), azzerando l’autonomia del computer nella generazione e consentendo al progettista un controllo sempre più fine del progetto. La progettazione algoritmica è un sottoinsieme della progettazione generativa che fornisce più spazio all’intelligenza naturale a discapito dell’impiego di intelligenza artificiale.
La stampa 3D di materiali ceramici
La progettazione computazionale in genere apre le porte a una libertà geometrica e a una complessità costruttiva inimmaginabile fino a pochi anni fa. Esse si adattano perfettamente alle nuove opportunità costruttive offerte dalla stampa 3D, in particolare dalle tecniche di additive manufacturing come quelle a deposito di materiale fluido [4]. Le stampanti 3D consumer gestiscono materiali che possono essere resi plastici ed estrudibili a temperature relativamente basse, come molti materiali polimerici. Tuttavia, sebbene questo semplifichi la realizzazione di modelli tridimensionali, non consente creare mock-up per la valutazione laboratoriale o in situ delle prestazioni previste nel progetto. La trasposizione di scala delle macchine di stampa, usufruendo della diffusione della robotica nell’industria, anche
1. Interno dell’Innovation Dock a Rotterdam
edile, ha consentito di utilizzare materiali fluidi da estrudere e depositare su livelli sovrapposti, con lo scopo di produrre elementi o interi componenti di edifici. Questi possono essere successivamente trattati per consentirgli il raggiungimento delle prestazioni desiderate. È il caso della formatura di laterizi o elementi in materiale ceramico, progettati mediante tecniche algoritmiche, nell’ambito di un flusso di lavoro unitario, nel quale il software di progettazione consente di introdurre complessità morfologica e prestazionale e i robot per la stampa 3D permettono di realizzare tale complessità sia in laboratorio per la verifica prestazionale, sia nell’ambito di cantieri, ormai completamente rivoluzionati.
I materiali ceramici (e quelli argillosi in genere) si prestano particolarmente ai processi di stampa 3D. In particolare, nel processo di produzione dei materiali ceramici, la parte relativa alla cottura può rimanere invariata, mentre l’additive manufacturing influisce in maniera sostanziale non solo quale tecnica di formatura, ma anche in relazione alla progettazione dell’impasto che deve essere estrudibile con continuità, quindi sufficientemente fluido, ma con un contenuto di acqua non eccessivo per evitare la deformazione o il collasso durante la sovrapposizione dei layers [5].
I materiali ceramici si producono attraverso la stampa 3D seguendo almeno due macro-fasi: la prima di preparazione e modellazione, la seconda inerente la cottura. Se quest’ultima può avvenire nella maniera tradizionale, la prima prevede la possibilità di applicare uno qualsiasi dei processi di additive manufacturing, ovvero [4]:
• deposito di materiale fuso, liquido o semisolido (fluido-denso);
• incollaggio di materiali granulari;
• fotopolimerizzazione di materiale denso. Ciascuno di essi si presta alla eventuale fase di sinterizzazione.
Altro indubbio vantaggio, sul quale la ricerca scientifica si sta orientando, è relativo all’esplorazione di metodi innovativi per la realizzazione di pareti o rivestimenti ambien -
talmente sostenibili [6][7][8]: certamente, la possibilità di utilizzare argille non particolarmente preparate consente di approvvigionarsi di materia prima locale, così come avviene per i materiali ceramici realizzati in maniera tradizionale. Allo stesso modo, dal momento che si intende sfruttare la possibilità di produrre morfologie complesse, gli elementi prodotti saranno destinati a creare involucri di facciata. Pertanto, è necessario che essi siano testati per una molteplicità prestazionale, dal comportamento al fuoco alla tenuta termica, dal comportamento igrometrico alla capacità strutturale [9], senza trascurare i costi e gli impatti ambientali lungo il ciclo di vita [10]. Una tra le maggiori problematiche della stampa 3D di materiali ceramici riguarda la necessaria quantità d’acqua per l’impasto, superiore a quella del normale processo di lavorazione in filiera, per consentire l’estrusione da un ugello di dimensioni ridotte, che possa garantire la definizione di morfologie complesse, discendenti dalla progettazione algoritmica. La maggiore idratazione comporta inevitabilmente un quadro fessurativo ampio dopo la cottura, che speso viene risolto con il risarcimento per apporto di materiale: questo comporta una necessaria post-produzione e il relativo incremento dei costi. La stampa 3D, inoltre, comporta inclusioni di microbolle d’aria nell’impasto: questo comporta una resistenza meccanica inferiore, ma un impatto potenzialmente positivo sulla resistenza termica del componente stampato. Con lo scopo di ridurre le inclusioni di aria e la fessurazione la ricerca si sta orientando verso macchine più performanti, in grado di utilizzare contemporaneamente più ugelli e, di conseguenza, impasti con differenti fluidità in contemporanea, o dotate della possibilità di far ruotare l’estrusore secondo coordinate polari per raggiungere quelle porzioni di elemento i cui setti, eccessivamente sottili, potrebbero rompersi in cottura. In tal senso, l’impiego di bracci robotici semoventi sembra la soluzione più efficace [4].
Lo Studio RAP e la Ceramic House: dalla progettazione algoritmica alla facciata stampata
Lo Studio RAP, con base a Rotterdam, è uno dei pionieri del connubio tra progettazione computazionale e metodi innovativi di fabbricazione digitale.
Fiore all’occhiello dello Studio è l’aver introdotto nel proprio organico delle figure professionali inedite, compresi programmatori e sviluppatori di robotica. Anche l’assetto dello Studio non rispecchia quello di un normale Architectural Office, ancorché di livello internazionale: il cuore è l’innovation dock, il cui nome ricorda il luogo dove è installato. Si tratta di un ampio spazio laboratoriale nel porto di Rotterdam, che riusa una ex sala macchine in cui è installato un carroponte con gru, utilizzato per sospendere a mezzaria un volume di 1.000 m2 destinati a spazi di lavoro. Il capannone si trova sulla proprietà della Rotterdam Drydock Company, un ex cantiere navale riattrezzato per diventare lo spazio per un campus per l’innovazione. Una griglia logica sul pavimento delimita gli spazi flessibili del piano terra, conformandoli alle differenti esigenze, mentre un’analoga griglia viene ribadita a 8 metri di quota nell’ampio volume interno, raddoppiando, di fatto, lo spazio utile. Il risultato è un telaio tridimensionale plug-in, estensibile e smontabile. Gli spazi enormi racchiudono un pensiero che guarda alle differenti scale del progetto, dagli studi sul materiale, alla produzione di modelli in scala 1:1 fino ad arrivare alla città all’interno di un ambiente. A ribadire quest’ultimo principio, all’intradosso del solaio intermedio è stata collocata una gigantografia satellitare dettagliata del porto di Rotterdam. Nella inusuale location prendono posto le attrezzature appositamente progettate dallo Studio RAP per la produzione di elementi in argilla da cuocere. In particolare, viene utilizzato un braccio robotico articolato, ovvero dotato di quattro snodi, uno alla base che consente le rotazioni sul piano orizzontale, uno che consente le rotazioni sul piano verticale, uno intermedio che favorisce l’elongazione dell’arto e uno che determina l’assetto
dell’estrusore; la testa dell’estrusore è dotata di una siringa che contiene il materiale da depositare. Questo non viene emesso per gravità per evitare depositi differenziati per effetto di attriti sulle pareti della siringa, ma viene spinto in maniera controllata attraverso l’ugello mediante aria compressa. Così come le macchine e l’intero flusso di lavoro per la produzione è stato interamente progettato dallo Studio, anche gli algoritmi per la progettazione sono frutto di un lavoro completamente interno. Nelle intenzioni dei progettisti, la Ceramic House avrebbe esplorato la possibilità di reinterpretare le qualità decorative tipiche del linguaggio tradizionale, che affida alla ceramica smaltata le sue potenzialità espressive. Per inserirsi in un contesto fortemente storicizzato, come quello di Hooftstraat, una delle vie dello shopping più lussuose di Amsterdam, lo Studio ha inteso replicare la scansione tripartita che caratterizza l’elevazione degli edifici adiacenti. Allo stesso modo, le dimensioni, il tipo e le cromie degli ornamenti sono accuratamente coordinati con il contesto. La facciata appare incre-
dibilmente movimentata, dal momento che si ispira a un intrico di stoffe, mosse in eleganti pieghe, insieme a filati che si intrecciano a simulare le cuciture. Il risultato è una scultura dinamica e organica, simile a un’onda, in grado di restituire un’immagine differente all’osservatore, in base al suo punto di vista. Questo movimento induce stupore e un edificio che apparentemente si armonizza con il tipo edilizio locale, arriva a differenziarsi con grande originalità.
Gli architetti hanno tratto ispirazione dal Rijksmuseum, ovvero il Museo Nazionale di Amsterdam, istituito nel 1800 e celebrato per la sua variegata collezione di ceramiche provenienti da tutto il mondo. La progettazione algoritmica integrata con le tecniche di stampa robotizzata consentono la realizzazione di dettagli altamente differenziati, sebbene organici tra di loro, come fossero pezzi unici.
Se l’impegno all’innovazione è evidente, la tradizione non è rispettata solo nella composizione della facciata, ma anche nel pro -
cesso di cottura, che viene effettuata nel rispetto dei processi artigianali. Il risultato è un’ampia gamma di materiali, dal laterizio alla ceramica, che, a prescindere della morfologia complessa, rispettano le dimensioni della produzione locale. Al piano terra, la facciata è caratterizzata da elementi in ceramica stampate in 3D di dimensioni 40 x 20 cm. Queste sono smaltate in bianco perlaceo al quale viene aggiunta una nota di giallo, esattamente come nel processo decorativo della storica azienda Royal Koninklijke Tichelaar Makkum, che dal 1890 si occupa della produzione di ceramiche decorative tipiche olandesi e che si è occupata dello smaltaggio e della cottura degli elementi.
L’idea di posizionare gli elementi più espressivi all’altezza dell’osservatore non è casuale: gli elementi perdono il loro dinamismo mentre si avvicinano al piano di calpestio, fornendo ancora più dettaglio all’estetica raffinata del rivestimento.
Ai piani più alti la ceramica lascia il posto al laterizio: blocchi stampati in 3D presentano
una cottura al limite della vetrificazione superficiale, in grado di conferire 3 differenti tonalità di rosso. Il confronto tra i nuovi elementi e quelli disposti secondo la tessitura olandese degli edifici adiacenti richiede ai progettisti uno sforzo compositivo: la morfologia dei nuovi blocchi e la loro disposizione genera una decorazione astratta che si apprezza nella sua interezza quando si ammira fino all’ultimo livello.
I blocchi non sono posati a umido, ma sono inseriti all’interno di alloggiamenti realizzati mediante pannelli in lamiera di acciaio inox tagliata a laser, in modo da poterli disporre secondo l’allineamento dei corsi originali. Il connubio tra tradizione e innovazione è decisamente un approccio vincente: i robot utilizzati vengono considerati al pari del personale che lavora per lo Studio, mentre la mano esperta dell’artigiano viene reputata essenziale e insostituibile per ottenere un risultato qualitativamente notevole. Questo evidenzia la volontà di contemplare l’elemento umano quale protagonista del processo progettuale e realizzativo, dimostrando una conoscenza profonda delle tecnologie più innovative, intese come a servizio dell’architetto e non come sua vece.
SCHEDA TECNICA
Oggetto Ceramic House boutique
Località Amsterdam, (NL)
Committente Warenar Real Estate
Progetto architettonico Studio RAP
Collaboratori Gietermans & Van Dijk
Impresa di costruzione Wessels Zeist (VolkerWessels)
Costruzione della facciata in stampa 3D
Cottura degli elementi di facciata
Studio RAP
Royal Tichelaar
Cronologia 2022 (Progettazione), 2023 (Costruzione)
Superficie 260 m2 circa
Fotografie Foto 1 Theo Peekstok; Foto 2-14 Riccardo De Vecchi per Studio RAP
10. Blocchi in laterizio stoccati in cantiere, pronti per il montaggio.
11. Variazione delle cromie degli elementi in laterizio.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] R. Oxman, Thinking difference: theories and models of parametric design thinking. Design Studies, 52 (2017) 4-39.
[2] P. Zhang, W. Xu, Quasicrystal structure inspired spatial tessellation in generative design. in: T. Fukuda (Ed.) Proceedings of the 23rd Computer-Aided Architectural Design Research in Asia CAADRIA Conference, Hong Kong, 2017, pp. 143-152.
[3] H. Humppi, Algorithm-Aided Building Information Modeling: Connecting Algorithm-Aided Design and Object-Oriented Design. Master thesis. Tampere University of Technology, Tampere - FIN (2015).
[4] A. Baratta, L. Calcagnini, A. Magarò, Tecniche innovative per la formatura di elementi in laterizio: la stampa 3D, Costruire in laterizio, 181 (2019) 7077.
[5] M. Leschok, et al., 3D printing facades: Design, fabrication, and assessment methods, Automation in Construction, 152 (2023) 104918.
[6] V.S. Fratello, R. Rael, Innovating materials for large scale additive manufacturing: salt, soil, cement, and chardonnay, Cement Concrete Research 134 (2020) 106097.
[7] Y.K. Abdallah, A.T. Est´evez, 3D-printed biodigital clay bricks, Biomimetics 6 (2021) 59.
[8] M. Cucinella, TECLA Technology and Clay 3D printed house (2021) disponibile da: https:// www.archdaily.com/960714/tecla- technologyand-clay-3d-printed-house-mario-cucinella architects (ultimo accesso 29.01.2024).
[9] M. Gomaa, W. Jabi, A. Veliz Reyes, V. Soebarto, 3D printing system for earthbased construction: case study of cob, Automation Construction 124 (2021) 103577.
[10] A. Wolf, P.L. Rosendahl, U. Knaack, Additive manufacturing of clay and ceramic building components, Automation Construction 133 (2022) 103956.
Tessitura muraria schermante
Il paramento di mattoni faccia a vista della facciata presenta una innovativa apparecchiatura decorativa, basata sulla rotazione dei mattoni, che diventa occasione per far diventare la muratura un elemento forato, che lascia entrare luce e aria, fungendo da schermatura della radiazione solare
Monica Lavagna, Professore Associato, Dipartimento ABC Architettura, ingegneria della costruzione e ambiente costruito, Politecnico di Milano
KEYWORDS
Faccia a vista
Muratura
Struttura medica
Argentina
Facing brick
Masonry
Medical facility
Argentina
Il progetto è costituito da un piccolo volume compatto, che scolpisce l’angolo di un lotto tramite due corpi in linea, che delimitano una corte centrale, resa aperta al pubblico da un taglio proprio al vertice dell’angolo. I corpi di forma regolare vengono “movimentati” tramite l’inclinazione delle superfici sia delle facciate sia delle coperture sia dei controsoffitti esterni, in corrispondenza del varco di accesso, e interni. Ne risulta una forma del volume complessivamente irregolare, ma che gioca con superfici piane di facciata e di copertura interamente ricoperte dello stesso materiale, ossia il laterizio. Una uniformità che crea continuità pur nella destrutturazione spaziale.
La volontà di creare un effetto di “movimento” e un gioco di irregolarità, dato dalla scomposizione in più elementi, si estende ad alcune superfici perimetrali, dove i mattoni faccia a vista del paramento murario esterno vengono fatti ruotare con diverse inclinazioni, creando una superficie irregolarmente corrugata. Questa innovativa modalità di apparecchiatura dei mattoni, oltre a creare un motivo decorativo originale rispetto alla tradizionale omogeneità delle superfici in mattoni faccia a vita, ha un preciso scopo funzionale: trasformare la muratura in una sorta di elemento schermante, capace di filtrare la radiazione solare e lasciar penetrare all’interno luce naturale e aria, favorendo il comfort degli spazi interni.
The facing brick of the facade presents an innovative decorative texture, based on the rotation of the bricks, which becomes an opportunity to make the masonry a perforated element, which lets in light and air, acting as a shield from solar radiation
Il clima della regione, estremamente umido e caldo, ha influenzato fortemente il progetto. L’edificio è completamente opaco sul perimetro esterno, senza finestre o aperture, proprio per proteggersi dal sole, mentre si apre con ampie trasparenze verso la corte interna, priva di radiazione solare diretta poiché i fronti sono rivolti a sud (che nell’emisfero australe corrisponde al nostro nord). Nella concezione dell’involucro risiede una proposta innovativa del progetto: la facciata esterna dell’edificio è una composizione di due strati, un paramento murario di “mattoni sparsi”, che racchiude e filtra, e una lastra di vetro stratificato fissa, con alcune porzioni di serramento apribile. Quindi la muratura in realtà è una schermatura.
I progettisti decidono di usare il laterizio, e in particolare il mattone pieno faccia a vista, come materiale principale per l’intero involucro (facciata e copertura), perché dotato di elevata massa termica. Inoltre, elaborano un prodotto innovativo adatto al contesto locale, ossia un particolare mattone composto di pietra vulcanica miscelata all’argilla, le cui proprietà consentono un maggiore assorbimento del calore. Nel rispetto dei principi di accessibilità e inclusività, con un approccio human centered, l’obiettivo dichiarato dai progettisti è quello di realizzare un edificio vernacolare, inteso come capace di instaurare un’interazione discreta con il contesto, grazie alla sensibilità di plasmare l’architettura alla situazione locale specifica. Sicuramente il risultato progettuale riesce a essere una interessante sintesi di tradizione e innovazione, e un esempio di inserimento misurato nel contesto capace però di esprimere il suo carattere e la sua singolarità.
Dettaglio 1
Sezione verticale del fronte principale a nord.
La facciata perimetrale esterna rivolta a nord è costituita da una vetrata stratificata protetta dalla radiazione solare tramite un paramento murario in mattoni faccia a vista che funge da schermatura. Per poter lasciar penetrare luce e aria, i mattoni vengono ruotati con diverse inclinazioni creando delle forature che trasformano la parete opaca in un filtro.
Legenda
1. copertura con rivestimento esterno in mattoni protetti da impregnante
2. paramento in mattoni pieni con funzione di schermatura
3. lastra di vetro stratificato
4. pavimentazione ceramica
5. pavimentazione esterna
Dettaglio 2
Rappresentazione della tessitura dei corsi di mattoni del muro del varco di accesso.
Il progetto destruttura sia lo spazio sia gli elementi costruttivi, giocando sulla rotazione delle superfici delle facciate e delle coperture e sulla rotazione dei mattoni che racchiudono il perimetro esterno dell’edificio, lungo i fronti nord ed est. L’apparecchiatura innovativa prevede la rotazione dei mattoni a corsi alterni, in modo da mantenere il loro ruolo di sostegno per i corsi successivi.
Dettaglio 3
Rappresentazione della tessitura dei corsi di mattoni del fronte est.
La tessitura dei mattoni prevede, oltre all’allineamento principale, cinque diverse inclinazioni, che danno luogo a un movimento lungo la superficie esterna della facciata sia decorativo sia funzionale a diverse dimensioni di foratura. La rotazione dei mattoni viene controllata in fase di posa grazie a delle dime appositamente realizzate.
Vista delle 5 dime per calibrare l’inclinazione dei mattoni, la diversa colorazione richiama la diversa inclinazione, leggibile nello schema della tessitura.
Architettura per la riabilitazione
La Lega del Filo d’Oro rappresenta una realtà unica per la cura di persone affette da gravi disabilità, per la sua capacità organizzativa e per la sua rete estesa a tutto il territorio nazionale.
I saggi che compongono questo libro che propone l’architettura, la costruzione e la definizione degli spazi del nuovo Centro Nazionale di Osimo (provincia di Ancona), espongono la pluralità delle competenze che si sono impegnate nel 2022 per la sua realizzazione.
Dopo l’introduzione dei curatori (la Tamburi è Direttore tecnico della società di ingegneria che è intervenuta nella realizzazione dell’opera, progettata da Guidarini insieme a Pierluigi Salvadeo), il libro offre un’intervista al presidente Rossano Bartoli che presenta l’impegno cinquantennale della Fondazione; lo scritto di Patrizia Ceccarani che ne descrive la missione e gli obiettivi educativi e riabilitativi; riguardo al progetto, dopo il commento di Marco Biraghi, Guidarini ne traccia una presentazione teorico pratica; Alfredo Zengiaro ne descrive gli ambienti e gli arredi concepiti per le pluriminorazioni psicosensoriali; la Tamburi gli aspetti strutturali, le tecnologie impiantistiche e energetiche, e la gestione dell’appalto di costruzione.
Centro Nazionale della Fondazione Lega del Filo d’Oro Osimo Architettura per la cura delle disabilità
■ A cura di Stefano Guidarini, Maria Raffaella Tamburi Lega del filo d’oroMaggioli Editore, 2023 Pp. 144, € 29
Diritto di accessibilità
Il volume è stato realizzato dal Cluster Accessibilità Ambientale della Società Italiana di Tecnologia (patrocinio dell’INU, di ITACA e del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze a cui fanno riferimento i curatori).Il titolo del convegno “Specie di spazi”, ripreso dal volume di Georges Perec del 1974, dimostra l’interesse per il tema dell’accessibilità.
Nella prefazione Adolfo F.L. Baratta spiega che l’ambiente deve garantire all’individuo e alla collettività il diritto di accesso, in sicurezza e benessere, cioè l’autonoma usabilità, identificabilità, raggiungibilità, comprensibilità e fruibilità di spazi, servizi e relazioni, anche per quanto attiene agli aspetti sensoriali e cognitivi. Il volume, report di approcci metodologici quali il Design for All, il Life Span Design, l’Inclusive Design, l’Universal Design o lo Human Centered Design, articola i 51 contributi in 4 sezioni, S, M, L, XL: il design, alla scala del componente edilizio, degli arredi urbani e degli ausili alla persona; l’accessibilità alla scala dell’edificio; i metodi di controllo e pianificazione degli interventi urbani, territoriali e del paesaggio, la gestione dei dati, i processi di governance dell’accessibilità; la valutazione di progetti, interventi e tecniche di mappatura.
Progetti per la mobilità
Il libro è il risultato di una ricerca avviata nel 2016 presso lo Iuav (dove l’autrice insegna). Corredato da schede e disegni, ricorda le difficoltà di movimento che incontra a Venezia una persona con disabilità fisica.Della città cita isole, canali, calli, fondamenta, rive, rughe, salizade, campi, piazze; le viabilità d’acqua e di terra, l’acqua alta; la rete pubblica di navigazione e i più di quattrocento ponti. Ricorda i progetti promossi per il miglioramento della mobilità; per l’eliminazione dei dislivelli, la collocazione di servoscala e rampe sovrapposte; di corrimani, di segnaletiche per non vedenti e ipovedenti; di opere per l’inclusione, all’interno di scuole, università, musei, negozi e bar. Di conseguenza sottolinea quanto il garantire l’accessibilità e la fruibilità degli spazi pubblici, salvaguardando i valori storici e culturali, siano azioni a favore del turismo e a difesa della città dallo spopolamento.Nella prima parte, il volume affronta in generale l’accessibilità nelle città storiche e peculiarmente a Venezia; nella seconda, illustra gli interventi realizzati sui ponti, analizza il sistema del gradino agevolato, con pedata allungata e in pendenza; inquadrando storicamente ventidue ponti, interessati da specifici progetti.
Definire criticità e soluzioni
Il volume nasce dalla necessità di condividere un vocabolario comune di termini.
E’ stato realizzato nell’ambito del Cluster Accessibilità Ambientale della SITdA – Società Italiana della Tecnologia dell’Architettura, con le Università di Roma3, Udine e Venezia, atenei dove i curatori operano. Nel saggio introduttivo Antonio Lauria (Università di Firenze) propone, con varie citazioni letterarie, definizioni e significati dell’accessibilità, che riguarda ogni attività umana, nella pluralità delle sue declinazioni. Cita i Piani per l’Accessibilità, i gradi di accessibilità; spiega perché l’accessibilità è una nozione contestuale, multiscalare, relazionale, spazio-temporale, multicriteriale e multidimensionale. Di seguito ci sono le definizioni e i significati di 50 lemmi, elaborati da soci aderenti al Cluster: parole comuni (Barriera architettonica), tecniche (Punti di minor resistenza), espressioni usate come sinonimi (Design for All, Universal Design, Inclusive Design); definizioni di azioni note (P.E.B.A. e Mobilità), altre assorbite da discipline affini (Affordance). Il volume è stampato in Atkinson Hyperlegibile, carattere ad alta leggibilità, sviluppato con il Braille Institute. Un QR code consente di ascoltare il brano introduttivo di ogni lemma.
Specie di spazi. Promuovere il benessere psicofisico attraverso il progetto
■ a cura di Maria De Santis, Luca Marzi, Simone Secchi, Nicoletta Setola
Anteferma Edizioni, 2023
Pp. 412, euro 32,00
Atlante dell’accessibilità urbana a Venezia
■ a cura di Valeria Tatano Anteferma Edizioni, 2018 Pp. 308, € 26
Manifesto lessicale per l’Accessibilità Ambientale: 50 parole per progettare l’inclusione
■ a cura di Adolfo F.L. Baratta, Christina Conti, Valeria Tatano Anteferma Edizioni, 2023 Pp. 303, € 35, digital – open access
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