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ATTUALITÀ
etrusca, venivano al santuario di San Casciano per offrire dei doni votivi. Queste informazioni sono a noi note, perché le iscrizioni presenti sulle statue nominano membri dell'aristocrazia che già ci erano familiari: alcuni vengono da Perugia, da Chiusi, dalla zona di Siena, di cui noi conosciamo il gentilizio, il nome di famiglia. Nella maggioranza dei casi non abbiamo testimonianza di cosa potessero offrire i devoti appartenenti a diversi strati sociali. È qui, però, che il caso di San Casciano si distingue dagli altri: le particolari condizioni di conservazione hanno permesso di recuperare materiali, che spesso non si trovano in altri contesti, materiali deperibili e reperti organici. Abbiamo trovato delle pigne e dei rami di albero: le prime non provengono da San Casciano ma sono state portate e offerte all'interno di questo santuario, mentre i rami sono stati tagliati proprio in un momento specifico della crescita della pianta e intenzionalmente deposti nella vasca come offerta.
Ma cos’è di preciso la vasca? Come vi ho detto, il santuario è costruito su una sorgente captata all'interno di una grande vasca di blocchi di travertino, la pietra locale. Immaginate una piscina di forma ovoidale, di cui noi abbiamo scavato soltanto una metà, e dal cui fondo sta emergendo un'altra vasca. La prima, profonda cinque o sei metri, risale al III secolo a.C. ed è dove si trovano le statue, mentre la seconda è di Età Augustea/Giulio-Claudia. ed è istallata sopra di essa. La vasca, all’epoca riempita con dell’acqua che arrivava fino a 40°C, era dunque il centro del santuario.
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Conosciamo il nome di questo antico luogo curativo?
“Iscrizioni sia in latino che in etrusco fanno riferimento al nome della fonte o perlomeno a come la percepivano gli antichi. In latino si legge infatti fonti calidae, ovvero acque calde; mentre nelle iscrizioni etrusche viene nominata la divinità che doveva tutelare questa fonte: Fleres. Essa ha un nome particolare, di cui gli studiosi di epigrafia stanno cercando di capire l’origine, probabilmente legata sempre alla presenza dell’acqua calda o al culto che ruotava intorno a questa fonte.
Sulle statue sono state rinvenute iscrizioni in latino ed etrusco: una nuova Stele di Rosetta? Sarà possibile trovare riferimenti espliciti a un'ipotetica letteratura etrusca?
Devo smentire subito: non si tratta della Stele di Rosetta etrusca, perché le iscrizioni non sono bilingui, ovvero non traducono la stessa frase in etrusco e in latino, ma semplicemente iscrizioni ap- poste su monumenti diversi e con testi differenti. Il grande problema della lingua etrusca è che ne conosciamo perfettamente la scrittura, ma non la lingua in sé, non essendo in possesso della letteratura di questo popolo. Immaginiamo per un attimo che tra duemila anni la lingua italiana venga dimenticata: se i testi non venissero tramandati, gli archeologi e i linguisti del futuro dovrebbero studiare l’italiano dai nostri cimiteri, dove si trovano solo iscrizioni che riportano per lo più nomi propri. Questo è esattamente quello che è successo con gli Etruschi.
L'importanza degli ex-voto suggerisce un timore profondo della morte e una certa familiarità con le malattie. La commistione tra medicina e religione era tipica delle civiltà antiche. Può raccontarci questo aspetto in relazione a romani ed etruschi?
L’invocazione della salute è un aspetto che ha sempre toccato la sensibilità umana. Evidentemente, nel mondo etrusco e romano, c’era una conoscenza medica ed empirica delle proprietà delle fonti termali molto superiore a quello che potremmo pensare. Inoltre, da questo santuario, non provengono solo raffigurazioni di parti del corpo, come mani o piedi, che dovevano segnalare una grazia ricevuta; ma anche strumenti medici, come quello che sembra un bisturi. É stato anche rinvenuto uno straordinario ex-voto poliviscerale di un valore straordinario, soprattutto per lo studio della conoscenza medica dell’epoca. Si tratta di una placca di bronzo con una rappresentazione delle viscere, una sorta di manuale anatomico che riproduce fedelmente organi come il fegato, il cuore, e l’intestino. É una scoperta che aprirà degli scenari inaspettati e permetterà di approfondire molto questo tema.
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Sono stati ritrovati altri reperti oltre alle statue?
Diciamo che il periodo di attività del santuario dal III secolo a.C. al III secolo d.C. ci mostra come cambia il regime delle offerte. All’inizio queste sono costituite da piccoli Offerenti in bronzo, ossia raffigurazioni di devoti in atto di offerta, poi bronzetti anatomici che testimoniano richieste d’aiuto per guarire da specifiche malattie e lenire i dolori di parti del corpo. Abbiamo trovato anche statue di notevole grandezza interamente in metallo, che ci costringono a considerare il grande valore economico che avevano. Se si misurano le statue, si vede poi che presentano moduli fissi, e si nota un certo ordine nelle misure che corrisponde al sistema di misurazione romano. Intorno al I secolo d.C. si passa, come già accennato, all’offerta di monete. Abbiamo trovato 6.000 monete perfettamente conservate: si tratta sicuramente di uno dei più grandi depositi monetari romani. Inoltre i numismatici ci hanno detto che molte di queste monete sono fresche di conio e dalla cassa imperiale di Roma sono state portate direttamente nel santuario. Immaginate quindi la potenza attrattiva di questo sito.”
E l’abbandono del sito non ha influenzato la qualità dei reperti?
No, anzi, le statue si sono conservate proprio grazie alla messa a dimora del santuario: le grandi colonne del portico sono state poste all’interno della vasca, e il santuario è stato per lo più dimenticato fino all’Età Medicea.
È difficile da spiegare, ma in un certo senso gli archeologi beneficiano delle disgrazie degli antichi. Se avete presente Pompei sapete bene come un’immane tragedia dal punto di vista umano, si sia trasformata in una fortuna per gli archeologi, che hanno potuto osservare un incredibile spaccato di vita cristallizzato sotto la cenere.
Questo ritrovamento permetterà di far luce sui grandi mutamenti avvenuti in Etruria in età tardo-repubblicana. I frequentatori di questo santuario ci mandano un messaggio di inclusione, o si tratta di qualcos'altro?
Il nostro direttore Jacopo ha sottolineato la componente multietnica del santuario: mentre fuori si combattono conflitti come la guerra sociale, all’interno del santuario Etruschi e Romani si ritrovano insieme per pregare. Il processo di romanizzazione è un fenomeno molto più complesso di quello che sapevamo fino ad ora, perché è un processo culturale, e una cultura ha una sua evoluzione fluida.
Quando i Romani entrano a contatto con la cultura etrusca, cambiano loro stessi. Lungo una frontiera i popoli si incontrano e si influenzano a vicenda, magari condividendo un luogo comune, come questo santuario, dove l’acqua calda mette tutti d’accordo.
Tra il IV e il II secolo a.C. Roma si espande in Italia, e la sua espansione è spesso violenta. La città etrusca di Veio viene distrutta nel 396 a.C., e Volsinii, l’odierna Orvieto, viene letteralmente rasa al suolo, i suoi abitanti sono deportati per fondare una nuova città. A Orvieto si trovava il santuario nel quale si riunivano i capi della Dodecapoli, dal quale i Romani avevano prelevato 2.000 statue di bronzo. La città di Chiusi, invece, vive un processo di assimilazione costante: a partire dall’elevazione a municipium nel 90 a.C. molte famiglie romane arrivano in città e si imparentano con famiglie etrusche. Vediamo così iscrizioni funerarie con i nomi dei personaggi scritti in latino ed etrusco; si tratta quindi di un processo di osmosi.
Pensate che gli Etruschi, definiti “il più religioso dei popoli”, hanno dato ai Romani sin dalle loro origini una lunga serie di conoscenze religiose, mantiche e tecniche: la casta sacerdotale degli aruspici, regolarmente consultati dagli imperatori romani, aveva continuato a comunicare in etrusco fino al I secolo d.C., ma i testi letterari non tramandati hanno portato alla diaspora di una cultura.
Il fatto che si sia abbandonata la scrittura etrusca potrebbe essere considerato con una sorta di damnatio memoriae?
In realtà nella lingua italiana ci sono molte parole, come la parola “satellite” o la parola “mondo”, che sono prestiti della lingua etrusca a quella latina, ma non solo, si tratta anche di nomi di persona: “Tania”, per esempio, è un nome diffusissimo nel mondo etrusco.
L'imperatore Claudio è stato il primo etruscologo della storia, fondamentalmente perché era un imperatore che si dilettava in studi sugli Etruschi e aveva scritto una grandissima opera, chiamata Tyrrhenikà, in cui aveva raccolto tutti i suoi ritrovamenti. Purtroppo questa grande silloge di fonti storiche non ci è stata tramandata e l'abbiamo persa completamente.
Sicuramente la storia la scrivono i vincitori, ma più che damnatio memoriae, penso sia stato un discorso di declino di una lingua e di una cultura che è mutata e si è amalgamata con il tessuto culturale latino. I Romani, quando crearono l'impero, erano in contatto con decine di popoli diversi, e loro stessi diventarono meticci e si mescolarono con culture diverse, per cui è difficile distinguere in maniera quasi genealogica i caratteri distintivi di una cultura; si tratta, dunque, di assorbimento.
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Nel santuario sono state ritrovate delle statue ex-voto di neonati in fasce e di bambini con la loro bulla al collo, noi che cosa sappiamo dei bambini etruschi?
Sappiamo che c’era un altissimo tasso di mortalità infantile, trend tipico di tutte le società preindustriali. Proprio per questo, in queste società, il tema della preservazione della natalità era importante, poiché da una prole robusta dipendeva la trasmissione dell’eredità e l’efficienza nel lavoro dei campi. C’era, dunque, una grandissima attenzione nei confronti delle nascite e si investiva nella prole, creando tombe pregiate e ricche di complesse connotazioni simboliche. Spesso nelle tombe di epoche più antiche si ritrovano bambini deposti con corredi ricchissimi o con attributi che contraddistinguevano il ruolo di guerriero o di tessitrice, per esempio, come se fossero stati già degli adulti. Alcune statue, però, sono di dimensioni ragguardevoli e hanno un viso che non ha propriamente i caratteri di un neonato. Da ciò si può ipotizzare che non tutte quelle statue fossero legate alle nascite: alcune probabilmente simboleggiavano una rinascita spirituale del devoto.
Ci sono poi statue di bambini con la bulla, la quale era uno dei segni distintivi dell’infanzia nel mondo latino-etrusco, che si abbandonava al terzo anno di età per indossare la toga praetexta, la quale indicava l’ingresso nell’età adolescenziale. Per il resto, l’infanzia etrusca non è un mondo ben esplorato e tutto quello che sappiamo riguardo a questo argomento è ciò che possiamo ricavare dalle tombe e quindi dalla morte.
Mentre lei parlava mi è venuto in mente anche Tages, il fanciullo divino dei Tarquini.
Esatto, Tages era detto prodigium e il mito a lui legato ricorda molto il Cristo del Cristianesimo, poiché la religione etrusca, come quella Cristiana, era una religione rivelata. Si tramanda, infatti, che ci fosse una sorta di “Messia” che sarebbe appunto Tages. Egli, in uno dei miti fondativi dell’ethnos etrusco, compare nella zona di terra in cui Tarconte, eroe etrusco, fonda l’omonima città di Tarquinia. Lì questo bambino prodigioso, che parla come se fosse un adulto, rivela agli Etruschi tutti i segreti delle arti divinatorie, alla base della religione etrusca.
Dunque, avete scoperto i nomi di personaggi quali Tagete/Tages e Tarconte da altre fonti, presumo scritti latini, giusto?
Sì, sono le fonti latine che ci parlano di questi aspetti del mon- do etrusco: infatti, è sopravvissuto di questa civiltà solo ciò che possiamo leggere dagli scritti latini e greci. Ad esempio, Dionigi d’Alicarnasso scrive spesso dei popoli italici ed anche Erodoto ci parla della famosa e discussa questione delle origini degli Etruschi. Anche quest’ultimo tema è veramente contorto e sarebbe troppo ampio da aprire adesso. Tuttavia, si può dire che l’ignota origine degli Etruschi è di per sé un falso problema, poiché è ritenuto tale semplicemente per l’impostazione che viene data a questa questione. Gli antichi, come noi oggi, concepivano i popoli come delle strutture che nascono e muoiono, seguendo una precisa evoluzione; pertanto, per loro gli Etruschi dovevano essere un popolo estraneo, venuto dall’Oriente o dal Nord Italia, sia perché non si riconoscevano in loro, sia perché si doveva identificare l’Etrusco come qualcuno di “diverso”, per la necessità di attribuire sempre un'identità propria a chi si aveva di fronte.
Tuttavia, questa è solo una visione parziale delle popolazioni antiche: infatti, il compito degli storici e degli scienziati non è solo quello di studiare i popoli nella loro unità, ma anche di analizza- re come l’antico si rapportava con l’altro, capendo così le strutture culturali con cui costoro determinavano l’identità. In tal modo, non si rendono l'identità e l’origine di un popolo dei valori assoluti e sacralizzati, ma li si studia per capirli a livello storico.
Si ha spesso l'impressione che degli Etruschi si sappia poco e che si possa studiare poco. Perché, secondo lei, è presente una tale semplificazione della storia etrusca e del mondo etrusco, anche in ambito scolastico?
È qualcosa che parte dall’antichità. La visione che ci è data dagli storici greci e latini è quella di un popolo che era diverso da tutti gli altri. Da quel momento, quindi, passando poi attraverso il rinascimento e la cultura moderna, nell’immaginario collettivo si è trasmesso un senso di mistero, di estraneità del popolo etrusco.
È chiaro, quindi, che l’Etrusco veniva percepito, anche a livello estetico, come diverso dagli altri, e questo ha sicuramente alimentato un certo dogmatismo rispetto al mistero della cultura etrusca. C’è poi la questione della lingua, che non si conosceva ed era misteriosa. Questo mistero, tuttavia, deriva semplicemente dal fatto che non siamo a conoscenza della lingua, né abbiamo testi che ci permettano di capirla. Tuttora c’è una letteratura pseudoscientifica che non fa altro che favorire questa visione distorta del mondo etrusco, che non avrebbe neanche senso ai tempi d’oggi, dal momento che esiste una disciplina ben connotata che si chiama etruscologia. L’etruscologia da cento anni ormai studia questo particolare settore delle civiltà italiche del mondo antico ed è arrivata ad un livello di studio e ad un avanzamento per cui il mistero non esiste più, se non nell’immaginario collettivo. Dunque, il compito degli studiosi è anche quello di smentire e cercare di avere una visione più scientifica di una realtà che è molto più conosciuta di quanto crediamo.
Come si può sfatare questo mito a livello globale?
Sicuramente uno degli aspetti è quello di rendere le comunità partecipi di questi avvenimenti. Si è creata, da un certo momento in poi, nella ricerca, una qualche distanza tra il mondo accademico e quello dei non addetti ai lavori. I due mondi, ad un certo punto, hanno preso percorsi diversi: da una parte gli appassionati, che lo facevano per diletto, dall’altra gli scienziati, che si chiudevano nei loro castelli.
A cosa serve l’archeologia?
Diceva un grandissimo storico dell’arte, l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli: “Se l’archeologia non ha una ricaduta sociale sul presente, è solamente un gioco erudito, un divertimento che serve a pochi.” Dovrebbe, invece, essere utile alla società, più che per dare delle risposte, per formulare dei quesiti e per capire qualcosa di noi stessi. In questo modo, riconosciamo il valore delle cose. Inoltre, capendo noi stessi, ciò che è diverso non ci appare poi così diverso, e neanche così misterioso, poiché ci rendiamo conto che è il nostro passato. Ritroviamo allora, senza saperlo, molti di quegli elementi nella nostra cultura. Tra il presente e il passato troviamo delle connessioni, che ci permettono di capire che noi nel presente siamo quelli che un tempo erano loro, riappropriandoci del nostro passato.
Cosa sappiamo del teatro etrusco e della sua diffusione? Chi è il personaggio di Phersu? Quando nella Roma repubblicana iniziarono a essere istituiti dei ludi scenici, si chiamavano degli attori che venivano dall’Etruria. I Romani non ammettevano questa affinità con gli Etruschi, ma quando avevano bisogno chiedevano spesso consiglio a loro riguardo arte e religione.
Il teatro nasce da questo mondo italico, in cui si celebravano dei riti antichissimi, e il cosiddetto Phersu è una delle maschere. Ci sono delle attestazioni epigrafiche riguardo a questo personaggio, ma non si è sicuri di che tipo di maschera si trattasse, se fosse un personaggio come Pulcinella o qualcosa di completamente differente. Phersu è una parola etrusca da cui deriva la parola latina maschera ed era un personaggio con una barba posticcia, come si vede nei funerali di Tarquinio, e un copricapo. Veniva rappresentato mentre assisteva a una scena ricorrente molto macabra, in cui dei personaggi incappucciati venivano costretti a lottare con dei cani inferociti. Probabilmente l’immagine designava delle lotte gladiatorie, dei riti che si dovevano officiare in particolari cerimonie funebri
Conosciamo la cultura etrusca principalmente attraverso il suo rapporto con la morte: ritroviamo anche una tendenza al macabro?
Questa visione dipende anche da quello che ci è stato tra-